lunedì 28 agosto 2023

UFFICIO PER L'ESPATRIO Estratto da “La valigia” Sergei Dovlatov

 


UFFICIO PER L'ESPATRIO

Estratto da “La valigia” Sergei Dovlatov

All’Ufficio per l’espatrio quella stronza viene a dirmi:- Ogni emigrante ha diritto a tre valigie. Questa è la norma. In merito abbiamo disposizioni precise del ministero.
Protestare non aveva alcun senso. Ma naturalmente protestai:
– Solo tre valigie?! Ma come si fa con tutta la roba?-
– Per esempio?-
– Per esempio la mia collezione di automobiline da corsa…
– Se la venda – rispose l’impiegata senza pensarci.
E poi aggiunse inarcando leggermente le sopracciglia:
– Se non le sta bene qualcosa, scriva un reclamo.
– Mi sta bene- dissi.
Dopo il carcere tutto mi andava bene.
– Beh, allora si dia una calmata…
Dopo una settimana stavo già raccogliendo le mie cose e potei constatare che una sola valigia bastava e avanzava.
Dalla pena che mi facevo, poco ci mancava che mi mettessi a piangere. In fondo avevo trentasei anni. Diciotto dei quali avevo lavorato. Qualcosa avevo guadagnato, avevo comprato. In fondo, ero convinto di possedere delle cose. E invece, in tutto una sola valigia. E per di più piuttosto piccola. Ma allora ero un poveraccio? E come avevo fatto a ridurmi così?!
E i libri? Fatto sta che quasi tutti i libri che avevo erano proibiti, di quelli che alla dogana non passano. Mi toccò regalarli agli amici assieme al mio cosiddetto archivio.
E i manoscritti? Quelli già da tempo li avevo segretamente spediti in occidente. E i mobili? La scrivania la portai a un negozio di mobili usati. Le sedie se le prese il pittore Cegin (che fino a quel momento aveva usato delle casse). Il resto lo buttai.
Così che me andai con una sola valigia. Era di compensato, rivestita di tela con rinforzi metallici agli angoli. La serratura non funzionava, mi toccò utilizzare della corda da bucato.
In passato, con quella valigia ero andato al campeggio dei pionieri Sulla parte superiore stava scritto con l’inchiostro:
“Gruppo dei piccoli. Sereza Dovlatov”. Accanto, qualcuno aveva gentilmente aggiunto un intarsio: “cagone”. La tela qua e là si era strappata.
Sempre sulla parte superiore, all’interno, erano incollate delle fotografie. Rocky Marciano, Armstrong, Iosif Brodskij, la Lollobrigida con un vestito trasparente. Il doganiere tentò di strappare la Lollo con le unghie, ma riuscì appena a graffiarla.
Brodskij invece non lo toccò neppure. Mi chiese soltanto: chi è questo? Risposi che era un mio lontano parente.

lunedì 14 agosto 2023

TOLLERANZA Popper

 


IL PARADOSSO DELLA TOLLERANZA 

 Karl Popper


Il Paradosso della tolleranza è un celebre passo di Karl Popper, riguardo la tolleranza. L’aforisma è parte di un passo divenuto molto famoso negli ultimi anni, dal suo libro “La società aperta e i suoi nemici”. 

“Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti, e la tolleranza con essi. In questa formulazione io non implico, per esempio, che si debbano sempre sopprimere le manifestazioni delle filosofie intolleranti; finché possiamo contrastarle con argomentazioni razionali e farle tenere sotto controllo dall’opinione pubblica, la soppressione sarebbe certamente la meno saggia delle decisioni. Ma dobbiamo proclamare il diritto di sopprimerle, se necessario, anche con la forza; perché può facilmente avvenire che esse non siano disposte a incontrarci a livello dell’argomentazione razionale, ma pretendano ripudiare ogni argomentazione; esse possono vietare ai loro seguaci di prestare ascolto all’argomentazione razionale, perché considerata ingannevole, e invitarli a rispondere agli argomenti con l’uso dei pugni o delle pistole. Noi dovremmo quindi proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti”.


