mercoledì 24 febbraio 2016






CAPIRE LO "SCONTRO DI CIVILTÀ" DI HUNTINGTON 

Chi cita Huntington manifestando il proprio dissenso da quell'analisi sullo "scontro della civiltà" dimostra che non ha capito quale possa essere il contributo dello studioso alla comprensione di ciò che sta succedendo in questa fase di profondi cambiamento degli equilibri mondiali.  È chiaro che è ragionevole il dissenso sul concetto, che Huntington propone, di civiltà intese come entità finite e relativamente coerenti, trascurando le eterogeneità, le spinte centrifughe al loro interno, l'impossibilità di definirne i confini, l' effetto dei contatti che producono combinazioni di esperienze e tradizioni culturali. Non è condivisibile la sua proposta di una concezione olistica della civiltà. Così come non è condivisibile un analisi che si concentra solo sull’influenza dei valori sull’agire umano, senza prospettare quale sia l'influenza degli interessi sui valori. Tuttavia ci sono elementi positivi nell'analisi di Huntington se consideriamo che l’attuale, parafrasando Raimond Aron, è il primo sistema anarchico globale e culturalmente eterogeneo della storia umana.  Col declino relativo dell'Occidente l’eterogeneità culturale acquista un rilievo inedito: competizione di potenza e conflitti di interessi manifestano aspetti da "scontro di civiltà". Diventa allora valido sottolineare come fa Huntington il ruolo e l'impatto sugli equilibri mondiali del  «risveglio islamico» e con la sua netta impronta antioccidentale. Non condivido ciò che sostengono coloro che ne ne minimizzano  il pericolo in quanto si tratterebbe di minoranze fanatiche a scegliere lo scontro di civiltà. Prima di tutto in quanto la storia ci insegna  che sono sempre le " "minoranze attive e motivate", non le maggioranze passive, a rivoluzionare gli eventi. La seconda ragione che in armi sono "minoranze' che però si pongono come avanguardia di  un area assai vasta e tendenzialmente egemone (parliamo di salafismo) di fondamentalismo all'interno del mondo islamico. Questo per dire che aprendo a nuove prospettive concettuali di analisi  , anche con argomenti non  sempre solidi,  persuasivi non vuol direcancellarne la rilevanza. 

lunedì 22 febbraio 2016





GLI INTELLETTUALI NON RISOLVONO LE CRISI MA LE CREANO

Ricordando Umberto Eco. In un Convegno su Norberto Bobbio del 2004 Umberto Eco dice:" [...] gli intellettuali non risolvono le crisi ma le creano. Cartesio non cerca una mediazione diciamo tra Ockham e Tommaso d’Aquino, ma costringe per la prima volta il filosofo - diceva Maritain (pensatore che non ho mai amato ma che sciocco non era) - a porsi come un debuttante nell’assoluto. Kant non risolve la crisi delle discussioni sulla natura delle conoscenze, ribalta tutto e crea le premesse per un nuovo dibattito, Malthus non risolve il problema della sovrappopolazione, ci rivela che esiste. Marx non ci dice come si può risolvere il problema della giustizia sociale coi mezzi esistenti, capovolge l’intera frittata. Insomma, gli intellettuali o creano rivoluzioni copernicane o rimangono scoliasti di Tolomeo. Dunque l’intellettuale non risolve le crisi, questo spetta a chi di dovere - ai politici o ai tecnici -, bensì le instaura. (Umberto Eco, 28/09/2004 "RICORDO DI NORBERTO BOBBIO L’INTELLETTUALE SENZA IL PIFFERO") 


ADESSO CHE IL BUIO NON CI FACEVA PIÙ PAURA 
Una volta Atticus mi aveva detto: “Non riuscirai mai a capire una persona se non cerchi di metterti nei suoi panni, se non cerchi di vedere le cose dal suo punto di vista”. Ebbene, io quella notte capii quello che voleva dire. Adesso che il buio non ci faceva più paura, avremmo potuto oltrepassare la siepe che ci divideva dalla casa dei Radley, e guardare la città e le cose dalla loro veranda. Accadde tutto in una notte, la notte più lunga, più terribile… e insieme la più bella di tutta la mia vita. (Harper Lee, "Il buio oltre la siepe")

