giovedì 30 novembre 2017



IL RICHIAMO DI CTHULHU
Di Howard P. Lovecraft
The Call of Cthulhu, The Shadow over Innsmouth © 1994
Il fantastico Economico Classico - N° 26 - 9 luglio 1994
Il richiamo di Cthulhu
(Manoscritto ritrovato fra le carte dello scomparso
Francis Wayland Thurston, di Boston)

1.
Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della
mente umana a mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su
una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell'infinito, e non
era destino che navigassimo lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella
propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la
connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti
della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo
pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella
sicurezza di un nuovo Medioevo.
I teosofi hanno intuito l'imponente grandezza del ciclo cosmico, del
quale il nostro mondo e la razza umana costituiscono solo episodi
transitori. Essi hanno alluso a strane sopravvivenze in termini che
gelerebbero il sangue se non fossero mascherati da un blando ottimismo.
Ma non è da loro che viene quell'unica visione di eoni proibiti che mi
agghiaccia il sangue quando ci penso e mi fa impazzire quando la sogno.
Quella visione, come tutte le temibili visioni della verità, è stata il risultato
di una fortuita connessione di elementi separati: nello specifico, un
vecchio articolo di giornale e gli appunti di un professore morto. Spero che
nessun altro effettuerà questa connessione; certamente, se vivrò, non
fornirò mai coscientemente un anello di una catena così spaventevole.
Ritengo che anche il professore intendesse mantenere il silenzio intorno
alla parte che conosceva, e che avrebbe distrutto i suoi appunti, se la morte
non l'avesse colto all'improvviso.
La mia conoscenza della cosa ebbe inizio nell'inverno 1926-27 con la
morte del mio prozio, George Gammell Angeli, Professore Emerito di
Lingue Semitiche alla Brown University, a Providence, Rhode Island. Il
Professor Angeli era un'autorità ampiamente riconosciuta nel campo delle
iscrizioni antiche, e veniva consultato di frequente dai direttori di musei
importanti; cosicché la sua morte, all'età di novantadue anni, è forse
ricordata da molti.
Localmente, l'interesse fu amplificato dal mistero circa le cause del suo
decesso. Il professore era morto mentre tornava dal battello proveniente da
Newport; era caduto all'improvviso, come dissero i testimoni, dopo essere
stato urtato da un negro dall'aspetto di marinaio, che era uscito da uno dei
bizzarri cortili bui che si aprivano lungo il ripido pendio, una scorciatoia
dalla banchina alla casa del defunto in William Street. I medici non furono
in grado di trovare alcun disturbo evidente, ma conclusero, dopo un
confuso dibattito, che qualche misteriosa lesione al cuore, causata dalla
veloce salita di un pendio così scosceso da parte di un uomo così anziano,
fosse responsabile della fine. All'epoca, non vidi i motivi di dissentire da
questa diagnosi, ma ultimamente sono propenso a dubitarne, e non poco.
In qualità d'erede ed esecutore del mio prozio, visto che era vedovo e
senza figli, mi spettava esaminare le sue carte con una certa accuratezza; e,
a questo scopo, trasferii tutti i suoi schedari e le sue casse nel mio
appartamento di Boston. Gran parte del materiale che riunii verrà in
seguito pubblicato dalla American Archeological Society, ma c'era una
cassa che mi lasciò estremamente perplesso, e che mi sentii molto
riluttante a mostrare ad occhi estranei. Era chiusa, e non ne trovai la chiave
finché non mi venne in mente di esaminare il portachiavi personale che il
professore portava sempre in tasca. Fu così che riuscii ad aprirla, ma,
quando l'ebbi fatto, mi parve solo di trovarmi di fronte ad un ostacolo
ancora più grande chiuso ancora più ermeticamente.
Infatti, quale poteva essere il significato dello strano bassorilievo in
argilla e degli appunti, delle divagazioni e dei ritagli senza senso che vi
trovai accanto? Forse mio zio, negli ultimi anni della sua vita, era
diventato credulone a tal punto da dar fede alle imposture più superficiali?
Decisi di trovare l'eccentrico scultore responsabile di quell'evidente
disturbo della pace mentale del vecchio.
Il bassorilievo era un rettangolo approssimativo, di circa dieci centimetri
per dodici e dello spessore di un paio; era palese mente di origine
 moderna. I disegni, però, erano lontani dalla modernità, nell'atmosfera e
nelle allusioni; infatti, sebbene i ghiribizzi del cubismo e del futurismo
