lunedì 4 marzo 2019

BRENTANO. UNA FANTASIA
Estratto da "Storie che danno da pensare"
Robert Walser

  Non appena aprirò bocca, cari lettori, e comincerò il mio racconto, dovrete immaginare che sia una bella, calda serata d’estate, fragrante di profumi. Un bel giovanotto di circa vent’anni sta scendendo su una veloce barchetta le acque gorgoglianti dell’Isar. È Brentano. In verità lui non sa come si sia procurato quella barca e come sia avvenuta quella discesa sul fiume. Riesce appena a ricordare vagamente che da qualche parte molto più in su l’ha slegata da un palo, che un contadino o un barcaiolo gli ha gridato dietro furibondo e che poi la cosa ha seguito il suo corso. Proprio adesso sta approdando nei paraggi della famosa e grande città in una piccola baia che la natura, come si usa dire, ha formato giusto in quel punto e scende, un po’ stanco, parrebbe, per la fatica di remare e pilotare la barca. Scende, come ho detto, e abbandona la barca al suo destino o all’inattività oppure alle mani della prima persona che se ne potrà tranquillamente impossessare. Diamo un’occhiata un po’ più da vicino al celeberrimo poeta romantico. È vestito come vuole la moda del tempo. Porta scarpe gialle, calzoni bianchi, un gilè azzurro, una giacca blu, ha un fazzoletto chiaro annodato al collo e un cappello di paglia, intorno a cui sventolano nastri colorati, come usano i pastori. Il viso è quello di una persona di estrema intelligenza, un po’ pallido, anzi, a voler essere sinceri, addirittura molto pallido. Un’ombra, un minimo, simpatico accenno di baffi neri orna il suo labbro sottile, e sopra i grandi occhi splendenti e profondi si inarcano sopraccigli di identico colore. Prego tutti i lettori, che a questo punto sono ancora al mio seguito e resistono, di considerare come essi abbiano a che fare con un uomo straordinariamente bello, e in verità, se d’un tratto egli ci mostra il suo viso per intero, c’è da restare sorpresi dalla mite bellezza che vi rifulge. «Rifulgere» è certo la peggiore espressione che potessi scegliere in questa occasione, ma ora che ha trovato il suo posto, vi rimanga pure per tutta l’eternità. Le sue mani – oh, ho dimenticato in pieno le sue mani. Chiunque legga queste righe e abbia un po’ di fantasia esimerà la mia dal dover descrivere diffusamente queste mani in quanto mani delicate. Sono in effetti molto belle e delicate. I piedi calzano scarpe gialle assai fini, le mani le ho descritte, il personaggio è bell’e pronto, e noi possiamo ammainare le vele e proseguire con la coscienza tranquilla il nostro viaggio seguendo la corrente di questa storia.

