martedì 6 ottobre 2015




ALTERIAMO L'AMORE CON LA MEMORIA

Come dice Marcel Proust (Dalla parte di Swann): "A quell'epoca della vita l'amore ci ha già colpiti parecchie volte; la sua evoluzione non segue più soltanto le proprie leggi ignote e fatali davanti al nostro cuore stupefatto e passivo. Noi gli andiamo in aiuto, lo alteriamo con la memoria, con la suggestione. Riconoscendo uno dei suoi sintomi ricordiamo, facciamo rinascere gli altri. Dal momento che la sua canzone, incisa per intero dentro di noi, ci è familiare, non occorre che una donna ce ne suggerisca l'attacco - pieno dell'ammirazione suscitata dalla bellezza - per recuperarne il seguito. E se comincia a metà [la canzone] - là dove i cuori si avvicinano, dove si parla di non vivere più che l'uno per l'altra - siamo abbastanza esperti di questa musica per poter subito raggiungere la nostra partner al punto esatto in cui ci aspetta."




COLLINE COME ELEFANTI BIANCHI 

Ho riletto  "Colline come elefanti bianchi " di Ernest Hemingway. 
Questo racconto di Hemingway credo porti innanzitutto  a riflettere sul valore della libertà e a chiederci se sia il valore più importante. Spesso intendiamo liberta' come "io voglio vivere nella leggerezza, nella irresponsabilita' della ricerca della mie voglie"  dei diritti per fare cio' che mi pare. In questo caso parliamo di sopprimere la vita, perche' poi facciamo la vita di prima, perche' questa creatura e' concepita per leggerezza in un rapporto che vale poco. Poi c'e' il ruolo dell'uomo, orrendo, "dai cara che e' facile, che poi starai bene" . Ma anche ci costringe a guardare in generale dentro alle piccole e grandi scelte che abbiamo fatto  in passato, a come abbiamo dato priorita' a cio' che in quel momento ci sembrava piu' importante, non valutando abbastanza alle conseguenze non solo per noi stessi, ma per gli altri. 
[Lei «E potremmo avere tutto questo» disse la ragazza. «E potremmo avere tutto e ogni
giorno lo rendiamo più impossibile.
Lui «Che hai detto?»
Lei «Ho detto che potremmo avere tutto.»
Lui «Possiamo avere tutto.»
Lei «No che non possiamo.»
Lui «Possiamo avere il mondo intero.»
Lei «No che non possiamo.»
Lui «Possiamo andare dappertutto.»
Lei «No che non possiamo. Non è più nostro.»
Lui « È nostro.»
Lei «No, non lo è. E quando te l'hanno portato via, non riesci a riaverlo mai più.»
Lui «Ma non ce l'hanno portato via.»
Lei «Aspettiamo e vedremo.»]