siano molti e bizzarri, essi spesso non riproducono quella regolarità
enigmatica che si cela nella scrittura preistorica.
E scrittura di un qualche genere, senza dubbio, sembrava la maggior
parte di quei disegni; benché il mio ricordo, nonostante la grande
familiarità con le carte e le collezioni di mio zio, non riuscisse ad
identificare in alcun modo quel tipo particolare, e nemmeno ad avere
un'idea delle sue parentele più lontane.
Al di sopra di quegli evidenti geroglifici, c'era una figura che aveva un
chiaro intento pittorico, sebbene l'esecuzione impressionistica impedisse di
farsi un'idea molto nitida della sua natura. Sembrava trattarsi di una sorta
di mostro, o di simbolo che rappresentava un mostro, con una forma che
solo una fantasia malata avrebbe potuto concepire.
Se affermo che la mia immaginazione, alquanto stravagante, produsse le
visioni simultanee di un polipo, di un drago e di una caricatura umana, non
sarò infedele allo spirito della cosa. Una testa polposa, tentacolare,
sormontava un corpo grottesco e squamoso, munito di ali rudimentali; ma
era il profilo generale del tutto che lo rendeva sconvolgente e spaventoso
in massimo grado. Alle spalle della figura si intuiva vagamente uno sfondo
architettonico di dimensioni ciclopiche.
Gli scritti che accompagnavano quella stranezza, a parte un mucchio di
ritagli di giornale, erano vergati nella grafia più recente del Professor
Angeli, e non avevano alcuna pretesa di stile letterario. Quello che
sembrava il documento principale era intitolato Il Culto di Cthulhu, in
caratteri impressi con cura per evitare la lettura erronea di una parola così
inaudita.
Questo manoscritto era diviso in due sezioni, la prima delle quali era
intitolata: «1925 - Sogno e Opera Onirica di H.A. Wilcox, residente al
numero 7 di Thomas Street, Providence, Rhode Island», e la seconda:
«Resoconto dell'Ispettore John R. Legrasse, residente al numero 121 di
Bienville Street, New Orleans, Lousiana, alla riunione dell'American
Archeological Society del 1908 - Note al Medesimo, e resoconto del Prof.
Webb».
Le altre carte manoscritte consistevano tutte in brevi appunti: alcuni
erano i resoconti degli strani sogni di varie persone, altri erano citazioni da
libri e riviste teosofiche (degno di nota Atlantis and the Lost Lemuria di
W. Scott-Elliot), e il resto erano commenti a brani tratti da fonti
mitologiche e antropologiche, quali il Ramo d'oro di Frazer e La
Stregoneria in Europa occidentale della Murray. I ritagli invece si
riferivano in gran parte a bizzarre malattie mentali e ad esplosioni di follia
o pazzia collettiva nella primavera del 1925.
La prima metà del manoscritto principale raccontava una storia
particolarissima. A quanto sembrava, il primo marzo del 1925, un giovane
magro, scuro, di aspetto nervoso ed eccitato, si era presentato al Professor
Angeli con quel singolare bassorilievo in argilla, che allora era
estremamente umido e fresco. Il biglietto da visita portava il nome di
Henry Wilcox, e mio zio riconobbe nel ragazzo il figlio minore di
un'eccellente famiglia a lui nota.
Il giovane, negli ultimi tempi, aveva cominciato a studiare scultura alla
Rhode Island School of Design e viveva da solo nel Fleur-de-Lys Building,
nei pressi di quell'Istituto. Wilcox era un giovane precoce, di genio
riconosciuto ma di grande eccentricità e, fin dall'infanzia, aveva attirato
l'attenzione grazie agli strani racconti ed ai sogni insoliti che aveva
l'abitudine di raccontare.
Si definiva «un ipersensitivo psichico», ma la gente seria dell'antica città
mercantile lo liquidava chiamandolo semplicemente «bizzarro». Dal
momento che non si mescolava mai troppo ai propri simili, era a poco a
poco scomparso dalla società, ed era ormai noto solo ad un gruppetto di
esteti di altre città. Perfino il Providence Art Club, ansioso di preservare il
proprio conservatorismo, lo aveva trovato irrecuperabile.
Durante la visita, diceva il manoscritto del professore, lo scultore aveva
chiesto improvvisamente l'aiuto delle conoscenze archeologiche del suo
ospite per identificare i geroglifici che erano sul bassorilievo. Parlava in
una maniera ampollosa, sognante, che faceva pensare ad una posa, e gli
alienava le simpatie; e mio zio mostrò una certa durezza nel rispondere,
visto che l'evidente freschezza del bassorilievo poteva implicare l'affinità
con qualsiasi cosa, tranne che con l'archeologia.
La replica del giovane Wilcox, che impressionò mio zio a tal punto da
fargliela ricordare e riportare testualmente, aveva l'impronta fantasiosa e
poetica che doveva caratterizzare tutta la sua conversazione, e che, in

