giovedì 27 agosto 2015

Le picconate delle statue  dell’Isis come quelle di Maometto con gli idoli alla Mecca

La distruzione del tempio a Palmira si inserisce in una lunga tradizione di attacchi contro l’arte pre-islamica (e, in misura minore, cristiana e musulmana) da parte dell’Isis. Mi chiedo se gli episodi di Palmira, Mosul e Nimrod siano da liquidare come semplici «atti di barbarie», come gesto che dimostrerebbe come lo Stato Islamico detesti l’umanità, e sia nemico di tutto ciò che è bello. Mi chiedo però se questa interpretazione non nasca dalla reticenza a considerare la vera natura ed origine di questi gesti. Cerchiamo di non vedere cioè la solida  base teologica che rappresenta  uno dei punti di forza del gruppo jihadista, e di ignorare che proprio questa potrebbe essere una delle ragioni per cui continua ad attirare volontari da tutto il mondo islamico e non solo.  Con quelle picconate i terroristi dell’Isis vogliono ripercorrere le orme di Maometto, quando il profeta distrusse gli idoli alla Mecca. Con la dichiarazione della nascita del “Califfato”,  si intendeva annunciare la creazione di un equivalente contemporaneo del regno dei cosiddetti “Califfi ben guidati”, i quattro successori di Maometto che guidarono la comunità musulmana tra il 632 e 661.Come possiamo sconfiggere l’Isis senza avere il coraggio di comprendere tutto questo? 

lunedì 17 agosto 2015



Vogliamo parlare del disastro di Obama in Libia? 

Vi faccio vedere io come si fa in Libia, altro che i disastri di Bush in Afganistan e Iraq, diceva Obama. Il Washington Post del 5 agosto ha pubblicato una ricostruzione del fallimento dei piani di Obama  in Libia dopo la morte di Gheddafi (2011).  La giornalista Missy Ryan ricorda che il presidente Barack Obama aveva scelto proprio la Libia come una “priorità personale” per mostrare la capacità (sua e) dell’America di ricostruire un paese dopo un intervento militare – e quindi per marcare la differenza con le due guerre volute dal predecessore George W. Bush in Iraq e in Afghanistan. La Libia doveva essere un caso modello: prima intervento militare leggero, soltanto con aerei e logistica (il cosiddetto “leading from behind”), poi stabilizzazione del paese, a partire dall’economia e dalla politica. Purtroppo su Obama incombe una grande maledizione. Vediamo il fallimento dei tentativi di Obama di creare alleati locali, di crearsi amici nei paesi arabi. Nascono accordi  storti che finiscono male. Tutto finisce in delusione reciproca combinata con irrilevanza e disastro finale. 

venerdì 14 agosto 2015




MA QUANTI GIOVANI HOLDEN, SIGNORA MIA...
Ma quanti Giovani Holden nelle chiacchere di ogni giorno!!!!!. Mi chiedo come un libro del 1951 possa essere così attuale. Quanti Holden ci sono che hanno una parola per criticare tutto, ai quali  fanno schifo un sacco di cose, per i quali un sacco di persone sono sbagliate. Quanti Holden ci sono che hanno la dote speciale che permette loro di vedere  (nessuno può farlo meglio di loro) ciò che sta dietro l’apparenza e ciò che sta dietro quello che sta dietro l’apparenza. Quanti si sentono di aver il punto di vista inattaccabile del giovane Holden: quello di avere sempre e comunque ragione?. La parola "phony" ricorre nel testo in  inglese decine di volte: "phony" come falso, posticcio, menzognero, per tutto quello che nel mondo Holden vede negativamente.  È così che il giovane Holden nasconde la propria incapacità psicologica di crescere mascherandola con la barriera protettiva della presunzione morale: il vuoto di valore che egli vede tutto intorno non è altro che lo specchio della sua contorta condizione interiore. Il distacco, il disprezzo e  il cinismo verso il mondo degli adulti, diventa un modo di negare una corresponsabilità che nei fatti non può che esserci. L'ipocrisia (phoniness) che Holden denuncia negli altri è quella stessa che si porta dentro.

