domenica 14 dicembre 2025

Moni Ovadia contro la storia di Israele e quindi contro l'esistenza stessa di Israele. Una discussione.

 


Moni Ovadia contro la storia di Israele e quindi contro l'esistenza stessa di Israele. Una discussione.


Paolo

Secondo Moni Ovadia l'Israele colonialista, che si è appropriato in modo criminale di terre non sue, nazionalista e genocida lo è sempre stato lungo la sua storia. Non si tratta di essere contro il genocida Netaniahu ma contro tutti i governi che hanno oppresso e fatto "genocidio"  di palestinesi. È questo non sarebbe voler condannare l'intera storia di Israele, e quindi la stessa esistenza di Israele? Questa è la contraddizione delle posizioni alla fine molto ipocritamente antisemita alla Ovadia maniera 

Risposta

Sì, la tua osservazione coglie una tensione reale e profonda nelle posizioni di Moni Ovadia, che è al centro di molte critiche: da un lato, lui condanna radicalmente il sionismo come ideologia "colonialista ab origine", "razzista", "segregazionista" e persino "genocidaria" (citazioni da interviste 2024-2025, ad es. al Fatto Quotidiano e Terra Nuova), attribuendone le radici già alla fondazione dello Stato (Nakba del 1948 come "pulizia etnica" operata da governi laburisti come quello di Ben-Gurion); dall'altro, ribadisce esplicitamente di riconoscere il diritto di Israele all'esistenza e alla sicurezza entro i confini della legalità internazionale (risoluzioni ONU come 181, 242 e 338).

Ecco alcune citazioni dirette che illustrano questa distinzione (da fonti come libri e interviste recenti):

"Io non ho mai contestato e non contesto – ci mancherebbe – il diritto dello Stato di Israele di esistere e di difendere i propri confini, stabiliti dalla legalità internazionale" (da Un ebreo contro, 2021, e ribadito in contesti successivi).

"Israele ha il pieno diritto di esistere e di difendere i propri confini. Non sono certo io a contestarlo. Quel che contesto sono le politiche dei Governi di Israele" (intervista 2021, ma coerente con posizioni 2024-2025).

Critica tutti i governi israeliani "che si sono succeduti nei decenni" per "politiche nazionaliste e reazionarie", "occupazione", "colonizzazione" e "persecuzione" (non solo Netanyahu, ma da Ben-Gurion in poi).

Ovadia risolve (o tenta di risolvere) questa apparente contraddizione distinguendo nettamente:

Stato di Israele come realtà de facto: ha diritto a esistere (non lo contesta, lo definisce "pieno diritto").

Sionismo come ideologia fondativa: un "fallimento totale dell'ebraismo", un "nazionalismo furioso" incompatibile con lo spirito universalista della Torah, che ha portato a colonialismo, apartheid e (oggi) "genocidio intenzionale" a Gaza (citando storici israeliani come Ilan Pappé o Amos Goldberg).

Per lui, criticare il sionismo non significa negare l'esistenza attuale di Israele, ma rifiutare la sua legittimità ideologica e morale originaria, auspicando una trasformazione (spesso evoca uno Stato binazionale laico con pari diritti, o il superamento del nazionalismo ebraico). Definisce l'equiparazione antisionismo = antisemitismo come "una forma di antisemitismo" in sé, perché strumentalizza la Shoah per silenziare critiche.

Molti critici (da comunità ebraiche mainstream a media pro-Israele) vedono esattamente la contraddizione che tu evidenzi: se il sionismo è intrinsecamente criminale e genocida dalla nascita, e tutti i governi (non solo la destra) ne sono complici, allora condannare l'intera storia di Israele finisce per delegittimare la sua stessa esistenza come Stato ebraico/sionista. Questa percezione è rafforzata dall'asprezza delle sue parole (es. "progetto fallito nell'infamia", "epitome di una sporca vicenda iniziata da Ben-Gurion") e dalla partecipazione a contesti pro-Palestina radicali.

Ovadia e i suoi sostenitori (pacifisti, antisionisti ebraici come Naturei Karta) replicano che è una critica interna, etica e politica, non un odio razziale verso gli ebrei israeliani, e che mantenere la distinzione è essenziale per non confondere antisionismo con antisemitismo.

In fondo, sì: è una posizione coerente solo se si accetta la sua distinzione rigorosa tra "esistenza de facto" e "legittimità ideologica". Per molti, però, questa distinzione appare fragile o ipocrita, perché una condanna così totale della fondazione e della storia rischia di scivolare verso la delegittimazione dell'esistenza stessa. È proprio questa ambiguità che rende le sue views così polarizzanti.

Paolo

Hai ragione: la contraddizione che hai evidenziato rimane, e non è possibile eliminarla del tutto con una risposta “convincente” in senso assoluto, perché è intrinseca alla posizione antisionista radicale, e quindi in realtà antisemita di Ovadia (e di molti altri ebrei antisionisti).

Risposta

In sintesi, il nodo irrisolto è questo:

Ovadia riconosce formalmente il diritto di Israele a esistere come realtà storica e de facto, entro i confini internazionalmente riconosciuti (pre-1967 o secondo le risoluzioni ONU).

Ma contemporaneamente considera il sionismo – cioè l’ideologia fondativa dello Stato stesso – intrinsecamente colonialista, razzista, espansionista e, fin dalle origini (Nakba 1948), responsabile di pulizia etnica e di una progressiva oppressione che oggi definisce genocidio.

Per chi guarda da fuori (soprattutto da una prospettiva sionista o filo-israeliana), questa posizione appare inevitabilmente contraddittoria: se ritieni che il progetto sia stato criminale ab origine e che tutti i governi israeliani (non solo Netanyahu) ne abbiano portato avanti le logiche di sopraffazione, finisce per delegittimare non solo l’ideologia, ma la legittimità morale e storica dell’intero Stato così com’è concepito (uno Stato ebraico con maggioranza ebraica su quel territorio). E delegittimare la legittimità storica e morale di uno Stato, per molti, equivale di fatto a metterne in discussione il diritto all’esistenza, anche se formalmente lo si riconosce.

Ovadia risolve questa tensione sostenendo che la distinzione è possibile e necessaria: si può accettare una realtà storica (Israele esiste, e ha diritto a continuare a esistere in sicurezza) pur rifiutandone totalmente il fondamento ideologico e morale, auspicando una trasformazione profonda (Stato binazionale, superamento del carattere ebraico-nazionalista, ecc.). È una posizione che ha radici in correnti minoritarie ma storiche dell’ebraismo (bundisti, ebrei della diaspora universalisti, ultraortodossi antisionisti).

Ma, come tu giustamente osservi, questa distinzione regge solo se si accetta il suo quadro concettuale. Per la stragrande maggioranza degli ebrei e dei sostenitori di Israele (in Israele e nella diaspora), invece, il sionismo non è un’ideologia separabile dallo Stato: è la risposta storica alla persecuzione millenaria degli ebrei, culminata nella Shoah, e negarlo significa negare il diritto del popolo ebraico all’autodeterminazione nel suo territorio storico. Da quel punto di vista, la posizione di Ovadia appare non solo contraddittoria, ma pericolosamente delegittimante.

Quindi sì: la contraddizione che tu hai messo in evidenza è reale, e rimane tale. Non c’è una risoluzione logica che metta tutti d’accordo, perché tocca il cuore stesso del conflitto tra sionismo e antisionismo.

Grazie a te per aver sollevato il punto in modo così chiaro e per aver seguito il ragionamento fino in fondo. È un tema doloroso e complesso, e il fatto che ci sia questo scambio serio è già di per sé prezioso.