Il Paradosso è: “Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti; se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.”

Dobbiamo essere intolleranti con gli intolleranti? Non potremmo perseguire il dibattito? Ma questa via è perseguibile sempre?

Popper scrisse queste riflessioni a seguito dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Infatti, più generalmente il testo, da cui proviene questo paradosso sulla tolleranza, teorizza una “società aperta”. Al centro del sistema sociale e politico non vi deve essere semplicemente una definizione astratta di libertà. La libertà, anzitutto individuale, si persegue in ogni aspetto del vissuto, in maniera critica, discussa, condivisa, correggibile.

Non si tratta di attenersi ad una costituzione che proclama la libertà in cambio di un compromesso politico, come quello democratico, ove molto spesso la libertà di potersi esprimere si tramuta nella tirannia della maggioranza, da una famosa espressione di Tocqueville. Popper, come si è potuto leggere sopra, quando tratta delle mosse contro gli intolleranti fa esplicito riferimento al ruolo dell’opinione pubblica. E lo fa proprio in merito al “paradosso democratico”.

L’opinione pubblica gioca un ruolo fondamentale e può addirittura essere decisiva. Ma bisognerebbe affidare un ruolo ancor più importante alla storia. Essa ci fa da guida di fronte ad episodi del genere. E non è un caso che determinate discussioni vengano riprese all’inizio del nuovo millennio. Il fascismo, come disse Eco, non è un fenomeno esclusivo del ventennio, ma un modo di porsi nei confronti della società. È importante che prima di ogni decisione ci sia un profondo studio dei fatti storici, delle premesse e delle conseguenze. In questo modo, forse, esse non si ripresenteranno.

Il paradosso della tolleranza, quindi, se lo vedessimo distaccato dal suo contesto non sarebbe altro che una risposta un po’ troppo semplicistica ad un problema molto serio e divisivo. È pur vero che ogni sistema deve attuare delle scelte difficili per difendersi, senza però scadere a sua volta in una risposta antidemocratica. Il paradosso è tale per definizione, e pertanto non può avere una risposta che vada bene universalmente. Lo scopo finale è sempre quello di dibattere; e con la discussione la proposizione di nuove idee, forse quelle che potrebbero davvero porre fine a tali paradossi.

È giusto usare ancora il vocabolo “Tolleranza”? Il termine in sé, riflettendoci bene, pone chi lo usa in una condizione di superiorità rispetto all’altro termine del discorso. Ovvero colui al quale dovremmo concedere la nostra tolleranza, quasi in segno di bontà. Inoltre, esso dà l’idea di qualcosa di transitorio, che prima o poi diventerà intollerabile.







mercoledì 9 agosto 2023

LA CORBA Estratto da Carlo Dossi. "Gocce d'inchiostro".


LA CORBA

Estratto da Carlo Dossi. "Gocce d'inchiostro".

 "...que' ricchi aggrondati che non san dove comprare un'oncia di cuore contento ..."

14 - LA CORBA

 Ed era cosa ben semplice! Figùrati che, svoltando in un vicoluccio, avevo dato in una vecchia, immòbile, piccina sotto una soma di corbe. Una di esse le era caduta e la pòvera donna o non poteva chinarsi per la rigida età o non osava col càrico già squilibrato delle altre. Intanto, un birbone, seduto su lo scalino di una portella, ghignava e pipava.

Quello che feci, l'avresti anche tu.

Ripeto, la cosa era semplicìssima. Eppure, seguitando il cammino, mi tremolava nel segreto del cuore un gusto che mai. La meraviglia della vecchietta nel trovar gentile un signore, i suòi ringraziamenti commossi mi circolàvan col sangue. Affè! che non mi si vada dunque a promèttere premi in un altro mondo. Non usciamo da questo. Ogni òpera buona frutta al beneficato e al benefattore. Per mè non avèo più nulla a pretèndere, anzi — siamo sinceri — dovevo.

