sabato 30 marzo 2019

L'universalismo mistico di Simone Weil

L'universalismo mistico di Simone Weil, in: <Rivista di Ascetica e Mistica>, 6/ 2003, pp. 405-422. Anche in: <Etica & Politica / Ethics & Politics>, VIII, 2006, 2, pp. 75-88.
ABSTRACT
In the last years of her short life, Simone Weil was deeply interested in non-Christian religions, especially those of ancient India. Since 1941, she began studying the Sanskrit language and reading the Upanishads, some of which she also tried to translate. In the Indian spirituality she found the path to understand some masterpieces of Christian mysticism, such as The mirror of simple souls by Marguerite Porete, which she read in London in an English version, ascribed to “an unknown French mystic”.
Simone Weil recognized that all spiritual traditions, Hindu as well as Christian, agree with the essential mystical experience, the annihilation of the ego, so that the divine Light can enter the void made by man in his own soul (the so-called décreation), and so that everything can show the world’s wonderful beauty. However, she thought that Christianity was the spiritual heir to Heraclitus, of Platonism, and of stoicism, and expresses, in its mystical universalism, the best of every religious tradition.
Di famiglia ebrea ma educata nell’agnosticismo, Simone Weil scoprì autonomamente, guidata solo dalla passione della verità e dall’onestà della ricerca intellettuale, il patrimonio spirituale delle grandi religioni: del cristianesimo, innanzitutto, nel cui àmbito si era formata culturalmente, ma poi anche del buddismo, e soprattutto dell’induismo. A partire dal 1941 intraprese infatti anche lo studio del sanscrito, tentando traduzioni della Bhagavad-Gita e delle Upanishad, le cui citazioni divengono sempre più frequenti nei Quaderni.[1]
Significativamente, fu proprio nell’ultimo periodo della sua vita che la Weil venne a conoscenza di alcuni grandi testi della mistica cristiana: a New York lesse Il libretto della veritàdi Suso; a Londra lo Specchio delle anime semplici di Margherita Porete, allora attribuito a un ignoto mistico francese del Trecento. Possiamo perciò ritenere con sufficiente fondatezza che queste letture furono determinate dall’incontro con la spiritualità dell’India; ovvero fu l’India a farle scoprire il patrimonio della mistica medievale cristiana, giacché ella trovò nell’induismo quello che avrebbe potuto trovare già prima nel cristianesimo. E, detto di passaggio, non risulta che ella, pur leggendo il tedesco, conoscesse il libro di Rudolf Otto, Mistica d’oriente, mistica d’occidente, pubblicato in Germania nel 1927,[2]ove sono elencate con puntuale precisione le straordinarie corrispondenze Eckhart-Sankara.
Opinione di chi scrive è che la Weil - anche grazie proprio alla sua indipendenza, al suo situarsi al crocevia delle tradizioni mistiche dell’umanità, senza legami di appartenenza a questa o a quella - rappresenti non solo un punto elevatissimo di speculazione, ma si ponga anche come figura esemplare di quell’universalismo religioso che appare sempre più vero, e sempre più necessario al momento presente. In effetti troviamo nei Quaderni della Weil, anche se nella forma asistematica propria di quegli scritti, rimasti allo stato appunto di abbozzo, tutti gli elementi fondamentali di una radicale esperienza mistica, intesa nel senso di esperienza piena della vita – anzi, della Vita, come la chiama Panikkar.[3]
Essenzialmente questa esperienza è costituita dal distacco, soprattutto distacco dall’io, che deve scomparire, in modo che compaia l’unico vero io, che è Dio. Allora tutto appare uno, tutto appare buono, con un senso di realtà-bellezza-gioia che indica, per trasparenza, l’eterno nel presente. Viene così sbrogliato il “grande segreto”, cui allude nei Quaderni:
“Identità del reale e del bene. Necessità come criterio del reale. Distanza tra il necessario e il bene. Sbrogliare questo. È della massima importanza. È qui la radice del grande segreto”.[4]
Che il reale, tutto quanto, sia buono e bene, è pensiero della Weil che la accomuna ai grandi mistici di ogni tempo, a partire dal filosofo del logos, Eraclito. In proposito ella scrive ad esempio:
“Il reale è per il pensiero umano la stessa cosa che il bene. È il senso misterioso della proposizione: Dio esiste”.[5]
Che tutto ciò che è sia buono, è implicato necessariamente dal fatto che tutto ciò che è deve essere volontà di Dio – non possiamo pensare infatti che qualcosa avvenga al di fuori di essa, e neppure possiamo pensare che Dio voglia il male. La Weil ripete spesso il pensiero platonico: di Dio noi possiamo sapere solo che è buono, e che da lui derivano solo beni. Perciò:
“Dio vuole tutto ciò che si produce allo stesso titolo, non alcune cose come mezzi e altre come fini. Così pure vuole allo stesso titolo l’insieme e le parti, ogni porzione, ogni traccia che è possibile mettere in opera nella realtà continua. Questo è rappresentabile per l’intelligenza umana solo nei termini seguenti: egli vuole la necessità. La volontà di Dio non può essere per noi un oggetto di ipotesi. Per conoscerla noi dobbiamo solo constatare ciò che accade: ciò che accade è la sua volontà”.
“Non si deve dire che Dio vuole la sofferenza di un santo in vista del suo progresso verso la perfezione, ma: egli vuole la sua sofferenza, e vuole il suo progresso, e vuole il legame tra i due – e un’infinità di altri legami ancora. Non devo amare la mia sofferenza perché mi è utile, ma perché essa È.
La necessità è il velo di Dio.
È necessario amare tutti i fatti, non per le loro conseguenze, ma perché in ogni fatto Dio è presente. Ma questo è tautologico. Amare tutti i fatti equivale a leggere Dio in essi. È necessario amare i propri nemici perché esistono”.[6]
“Se pensassi che Dio m’invia il dolore con un atto della sua volontà e per il mio bene, crederei di essere qualcosa, e trascurerei l’uso principale del dolore, che è d’insegnarmi che sono niente. Non si deve dunque pensare nulla di simile. Ma è necessario amare Dio attraverso il dolore (sentire la sua presenza e la sua realtà con l’organo dell’amore soprannaturale, l’unico che ne sia capace, così come si sente la consistenza della carta con la matita).
Debbo amare d’esser niente. Come sarebbe orribile se io fossi qualcosa. Amare il mio nulla, amare d’essere nulla. Amare con la parte dell’anima che si trova dietro il sipario, perché la parte dell’anima che è percettibile alla coscienza non può amare il nulla, ne ha orrore. Se essa crede di amarlo, vuol dire che ama qualcosa di diverso dal nulla”.[7]
“Non si deve mai cercare per un male una compensazione esteriore in un bene, legato o no a questo male da una necessità, che lo bilancia. Perché ci si priva così dell’uso più prezioso del male, quello di amare Dio attraverso il male come tale. Amare Dio attraverso il male come tale. Amare Dio attraverso il male che si odia, odiando questo male. Amare Dio come autore del male che si sta odiando”.[8]
“ ‘Dolore, non confesserò mai che sei un male, qualsiasi cosa tu mi faccia’. Questo detto è molto bello. Ma, ancor meglio: Dolore, tu sei un male, ma hai per autore colui che è solo bene ed è autore solo del bene”.[9]
“Perché tutto ciò che si produce è la volontà di Dio, ad ogni istante così come nell’istante della creazione, se questa espressione ha un senso”.[10]
“Il male produce la distinzione, impedisce che Dio sia equivalente a tutto”.[11]
Come si è detto, il punto essenziale è il distacco dall’io, che deve scomparire, in modo che appaia l’unico vero io, che è Dio. L’operazione di distacco dall’io è ciò che la Weil chiama de-creazione, su cui torna spesso nell’ultimo periodo della sua vita:
“Tutto ciò che io faccio è cattivo, senza eccezione, compreso il bene, perché io è cattivo. Più io sparisco, più Dio è presente in questo mondo”.[12]
“Non sono io a dover amare Dio. Che Dio si ami attraverso me”.[13]
“Il peccato in me dice ‘io’ ”.
“Io sono tutto. Ma questo io è Dio, e non è un io”.
“Io sono assente da tutto ciò che è vero, o bello, o bene”.
Io pecco”.[14]
“Noi non possediamo niente al mondo – perché il caso ha il potere di toglierci tutto – se non il potere di dire io. Questo è ciò che bisogna dare a Dio, cioè distruggere. Non c’è assolutamente nessun altro atto libero che ci sia permesso, se non la distruzione dell’io”.[15]
“Tutto ciò che ci procuriamo con la nostra volontà e i nostri sforzi, e tutto ciò che le circostanze esterne accordano o rifiutano secondo il capriccio della sorte, è assolutamente privo di valore. Può essere cattivo o indifferente, ma giammai buono. Tutto ciò che esiste è sottomesso alla necessità. Ma c’è una necessità carnale in cui l’opposizione del bene e del male non interviene, e una necessità spirituale interamente sottomessa a questa opposizione”.[16]
Qui è evidente il riferimento a Platone, che nel Timeo, 68, parla di due specie di cause, quella necessaria e quella divina. Ma è soprattutto facendo propria la grande lezione degli stoici che Simone Weil distingue finemente la realtà della pesanteur, necessità meccanica, da quella della grâce, libertà:
“L’universo tutto intero non è che una massa compatta di obbedienza. Questa massa compatta è disseminata di punti luminosi. Ciascuno di questi punti è la parte soprannaturale di un’anima di una creatura ragionevole che ama Dio e che consente ad obbedire. Il resto dell’anima è prigioniero della massa compatta. Gli esseri dotati di ragione che non amano Dio sono soltanto frammenti della massa compatta ed oscura. Anch’essi sono tutti interi obbedienza, ma solo al modo di una pietra che cade. Anche la loro anima è materia, materia psichica, sottoposta a un meccanismo altrettanto rigoroso quanto quello della forza di gravità. Anche la loro credenza nel proprio libero arbitrio, le illusioni del loro orgoglio, le loro sfide, le loro rivolte, tutto ciò non sono che fenomeni altrettanto rigorosamente determinati quanto la rifrazione della luce. Considerati in tal modo, come materia inerte, i peggiori criminali fanno parte dell’ordine del mondo e di conseguenza della bellezza del mondo. Tutto obbedisce a Dio, e di conseguenza tutto è perfettamente bello. Sapere questo, saperlo realmente, è essere perfetti come il Padre celeste è perfetto”.[17]
