sabato 18 maggio 2019


SINDROME DI OTELLO
Jo Nesbø.
“Sete"
Einaudi

– La sindrome di Otello! – gridò Aune abbassando la voce non appena raggiunse il microfono. – «Sindrome di Otello» è un termine tecnico per quella che chiamiamo gelosia morbosa ed è il movente della maggior parte degli omicidi commessi nel nostro Paese. Proprio come lo è la gelosia nella tragedia di William Shakespeare, Otello appunto. Roderigo è innamorato di Desdemona, la novella sposa del generale Otello, mentre l’infido ufficiale Iago odia Otello perché è convinto di essere stato scavalcato quando il generale non lo ha nominato suo nuovo luogotenente. Iago intravede la possibilità di favorire la propria carriera distruggendo Otello, perciò aiuta Roderigo a dividere Otello dalla moglie. Lo scaltro Iago riesce nell’intento piantando un virus nella mente e nel cuore di Otello, un virus letale e resistente che si manifesta in diverse forme. La gelosia. Otello si ammala sempre di piú, la gelosia gli provoca attacchi epilettici che lo costringono a giacere sulla scena in preda alle convulsioni. Alla fine Otello uccide la moglie, e poi si toglie la vita –. Aune si tirò su le maniche della giacca di tweed. – Il motivo per cui vi ho raccontato tutta la trama non è perché Shakespeare fa parte del programma di studi della scuola di polizia, bensí perché anche voi avete bisogno di un po’ di cultura generale –. Risate. – Allora, che cos’è, signore e signori non gelosi, la sindrome di Otello?

    – Che ci fai qui? – bisbigliò Harry. Si era fermato in fondo all’aula accanto a Mikael Bellman. – Ti interessa la gelosia?

    – No, – rispose Bellman. – Voglio che indaghi sull’ultimo caso di omicidio.

    – Allora hai fatto il viaggio a vuoto, temo.

    – Voglio che tu faccia come hai già fatto in passato: coordinare un piccolo gruppo che indaghi parallelamente e indipendentemente dalla squadra grande.

    – Grazie, signor capo della polizia, ma la risposta è no.

    – Abbiamo bisogno di te, Harry.

    – Sí. Qua.

    Bellman fece una breve risata. – Non dubito che tu sia un bravo insegnante, ma non sei eccezionale. Ma si dà il caso che tu sia un investigatore eccezionale.

    – Ho chiuso con gli omicidi.

    Mikael Bellman scosse il capo con un sorriso. – Dài, su, Harry. Per quanto tempo pensi di poter startene nascosto qui fingendo di essere altro da quello che sei? Non sei un erbivoro come il tipo laggiú, Harry. Tu sei un predatore. Proprio come me.

    – Guarda che la risposta è no.

    – E, com’è risaputo, i predatori hanno denti aguzzi. Grazie a quelli si trovano in cima alla catena alimentare. Vedo che Oleg è seduto là davanti. Chi avrebbe mai pensato che si sarebbe iscritto alla scuola di polizia?

    Harry sentí i peli della nuca rizzarsi, metterlo sull’avviso. – Questa è la vita che voglio, Bellman. Non posso tornare indietro, la mia risposta è definitiva.

    – Soprattutto se pensi che un requisito imprescindibile per l’ammissione è una fedina penale pulita.

    Lui non rispose. Aune mieté altre risate e Bellman si uní con un borbottio. Posò una mano sulla spalla di Harry e si sporse verso di lui abbassando ancora di piú la voce: – Anche se ormai è passato qualche anno, ho delle conoscenze disposte a testimoniare di aver visto Oleg comprare eroina, all’epoca. Pena massima due anni. Probabilmente non dovrebbe scontare la pena, ma poliziotto non lo diventerebbe mai.

    Harry scosse il capo. – Perfino tu non lo faresti mai, Bellman.

    Bellman fece una breve risata. – Ah no? Forse è un po’ come sparare ai passeri con un cannone, ma in effetti per me è importante che questo caso venga risolto.

    – Se ti dico di no, non hai comunque niente da guadagnare distruggendo la mia famiglia.

    – Forse no, ma non dimentichiamo che io… come dire? Ti odio.

    Harry fissò le schiene che aveva davanti. – Tu non sei un uomo che si lascia guidare dai sentimenti, Bellman, perché non ne hai abbastanza. Che cosa risponderai quando salterà fuori che eri in possesso di questa informazione sullo studente della scuola di polizia Oleg Fauke da parecchio tempo e non sei intervenuto? È inutile bluffare quando l’avversario sa che le carte che hai in mano sono bruttissime, Bellman.

