martedì 26 gennaio 2016






CACCIARI: NON HA ALCUN SENSO L'EQUAZIONE CRISTIANESIMO= NATURA 

Gianfranco Giudice: Massimo Cacciari: il cristianesimo abbandoni questa trincea naturalistica della famiglia, è assurda, non ha alcun senso l'equazione cristianesimo= natura, il cristianesimo è sovrannaturale.


Commenti
Umberto Imperiali Ah ben detto!!!

Franco Cazzaniga Al di là del merito della faccenda, ma Cacciari è cristiano?

Gianfranco Giudice Cacciari ha da anni un costante e continuo dialogo con la Chiesa, è Preside di Facoltà al San Raffaele, non è cristiano in modo ortodosso, ma indubbiamente traduce nei termini della sua filosofia aspetti del cristianesimo, come non può non fare un filosofo, se resta fedele a se stesso.
Franco Cazzaniga Sì, ma queste affermazioni sono un po’ pesantine. Inoltre, non esageriamo, di dialoganti con la Chiesa come Cacciari ce ne sono un bel po’ in giro per il modo. Io non riuscirei a fare affermazioni di questa forza su una realtà che non mi appartiene senza arrossire un po’. Sembra invece che Cacciari ci riesca.
Gianfranco Giudice Posso dirti che Cacciari conosce davvero il cristianesimo, i testi sacri e la teologia, io non trovo le sue affermazioni pesantine, le condivido appieno, e ritengo giusto che lui le faccia, perché esprimono un punto di vista non ortodosso e tuttavia presente anche nella Chiesa. Cacciari parla da filosofo del cristianesimo, e non è necessario appartenere a qualcosa per parlarne, per quel poco di filosofia che conosco, posso dirti che le sue affermazioni sono serie, ridurre lo spiritualismo cristiano alla natura' è davvero assai problematico. Natura umana poi, che sappiamo essere plasmata dalla cultura.
Paolo Bolzani Sull'affermazione di Cacciari mi vengono dubbi. Certamente nell’essere umano tutto è riconducibile all’intreccio tra natura e cultura. Ma se umano non è una pura natura non possiamo neanche affermare che sia semplice prodotto della cultura. Allora diciamo che soprattutto la natura umana è relazione. Quindi la nostra identità personale si realizza in una trama di relazioni. Da qui la necessità che a livello sociale e culturale sia superata ogni situazione di emarginazione e di discriminazione. È ingiusto non riconoscere alcuni diritti a chi fino ad ora ne è stato privato. Attenzione però a creare nuove forme di ingiustizia. Come facciamo ad accettare che un figlio può essere pensato come un “diritto” da usare come mezzo di riconoscimento sociale? Crediamo davvero che la determinazione del diritto basti da sola a garantire la qualità delle relazioni?. Non è che semplifichiamo troppo pensando che con il riconoscimento di un diritto possiamo sottrarci alla responsabilità e alla cura delle relazioni?
Franco Cazzaniga Non occorre essere cristiani per parlare di cristianesimo, è ovvio, ma non è il punto. Un conto è parlarne, un altro pretendere di dare l’interpretazione autentica. Quanto al filosofo Cacciari, gli ho sentito dire tante di quelle stupidaggini su altri temi da farmi prendere con le pinze qualsiasi sua affermazione.
Paolo Bolzani Sulla affermazione di Cacciari che dice che bisogna che i cristiani abbandonino l'approccio naturalistico, è, credo, semplicistico pensare che si possa nettamente separare quanto sarebbe dovuto alla natura e quanto alla cultura. Se da una parte alcune differenze di genere che sono attribuiti alla natura in realtà sono culturali, non possiamo sentirci legittimati a ritenere che la radice della differenza sia solo di ordine culturale. Mi pare che dietro questa idea ci sia una forte ideologia. Il riconoscere che il concetto di natura sia equivoco non dovrebbe portare a negare che che esista qualcosa di dato nel nostro corpo. Oppure ci consideriamo onnipotenti e creatori di noi stessi. Allora penso che sia giusto concedere i giusti diritti alle coppie omosessuali, ma anche al contempo, in nome proprio proprio della differenza, evitare di omologare con ciò che si è chiamato matrimonio. Quanto al diritto ai figli, sia nel caso di coppie eterosessuali sia in quello di coppie omosessuali: come si può pensare che un essere umano rappresenti un diritto per altri esseri umani?
Gianfranco Giudice Sono totalmente d'accordo che l'essenza dell'uomo sia la reazione, questo è uno dei principali fondamenti del pensiero cristiano. Quanto all'avere figli sono pure d'accordo che non sia un diritto come altri. Sul fatto che l'omosessualità non possa essere guardata con sospetto dal cristianesimo, parlo della dottrina della Chiesa non certo di tanti cristiani che già oggi accettano l'omosessualità, io da sempre penso che sia l'approdo giusto. Lo dico perché al di là della dialettica natura-cultura, esiste l'idea nella religione di Cristo della irripetibilità di ogni esistenza che merita rispetto e ha una dignità assoluta. L'omosessualità è un modo di essere dell'uomo, appartiene alla NATURA umana in quanto tale, è una possibilità dell'umano nella relazione affettiva con l'altro. Per questo io modestamente credo che il cristianesimo non possa non accettarla pienamente, se accoglie ogni uomo immagine di Dio, nella sua unicità irripetibile.
Paolo Bolzani Dice Cacciari bisogna abbandonare il concetto di "cristianesimo=natura". Purtroppo la discussione è fatta troppo spesso da contrapposizioni ideologiche che distorcono i termini della questione. Credo che il centro della questione non sia tanto la "naturalità", quanto la comprensione del senso dell’umano, a fronte di sempre nuove " provocazioni", a cui dovremmo rispondere con maggiore disponibilità volto a favorire una più profonda comprensione di ciò che siamo. Ma con una attenzione al significato di uguaglianza che non può annullare le differenze, poichè dall’umano sono ineliminabili differenze di genere e di cultura. L'uguaglianza non può essere negazione , da una parte, di tali diversità, e, dall'altra, di precisi doveri e responsabilità. Inoltre l’uguaglianza concerne la dignità e i diritti fondamentali dell’uomo, i quali non vanno certo confusi con il diritto a realizzare tutto quanto si desidera.
Franco Cazzaniga La questione della naturalità nel pensiero cristiano è più complessa di quello che si sospetta. La Natura dei cristiani è la creazione che prosegue da sé. Dio non è “altro”, come per esempio nell’Islam. Il tema della natura si intreccia con quello della razionalità e non sono scindibili.Ogni religione è dotata della propria inerzia culturale, ma quello che vorrebbe Cacciari snaturerebbe il cristianesimo (e scusate il bisticcio): il concetto di natura è proprio ciò che lo aggancia alla realtà, sia pure in modo incerto e distorto. Tagliare questo legame significa andare alla deriva. La forza della Chiesa Cattolica non sta nel fatto che non sbaglia, ma nella sua capacità di recuperare gli errori. Una Chiesa tutta proiettata sulla rivelazione non saprebbe farlo, oppure sarebbe trascinata dalle mode.
Gianfranco Giudice Concordo sul fatto che quella di Cacciari sia una provocazione, che a me piace molto, non accoglibile dalla Chiesa cattolica, come lui stesso credo sappia...nel cristianesimo eterno e tempo si intrecciano, l'eterno è nel tempo, Dio si incarna, si fa uomo, questa è per me la grandezza di questa religione. Ma se la Natura è sacra e dinamicamente prosegue la creazione da sé, perché limitare con un veto naturalistico il carattere polimorfo della sessualità umana? Certo, so che le mie sono considerazioni di un non cadente, o forse di un cedente non ortodosso...
Pietro Cazzaniga Queste parole di Cacciari mi lasciano perplesso. Forse sono estrapolate da un discorso più complesso, perché messe così sembrano più uno slogan che una affermazione. La distinzione "naturale" / "soprannaturale" messa così non mi pare azzeccata per il cristiano, visto che "naturale" e "soprannaturale" si mescolano e coesistono. Il discorso si fa più profondo (e palatabile) se si tiene conto che il termine "natura" è da intendersi come "realtà spiegabile per via razionale" e ci si riferisce a San Tommaso che considera la razionalità come un fatto centrale all'interno del cristianesimo. Questa è una intuizione fecondissima per il cristianesimo e che rende il cristianesimo sia capace di correggere gli errori dei cristiani, sia capace di aprire le porte alla modernità. Ed è un modo di procedere che sopravvive intatto nella teologia di Ratzinger. In questo contesto l'affermazione di Cacciari è già più interessante perché il concetto di "natura" è diventato per molti cristiani un feticcio che non ha nulla a che fare con l'idea di una realtà razionale. In questo senso la "natura" diventa quasi metafisica, una entità irrazionale concorrente alla rivelazione cristiana stessa. Quindi in questo senso è assurdo che il cristiano la proclami. In questo senso il naturale (inteso come feticcio soprannaturale della sedicente natura) è veramente contrapposto al sovrannaturale (inteso come rivelazione in Cristo). E quindi ragionando così si può dare ragione a Cacciari. Se questo poi sia il Cacciari-pensiero non lo so.
Pietro Cazzaniga Declinato nel caso della "famiglia" il pericolo dei "sedicenti cristiani" che sbandierano il tema della naturalità di un certo tipo famiglia è che sono appunto "sedicenti". Il nocciolo del cristianesimo è considerare la rivelazione come chiave di lettura della realtà, non puntellare i propri convincimenti con una osservazione storico/sociologica (peraltro neppure molto approfondita) e poi puntellare a sua volta questa osservazione storico/sociologica con il nesso logico "natura=buono per il cristiano" ottenuto attraverso un scivolamento impercettibile, ma profondo di significati a partire da quello che è il legame razionalità-cristianesimo. Il meccanismo di questo cambio di significati è lo stesso su cui punta il dito Hume quando afferma che da una descrizione della realtà non può discendere una regola morale. Rileggersi lo scettico Hume sarebbe utile anche per i sedicenti cristiani.