giovedì 13 agosto 2015


  • Secondo il ricercatore, molti palestinesi catturati dalle milizie sciite in Iraq sono stati brutalmente torturati e costretti a "confessare" il loro presunto coinvolgimento nel terrorismo. Dal 2003, il numero dei palestinesi lì presenti è sceso da 25.000 a 6.000.
  • La cosa più interessante è la totale indifferenza mostrata dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani, dai media e dall'Autorità palestinese (Ap) verso il maltrattamento dei palestinesi nei paesi arabi. I giornalisti internazionali non si preoccupano dei palestinesi del mondo arabo perché non si può incolpare Israele della loro condizione.
  • Le Nazioni Unite e altri organismi internazionali ovviamente non sentono parlare della pulizia etnica dei palestinesi nel mondo arabo. Essi sono talmente ossessionati da Israele che preferiscono ignorare le sofferenze dei palestinesi sotto i regimi arabi.
  • I dirigenti dell'Ap vogliono denunciare alla Corte penale internazionale "i crimini di guerra" commessi da Israele. Tuttavia, quando si tratta di pulizia etnica e delle torture cui sono sottoposti i palestinesi in paesi come l'Iraq, la Siria e il Libano, essi preferiscono fare finta di niente.
  • La notizia che un arabo viene ucciso o torturato non merita alcuna menzione in un importante quotidiano occidentale. Ma quando un palestinese si lamenta delle autorità israeliane o dei coloni ebraici, molti giornalisti si precipitano a coprire questo sviluppo "di rilievo".
  • Non solo i paesi arabi disprezzano i palestinesi, ma vogliono anche che essi siano un problema esclusivamente di Israele. Dal 1948, i governi arabi si rifiutano di permettere ai palestinesi di risiedere in modo permanente nei loro paesi e diventare cittadini con pari diritti. Ora, questi paesi arabi li uccidono, li torturano e li sottopongono a pulizia etnica, e fanno questo mentre i leader di tutto il mondo continuano a nascondere la testa sotto la sabbia e a stigmatizzare Israele.

http://it.gatestoneinstitute.org/6336/pulizia-etnica-palestinesi

mercoledì 12 agosto 2015



IL PAPA E GLI IMMIGRATI
Per Papa Francesco respingere in mare gli immigrati è un atto di guerra. Lo ha affermato il 7 agosto  nel dialogo a braccio con i ragazzi del Movimento Eucaristico Giovanile, prendendo spunto dal dramma che si sta consumando in Asia dove i «boat people» in fuga dal Myanmar sono respinti nell’Oceano.Mi domando quale sia il senso che debba essere attribuito a questo duro pronunciamento del Papa? Mi chiedo cosa significhi dire che ”i respingimenti sono veri e propri atti di guerra”? il Papa ci sta chiedendo di aprire le nostre case e lasciarci investire da tutte queste masse disperate?. Ciò che mi sembra di capire è che Papa Francesco faccia innanzitutto un collegamento fra flussi migratori e il tema antropologico della conflittualità, intesa come situazione di tensione ricorrente a cui dobbiamo necessariamente far fronte. Ma una interpretazione buonista delle sue parole mi sembra fuorviante.  Non credo che il Papa sostenga uno spirito di accoglienza irresponsabile. Il richiamo mi sembra sia duplice: il primo si riferisce al concetto che un uomo dotato di buon senso non può pensare che sia meglio stare in guerra piuttosto che in pace con gli altri; il secondo è che tale punto di arrivo non possa essere raggiunto senza lottare, senza battersi e senza impegnarsi direttamente. Per questo interpreto il discorso del Papa ben diverso dal buonismo pacifista che nasconde falsità e sbocchi ben più disastrosi.  La strada indicata credo sia quella di non rassegnarsi al male e di non  fermarsi a soluzioni apparentemente più  comode, in quanto è il conflitto che  costituisce l’essenza  del percorso di tutti noi, incluso quello  dell'accoglienza e della  ricerca della convivenza con i diversi. Purchè, io credo, non ci nascondiamo che  tutto questo assume  caratteristiche problematiche e conflittuali molto difficili da gestire.