Estratto da "Storie che danno da pensare"
Robert Walser
Ora, mentre l’artista raccoglie il materiale necessario cercandolo qua e là nel disordine della stanza, lei si spoglia, cadono il cappello, la gonna e la sottoveste, il corsetto, le mutandine e le calze, e lei è lì nuda. Un canapè è stato sistemato non lontano dalla stufa accesa, la ragazza si sdraia con nonchalance su un morbido cuscino, senza badare a mettersi in posa. Sa di essere bella, non fa tante storie, l’esperienza le ha insegnato quanto serio sia in momenti simili un artista che disegna. E ora è lì distesa e tiene gli occhi abbassati sul libro che sta leggendo, una bellezza senza limiti. L’artista ha fatto la punta a un lapis e, mentre la disegna, autorizza e costringe i propri occhi a penetrare in quell’immagine piena di vita e a ricavarne aspetti particolari. Poco dopo la sua fronte si corruga preoccupata, con ogni evidenza combatte contro alcune difficoltà. Vorrebbe affrancarsi da tutte le scuole e le norme che l’hanno influenzato fino a quel momento e respirare l’aria fresca e libera di una disciplina squisitamente personale.
Strappa il foglio appena iniziato e si getta su uno nuovo, un abbozzo, ma scarta e distrugge anche questo e ne comincia un altro ancora. Nel frattempo quel florido essere traboccante di vita si è fatto ancora più semplice. È un corpo che emana musica. Quanto crudeli sono le pretese che in tono sommesso, ma incisivo e chiaro, premono su quella mano d’artista. Egli deve disegnare la musica. Vorrebbe che il suo grosso carboncino fosse in grado di restituire delle finezze, finezze indescrivibili, vorrebbe saper fluire come le onde, splendere come il sole e baluginare come la luna di mezzanotte. Nulla gli sembra disegnato con sufficiente fermezza, nulla con sufficiente indeterminatezza. Torna a martoriare l’occhio cogitabondo osservando quel corpo disteso con nonchalance. Quelle linee e quelle pieghe emanano carezze e fragranza. Come prende forma lo splendore della gamba in un’innocenza reinventata. Come sprofonda il disegno e risuona la poesia. Un braccio è disteso e con la mano tocca il luogo della voluttà. I seni sporgono con naturale indolenza, sono due collinette ricurve, due mele da contemplare in eterno. L’altra mano penzola dal suo punto d’appoggio come acqua plasmata in dita. Ora è la punta flessa del piede ad assalire di nuovo l’attenzione dell’artista. Il collo si perde nel bel seno come un bel pensiero estetico si perde in uno ancora più calzante e bello. Quanto assomiglia tutto questo a una nuvola bianca, a un’onda, a una colomba o a un sentimento. Anche la nuvola è molto semplice e altrettanto inafferrabile, e così pure l’onda, ma la colomba batte le ali, l’abilità geme, e un repentino senso di rabbia strappa di nuovo il foglio. Riprovare ancora! Su un dettaglio di natura, morbida e indifferente, le migliori capacità artistiche si frangono come caparbi spruzzi d’acqua contro un’inespugnabile falesia. Il sentimento crede di poterlo disegnare e cogliere: un’illusione deprimente. Solo a un ferreo impegno di studio può riuscire. Il genio cade tremante in ginocchio. Quel corpo, come lo sentiamo respirare e pensare. Nel suo pudore come si alza e abbassa, come si innamorano quelle meravigliose pieghe delle loro superbe forme, e le linee l’una dell’altra. Dio lo si intuisce da lontano, nelle catene delle montagne e nella risacca del mare. L’artista, abietto, come ritiene d’essere, si avvicina e se la spassa con la modella.