[Le colline che attraversano la valle dell'Ebro erano lunghe e bianche. Di qua non c'era ombra né alberi, e la stazione era tra due file di binari sotto il sole. Contro il fianco della stazione c'era l'ombra calda dell'edificio e una tenda, fatta di filze di tubetti di bambù, appesa davanti alla porta aperta del bar, per tener fuori le mosche. L'americano e la ragazza che era con lui sedevano a un tavolo all'ombra, fuori dall'edificio. Faceva molto caldo e il direttissimo da Barcellona doveva arrivare di lì a quaranta minuti. Si fermava due minuti in quella stazione e proseguiva per Madrid.
«Cosa prendiamo?» chiese la ragazza. Si era tolta il cappello e lo aveva messo sul tavolo.
«Fa piuttosto caldo» disse l'uomo.
«Beviamo una birra.»
«Dos cervezas» disse l'uomo verso la tenda.
«Grandi?» chiese una donna dalla soglia.
«Sì. Due grandi.»
La donna portò due bicchieri di birra e due sottocoppe di feltro. Mise sul tavolo le sottocoppe di feltro e i bicchieri di birra e guardò l'uomo e la ragazza. La ragazza stava guardando verso la fila lontana di colline. Sotto il sole erano bianche, e i campi erano bruni e riarsi.
«Sembrano elefanti bianchi» disse.
«Non ne ho mai visto uno» disse l'uomo bevendo la sua birra.
«No, non potresti averlo fatto.»
«Potrei sì» disse l'uomo. «Il semplice fatto che tu lo dica non prova nulla.»
La ragazza guardò la tenda di bambù. «Ci hanno dipinto qualcosa sopra» disse,
«Cosa dice?»
«Anis del Toro. È una bibita.»
«Perché non l'assaggiamo?»
L'uomo gridò: «Senta» attraverso la tenda. La donna uscì dal bar.
«Quattro reales.»
«Vogliamo due Anis del Toro.»
«Con acqua?»
«Lo vuoi con l'acqua?»
«Non so» disse la ragazza. «È buono con l'acqua?»
«Buonissimo.»
«Li volete con l'acqua?» chiese la donna.
«Sì, con l'acqua.»
«Sa di liquirizia» disse la ragazza, e depose il bicchiere.
«È così per tutto.»
«Sì» disse la ragazza. «Tutto sa di liquirizia. Tutte le cose, in particolare, che si sono aspettate tanto. Come l'assenzio.»
«Oh, smettila.»
«Hai cominciato tu» disse la ragazza, «lo mi divertivo. Me la spassavo.»
«Be', cerchiamo di spassarcela.»
«Ci stavo provando. Dicevo che i monti sembravano elefanti bianchi. Non è stata un'osservazione intelligente?»
«È stata un'osservazione intelligente.»
«Volevo assaggiare questa nuova bibita. È tutto quello che facciamo, no? Guardare cose e assaggiare nuove bibite.»
«Credo di sì.»
La ragazza guardò le colline.
«Sono belle» disse. «Veramente non sembrano elefanti bianchi. Alludevo solo al colore della pelle tra gli alberi.»
«Un altro bicchiere?»
«D'accordo.»
Il vento caldo spinse contro il tavolo la tenda di bambù.
«La birra è bella fresca» disse l'uomo.
«Deliziosa» disse la ragazza.
«È davvero un'operazione semplicissima, Jig» disse l'uomo. «Veramente non la si può neanche chiamare un'operazione.»
La ragazza guardò il terreno sul quale poggiavano le gambe del tavolo.
«So che non ci faresti neanche caso, Jig. È una cosa da nulla, veramente. Serve solo a far passare l'aria.»
La ragazza non disse niente.
«Verrò con te e starò sempre con te. Fanno solo entrare l'aria e poi è tutto
perfettamente naturale.»
«E cosa faremo, dopo?»
«Staremo benissimo, dopo. Come stavamo prima.»
«Cosa te lo fa credere?»
«È l'unica cosa che ci preoccupa. È l'unica cosa che ci ha reso infelici.»
La ragazza guardò la tenda di bambù, tese la mano e s'impadronì di due filze di tubetti.
«E tu pensi che dopo staremo bene e saremo felici?»
«Lo so. Non devi aver paura. Conosco un sacco di gente che l'ha fatto.»
«Anch'io» disse la ragazza. «E dopo erano tutte così felici!»
«Be'» disse l'uomo «se non vuoi, nessuno ti obbliga. Non vorrei che lo facessi, se non vuoi. Ma so che è semplicissimo.»
«E tu lo vuoi davvero?»
«Credo che sia la cosa migliore. Ma non voglio che tu lo faccia, se davvero non vuoi.»
