sabato 18 aprile 2015



CRISI DELLA DEMOCRAZIA O CRISI DELLA SINISTRA?
Si grida al golpe, si chiede alla gente di scendere in piazza, ad ogni decisione del Parlamento. Così è stato per il Jobs Act, e ora per le riforma elettorale, e per le altre riforme costituzionali.  All'interno del Pd "la minoranza" si agita scompostamente.  Minoranza surreale che chiede il listino bloccato al posto dei capilista bloccati e qualche preferenza in più nella legge elettorale??? Ma non sono gli stessi - quelli che oggi chiedono più preferenze e che si ribellano a una legge elettorale con il premio di lista - che anni fa gridavano allo scandalo delle preferenze (da Bersani a D’Alema) e sparavano contro il premio alla coalizione e firmavano nel 2007, (Bindi e Letta compresi) il referendum presentato da Guzzetta e da Segni per eliminare dalla legge elettorale il premio di coalizione. Ma non è che con questo "suicidio parlamentare" la sinistra del Pd si muova per il bisogno disperato di mettere in scena un rituale solo per dire che non è sparita nella assoluta inconsistenza? 
Ma questa scena è solo il sintomo di un male profondo che nasce dalla fondazione del PD. Nuovo Partito che non ha saputo e voluto fare una scelta chiara di identità, liberandosi del passato, puntando alla socialdemocratizzazione della Sinistra italiana, decidendo cioè per la occidentalizzazione della sua cultura e prassi politica, non rinviando l'entrata nel circuito del socialismo europeo. L' idea di rifondare la Sinistra dopo l’89 partendo dalla  esaltazione della propria “diversità”,  ponendo la  “questione morale” come criterio di discriminazione politica, senza voler affrontare criticamente la propria storia "comunista" ha bruciato sistematicamente tutte le ipotesi rifondative.  Oggi nella sinistra c'è di tutto, e tutto è spezzettato, frammentato, senza nessuna idea di ricomposizione: dalla Sinistra “liberal” a quella antagonista, dalla indignazione grillista al banchiere e tecnocrate “democratico”, dal cattolico integralista al laico puro, dal “democrat” neo-kennediano al socialista europeo. Per venti anni l'unica composizione è stata intorno all'antiberlusconismo. Il Pd paga oggi per  le scelte identitarie mai fatte, per le  visioni deboli e distorte da una interpretazione passatista circa il governo della globalità, per l'indebolimento della presenza nei territori a vantaggio delle burocrazie, che si rivelano, come tutte le burocrazie (alla faccia della diversità), spesso corrotte. Il Pd non può reggere se non  spiega  una volta per tutte chi si propone di  rappresentare, con quali obiettivi e come vuole raggiungerli, per dire quale soggetto voglia essere. Manca il "chi è". La "sinistra" dei Fassina, Cuperlo, Civati, Etc. niente dice di questo. Allora si trastulla col tattiticismo antirenziano della preferenza in più. Per non dire del circo di cui questi sono succubi formato da magistrati in cerca di notorietà, giornalisti di parte, conduttori di talk show, attori e cantanti adorati come feticci, senza vedere che questi sono sempre pronti a voltare le spalle in favore della notorietà (e soldi) che porta loro ogni entrata in scena di un nuovo paladino di "morale e giustizia".