Questa splendida pagina, in cui l’eredità del pensiero classico si salda con Eckhart e Spinoza, è incomprensibile all’insulsa psicologia contemporanea, verso la quale la scrittrice francese ha espressioni feroci, e si comprende solo tenendo presente la natura composita e gerarchicamente tripartita dell’anima. Perciò la Weil prosegue:
“Questo amore universale non appartiene che alla facoltà contemplativa dell’anima. Colui che ama veramente Dio lascia a ogni parte dell’anima la sua funzione propria. Al di sotto della facoltà di contemplazione sovrannaturale si trova una parte dell’anima che è al livello dell’obbligazione, e per la quale l’opposizione del bene e del male deve avere tutta la forza possibile. Al di sotto ancora è la parte animale dell’anima, che deve essere metodicamente addestrata con una sapiente combinazione di frustate e zuccherini.
In coloro che amano Dio, persino in coloro che sono perfetti, la parte naturale dell’anima è sempre interamente sottomessa alla necessità meccanica. Ma la presenza dell’amore soprannaturale nell’anima costituisce un fattore nuovo del meccanismo e lo trasforma”.[18]
Il “grande segreto”, ovvero l’identità del reale e del bene, e, insieme, la distanza infinita tra il necessario e il bene - l’insegnamento platonico fondamentale – è così “sbrogliato”. Non si deve aver paura della contraddizione, perché l’identità dei contrari appare chiara all’anima distaccata, come ben sa la mistica di ogni tempo (ivi compreso quell’Hegel che la Weil poco amava ma, bisogna dire, che poco anche conosceva), ancora una volta a partire da Eraclito:
“L’identità dei contrari subita in modo incosciente è il male. L’identità compresa è il bene”.[19]
“O i contrari vengono sottomessi con la grazia, oppure si è sottomessi ai contrari”.[20]
“Se il bene è l’armonia dei contrari, il male non è il contrario del bene”.[21]
“La sofferenza è un male per chi pensa che la sofferenza è un male”.[22]
“Ciò che il male viola non è il bene, perché il bene è inviolabile; si viola solo un bene degradato.
Ma non è questa la ragione vera. Il bene è essenzialmente diverso dal male. Il male è molteplice e frammentario, il bene è uno; il male è apparente, il bene è misterioso; il male consiste in azioni, il bene in non-azione o azione non agente, ecc. – il bene considerato al livello del male e tale da opporsi ad esso come un contrario a un contrario è un bene da codice penale. Al di sopra si trova un bene che in certo senso somiglia più al male che a questa forma bassa del bene”.[23]
Il male è la distanza tra la creatura e Dio,[24] ma l’intelligenza è in grado di sopprimere il male – l’operazione che la Weil chiama de-creazione, nel distacco, ed allora si ha un profondo senso di realtà, bellezza, gioia nel presente, che appare come l’eterno.
“Lo spirito non è forzato a credere all’esistenza di niente. (Soggettivismo, idealismo assoluto, solipsismo, scetticismo. Si vedano le Upanishad, i taoisti e Platone, che usano tutti questa attitudine filosofica a titolo di purificazione). Per questo l’unico organo di contatto con l’esistenza è l’accettazione, l’amore. Per questo bellezza e realtà sono identiche. Per questo la gioia pura e il sentimento di realtà sono identici.
Tutto ciò che è colto con le facoltà naturali è ipotetico. Solo l’amore soprannaturale afferma. In tal modo noi siamo co-creatori. Noi partecipiamo alla creazione del mondo de-creando noi stessi”.[25]
È infatti l’attaccamento, il desiderio, ad uccidere lo spirito:
“Coloro che assassinano l’atman. Chiunque desideri che ciò che è non sia (Marco Aurelio). Che altro? – Ogni desiderio uccide l’atman”.[26]
“L’attaccamento non è altro che l’insufficienza nel sentimento della realtà”.
“Dal momento in cui si sa che qualcosa è reale, non ci si può più attaccare ad esso”.[27]
Significativamente, il testo appena citato prosegue ripetendo una delle tesi più care alla mistica: quella dell’assoluto nel presente che si mostra distaccandosi anche dal desiderio della salvezza:
“Coloro che desiderano la propria salvezza non credono veramente alla realtà della gioia in Dio”.
“La gioia è il sentimento della realtà.
Più l’opposizione del caso e del bene è sensibile, più la bellezza e la gioia sono profonde.
La tristezza è l’indebolimento del sentimento della realtà. È una cattiva de-creazione, a livello dell’immaginazione”.[28]
“La gioia accresce il sentimento di realtà, il dolore lo diminuisce. Si tratta solo di riconoscere la stessa pienezza di realtà nei dolori e nelle gioie. La sensibilità dice:
“Questo non è possibile”. Si deve rispondere: Questo è. Essa dice: “Perché questo?” Si deve rispondere: Perché è; se è, ha una causa”.[29]
“Se in questo mondo non ci fosse sventura, potremmo crederci in paradiso. Orribile possibilità”.[30]
“Il pensiero della morte dà agli eventi della vita il colore dell’eternità. Se ci fosse data quaggiù la vita perenne, guadagnando la perennità la nostra vita perderebbe l’eternità che la illumina per trasparenza. “Di questo tutto, mediante il distacco, gioisci” [Isa Upanishad, 1].
È il distacco a rendere eterne tutte le cose”.[31]
È significativo che la Weil citi qui le Upanishad. Infatti, come si è accennato sopra, è stata soprattutto la lettura della letteratura sacra dell’India a portarla a quella comprensione che, alla fine della sua vita, ritrovò anche nella mistica cristiana. Perciò ella pensò a un’unica verità religiosa, che i diversi popoli avevano espresso in vari modi, dal folklore alla mitologia, fino alla più pura delle filosofie – quella platonica – sottolineando ciascuno un aspetto della medesima verità. Pur riconoscendo come vocazione tipica di Israele quella di sostenere l’unicità di Dio, non v’è dubbio che la Weil attribuisca un valore particolare all’induismo, da un lato, e al cristianesimo, dall’altro.
Nel primo, infatti, riconosce la peculiarità di sostenere l’assimilazione tra Dio e l’anima attraverso il distacco; nel secondo il rilievo dato all’umanità di un Dio sofferente, in Cristo, con la comprensione piena del significato della sventura, della sofferenza, dell’infelicità. Nei Quaderni scrive infatti:
“In tutte le nazioni dell’antichità vi è come l’ossessione per un aspetto delle cose divine. Israele: Dio unico. India: assimilazione dell’anima a Dio mediante l’unione mistica. Cina: passività, assenza di Dio, azione non-agente. Egitto: salvezza e vita eterna mediante l’assimilazione a un Dio sofferente, morto e resuscitato. Grecia: trascendenza, distanza dal divino e dal soprannaturale, miseria dell’uomo, ricerca di ponti (mediazione).
(La missione d’Israele è stata continuata dai musulmani. L’India e la Cina sono rimaste. Il cristianesimo ha raccolto l’eredità soprattutto dell’Egitto, ma anche della Grecia)”[32]
Il legame Israele-islamismo, con la comune concezione di un Dio-forza, è ribadito spesso dalla Weil, con una conseguente valutazione negativa di quelle teologie e religioni:
“Nessuno va a Dio creatore e sovrano senza passare per Dio SVUOTATO DELLA SUA DIVINITA’. Se si va a Dio direttamente si tratta di Yahweh (o Allah, quello del Corano)”.[33])
Qui la divinità significa appunto le caratteristiche di forza, potenza, che l’idolatria attribuisce a Dio, per potersene servire. Invece:
“Dobbiamo svuotare Dio della sua divinità per amarlo.
Egli si è svuotato della sua divinità diventando uomo, poi della sua umanità diventando cadavere (pane e vino), materia”.[34]
Come la Weil ripete, Dio si offre all’uomo o in quanto potenza o in quanto perfezione: bisogna scegliere. Anzi, proprio per questo motivo, induismo e cristianesimo sono vicini, e lontani da ebraismo (e islamismo):
“Il contatto con la forza, da qualunque parte si venga a contatto (impugnatura o punta della spada), priva per un momento di Dio. Di qui la Bhagavad Gita. La Bhagavad Gita e il Vangelo si completano. Così vi è qualcosa di essenzialmente falso nell’Antico Testamento (alcune parti), come pure nella storia di Giovanna d’Arco; quelle voci fanno parte del prestigio. Anche Yahweh”.[35]
Israele, che pure aveva vissuto a lungo accanto agli Egiziani, ha sostituito alla nozione di bene quella di onnipotenza, e ha fatto di Dio uno strumento di potenza nazionale. Purtroppo, il modello di santità elaborato da Israele è passato nella Chiesa, la cui “idolatria sociale” ripete quella giudaica.[36] Sotto questo profilo non c’è dubbio che abbia ragione Lévinas, quando sostiene che la Weil non è ebrea e neppure cristiana, bensì “pagana”, in quanto rifiuta il dogma dell’elezione divina di Israele[37]: solo che il paganesimo della Weil significa in realtà la sua classicità, la sua fedeltà alla “fonte greca”, ovvero all’universalità della ragione, all’onestà della verità, nel rifiuto di menzogne colmatrici di vuoti:
“Non si può percepire la presenza di Dio in uomo, ma solo il riflesso di questa luce nel modo in cui egli concepisce la vita terrestre. Così il vero Dio è presente nell’Iliade e non nel Libro di Giosuè. L’autore dell’Iliadedipinge la vita umana come solo può vederla chi ama Dio. L’autore di Giosuè, come solo può vederla chi non ama Dio”.[38]