P B 




E NON SEMPRE CIÒ CHE VIENE DOPO È PROGRESSO 

Il riferimento di Manzoni è ai "romanzi storici" che ricostruiscono la vicenda umana "come progresso" di epoche precedenti. Ma anche una critica ai "progressi" su"l'arte del romanzo di novo genere". Altissimo livello del saggio di Manzoni. "Ma ciò che volevamo notare particolarmente, è quel riguardare l'epopea storica, non solo come una continuazione (era l'opinione comune), ma come un progresso dell'epopea primitiva, essenzialmente mitica. Come se quella che voleva esser la storia, e ch'era infatti presa per storia, e quella che, senza ottenere né chieder fede, contraffà una storia, fossero la stessa arte, perché la seconda ha imitate delle forme estrinseche della prima. Sarebbe un'arte di novo genere quella che, cominciata senza princìpi, li trovasse poi col cambiar l'intento e l'effetto, conservando delle forme estrinseche. E non sempre ciò che vien dopo è progresso." [Da Alessandro Manzoni "Del romanzo" (contenuto in Alessandro Manzoni, Scritti di teoria letteraria, con note e traduzioni a cura di Adelade Sozzi Casanova, introduzione di Cesare Segre, Rizzoli, Milano 1981)] 

lunedì 25 gennaio 2016


Memories  that stick with us are tinged with emotion. 