seguito, ho trovato estremamente tipica in lui.


FILOSOFIA
Di Gianfranco Giudice
Nella sua essenza la filosofia è concettualizzazione astratta e incatenare concetti, usando le parole e i ragionamenti come fossero viti, chiodi, bulloni, cacciavite, martello, chiave inglese. Nella sua essenza la filosofia è astrazione logica, similmente alla matematica. Quando provi a farla così la filosofia nelle classi, ecco che misuri la sempre maggiore difficoltà dei ragazzi alla concettualizzazione, il loro arrancare con gli sguardi. Un tempo per me insegnare filosofia era principalmente astrazione arricchita da concretezza e immaginazione, ora è sempre più il contrario. Hegel diceva che la filosofia è il proprio tempo appreso col pensiero, dunque la sfida oggi è educare i ragazzi a pensare il loro tempo, a partire da come loro mettono in atto il pensiero. Non è semplice nell'epoca del pensare immediato, in tempo reale, tutto schiacciato sul qui ed ora.

lunedì 27 novembre 2017



APPLE TREE YARD
By Louise Doughty
Excerpt
[...]Sex with you is like being eaten by a wolf.[...]

Dear X,
It is three o’clock in the morning, my husband is asleep downstairs, and I am in the attic room writing a letter to you—a man I have met only once and will almost certainly never meet again. I appreciate that it is a little strange to be writing a letter that will never be read, but the only person I will ever be able to talk to about you, is you.
X. It pleases me that it’s actually a genetic reversal—the X chromosome, as I’m sure you know, is what denotes the female. The Y is what gives you increased hair growth around the ears as you age and you may also have a tendency toward red-green color blindness as many men do. There’s something in that that is pleasing too, considering where we were earlier today. Tonight, right now, synergy is everywhere. Everything pleases me.
My field is protein sequencing, which is a habit hard to break. It spreads through the rest of your life—science is close to religion in that respect. When I began my postdoc, I saw chromosomes everywhere, in the streaks of rain down a window, paired and drifting in the disintegrating vapor trails behind an airplane.
X has so many uses, my dear X—from a triple X film to the most innocent of kisses, the mark a child makes on a birthday card. When my son was six or so, he would cover cards with X’s for me, making them smaller and smaller toward the edge of the card, to squeeze them on, as if to show there could never be enough X’s on a card to represent how many X’s there were in the world.
You don’t know my name and I have no plans to tell you, but it begins with a Y—which is another reason why I like denoting you X. I can’t help feeling it would be disappointing to discover your name. Graham, perhaps? Kevin? Jim? X is better. That way, we can do anything.
At this point in the letter, I decided I needed the loo, so I stopped, left the room, returned two minutes later.
I had to break off there. I thought I heard something downstairs. My husband often gets up to use the toilet in the night—what man in his fifties doesn’t? But my caution was unnecessary. If he woke and found me missing, it would not surprise him to discover me up here, at the computer. I have always been a poor sleeper. It is how I have managed to achieve so much. Some of my best papers were written at three in the morning.
He is a kindly man, my husband, large, balding. Our son and daughter are both in their late twenties. Our daughter lives in Leeds and is a scientist too, although not in my field, her speciality is hematology. My son lives in Manchester at the moment, for the music scene, he says. He writes his own songs. I think he’s quite gifted—of course, I’m his mother—but he hasn’t quite found his métier yet, perhaps. It’s possibly a little difficult for him having a very academic sister—she’s younger than him, although not by much. I managed to conceive her when he was only six months old.
But I suspect you are not interested in my domestic life, any more than I am interested in yours. I noticed the thick gold wedding ring on your finger, of course, and you noticed me noticing, and at that point we exchanged a brief look in which the rules of what we were about to do were understood. I imagine you in a comfortable suburban home like mine, your wife one of those slender, attractive women who look younger than their age, neat and efficient, probably blond. Three children, at a guess, two boys and one girl, the apple of your eye? It’s all speculation, but I’m a scientist, as I’ve explained, it’s my job to speculate. From my empirical knowledge of you I know one thing and one thing only. Sex with you is like being eaten by a wolf. "

domenica 26 novembre 2017


LETTERE A UN GIOVANE POETA
Rainer Maria Rilke 

"[...]perché in fondo, e proprio nelle cose più profonde e importanti, noi siamo anonimamente soli, e affinché uno possa consigliare o aiutare un altro, molto deve succedere, molto deve riuscire, un’intera costellazione di cose deve avverarsi affinché vada bene una volta[...]"
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Viareggio nei pressi di Pisa (Italia), 5 aprile 1903.
"Deve perdonarmi, caro ed egregio signore, se solo oggi ricordo con gratitudine la Sua lettera del 24 febbraio: sono stato tutto il tempo sofferente, non proprio malato ma oppresso da una spossatezza simile a quella causata dall’influenza, che mi ha reso incapace di fare tutto. E quindi, dato che la cosa non voleva cambiare affatto, mi sono recato in questo mare del sud, i cui benefici già una volta mi hanno aiutato. Ma non sto ancora bene, scrivere mi viene difficile, e quindi queste poche righe deve prenderle per molto più.
Naturalmente deve sapere che mi allieterà sempre con le Sue lettere, e deve solo essere indulgente nei confronti della risposta che forse, spesso, La lascerà a mani vuote; perché in fondo, e proprio nelle cose più profonde e importanti, noi siamo anonimamente soli, e affinché uno possa consigliare o aiutare un altro, molto deve succedere, molto deve riuscire, un’intera costellazione di cose deve avverarsi affinché vada bene una volta.
Io oggi volevo dirLe solo due cose: ironia.
Non si faccia dominare da essa, specialmente nei momenti non creativi. In quelli creativi cerchi di servirsene più che altro come un mezzo per afferrare meglio la vita. Se utilizzata in modo pulito, anch’essa è pura e non c’è da vergognarsene; e se si sente troppo confidente con essa, se teme questa crescente familiarità, allora si rivolga a oggetti grandi e seri davanti ai quali essa diverrà piccola e indifesa. Cerchi la profondità delle cose: lì non scende mai l’ironia, e se si mantiene così al limite del grandioso, verificherà allo stesso tempo se questo modo di approcciarsi nasce da una necessità del Suo proprio essere. Infatti, sotto l’influsso di oggetti seri, essa o cadrà via da Lei (se è qualcosa di accidentale) oppure (se davvero Le appartiene in modo innato) si rafforzerà fino a diventare un vero e proprio arnese e si inserirà all’interno della serie degli strumenti con cui Lei dovrà modellare la propria arte.
La seconda cosa di cui volevo parlarLe oggi è questa:
di tutti i miei libri solo pochi mi sono indispensabili, e due sono sempre tra le mie cose, là dove sono anch’io. Anche qui mi stanno appresso: la Bibbia e i libri del gran poeta danese Jens Peter Jacobsen. Mi chiedo se conosce le sue opere. Se le può procurare facilmente perché una parte di esse è stata pubblicata nella Biblioteca Universale della Reclam (Reclams Universal-Bibliothek) in una traduzione molto buona. Si procuri il volumetto Sei novelle di J. P. Jacobsen e il suo romanzo Niels Lyhne, e cominci con la prima novella del volumetto, che si intitola Mogens. Un intero mondo Le verrà addosso, la fortuna, la ricchezza, l’imperscrutabile grandezza di un mondo. Viva per qualche tempo in questi libri, impari da essi ciò che Le sembra degno di essere appreso, ma soprattutto li ami. Questo amore Le verrà ricambiato al mille per mille e, qualsiasi cosa possa accaderLe nella vita, esso – ne sono certo – procederà attraverso il tessuto del Suo divenire come uno dei fili più importanti tra tutti i fili delle Sue esperienze, delusioni e gioie.
Se devo dire da chi ho appreso qualcosa sull’essenza della creatività, sulla sua profondità ed eternità, sono solo due i nomi che posso fare: quello di Jacobsen, il grande, grande poeta, e quello di Auguste Rodin, lo scultore che non ha pari tra tutti gli artisti oggi in vita.
Ogni successo sul Suo cammino!
Suo
Rainer Maria Rilke
Tradotto da: R. M. Rilke, Briefe an einen jungen Dichter, mit einem Vorwort von Joachim W. Storck, Zürich