    – Se vuoi puntare il futuro del ragazzo sul fatto che bluffo, allora accomodati pure, Harry. Solo questo caso, e basta. Risolvilo per me, e il resto verrà sepolto. Hai tempo fino a oggi pomeriggio per darmi una risposta.

    – Una curiosità, Bellman. Perché proprio questo caso è cosí importante per te?

    L’altro si strinse nelle spalle. – Politica. I predatori hanno bisogno di carne. E ricordati che io sono una tigre, Harry. E tu solo un leone. La tigre pesa di piú, ma ha comunque piú cervello per chilogrammo. Ecco perché gli antichi romani sapevano che il leone avrebbe avuto la peggio quando lo mandavano a combattere contro una tigre nel Colosseo.

    Harry vide una testa girarsi nelle prime file. Era Oleg che gli sorrideva con il pollice alzato. Il ragazzo aveva quasi ventidue anni. Aveva preso la bocca e gli occhi dalla madre, ma il ciuffo nero liscio era di un padre russo che non ricordava piú. Harry alzò il pollice a sua volta e si sforzò di sorridere. Quando si voltò di nuovo, il posto occupato da Bellman era vuoto.

    – Sono soprattutto gli uomini a essere colpiti dalla sindrome di Otello, – tuonò la voce di Aune. – Mentre gli assassini maschi affetti dalla sindrome di Otello tendono a usare le mani, le Otello-femmine ricorrono ad armi contundenti o a coltelli.

    Harry ascoltò. Il ghiaccio sottile, sottile che copriva l’acqua nera sotto i suoi piedi.

    – Che faccia seria, – disse Aune quando dal bagno tornò nell’ufficio di Harry, bevette l’ultimo sorso di caffè e si mise il cappotto. – Ti è piaciuta la conferenza?

    – Sí, certo. C’era anche Bellman.

    – L’ho visto. Che cosa voleva?

    – Ha cercato di costringermi con le minacce a indagare sul nuovo caso di omicidio.

    – E tu cosa gli hai risposto?

    – No.

    Aune annuí. – Bene. Tanto contatto ravvicinato con la quintessenza della malvagità, come abbiamo avuto tu e io, divora l’anima. Forse gli altri non lo notano, ma ha già distrutto una parte di noi. Ed è arrivato il momento che i nostri cari ricevano quell’attenzione che finora hanno avuto i sociopatici. Il nostro turno di guardia è finito, Harry.

    – Stai dicendo che getti la spugna?

    – Sí.

    – Mhm. Capisco la tua osservazione generale, ma c’è anche un motivo piú specifico?

    Aune si strinse nelle spalle. – Solo che ho lavorato troppo e sono stato troppo poco a casa. E quando mi occupo di un omicidio non sono a casa neanche quando sono a casa. Ma non c’è bisogno che te lo dica io, Harry. E Aurora, sai… – Aune gonfiò le guance e poi buttò fuori l’aria. – Gli insegnanti dicono che ora va un po’ meglio. Capita che i ragazzini a quell’età si chiudano in sé stessi. E che facciano esperimenti. Se hanno una cicatrice sul polso non significa che pratichino sistematicamente l’autolesionismo, anzi, può essere una curiosità del tutto naturale. Ma un padre si preoccupa sempre, quando non riesce a entrare in confidenza con sua figlia. E forse è ancora piú frustrante se, per cosí dire, devi vestire i panni dello psicologo di punta.

    – Ha quindici anni adesso, vero?

    – E prima che ne compia sedici magari sarà tutto dimenticato. Fasi, fasi, ecco cosa è al centro di quell’età. Ma se bisogna prendersi cura dei propri cari, non puoi rimandare a dopo la conclusione dell’indagine, a dopo la giornata lavorativa, devi farlo subito. O no, Harry?

    Harry si tese il labbro superiore non rasato con il pollice e l’indice mentre annuiva adagio. – Mhm. Ovviamente.

    – Allora, io vado, – disse Aune, prese la borsa e tirò fuori un mucchio di fotografie. – A proposito, ecco le foto della scena del crimine che mi ha mandato Katrine. Come ti ho detto, non mi servono.

    – E io che me ne faccio? – chiese Harry. Guardò il cadavere di una donna su un letto insanguinato.

    – Potrebbero servirti per le tue lezioni, pensavo. Ti ho sentito nominare il caso Stella del diavolo, significa che usi casi reali e documentazioni reali.