All memory, as McGaugh explained, is colored with bits of life experiences. When people recall, “they are reconstructing,” he said. “.... It means that they’re telling a story about themselves and they’re integrating things they really do remember in detail, with things that are generally true.” ..... For all of us, the stronger the emotion attached to a moment, the more likely those parts of our brains involved in memory will become activated. As McGaugh told me, you wouldn't remember every commute you took to work each day. But if along one you witnessed a deadly crash, you would likely remember that one. Memories that stick with us are tinged with emotion.

http://www.theatlantic.com/health/archive/2013/11/how-many-of-your-memories-are-fake/281558/

...IN PARTE UMANO E IN PARTE QUALCOS'ALTRO... 

“Se penso alla mia prima adolescenza, mi ricordo la sensazione di tante volte in cui tenevo accoccolata sul petto una qualche creatura. Un piccolo essere, della grandezza diciamo di un gatto. Non è un bambino e non è neppure un animale. Non esattamente. È in parte umano e in parte qualcos’altro.” William S. Burroughs. “Il gatto in noi.” 
Quale sorpresa scoprire che William Burroughs, scrittore di saghe visionarie ha anche scritto uno dei più dolci e appassionati libro sui gatti. 
UNIONI CIVILI E MATRIMONIO

Ma forse dovremmo togliere di mezzo dal dibattito tutti gli argomenti di tipo ideologico,  da cui nascono gli insulti: non ci sarebbero quindi le accuse di mostri omofobi e razzisti contro "quelli  che vogliono limitare l’affetto di qualcuno riducendolo a cittadino di serie B". Ma anche eviterei anche  “è quello che fanno tutti i paesi europei”. Allora rimarrebbero per me solo due argomenti rilevanti: 
Il primo: data per necessaria e scontata l’adeguata difesa dei diritti del singolo, si dovrebbe partire dalla difesa da leggi esistenti e proporne in concreto  le opportune  integrazioni ,  e non  equiparare forme di unione che hanno peso molto diverso per la società. In particolare dovremmo agire considerando che le unioni eterosessuali sono il fattore elementare perché una società vada avanti riproducendosi. Che senso ha equiparare  il trattamento di istituti molto diversi: la difesa delle persone e dei loro interessi si fa da sempre nel nostro diritto proteggendo in modo differente sulla base delle responsabilità sociali diverse. No esiste vera giustizia se  adottiamo un criterio di uguaglianza senza differenze. 
Il secondo: riguarda l'adozione di un concetto di liberalismo radicale proprio dai settori che di solito su altri temi lo vedono come un danno. Parliamo della affermazione di una autonomia dell’individuo come sorgente assoluta di valori e libertà, contro chi considera che la persona non possa cambiare a proprio piacimento la situazione esistente e la cui libertà ha un limite nel rispetto di una realtà esterna da cui l'individuo dipende. Non tutto ciò che  è nuovo, spontaneo, autonomo è buono in quanto affrancamento da legami oppressivi. 


sabato 23 gennaio 2016




NON ARRENDERSI ALLA "BANALITÀ DEL MALE"

Io credo che si debba evitare una interpretazione della visione arendtiana in termini di tragedia senza sbocchi.  Karl Jaspers suo maestro ed amico) scrive che si tratta di una “tragedia, che tuttavia non lascia senza speranze”. (H. Arendt, K. Jaspers, Briefwechsel 1926-1969, Monaco, 1985, pp 541-43). L'uomo infatti non perde mai completamente la sua capacità di agire, anche se spesso si trova a combattere con forze che non riuscirà mai a dominare del tutto completamente. Per la Arendt con l’agire «ci inseriamo nel mondo umano, e questo inserimento è come una seconda nascita, in cui confermiamo e ci sobbarchiamo la nuda realtà della nostra apparenza sica originale. Questo impulso non ci viene imposto dalla necessità, come il lavoro, e non ci è suggerito dall’utilità, come l’operare. [..] Agire, nel senso generale, significa prendere un’iniziativa, iniziare, incominciare, condurre, e anche governare, mettere in movimento qualcosa» (H. Arendt, Vita Activa la condizione umana, Milano, 2009, pag. 128). Quindi un prospettiva c'è, anche se non la vediamo. La vita dell’uomo è un continuo cambiamento. Parlo del continuo superamento, nella storia umana, di quanto l’esterno impone a ciascuno di noi, proprio a partire  dalla presa di coscienza di tale imposizione. Noi non possiamo non confrontare continuamente  il "ciò che si è" con il "ciò che si vuole essere" perchè l'uomo  è totalmente determinato e totalmente libero: in quanto  obbligato ad accettare il suo determinismo non può che partire per conquistare la propria libertà. 

domenica 17 gennaio 2016

LA FOLLIA DEL "NO ALLE TRIVELLAZIONI"

Come dice Romano Prodi, siamo in Italia in una “paradossale situazione” per cui si sono buttati 500 miliardi di euro in dieci anni, spesi per importare energia, ma se raddoppiassero le estrazioni a 22 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio si potrebbero incamerare 2,5 miliardi di gettito e alleggerire la bilancia dei pagamenti di 5 miliardi. 
Ma davvero si rovinano le coste e il turismo?? Viene da chiedersi come mai l’Emilia Romagna, con 41 unità offshore, ha visto aumentare le bandiere blu assegnate alle sue spiagge dalla Foundation  for  Environmental  Education la scorsa settimana. L’Abruzzo ha invece perso quattro bandierine, ma ne ha conservate dieci tra cui una proprio a Vasto dove in prossimità della costa ci sono otto piattaforme e una nave appoggio. 