domenica 5 aprile 2015



KAFKA: ESPRIMERE L'INESPRIMIBILE 

Cio' che mi attrae, e attrae credo in generale il lettore, sono le molteplici suggestioni generate dalle ricchezza di allusioni che inducono alla riflessione su ciò che prima non ci sembrava esprimibile, e che Kafka fa diventare esprimibile. Kafka ci porta a ragionare sul mondo reale. Difficile inquadrare Kafka in categorie di scuola filosofica. Sia i racconti che gli aforismi suggeriscono " noi parliamo dei tuoi problemi" senza definire di quali problemi si tratti. I pensieri di Kafka non sono espressi in forma filosofica ma in forma narrativa e figurativa mediante racconti e parabole. Il suo e' un linguaggio quotidiano, parla di persone , e si esprime in metafore attraverso le quali possiamo interrogarci sui nostri dubbi, le nostre paure, il significato della nostra vita. La similitudine che mi viene in mente e' quella delle Sacre Scritture. E' nella ricostruzione del significato del racconto, della parabola, dell'aforisma che possiamo risalire a un concetto filosofico. I testi di Kafka diventano messa in scena narrativa di un concetto, su cui possiamo riflettere. I suoi racconti generano domande non risposte. "Prima non capivo perché la mia domanda non ottenesse risposta, oggi non capisco come potessi credere di poter domandare. Ma io non credevo affatto, domandavo soltanto." Franz Kafka, Aforismi di Zürau, Adelphi, 2006. (n°36 pag. 50) . Quali domande sulla liberta' di scelta, sulla illusorieta' di certe scelte di vita, sulla mancata chiarezza nelle decisioni, etc. vengono stimolate leggendo la Piccola Fiaba di Kafka, che tutti ricordiamo?
< - Ahimè - disse il topo - il mondo si rimpicciolisce ogni giorno di più. All'inizio era così grande da farmi paura, mi sono messo a correre e correre, e che gioia ho provato quando finalmente ho visto in lontananza le pareti a destra e sinistra! Ma queste lunghe pareti si restringono così alla svelta che ho già raggiunto l'ultima stanza, e lì nell'angolo c'è la trappola cui sono destinato.
- Non devi fare altro che cambiare direzione, - disse il gatto, e se lo mangiò.>

sabato 4 aprile 2015



LO STATO PUÒ ESSERE NEUTRALE? 

Ora che i valori occidentali vengono sovvertiti dalle infiltrazioni islamiche.

La domanda: perché dovrebbe lo stato, da un punto di vista prettamente morale, mantenersi neutrale rispetto alle “concezioni del bene” dei suoi cittadini, invece di promuovere in loro determinati valori. E in cosa consiste la neutralità che lo Stato sostiene? Questo in relazione alle spinte di natura ideologica da chiese religiose e laiche. Soprattutto quando diverse "concezioni del bene" vanno a colpire il valore della libertà, permettendo la sopraffazione di gruppi o individui, o l’imposizione su di essi di valori loro estranei. Allora ci accorgiamo che dobbiamo porci il problema di “quale” concetto di libertà sia quello di uno Stato che oggi tende in nome di una pretesa neutralità, ( cioè di malintesa tolleranza)  a non appoggiarsi - per usare la terminologia di Isaiah Berlin - né al concetto “positivo” di libertà, che imporrebbe un determinato complesso di valori, né al concetto “negativo”, per cui ogni norma, verrebbe vista come una violazione della libertà individuale. Ma questo atteggiamento di neutralità porta alla soppressione di libertà che afferma di difendere,  e quindi risulta essere contro un  principio cardine dell'illuminismo. 

Dice Antonio Gurrado nell' articolo de IL FOGLIO, qui di seguito :" Errore da matita rossa: l’Europa non sta restando vittima della sconfitta dell’illuminismo, ora che i valori occidentali vengono sovvertiti dalle infiltrazioni islamiche, né è colpa dell’illuminismo avere tollerato quest’attecchimento. La responsabilità va cercata piuttosto in un’interpretazione post illuministica che va grosso modo da “Per la pace perpetua” di Kant alle teorie politiche novecentesche di John Rawls e che voleva essere estensiva ma si è rivelata, ai fatti, limitativa e micragnosa. Quest’interpretazione ha tentato di tradurre l’idea illuministica di “tolleranza” nel più vasto concetto di “neutralità”; ossia si è proposta di trasformare il principio che le diverse religioni minoritarie andassero tollerate, all’interno di uno stato in cui la religione più diffusa garantiva comunque il pacifico esercizio di culti differenti, nel tentativo di trovare un algoritmo per il quale la convivenza delle religioni, quali che siano, possa essere garantita allo stesso modo da qualsiasi stato in qualsiasi tempo. Così sono crollati tre capisaldi dell’illuminismo francese.