PAZZIA
Gianfranco Giudice
Estratto da " Con il sigaro in bocca"

" Il tema della pazzia aveva catturato l’attenzione del ragazzo, che a questo punto mi chiede qualcosa che non aveva mai capito bene: «Pa’ vedo che la follia ti interessa molto, per questo hai scritto un libro sul manicomio della città? Mi dici come ti è nata questa idea?». Mi aspettavo la domanda, ero pronto: «Da piccolo abitavo vicino al manicomio, così mi capitava spesso tornando a casa con l’autobus di vedere lungo la strada, oltre il recinto dell’Ospedale psichiatrico, una fila di matti assiepati con le loro facce strane. Alcuni ridevano salutando le macchine che passavano, altri avevano la faccia buia e triste, alcuni facevano movimenti strani con le mani e il viso; insomma ai miei occhi di bambino si rivelavano figure davvero bizzarre e alcune veramente sconvolgenti. A volte si incontrava qualche malato di mente anche in giro nel quartiere vicino a dove sorgeva il manicomio provinciale, alcuni di loro mi facevano paura. Era l’epoca in cui i cancelli dei vecchi manicomi cominciavano ad aprirsi; fino ad allora, parlo di circa quarant’anni fa, il matto era considerato come un carcerato. Molti anni dopo ritornai a visitare il manicomio, poco prima della sua chiusura definitiva. Vedendo le persone ancora recluse tra quelle mura e in quei corridoi squallidi, nonostante la legge stabilisse da tempo la loro chiusura, rimasi profondamente impressionato e colpito, al punto da mettermi a piangere quando la sera tornai a casa dopo quella visita. Quella esperienza è rimasta scolpita dentro di me, al punto che tanti anni dopo ho deciso di dedicarmi ad una vera ricerca storica sull’argomento. Dopo avere scavato e studiato i documenti negli archivi, ho scritto e pubblicato una storia del manicomio della mia città. La cosa singolare è però un’altra; l’idea di scrivere il libro, di sprofondare completamente per circa tre anni nello studio dei registri e delle cartelle cliniche dell’Ospedale psichiatrico provinciale, venne proprio in un momento particolarmente difficile della mia vita, quando tu eri ancora un bambino. Proprio in quel periodo  ritornò in me l’esperienza del manicomio, l’esperienza della vita che si ritiene insensata. Probabilmente avevo bisogno di ritornare lì per riaprire l’orizzonte di senso della mia vita. Avevo bisogno di rivedere la dialettica insuperabile, insomma il legame stretto che esiste per noi uomini tra senso e non senso, dove ogni termine si alimenta e vive confrontandosi perennemente con quello opposto, un po’ come la luce e l’ombra. Ricordi… è la stessa dialettica di cui parlavi prima?». «Sì, Pa’, ricordo, è molto interessante quello che dici sul libro che hai scritto», risponde mio figlio." ("Con il sigaro in bocca. Dialogo con mio figlio sul senso della vita")




MOLESTIE "LETTERARIE" 
Giorgio Bassani 
"Il Giardino  dei Finzi-Contini" Einaudi 
"Quando ebbi finito, mi sfiorò la manica della giacca con una lieve carezza. Allora mi inginocchiai di fianco al letto, l'abbracciai, la baciai sul collo, sugli occhi, sulle labbra. E lei mi lasciava fare, però sempre fissandomi, e, con piccoli spostamenti del capo, cercando sempre di impedirmi che la baciassi sulla bocca.«No... no...» non faceva che dire. «Smettila... ti prego... Sii buono... No, no... può venire qualcuno... No.»Inutile. Piano piano, prima con una gamba poi con l'altra, montai sul letto. Ora le gravavo addosso con tutto il peso. Continuavo a baciarla ciecamente sul volto, non riuscendo tranne che di rado a incontrare le sue labbra, né mai ottenendo che abbassasse le palpebre. Infine le nascosi il viso nel collo. E mentre il mio corpo, quasi per proprio conto, si agitava convulso sopra quello di lei, immobile sotto le coperte come una statua, di colpo, in uno schianto subitaneo e terribile di tutto me stesso, ebbi il senso preciso che stavo perdendola, che l'avevo perduta.Fu lei la prima a parlare.«Alzati, per piacere» udii che diceva, vicinissima al mio orecchio. «Così non respiro.»"




