CHECCO ZALONE MI RICORDA SC'VÈIK
Checco Zalone mi ricorda Sc’vèik, il personaggio simbolo di tutti gli anti-militaristi, anti-gerarchici, anti-borghesi, anti-vecchi barbosi paludati, anti-saccenti, anti-conformisti, anti-clericali, anti-signorebene-damedicarità, anti-funzionari statali imbolsiti, anti-soverchiatori da scrivania, anti-ignoranti che si riempiono la bocca di discorsi altisonanti. Sc’vèik è uno dei più eroici anti-eroi della letteratura. Un brano: [...] Mikulàšek tacque limitandosi a guardare atterrito il tenente. Se in quel momento si accorse finalmente di star seduto su tavolo, la sua disperazione dovette essere ancora maggiore, dato che i suoi piedi toccavano le ginocchia dell’ufficiale che gli stava seduto davanti. ”Insomma volete dirmi come vi chiamate?” esclamò dal basso il tenente verso Mikulàšek. Ma questi continuò a tacere. Come spiegò dopo, era stato colto da una sorta di intorpidimento all’improvviso arrivo del tenente. Avrebbe voluto scender giù, ma non ci era riuscito, avrebbe voluto rispondere, ma non gli era stato possibile, avrebbe voluto smettere di fare il saluto, ma non c’era stato verso. ”Faccio rispettosamente notare, signor Oberleutenant,” si sentì Sc’vèik, ”che la pistola non è carica.” ”Faccio rispettosamente notare, signor Oberleutenant, che non abbiamo cartucce, e che sarà un bell’affare abbatterlo giù dal tavolo. Mi permetto di osservare, signor Oberleutenant, che si tratta di Mikulàšek, attendente del maggiore Wenzl. È uno che perde sempre la parola ogni volta che vede qualcuno dei signori ufficiali. Si vergogna proprio di parlare. Come dico, è per l’appunto una meschina bestia, un bolso. Il signor maggiore Wenzl lo pianta sempre nel corridoio quando va in città, e lui gironzola come un derelitto nella baracca passando da un attendente all’altro. Avesse almeno motivo per temere qualcosa, ma invece non ha combinato niente di male.” Sc’vèik sputò, e dalla sua voce, e dal fatto che trattava Mikulàšek da animale, si avvertiva il suo completo disprezzo per l’inettitudine dell’attendente del maggiore Wenzl e per il suo comportamento tutt’altro che marziale. ”Permetta,” continuò Sc’vèik, ”che gli dia un’annusata.” Sc’veik tirò giù Mikulàšek, che continuava ancora a guardare il tenente con occhi inebetiti, e, depostolo a terra, gli annusò i pantaloni. ”Ancora no,” dichiarò, ”ma sta già cominciando. Debbo buttarlo fuori?” ”Buttatelo fuori, sì!” Sc’vèik condusse nel corridoio il tremolante Mikulàšek, chiuse la porta alle sue spalle e gli disse: ”E così, scemo che non sei altro, ti ho salvato la vita! […]”