  È spaventoso quali sbagli facciano spesso gli autori di talento e anche quelli di sommo talento. Non vi siete accorti che ho dimenticato di mettere una chitarra fra le mani al chitarrista Brentano? Spreco tanto tempo a parlarvi delle sue belle scarpe, di calzoni, tipo di imbarcazione, viaggi di piacere, e dimentico la cosa più necessaria e suggestiva: l’accompagnamento musicale. Mio Dio, verrebbe da pensare che io non abbia più il coraggio di proseguire, ma ora che il mio protagonista è perfettamente equipaggiato ho tanta faccia tosta quanta ce ne vuole per dire quel che segue: la storia continua. Brentano è sceso a terra. Si siede. Tutti i miei devoti ascoltatori sono invitati a prender posto accanto a lui. È il prato più bello e più morbido su cui ci si possa sdraiare e c’è anche la musica. Con dita delicate e vigorose Brentano pizzica le corde della sua chitarra, ne accompagna il suono cantando, e noi confessiamo tutti quanti insieme: mai si è sentito gorgheggiare così bene e con tanta espressione. Parole e melodia sono di produzione propria, tanto meglio quindi sentirle ambedue dalla sua bella bocca. Ma ora ha finito di cantare. Si alza, si passa meditabondo la mano sulla fronte, come se volesse scacciare dei pensieri, e si avvia lentamente e con aria trasognata lungo il fiume dirigendosi verso una villa a pochi passi da lui e poi si ferma un’altra volta. Del resto dovrà di nuovo andarsene di lì, abituato com’è a non camminare a lungo e a non restare a lungo fermo. Io penso che tutti i poeti abbiano questa abitudine. Ecco, riprende a camminare, perché noi, i suoi padroni, così stabiliamo che sia, e ora la sorte vuole che egli si fermi davanti alla grande cancellata di un giardino, proprio di fronte alla porta aperta. È la cancellata di un parco che circonda la villa di cui abbiamo appena avuto la compiacenza di parlare. Brentano canta, ed è nient’altro che un vecchio malridotto fanfarone di servitore, la persona cui viene in mente di disturbare il poeta mentre canta. La dama, seduta in casa davanti alla finestra aperta a respirare l’aria dolce della sera, ha sentito il cantante e la canzone. Ha mandato a chiamarlo, e il messo è per l’appunto quel canuto e infeltrito servitore ricoperto d’oro. Brentano obbedisce senza troppe cerimonie, ma anche senza la minima sorpresa per quell’invito che il lacchè gli trasmette, ossia di andare dalla dama, la quale ben volentieri vorrebbe conoscere il cantante. A questo punto, grazie a Dio, il paragrafo è finito.

  Le presentazioni e la prima doverosa conversazione tra la dama e Brentano sono terminate. Lei lo ha pregato di dire chi egli sia, come si chiami, da dove venga, dove vada, che professione abbia, e lui in modo disinvolto e garbato ha detto quanto necessario. La dama gli sembra una bella signora che suscita rispetto e ammirazione, e nemmeno con il pensiero ha l’impertinenza di chiedersi quanti anni abbia. È un buon conversatore e la dama avverte che si tratta di una persona in tutti i sensi nobile e gradevole.

  Lui conosce a memoria una quantità di graziose canzoncine e le intona senza farsi troppo pregare. Le intona per sé, non senza avere la sensazione di appagare così un desiderio della bella creatura che gli siede di fronte. «Signor Brentano,» dice lei porgendogli la sua piccola mano bianca «non posso che sentire dell’affetto nei suoi confronti. Vuole rimanere qui con me per qualche tempo?». Lui dice di sì e non sa affatto di dire di sì. È abituato a pretese del genere e gli piace che si faccia conto su di lui. È uno svago per uno che altrimenti è sempre assorto nei propri pensieri. Porta lievemente alle labbra la mano della sua benevola ospite. La dama si alza per dare ordine al cameriere, sempre lo stesso che già conosciamo, di preparare una stanza al nuovo arrivato. Mentre lei non c’è, Brentano l’incantatore sorride, ma quando la dama rientra il sorriso è sparito in un baleno. In presenza di donne belle e istruite lui non sorriderebbe mai se non lo si sollecitasse. Lei lo guarda con gratitudine, senza effettivamente sapere perché, e sorride affabile. E ora anche Brentano può sorridere, e pure noi che siamo superiori a smancerie di qualsiasi genere.