sabato 16 gennaio 2016




  • CHECCO ZALONE MI RICORDA SC'VÈIK

    Checco Zalone mi ricorda  Sc’vèik, il personaggio simbolo di tutti gli anti-militaristi, anti-gerarchici, anti-borghesi, anti-vecchi barbosi paludati, anti-saccenti, anti-conformisti, anti-clericali, anti-signorebene-damedicarità, anti-funzionari statali imbolsiti, anti-soverchiatori da scrivania, anti-ignoranti che si riempiono la bocca di discorsi altisonanti. Sc’vèik è uno dei più eroici anti-eroi della letteratura. Un brano: [...] Mikulàšek tacque limitandosi a guardare atterrito il tenente. Se in quel momento si accorse finalmente di star seduto su tavolo, la sua disperazione dovette essere ancora maggiore, dato che i suoi piedi toccavano le ginocchia dell’ufficiale che gli stava seduto davanti. ”Insomma volete dirmi come vi chiamate?” esclamò dal basso il tenente verso Mikulàšek. Ma questi continuò a tacere. Come spiegò dopo, era stato colto da una sorta di intorpidimento all’improvviso arrivo del tenente. Avrebbe voluto scender giù, ma non ci era riuscito, avrebbe voluto rispondere, ma non gli era stato possibile, avrebbe voluto smettere di fare il saluto, ma non c’era stato verso. ”Faccio rispettosamente notare, signor Oberleutenant,” si sentì Sc’vèik, ”che la pistola non è carica.” ”Faccio rispettosamente notare, signor Oberleutenant, che non abbiamo cartucce, e che sarà un bell’affare abbatterlo giù dal tavolo. Mi permetto di osservare, signor Oberleutenant, che si tratta di Mikulàšek, attendente del maggiore Wenzl. È uno che perde sempre la parola ogni volta che vede qualcuno dei signori ufficiali. Si vergogna proprio di parlare. Come dico, è per l’appunto una meschina bestia, un bolso. Il signor maggiore Wenzl lo pianta sempre nel corridoio quando va in città, e lui gironzola come un derelitto nella baracca passando da un attendente all’altro. Avesse almeno motivo per temere qualcosa, ma invece non ha combinato niente di male.” Sc’vèik sputò, e dalla sua voce, e dal fatto che trattava Mikulàšek da animale, si avvertiva il suo completo disprezzo per l’inettitudine dell’attendente del maggiore Wenzl e per il suo comportamento tutt’altro che marziale. ”Permetta,” continuò Sc’vèik, ”che gli dia un’annusata.” Sc’veik tirò giù Mikulàšek, che continuava ancora a guardare il tenente con occhi inebetiti, e, depostolo a terra, gli annusò i pantaloni. ”Ancora no,” dichiarò, ”ma sta già cominciando. Debbo buttarlo fuori?” ”Buttatelo fuori, sì!” Sc’vèik condusse nel corridoio il tremolante Mikulàšek, chiuse la porta alle sue spalle e gli disse: ”E così, scemo che non sei altro, ti ho salvato la vita! […]”



LE RAGIONI DEL "SÌ" AL REFERENDUM COSTITUZIONALE

Più considero le ragioni dei  comitati per il No (al futuro referendum sulla riforma costituzionale), più mi convinco a votare Sì. Bisogna concentrarsi sulla sostanza reale della riforma, per vedere che quelli del No vogliono solo rimettere indietro le lancette dell’orologio, rifiutandosi di considerare che il bicameralismo paritario ebbe un ruolo positivo in anni lontani, mentre era ed è un ostacolo  se vogliamo veder funzionare l'Italia. Sono disgustato della retorica sulla “migliore Costituzione del mondo”. La riforma  tocca diversi aspetti, inclusa la correzione dei disastri fatti con la riforma costituzionale sulle regioni e le autonomie locali, che la sinistra volle imporre, nel 2001, per contrastare il leghismo. Parlare di cancellazione del Senato e di fine del bicameralismo fin qui esistito, è una balla colossale: il Senato resta dov’è, e diventa una Camera delle autonomie. Che dire poi del solito grido di allarme sull’eccessivo rafforzamento del governo, senza riconoscere che proprio questo è una grande debolezza del nostro sistema costituzionale?. 




ULIVO-UNIONE: UN RITORNO SOGNATO DA CERTA "SINISTRA" 

Mi chiedo se un alternativa di sinistra sia praticabile sulla base di un ritorno del modello "Prodi" pensato come esempio vincente. C'è ancora chi accarezza l'idea che il Pd sarebbe potuto essere una specie di listone unico figlio dei tempi dell’Ulivo-Unione:  come chiedeva Prodi, essere un partito capace di preoccuparsi prima di tutto dell’Unione delle famiglie del centrosinistra, più che della sintesi tra le famiglie. Quel partito di centro-sinistra (democratici e progressisti), sognato da Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani è stato affossato prima di tutto dai suoi promotori....dove sono finite le 45 personalità che ne dovevano essere il nerbo???.  Era fin dall'inizio un progetto infattibile mettendo insieme: Romano Prodi, Giuliano Amato, Rosy Bindi, Sergio Cofferati, MarioBarbi, Marcello De Cecco, Carlin Petrini, Lamberto Dini, Marco Follini,  Francesco Rutelli, Linda Lanzillotta, Luciana Sbarbati, Vilma Mazzocco, Agazio Loiero,  Letizia De Torre,  Vincenzo De Luca, Enrico Letta, Romano Prodi, Massimo D’Alema, Pier Luigi Bersani, Maurizio Migliavacca, Gad Lerner, Giuseppe Fioroni, Rosa Iervolino, Anna Finocchiaro, Morando, Fassino, Gentiloni, Franceschini, Veltroni. . Invece di aver fatto quel Pd, due terzi o sono usciti o sono rimasti dentro per fare opposizione al Segretario senza diventare maggioranza per cambiare il Partito attuale che non piace. Per realizzare un progetto politico occorrono processi condivisi, congressi di partiti, un dibattito culturale di alto livello. Questo non c'è stato allora e non ci sarà adesso con i Possibile, Sinistra Italiana, Sel, e le decine di altre sigle, sigline, siglotte.