domenica 21 febbraio 2016

RICORDANDO UMBERTO ECO: Fenomenologia di Mike Bongiorno
L'uomo circuito dai mass media è in fondo, fra tutti i suoi simili, il più rispettato: non gli si chiede mai di diventare che ciò che egli è già. In altre parole gli vengono provocati desideri studiati sulla falsariga delle sue tendenze. Tuttavia, poiché uno dei compensi narcotici a cui ha diritto è l'evasione nel sogno, gli vengono presentati di solito degli ideali tra lui e i quali si possa stabilire una tensione. Per togliergli ogni responsabilità si provvede però a far sì che questi ideali siano di fatto irraggiungibili, in modo che la tensione si risolva in una proiezione e non in una serie di operazioni effettive volte a modificare lo stato delle cose. Insomma, gli si chiede di diventare un uomo con il frigorifero e un televisore da 21 pollici, e cioè gli si chiede di rimanere com'è aggiungendo agli oggetti che possiede un frigorifero e un televisore; in compenso gli si propone come ideale Kirk Douglas o Superman. L'ideale del consumatore di mass media è un superuomo che egli non pretenderà mai di diventare, ma che si diletta a impersonare fantasticamente, come si indossa per alcuni minuti davanti a uno specchio un abito altrui, senza neppur pensare di posseder-lo un giorno.La situazione nuova in cui si pone al riguardo la TV è questa: la TV non offre, come ideale in cui immedesimarsi, il superman ma l'everyman. La TV presenta come ideale l'uomo assolutamente medio. A teatro Juliette Greco appare sul palcoscenico e subito crea un mito e fonda un culto; Josephine Baker scatena rituali idolatrici e dà il nome a un'epoca. In TV appare a più riprese il volto magico di Juliette Greco, ma il mito non nasce neppure; l'idolo non è costei, ma l'annunciatrice, e tra le annunciatrici la più amata e famosa sarà proprio quella che rappresenta meglio i caratteri medi: bellezza modesta, sex-appeal limi tato, gusto discutibile, una certa casalinga inespressività.Ora, nel campo dei fenomeni quantitativi, la media rap presenta appunto un termine di mezzo, e per chi non vi si è ancora uniformato, essa rappresenta un traguardo. Se, secondo la nota boutade, la statistica è quella scienza per cui se giornalmente un uomo mangia due polli e un altro nessuno, quei due uomini hanno mangiato un pollo ciascuno — per l'uomo che non ha mangiato, la meta di un pollo al giorno è qualcosa di positivo cui aspirare. Invece, nel campo dei fenomeni qualitativi, il livellamento alla media corrisponde al livellamento a zero. Un uomo che possieda tutte le virtù morali e intellettuali in grado medio, si trova immediatamente a un livello minimale di evoluzione. La "medietà" aristotelica è equilibrio nell'esercizio delle proprie passioni, retto dalla virtù discernitrice della "prudenza". Mentre nutrire passioni in grado medio e aver una media prudenza significa essere un povero campione di umanità.Il caso più vistoso di riduzione del superman all'every man lo abbiamo in Italia nella figura di Mike Bongiorno e nella storia della sua fortuna. Idolatrato da milioni di persone, quest'uomo deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità assoluta uni ta (questa è l'unica virtù che egli possiede in grado eccedente) ad un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costruzione o finzione scenica: sembra quasi che egli si venda per quello che è e che quello che è sia tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto. Lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti.Per capire questo straordinario potere di Mike Bongiorno occorrerà procedere a una analisi dei suoi comporta-menti, ad una vera e propria "Fenomenologia di Mike Bongiorno", dove, si intende, con questo nome è indicato non l'uomo, ma il personaggio.
Mike Bongiorno non è particolarmente bello, atletico, coraggioso, intelligente. Rappresenta, biologicamente parlando, un grado modesto di adattamento all'ambiente. L'amore isterico tributatogli dalle teen-agers va attribuito in parte al complesso materno che egli è capace di risvegliare in una giovinetta, in parte alla prospettiva che egli lascia intravvedere di un amante ideale, sottomesso e fragile, dolce e cortese.
Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi. Entra a contatto con le più vertiginose zone dello scibile e ne esce vergine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze all'apatia e alla pigrizia mentale. Pone gran cura nel non impressionare lo spettatore, non solo mostrandosi all'oscuro dei fatti, ma altresì decisamente intenzionato a non apprendere nulla.In compenso Mike Bongiorno dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa. Di costui pone tuttavia in luce le qualità di applicazione manuale, la memoria, la metodologia ovvia ed elementare: si diventa colti leggendo molti libri e ritenendo quello che dicono. Non lo sfiora minimamente il sospetto di una funzione critica e creativa della cultura. Di essa ha un criterio meramente quantitativo. In tal senso (occorrendo, per essere colto, aver letto per molti anni molti libri) è naturale che l'uomo non predestinato rinunci a ogni tentativo.Mike Bongiorno professa una stima e una fiducia illimitata verso l'esperto; un professore è un dotto; rappresenta la cultura autorizzata. È il tecnico del ramo. Gli si demanda la questione, per competenza.L'ammirazione per la cultura tuttavia sopraggiunge quando, in base alla cultura, si viene a guadagnar denaro. Allora si scopre che la cultura serve a qualcosa. L'uomo mediocre rifiuta di imparare ma si propone di far studiare il