Anzitutto la specificità. L’illuminismo non parlava di situazioni ipotetiche eterne ma di dati geopolitici concreti, quindi si proponeva di rispondere a domande specifiche: l’islam può essere tollerato, qui e ora? Qual è la vera patria di un ebreo di Bordeaux? Il potere temporale dei Papi è vantaggioso per un suddito di Luigi XV? In questa specificità sta l’apparente contraddizione dell’illuminismo francese, i cui esponenti sembravano passare di volta in volta dall’essere benevoli all’essere ostili verso il medesimo culto: poiché non cercavano di trovare l’equazione della tolleranza universale ma di capire in quali luoghi e in quali momenti una determinata religione andasse tollerata, e in quali no.
Inoltre l’illuminismo francese era una cultura priva di ufficialità accademica. Nessun philosophe aveva una cattedra universitaria ma tutti combattevano la propria battaglia nel sottobosco di pubblicazioni corrosive, anonime o clandestine. Rinchiudere l’illuminismo nelle facoltà, con professori che ricercano l’algoritmo della neutralità religiosa, è un travisamento se non un tradimento. Coi loro scritti divulgativi o satirici gli illuministi cercavano infatti di diffondere la tolleranza negli strati produttivi della società francofona – fra le persone per bene della nascente borghesia – ponendoli di fronte a una domanda cardine: l’esercizio di questa particolare religione contribuisce o no allo sviluppo economico e culturale della particolare società in cui viviamo? Nessuna religione andava tollerata per diritto pregresso e tutte le religioni avevano il dovere di cooperare al bene della nazione, se volevano essere tollerate.
Questo porta al terzo punto. L’illuminismo non ha mai separato la tolleranza dall’intransigenza. Se una religione diventa un fattore di disordine all’interno di una nazione, va estromessa senza distinguo fra ali estreme e ali moderate.La  

Edizione online del Foglio quotidiano - Direttore Giuliano Ferrara
ILFOGLIO.IT
  • Paolo Ceccoli mi pare che Rawls sia stato largamente frainteso in questo articolo, ma è troppo faticoso andare dietro ad ogni pennivendolo che scrive ciò di cui non conosce gli elementi basilari, quanto poi a Kant la lettura è semplicemente ridicola....tra le altre cose Kant era favorevole alla pena di morte.....non ho saputo resistere 
  • Paolo Bolzani Ma quello che dice Gurrado, credo, caro Paolo C., è proprio che Rawls è stato frainteso e Kant distorto.... su questo siamo d'accordo.
  • Paolo Ceccoli Non l'avevo capita così ho letto troppo in fretta

  • Paolo Bolzani Il tema comunque rilevante sollevato è: perché dovrebbe lo stato, da un punto di vista prettamente morale, mantenersi neutrale rispetto alle “concezioni del bene” dei suoi cittadini, invece di promuovere in loro determinati valori. E in cosa consiste la neutralità che lo Stato sostiene? Questo in relazione alle spinte di natura ideologica da chiese religiose e laiche. Soprattutto quando diverse "concezioni del bene" vanno a colpire il valore della libertà, permettendo la sopraffazione di gruppi o individui, o l’imposizione su di essi di valori loro estranei. Allora ci accorgiamo che dobbiamo porci il problema di “quale” concetto di libertà sia quello di uno Stato che oggi tende in nome di una pretesa neutralità, ( cioè di malintesa tolleranza)  a non appoggiarsi - per usare la terminologia di Isaiah Berlin - né al concetto “positivo” di libertà, che imporrebbe un determinato complesso di valori, né al concetto “negativo”, per cui ogni norma, verrebbe vista come una violazione della libertà individuale. Ma questo atteggiamento di neutralità porta alla soppressione di libertà che afferma di difendere,  e quindi risulta essere contro un  principio cardine dell'illuminismo. Per questo, come conclude Antonio Gurrado:"Se una religione prevede l’applicazione letterale di norme rivelate lesive della pace, del benessere e della prosperità di uno stato, l’esercizio di tale culto diventa reato penale. Il motto con cui Voltaire concludeva le proprie lettere era “écrasez l’Infâme”: l’infame che causava morte e terrore a una nazione andava schiacciato, distrutto, annientato; dimenticarlo è un errore da matita blu."