LETTERA DI UNA DONNA
’giorno, vecchio mostro. Dimmi un po’, dove mai ti sei cacciato? Non c’è più modo di trovarti a casa. Sono venuta da te già tre volte, senza trovarti. Tu ti neghi, è chiaro. Fai finta di non esserci. Quando arrivo, ti vai a nascondere. Per dirla francamente, io credo che tu mi stia prendendo in giro. Ho bisogno di soldi, di cento marchi all’incirca, me li puoi dare oppure no? Spero che avrai il coraggio di rifiutare questa mia richiesta, se non intendi esaudirla. Ma d’altro canto io ci spero molto poco, non mi fido di te, tu sei un vigliacco. A proposito, alla mostra ho visto il tuo quadro, non mi è piaciuto. Ti sorprenderà certamente sentirmi parlare con tanta franchezza, ma in primo luogo non ho motivo di usare particolari riguardi nei tuoi confronti, e poi è mia consuetudine verificare ogni volta fino a che punto si possa arrivare con la sfacciataggine. Vuoi far credere di avere dipinto me in quel quadro? No, sporcaccione, quella non sono io né qualsiasi altra ragazza di questo mondo, quella vorrebbe solo avere una qualche grossolana somiglianza con una donna. Ora intendo dire seriamente alcune parole; a indurmi a questo è solo un capriccio, bada bene, e nient’altro. Sono di buonumore, e voglio farti arrabbiare, poiché, a essere sinceri, sei troppo borioso. Mi hai fatto credere, in lungo e in largo, che non sei sposato e ora, da certa gente che conosce la tua situazione, sento dire che hai una moglie e un bambino. D’accordo, è una bugia, che altro mai, ma cosa ti ha spinto a mentire? Mi disprezzi? Sì, io lo sento, tu credi di potermi prendere in giro perché ti faccio da modella. Senti un po’, non ti sembra piuttosto da maleducati? Tu sei un artista, e immagini di essere tanto spregiudicato, oppure ti imponi di non riconoscere quel che io sono solo perché hai paura di me? Forse sono più saggia di quanto non pensi, tesoro; ed è senz’altro possibile che in me sia vivo un senso del decoro di cui tu non immagini affatto l’esistenza. Sei una persona interessante, mio caro, ma sei anche grossolano e ciò guasta l’interesse che si è disposti a nutrire nei tuoi confronti. Voi artisti dovreste essere i più disinibiti al mondo, e qualche volta siete le persone meno libere e più indecise, e poi volete sempre far credere di essere dei geni. Se mi sono data a te, è stato per divertirmi. Ma non per questo devi metterti in testa che mi manchi il coraggio di dirti cose spiacevoli. Forse puoi trarre qualche insegnamento da me, sono abbastanza saggia da poterti dire per quale motivo tu ne abbia bisogno. Sono una povera ragazza. Se tu avessi un po’ di genio nel cuore, mi vorresti bene e mi rispetteresti con un affetto che coinciderebbe con quella felicità che ti animava, e allora saresti anche riuscito a dipingermi meglio. Tu non sei un grande artista, non sei sincero, non sei coraggioso né abbastanza sensibile per una cosa del genere. Perché vuoi dipingere una ragazza che tratti come un’accattona molesta? Che io non sia una carogna lo dimostra il linguaggio di cui mi servo, e che tu non sia nulla di grandioso lo dimostra la tua ignobile insensibilità. Volevi assolutamente rappresentare alcunché di nudo, io ti sono servita forse solo da studio, sì, lo credo proprio, quello che volevi era unicamente studiare: proposito encomiabile, ma da scolaretti. Noi, egregio e caro giovanotto, non possiamo essere un arido soggetto di studio. Tu puoi fare cento, anzi mille nudi di me e a me ispirati: si tratterà sempre e soltanto di miserabili studi, ma mai, comprendimi bene, di creare, di produrre qualcosa di squisito. Tu sei in grado di usare con sapienza luci e ombre, il tono carnicino o come chiamate voi tutto questo, dieci, venti sfumature, oh, io ti conosco bene. Per dirla in breve: finché non troverai qualcosa da dipingere che ti faccia tremare, rimarrai una schiappa. Se permetti, anch’io credo di capirci un pochino del tuo mestiere. Quando mi hai vista lì nuda distesa davanti a te non hai sofferto per niente, nemmeno un po’? Ecco, vedi, io stessa rabbrividivo di fronte alle mie bellezze. No, tu non sei nulla, perché se uno mente, non è nulla. Sei in grado di mentirmi e nello stesso tempo di avermi vista nuda? Non dev’esserci ombra di delicatezza in te. Tu sei un affarista, uno che fabbrica quadri a caterve, non un pittore. Oh, voi artisti! Vi corriamo in casa, pronte a spogliarci al vostro cospetto, e voi invece volete studiare ancora come collegiali. Quanto allo studio, ragazzi miei, avreste dovuto applicarvi prima, nelle tante ore di libertà che avevate a suo tempo. Siete stati pigri, e quando poi arriviamo a casa vostra diventate grossolani. Mandami i soldi, li aspetto senz’altro. La tua brava e cara mogliettina immagina di certo che tu sia un grande artista, lasciaglielo credere, è tipico di te. Da parte mia, ho scarso rispetto nei tuoi confronti, ma ti trovo buffo, amabile scimmiotto. Addio. Dammi retta e mandami senza indugi quello che ti ho chiesto.