figlio.Mike Bongiorno ha una nozione piccolo borghese del denaro e del suo valore ("Pensi, ha guadagnato già centomila lire: è una bella sommetta!").Mike Bongiorno anticipa quindi, sul concorrente, le im pietose riflessioni che lo spettatore sarà portato a fare: "Chissà come sarà contento di tutti quei soldi, lei che è sempre vissuto con uno stipendio modesto! Ha mai avuto tanti soldi così tra le mani?".Mike Bongiorno, come i bambini, conosce le persone per categorie e le appella con comica deferenza (il bambino dice: "Scusi, signora guardia...") usando tuttavia sempre la qualifica più volgare e corrente, spesso dispregiativa: "signor spazzino, signor contadino".Mike Bongiorno accetta tutti i miti della società in cui vive: alla signora Balbiano d'Aramengo bacia la mano e dice che lo fa perché si tratta di una contessa (sic).Oltre ai miti accetta della società le convenzioni. È pa terno e condiscendente con gli umili, deferente con le persone socialmente qualificate.Elargendo denaro, è istintivamente portato a pensare, senza esprimerlo chiaramente, più in termini di elemosina che di guadagno. Mostra di credere che, nella dialettica delle classi, l'unico mezzo di ascesa sia rappresentato dalla provvidenza (che può occasionalmente assumere il volto della Televisione).Mike Bongiorno parla un basic italian. Il suo discorso realizza il massimo di semplicità. Abolisce i congiuntivi, le proposizioni subordinate, riesce quasi a tendere invisibile la dimensione sintassi. Evita i pronomi, ripetendo sempre per esteso il soggetto, impiega un numero stragrande di punti fermi. Non si avventura mai in incisi o parentesi, non usa espressioni ellittiche, non allude, utilizza solo metafore ormai assorbite dal lessico comune. Il suo linguaggio è rigorosamente referenziale e farebbe la gioia di un neo-positivista. Non è necessario fare alcuno sforzo per capirlo. Qualsiasi spettatore avverte che, all'occasione, egli potrebbe essere più facondo di lui.Non accetta l'idea che a una domanda possa esserci più di una risposta. Guarda con sospetto alle varianti. Nabucco e Nabuccodonosor non sono la stessa cosa; egli reagisce di fronte ai dati come un cervello elettronico, perché è fermamente convinto che A è uguale ad A e che tertium non datur. Aristotelico per difetto, la sua pedagogia è di conseguenza conservatrice, paternalistica, immobilistica.Mike Bongiorno è privo di senso dell'umorismo. Ride perché è contento della realtà, non perché sia capace di deformare la realtà. Gli sfugge la natura del paradosso; come gli viene proposto, lo ripete con aria divertita e scuote il capo, sottintendendo che l'interlocutore sia simpaticamente anormale; rifiuta di sospettare che dietro il paradosso si nasconda una verità, comunque non lo considera come vei colo autorizzato di opinione.Evita la polemica, anche su argomenti leciti. Non manca di informarsi sulle stranezze dello scibile (una nuova corrente di pittura, una disciplina astrusa... "Mi dica un po', si fa tanto parlare oggi di questo futurismo. Ma cos'è di preciso questo futurismo?"). Ricevuta la spiegazione non tenta di approfondire la questione, ma lascia avvertire anzi il suo educato dissenso di benpensante. Rispetta comunque l'opinione dell'altro, non per proposito ideologico, ma per disinteresse. Di tutte le domande possibili su di un argomento sceglie quella che verrebbe per prima in mente a chiunque e che una metà degli spettatori scarterebbe subito perché troppo banale: "Cosa vuol rappresentare quel quadro?" "Come mai si è scelto un hobby così diverso dal suo lavoro?" "Com'è che viene in mente di occuparsi di filosofia?".Porta i clichés alle estreme conseguenze. Una ragazza educata dalle suore è virtuosa, una ragazza con le calze colorate e la coda di cavallo è "bruciata". Chiede alla prima se lei, che è una ragazza così per bene, desidererebbe diventare come l'altra; fattogli notare che la contrapposizione è offensiva, consola la seconda ragazza mettendo in risalto la sua superiorità fisica e umiliando l'educanda. In questo vertiginoso gioco di gaffes non tenta neppure di usare perifrasi: la perifrasi è già una agudeza, e le agudezas appartengono a un ciclo vichiano cui Bongiorno è estraneo. Per lui, lo si è detto, ogni cosa ha un nome e uno solo, l'artificio retorico è una sofisticazione. In fondo la gaffe nasce sempre da un atto di sincerità non mascherata; quando la sincerità è voluta non si ha gaffe ma sfida e provocazione; la gaffe (in cui Bongiorno eccelle, a detta dei critici e del pubblico) nasce proprio quando si è sinceri per sbaglio e per sconsideratezza. Quanto più è mediocre, l'uomo mediocre è maldestro. Mike Bongiorno lo conforta portando la gaffe a dignità di figura retorica, nell'ambito di una etichetta omologata dall'ente trasmittente e dalla nazione in ascolto.Mike Bongiorno gioisce sinceramente col vincitore perché onora il successo. Cortesemente disinteressato al perdente, si commuove se questi versa in gravi condizioni e si fa promotore di una gara di beneficenza, finita la quale si manifesta pago e ne convince il pubblico; indi trasvola ad altre cure confortato sull'esistenza del migliore dei mondi possibili. Egli ignora la dimensione tragica della vita.Mike Bongiorno convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità. Non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. Nessuna religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli. In lui si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: voi siete Dio, restate immoti.
Umberto Eco, Diario Minimo, 1961 