Ai nostri tempi c’è bisogno di un tipo nuovo di santità, una santità che porti il segno dell’universalità in modo esplicito, come la Weil afferma nell’ultima lettera inviata a padre Perrin, ove ribadisce la decisione di restare fuori dalla Chiesa.[39]Accanto alle religioni poco sopra citate, sottolineiamo che in questa universalità rientra anche il pensiero buddista, che la Weil ha studiato soprattutto attraverso l’opera di Daisetz Teitaro Suzuki,[40] e quella di Alexandra David-Neel,[41] ove si sottolineano i passi relativi allo sradicamento dell’io. Nel buddismo ella vede un pensiero eracliteo, fondato sul rapporto, per cui le cose non hanno altro essere che il rapporto e “la verità si produce al contatto di due proposizioni, nessuna della quali è vera; è vero il loro rapporto”.[42] Soprattutto, vede nel buddismo il cammino di estinzione del desiderio, che conduce all’annichilimento:
“L’estinzione del desiderio (buddismo), o il distacco, o l’amor fati, o il desiderio del bene assoluto, sono sempre la stessa cosa: vuotare il desiderio, la finalità, di ogni contenuto, desiderare a vuoto, desiderare senza augurarsi. Distaccare il nostro desiderio da tutti i beni e attendere. L’esperienza dimostra allora che questa attesa è esaudita. Allora si tocca il bene assoluto”.[43]
Come abbiamo già detto, sono però le Upanishad e la Bhagavad Gita a risultare più congeniali alla Weil e a fornirle le chiavi di comprensione dell’esperienza spirituale. Proprio con la parola Upanishad, e con una lunga citazione riassuntiva, spesso implicita, della Chandogya e della Brhadaranyaka Upanishad, si apre il suo Quaderno III:
Upanishad.
L’atman – che l’anima di un uomo prenda per corpo l’universo intero [...].
L’anima si trasferisce, fuori del proprio corpo, in un’altra cosa. Che dunque si trasferisca in tutto l’universo.
Questo non è solamente il suo dovere, ma la sua natura. Dimostrazione: si ama una cosa qualsiasi solamente per se stessi (l’ioè l’unico valore). Quindi l’io non dovrebbe essere finito, esso ha la dimensione del mondo [...)
Identificarsi con l’universo stesso. Tutto ciò che è minore dell’universo è sottomesso alla sofferenza [essendo parziale e quindi sottomesso alle forze esterne]. Anche se muoio, l’universo continua. Questo non mi consola se sono diverso dall’universo. Ma se l’universo è per la mia anima come un altro corpo, la mia morte cessa di avere per me più importanza di quella di uno sconosciuto. Così pure le mie sofferenze[...)
Ma allora, come si continua ad agire in quanto uomo singolo? Tema della Gita”.
“Trovare l’atman “impigliato nelle tenebrose complessità del corpo”.[44]
“La pluralità non è;
Corre di morte in morte,
Chi crede di vedere la pluralità nell’universo”.[45]
“Questo spazio che è all’interno del cuore, qui egli dimora, padrone di tutto, sovrano di tutto, signore di tutto. Egli non cresce con le buone azioni né diminuisce con le cattive”.[46]
“Al di là del bene e del male. Bisogna senz’altro interpretarlo come la formula taoista: Colui che ha la virtù somma non ha virtù, e perciò egli ha la virtù. Colui che ha una virtù ordinaria ha la virtù, e perciò non ha virtù”.
“Distaccarsi anche dalla virtù – Perderne coscienza”.
“Supremo bene negativo”.
Ancor più delle Upanishad, è però la Gita ad attrarre la Weil, che si dedicò con passione a tradurla e che la cita innumerevoli volte nei suoi Quaderni. Del capolavoro indiano ella studia in particolare la tipologia che noi diremmo psicologica (i tre guna : sattva, rajas, tamas), ovvero l’analisi delle diverse componenti dell’anima e dei loro rapporti, sempre per sbrogliare il “grande segreto” della necessità e libertà, ovvero del bene e del male.
Ci limitiamo, per brevità, a riportare qui alcune delle citazioni più esplicite:
Gita. Notare che il dharma, dipendendo dalla casta, dunque dalla nascita, dunque dall’incarnazione precedente, dipende da una scelta anteriore. Non è che non si abbia scelta, bensì che, se ci si colloca in un dato momento, non si ha più scelta. Non si può fare diversamente; è vano sognare di fare diversamente; ma è bene elevarsi al di sopra di ciò che si fa”.[47]
“Non cercare il bene nell’azione. È questo l’insegnamento della Gita”.[48]
Gita. Coloro che si sono spinti sino in fondo al male sono liberi dallo smarrimento prodotto dai contrari. Letteralmente vero. Anche prima di essere giunti fino in fondo, quando, dal piano spirituale, si vede che c’è un fondo”.[49])
Bhagavad Gita VI, 20. Quando il pensiero (cit) si arresta sospeso grazie allo yoga, e l’uomo scopre l’atman, egli trova la sua soddisfazione in sé”.[50])
Gita. ‘Senza turbamento nella sofferenza, senza attrazione per il piacere’ II,56”.[51]
“L’albero del mondo, il fico eterno di cui è necessario tagliare le radici con la scure del distacco (Gita).
È l’energia vegetativa.
La croce è di legno, ma è fatta con un albero tagliato.
Adamo ha mangiato il frutto dell’albero. (Due uccelli...uno mangia il frutto...)[52]
È necessario tagliare l’albero e il proprio corpo morto deve essere il frutto.
Strappare l’energia vegetativa”.[53]
Passo, quest’ultimo, veramente tipico della lettura e dell’indagine weiliana. La Gita e il Vangelo sono infatti letti l’uno accanto all’altro, per così dire, nella persuasione che i significati profondi, veri, siano presenti in modo armonico in tutte le grandi religioni.
E così siamo giunti alla conclusione del nostro discorso. Perché la Weil pensò che il cristianesimo, se inteso secondo verità, e non secondo i fraintendimenti e le mistificazioni cui è andato incontro, comprenda in se stesso l’insegnamento spirituale di tutte le grandi tradizioni religiose e filosofiche. C’è una sua pagina, che parte ancora una volta dal tema cruciale necessità-libertà per approdare al Cristo, veramente riassuntiva:
“La necessità è una nemica per l’uomo finché egli pensa in prima persona [...] Effettivamente la volontà umana, per quanto un certo sentimento di scelta vi sia irriducibilmente legato, è semplicemente un fenomeno fra tutti quelli che sono sottoposti alla necessità [...] nell’universo, l’uomo non prova la necessità se non, contemporaneamente, come un ostacolo e una condizione di compimento per il suo volere; di conseguenza questa prova non è mai interamente pura dalle illusioni irriducibilmente legate all’esercizio della volontà [...] Il rapporto tra la necessità e l’intelligenza non è il rapporto tra il padrone e lo schiavo. Non è neppure il rapporto inverso, né il rapporto tra due uomini liberi. È il rapporto tra l’oggetto contemplato e lo sguardo. La facoltà che nell’uomo guarda la forza più brutale come si guarda un quadro, chiamandola necessità, quella facoltà non è ciò che nell’uomo appartiene all’altro mondo. Essa è all’intersezione dei due mondi. La facoltà che non appartiene a questo mondo è quella del consenso. L’uomo è libero di consentire o no alla necessità. Questa libertà non è attuale per lui se non quando concepisca la forza come necessità, vale a dire quando la contempli [...] Il consenso alla necessità è puro amore ed anche, in qualche modo, eccesso d’amore. Questo amore non ha per oggetto la necessità in sé, né il mondo visibile di cui essa costituisce la stoffa [...] Neppure per amore degli altri uomini noi consentiamo alla necessità. L’amore degli altri uomini è in certo senso un ostacolo a questo consenso, perché la necessità schiaccia gli altri come noi stessi. È per amore di qualcosa che non è una persona umana, e che tuttavia è qualcosa come una persona. Perché ciò che non è qualcosa come una persona non è oggetto d’amore. Qualunque sia la credenza professata a proposito delle cose religiose, compreso l’ateismo, là dove c’è consenso completo, autentico e incondizionato alla necessità, v’è la pienezza dell’amore di Dio, e in nessun altro luogo. Questo consenso costituisce la partecipazione alla croce del Cristo.
Chiamando Logos quell’essere umano e divino che egli amava sopra tutto e da cui era teneramente amato, san Giovanni ha racchiuso in una parola, fra molti altri pensieri, infinitamente preziosi, tutta la dottrina stoica dell’amor fati. Questa parola, Logos, presa dagli stoici greci che l’avevano a loro volta ricevuto da Eraclito, ha diversi significati, ma il principale è questa legge quantitativa di variazione che costituisce la necessità. Fatum e logos sono d’altronde apparentati semanticamente. Il fatum è la necessità, e la necessità è il logos, e logos è il nome stesso dell’oggetto del nostro più ardente amore. L’amore che san Giovanni portava a colui che era il suo amico e il suo signore, quando stava reclinato sul suo petto durante la Cena, è quell’amore stesso che noi dobbiamo portare alla concatenazione matematica di cause ed effetti che, di tanto in tanto, fa di noi una specie di poltiglia informe. Manifestamente, ciò è folle.
Una delle parole più profonde e più oscure del Cristo rivela questa assurdità. Il rimprovero più amaro che gli uomini facciano a questa necessità, è la sua indifferenza assoluta ai valori morali. Giusti e criminali ricevono ugualmente i benefici del sole e della pioggia; giusti e criminali sono ugualmente colpiti d’insolazione, annegano nelle inondazioni. Precisamente questa indifferenza il Cristo ci invita a considerare come l’espressione stessa della perfezione del nostro Padre celeste (cfr. Mt 5,45). Imitare questa indifferenza è semplicemente consentirvi, è accettare l’esistenza di tutto ciò che esiste, compreso il male, eccettuata soltanto quella porzione di male che noi abbiamo la possibilità e l’obbligo di impedire. Con questa semplice parola il Cristo si è annesso tutto il pensiero stoico, e insieme Eraclito e Platone”.[54]
Eraclito, Platone, lo stoicismo – dunque l’eredità classica, la “fonte greca”. Ma, come si è visto, nell’essenziale essa coincide con l’insegnamento spirituale dell’ India e della Cina. Dunque il cristianesimo, nel suo universalismo mistico, riassume in se stesso il meglio di ogni tradizione religiosa. Questa la “cattolicità”, reale e non solo dichiarata, che Simone Weil ritiene necessaria per il futuro dell’umanità, se essa vuole uscire dal miserabile tempo presente.