SONNO DELLA RAGIONE. 
Scrive Michele Magno:"Nel gioco della torre, Bersani chi butterebbe giù tra Berlusconi e Di Maio? Mai domanda fu più retorica. Sorvoliamo pure sul suo endorsement pro Grillo a Ostia. Ma più viene insultato dallo “sceriffo della rete” e più continua a sostenere che il M5s è una forza di centro dei tempi moderni; che costituisce un argine alla deriva neofascista; e che, se alle prossime elezioni si indebolisse troppo, arriverebbe una “robaccia” di destra. Siamo ben al di là della soglia del ridicolo: o è puro masochismo, o ci troviamo di fronte a una specie di sindrome di Stoccolma. Un movimento conservatore di massa viene presentato addirittura come potenziale interlocutore da un neopartito che ha come ragione sociale il primo articolo della Costituzione, antitetico all’idea del reddito di cittadinanza. Chissà: può darsi che Bersani, incarnazione del buon senso contadino con le sue mirabolanti metafore agresti, si sia convertito all’utopismo naïf della decrescita felice caro alla Casaleggio Associati. Una ditta traboccante di risentimento contro la “casta” e di sfiducia nella scienza: questa sarebbe una forza di centro? Se poi, più che su una grottesca cultura politica, si gettasse lo sguardo sul martellante squadrismo verbale contro la democrazia parlamentare, qualsiasi ipotesi di dialogo dovrebbe essere considerata indecente. D’Alema ha però obiettato che gli elettori del M5s sono tanti, e che con loro bisogna parlare. Va da sé: con gli elettori bisogna sempre parlare, anche con quelli della Lega e di Forza Italia, per convincerli con buoni argomenti a cambiare cavallo. In conclusione, occorrerebbe chiedersi perché le pittoresche pulsioni di tipo plebiscitario dei pentastellati sono viste con simpatia in taluni ambienti politici e intellettuali della sinistra radicale. Sonno della ragione, abbaglio teorico, sintomo di quel clima sempre più ostile al renzismo in cui si è consumato il fallimento della riforma costituzionale? Confesso di non avere risposte certe. Forse non resta che sperare in congiunzioni astrali più benigne per le sorti del Belpaese.

venerdì 24 novembre 2017


TEMPI ACCELERATI 
Marc Fumaroli [Chateaubriand. Poesia e terrore, Adelphi, Milano 2009], nel capitolo dedicato al rapporto di Chateaubriand  con Louis de Fontanes:
“[...] la modernità fa vivere gli uomini in un tempo pubblico artificialmente accelerato, secondo un ritmo brutale che sconvolge il tempo naturale e quello intimo; per quanto migliorata possa sembrare in superficie la vita umana, essa è interiormente più devastata e più schiava nei suoi movimenti che nei tempi più duri, ma più lenti e fecondi, nei quali la mente e il cuore non erano prematuramente sconvolti da un perpetuo «impatto del nuovo»”. [p. 141]

domenica 19 novembre 2017



IL LIMITE
Di Gianfranco Giudice 
Estratto da "Con il sigaro in bocca"
«Spiegami meglio la questione del limite, non è molto chiara», mi interrompe il ragazzo.      
«Vediamo se riesco a spiegarmi meglio. Qual è il limite a cui fermarsi, se lo scopo è aumentare i soldi? Non c’è. Infatti  si può  accumulare denaro senza fermarsi mai. Se si pensa che il fine della vita sia possedere belle macchine o belle donne o uomini considerati come oggetti, a quale numero di macchine, donne o uomini fermarsi? Non esiste un numero limite fino a che ci saranno soldi o altri mezzi a disposizione. Così pure se scopo è il bere, quando arriverà il limite? Solo quando si starà così male da non poter più bere. Mi viene in mente anche un altro esempio molto attuale». «A cosa pensi?», chiede mio figlio, ed io: “Penso ai social network, tipo facebook; anche questo diventa un consumo assurdo ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette che alimenta una impresa che fa profitti sulla pubblicità, con l’illusione della libertà assoluta che ciascuno pensa di avere nel postare qualunque cosa gli passi per la mente in ogni momento». Filippo mi chiede  incuriosito: «Beh, in effetti è anche così, perché illusione Pa’ ?». Devo spiegarmi meglio evidentemente: «Da un certo punto di vista certo che esiste questa libertà, facebook permette infatti  di comunicare con persone lontane, condividere e scambiare pensieri, immagini con altri. Però pensaci bene; chi sono queste centinaia e migliaia di “amici fb”? Alcuni fanno a gara a chi ne ha di più; non sono amici, come dicevamo. Ma poi, se è bello comunicare e scambiare parole e immagini con altri, che senso ha farlo in modo compulsivo e per qualunque cosa? La prima cosa che ti passa per la mente la devi postare su fb, non osservi più nulla attorno a te, se non per fotografare e postare su fb; così diventa una attività frenetica, compulsiva. Stai sempre attaccato allo smartphone a guardare le notifiche per rispondere e commentare, mettere “mi piace”, “condividere” e altre operazioni simili. Per molti diventa una vera e propria follia. Il rischio delle tecnologie più moderne e sofisticate, a differenza di quelle più tradizionali, è proprio quello di assorbire ogni istante della tua vita.  Anche qui come vedi, un mezzo utile per scambiare e comunicare quale dovrebbe essere un social network, diventa  invece lo scopo principale dell'esistenza quotidiana  per tantissime persone; il fine che assorbe moltissime energie, al punto che  per numerose persone il mondo in cui vivono è quello di fb, quella è la realtà. Conosco tante persone la cui prima azione quotidiana infatti è connettersi a facebook, invece di guardare il cielo fuori dalla finestra!» ("Con il sigaro in bocca. Dialogo con mio figlio sul senso della vita")
Il libro per chi fosse interessato è disponibile a Como al Libraccio e alla libreria la Giuridica, alla Libooks di Cantù, alla libreria di Luigi Torriani a Canzo e in altre ancora.