mercoledì 17 febbraio 2016



LA TORRE DI BABELE AL POSTO DELLA CHIESA 

“Non lo sai che le ere passeranno e l'umanità proclamerà, per bocca dei suoi saggi e
scienziati, che il delitto non esiste e che dunque non esiste il peccato, ma
esistono soltanto gli affamati? 'Dà da mangiare agli uomini e poi chiedi
loro la virtù!': ecco che cosa scriveranno sul vessillo che innalzeranno
contro di te e con il quale la tua Chiesa sarà distrutta. Al posto della tua
Chiesa sarà innalzato un nuovo edificio, sarà nuovamente innalzata la
terribile torre di Babele e, sebbene anche questa costruzione non sarà
portata a termine, come la precedente, tu comunque avresti potuto evitare
questa nuova torre e accorciare le sofferenze degli uomini di mille anni,
giacché sarà da noi che essi verranno dopo essersi tormentati mille anni
intorno alla loro torre!”
Fëdor Dostoevskij “I FRATELLI KARAMAZOV IL GRANDE INQUISITORE.
RELATIVISMO: TUTTE LE POSIZIONI SI EQUIVALGONO 
La legittima pluralità di posizioni ha ceduto il posto ad un indifferenziato pluralismo, fondato sull'assunto che tutte le posizioni si equivalgono. E allora nessuna posizione va difesa. È questo il disastro che si sta manifestando in Occidente. E questo vale anche per la ricerca filosofica "moderna": citando Giovanni Paolo II "Invece di far leva sulla capacità che l'uomo ha di conoscere la verità, ha preferito sottolinearne i limiti e i condizionamenti" [Giovanni Paolo II, Fides et ratio, 5]. Riguardo al relativismo delle origini dovremmo richiamare la Sofistica del V secolo a.C., che possiamo considerare un "Illuminismo greco", considerando il primo e più importante Sofista, Protagora, con il suo relativismo conoscitivo e morale. Protagora, afferma famoso il principio "L'uomo è misura di tutte le cose". Con Protagora il riconoscimento della disparità dei valori fra le diverse civiltà umane porterebbe a ciò che oggi chiameremmo"relativismo culturale" : "se qualcuno ordinasse a tutti gli uomini di radunare in un sol luogo tutte le leggi che si credono brutte e di scegliere poi quelle che ciascuno crede belle, neppure una ne resterebbe, ma tutti si ripartirebbero tutto"[H. Diels - W. Kranz W. I presocratici, Testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni e altri, 2 voll., Roma-Bari 1975]. Arriviamo alla sua affermazione del "tutto è vero", anche se sostiene comunque che esiste un criterio di scelta e di legittimazione: quello dell'utilità. Meno male.‪ L'ignoranza di Socrate", quell' "io so di non sapere" rinvia ad una verità. Perché Socrate esprime un totale attaccamento all'assolutezza della verità, proprio rendendoci coscienti della nostra ignoranza. Se non avessi l'idea della verità non potrei avere quella dell'ignoranza‬




MILAN KUNDERA: ARTE DEL ROMANZO 

“Questi romanzieri scoprono, invece, “quello che solo un romanzo può scoprire”: mostrano come, nelle condizioni dei “paradossi terminali”, tutte le categorie esistenziali cambino improvvisamente di senso: che cos'è l' avventura se la libertà d'azione di un K. è totalmente illusoria? Che cos'è l' avvenire se gli intellettuali dell' Uomo senza qualità non hanno il benché minimo sospetto della guerra che, domani stesso, spazzerà via le loro vite? Che cos'è il delitto se lo Huguenau di Broch non solo non ha rimorsi, ma addirittura dimentica il delitto che ha commesso? E se l'unico grande romanzo comico di quest'epoca, quello di Hašek, ha come sfondo la guerra, che cos'è successo al comico? Dov'è la differenza fra privato e pubblico, se K. non viene mai lasciato solo, nemmeno nel suo letto d'amore, dai due inviati del castello? E che cos'è allora la solitudine? Un fardello, un'angoscia, una maledizione, come hanno voluto farci credere, o invece il valore più prezioso, continuamente schiacciato dalla collettività onnipresente?” Milan  Kundera “L'Arte del Romanzo.”




ESISTE UNA LIBERTÀ ASSOLUTA?

Il mio ragionamento porta dire che non puo' esistere...altrimenti  per fare quello che desideriamo non ci preoccuperemmo di fare male agli altri...pensa alla libertà di uccidere, ma anche banalmente di buttare i rifiuti in strada. Il vivere civile ha regole, anche se troppe regole uccidono il vivere civile. E' una questione di misura di equilibrio. Hobbes  sosteneva che lo Stato necessariamente limita la libertà dei cittadini, qualsiasi sia la sua natura e costituzione...ma io dico per fortuna che esiste lo stato. Poi noi cittadini dobbiamo evitare uno stato dispotico oppressore...ma sta a noi. E' questa la democrazia.