«Il vero protagonista di Bronte è e rimane il popolo in rivolta»

Ho rivisto su Rai 3 un bellissimo film : "Bronte- Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato"  di Florestano Vancini .
Leonardo Sciascia recensì il film di Vancini, subito dopo l'uscita, con il seguente articolo pubblicato l'8 Agosto 1972 dal quotidiano La Stampa
«Bronte perché»
Giustamente Florestano Vancini ha detto che, in ordine alla verità storica, il suo film sui fatti di Bronte è inattaccabile. Ma è stato attaccato, e anche furiosamente
E ne è seguita una polemica che dirci (anche per quel che mi riguarda) fuorviante, incentrata tutta sulla figura di Bixio: se eroe purissimo, costretto da maggior forza a un crudele e inevitabile atto, o se — come scrisse con sottile giudizio Benedetto Radice, storico di quei fatti — «uomo che la rivoluzione salvò forse da un destino ignobile».
Ora il problema non è questo: il proposito del film non era quello di degradare Bixio da eroe a carnefice, ma, di dare attraverso un fatto determinato, sicuro, accertato in ogni dettaglio, l’immagine di un errore già sufficientemente analizzato e definito nelle opere di più avvertita coscienza risorgimentale e meridionalista. Evidentemente questo errore, scontato in sede diciamo culturale, è tutt’altro che scontato negli intendimenti e nella pratica di una larga (e maggiore) parte della nazione.
Innanzi tutto, la domanda: perche le popolazioni contadine del circondario etneo si sollevano in così sanguinose rivolte, mentre nella Sicilia occidentale l’esercito garibaldino si trova di fronte a problemi di normale, o appena più accentuato, disordine pubblico?
La risposta credo si trovi in una pagina del Viaggio in Sicilia di Tocqueville (1827):
«Qui (nella zona dell’Etna) si direbbe che non vi sia angolo di terra sprecato: dovunque coltivazioni arboree, intramezzate da capanne e da graziosi villaggi; dovunque un’aria di prosperità e di abbondanza. Potei rilevare, così, che nella maggior parte dei campi coltivati il grano, le viti e gli alberi da frutta crescevano e prosperavano insieme: e fui indotto a chiedermi da dove potesse derivare una così grande prosperità. E’ evidente che non la si può attribuire soltanto alla ricchezza del suolo perché l’intera Sicilia è un paese fertilissimo...
«La prima ragione che mi venne in mente per un tale fenomeno è questa: le terre intorno all’Etna, essendo poste tra due delle più grandi città della Sicilia, Catania e Messina, trovano in queste due direzioni vasti mercati per la vendita dei loro prodotti, che non esistono affatto nel centro dell’isola o sulla costa meridionale.
«La seconda ragione, che accettai con maggiore difficoltà, finì, poi, col parermi la migliore. Le terre che circondano l’Etna erano soggette a distruzioni spaventose, e i signori feudali e i monaci se ne liberarono ben volentieri, sì che il popolo ne e divenuto proprietario. Ora la divisione della terra vi e quasi senza limiti, ed ognuno ha qualche interesse alla terra, per piccolo che sia tale interesse. Questa è la sola parte della Sicilia in cui il contadino sia proprietario.
 Pure, a questo punto dobbiamo porci una domanda: perché questo spezzettamento della proprietà, che tante persone sensate considerano in Francia un male, deve essere consideralo un bene, anzi un gran bene, in Sicilia?
«Mi sembra facile dare una spiegazione a questo fenomeno, ed anzi la situazione siciliana mi sembra costituire un nuovo esempio da aggiungere a tutti gli altri, i quali provano che sotto il sole non ci sono principi assoluti
«Si capisce perfettamente, infatti, che in un paese molto avanzato, nel quale il clima porta all’attività e tutte le classi sono possedute dal desiderio di arricchirsi, come in Francia e soprattutto in Inghilterra, l’estrema divisione della proprietà terriera possa nuocere all’agricoltura e conseguentemente alla prosperità interna, poiché essa toglie grandi mezzi di migliorie ed anche di azione a uomini che avrebbero la volontà e la capacità di farne uso.
«Al contrario quando si tratta di risvegliare e stimolare una popolazione infelice e paralizzata per metà, per la quale il riposo è un piacere e presso la quale i ceti elevati sono come sepolti nella loro pigrizia ereditaria e nei loro vizi, non c’è mezzo più efficace che la divisione della terra».
Questa risposta vale anche per l’altra domanda, frequentemente formulata e mai nettamente esaudita, sul perché non si registrano fenomeni propriamente mafiosi nella Sicilia orientale. Intanto, rispetto ai fatti di Bronte e di altri paesi etnei nell’estate del 1860, ci dice come il feudo, che nella Sicilia occidentale appariva una realtà inamovibile, quasi un fatto di natura più che di storia, in quella orientale era già un anacronismo, una sopravvivenza.
E del resto le rivendicazioni erano rivolte verso le terre dei demani comunali, e da ciò la denominazione di «comunisti » assunta da coloro che ne propugnavano la divisione. Ma alla divisione si opponevano i galantuomini, e per tante ragioni. Non ultima, quella che prima di dividere bisognava ricostituire il catasto demaniale che avevano roso e usurpato da ogni parte. Non tutti i galantuomini, in effetti: ma per quelli che stavano dalla parte dei «comunisti» è difficile dire se davvero erano di diversa pasta degli altri, e se lo stare dalla parte del popolo non tosse per loro spregiudicato giuoco di potere.
Ma chi vuol saperne di più, sulla situazione economica, sociale e politica di quella zona, cerchi l’esemplare studio di Giuseppe Giarrizzo: Un comune rurale della Sicilia etnea. Che dice di un solo paese, Biancavilla, e ne svolge i fatti, e le cause, dal 1810 al 1860: ma si può considerare come un campione, e forse più probante di Bronte, dell’intera zona.
A Bronte la presenza degli inglesi, il coagularsi intorno a loro degli interessi più retrivi, confonde un po’ le cose, il giudizio, così come allora «precipitò» diversamente i fatti.
Certo è che per Biancavilla, per Bronte, per tutti gli altri comuni (anche per quelli che non sollevarono atroci jacqueries), la conclusione cui arriva Giarrizzo è esattissima: «... l’angustia municipale della protesta non può nascondere il carattere generale della sconfitta politica dei "liberali" di Biancavilla.
Questi languiscono in carcere, mentre gli "antiliberali" riprendono il timone della cosa pubblica, e la turpe storia dei furti, delle malversazioni, delle usurpazioni ricomincia... Non c’è ormai posto per altri valori, per altre ragioni ideali: la roba, col suo peso esclusivo, domina la realtà morale, politica, psicologica di questo piccolo mondo.
Ed è sull’amarezza di questa disfatta, sulla insensatezza della lunga tensione cospirativa che sorgono i dubbi più seri sul carattere liberale del nuovo regime... La torbida eredità di delusioni e di sconfitte in loro, il senso della giustizia offesa nei comunisti, la certezza orgogliosa del potere che vuol dire profitto e prevaricazione nei civili, costituiscono il bagaglio morale con cui la nostra piccola comunità è entrata nella vita nazionale».
«La giustizia offesa»: e dirci che, in prevalenza sugli altri, questo è il punto dell’interesse che ho sempre avuto ai fatti di Bronte. Doppiamente offesa: e nella legalità rivoluzionaria che i «comunisti» brontesi credevano di dover legittimamente difendere, e nella legalità processuale cui Bixio e il tribunale di guerra avrebbero dovuto attenersi.
Sul primo punto svolse poi la sua arringa l’avvocato Michele Tenerelli Contessa, difensore di altri imputali nel processone che si svolse a Catania tre anni dopo. Ovviamente, non convinse (e non si può non ricordare Verga: I giudici sonnecchiavano, dietro le lenti dei loro occhiali, che agghiacciavano il cuore. Di faccia erano seduti in fila dodici galantuomini, stanchi, annoiati, che sbadigliavano, si grattavano la barba, o ciangottavano fra di loro. Certo si dicevano che l’avevano scappata bella a non essere stati dei galantuomini di quel paesello lassù, quando avevano fatto la libertà»). Sul primo e sul secondo, Florestano Vancini ha svolto il suo film. Dopo cento e dodici anni, non si può dire che abbia convinto. E non è buon segno.»
[Leonardo Sciascia, La Stampa - numero 170 dell'8 Agosto 1972, Pagina 3]