PRIMO INCONTRO
Dopo tanto scriverci e sentirci al telefono ci incontriamo in un bar..La sala è grande e ci sediamo in fondo. Siamo seduti al tavolino l'uno accanto all'altra Siamo lontani dal bancone in un angolo in penombra. Parliamo fitto fitto, per vincere l'imbarazzo di quell'incontro a lungo desiderato. Tu ti sei levata la giacca e porti un T-shirt. Siamo di fronte, ma mentre ti parlo mi avvicino con la sedia e  la mia spalla sinistra sfiora la tua spalla destra. La mia  mano scende sulla tua coscia e tiro su la gonna per poter appoggiarla sulla pelle del  tuo ginocchio , e sfiorarlo con una presa leggera, per capire la tua reazione, data la situazione di un posto pubblico. Non reagisci e mi guardi mentre continuo con lentezza a muovere le dita e salire verso il caldo del tuo interno coscia. Sento un tuo  brivido leggero che altera  il tono della  tua voce, mentre continui a raccontarmi come se niente stesse succedendo. Guardo  i tuoi occhi che non riescono a nascondere il  desiderio. Tolgo la mia mano e cerco la tua che sta appoggiata sul tavolino  La prendo con delicatezza e la porto sotto il ripiano,la guido e la tengo premuta per farti sentire il mio desiderio. Sento che la muovi piano, continuiamo a guardarci, i respiri leggermente alterati. "Abbiamo bisogno di un altro posto per fare questo". Non avrei mai pensato di sentirti dire questo. Sorrido, ti lascio la mano, che fai riemergere sopra il tavolo. Usciamo, in silenzio e ci avviamo verso la mia macchina. In mezz'ora saliamo a casa mia. Entriamo. Ti tiro a me, ti circondo la vita con le braccia, mi chino e ti bacio. Tu mi assecondi: mi concedi la tua bocca. Mi rispondi con trasporto cercandomi profondamente, come se dovesse finire tutto in un attimo, come se fosse l'ultima cosa che potremo fare, l'unica possibilità. Ti sento pronta. Ti tolgo la giacca, ti sfilo la T-shirt e poggio le mani sui tuoi seni. Stringo mentre dalle coppe del reggiseno faccio emergere le punte turgide e mi piego perché la mia voglia sia sazia.

venerdì 17 novembre 2017




LE SERPENT QUI DANSE
Di Charles Baudelaire
Que j’aime voir, chère indolente,
De ton corps si beau,
Comme une étoffe vacillante,
Miroiter la peau !
Sur ta chevelure profonde
Aux âcres parfums,
Mer odorante et vagabonde
Aux flots bleus et bruns,
Comme un navire qui s’éveille
Au vent du matin,
Mon âme rêveuse appareille
Pour un ciel lointain.
Tes yeux où rien ne se révèle
De doux ni d’amer,
Sont deux bijoux froids où se mêlent
L’or avec le fer.
A te voir marcher en cadence,
Belle d’abandon,
On dirait un serpent qui danse
Au bout d’un bâton.
Sous le fardeau de ta paresse
Ta tête d’enfant
Se balance avec la mollesse
D’un jeune éléphant,
Et ton corps se penche et s’allonge
Comme un fin vaisseau
Qui roule bord sur bord et plonge
Ses vergues dans l’eau.
Comme un flot grossi par la fonte
Des glaciers grondants,
Quand l’eau de ta bouche remonte
Au bord de tes dents,
Je crois boire un vin de bohême,
Amer et vainqueur,
Un ciel liquide qui parsème
D’étoiles mon cœur !

SERPENTE CHE DANZA
Charles Baudelaire
"Quanto mi piace, adorata indolente,
del tuo corpo così bello
vedere come tessuto cangiante 
luccicare la pelle!
Sulla tua capigliatura profonda
dagli acri profumi,
mare odorante e vagabondo, 
dai flutti azzurri e bruni,
simile a un battello che si sveglia 
al vento del mattino,
l'anima sognatrice alza le vele
verso un cielo lontano.
I tuoi occhi in cui nulla si rivela
di dolce né d'amaro,
sono gioielli freddi in cui si lega
il ferro all'oro.
Quando cammini con quella cadenza,
bella d'abbandono,
fai pensare a un serpente che danza 
in cima ad un bastone. 
Sotto il fardello della tua pigrizia
la tua testa d'infante
dondola mollemente con la grazia 
d`un giovane elefante,
e il tuo corpo si inclina allungandosi
come un vascello sottile 
che fila ripiegato spenzolando 
i suoi alberi in mare. 
Come rivo ingrossato dalla fonte 
dei ghiacciai rombanti,
quando l'acqua della tua bocca rimonta 
fino all'orlo dei denti, 
mi par di bere un vino di Boemia 
amaro e vincitore, 
un firmamento liquido che semina 
di stelle il mio cuore!"