martedì 16 febbraio 2016




IL MONACO NERO

Di Cechov possiamo dire che, in genere, ci racconta storie  statiche ( La steppa o Il duello). Da  questo punto di vista il racconto del 1894" Il monaco nero " fa eccezione, perché in un arco di poco più di venti pagine assistiamo al matrimonio, alla follia e alla morte del protagonista. Per il  protagonista, Andrej Vasil'evič Kovrin, il monaco nero, non è che il suo alter ego, un'allucinazione, un ectoplasma creato da lui stesso. Ne deriva che il protagonista è malato. Una malattia che produce un interlocutore di cui Kovrin ha bisogno: il monaco lo fa sentir un privilegiato, uno  investito dalla Provvidenza di una missione superiore, che sacrifica  tutto se stesso per il prossimo, lavorando per il bene comune. È così che scatta la molla mentale del: « Tu sei un fantasma, un'allucinazione [...] Dunque io sono psi- chicamente malato, un'anormale? » Ma la replica chiarisce: « E foss'anche così? Perché turbarsi? Tu sei malato perché hai lavorato troppo e ti sei strapazzato, ma questo vuoi dire che della tua salute hai fatto sacrificio all'idea ed è vicino il tempo che le darai la tua vita stessa ». Poco oltre il monaco dirà ancora ad Andrej: « Anche se è un'allucinazione, l'allucinazione fa parte della natura ». Mentre Raskol'nikov commette un delitto per cercare di provare a se stesso che è un uomo eccezionale, Kovrin è già convinto di esserlo nel momento in cui si vede il monaco di fronte. Ma Cechov non è  Dostoevskij. Checov è l'uomo dei difficili e delicati equilibri intellettuali, in un'epoca, indubbiamente critica per la cultura europea quale poteva essere la fine del secolo. Kovrìn vive  la banalità umiliante della realtà rispetto alla perfezione di un ideale immaginato, che possa riempire totalmente la propria esistenza interiore. Kovrin, giudicando un fallimento se stesso e la totalità della propria vita, sceglie lo scollamento totale dal mondo circostante per rifugiarsi nel mito come modo per affermare la propria  nobiltà intellettuale. È questa la dinamica psicologica del protagonista che  Checov ci presenta con una impietosa, 'obiettiva' descrizione dei risultati a cui, inevitabilmente, essa approda.

“«Ma quale è il fine della vita eterna?» domandò Kòvrin.
«Come di ogni vita: il godimento. Il godimento vero è nella conoscenza, e la vita eterna fornisce fonti innumerevoli ed inesauribili per la conoscenza; in questo senso è detto: ‹nella casa di Mio Padre sono molte dimore.›»
«Se tu sapessi com'è piacevole ascoltarti,» disse Kòvrin, fregandosi le mani per il piacere.
«Me ne rallegro.»
«Ma so che quando te ne andrai mi tormenterà il problema della tua essenza. Tu sei un fantasma, un'allucinazione. Vuol dire ch'io sono malato psichicamente, che sono anormale?»
«E se fosse così? Per che cosa ti sgomenti? Tu sei malato perché hai lavorato oltre le tue forze e ti sei esaurito, e ciò vuol dire che tu hai sacrificato la tua salute all'idea, ed è prossimo il tempo in cui le sacrificherai anche la vita. Che c'è di meglio? È ciò a cui tendono tutte le nature nobili che il cielo ha altamente dotate.»
«I Romani dicevano: mens sana in corpore sano.»
«Nson è tutta verità quel che hanno detto i Romani o i Greci. La tensione dei nervi, l'esaltazione, l'estasi, tutto ciò che distingue i profeti, i poeti, i martiri per un'idea dalla gente comune, è in contrasto col lato animale dell'uomo, cioè la salute fisica. Lo ripeto: se vuoi essere sano e normale va' nel gregge.»
«Strano, tu ripeti quello che spesso viene in mente anche a me,» disse Kòvrin. «come se tu avessi visti e ascoltati i miei pensieri più intimi. Ma non parliamo di me. Che cosa intendi tu per verità eterna?»
Il monaco non rispose. Kòvrin posò lo sguardo su di lui e non ne distinse più chiaramente il viso: i suoi lineamenti si annebbiavano e svanivano. Cominciarono a scomparire la testa, le mani; il suo tronco si fuse con la panca e con le ombre crepuscolari, alla fine scomparve del tutto.
«L'allucinazione è finita!» disse Kòvrin a se stesso e rise. «Peccato!»”
Anton Pavlovic Cechov. “Racconti.” 

giovedì 11 febbraio 2016



INGANNO 

[..] in qualche angolo del tuo cuore, culli ancora l'illusione che il matrimonio sia una questione d'amore? . 
Philip Roth, “Inganno"
Traduzione di Raul Montanari, Einaudi. 