«E se lo faccio tu sarai felice e le cose torneranno come prima e tu mi vorrai bene?»
«Ti voglio bene anche adesso. Lo sai che ti voglio bene.»
«Lo so. Ma se lo faccio, poi sarà di nuovo bello se dico che le cose sono come elefanti bianchi, e ti farà piacere?»
«Mi farà molto piacere. Anche adesso mi fa piacere, ma non riesco a pensarci, tutto qui. Sai come divento quando sono preoccupato.»
«Se lo faccio, non sarai più preoccupato?»
«Non sarò preoccupato per questo perché è una cosa semplicissima.»
«Allora lo farò. Perché di me non m'importa nulla.»
«Come sarebbe?»
«Di me non m'importa nulla.»
«Be', importa a me.»
«Oh, sì. Ma a me no. E lo farò e poi tutto andrà bene.»
«Non voglio che tu lo faccia se la pensi così.»
La ragazza si alzò in piedi e camminò fino in fondo alla stazione. Dall'altra parte, di là dai binari, c'erano dei campi di grano e degli alberi sulle rive dell'Ebro. Lontano, oltre il fiume, c'erano delle montagne. L'ombra di una nuvola passava sul campo di grano e tra gli alberi si vedeva il fiume.
«E potremmo avere tutto questo» disse la ragazza. «E potremmo avere tutto e ogni giorno lo rendiamo più impossibile.»
«Che hai detto?»
«Ho detto che potremmo avere tutto.»
«Possiamo avere tutto.»
«No che non possiamo.»
«Possiamo avere il mondo intero.»
«No che non possiamo.»
«Possiamo andare dappertutto.»
«No che non possiamo. Non è più nostro.»
« È nostro.»
«No, non lo è. E quando te l'hanno portato via, non riesci a riaverlo mai più.»
«Ma non ce l'hanno portato via.»
«Aspettiamo e vedremo.»
«Vieni all'ombra» disse lui. «Non devi sentirti così.»
«Non mi sento in nessun modo» disse la ragazza. «So come stanno le cose, tutto qui.»
«Non voglio che tu faccia nulla che tu non voglia fare...»
«E che non mi faccia bene» disse lei. «Lo so. Non potremmo ordinare un'altra birra?»
«Certo. Ma tu devi capire...»
«Capisco. Non potremmo stare zitti per un po'?»
Si sedettero al tavolo e la ragazza guardò verso la collina dalla parte riarsa della valle e l'uomo guardava lei e il tavolo.
«Devi capire» disse «che non voglio che tu lo faccia, se non vuoi. Sono prontissimo ad andare fino in fondo, se per te significa qualcosa.»
«E per te significa qualcosa? Ce la potremmo cavare.»
«Certo che significa qualcosa. Ma io voglio solo te. Non voglio nessun altro. E so che è una cosa semplicissima.»
«Sì, tu sai che è semplicissima.»
«Hai ragione di parlare così, ma lo so.»
«Adesso faresti qualcosa per me?»
«Per te farei qualunque cosa.»
«Vorresti per piacere per piacere per piacere per piacere per piacere per piacere per piacere smettere di parlare?»
Lui non disse nulla ma guardò le valigie contro il muro della stazione. C'erano attaccate le etichette di tutti gli alberghi dove avevano passato la notte.
«Ma io non voglio che tu lo faccia» disse «non me ne importa niente.»
«Adesso grido» disse la ragazza.
La donna uscì dal bar con due bicchieri di birra e li depose sui sottocoppa di feltro umido. «Il treno arriva fra cinque minuti» disse.
«Cos'ha detto?» chiese la ragazza.
«Che il treno arriva fra cinque minuti.»
La ragazza rivolse alla donna un sorriso raggiante, per ringraziarla.
«Sarà meglio che io porti le valigie dall'altra parte della stazione» disse l'uomo. La ragazza sorrise anche a lui.
«D'accordo. Poi torna qui e finiamo la birra.»
Lui raccolse le due pesanti borse e girando intorno alla stazione le portò sugli altri binari.
Guardò in fondo ai binari ma non riuscì a scorgere il treno. Tornando indietro passò attraverso il bar, dove stavano bevendo i passeggeri in attesa del treno. Bevve un Anis al bar e guardò i passeggeri. Aspettavano tranquillamente il treno. L'uomo uscì attraverso la tenda di bambù. La ragazza era seduta al tavolo e gli sorrise.
«Ti senti meglio?» domandò lui.
«Mi sento bene» disse lei. «Non ho niente. Mi sento bene.»]