  Di notte ha dormito magnificamente. Al mattino, dapprima è rimasto per un bel po’ davanti alla finestra aperta, semisvestito e con occhi sognanti. Guardare oltre i tetti della città, oltre gli alberi e le torri verso un lontano orizzonte grigio e indefinibile, lo ha emozionato senza per questo suscitargli dei pensieri. Le persone la cui occupazione è quella di pensare continuamente, solo di rado sanno di farlo, come nel caso di Brentano che in questo è un maestro. Poi, dopo aver fatto toeletta, è sceso dalla sua dama per augurarle il buongiorno e chiederle come sta. Lei, in vesti bianche e lievemente fruscianti, lo ha incontrato sullo scalone e i due si sono guardati a lungo negli occhi. Lei gli ha offerto la sua bocca deliziosa che lui ha premurosamente baciato. Poi lei ha pianto e con gli occhi arrossati gli ha chiesto se aveva dormito bene e lui le ha detto quanto bene avesse dormito. La sua gioia è stata spontanea, innocente come quella di un bambino, e poi si sono fatti servire la colazione. Dopo aver mangiato, lui ha preso in mano la chitarra e ne ha tratto dei suoni che di certo saranno stati dolce e degno accompagnamento per la felicità e la tensione dei loro cuori. Le ha poi raccontato molto dei suoi viaggi e delle sue peregrinazioni, e lei era tutt’orecchi al punto da non udire quasi nulla. È una cosa che può succedere quando cuore e orecchio fanno a gara nell’ascoltare. Fra i sospiri, lei ha appoggiato la testa sulla mano guardando un’altra volta a lungo e pensosamente l’uomo che le stava seduto di fronte con quell’aria così mite e tranquilla. Poi ha abbandonato le braccia e le mani ai baci appassionati di lui. Questo è successo la mattina dopo la prima sera.

  Accompagnati da un grande e magnifico cane fanno insieme delle passeggiate nel parco e nei pressi del fiume. L’Isar con il suo chiacchiericcio fa eco alle loro conversazioni che sembrano non finire mai. Si infervorano, senza bisticciare. Alla bella e affabile signora sembra che il suo poeta – lei infatti già adesso lo chiama suo – sia su una brutta china. Ha una fantasia troppo sbrigliata, gli dice, non ha assolutamente il senso della misura. Gli chiede se ciò sia giusto e ragionevole. Di fronte a rimproveri del genere lui preferisce tacere. Dice soltanto che non sa come potrebbe essere diverso da quel che è. Lei non replica, ma si limita a chinare con tristezza il capo. È raro che lui faccia un discorso coerente. Dai suoi discorsi, le stramberie saltano fuori come razzi dall’oscurità. Lei lo nota e tenta un rimprovero. Sono felici. Non si chiedono nemmeno come sia possibile esserlo. A loro basta sentire che lo sono senza che lo vogliano o abbiano fatto alcunché per esserlo. Alla sera la conversazione è meno fresca e vivace che al mattino, non perché parlino troppo durante il giorno, ma perché hanno la buona abitudine di essere in genere complessivamente stanchi verso sera... Sentono la stanchezza come qualcosa di piacevole e si baciano di preferenza all’imbrunire. Allora baciarsi è parlare. Non sanno se si capiscono del tutto, ma non per questo viene loro in mente di essere tristi. Al contrario, sono contenti di non dover parlare di certe cose. Né fanno il minimo sforzo per proteggere la loro felicità. Ogni preoccupazione del genere parrebbe loro penosa, perché, come ciascuno dei due dice tra sé e sé, quella felicità svanirebbe se bisognasse sorvegliarla. Lei ama di lui soprattutto il poeta e lui di lei soprattutto l’aspetto. Le dice che tutto gli sembra come prodigioso, quasi fosse un miraggio, un sogno, lei dice che ha una sensazione analoga, ma che non è necessario esprimerla a parole. Lei canta e recita i versi di lui a memoria, e lui si stupisce della facilità con cui lei li impara. Non gli è indifferente quello che lei recita e canta, eppure, appena lei parla e canta, tutto il resto gli diventa indifferente. Lei lo percepisce e spesso ha voglia di fargli sentire la grandezza del suo potere su di lui. Lui non vuole essere suo schiavo perché l’ama, e lei vorrebbe essere sua schiava per amarlo più intensamente. Lei si sente superiore a lui e questo la rende triste. Lui disdegna di esserle superiore. Ma sono contenti che la loro felicità non debba essere troppo indisturbata. Prima di andare a letto lui suona la chitarra e lei canta. Quando sono stanchi, vanno a dormire. Vivere nel rispetto delle norme e della morigeratezza è il modo più bello di vivere, dicono. Non hanno alcun desiderio di indulgere una volta o l’altra alla minima dissolutezza per convincersi che la loro vita è avventurosa e stimolante. Nessuna avventura è per loro l’unica avventura che desiderino avere. Tanto li appaga la bellezza e la felicità di quel momento.