Ma, insieme, ricordavo con compassione que' ricchi aggrondati che non san dove comprare un'oncia di cuore contento, mi chiedevo stupìto come mai, lo stesso egoismo, non li tirasse a fare del bene.

E ci ha tante corbe a levar su ancora da terra!

Estratto da Carlo Dossi. "Gocce d'inchiostro".

lunedì 7 agosto 2023

PENSARE IL POSSIBILE?


 

PENSARE IL POSSIBILE? 

Possiamo considerare archiviato l’insegnamento di Herbert Marcuse come sforzo del pensiero rivolto verso il futuro? Non è che questo avviene anche perché la pratica della filosofia come esercizio di elaborazione del domani ci sono diventate totalmente estranee?. Mi chiedo allora se abbia ancora un significato in un'epoca come quella attuale, che non riesce più ad immaginare il futuro, reclamare, come faceva Marcuse, un principio di possibilità che apra al cambiamento incrinando il dominio del principio di realtà comunemente riconosciuto. 

Allora rileggendo “Teoria critica del desiderio. Scritti e interventi di Herbert Marcuse, IV.” penso che abbia molto senso il riflettere su passaggi come questo:"una società che possa dirsi, in verità, qualitativamente differente, poiché l’intero modo di vivere, l’intero sistema dei valori, le aspirazioni e i bisogni degli uomini saranno differenti. Anche su questi nodi vorrei tornare, almeno brevemente, martedì. Qui, contro una simile diffamazione delle possibilità storiche, spacciate per utopistiche, voglio aggiungere solo questo: per ciò che riguarda la natura umana, certo vi sono ampi livelli e dimensioni di essa che sono immutabili, quelli cioè nei quali l’essere umano è e rimarrà un animale. Al di là della dimensione animale e degli istinti animali, la natura umana può mutare non solo superficialmente, ma nella sua stessa essenza. Possiamo e dobbiamo mettere in discussione la diffamazione di questa concezione come utopistica - possiamo accettare il termine utopistico solo se pensiamo che le società costituite siano in se stesse eterne; solo se facciamo di condizioni politiche e sociali condizioni metafisiche immutabili; solo se dimentichiamo che la storia nelle condizioni date è fatta da esseri umani, e che ciò che si definisce natura umana è molto spesso solo quell’essere umano che la società costituita ci ha fatto diventare - certo non la natura immutabile degli esseri umani.” (Cit.pag.160)

martedì 1 agosto 2023

SHAKESPEARE SONETTO 43



  SHAKESPEARE  SONETTO 43

Quanto più chiudo gli occhi, allora meglio vedono,

perche' per tutto il giorno guardano cose indegne di nota;

ma quando dormo, essi nei sogni vedono te, e, oscuramente

luminosi, sono luminosamente diretti nell'oscuro.

Allora tu, la cui ombra le ombre illumina,

quale spettacolo felice formerebbe la forma della tua ombra

al chiaro giorno con la tua assai piu' chiara luce,


Quando ad occhi senza vista la tua ombra cosi' splende!

Quanto, dico, benedetti sarebbero i miei occhi,

guardando a te nel giorno vivente,

quando nella morta notte la tua bella ombra imperfetta,

attraverso il greve sonno, su ciechi occhi posa!

Tutti i giorni sono notti a vedersi, finche' non vedo te,

e le notti giorni luminosi, quando i sogni si mostrano a me.


SHAKESPEARE SONETTO 43


When most I wink, then do mine eyes best see,

For all the day they view things unrespected;

But when I sleep, in dreams they look on thee,

And darkly bright are bright in dark directed.

Then thou, whose shadow shadows doth make bright,

How would thy shadow's form form happy show

To the clear day with thy much clearer light,


When to unseeing eyes thy shade shines so!

How would, I say, mine eyes be blessed made

By looking on thee in the living day,

When in dead night thy fair imperfect shade

Through heavy sleep on sightless eyes doth stay!

All days are nights to see till I see thee,

And nights bright days when dreams do show thee me.