P B 



NOI VIVIAMO DI EMOZIONI

Noi viviamo di emozioni, senza di esse la nostra esistenza non avrebbe senso. Noi vogliamo le passioni, l'amore, per dare un senso alla nostra esistenza. Senza aver osato, senza aver vissuto con un pizzico di follia, non c'è vita. Non sono le grandi cose, ma le piccole scosse che fanno la differenza.


LEVIN NON HA CONVINZIONI

Levin, più di ogni altro personaggio, è uno strumento che Tolstoj utilizza per sollevare una serie di argomentazioni circa le idee che circolano nella politica russa nel 1870. Dopo tutto, la Russia nella seconda metà del 19 ° secolo è un paese in una fase di cambiamento caotico. Ora come allora c'era una differenza enorme tra ricchi e poveri. Nel 1861 era stata abolita la servitu' della gleba...cosi' lo zar favoriva la nascita del proletariato per i bisogni della nascente industria. Ma Tolstoj non è un rivoluzionario. Lui è d'accordo che  i servi siano  liberati, certo, ma tutto questo movimento per le città (di nobili e contadini), sembra a lui che portino all'ozio, al gioco d'azzardo, e alla vita "peccaminosa". Certo, non é un "rivoluzionario", infatti fa dire a Levin  che é e rimarrà un aristocratico fiero della sua origine, ma è innegabile che vi sia una volontà di miglioramento delle condizioni dei contadini, che dimostra una certa apertura verso idealità che potremmo definire, passami il termie, "socialisteggianti".
Levin si chiede perché ci si dovrebbe preoccupare di costruire scuole a cui i contadini non vogliono  andare o migliorare le strade nessuno vorra' percorrere. Levin non vede il punto di "fare del bene", solo per il gusto di una "causa comune".
Levin é figlio del suo tempo...ma non si può certo dire che sia un "padrone" ottuso e cattivo
Levin vuole rimanere sulla sua terra e migliorare le condizioni. Vuole lavorare con persone che conosce per migliorare la loro vita su base individuale.
No certo! Non e' ottuso e cattivo. Ma non vuole seguire le idee della "modernita'"
Non e' per le idee socialiste che incominciano a scuotere le coscienze...
Come fa rimarcare Isaiah Berlin [citando Il critico russo Boris Eykhenbaum nel saggio THE HEDGEHOG AND THE FOX, su Tolstoy] , il fratello, nella discussione sul comunismo, dice a Levin che non ha convinzioni...Pag 301 “— Là — diceva Nikolaj con gli occhi scintillanti di cattiveria e sorridendo ironicamente — là almeno vi è il fascino, per così dire, geometrico della chiarezza, della certezza. Può darsi che sia un’utopia. Ma ammettiamo che di tutto il passato si possa fare tabula rasa: non c’è proprietà, non c’è famiglia, e allora anche il lavoro si organizza. Ma da te non c’è nulla....” .... “— Tu non avevi e non hai convinzioni, ma vuoi solo soddisfare il tuo amor proprio.”
Dice Berlin "The Russian critic, Boris Eykhenbaum, who has written the best critical work on Tolstoy in any language,' in the course of it develops the thesis that what oppressed Tolstoy most was his lack of positive convictions: and that the famous passage in Anna Karenina in which Levin's brother tells him that he - Levin- had no positive beliefs, that even communism, with its artificial, 'geometrical', symmetry, is better than total scepticism of his-Levin's-kind, in fact refers to Lev Nikolaevich himself, and to the attacks on him by his brother Nikolai Nikolaevich. "