– Io scrivo. Tu comincia.
– Come si chiama questa cosa?
– Non so. Come la vogliamo chiamare?
– Questionario sul sogno di fuggire insieme.
– Questionario sul sogno di fuggire insieme di due amanti.
– Questionario sul sogno di fuggire insieme di due amanti di mezza età.
– Tu non sei di mezza età.
– Come no?
– A me sembri giovane.
– Sì? Be', questo dovrà saltar fuori dal questionario, sicuro. Entrambi gli aspiranti sono     tenuti a rispondere a tutti i quesiti. – Comincia.
– Qual è la prima cosa che ti farebbe saltare i nervi, riguardo a me?
– Quando sei al tuo peggio, qual è il tuo peggio?
– Sei davvero così pieno di vita? I nostri livelli di energia corrispondono?
– Sei un'estroversa equilibrata e affascinante, o sei invece una nevrotica solitaria?
– Entro quanto tempo potresti sentirti attratto da un'altra donna?
– O da un uomo.
– Non devi mai invecchiare. Pensi lo stesso di me? Ci pensi, in generale?
– Quanti uomini o donne hai bisogno di avere contemporaneamente?
– Quanti bambini vuoi che interferiscano con la tua vita?
– Fino a che punto sei ordinata?
– Sei eterosessuale al cento per cento?
– Hai un'idea precisa di cosa trovo io d'interessante in te? Puntualizzare, prego.
– Dici bugie? Mi hai già mentito? Pensi che mentire sia semplicemente normale, o sei contrario?
– Ti aspetti di sentirti dire la verità, se la chiedi?
– Pretendi la verità?
– Pensi che la generosità sia un segno di debolezza?
– Vuol dire qualcosa per te la debolezza?
– Vuol dire qualcosa per te la forza?
– Quanti soldi posso arrivare a spendere senza che tu ti irriti? Mi lasceresti in mano la tua carta di credito senza far domande? Mi permetteresti di avere un qualche potere sul tuo denaro?
– Sotto quali aspetti sono già una delusione?
– Cosa ti imbarazza? Dimmelo. Ma lo sai, poi?
– Cosa pensi veramente degli ebrei?
– Morirai? Sei a posto sia mentalmente che fisicamente? Specificare, prego.
– Non preferiresti una persona più ricca?
– Fino a che punto ti dimostreresti inetto se ci scoprissero? Cosa diresti se qualcuno entrasse da quella porta? Chi sono io, e perché è tutto a posto?
– Quali sono le cose che non mi dici? Fanno venticinque. Ce n'è ancora? 
– A me non ne viene in mente nessuna. – Io ho voglia di sentire le tue risposte. – E io le tue. Aspetta, ne ho una.
– Sì?
– Ti piace come mi vesto?
– Che assurdità.
– Niente affatto. Più un difetto è banale, più fa rabbia. Lo so per esperienza.
– Okay. Un'ultima domanda?
– Eccola. Eccola, l'ultima domanda. In qualche modo, in qualche angolo del tuo cuore, culli ancora l'illusione che il matrimonio sia una questione d'amore? Se così fosse, potrebbero nascere un sacco di guai.