LO STRANIERO IN ITALIA
Sulla cronaca d’un massacro
di Jacques Nobécourt
Si può parlare di capolavoro, quando per un film ci sono non più di una decina di spettatori, il sabato pomeriggio, in un enorme cinema che cinquant’anni fa era un music-hall? Quanto «terrà» il film? Poche settimane. Verosimilmente. Poi partirà per l’estero, e il pubblico italiano verrà a sapere con stupore di aver perduto l’occasione di conoscere una delle opere più significative della cultura contemporanea. Non sarà la prima volta, né l’Italia ne ha l’esclusiva.
Verità d’ogni tempo
Il film in questione è l’ultimo lavoro di Florestano Vancini: Bronte, cronaca di un massacro. Ad essere giusti, il film avrebbe dovuto essere presentato a Cannes, e ricevervi i più alti onori. Al suo confronto, Fellini sembra folkloristico, e Petri un autore di cinema di consumo. I più fastosi e i più festeggiati registi, paragonati a Vancini, finisco­no per suscitare quasi compassione, con i loro piccoli mondi personali, con i loro problemi esibiti in una storia «che piace al pubblico».
Vancini, invece, non cerca affatto di piacere, ne di «apparire» personalmente nel suo film. Dignitoso, riservato, in disparte, come senza volerlo, è riuscito a raggiungere, attra­verso la realtà di un piccolo gruppo umano, verità drammatiche che sono di ogni tempo.
Rimettendo lo spettatore con le spalle al muro, imponendogli la sua lucidità — che, in que­sto caso, non è certo autolesionismo, — Vancini suscita la stessa qualità di fervore che negli adolescenti di Parigi, all’indomani della guerra, creava la scoperta del giovane cinema italiano, nelle salette del Quartiere Latino.
Roma, città aperta, Paisà o Umberto D erano visti e sentiti come drammi che toccavano tutti gli europei, di là dalla testimonianza che davano sulla realtà italiana. Bronte si pone allo stesso livello.

mercoledì 13 gennaio 2016

ERDOGAN SOTTO LE BOMBE

Erdogan ha dichiarato guerra allo Stato islamico, ma in realtà ha accentuato il conflitto totale contro i curdi, dopo aver per anni chiuso gli occhi sugli islamisti che andavano a combattere in Siria, subendo ora le loro bombe in casa. In realtà dicendo questo non possiamo ignorare del disastro che Erdogan ha favorito, spingendo la Turchia a eliminare il ruolo sovraordinato della Forze armate turche rispetto alle istituzioni democratiche, a garanzia della laicità, distruggendo così lo stato laico di Kemal Atatürk, facendo trionfare l’islam politico. 