    – Perché c’è il libretto delle soluzioni, – disse Harry cercando di staccare lo sguardo dalla foto della donna. Aveva un che di familiare. Una sorta di eco. L’aveva già vista? – Come si chiama la vittima?

    – Elise Hermansen.

    Il nome non gli disse niente. Harry guardò la foto successiva. – E le ferite che ha sul collo cosa sono?

    – Sul serio non hai letto niente sul caso? È su tutte le prime pagine, non mi stupisce che Bellman cerchi di ingaggiarti con la forza. Denti di ferro, Harry.

    – Denti di ferro? Un satanista, o cosa?

    – Se leggi «Vg», vedrai che fa riferimento al tweet del mio collega Hallstein Smith, secondo il quale è stato un vampirista.

    – Un vampirista? Cioè, un vampiro?

    – Magari, – rispose Aune prendendo dalla borsa una pagina strappata da «Vg». – Se non altro i vampiri hanno un fondamento nella zoologia e nelle opere di narrativa. Un vampirista, secondo Smith e pochi altri psicologi a livello mondiale, è qualcuno che prova piacere nel bere sangue. Leggi qui…

    Harry lesse il tweet che Aune gli teneva alzato davanti agli occhi. Il suo sguardo si soffermò sull’ultima frase. «Il vampirista colpirà ancora».

    – Mhm. Il fatto che siano in pochi non significa per forza che si sbaglino.

    – Sei pazzo? Io sono a favore dell’essere controcorrente, e le persone ambiziose come Smith mi piacciono. Purtroppo, durante gli studi, commise un grosso errore che gli valse il soprannome di Scimmia, e temo che per colpa di quell’episodio a tutt’oggi non goda di tanta fiducia tra i colleghi. In effetti era uno psicologo molto promettente finché non si è perso nel vampirismo. E i suoi articoli non erano affatto male, ma naturalmente nessuna rivista scientifica glieli ha pubblicati. Adesso, se non altro, è riuscito a farsi stampare qualcosa su «Vg».

    – E perché tu non credi ai vampiristi? – chiese Harry. – Tu stesso hai detto che se si riesce a immaginare una forma di devianza, in giro c’è qualcuno che ce l’ha.

    – Certo, tutto esiste. Oppure esisterà. La nostra sessualità si basa su ciò che siamo capaci di pensare e sentire. Quindi, praticamente non ha limiti. La dendrofilia è l’eccitazione sessuale provocata dagli alberi. La kakorrhaphiofilia significa che ti ecciti facendo fiasco. Ma per poter chiamare una cosa «filia» o «ismo», deve avere una certa diffusione e ci devono essere dei comuni denominatori. Smith e quelli che la pensano come lui, una manica di psicologi mitomani, si sono fabbricati il proprio «ismo». Si sbagliano, non esiste un gruppo di cosiddetti vampiristi che segua uno schema comportamentale prevedibile su cui loro o altri si possono pronunciare –. Aune si allacciò il cappotto e si diresse verso la porta. – Mentre il fatto che tu soffra di ansia da contatto fisico, e non riesca ad abbracciare il tuo migliore amico prima che vada via, ecco, qui abbiamo sostanza per una teoria psicologica. Saluti Rakel da parte mia e le dici che le auguro di liberarsi del suo mal di testa? Eh, Harry?

    – Come? Sí, certo. Saluti a casa. Spero che le cose si aggiustino con Aurora.

    Harry rimase seduto a fissare il vuoto dopo che Aune se ne fu andato. La sera prima era entrato in soggiorno mentre Rakel stava guardando un film. Aveva lanciato un’occhiata allo schermo chiedendole se era un film di James Gray. Le immagini erano neutre, mostravano una strada senza attori e senza automobili, né c’erano inquadrature particolari, due secondi di un film che Harry non aveva mai visto. Ossia, un’immagine non può mai essere completamente neutra, ma lui non aveva idea di cosa gli avesse fatto venire in mente proprio quel regista. A parte il fatto che qualche mese prima aveva visto un film di James Gray. Poteva essere tanto semplice, un collegamento automatico e banale. Un film che aveva visto, poi uno spezzone di due secondi contenente un paio di dettagli che gli erano mulinati in testa con una tale rapidità da impedirgli di individuare il motivo per cui lo aveva riconosciuto.

    Harry tirò fuori il cellulare.

    Esitò. Poi cercò il numero di Katrine Bratt. Vide che erano passati oltre sei mesi dall’ultimo contatto, un sms in cui lei gli faceva gli auguri di buon compleanno. Lui le aveva risposto «grazie». Senza maiuscola né punto. Sapeva che lei sapeva che non aveva scritto cosí perché non gli facesse piacere, solo che non gli piacevano i messaggini lunghi.