Nuvole
Di Czeslaw Milosz
Nuvole, mie terribili nuvole,
come batte il cuore, è triste la terra,
nubi, nuvole bianche e silenziose,
vi guardo all’alba con occhi di pianto
e so che in me alterigia, bramosia
e crudeltà e il seme del disprezzo
per un sonno morto intessono il giaciglio
e i più bei colori della mia menzogna
hanno nascosto il vero. Chino gli occhi
e sento il turbine che m’attraversa,
ardente, secco. Oh, terribili siete,
nuvole, guardiani del mondo! Ch’io dorma,
possa la notte avvolgermi pietosa.
Vilna, 1935

Testi tratti da “Czeslaw Milosz; Poesie, Adelphi).





mercoledì 15 novembre 2017




ERA UN MATTINO DI SETTEMBRE
Carlos Drummond De Andrade
Era un mattino di settembre
e
lei mi baciava il membro

Aerei e nuvole passavano
cori neri rimbombavano
lei mi baciava il membro

Il mio tempo di ragazzo
il mio tempo ancor futuro
tutti insieme rifiorivano

Lei mi baciava il membro
Un uccellino cantava,
nel cuore dell'albero, nel cuor
della terra, di me, della morte

Morte e primavera in fiore
si disputavano l'acqua chiara
acqua che accresceva la sete

Lei mi baciava il membro
Tutto quello che ero stato
quanto mi era già negato
non aveva ormai più senso

Solo la rosa contratta
il tallo ardente, una fiamma
e quell'estasi nell'erba

Lei mi baciava il membro
Di tutti i baci era il più casto
in quella purezza spoglia
che é delle cose donate

Non era omaggio di schiava
avviluppata nell'ombra
ma regalo di regina

che diventava cosa mia
mi circolava nel sangue
e dolce e lento e vagante

come bacio di una santa
nel più divino trasporto
e in un fremito solenne

baciava baciava il membro
Pensando al resto degli uomini
che pena avevo di loro
prigionieri in questo mondo

Il mio impero si estendeva
a tutta la spiaggia deserta
e ad ogni senso all'erta

Lei mi baciava il membro
Il capitolo dell'essere
il mistero di esistere
la delusione d'amare

eran tutto onde silenti
spente su moli lontani
e una città si ergeva

radiosa di pietre rare
e di odi ormai placati
e sulla brezza il piacere

veniva a portarmi via
se prima non mi afflosciava
come un capello si alliscia

e mi scombussolava
in cerchi tutti concentrici
nella foschia dell'universo

Baciava il membro
baciava
e se ne moriva baciando
per rinascere a settembre


AMOR - COME PAROLA ESSENZIALE
Carlos Drummond De Andrade
Amor - come parola essenziale
dia inizio alla canzone e la sostanzi.
Amor guidi il mio verso e, nel guidarlo,
unisca anima e sesso, membro e vulva.

Chi osa dir di lui che é solo anima?
Chi non sente nel corpo l'anima espandersi
fino a sbocciare in un vivido grido
d'orgasmo, in un istante d'infinito?

Il corpo avvinghiato a un altro corpo,
fuso, dissolto, torna all'origine
degli esseri, che Platone vide completi:
é uno, in due perfetto: due in uno.

Integrazione a letto o già nel cosmo?
Dove ha fine la stanza e giunge agli astri?
Che forza qui nei fianchi ci trasporta
a quell'estrema regione, eterea, eterna?

Al delizioso tocco della clitoride,
tutto, ecco, si trasforma, in un baleno.
In un minuscol punto di quel corpo,
la fonte, il fuoco, il miele si concentrano.

La penetrazione via via squarcia le nubi
e svela soli tanto sfolgoranti
che mai l'umana vista ha sopportato,
ma, trafitto di luce, continua il coito.

E continua e si estende in tale guisa
che, oltre noi, oltre la stessa vita,
come attiva astrazione che si fa carne,
l'idea di godere sta godendo.

E in un patir di gaudio, tra parole,
anzi di meno, suoni, ansimi, ahi,
solo un piacere in noi raggiunge l'apice:
é quando l'amore muore d'amor, divino.

Quante volte moriamo l'uno nell'altro,
nell'umida caverna vaginale,
di quella morte che é dolce più del sonno:
la quiete dei sensi, soddisfatta.




Allora si instaura la pace. Pace di dei,
adagiati sul letto, come statue
vestite di sudore, grate per quanto
ad un dio aggiunge l'amor terreno.

VA DA SOLO
Non gli importa. Il mio si basta.
Esiste dell'altro? Mah! - 
Va da solo, nel miracolo
di un nuovo turgore.
Pienamente gode 
per conto suo e per me. 
E ama.
Pensando a te.
A letto si agita. 
Vuole essere toccato, accarezzato. Onde s'innalzano e scendono
 e si battono verso una spiaggia infinita.
Lambìto dall' onda si placa e attende,
un nuovo splendore. 

martedì 14 novembre 2017


Lo Specchio
Di Valentina Versi
Ogni volta che usciva restava
Uno che gli assomigliava 
Dentro uno specchio
Quando rientrava 
Ne trovava sempre un altro
Un altro specchio
Sempre se stesso guardava
Cambiava solo lo specchio
A volte entrava e usciva più del solito
Lo specchio cambiava 
Ogni specchio moriva tradendo
La sua lucentezza
Una sera stanco di guardarsi nello specchio uscì 
Cominciò a guardare le stelle
Ogni stella un volto 
Una passione un affetto un ricordo
Ogni ricordo sbiadiva 
Man mano che passava la galleria degli amori 
Si spegneva una stella
Era lei che lo lasciava lui che se ne andava
Poi decise di rientrare nel mondo dei mortali
Scese dal regno togliendosi gli abiti
Rimase nudo 
Davanti a un vecchio specchio impolverato
Ritrovato in soffitta
Era un regalo della vita
Lo passò con un cencio di passione
Lo ripassò con affetto e commozione 
Si guardò 
Si ammirò 
Così bello non si era visto mai
Lui dentro quel buco profondo che lo rifletteva.