mercoledì 10 febbraio 2016

IL SENSO DELLA VITA 

Gianfranco Giudice
8 febbraio 2016 
IL SENSO DI QUESTA VITA E DINTORNI.
"Parlare di verità in campo morale è pretenzioso in un’epoca come quella attuale in cui l’unica verità sembra essere che non ci sia alcuna verità. Eppure personalmente sono estremamente convinto di una cosa, ed io credo sia una verità. Sono convinto che la vita umana trovi un senso solo se riconosciuta da un’altra vita umana, perché il riconoscimento di un' esistenza da parte di un'altra esistenza è la rete di senso di questa vita. Lacerata questa rete resta solo un nulla insensato. Il respiro dell'anima è il riconoscimento di un’altra anima. Per questo a volte basta solo una parola o un sorriso scambiato con un'altra persona, anche del tutto sconosciuta, per riaprire uno spiraglio nel buio di alcune vite che diventano, loro malgrado, simili a fortezze inespugnabili." (Gianfranco Giudice, da "Con il sigaro in bocca. Il senso di questa vita spiegato a mio figlio", testo inedito)
Paolo Bolzani
La filosofia moderna si dimentica di orientare la sua indagine sull'essere. Essa concentra la propria ricerca sulla conoscenza umana, distogliendo l'attenzione dalla capacità che l'uomo ha di conoscere la verità. Si preferisce concentrarsi sui limiti e sui condizionamenti, generando solo agnosticismo e relativismo.
Bruno Perlasca
Sarebbe un discorso lungo, ma preferisco il relativismo e l'agnosticismo alle verità rivelate e non definibili in nome delle quali si mozzano le teste. 
Paolo Bolzani
Certo i tagliatori di teste a cui noi ci "opponiamo" con il relativismo di "tutte le posizioni si equivalgono". Bisogna capirli perché hanno le loro ragioni. Fuori di provocazione mi chiedo: non è che abbiamo smesso di porci il tema della verità come ricerca del senso di noi stessi e del mondo?.
Paolo Bolzani
Il concetto di verità non è rinunciabile. Non è che nella nostra cultura sta prevalendo, nei confronti di varie pretese di verità, (perché sono state in passato, e sono tutt'ora, all’origine di varie violenze persecuzioni e guerre) una paura che ci porta ad abbandonare il concetto di verità, per aderire al «relativismo scettico»?. Se così fosse faremmo un tragico errore: Il concetto di verità non è rinunciabile. Perché, parafrasando Patočka, la vita umana contiene pure il germe di una vita nella verità, verità finita, non relativa, ma da riconquistare sempre contro tutti i tentativi di ridurre l’uomo a cosa, ad oggetto manipolabile.
Gianfranco Giudice
Attenzione alla verità sotto il segno del relativismo assoluto, anche questo ha la pretesa di essere una verità e tale oggi è considerata...ma a parte questo,il mio testo parla di altro, la verità dell'esistenza di cui parlo io, è sotto il segno della relatività ed irripetibilità della vita di ognuno. Qui io cerco una verità, che non nega affatto il relativo, tutt'altro! Io contesto da sempre la contrapposizione tra verItà e relativo, la verità di ogni esistenza è necessariamente relativa, come la verità storica è segnata dal relativo. Quella che porta a mozzare le teste può essere la verità metafisica, altra questione...
Gianfranco Giudice
Accanto alle verità rivelate, esistono pure le verità vissute. Le prime sono ripetibili, le seconde irripetibili.
Bruno Perlasca
Il relativismo, per come lo intendo io, non significa tutte le verità metafisiche sono accettabili, ma nessuna verità è raggiungibile perché nessuna verità è riconoscibile come tale. Quello che conta è il percorso di ricerca, cioè la verità umana di ciascun individuo.
Gianfranco Giudice
Concordo perfettamente con te Bruno, per me è vero il percorso di ricerca, dunque che la verità sia relativa ad un percorso di ricerca, non significa affatto che non ci sia alcuna verità, come taluni pensano banalizzando le cose. Eppoi io credo che un principio come non fare ad altri quello che non vorresti fosse fatto a te, sia davvero di una ragione universale che nessuno può non riconoscere. In tal caso il relativo davvero coincide con l'assoluto.
Paolo Bolzani
Non sono sicuro di aver capito. Per me l'essere per la verità, è il ricercare il senso di se stessi e del mondo. Questa ricerca per il senso è il tema proprio della umanità "greca" e poi "europea", che diventa non solo idealmente, umanità universale.
Franco Cazzaniga
La dialettica, se mi si consente il termine, fra verità e conoscenza, non è relativismo. I fatti, ovvero ciò che esiste, ovvero l’intero universo, fisico e, perché no, metafisico, sono lo sfondo in cui si muove la ricerca di conoscenza, ma noi non possiamo conoscerli direttamente perché lo strumento che usiamo per rappresentarli, ovvero il linguaggio (e quindi anche il pensiero che è una forma di linguaggio in atto) non ce lo consente per i suoi limiti intrinseci. 
Il linguaggio è comunicazione, e comunicare vuol dire gettare ponti fra le conoscenze, ma si tratta comunque solo di un numero finito di ponti fra un numero infinito di isole: la verità, cioè la radice del vero, ci sfugge. Quella che possiamo conoscere è solo una verità dipendente dal contesto, ovvero dalle isole che sappiamo visitare attraverso i nostri ponti. Ma ci saranno sempre altre isole, altri ponti ed altri viaggiatori.
Gianfranco Giudice
Concordo Franco, come diceva Shakespeare ci sono più cose sotto il cielo di quante ne conosce la tua filosofia, e Spinoza diceva qualcosa di analogo...
‪Paolo Bolzani ‬
‪Da una tua bacheca di qualche tempo fa, Gianfranco, che mi ero annotato. ‬
‪SI FATICA A PENSARE CHE ESISTA UNA VERITÀ ‬
‪Gianfranco Giudice ‬
‪Si fatica a pensare che possa esistere una verità, perché ci si sofferma solo sui molteplici punti di osservazione.‬
‪Paolo Bolzani ‬
‪Ma io preferisco il pensiero di Patočka, che ci dice che la vita umana in tutte le sue forme contiene il germe di verità finita, non verità relativa, ma verità che ha come parametro fondamentale la lotta quotidiana contro tutti i tentativi di ridurre l’uomo a cosa, ad oggetto manipolabile.‬
‪Monica Galanti ‬
‪la somma e il confronto dei molteplici punti di osservazione ci approssima alla verità; la verità scaturisce da innumeri vagabondaggi nel regno plurimo della soggettività; questo per quanto riguarda il cognitivo e l'emozionale. poi ritengo anche che esista un'unica verità che risiede in un principio etico: non nuocere all'altro da sé‬
‪Paolo Bolzani‬
‪Certo e' il rapporto con l'altro da se' che permette a ogni singolo uomo di salvarsi dal relativismo etico: alla base di ogni rapporto con l'altro c'è la forza della comunicazione, del logos, che permette di fuggire dalla solitudine virtuale in cui siamo immersi e di far parte del mondo, come rete di rapporti.‬
‪Gianfranco Giudice ‬
‪La relazione è l'essenza della verità per come è data all'umano di coglierla nel suo essere tempo e storicità. Anche il relativismo non può non fare i conti con un essere stabile, per quanto minimale, il molteplice converge sempre verso un centro, per quanto a volte sembri il contrario..‬
‪Paolo Bolzani‬ 
Dunque, la verità è una relazione!. La verità non è mai assoluta di papa Francesco in “la Repubblica” dell'11 settembre 2013
[...] In secondo luogo, mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità «assoluta», nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: «Io sono la via, la verità, la vita»? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa. Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione...
‪Gianfranco Giudice‬ 
La verità antropologica è la relazione, certo. 
INSEGNAGLI A CHIAMARLA LA "REALTÀ DELLA VITA"

