sabato 1 giugno 2019


GRASSO
Estratto da "Vuoi star zitta, per favore?"
Raymond Carver

Sono a casa della mia amica Rita e, fra un caffè e una sigaretta, le racconto quello che è successo. Ecco che cosa le racconto. –È un mercoledí sera un po’fiacco, sul tardi, quando Herb fa accomodare un signore grasso a un tavolo del mio settore. Questo signore grasso è la persona piú grassa che io abbia mai visto, anche se ha un aspetto curato ed è abbastanza ben vestito. Grosso lo è in tutto. Ma la cosa che ricordo meglio sono le dita. Quando mi fermo al tavolo accanto al suo per servire la coppia anziana, la prima cosa che noto sono le dita. Sembrano tre volte piú grandi del normale: lunghe, spesse, dita di panna. Servo gli altri tavoli: un gruppo di quattro uomini d’affari molto esigenti, un altro tavolo da quattro con tre uomini e una donna, piú la coppia anziana. Leander ha già riempito d’acqua il bicchiere del signore grasso e io gli do tutto il tempo per decidere prima di andare da lui. Buonasera, gli faccio. Ha già scelto?, faccio. Guarda Rita, ti dico che era grosso, ma grosso sul serio. Buonasera, mi fa lui. Salve. Sí, dice. Penso proprio che siamo pronti a ordinare, mi fa. È il suo modo di parlare…strano, capisci? E ogni tanto fa una specie di sbuffo, appena appena. Credo che cominceremo con un’insalata Caesar, mi fa. E poi della zuppa con pane e burro a parte, se non le dispiace. Le costolette d’agnello, direi. E una patata al forno con panna acida. Per il dolce, vedremo dopo. Grazie tante, dice, e mi passa il menu. Dio mio, Rita, dovevi vederle quelle dita. Corro in cucina e passo l’ordinazione a Rudy che la prende facendo una smorfia. Lo sai com’è fatto Rudy, no? Che ci vuoi fare, quando lavora Rudy è fatto cosí. Mentre esco dalla cucina, Margo …te ne ho parlato di Margo, no? Quella che corre dietro a Rudy. Be’, comunque, Margo mi fa: Chi è il tuo amico grassone? È veramente ciccione, eh? –Ora sta’a sentire, perché secondo me c’entra. Altroché se c’entra. Dunque, gli preparo l’insalata Caesar lí al tavolo, con lui che osserva ogni mia mossa e nel frattempo s’imburra le fette di pane e le mette da parte, sempre con quel suo sbuffo. Ad ogni modo, non so se è perché sono cosí tesa, ma fatto sta che gli rovescio il bicchiere dell’acqua. Mi dispiace, gli dico. Succede sempre cosí quando si fanno le cose di fretta. Mi dispiace tanto, gli dico. Si è bagnato? Adesso chiamo il ragazzo e faccio pulire subito tutto. Non fa niente, dice lui. Tutto a posto, dice, e sbuffa. Non si preoccupi, non ci dà fastidio, mi fa. Poi sorride e mentre vado a chiamare Leander mi fa un cenno con la mano, e quando ritorno per servirgli l’insalata vedo che s’è già mangiato tutto il pane e burro. Poco dopo, quando gli porto dell’altro pane, ha fatto già fuori l’insalata. E lo sai no quanto sono grandi quelle Caesar. Lei è molto gentile, mi fa. Questo pane è fantastico, fa. Grazie, dico io. Be’, è davvero buono, mi fa, diciamo sul serio. Non ci capita spesso di gustare pane come questo, fa lui. Da dove viene?, gli chiedo allora. Non mi sembra di averla vista prima, gli faccio. –Non è certo il tipo che passa inosservato, –interviene Rita con una risatina. Denver, fa lui. Non aggiungo altro su questo, anche se curiosa lo sono. La zuppa arriva tra un attimo, signore, gli faccio, e scappo a dare gli ultimi ritocchi al gruppo dei quattro uomini d’affari molto esigenti. Quando gli servo la zuppa, vedo che il pane è sparito di nuovo. Anzi, se ne sta proprio mettendo in bocca l’ultimo pezzetto. Mi creda, dice. Non mangiamo mica sempre cosí, dice. E giú uno sbuffo. Ci scuserà, mi fa. S’immagini, non lo dica nemmeno, faccio io. A me piace vedere una persona che quando mangia se la gode, gli faccio. Non so, fa lui, dev’essere come dice lei. E giú uno sbuffo. Si sistema meglio il tovagliolo. Poi prende in mano il cucchiaio. Dio mio, quanto è grasso!, dice Leander. Non è mica colpa sua, faccio io, perciò piantala. Gli metto davanti un altro cestino del pane e altro burro. Com’era la zuppa?, gli chiedo. Grazie. Molto buona, fa lui. Davvero buona. Si asciuga le labbra con il tovagliolo e si tampona il mento. Le pare che faccia caldo qui o è una mia impressione?, mi dice. E io: No, fa proprio caldo. Allora forse ci toglieremo la giacca, fa lui. Si accomodi. Uno deve pur stare a suo agio, no?, gli dico. È vero, fa lui, è proprio vero, fa. Ma dopo un po’mi accorgo che non se l’è mica tolta, la giacca. I miei tavoli da quattro se ne sono andati ormai e anche la coppia anziana. Il locale si sta svuotando. Quando gli porto le costolette e la patata al forno, insieme ad altro pane