domenica 26 novembre 2017



PAZZIA
Gianfranco Giudice
Estratto da " Con il sigaro in bocca"

" Il tema della pazzia aveva catturato l’attenzione del ragazzo, che a questo punto mi chiede qualcosa che non aveva mai capito bene: «Pa’ vedo che la follia ti interessa molto, per questo hai scritto un libro sul manicomio della città? Mi dici come ti è nata questa idea?». Mi aspettavo la domanda, ero pronto: «Da piccolo abitavo vicino al manicomio, così mi capitava spesso tornando a casa con l’autobus di vedere lungo la strada, oltre il recinto dell’Ospedale psichiatrico, una fila di matti assiepati con le loro facce strane. Alcuni ridevano salutando le macchine che passavano, altri avevano la faccia buia e triste, alcuni facevano movimenti strani con le mani e il viso; insomma ai miei occhi di bambino si rivelavano figure davvero bizzarre e alcune veramente sconvolgenti. A volte si incontrava qualche malato di mente anche in giro nel quartiere vicino a dove sorgeva il manicomio provinciale, alcuni di loro mi facevano paura. Era l’epoca in cui i cancelli dei vecchi manicomi cominciavano ad aprirsi; fino ad allora, parlo di circa quarant’anni fa, il matto era considerato come un carcerato. Molti anni dopo ritornai a visitare il manicomio, poco prima della sua chiusura definitiva. Vedendo le persone ancora recluse tra quelle mura e in quei corridoi squallidi, nonostante la legge stabilisse da tempo la loro chiusura, rimasi profondamente impressionato e colpito, al punto da mettermi a piangere quando la sera tornai a casa dopo quella visita. Quella esperienza è rimasta scolpita dentro di me, al punto che tanti anni dopo ho deciso di dedicarmi ad una vera ricerca storica sull’argomento. Dopo avere scavato e studiato i documenti negli archivi, ho scritto e pubblicato una storia del manicomio della mia città. La cosa singolare è però un’altra; l’idea di scrivere il libro, di sprofondare completamente per circa tre anni nello studio dei registri e delle cartelle cliniche dell’Ospedale psichiatrico provinciale, venne proprio in un momento particolarmente difficile della mia vita, quando tu eri ancora un bambino. Proprio in quel periodo  ritornò in me l’esperienza del manicomio, l’esperienza della vita che si ritiene insensata. Probabilmente avevo bisogno di ritornare lì per riaprire l’orizzonte di senso della mia vita. Avevo bisogno di rivedere la dialettica insuperabile, insomma il legame stretto che esiste per noi uomini tra senso e non senso, dove ogni termine si alimenta e vive confrontandosi perennemente con quello opposto, un po’ come la luce e l’ombra. Ricordi… è la stessa dialettica di cui parlavi prima?». «Sì, Pa’, ricordo, è molto interessante quello che dici sul libro che hai scritto», risponde mio figlio." ("Con il sigaro in bocca. Dialogo con mio figlio sul senso della vita")