Insegnagli a chiamarla "la realtà della vita....tu non puoi capire come gli uomini siano schiavi dell'urgenza delle cose ordinarie....(C.S. LEWIS LETTERE DI BERLICCHE Adelphi)
Mio caro Malacoda,[...] Il tuo lavoro dev'essere quello di fissare la sua attenzione su questa corrente. Insegnagli a chiamarla "la realtà della vita", senza permettere che si chieda che cosa intende dire quando dice "realtà". Ricordati che non è, come te, un puro spirito. Non essendoti mai fatto uomo (Ah! quell'abominevole vantaggio del Nemico!) tu non puoi capire come gli uomini siano schiavi dell'urgenza delle cose ordinarie. Io avevo una volta un paziente, un ateo ben saldo, che era solito recarsi a studiare nella biblioteca del British Museum. Un giorno, mentre stava leggendo, m'accorsi che un certo filo del pensiero cominciava a prendere una direzione sbagliata. Il Nemico, naturalmente, gli fu in un attimo al fianco. Prima che riuscissi a raccapezzarmi, vidi che il mio lavoro di vent'anni cominciava a barcollare. Se, perdendo la testa, mi fossi messo a tentare una difesa per mezzo di una discussione, sarebbe stata finita per me. Ma io non sono così sciocco. Senza perder tempo colpii quella parte che in lui era più di ogni altra sotto il mio controllo, e suggerii che era giunto ormai il tempo di andare a fare un po' di colazione. Il Nemico, è presumibile, (poiché sai che non è mai proprio possibile riuscire ad afferrare ciò che Egli dice loro!) fece a sua volta la contro-insinuazione che ciò che stava pensando era più importante della colazione. Almeno io penso che la Sua linea sia stata questa, per- ché, quando io osservai: « Perfettamente. Anzi, è trop- po importante perché ci s'accinga a trattarne a mezzo- giorno », il volto del paziente s'illuminò considerevol- mente; ed io non feci in tempo ad aggiungere: « Molto meglio tornare dopo pranzo, e trattare l'argomento con mente fresca », che era già a mezza strada verso la por- ta. Una volta sulla via la battaglia fu vinta. Gli mostrai il giornalaio che gridava le notizie delle edizioni pome- ridiane, e un autobus, il n. 73, che passava, e prima che giungesse in fondo ai gradini riuscii a convincerlo più che mai che, siano pur strane fin che si vuole le idee che sorgono in capo quando si è chiusi da soli con i propri libri, una dose salutare di "realtà della vita" (e con ciò intendevo dire l'autobus e il giornalaio) ba- stava per dimostrargli che "tutte quelle robe" sempli- cemente non potevano essere vere. Sapeva di essersela cavata per poco, e più tardi provava un gran gusto nel parlare di « quel senso inespresso della realtà che è la nostra ultima salvaguardia contro le aberrazioni della logica pura ». Ora egli è al sicuro nella casa di Nostro Padre. [...] 
Tuo affezionatissimo zio 
Berlicche 

domenica 7 febbraio 2016




NOI SIAMO FATTI COME LA MUSICA.

Noi siamo fatti, come la musica, di toni diversi, alti bassi, dolci e duri, acuti e bassi, molli e gravi. Ogni giorno, li mettiamo insieme, li fondiamo, per trarne la musica della nostra vita. Mi piace la musica che mi accompagna. 



SI FATICA A PENSARE CHE ESISTA UNA VERITÀ 

Si fatica a pensare che possa esistere una verità, perché ci si sofferma solo sui molteplici punti di osservazione.
    • Paolo Bolzani Ma io preferisco il pensiero di Patočka, che ci dice che la vita umana in tutte le sue forme contiene il germe di verità finita, non verità relativa, ma verità che ha come parametro fondamentale la lotta quotidiana contro tutti i tentativi di ridurre l’uomo a cosa, ad oggetto manipolabile.
    • Monica Galanti la somma e il confronto dei molteplici punti di osservazione ci approssima alla verità; la verità scaturisce da innumeri vagabondaggi nel regno plurimo della soggettività; questo per quanto riguarda il cognitivo e l'emozionale. poi ritengo anche che esista un'unica verità che risiede in un principio etico: non nuocere all'altro da sé
    • Paolo Bolzani Certo e' il rapporto con l'altro da se' che permette a ogni singolo uomo di salvarsi dal relativismo etico: alla base di ogni rapporto con l'altro c'è la forza della comunicazione, del logos, che permette di fuggire dalla solitudine virtuale in cui siamo immersi e di far parte del mondo, come rete di rapporti.
    • Gianfranco Giudice La relazione è l'essenza della verità per come è data all'umano di coglierla nel suo essere tempo e storicità. Anche il relativismo non può non fare i conti con un essere stabile, per quanto minimale, il molteplice converge sempre verso un centro, per quanto a volte sembri il contrario...