Note

[1] Simone Weil iniziò lo studio del sanscrito all’inizio del 1941, con l’aiuto di René Daumal, che le prestò una grammatica e il testo della Bhagavad Gita. Durante l’estate lesse con Daumal le Upanishad.. Cfr. Simone Weil, Quaderni I, a cura di Giancarlo Gaeta, Adelphi, Milano 1982, p. 225, nota 1.
[2] Rudolf Otto, West-östliche Mystik. Vergleich und Untersuchung zur Wesensdeutung, Klotz, Gotha 1927. La traduzione francese è del 1951 (Payot, Paris); quella italiana, a cura dello scrivente, è del 1985: Mistica orientale, mistica occidentale, Marietti, Casale Monferrato.
[3] Ci riferiamo qui in particolare a Raimon Panikkar, De la mìstica. Experiencia plena de la Vida (2004) ; tr. it. Jaca Book, Milano 2005, col titolo: L’esperienza della vita. La mistica.
[4] Cfr. Quaderni II, a cura di G. Gaeta, Adelphi, Milano 1985, p. 330.
[5] Ibidem.
[6]Ibid., p. 205.
[7] Ibid., p. 198.
[8]Ibid., p. 300.
[9] Ibid., p. 301-302. Il detto citato appartiene allo stoicismo.
[10] Ibid., p. 263.
[11] Cfr. Quaderni I, cit., p. 372.
[12] Cfr. Quaderni II, cit, p. 324.
[13] Ibid., p. 327.
[14]) Cfr. Quaderni I, cit., pp. 371-372.
[15] Cfr. Quaderni II, cit., pp. 295-296.
[16] Cfr. Quaderni IV, a cura di G. Gaeta, Adelphi, Milano 1993, p. 180.
[17] Cfr. S. Weil, Discesa di Dio, in La Grecia e le intuizioni precristiane, ed. it. Borla, Torino 1967, pp. 249-250.
[18] Ibid., p. 250.
[19] Cfr. Quaderni III, a cura di G. Gaeta, Adelphi, 1988, p. 182.
[20] Ibid., p. 53.
[21] Ibid., p. 154.
[22] Cfr. Quaderni II, cit., p. 281.
[23] Cfr. Quaderni I, cit., p. 373.
[24] Cfr. Quaderni II, p. 301.
[25] Ibid., p. 262. Questo rapporto co-creazione/de-creazione nella Weil apre una prospettiva di confronto con Eckhart, che, peraltro, ella poco conosceva.
[26] Cfr. Quaderni I, cit., p. 281.
[27] Cfr. Quaderni II, cit., p. 329.
[28] Ibid., p. 204.
[29] Ibid., p. 234.
[30] Ibid., p. 245.
[31] Cfr. Quaderni IV, cit., p. 322.
[32] Cfr. Quaderni II, cit., p. 197.
[33] Ibid., p. 226.
[34] Ibidem.
[35] Cfr. Quaderni I, cit., p. 233.
[36] Cfr. ibid., p. 73.
[37] Cfr. E. Lévinas, Simone Weil contro la Bibbia, in “Nuovi Argomenti”, n. 15, 1985, pp. 51-56.
[38] Cfr. Quaderni IV, cit., p. 181.
[39] Cfr. S. Weil, Attesa di Dio, Rusconi, Milano 1972, p. 62.
[40] Essays in Zen Buddhism, Luzac & Co., London 1933, ampiamente citato nei Quaderni III, pp. 53 ss.
[41] Mystiques et magiciens du Thibet, Plon, Paris, 1929, ampiamente citato in Quaderni II, pp. 267 ss.
[42] Cfr. Quaderni III, cit., p. 75.
[43] Cfr. S. Weil, La pesanteur et la grâce, p. 131, Plon, Paris 1948. Quanto il pensiero della Weil sia vicino al buddismo zen, è stato sottolineato da Gaston Kempfner, La philosophie mystique de Simone Weil, Nataraj, Falicon 1996.
[44] Cfr. Brhadaranyaka Upanishad, IV, 4, 3.
[45] Ibid., IV, 4, 9.
[46] Ibid., IV, 4, 22.
[47] Cfr. Quaderni I, cit., p. 274.
[48] Cfr. Quaderni II, cit., p. 235.
[49] Ibid., p. 261.
[50] Cfr. Quaderni I, cit., p. 192.
[51] Ibid., p. 323.
[52] La Weil si riferisce qui a un passo della Mundaka Upanishad, II, I, 1 che ella cita spesso: “Due uccelli, compagni inseparabilmente uniti, si trovano sullo stesso albero. L’uno mangia il frutto dell’albero, l’altro guarda senza mangiare”. Cfr. ad es. Quaderni II, cit., p. 339, nella Appendice, “Traduzione di testi indù”, pp. 335- 359.
[53]Ibid., p. 249.
[54] Cfr. S. Weil, Discesa di Dio, in La Grecia e le intuizioni precristiane, cit., pp. 234-240. A completamento di quanto qui accennato, rimando al mio saggio Simone Weil. L’amore implicito di Cristo, in: Cristo nella filosofia contemporanea, a cura di Silvano Zucal, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002; vol. II, Il Novecento, pp. 945-967.

venerdì 29 marzo 2019


LA LINEA DELLA VITA 
Life-Line
di Robert A. Heinlein
Astounding Science Fiction, agosto 1939

Più di ogni altro singolo scrittore, dopo lo stesso John Campbell, Robert A. Heinlein ha cambiato la fantascienza moderna. Nato a Butler, nel Missouri, aveva poco più di trent'anni quando cominciò la sua carriera di scrittore di fan-tascienza, e divenne ben presto la più grande stella dell'Età dell'Oro.
La sua serie Future History (raccolta poi come The Past Through Tomorrow, nel 1967) è una delle opere fondamentali nel canone della fantascienza. Benché le sue opinioni politiche e sociali abbiano generato forti controversie negli ultimi vent'anni, la sua enfasi circa l'ordine, l'individualismo e la disciplina, non sollevò molto scandalo all'inizio della sua carriera, quando l'America lottava disperatamente contro un fascismo illegale, caotico e disorganizzato.
La linea della vita fu il primo racconto della serie e il primo racconto di fan¬tascienza pubblicato da uno dei padri fondatori della fantascienza. E portò il suo autore immediatamente al successo.

(Fu Bob Heinlein a farmi conoscere la mia prima bevanda alcoolica. Si trattava di un «Cuba Libre». Io lo annusai sospettosamente, ma lui mi assicurò che era soltanto Coca-Cola; io non mi sognai neppure di dubitare di un uomo che in pochi mesi era stato riconosciuto universalmente come il «miglior scrittore» di fantascienza. Bevvi la bibita come se veramente fosse una Coca-Cola e fui prontamente assalito dai peggiori sintomi. Per quanto passassi a quel tempo per un tipo tranquillo, a quel punto dovetti ritirarmi in un angolo per rimettermi. Bob si mise a gridare: «Non c'è da stupirsi se non beve. Bere lo rende sobrio!»... così sono tuttora astemio. Isaac Asimov)

