WILLIAM IL GATTO
(Ricordando il mio Martino)
(Ricordando il mio Martino)
[...] Appena gli si avvicinava, incominciava il ronzio soddisfatto delle
sue fusa, talmente basso e potente da far vibrare anche il pavimento. E
Peter sapeva di essere gradito.[...]
Estratto da Ian McEwan, "L'inventore dei sogni" Einaudi
"C’era però anche un quinto membro della famiglia, il quale non aveva mai
furia e ignorava tutto quel finimondo. Se ne stava sdraiato sulla mensola
sopra il calorifero, con gli occhi socchiusi, dando appena in qualche
sbadiglio di quando in quando. Erano sbadigli enormi, offensivi. La bocca
si spalancava rivelando una bella lingua rosa e quando finalmente tornava
a chiudersi, il corpo intero, dal baffo alla punta della coda, era percorso da
un fremito pigro: William, il gatto, si preparava a vivere un’altra giornata.
Quando Peter afferrava la cartella e si dava ancora un’occhiata intorno
prima di uscire di casa di corsa, era sempre William l’ultima cosa che
vedeva. Teneva la testa appoggiata a una zampa, mentre quell’altra
ciondolava molle dal bordo della mensola, e si godeva l’aria calda che
saliva. Una volta liberatosi di quei ridicoli esseri umani, il gatto avrebbe
potuto sonnecchiare in pace per qualche ora. L’immagine del micio
sonnolento non mancava di torturare Peter ogni volta che, uscendo di casa,
riceveva il benvenuto di una raffica gelida di tramontana.
Caso mai vi facesse strano pensare a un gatto come a un vero membro
della famiglia, dovete sa pere che William aveva più anni di Peter e di Kate
messi insieme. Aveva conosciuto la loro mamma da piccolo, quando lei
ancora studiava. L’aveva seguita per tutto il corso universitario e, cinque
anni dopo, era stato presente al ricevimento di nozze. Quando Viola
Fortune aspettava il primo bambino e certe volte si riposava a letto di
pomeriggio, il Gatto William si acciambellava intorno a quella gran gobba
rotonda dove dentro c’era Peter. E dopo la nascita tanto di Peter quanto di
Kate, era scomparso di casa per giorni e giorni. Nessuno sapeva dove
andasse, né perché. Era stato un testimone muto di tutte le gioie e i dolori
della famiglia. Aveva osservato i poppanti crescere fino a muovere i primi
passi e a cercare di trascinarlo per le orecchie, e aveva visto quegli stessi
bimbetti farsi scolari. Conosceva i loro genitori dai tempi in cui erano una
coppia di svitati che vivevano in un monolocale. Adesso erano un po’
meno svitati e avevano una casa con tre stanze da letto. Del resto, anche il
Gatto William si era fatto più tranquillo. Aveva smesso di portare in casa
topi e uccellini da deporre ai piedi di ingrati essere umani. Da poco dopo il
suo quattordicesimo compleanno non lottava più nell’orgogliosa difesa del
suo territorio. Peter giudicava intollerabile che il giovane bellimbusto della
casa vicina stesse prendendo possesso del giardino, senza che William
potesse reagire. Certe volte lo sfrontato arrivava al punto di entrare in
cucina passando dalla ribaltina della porta di servizio, e andava a mangiare
la pappa di William, mentre il vecchio gatto restava a guardare impotente.
E dire che fino a pochi anni prima, nessun gatto dotato di un minimo di
buon senso, avrebbe mai osato posare una zampa al di là del muretto.
Chissà quanto soffriva William di non esser più forte come un tempo.
Rinunciò alla compagnia di altri gatti, per starsene seduto in casa, solo con
i suoi pensieri e i suoi ricordi. Ma, a dispetto dei diciassette anni, si
manteneva lucido e pulito. Era quasi tutto nero, fatta eccezione per le
ghette e lo sparato bianchissimi, come la punta della coda. Certe volte
veniva a vedere dove eri seduto e, dopo un attimo di riflessione, ti saltava
in grembo e restava così sulle quattro zampe ben distese, a guardarti fisso
dentro gli occhi, senza mai battere ciglio. Poi magari fletteva la testa, pur
continuando a sostenere lo sguardo, e se ne usciva in un unico miagolio, e
allora si poteva esser certi che avesse detto qualcosa di saggio e
importante, qualcosa che tu non avresti capito.
Nei pomeriggi d’inverno, di ritorno da scuola, non c’era cosa che Peter
amasse di più che sfilarsi con un calcio le scarpe e sdraiarsi davanti al
fuoco del tinello accanto al Gatto William. Gli piaceva mettersi giù
all’altezza di William e poi andargli vicino vicino con la faccia a guardare
la sua, quella faccia straordinaria diversa e bellissima, con ciuffi di pelo
nero che si aprivano a raggio intorno al musetto, e i baffi bianchi
leggermente piegati all’in giù, e i peli del sopracciglio sparati dritti come
antenne della televisione, e gli occhi verde chiaro con quelle fessure strette
come porte socchiuse su un mondo nel quale Peter non sarebbe mai potuto
entrare. Appena gli si avvicinava, incominciava il ronzio soddisfatto delle
sue fusa, talmente basso e potente da far vibrare anche il pavimento. E
Peter sapeva di essere gradito."
Paolo