LETTERA DI UNA DONNA
’giorno, vecchio mostro. Dimmi un po’, dove mai ti sei cacciato? Non c’è più modo di trovarti a casa. Sono venuta da te già tre volte, senza trovarti. Tu ti neghi, è chiaro. Fai finta di non esserci. Quando arrivo, ti vai a nascondere. Per dirla francamente, io credo che tu mi stia prendendo in giro. Ho bisogno di soldi, di cento marchi all’incirca, me li puoi dare oppure no? Spero che avrai il coraggio di rifiutare questa mia richiesta, se non intendi esaudirla. Ma d’altro canto io ci spero molto poco, non mi fido di te, tu sei un vigliacco. A proposito, alla mostra ho visto il tuo quadro, non mi è piaciuto. Ti sorprenderà certamente sentirmi parlare con tanta franchezza, ma in primo luogo non ho motivo di usare particolari riguardi nei tuoi confronti, e poi è mia consuetudine verificare ogni volta fino a che punto si possa arrivare con la sfacciataggine. Vuoi far credere di avere dipinto me in quel quadro? No, sporcaccione, quella non sono io né qualsiasi altra ragazza di questo mondo, quella vorrebbe solo avere una qualche grossolana somiglianza con una donna. Ora intendo dire seriamente alcune parole; a indurmi a questo è solo un capriccio, bada bene, e nient’altro. Sono di buonumore, e voglio farti arrabbiare, poiché, a essere sinceri, sei troppo borioso. Mi hai fatto credere, in lungo e in largo, che non sei sposato e ora, da certa gente che conosce la tua situazione, sento dire che hai una moglie e un bambino. D’accordo, è una bugia, che altro mai, ma cosa ti ha spinto a mentire? Mi disprezzi? Sì, io lo sento, tu credi di potermi prendere in giro perché ti faccio da modella. Senti un po’, non ti sembra piuttosto da maleducati? Tu sei un artista, e immagini di essere tanto spregiudicato, oppure ti imponi di non riconoscere quel che io sono solo perché hai paura di me? Forse sono più saggia di quanto non pensi, tesoro; ed è senz’altro possibile che in me sia vivo un senso del decoro di cui tu non immagini affatto l’esistenza. Sei una persona interessante, mio caro, ma sei anche grossolano e ciò guasta l’interesse che si è disposti a nutrire nei tuoi confronti. Voi artisti dovreste essere i più disinibiti al mondo, e qualche volta siete le persone meno libere e più indecise, e poi volete sempre far credere di essere dei geni. Se mi sono data a te, è stato per divertirmi. Ma non per questo devi metterti in testa che mi manchi il coraggio di dirti cose spiacevoli. Forse puoi trarre qualche insegnamento da me, sono abbastanza saggia da poterti dire per quale motivo tu ne abbia bisogno. Sono una povera ragazza. Se tu avessi un po’ di genio nel cuore, mi vorresti bene e mi rispetteresti con un affetto che coinciderebbe con quella felicità che ti animava, e allora saresti anche riuscito a dipingermi meglio. Tu non sei un grande artista, non sei sincero, non sei coraggioso né abbastanza sensibile per una cosa del genere. Perché vuoi dipingere una ragazza che tratti come un’accattona molesta? Che io non sia una carogna lo dimostra il linguaggio di cui mi servo, e che tu non sia nulla di grandioso lo dimostra la tua ignobile insensibilità. Volevi assolutamente rappresentare alcunché di nudo, io ti sono servita forse solo da studio, sì, lo credo proprio, quello che volevi era unicamente studiare: proposito encomiabile, ma da scolaretti. Noi, egregio e caro giovanotto, non possiamo essere un arido soggetto di studio. Tu puoi fare cento, anzi mille nudi di me e a me ispirati: si tratterà sempre e soltanto di miserabili studi, ma mai, comprendimi bene, di creare, di produrre qualcosa di squisito. Tu sei in grado di usare con sapienza luci e ombre, il tono carnicino o come chiamate voi tutto questo, dieci, venti sfumature, oh, io ti conosco bene. Per dirla in breve: finché non troverai qualcosa da dipingere che ti faccia tremare, rimarrai una schiappa. Se permetti, anch’io credo di capirci un pochino del tuo mestiere. Quando mi hai vista lì nuda distesa davanti a te non hai sofferto per niente, nemmeno un po’? Ecco, vedi, io stessa rabbrividivo di fronte alle mie bellezze. No, tu non sei nulla, perché se uno mente, non è nulla. Sei in grado di mentirmi e nello stesso tempo di avermi vista nuda? Non dev’esserci ombra di delicatezza in te. Tu sei un affarista, uno che fabbrica quadri a caterve, non un pittore. Oh, voi artisti! Vi corriamo in casa, pronte a spogliarci al vostro cospetto, e voi invece volete studiare ancora come collegiali. Quanto allo studio, ragazzi miei, avreste dovuto applicarvi prima, nelle tante ore di libertà che avevate a suo tempo. Siete stati pigri, e quando poi arriviamo a casa vostra diventate grossolani. Mandami i soldi, li aspetto senz’altro. La tua brava e cara mogliettina immagina di certo che tu sia un grande artista, lasciaglielo credere, è tipico di te. Da parte mia, ho scarso rispetto nei tuoi confronti, ma ti trovo buffo, amabile scimmiotto. Addio. Dammi retta e mandami senza indugi quello che ti ho chiesto.