LA LINEA DELLA VITA
Il presidente richiamò all'ordine con voce alta. Gradualmente, i fischi e le urla cessarono mentre alcuni volontari si alzarono per convincere le poche teste calde a sedersi. Il conferenziere, sulla tribuna accanto al presidente, non sembrò accorgersi della confusione. Il suo volto pacato, vagamente insolente, era impassibile. Il presidente si voltò verso l'oratore e si rivolse a lui con una voce nella quale l'ira e la contrarietà erano appena appena trattenute.
«Dottor Pinero» — la parola «dottore» era lievemente sottolineata — «devo scusarmi con lei per l'indecorosa reazione verificatasi durante la sua esposizione. Sono sorpreso che i miei colleghi abbiano potuto dimenticare tanto la dignità che è propria degli uomini di scienza, così da interrompere un oratore, non importa — qui fece una pausa per dare la giusta espressione alla sua bocca — quanto grande sia stata la provocazione». Pinero gli sorrise apertamente, un sorriso che in qualche modo era come un palese insulto. Il presidente controllò visibilmente la propria ira e continuò: «Sono ansioso di veder concludere il nostro programma con ordine e decenza. Desidero che lei finisca di esporre le sue opinioni. Devo tuttavia chiederle di astenersi dall'insultare la nostra intelligenza con idee che qualsiasi mente istruita riconosce come erronee. La prego di limitarsi alla sua scoperta... se mai ne ha fatta una».
Pinero allargò sul tavolo le sue mani goffe e bianche, con i palmi rivolti verso il basso. «Come posso mettere una nuova idea nelle vostre teste, se prima non le sgomberate dei vostri errori?».
Il pubblico si agitò e cominciò a borbottare. Qualcuno gridò dalla sala: «Buttate fuori quel ciarlatano! Ne abbiamo avuto abbastanza».
Il presidente picchiò il suo martelletto.
«Signori! Vi prego!».
Poi rivolgendosi a Pinero: «Devo ricordarle che lei non è un membro di questo istituto e che non l'abbiamo invitata?».
Le sopracciglia di Pinero si aggrottarono. «Ah, è così? Giurerei di aver ricevuto un invito con l'intestazione dell'Accademia».
Il presidente si morse il labbro inferiore prima di rispondere. «È vero. Ho scritto io stesso quell'invito. Ma fu per richiesta di uno dei nostri amministratori... un distinto gentiluomo, dotato di senso civico, ma non uno scienziato, non un membro dell'Accademia».
Pinero sorrise con il suo fare irritante. «Ah, è così? Dovevo immaginarmelo. Il vecchio Bidwell, della Amalgamated Life Insurance? Voleva che le sue foche ammaestrate mi segnassero a dito come un imbroglione, vero? Perché se io sono in grado di predire a un uomo la data della sua morte, nessuno comprerebbe più le sue graziose polizze. Ma come potete dichiararmi un imbroglione, se prima non mi ascoltate? Anche supponendo che abbiate cervello abbastanza per capirmi? Bah! Ho mandato sciacalli a fare a pezzi un leone». Deliberatamente voltò a tutti la schiena.
Il borbottìo della folla aumentò e assunse toni minacciosi. Il presidente richiamò invano all'ordine. Un individuo si alzò nella prima fila.
«Signor Presidente!».
Il presidente afferrò questa possibilità e gridò: «Signori! Il dottor van Rhein Smitt ha la parola». Il mormorio cessò.
Il dottore si schiarì la gola, si lisciò il ricciolo della sua bella capigliatura candida e infilò una mano nella tasca laterale dei calzoni elegantemente confezionati dal sarto. Assunse quindi il suo atteggiamento da club per signore.
«Signor Presidente, colleghi membri dell'Accademia delle Scienze, cerchiamo di essere tolleranti. Persino un assassino ha il diritto di pronunciare la sua difesa prima che lo Stato decreti la sua pena. Vogliamo noi essere da meno? Anche se siamo intellettualmente sicuri del verdetto? Io concedo al dottor Pinero tutta la considerazione che deve essere data da questo augusto consesso a un collega, anche se — si inchinò lievemente in direzione di Pinero — non abbiamo molta dimestichezza con l'università che gli ha conferito la laurea. Se ciò che propone è falso, non può recarci alcun danno. Se ciò che afferma è vero, allora dobbiamo esserne a conoscenza». La sua voce calda, educata, si srotolava placando e distendendo gli animi. «Se le maniere di questo eminente dottore sono per i nostri gusti un tantino ineducate, dobbiamo ricordarci che il dottore viene forse da un luogo, o da uno strato sociale, che non è altrettanto meticoloso quanto noi a questo proposito. Ora il nostro buon amico e benefattore ci ha chiesto di prestare ascolto a questa persona e con molta cautela confermo la bontà delle sue opinioni. Agiamo dunque con dignità e decoro».
Si sedette tra un uragano di applausi, confortato dal pensiero di aver aumentato la sua reputazione di leader intellettuale. L'indomani i giornali avrebbero nuovamente menzionato il buon senso e la convincente personalità del «Più Affascinante Rettore d'Università d'America». Chissà... forse adesso il vecchio Bidwell si sarebbe deciso a fare quella donazione per la piscina.
Quando cessarono gli applausi, il presidente si rivolse all'individuo che sedeva al centro della perturbazione, le mani ripiegate sul ventre rotondo, il volto sereno.
«Vuole proseguire, dottor Pinero?».
«E perché dovrei?».
Il presidente scrollò le spalle. «È venuto qui per questo».
Pinero si alzò: «È vero. È proprio vero. Ma è stato saggio da parte mia venire? C'è qualcuno qui con una mente aperta, che può sopportare una verità gridata in faccia senza arrossire?    Non credo. Anche quell'affascinante signore che vi ha chiesto di ascoltarmi mi ha già giudicato e condannato. Lui cerca l'ordine, non la verità. Supponiamo che la verità sfidi l'ordine, vorrà lui accettarla? Lo vorrete voi? Io non ci credo. Tuttavia, se non parlo, vincerete la vostra causa per mio difetto. Il piccolo uomo della strada penserà che voi, piccoli uomini, mi avete smascherato come un ciarlatano, un imbroglione.
«Ripeterò dunque qual'è la mia scoperta. In linguaggio semplice, ho inventato una tecnica capace di predire quanto a lungo vive un uomo. Io sono in grado di anticiparvi il giorno della chiamata dell'Angelo della Morte. Posso dirvi quando il Cammello Nero si inginocchierà davanti alla vostra porta. Nel tempo di cinque minuti, con il mio apparecchio, posso svelarvi quanti grani di sabbia sono ancora nella vostra clessidra». Fece una pausa e incrociò le braccia sul petto. Per un momento nessuno parlò. Poi il pubblico divenne irrequieto.
Finalmente il presidente intervenne: «Non ha terminato, vero dottor Pinero?».
«Che cos'altro c'è da dire?».
«Non ci ha detto come funziona la sua scoperta».
Le sopracciglia di Pinero scattarono verso l'alto. «Lei suggerisce che io dovrei dare i frutti del mio lavoro in mano ai bambini, per giocare? Questa è una conoscenza pericolosa, amico mio. La tengo per l'uomo che è in grado di capirla, io stesso». Si batté il petto.
«Come potremo dunque sapere se c'è qualcosa di vero dietro le sue affermazioni?».
«È così semplice. Inviate un comitato che prenda visione di un mio esperimento. Se la cosa funziona, bene. Ne prendete atto e lo dichiarate al mondo. Se non funziona, mi screditate e io presenterò le mie scuse. Persino io, il dottor Pinero, presenterò le mie scuse».
Un tipo esile, dalle spalle curve, si alzò dalla platea. Il presidente lo riconobbe e lui prese la parola.
«Signor Presidente, come può l'eminente dottore proporre una simile procedura? Si crede forse che noi possiamo aspettare venti, trent'anni che qualcuno muoia per provare le sue affermazioni?».
Pinero ignorò il presidente e rispose direttamente.
«Pfui! È assurdo! Lei ignora a tal punto le statistiche da non sapere che in un certo gruppo c'è sempre uno che morirà nel prossimo futuro? Vi faccio una proposta. Lasciate che sottoponga alla mia prova i presenti in questa sala e vi additerò l'uomo che dovrà morire entro quindici giorni, proprio così, ed anche il giorno e l'ora della sua morte». Gettò attorno uno sguardo fiero. «Accettate?».
Un'altra persona si alzò, un uomo imponente che parlò misurando le sillabe. «Io, per quanto mi riguarda, non posso ammettere un simile esperimento. Come medico, ho notato con dispiacere i chiari segni di disturbi cardiaci in molti dei nostri colleghi più anziani. Se il dottor Pinero riconoscesse questi sintomi — cosa peraltro possibile — e dovesse poi selezionare come vittima uno di noi, l'individuo prescelto avrebbe molte possibilità di morire alla data indicata, sia che la clessidra del nostro distinto oratore funzioni o no».
Un altro signore sostenne immediatamente il medico. «Il dottor Shepard ha ragione. Perché dovremmo perdere il nostro tempo con questi trucchi vudù? È mia opinione che questo individuo che si fa chiamare dottor Pinero vuole usare questa istituzione per conferire autorevolezza alle sue affermazioni. Se partecipiamo a questa farsa, facciamo il suo gioco. Non so quale sia l'attività di questo signore, ma potete scommetterci che ha scoperto il modo di usarci per fare pubblicità ai suoi piani. Io chiedo, signor Presidente, che si proceda con il nostro regolare programma».
La proposta fu accolta da acclamazioni, ma Pinero non si sedette. Tra gli urli di «Ordine! Ordine!», scosse la sua testa scarmigliata e prese la parola.
«Barbari! Imbecilli! Stupidi asini! La gente come voi ha bloccato il progresso di ogni grande scoperta da quando è cominciato il mondo. Una ciurmaglia tanto ignorante fa rivoltare Galileo nella tomba. Quel grassone laggiù che arrota i suoi denti da alce, si fa chiamare medico. Stregone sarebbe forse un termine più adatto! E quel figuro pelato laggiù, sì, proprio lei, si definisce un filosofo e chiacchiera della vita e della morte applicando le sue asettiche categorie. Che ne sapete voi dell'una e dell'altra? Come potete imparare mai qualche cosa se non avete il coraggio di esaminare la verità quando se ne presenta l'occasione? Bah!». Pinero sputò sul palcoscenico. «Voi chiamate questa un'Accademia delle Scienze. Io la chiamo un'Associazione di becchini interessati solo a imbalsamare le idee ricevute dai vostri sanguigni predecessori».
Fece una pausa per prendere fiato e venne afferrato dai due lati da due membri del comitato, poi scomparve tra le quinte. Diversi giornalisti si alzarono in fretta dal tavolo della stampa e lo seguirono. Il presidente dichiarò che la seduta era aggiornata.