Self Portrait with Mirror (Autoritratto con lo specchio), by Primo Conti, 1921.

Poesia è
di Emilio Villa

poesia è evanescenza
poesia è condanna a vita, con libertà
sulla parola, liberté sur parole
poesia è guida cieca a un antico
enigma, a un segreto inaccessibile
poesia è trattazione dinamica e sussultoria
poesia è la più scampagnata cosmologia che noi possiamo
inalberare e agitare,
è una piccola (abregée) cosmogonia inconsapevole e
inconsutile, scucita,
strafelata, sdrucita
poesia è dimenticarsi
dimenticanza
poesia è se-parare sé dal sé
poesia è ciò che si lascia assolutamente fuori
poesia è svuotamento senza esaurimento
poesia è costrizione al remoto,
al non ancora, al non
adesso, al non-qui,
al non-là, al
non-prima né non-dopo
né non-adesso
poesia è sfondamento
poesia è bruciare – partorire nello stesso gesto vocale
poesia è l’esserci moltiplicato per
non esserci, ricordare
di transesserci di traverso
a spartiacque
poesia è misconoscimento di
non so bene che cosa
ma misconoscimento
poesia è impotenza infinita,
limpida, lucida, allucinata
poesia è intersezione
interiezione
intersezione
interruzione
poesia è una carognata
poesia è transito e esito
poesia è infusione e trans-fusione
poesia è memoria di ciò che non è
e che deve non-essere, cioè
è il Sé culminante, liminare
il Sé come cosmo incompiuto e
da non compiere mai
poesia è legare – slegare
poesia è la scena rituale della
infinita incertezza, della
inaccessibile Infermità
(Infirmitas)
poesia è scorcio
scarto
strombo
sterro
poesia è culla – cuna
è cella – cruna
del Trans-Organo
del transorganico
dell’Indistinto
dell’In(de)terminato
poesia è la cenere
poesia è diagonale
è vanvera
dentro il corpo manifesto
dell’Inesistente Universale
dell’Anenergico Globale
poesia è pigrizia irrigidita, con
un braccio appesa al ramo
dell’Albero della Scienza del
Bene e del Male; cioè
è una Scimmia che sta in
Brasile sempre appesa con un
braccio al ramo di un albero (è la Preguiça)
poesia è terrorismo nel dominio della lingua,
è scoppio nella clausura del linguaggio
è terrore sul fondo delle retoriche
poesia è liberazione dalla conoscenza,
fuga dal conosciuto
svincolo dalla meccanica
è insieme è caduta, sprofondo, nella
meccanica ripetitiva, ossessiva,
iterativa, che è anche la
meccanica del cenno, della norma,
del rito (dell’obbligo
stretto, della rima, del numero,
dell’essenza)
poesia è implosione del tempo – zero
e di grado in(de)finito
poesia è sfrenamento, sfaso, minaccia potenziale,
spacco, rapina, distruzione
poesia è scasso, squarcio, scuotimento
è l’urto tra forza
e misura che
tende a cancellare.
siamo proprio
infinitamente matti
la poesia è quasi tutto: cioè è tutto, meno
quello che veramente è
poesia è impermanenza incrociata con
trans-manenza
è impertinenza
poesia è scontro e incontro (spontaneo e
destinato) tra nevrosi e inconscio,
tra archetipo e Sé
anello monotono e perpetuo tra impulso
e ossessione
poesia è aggressione
poesia è fare spiragli, produrre crepe,
segnare filiture dentro il
sipario, dentro la Parete Sbarrata
poesia è lotta contro la notte
poesia è notte contro la notte
poesia è urto contro la voce
poesia è attrito con la pelle del Drago
poesia è così
è così e così
e così sia
***
Emilio VillaPoesia è, (1989 circa).

domenica 12 novembre 2017



DATI
di Fabio Noto
L'economia si fonda sui 'dati', sul loro intreccio e sulla loro analisi. Così, quando importanti 'Istituzioni' (mondiali o locali) comunicano le loro 'risultanze', siamo convinti che detengano un 'sapere' ai più sconosciuto. Siamo portati a fidarci: come succede di fronte ai 'sapienti'.
Se, quindi, quelle importanti 'Istituzioni' (dalla FED alla BCE fino al meno altisonante ISTAT e con la 'ripetizione' mediatica) dicono che la 'crescita' ha assunto caratteri 'strutturali', pensiamo che i 'dati' in loro possesso, complessivamente intrecciati e analizzati, abbiano come conseguenza proprio quelle 'risultanze'.
Può, però, succedere che qualcuno ficchi il naso in quei 'dati' e in quelle tabelle, in modo indipendente e senza il bisogno di 'rassicurare i Mercati': scoprendo che tra 'dati' e 'racconto' sembra esserci la stessa distanza che passa tra un mezzogiorno infuocato tropicale e un'algida mezzanotte artica.
Val la pena leggere e porsi domande.
https://northmantrader.com/2017/11/11/caution-slowdown/