    Non ricevette risposta.

    Quando chiamò il suo interno alla sezione Crimini violenti, gli rispose Magnus Skarre. – Ehilà, Harry Hole in persona –. L’ironia era cosí greve che Harry non ebbe dubbi. Non aveva mai avuto molti fan, in quella sezione e Skarre non era fra questi. – No, non ho visto Bratt oggi. Il che è strano per una neoresponsabile delle indagini, visto che siamo sommersi di lavoro.

    – Mhm. Puoi dirle che ho…

    – È meglio che richiami, Hole, abbiamo abbastanza a cui pensare.

    Harry riagganciò. Tamburellò con le dita sul piano della scrivania e guardò il mucchio di posta in entrata da una parte. E la pila di foto dall’altra. Pensò all’analogia che Bellman aveva fatto coi predatori. Un leone? Sí, perché no? Aveva letto che i leoni se cacciano da soli hanno un indice di successo intorno al quindici per cento. E che quando uccidono prede di grandi dimensioni, non riuscendo a sgozzarle, le devono soffocare. Stringere le mascelle intorno al collo e comprimere la trachea. E può volerci parecchio tempo. Se l’animale è grosso, per esempio un bufalo d’acqua, capita che il leone debba starsene appeso a tormentarsi e a tormentare la vittima per ore e poi dover rinunciare comunque. Ecco, un’indagine era questo. Lavoro duro e nessuna ricompensa. Aveva promesso a Rakel che non ci sarebbe ricascato. Lo aveva promesso a sé stesso.

    Harry guardò di nuovo la pila di foto. Guardò quella di Elise Hermansen. Il suo nome gli si era impresso automaticamente. E anche i particolari della foto che la ritraeva distesa sul letto. Ma non erano tanto i particolari. Era l’insieme. Per inciso, quella sera Rakel stava guardando un film intitolato Chi è senza colpa. E il regista non era James Gray. Harry si era sbagliato. Quindici per cento. Eppure.

    Qualcosa nel modo in cui era distesa. In cui era stata sistemata. La disposizione. Sembrava l’eco di un sogno dimenticato. Un grido nel bosco. La voce di un uomo di cui Harry si sforzava di non ricordare il nome. L’uomo che l’aveva fatta franca.

    Gli venne in mente una cosa che aveva pensato una volta. Che quando scoppiava, quando stappava la bottiglia e beveva il primo sorso, al contrario di quanto credeva, non era vero che prendeva la decisione in quell’istante. L’aveva già presa molto tempo prima. E poi, aveva solo dovuto aspettare l’occasione giusta. Che sarebbe arrivata. Prima o poi si sarebbe trovato la bottiglia davanti. Che lo aspettava da tempo. E lui la bottiglia. Il resto era il contrario della carica, del magnetismo. L’ineluttabilità delle leggi fisiche.

    Cazzo, cazzo.

    Harry si alzò di colpo, prese il giubbotto di pelle e uscí di corsa.

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“– Sí e no, – rispose Oleg. – L’espressione «sindrome di Otello» lascia intendere che la gelosia sia la causa dell’omicidio nella tragedia, ma non è vero. Helga e io abbiamo letto l’Otello ieri…
– L’avete letto insieme? – Rakel posò una mano sul braccio di Harry. – Non sono teneri?
Oleg alzò gli occhi al cielo. – Comunque, la mia interpretazione è che la causa vera, piú profonda di tutti gli omicidi, non sia la gelosia, ma l’invidia e le aspirazioni di un uomo offeso. Ossia Iago. Otello non è che un burattino. La tragedia si dovrebbe intitolare Iago, non Otello.
– E tu, Helga, sei d’accordo con lui? – A Rakel quella ragazza carina, un po’ anemica e educata piaceva, e sembrava essersi ripresa in fretta.
– A me il titolo Otello piace. E forse non c’è una causa profonda. Forse è vero quello che dice Otello stesso. Che la colpa è della luna piena, che fa impazzire gli uomini.
– «Non c’è una ragione, – disse Harry in inglese, con voce solenne e una pronuncia impeccabile. – Io faccio tante di quelle cose senza una ragione».
– Tu mi stupisci, Harry, – disse Rakel. – Citi addirittura Shakespeare.
– Walter Hill, – disse lui. – I guerrieri della notte, 1979.
– Yeah, – rise Oleg. – Il miglior film sulle gangs di sempre."
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