Due giornalisti raggiunsero Pinero mentre costui stava uscendo per la porta del palcoscenico. Camminava con passo elastico e leggero e fischiettava un'ariettina. Non c'era traccia in lui dell'aggressività che aveva mostrato un momento prima. Si affollarono intorno a lui. «Che ne dice di un'intervista, dottore?». «Che cosa ne pensa dell'istruzione moderna?». «Certo a loro lo avrebbe detto. Quali sono i suoi punti di vista sulla vita dopo la morte?». «Si tolga il cappello, dottore, e guardi l'uccellino».
Sorrise a tutti. «Uno alla volta, ragazzi, e non così in fretta. Anch'io sono stato giornalista, un tempo. Che ne dite di venire a casa mia?».
Pochi minuti più tardi, i giornalisti cercavano di trovar posto a sedere nel salotto di Pinero, e si accendevano i sigari. Pinero si guardò intorno raggiante. «Cosa volete, ragazzi? Scotch o Bourbon?». Quando i bicchieri furono riempiti, passarono agli affari. «Adesso, ragazzi, che cosa volete sapere?».
«Dica la verità, dottore. Ha scoperto qualcosa, o non lo ha scoperto?».
«Nel modo più assoluto, ho davvero qualcosa, miei giovani amici».
«Allora ci dica come funziona. Le risposte che ha dato a quei professoroni non la porteranno molto lontano, per ora».
«La prego, mio caro amico. L'invenzione è mia. Vorrei farci un po' di soldi. Vorreste che ne rivelassi il segreto al primo che me lo chiede?».
«Vede, dottore, deve pur dirci qualcosa se si aspetta di trovare un articolo sui giornali di domani mattina. Che cosa adopera? Una sfera di cristallo?».
«Non precisamente. Volete vedere le mie apparecchiature?».
«Ma certo. Adesso sì che stiamo ragionando».
Li guidò in una camera adiacente e fece segno con la mano. «Eccola, ragazzi». L'insieme di apparecchiature che incontrò i loro occhi rassomigliava vagamente a una macchina per raggi X di un gabinetto medico. A parte il fatto che il congegno funzionava a elettricità e che alcuni quadranti erano disposti secondo simboli piuttosto familiari, una prima ispezione non rivelò alcuna traccia circa il suo funzionamento.
«Qual è il principio, dottore?».
Pinero fece il broncio con le labbra e rifletté. «Senza dubbio siete tutti a conoscenza della verità lapalissiana che la vita è di natura elettrica. Bene, questo principio non vale un bottone, ma può servirvi per darvi un'idea. Vi è stato anche detto che il tempo è la quarta dimensione. Forse lo credete, forse no. È stato detto tante volte che ha finito per non avere più alcun significato. È solo un cliché che i fanfaroni usano per impressionare gli sciocchi. Ma io vorrei che voi ora poteste visualizzare il concetto e capirlo a livello emozionale».
Fece un passo in avanti verso uno dei reporter. «Il suo nome è Rogers, non è vero? Molto bene, Rogers, lei è un fenomeno spazio-temporale che ha una durata in quattro direzioni. È alto un po' meno di uno e ottanta, è largo cinquantacinque centimetri, e spesso forse venticinque. Nel tempo, si prolunga al di là di lei, più di questo fenomeno spazio-temporale, raggiungendo, forse, il 1905, del quale vediamo qui la linea di sezione ad angoli retti sull'asse del tempo, dello spessore del presente. Ad un estremo c'è un bambino, che odora di latte acido e che succhia la sua co¬lazione da un biberon. All'altro estremo si trova, forse, un uomo vecchio, in qualche punto vicino al 1980. Immaginiamo questo avvenimento spazio-temporale, che noi chiamiamo Rogers, come un lungo verme rosa, che dura negli anni. Si allunga al di là di noi, qui nel 1939, e la linea di sezione che noi vediamo appare come un singolo tratto, staccato. Ma questa è un'illusione. C'è una continuità fisica di questo verme rosa che dura attraverso gli anni. E, in verità, c'è una continuità fisica in questo concetto dell'intera razza, perché questi vermi rosa si diramano da altri vermi rosa. In modo che la razza diventa come una pianta i cui rami si intersecano ed emettono germogli. Solo prendendo una li¬nea di sezione della pianta cadiamo nell'errore di credere che questi germogli siano individui separati».
Si fermò e gettò un'occhiata sui volti intorno a lui. Uno di loro, un individuo severo, dall'aria alquanto spazientita, interven¬ne.
«Questo è molto carino, Pinero, se è vero, ma dove ci sta por¬tando?».
Pinero gli elargì un sorriso nient'affatto risentito. «Abbia pa¬zienza, amico; le ho chiesto di pensare alla vita come ad un feno¬meno elettrico. Pensi ora al nostro lungo verme rosa come a un conduttore di elettricità. Forse ha sentito parlare del fatto che gli ingegneri elettrotecnici possono, mediante certe misurazioni, sco¬prire in quale punto esatto di un cavo transatlantico si è verifica¬to un guasto, senza muoversi dalla costa. Io faccio lo stesso con i nostri vermi rosa. Applicando i miei strumenti alla linea di sezio¬ne che si trova in questa stanza, posso predire dove si verificherà il guasto; cioè, in che punto avrà luogo la morte. O, se vuole, pos¬so invertire i rapporti e dirle la data della sua nascita. Ma questo non è interessante perché lei la conosce già».
Il tipo severo si esibì in un risolino. «L'ho colta in fallo, dotto¬re. Se ciò che lei afferma circa la razza, che sarebbe come una pianta di vermi rosa, è vero, lei non può indovinare il giorno in cui gli individui nascono, perché la connessione con la razza è continua, alla nascita. Il suo conduttore elettrico continua all'indietro, attraverso la madre sino a raggiungere i più antichi proge¬nitori di un uomo».
Pinero era raggiante. «È vero, è molto intelligente da parte sua, amico mio. Ma lei ha spinto l'analogia troppo lontano. Tut¬to ciò non avviene nel modo preciso con cui uno misura la lun¬ghezza di un conduttore elettrico. In un certo modo la mia sco¬perta funziona piuttosto nel modo in cui si misura la lunghezza di un lungo corridoio lanciando e facendo rimbalzare un'eco nella sua estremità lontana. Alla nascita, c'è come una piccola cavità nel corridoio e, con una giusta taratura, posso individuarne l'eco proprio per mezzo di quella cavità».
«Vediamone una dimostrazione».
«Ma certo, mio caro amico. Vuole farmi lei da soggetto?».
Uno degli altri parlò. «Ha scoperto il tuo bluff, Luke. Accetta o taci».
«Ci sto. Che cosa devo fare?».
«Prima scriva la data della sua nascita su un foglio di carta e lo consegni ad uno dei suoi colleghi».
Luke eseguì. «E adesso?».
«Si tolga gli indumenti esterni e salga su questa bilancia. Ora mi dica, lei è stato più magro di adesso o molto più grasso? No? Quanto pesava alla nascita? Cinque chili? Un bel bambino robu¬sto. Non ne nascono più di così robusti, ora».
«Cosa sono tutte queste sciocchezze?».
«Sto cercando di indovinare approssimativamente la linea di sezione media del nostro lungo conduttore, mio caro Luke. Ora vuole sedersi qui, per favore? Poi metta in bocca questo elettro¬do. No, non le farà alcun male; il voltaggio è molto basso, meno di un micro-volt, ma devo avere una buona connessione». Il dot¬tore lasciò Luke e si ritirò dietro il suo apparecchio, dove si calò un cappuccio sulla testa prima di toccare le leve di comando. Al¬cuni dei quadranti esposti a vista si illuminarono e un fioco ron¬zìo si alzò dalla macchina. Poi si arrestò, e il dottore balzò fuori dal suo nascondiglio.
«Ho trovato qualcosa nel febbraio del 1902. Chi ha il foglio con la data?».
«Il foglio venne tirato fuori e aperto. Il tipo che l'aveva in ma¬no lesse: «22 febbraio 1902».
Il silenzio che seguì fu rotto da una voce proveniente da un estre¬mo del gruppetto. «Dottore, posso avere un altro drink?».
La tensione si allentò e molti si misero a commentare fra loro. «Provi su di me, dottore». «No, prima io; sono orfano e mi piace¬rebbe sapere la data esatta». «Su, dottore, ci faccia divertire un po'».
Pinero acconsentì, sorridendo, entrando e uscendo dal suo cappuccio come una talpa dalla sua tana. Quando tutti furono in possesso dei due foglietti di carta gemelli che provavano l'abilità del dottore, Luke ruppe il prolungato silenzio.
«Perché ora non ci fa vedere come predice la morte, dottore?».
«Se volete. Chi è disposto a provare?».
Nessuno rispose. Qualcuno cercò di spingere Luke a farsi avanti. «Forza, fatti sotto, sei tu che l'hai chiesto». Luke si lasciò mettere a sedere sulla sedia. Pinero cambiò di posizione alcune manopole, poi entrò sotto il cappuccio. Quando il ronzio cessò, uscì fregandosi le mani in modo spiccio.
«Ecco, ragazzi, questo è tutto, nient'altro. Ce n'è abbastanza per scrivere un articolo?».
«Ehi! E la predizione? Quando Luke avrà la sua sentenza?».
Luke fronteggiò Pinero. «Appunto, quando?».
Pinero sembrò addolorato. «Signori, voi mi sorprendete. Quel-l'informazione la dò in cambio di un onorario. Inoltre, è un se¬greto professionale. Non lo dico a nessuno tranne che al cliente che è venuto a consultarmi».
«A me non importa. Procediamo e che la data della mia mor¬te venga detta a tutti».
«Sono molto spiacente. Sono costretto a rifiutare. Ho soltanto accettato di mostrarvi come funzionava la macchina, non di darvene i risultati».
Luke schiacciò il mozzicone della sua sigaretta sul pavimento. «È un imbroglione, ragazzi. Probabilmente ha guardato l'età di tutti i giornalisti in città giusto per essere pronto a fare il suo gio¬chetto. Non attacca, Pinero».
Pinero lo sfiorò con uno sguardo triste. «È sposato, amico mio?».
«No».
«Ha qualcuno in famiglia? Qualche parente stretto?».
«No. Perché? Vuole adottarmi?».
Pinero scosse la testa. «Sono molto spiacente per lei, mio caro Luke. Lei morirà prima di domani».

LA MORTE SPACCA IL SECONDO

...venti minuti dopo la strana predizione di Pinero, Timons veniva colpito da un'insegna cadutagli in testa mentre camminava lungo Broadway verso gli uffici del «Daily Herald», dove lavorava.
Il dottor Pinero si rifiutava di commentare l'accaduto, ma confermava di aver predetto la morte di Timons per mezzo del suo cosiddetto «cronovitametro», così ha dichiarato l'Ispettore di Polizia Roy.

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Avvertenza legale
A chi può interessare, io, John Cabot Winthrop III, della «Winthrop, Winthrop, Ditmars & Winthrop», Ufficio Consulenze legali, affermo che Hugo Pinero, domiciliato in questa città, mi ha consegnato diecimila dollari in moneta legale degli Stati Uniti e mi ha dato istruzioni affinché vengano depositati pres¬so una banca autorizzata, di mia scelta, con le seguenti condizioni:
L'intera somma dovrà essere versata al primo cliente di Hugo Pinero e/o «Sands of Time, Inc.», che manterrà il godimento della propria vita dell'uno per cento in eccesso rispetto alla predizione di Hugo Pinero, oppure agli eredi del primo cliente che si vedrà privato di tale godimento in difetto sempre della medesima percentuale, a seconda di quale delle due circostanze si verifichi per prima nel tempo.
Dichiarato, sottoscritto e giurato
John Cabot Winthrop III
Sottoscritto e giurato alla mia
presenza il 2 di aprile 1939.
Albert M. Swanson
Notaio nominato per questa
contea e stato. Il mio incarico
ha scadenza il 17 giugno 1939.

«Buona sera, radioascoltatori, signori e signore, una notizia sensazionale! Hugo Pinero, l'Uomo Miracolo venuto dal Nulla, ha eseguito oggi la sua millesima predizione di morte senza che nes¬suno abbia potuto reclamare la somma da lui offerta al primo cliente rivelatosi vittima di un errore nella predizione. Con tredici clienti già morti, è matematicamente certo che il dottore possiede una linea privata di comunicazione con Il Vecchio Con La Falce. È un tipo di informazione che proprio, personalmente, non ci tengo a conoscere prima che mi si riveli spontaneamente. Il vostro corrispondente da costa a costa non sarà mai un cliente del pro¬feta Pinero...».