domenica 10 gennaio 2016





ISLAM: TERRORISMO TRA RELIGIONE E PROGETTO POLITICO 
Riproposta di una discussione del 10 Gennaio 2014
Gianfranco Giudice: 
«TERRORISMO. La parola fa riferimento ad azioni volte a seminare terrore, dunque possono esistere azioni terroristiche compiute da chiunque e con le finalità più disparate, anche originate dalla pura follia individuale. Quando invece si parla di terrorismo ("il terrorismo") in modo generale, storicamente si parla di progetti politici, per quanto aberranti. Il terrorismo è una delle forme (aberranti) della politica storicamente date, con la religione c'entra poco, la religione che diventa fanatismo può poi giustificarlo ideologicamente, e anche questo è storicamente dato. Quando si parla di terrorismo islamico, si tratta dunque di un (aberrante) progetto politico, condito di fanatismo religioso. Al di là delle tante e delle troppe parole che si dicono, dei tanti che sputano sentenze come se fossero verità assolute, quel che a me pare è che siamo dentro la storia del mondo che cerca un nuovo equilibrio da almeno venticinque anni, equilibrio che conosceremo solo quando arriverà, perché la storia non fa previsioni. Quando crollò l'Impero romano sotto l'urto della migrazione delle popolazioni germaniche, ci vollero secoli perché nascesse il nuovo equilibrio nell'Europa medioevale, che non era né solo romana, né solo germanica, era un prodotto nuovo, l'Europa cristiana. Oggi l'Occidente è in un fuoco simile, perché quelle attuali non sono emigrazioni, bensì migrazioni di popoli. Il mondo che verrà non lo conosciamo, sarà un inedito, i tempi della storia accelerano ma per vedere il nuovo mondo ci vorrà almeno tutto il XXI secolo. Io spero tanto che il mondo nuovo conserverà il meglio della nostra cultura, frutto della rivoluzione scientifica, dell'illuminismo, della rivoluzione francese e delle conquiste del movimento operaio. Spero, ma non so. Detto tutto ciò, resta certo la domanda cruciale e angosciante: che fare di meglio ora, dopo avere cercato di comprendere quel che accade oltre la cronaca? »
Bruno Perlasca: 
«Siccome si sentono giudizi a vanvera su maggioranze, minoranze e presunte egemonie, sgombriamo il campo da un equivoco di fondo: l'Islam, inteso come religione, è una galassia di 1 miliardo e 600 milioni di musulmani, quindi berciare come ha fatto ieri sera Ferrara da Santoro che l'Islam è impegnato in una guerra santa contro l'Occidente cristiano-giudaico è una fesseria assoluta che fa solo il gioco dei terroristi. 
Bisogna parlare dei musulmani non dell'Islam, dei musulmani estremisti, radicali, fondamentalisti, terroristi che sono una infima minoranza rispetto a un miliardo e 600 milioni di persone. Davvero si crede che un miliardi e 600 milioni di persona siano in guerra con l'Occidente?
Il problema è organizzare politicamente e mobilitare la stragrande maggioranza dei musulmani ed è un problema che riguarda tutti, Occidente e Paesi a egemonia islamica. Poi esiste un problema enorme di ridefinizione del rapporto tra la religione islamica e la modernità e questa è tutta un'altra storia.»
Adria Bartolich: 
« Ida Magli sull'Islam "appartengono all’Antico Testamento e di conseguenza ad una cultura che li affida all’obbedienza; che li mantiene «relativi» a Dio. Gesù Cristo, al contrario, ha creduto nell’Uomo con tutta la debolezza, la fragilità che questo comporta»
Adria Bartolich: 
«hanno STATI deboli e arretrati e nelle situazioni di crisi tornare alla religione come unico collante del mondo arabo rappresenta, per loro, la soluzione. Però, scusatemi, io non regalo comprensione gratuita a nessuno. La verità è che "l'islam moderato" ha tenuto una posizione debole, molto debole. E onestamente la sua esistenza sembra più rappresentare un bisogno di supporto e legittimazione di alcune posizioni per parte della sinistra terzomondista, accogliente e includente ( di fronte al terrorismo e al fondamentalismo) che qualcosa di realmente esistente . Le uniche posizioni veramente critiche sono quelle di coloro che hanno fatto propria la cultura occidentale. E adesso questa latitanza si paga. Qualcosa sul genere "Islam moderato " se ci sei batti un colpo. Ma se non lo batte? Non se lo batte un intellettuale o un poeta, o un musicista; se non lo battono i governi, gli imam, i capi delle comunità, i mass media del mondo arabo? Cosa facciamo? Non è un problema da poco perchè tocchera a noi trovare la soluzione. Pensate di costringere Islam moderato ad uscire ed esporsi " so che ci sei ", oppure chiedendo che finalmente dicano qualcosa di importante e serio sul tema e si organizzino per sconfiggere l'egemonia e l'avanzata dei Fratelli musulmani alle elezioni? Perchè se gli intellettuali stanno ad occidente e il popolo ad oriente, capite che c'è una cesura irrimediabile. Chi può fare questo se non loro? Però questo significa mettere in discussione, almeno in parte, il tema religioso. I fondamentalisti non si organizzano nel Partito della destra nazionale ma nel partito islamico.Non si può prescindere da questo dato di realtà. Guardate, che se non si riesce a sconfiggerli culturalmente , e non ci arriviamo con le posizioni da Mani Tese bensì con un dibattito molto più approfondito sulle ragioni vere di questa recludescenza fondamentalista , e l'aggressione diventa militare, non è che ci siano molte soluzioni, se non provvedimenti molto forti sul piani delle'ordine pubblico. Ad aggressione militare risposta militare, e giuro è l'ultima cosa che vorrei....aggiungo ...certo che si il dibattito , quando si alza di livello, incomincia ad essere " vabbé ma anche i cattolici rompono i coglioni con santi e crocefissi..." mi chiedo quale sia ormai il livello del dibattito interno dei partiti. Praticamente luoghi di perdizione.»
Andrea Taiana: 
«anche gli ebrei appartengono all'antico testamento. la differenza risiede altrove, risiede nel passaggio attraverso la cultura illuminista occidentale, non è questione di Cristo o antico testamento»
Adria Bartolich: 