e burro, lui è l’unico cliente rimasto. Gli metto un mucchio di panna acida sulla patata e poi la cospargo di pancetta ed erba cipollina. Gli porto altro pane e burro. È tutto di suo gradimento?, gli faccio. Buonissimo, fa lui, e giú uno sbuffo. Eccellente, grazie, fa lui, e giú un altro sbuffo. Si gusti la cena, gli dico. Sollevo il coperchio della zuccheriera sul suo tavolo e controllo il livello. Lui annuisce e continua a guardarmi finché non mi allontano. Allora mi rendo conto che stavo cercando qualcosa. Solo che non so cosa. Come va con quella palla di lardo? Ti farà correre stasera, vedrai, mi fa Harriet. Sai com’è fatta Harriet, no? Per dessert, faccio al signore grasso, c’è una specialità della casa, la Lanterna Verde, cioè semifreddo con sciroppo, oppure cheesecake o gelato alla crema o magari sorbetto all’ananas. Non è che le stiamo facendo fare tardi, eh?, fa lui, sbuffando con aria preoccupata. Niente affatto, dico io. Certo che no. Se la prenda comoda, gli faccio. Intanto che decide le porto altro caffè. Be’, saremo franchi con lei, fa lui. E si sposta un po’sulla sedia. Ci piacerebbe assaggiare la specialità, ma vorremmo anche una porzione di gelato alla crema. Con una goccia di cioccolato fuso, se non è di disturbo. L’avevamo avvertita che avevamo un certo appetito, mi fa. Vado in cucina a preparargli personalmente il dessert e Rudy mi fa: Harriet dice che là fuori hai una specie di uomo cannone del circo. È vero? Rudy s’è già tolto grembiule e cappello, se capisci cosa voglio dire. Senti, Rudy, per essere grasso è grasso, gli faccio, ma non è mica tutto lí. Rudy si limita a farsi una risatina. Mi pare di capire che questa qui ha un debole per gli uomini un po’in carne, dice poi. Ehi, Rudy, sta’attento, fa Joanne, che entra in cucina proprio in quel momento. È che mi sta facendo ingelosire, fa Rudy, rivolto a Joanne. Metto la specialità della casa davanti al signore grasso e, a fianco, una porzione abbondante di gelato alla crema con il cioccolato fuso. Grazie, fa lui. Non c’è di che, faccio io, ed è lí che provo come un senso di tenerezza. Ci creda o no, fa lui, non abbiamo mica mangiato sempre cosí. Io, invece, mangio mangio e non aumento mai di peso, faccio io. Eppure mi piacerebbe mettere su qualche chilo. No, fa lui. Se dipendesse da noi, a noi no. Ma non c’è scelta. Quindi prende il cucchiaio e comincia a mangiare. –E poi? –fa Rita, mentre si accende una delle mie sigarette e si avvicina con la sedia al tavolo. –Questa storia si sta facendo davvero interessante, –fa Rita. –Tutto qui. Non c’è altro. S’è mangiato i suoi dessert e se n’è andato. E allora io e Rudy siamo tornati a casa. Che ciccione!, dice Rudy, stirandosi come fa di solito quando è stanco. Poi si fa una risatina e se ne torna a guardare la televisione. Metto a bollire l’acqua per il tè e mi faccio una doccia. Mi passo una mano sulla pancia e mi chiedo che succederebbe se avessi dei figli e uno di loro finisse per essere come quello, grasso cosí. Verso l’acqua nella teiera, sistemo le tazze, la zuccheriera, il cartone di panna e latte intero e porto il vassoio di là da Rudy. Come se ci stesse ancora pensando, Rudy mi fa: Una volta conoscevo un tizio grasso, anzi due, due tizi, ma grassi sul serio, quando ero piccolo. Dio mio, se erano grossi, due palloni. Non mi ricordo neanche come si chiamavano. Ciccio era l’unico nome che aveva uno di quei ragazzini. Lo chiamavamo tutti Ciccio, quello che abitava vicino a me. Era del quartiere. L’altro è arrivato piú tardi. Si chiamava Bombolo. Cioè, lo chiamavano tutti Bombolo, tranne i professori a scuola. Ciccio e Bombolo. Quanto vorrei avere le loro foto, fa Rudy. Non mi viene niente da dire, perciò ci beviamo il tè e dopo un po’mi alzo per andare a letto. Anche Rudy si alza, spegne la televisione, chiude a chiave la porta d’ingresso e si comincia a sbottonare. M’infilo a letto e mi tiro tutta dalla mia parte, sdraiata sulla pancia. Ma appena spegne la luce e si mette a letto, ecco che Rudy comincia a darsi da fare. Mi volto sulla schiena e cerco di rilassarmi un po’, anche se non ne ho proprio voglia. Ma ecco il punto. Quando mi monta sopra, all’improvviso mi sento grassa. Sono tremendamente grassa, grassa al punto che Rudy diventa minuscolo e quasi non c’è piú. –Be’, è proprio una storia buffa, –mi fa Rita, ma mi rendo conto che non l’ha capita. La cosa mi deprime un po’. Ma non mi va di spiegargliela. Le ho già detto troppo. Lei rimane lí seduta, in attesa, si aggiusta i capelli con le dita tutte laccate. Ma che aspetta? Mi piacerebbe saperlo. Siamo ad agosto. La mia vita cambierà presto. Lo sento.