L'acquoso tono baritonale del giudice aleggiò nell'aria sta¬gnante dell'aula. «Prego, signor Weems, torniamo al nostro caso. Questa corte ha già accettato la vostra richiesta di un ordine di temporanea cessazione di attività, e ora lei chiede che tale ordine diventi di cessazione definitiva. In risposta, il dottor Pinero affer¬ma che non è stata presentata alcuna ragione e chiede che l'ordi¬ne venga revocato e che io ordini al suo cliente di cessare da ten¬tativi di interferenza con quella che il dottor Pinero dichiara esse¬re un'attività perfettamente semplice e legale. Poiché lei non si sta rivolgendo ad una giuria, la preghiamo di tralasciare qualsiasi retorica e di dirci in parole semplici perché non dovrei aderire al¬la sua richiesta». Il signor Weems fece sussultare il mento nervo¬samente e, mentre la sua flaccida e grigia pappagorgia ballonzolava contro il rigido colletto alto, riprese:
«Con licenza di questa onorevole corte, io rappresento il pub¬blico...».
«Un momento, io pensavo che lei rappresentasse la Amalga¬mated Life Insurance».
«Sì, vostro onore, in un certo senso. Ma in un senso più am¬pio rappresento anche molte altre assicurazioni importanti, istitu¬ti fiduciari e finanziari, i loro azionisti, coloro che detengono po¬lizze, e tutti costoro costituiscono la maggioranza dei cittadini. In aggiunta, noi ci sentiamo di affermare che proteggiamo gli inte¬ressi dell'intera popolazione, che non è organizzata, non ha facol¬tà di parola ed è priva di tutela».
«In verità, pensavo di essere io a rappresentare il pubblico», osservò seccamente il giudice. «Temo di dover considerare che lei compare qui semplicemente per il suo cliente. Ma continui. Qual è la sua tesi?».
L'anzianotto avvocato cercò di ingoiare il suo pomo d'Adamo e poi continuò: «Vostro Onore, noi affermiamo che vi sono due ragioni distinte perché l'ingiunzione sia dichiarata definitiva e, inoltre, che ciascuna di queste ragioni è già sufficiente da sola.
«In primo luogo, la persona in causa si dedica alla pratica della lettura del futuro, occupazione proscritta sia dalle norme ci¬vili che penali. Si tratta di un volgare chiromante, un ciarlatano, un vagabondo che si approfitta dell'ingenuità del pubblico. È più astuto dei soliti zingari che leggono la mano, degli astrologi o di quelli che interrogano le carte; quindi, è molto più pericoloso. Pinero fa falsamente ricorso a metodi scientifici per dare una dub¬bia dignità alla taumaturgia. Sono presenti qui nell'aula rappre-sentanti di primo piano dell'Accademia delle Scienze che possono prestare la loro testimonianza di esperti circa l'assurdità delle pretese del dottor Pinero.
«In secondo luogo, anche se le dichiarazioni di questa persona fossero veritiere... ammettendo tale assurdità per amore di di¬scussione» — a questo punto il signor Weems si permise un sorri¬sino a labbra strette — «noi pretendiamo che le sue attività sono contrarie al pubblico interesse, in generale, e illegalmente danno¬se agli interessi del mio cliente, in particolare. Noi siamo pronti a produrre numerosi documenti legali che comprovano come questa persona ha pubblicato, o ha favorito la pubblicazione di dichiara¬zioni che incitano il pubblico a rinunciare al prezioso vantaggio che concede loro un'assicurazione sulla vita, a grande detrimento del loro benessere e a incalcolabile danno del mio cliente».
Pinero si alzò: «Vostro Onore, posso prendere la parola?».
«Che cosa c'è?».
«Credo di poter chiarire la situazione se mi è concesso di fare una breve analisi».
«Vostro Onore», interloquì Weems, «questo è assolutamente irregolare».
«Pazienza, signor Weems; i suoi interessi saranno difesi. A me pare che, in questa faccenda, abbiamo bisogno di maggior chia¬rezza e di meno rumore. Se il dottor Pinero è in grado di abbre¬viare la procedura prendendo la parola in questo momento, sono favorevole a concedergliela. Proceda, dottor Pinero».
«Grazie, Vostro Onore. Partendo dall'ultima ragione del si¬gnor Weems, sono pronto a convenire che ho pubblicato le di¬chiarazioni di cui parla...».
«Un momento, dottore. Lei ha scelto di parlare come avvocato in propria difesa. Ma è certo di essere competente e in grado di difendere i suoi interessi?».
«Mi assumo il rischio, Vostro Onore. I nostri amici qui posso¬no facilmente provare ciò che dichiaro».
«Molto bene. Proceda».
«Converrò che molte persone hanno rinunciato alle loro poliz¬ze d'assicurazione sulla vita come risultato di tali dichiarazioni, ma io sfido chiunque a dimostrare che alcuno, nel fare questo, abbia subito perdite o danni in conseguenza. È vero che la Amal¬gamated ha perso affari a seguito della mia attività, ma ciò non è che un risultato naturale della mia scoperta, che ha reso le loro polizze antiquate come l'arco e le frecce. Se un'ingiunzione è concessa su questa base, allora io metterò in piedi una fabbrica di lumi ad olio o a carburo e poi chiederò un'ingiunzione contro le compagnie Edison e General Electric per impedire loro la fab¬bricazione di lampadine.
«Converrò di essere impegnato in un'attività di predizione del¬la data di morte, ma nego di fare pratiche di magia, nera, bianca o variopinta che sia. Se fare predizioni con metodi di precisione scientifica è illegale, allora gli attuari della Amalgamated sono in colpa da anni, per il fatto che predicono l'esatta percentuale di morti, ogni anno, in un dato gruppo. Io predico la morte al det¬taglio; la Amalgamated la predice all'ingrosso. Se le loro attività sono legali, come possono essere illegali le mie?
«Ammetto che c'è una bella differenza se io posso o non posso compiere ciò che pretendo; e converrò che i cosiddetti esperti te¬stimoni dell'Accademia delle Scienze provino che non posso. Ma loro non conoscono nulla dei miei metodi e non possono quindi prestare alcuna testimonianza da esperti in proposito...».
«Un momento, dottore. Signor Weems, è vero che i vostri testi¬moni ed esperti non sono a conoscenza delle teorie e dei metodi del dottor Pinero?».
Il signor Weems sembrò preoccupato. Tamburellò sul tavolo, quindi rispose: «Vorrebbe la corte concedermi alcuni istanti?».
«Certamente».
«Il signor Weems si precipitò a consultare con grandi borbottìi la sua coorte, poi ritornò alla sbarra. «Abbiamo una procedura da suggerire, Vostro Onore. Se il dottor Pinero volesse salire sul palco e spiegare la teoria e la pratica dei suoi pretesi metodi, in seguito questi eminenti scienziati saranno in grado di esprimere la lo¬ro opinione alla corte circa la validità delle sue affermazioni».
Il giudice guardò con aria interrogativa Pinero, il quale rispo¬se: «Non aderirò a tale richiesta. Sia che i miei metodi siano veri o falsi, sarebbe comunque assai pericoloso lasciarli cadere nelle mani di pazzi o di imbroglioni» — Pinero sventolò la mano in di¬rezione del gruppo di professori seduti in prima fila, fece una pausa e sorrise maliziosamente — «come questi signori sanno perfettamente. Inoltre, non è necessario conoscere il procedimento per provare che funziona. È necessario forse comprendere il miracolo complesso della riproduzione biologica per accertarsi se una gallina depone le uova? È necessario che io mi metta a rie¬ducare l'intero corpo di questi sedicenti custodi della sapienza, a guarirli delle loro innate superstizioni, allo scopo di provare che le mie predizioni sono esatte?
«Vi sono solo due modi per formarsi un'opinione nella scien¬za. Uno è il metodo scientifico; l'altro quello scolastico. Uno giu¬dica dall'esperienza, l'altro accetta ciecamente l'autorità. Per una mente scientifica, la prova dell'esperienza è quella che conta e la teoria è puramente una comodità per descrivere i fenomeni, da gettar via non appena non aderisce più ai fatti. Per una mente accademica, l'autorità è tutto, e i fatti vengono negati quando non convengono alla teoria espressa dalla sola autorità.
«È questo punto di vista — la mente accademica che rimane fissa come un'ostrica a teorie abbandonate — che ha bloccato sempre ogni progresso della conoscenza nella storia. Io sono pronto a provare i miei metodi con l'esperimento e, come fece Galileo in un'altra corte, insisto a dire: «Eppur si muove!».
«Già una volta ho offerto la dimostrazione a questo stesso cor¬po di esperti, così definitisi da soli, ed essi hanno rifiutato. Rin¬novo ora la mia offerta; misuriamo la lunghezza della vita dei membri dell'Accademia delle Scienze. Designiamo un comitato che esamini i risultati. Io sigillerò i miei reperti in due serie di buste; all'esterno di ciascuna busta di una serie apparirà il nome di un membro; all'interno sarà indicata la data della morte. Nell'altra serie metterò all'interno i nomi, all'esterno le date. Che il comita-to collochi le buste in una cassaforte e si riunisca ogni tanto per aprire le buste convenienti. In un gruppo di persone così ampio ci si deve aspettare che qualcuno muoia e, se si può fare affidamen¬to sull'Amalgamated, ciò avverrà ogni una o due settimane. In tal modo, il comitato avrà presto a disposizione dati sufficienti a provare se Pinero è un bugiardo o no».
S'interruppe e spinse in fuori il petto sino a comprimersi qua¬si completamente il piccolo ventre rotondo. Poi lanciò un'occhiata sfavillante ai sapienti, tutti in preda a crisi di sudore.
«Ebbene?».
Il giudice alzò le sopracciglia e incrociò lo sguardo del signor Weems. «Allora accettate?».
«Vostro Onore, ritengo l'offerta assolutamente sconvenien¬te...».
Il giudice tagliò corto. «L'avverto che emetterò il mio giudizio contro di voi, se non accettate, o se non proponete una procedura altrettanto ragionevole per arrivare alla verità».
Weems spalancò la bocca, cambiò parere, scrutò dall'alto al basso i volti degli eminenti scienziati, e si rivolse alla corte. «Ac¬cettiamo, Vostro Onore».
«Molto bene. Mettetevi d'accordo sui particolari. L'ingiunzio¬ne è temporaneamente sospesa e il dottor Pinero non deve essere molestato nell'esercizio delle sue attività. Una decisione circa la richiesta di ingiunzione di cessazione di attività rimane in sospeso senza pregiudizio in attesa della presentazione delle prove. Prima di chiudere, desidero commentare l'opinione da lei espressa, si¬gnor Weems, circa il danno reclamato dal suo cliente. Nella men¬te di talune categorie di persone nel nostro paese si è formata la convinzione che se un uomo o una società ha tratto profitti dal pubblico per un certo numero di anni, il governo e la magistratu¬ra hanno l'obbligo di garantire tali profitti anche in futuro, anche a dispetto di mutate circostanze e in modo contrario all'interesse pubblico. Questa strana convinzione non è sostenuta da alcuna delle norme vigenti. Nessun individuo e nessuna società ha il di¬ritto di presentarsi in questa corte e chiedere che l'orologio della storia venga fermato o fatto camminare all'indietro».
Bidwell emise un grugnito di contrarietà. «Weems, se non ha idee migliori di quelle esposte sinora, l'Amalgamated avrà biso¬gno di un nuovo avvocato. Sono dieci settimane, da quando lei ha perso la sua causa, che quel mostriciattolo si sta riempiendo di de¬naro fino alle orecchie. Nel frattempo tutte le compagnie d'assi¬curazione del paese stanno andando verso il fallimento. Hoskins, qual è il nostro indice di perdita?».
«È difficile da dire, signor Bidwell. Peggiora ogni giorno. Questa settimana abbiamo perso tredici grosse polizze; tutte rinun¬ciate da quando il dottor Pinero ha iniziato la sua attività».
Un tipo piccolo e smilzo si alzò a parlare. «Aggiungo, Bidwell, che non accettiamo più nuove domande per la United, sino a che non possiamo controllare se i clienti hanno consultato Pinero. Non possiamo aspettare che gli scienziati lo smascherino?».
Bidwell grugnì. «Voi dannati ottimisti! Non lo smaschereranno mai. Aldrich, vuoi accettare un fatto? Quella peste ha qualcosa; di che tipo non so. È una lotta all'ultimo sangue. Se aspettiamo, siamo spacciati». Gettò il sigaro in una sputacchiera e si mise a masticare furiosamente un sigaro nuovo. «Fuori di qui, tutti quanti! Me la caverò da solo e farò a modo mio. Anche tu, Aldrich. L'United può aspettare, ma la Amalgamated non aspet-terà».
Weems si schiarì la gola nervosamente. «Signor Bidwell, ho fi¬ducia che lei vorrà consultarmi prima di imbarcarsi in un serio cambio di politica?».
Bidwell grugnì di nuovo. Gli altri se ne andarono. Quando fu¬rono tutti usciti e la porta fu richiusa Bidwell azionò l'interruttore dell'interfono. «Okay, fatelo entrare».
La porta esterna si aprì. Una figura smilza e azzimata si arre¬stò per un istante sulla soglia. I suoi piccoli occhi scuri ispeziona¬rono rapidamente tutta la stanza, poi lui entrò, si mosse verso Bidwell con passo rapido e silenzioso e gli parlò con voce piatta, senza emozione. Il suo volto rimase impassibile, solo gli occhi erano vivi, animaleschi. «Desiderava parlarmi?».
«Sì».
«Qual è la sua proposta?».
«Si sieda e ne parliamo».