  Di nuovo è mattino. Di nuovo Brentano semisvestito è appoggiato alla finestra aperta della sua camera al piano più alto, guarda oltre i tetti e oltre gli alberi verso un’indefinibile lontananza. Ha voglia di andar via. Gli sembra di stare troppo bene qui, accanto a questa bella dama. Si veste in fretta, prende la chitarra, le rivolge qualche parola come a un essere vivente. Poi si mette lo strumento fra le gambe, vi si appiglia strettamente e si butta dalla finestra. La chitarra, senza dubbio una chitarra magica, trasporta il suo campione attraverso l’aria, al di là delle cime degli alberi, verso la città. Da questo riconosciamo che Brentano è un mago.

  In città, gironzolando per le strade, vede gli artisti seduti al caffè nei loro consueti atteggiamenti, con la sigaretta fra le dita stanche. Ne ha orrore. Prova un vero disgusto per tutto ciò che è un elegante far niente. Cammina lungo le strade finché non è stanco di andarsene in giro. Non ha occhi per le donne che gli lanciano sguardi invitanti. Crede di dormire, di sognare. Un desiderio struggente, mai sentito prima, gli ordina di andar via, lontano, lontano, via dal mondo, attraverso le finestre del possibile. Parla tra sé ad alta voce. La chitarra comincia a suonare da sola. La gente nota quello strano ed esile individuo. Lui ha una paura da morire. Vorrebbe non avere più testa, soprattutto non avere più cuore. Tutte le sensazioni sono per lui un insopportabile, inutile peso. Vorrebbe gettarsi per terra, che qui è un manto di asfalto, e piangere. Da troppo tempo ormai non piange più. Odia tutte le altre sensazioni. L’unica che gli sarebbe gradita, non la può avere. Infine si siede di nuovo a cavalcioni della sua chitarra, e verso sera è di nuovo nella villa.

  Naturalmente la bella dama si accorge che è cambiato, ma non dice nulla. Ha la stessa incantevole gentilezza di sempre nei suoi confronti. Ma Brentano non avverte più quell’incanto. Si annoia, ha un desiderio che lo fa morire. Almeno sapesse, dice a se stesso, che cosa desidera davvero. La dama sente che l’amore di lui è finito. Non parla, lo guarda con occhi tristi ma riconoscenti e, quando lui non vede, piange. Lui non vede più nulla in lei. Quando canta non fa che trastullarsi con questo suo cupo e doloroso struggimento nel tentativo di placarlo. I suoi baci sono divenuti freddi e svogliati, quelli di lei si fanno timidi, di ghiaccio. Lei china il capo ogni giorno di più, e di giorno in giorno bada sempre meno al suo contegno. Vorrebbe morire. Lui, tornare a vivere. Le dice che non ha più senso rimanere lì. Lei scuote solo la testa per dire di sì, ha un tremito e si allontana silenziosamente. Lui è pronto a congedarsi da lei, la chitarra in spalla, e con lo stesso vestito in cui le è comparso davanti la prima volta. Lei gli porge tutte e due le mani e piange. Lui è troppo stanco per consolarla. Attraversa il parco a passi frettolosi, ed è sparito.

  Questa è la storia, la romanza, la ballata, la commedia del poeta Brentano. Chi la credesse frutto di invenzione non si affanni oltre, la consideri senz’altro tale. Chi può pretendere di scrivere la vera storia di un poeta e chi avrebbe il coraggio di accollare a Brentano un fatto meramente vero? Io, per esempio, che sono pure un poeta, come discorso funebre – quando verrà il momento – mi auguro solo bugie. Purché siano bugie deliziose.