Luigi Giliberti
Dietro le bandiere e le lacrime, un’economia criminale da miliardi di dollari. Gaza non era sotto assedio: era un’azienda di menzogne.
Per mesi, il mondo ha recitato la stessa parte. C’era il buono e c’era il cattivo, il “popolo oppresso” e l’“occupante”. Bastava accendere un telegiornale per capire chi fosse chi: i palestinesi martiri, Israele carnefice. Nessuno che mettesse in dubbio la sceneggiatura. Nessuno che osasse riscrivere una riga del copione.
Poi arrivarono le accuse di “genocidio”, le risoluzioni ONU, i rapporti costruiti su dati forniti dal Ministero della Sanità di Gaza - lo stesso che risponde a Hamas. Le foto di bambini malnutriti, prese in un ospedale, diventavano “prove di carestia”. Le ONG parlavano di fame, ma nei video si vedevano magazzini pieni di aiuti saccheggiati e rivenduti al mercato nero.
La fame, a Gaza, era diventata un business. E la verità, un optional.
Intanto, le stesse mani che curavano feriti di giorno imbracciavano un Kalashnikov di notte. I giornalisti che denunciavano le “atrocità israeliane” erano spesso gli stessi che partecipavano ai rapimenti o ai linciaggi. Gli ospedali? Non erano più ospedali. Erano basi militari, centri di comando, depositi di armi.
Sotto le scuole correvano 500 chilometri di tunnel, chilometri di cemento, ferro e menzogna. Ma il mondo continuava a guardare in superficie, perché sotto terra c’era la verità - e la verità faceva paura.
Perfino l’UNRWA, l’agenzia “umanitaria” delle Nazioni Unite, era diventata un pezzo della macchina. Trentamila dipendenti, stipendi pagati con fondi occidentali, e un esercito di “operatori” che tra un turno e l’altro passavano informazioni, nascondevano armi, partecipavano alle stragi.
Eppure nessuno toccava l’argomento. Perché dire che l’ONU aveva finanziato - anche indirettamente - il terrorismo avrebbe fatto crollare il castello della “solidarietà internazionale”.
Nel frattempo, Al Jazeera, megafono del Qatar, raccontava Gaza come un inferno “causato da Israele”. Il Qatar, lo stesso Paese che versava milioni a Hamas, gestiva la narrazione e il flusso di denaro. E qui la domanda inevitabile: che fine ha fatto il fiume di soldi arrivato a Gaza negli ultimi vent’anni?
Decine e decine di miliardi di dollari provenienti da Europa, ONU, Stati Uniti, ONG e monarchie del Golfo: dove sono finiti? Non certo in scuole, ospedali o infrastrutture civili. Sono spariti nei tunnel, nei razzi, nei conti offshore dei capi di Hamas. Gaza non era povera: era rapinata dall’interno.
E così, tra pianti selettivi e indignazioni pilotate, si è perso il senso del reale.
Perché da settant’anni i palestinesi non andavano d’accordo con nessuno: né con Israele, né con Egitto, Giordania, Siria o Libano. Non era questione di confini, ma di potere, clan, ideologia. Eppure la stampa occidentale continuava a ripetere il mantra: “Israele è colpevole”.
La verità, oggi, è che non servivano risoluzioni ONU o rapporti di comodo per capire. Bastava guardare le mani di chi parlava di pace: sporche di sangue e di dollari.
Eppure, anche di fronte all’evidenza, molti hanno preferito la fiaba. Perché la fiaba consola, la verità divide.
Non c’era “resistenza”.
C’era un culto della morte finanziato a colpi di miliardi.
E un’Europa pavida che, pur di sentirsi buona, ha scelto di essere complice.