Pinero incontrò la giovane coppia sulla porta del suo ufficio. «Entrate, miei cari, entrate. Sedetevi, accomodatevi come se foste a casa vostra. E ora ditemi, che cosa volete da Pinero? Certo per¬sone giovani come voi non sono così ansiose di sapere qualcosa circa la chiamata finale!».
Il volto gradevole del giovanotto mostrò un leggero imbarazzo. «Be', vede... dottor Pinero... Mi chiamo Ed Hartley e questa è mia moglie, Betty. Stiamo per avere... Betty aspetta un bambino, e...».
Pinero sorrise, con affabilità. «Capisco. Desiderate sapere quanto a lungo avete da vivere per poter provvedere nel miglior modo possibile al futuro del vostro figliolino. Saggio. Volete sa¬pere entrambi, o soltanto lei?».
La ragazza rispose: «Tutti e due, pensiamo».
Pinero la guardò raggiante. «Se è così... D'accordo. La lettura del suo dato presenta qualche difficoltà tecnica, date le condizio¬ni, ma le posso dire qualcosa lo stesso. Venite nel mio laborato¬rio, prego, e cominceremo subito».
Suonò per avere le loro cartelle, poi guidò i due giovani nel laboratorio. «Prima la signora Hartley, per favore. Se vuole acco¬modarsi dietro quel paravento... e si tolga le scarpe e gli abiti esterni, grazie».
Si voltò e apportò qualche modifica al suo apparecchio. Ed fece un cenno a sua moglie, che scivolò dietro il paravento e ne riuscì qua¬si subito vestita solo dei suoi slip. Pinero alzò la testa.
«Da questa parte, cara. Prima dobbiamo prenderle il peso. Là. Ora si metta sulla piattaforma, questo elettrodo nella bocca. No, Ed, lei non deve toccarla finché è nel circuito. È questione di un minuto. Stia tranquillo».
Si tuffò sotto al cappuccio dell'apparecchio e i quadranti si accesero. Dopo brevissimo tempo riemerse dal cappuccio, con un'espressione di turbamento negli occhi. «Ed, per caso, l'ha tocca¬ta?».
«No, dottore». Pinero si rituffò sotto al cappuccio e vi rimase un po' più a lungo. Quando ne uscì, questa volta disse alla ragazza di scendere e di rivestirsi. Si rivolse quindi al marito.
«Ed, si prepari lei».
«Qual è la risposta per Betty, dottore?».
«C'è una piccola difficoltà. Desidero vedere la sua, prima».
Quando venne fuori dopo aver rilevato il dato riguardante Ed, il volto di Pinero era più turbato che mai. Ed gli chiese il perché del suo turbamento. Pinero scosse le spalle e si forzò un sorriso sulle labbra.
«Niente che vi riguardi, ragazzo. Una piccola disfunzione meccanica, credo. Non sono in grado di darvi la risposta oggi. Dovrò fare dei controlli alla macchina. Potete tornare domani?».
«Perché domani? Sì... penso di sì. Mi spiace per l'apparec¬chio, spero non sia niente di grave».
«Non lo sarà, ne sono sicuro. Vorreste tornare nel mio ufficio, potremmo fare due chiacchiere».
«Grazie, dottore, è molto gentile».
«Ma Ed, io ho un appuntamento con Ellen».
Pinero rivolse tutta la forza della sua personalità sulla giovane donna. «Non mi concede qualche minuto, mia cara amica? Io so¬no vecchio e amo la compagnia e la vivacità dei giovani. Me ne tocca molto poca. La prego». Li spinse gentilmente nel suo ufficio e li pregò di accomodarsi. Poi ordinò che portassero bibite e pa¬sticcini, offrì loro sigarette e si accese un sigaro.
Quaranta minuti più tardi Ed ascoltava incantato, mentre Betty era visibilmente molto nervosa e ansiosa di andarsene quando il dottore cominciò a raccontare una storia sulle sue av¬venture da giovane nella Terra del Fuoco. Non appena il dottore fece una pausa per riaccendere il suo sigaro, Betty si alzò in pie¬di.
«Dottore, davvero dobbiamo andare. Non potrebbe finire la storia domani?».
«Domani? Domani non ci sarà tempo».
«Ma lei non ha tempo neppure oggi. La sua segretaria ha suo¬nato cinque volte».
«Non può concedermi ancora pochi minuti?».
«Non posso veramente, dottore. Ho un appuntamento. Qual¬cuno mi sta aspettando».
«Non c'è modo di persuaderla?».
«Temo di no. Andiamo, Ed.».
Dopo che se ne furono andati il dottore si recò alla finestra e rimase là a guardare la città. In quel momento notò due minu¬scole figure nell'atto di lasciare l'edificio. Le osservò correre sino all'angolo, aspettare che il semaforo segnasse il verde, e poi at¬traversare la strada. Quando furono a mezza via, si udì l'urlo di una sirena. Le due figurine esitarono, fecero per tornare indietro, si fermarono e si voltarono. E in quel momento l'automobile gli fu addosso. Quando l'automobile riuscì a bloccarsi nella frenata, da sotto le ruote comparvero non più due figure, ma un informe, arruffato mucchietto d'abiti.
Il dottore si allontanò dalla finestra. Poi afferrò il telefono in¬terno e parlò con la segretaria.
«Cancelli tutti gli appuntamenti di oggi, per favore... No... Nessuno... Non m'importa... li cancelli».
Si lasciò andare sulla sua sedia. Il suo sigaro si spense. Poi cadde la notte, ma il sigaro era sempre là, sempre spento.

Pinero sedette al tavolo da pranzo e contemplò la colazione da ghiottone che vi era preparata. Aveva ordinato questo pasto con particolare attenzione ed era tornato a casa prima del solito per potersela godere in pieno.
Più tardi, si lasciò cadere alcune gocce di «Liquore d'Erbe» sulla lingua e giù per la gola. Il denso, aromatico liquore gli scal¬dò la bocca e gli ricordò i fiori di montagna dai quali prendeva il nome. Pinero sospirò. Era stato un buon pasto, un pasto squisito che giustificava l'esotico liquore.
Le sue riflessioni furono interrotte da una confusione prove¬niente dalla porta d'ingresso. La voce della sua anziana cameriera si fece udire nell'atto di sollevare delle proteste. Una pesante voce maschile la interruppe. Il frastuono si mosse lungo l'ingresso fin¬ché la porta della sala da pranzo fu aperta.
«Madonna mia! Non si può entrare! Il padrone sta man¬giando».
«Non importa, Angela. Ho tempo per ricevere questi gentiluo¬mini. Può andare».
Pinero affrontò il capo degli intrusi, un tipo dal volto arcigno. «Lei ha qualcosa da dirmi?».
«Può scommetterci che ce l'ho. Le persone per bene ne hanno abbastanza delle sue maledette truffe».
«E allora?».
Il visitatore non rispose subito. Un tipo smilzo e tutto azzimato avanzò alle spalle del primo e si portò di fronte a Pinero.

«Possiamo cominciare». Il presidente del comitato infilò la chiave nella serratura del cofano e lo aprì. «Wenzell, vuole aiu¬tarmi a scegliere e tirar fuori le buste di oggi?». Fu interrotto da un colpetto sul braccio.
«Dottor Baird, è desiderato al telefono».
«Va bene. Porti qui l'apparecchio».
Quando gli fu portato il telefono, si mise il ricevitore all'orec¬chio. «Pronto... Sì... parli. Che cosa?... No, non abbiamo sentito niente... La macchina è distrutta, dice... Morto! Ma come!... Nessuna dichiarazione. Proprio nessuna... Mi chiami più tardi».
Buttò giù il ricevitore in qualche modo e lo allontanò da sé.
«Che cosa è successo?».
«Chi è morto?».
Baird alzò il braccio. «Calmi, signori, per favore! Pinero è stato assassinato alcuni momenti fa a casa sua».
«Assassinato!».
«E questo non è tutto. Quasi contemporaneamente, alcuni banditi hanno fatto irruzione nel suo ufficio e hanno fracassato le sue apparecchiature».
Per un po' nessuno parlò. I membri del comitato si guardaro¬no in faccia l'un l'altro. Nessuno sembrava ansioso di essere il primo a esprimere un commento.
Finalmente uno parlò: «Tiratela fuori».
«Tirar fuori che cosa?».
«La busta di Pinero. Anche la sua è qui dentro. L'ho vista».
Baird la trovò e l'aprì lentamente. Spiegò il foglio di carta e lo lesse.
«Ebbene?».
«Una e trenta del pomeriggio... oggi».
Accolsero tutti la notizia in silenzio.
Poi, quella calma equilibrata fu rotta da un membro che, dal¬l'altra parte del tavolo, cercò di raggiungere il cofano. Baird lo fermò con una mano.
«Che cosa vuole?».
«La mia predizione. È lì. Sono tutte lì».
«Sì, sì».
«Tutti noi siamo in quel cofano».
«Le vogliamo vedere».
Baird piazzò entrambe le mani sul cofano. Fissò lo sguardo sull'uomo di fronte a lui, ma non parlò. Si inumidì le labbra. L'angolo della bocca gli si contrasse. Le mani gli tremarono. Ma continuò senza parlare. Il tipo che gli stava di fronte si rilassò, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Temo che abbia ragio¬ne, lei», disse.
«Datemi il cestino della carta straccia». La voce di Baird era tesa e soffocata, ma non meno decisa.
Lo afferrò e ne rovesciò il contenuto sul tappeto. Sistemò il cofanetto di metallo sul tavolo. Strappò a metà una mezza dozzi¬na di buste, accese un fiammifero e vi diede fuoco, gettando le buste nel cestino. Poi cominciò a strappare le altre con entrambe le mani, curando che il fuoco non si spegnesse. Il fumo lo fece tossire e gli fece bruciare gli occhi, dai quali presto sgorgarono visibilmente delle lacrime. Qualcuno si alzò e aprì una finestra. Quando Baird ebbe finito, allontanò da sé il cestino, guardò ver¬so il basso e parlò.
«Mi spiace d'aver rovinato il tavolo».