«Gli ebrei sono il popolo della diaspora, i musulmani no. Certo la cultura illuminista è una parte significativa delle differenze anche se non l'unica. Secondo me ci sono anche aspetti teologici di una certa rilevanza, ma comunque il risultato resta.»
Bruno Perlasca:
«Sulla frase di Ida Magli ci sarebbe da discutere a lungo. Quanto all'Islam moderato si potrebbe anche concludere, come fa qualcuno, che l'Islam moderato non esiste, ma esistono centinaia di milioni di musulmani moderati e nemici del terrorismo. Contro il terrorismo l'unica strategia è la mobilitazione di massa e il rafforzamento dell'intelligence, la strategia militare non serve a nulla. La pochezza della classe politica europea si vede anche da come non riescano a imporre ai leader dei paesi a egemonia musulmana che considerano alleati l'organizzazione di questa mobilitazione contro il terrorismo e continuino invece a trescare con regimi come quello dell'Arabia Saudita che finanziano il terrorismo più sanguinario. Per esempio il leader turco, che vuole tanto entrare in Europa, porti in piazza la maggioranza silenziosa del suo Paese contro i fanatici estremisti.»
Adria Bartolich: 
«però bisogna fare una distinzione tra persone e movimenti collettivi, altrimenti non ne veniamo fuori. le persone possono essere brave e cattive ovunque, sui movimenti collettivi e le loro ragioni culturali bisogna, invece, esprimere giudizi politici.»
Paolo Bolzani: 
«Anche i tedeschi non erano tutti nazisti, ma c'era il nazismo in Germania. Stati islamici teocratici, movimenti organizzati per il terrorismo e la conquista e gestione di territori, proselitismo a livello internazionale in occidente con attentati..tutto questo e' l'islam militante che utilizza la religione come arma di sterminio di massa. Dire che non tutti i musulmani sono terroristi è una banalità che serve solo a non affrontare il problema politico. Dire che l'islam è diviso e si ammazzano fra loro dai tempi di Maometto a cosa serve?. Certo una bella e approfondita analisi. Una trasmissione alla radio era la discussione sul bisogna fare trattativa coi terroristi a Parigi "perché sono persone e hanno il diritto alla vita". Ecco. Quanto all'Islam moderato è la foglia di fico per tutti gli ignavi: questo fino a che non vedo un movimento politico organizzato, armato, che combatte contro l'altro Islam, in tutte le zone di guerra in corso. E l'Europa e Usa con loro. Senza gridare "Dio è dalla nostra parte" ma la" viva libertà" sì.»
Bruno Perlasca: 
«Ci mancherebbe che qualcuno dicesse che tutti i musulmani sono terroristi. Quello che ho detto è che la stragrande maggioranza dei musulmani sono CONTRO il terrorismo, anche perché molti lo pagano sulla loro pelle. È continuare a dire che l'Islam è in guerra con l'Occidente che è una solenne fesseria. »
Paolo Bolzani:
«non vedo (meno male) eserciti che impugnano la Bibbia. Gli eserciti che impugnano il Corano e il diffondersi di teocrazie islamiche sono invece il problema attuale, nei fatti qui ed ora". »
Bruno Perlasca: 
«Il problema esiste e va affrontato, ma nessuno riuscirà mai a convincermi che Cristianesimo ed Ebraismo siano le sole religioni "ontologicamente" compatibili con la libertà e che questa sia iscritta inevitabilmente nel loro destino, mentre l'Islam educhi inevitabilmente alla schiavitù e alla violenza. La situazione attuale è frutto della storia politica dei popoli. Le nostre radici culturali, che comprendono anche il paganesimo, non sono "geneticamente" inclini all'amore, alla pace e alla libertà. Pensarlo è una forma di presunzione intellettuale e genera discriminazione.»
Carlo Ferrario: 
«I cristiani non si ricordano dei roghi per gli eretici, della città di Beziers ("uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi", dei catari, dell'Inquisizione, delle crociate,della tratta dei neri d'Africa ecc.: non si può condannare i delitti degli altri se prima non ci si pente dei propri... Che coda sarebbe l'Italia in mano ai Salvini e ai Giuliano Ferrara!»
Paolo Bolzani: 
«O perbacco, Carlo. Ancora i roghi. Ti sei dimenticato delle crociate. Noi in occidente siamo andati avanti. L' Islam no. Non so su compatibilità ontologica, Bruno. Mentre tu la pensi come Obama e Cameron (il problema non è l'Islam) io la penso come al Sisi, che ha detto (8 gennaio)   “It’s inconceivable,” he said, “that the thinking that we hold most sacred should cause the entire umma [Islamic world] to be a source of anxiety, danger, killing and destruction for the rest of the world. Impossible!”  What a refreshingly honest statement to come from not only a political leader but a Muslim political leader who has much to lose, not least his life. Contrast his very true words with the habitual reassurances of the Western establishment that Islamic world violence is a product of anything and everything but Islam.  Even after the appearance of the Islamic State, politicians like U.S. President Obama and U.K. Prime Minister Cameron insist that the “caliphate” is not Islamic, despite all the evidence otherwise. Yet here is Sisi, the pious Muslim, saying that the majority of the terrorism plaguing the world today is related to the holy texts of Islam themselves: "That thinking [that is responsible for producing “anxiety, danger, killing and destruction” around the world] -- I am not saying “religion” but “thinking” -- that corpus of texts and ideas that we have sacralized over the centuries, to the point that departing from them has become almost impossible, is antagonizing the entire world. It’s antagonizing the entire world." https://m.youtube.com/watch?v=DEhNarfrlec
Gianfranco Giudice:
«Il problema è anche capire quali siano le vere ragioni della guerra in atto, quali gli interessi geopolitici in campo, che cosa sia esattamente l'Isis, perché il fondamentalismo religioso arriva dopo a giustificare la violenza, a motivare e arruolare i suoi soldati, non prima a causarla, anche perché il fondamentalismo esisteva anche prima che scoppiasse il caos in atto, ed era tenuto a bada, perché da venti anni a questa parte agisce come ideologia di guerra in modo efficace.»