venerdì 23 giugno 2023

CODICE DELLA VITA ITALIANA Giuseppe Prezzolini



CODICE DELLA VITA ITALIANA

Giuseppe Prezzolini



Cento aforismi del celebre autore, che coprono lo spazio di tutti i vizi e le virtù italiane, l’indulgenza ironica di cui troppi si sono fatti portavoce, ma con il sarcasmo pungente di uno sguardo lucido. Dalla distinzione effettuata nel primo pensiero, “I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi”, Prezzolini affronta, sempre in pochissime parole, i temi della giustizia, del governo, della famiglia, delle leggi, dell’ideale, del guadagno.


I.

SAGGIO DI UN CODICE DELLA VITA ITALIANA

Tra la legge scritta e la vita vissuta, tutti sappiamo che bella differenza passa.  Lo Statuto e i Codici che cosa ci dicono di realistico sul nostro Paese? Lo abbiamo imparato, a spese nostre; lo sa la nostra testa, che ha ripetutamente urtato contro quanto ignorava; lo sanno le nostre spalle, che di questa ignoranza han portato il peso! E perché non cerchiamo di togliere ai giovani la parte più grave di tal noviziato? Perché non proviamo a insegnare loro in che Paese veramente sono nati, quali ostacoli troveranno, quante strade hanno aperte?

Ho cercato di esporre in poche formule alcuni degli aspetti realistici della nostra vita e delle consuetudini della gran maggioranza degli Italiani. So bene che si griderà in pubblico al diffamatore pur riconoscendo in privato la giustezza delle mie osservazioni. Ma, appunto perché so tutto questo, non me ne ppreoccupo tanto. E quanto alle eccezioni riconosco volentieri che ce ne sono. Non è già forse questo.scritto stesso un'eccezione a quella regola, che si potrebbe benissimo aggiungere alle altre innanzi esposte, per cui « certe cose si fanno ma non si dicono »?

Cề molta amarezza, in espressioni che han l'aria - soltanto l'aria, purtroppo- del paradosso. Amarezza e, qualche volta, disperazione.

Quando si vive in Italia, più d'una volta acade di domandarsi perché non si prende il primo piroscafo che parte per il nuovo mondo, dove, molto lontani, attraverso il velo della poesia, e senza alcun contatto con cattivi campioni della madre patria, tutto quello che ce di bello in mente e destare persin nostalgia e di sano può tornare.

Si, siamo ridotti a questo, qualche volta: a prendere idealmente un piroscafo e guardarla da lontano, questa nostra Italia, per poterla amare davvero. A guardarla come posteri; anzi peggio: come stranieri.

Del resto i migliori italiani, da Dante a Mazzini, hanno rivolto aspri rimbrotti ai loro compaesani; e si capisce. Chi ha un ideale di patria, vi paragona la realtà e non può a meno di trovarla inferiore; onde il suo forzo perché la luce di quell'ideale, che è tormento e miglioramento, passi negli altri. Ma non vi passa che a traverso lotte. Chi si contenta delle cose come stanno, non ha bisogno di utare alcutno; e può distendersi nelle lodi. I dolci educatori, si sa, non sono i migliori.

Qui c'è il succo delle mie idee sul mio Paese: vi sono nato, sento di dovervi lavorare. Ma il mio Paese non è disgiunto da un'idea più vasta. Anzitutto, mi sento uomo. E sento subordinato a questo il mio concetto di Italiano.

Io ho fede nell'Italia piuttosto attraverso un rinnovamento educativo che attraverso uno politico, preferisco un miglioramento del carattere a una modificazione delle istituzioni. Ho più ede negli umili,.che nei grandi; in coloro che occupano posizioni secondarie, che in quelli che sono arrivati in alto. Penso che i valori della nostra tradizione hanno bisogno di cambiamenti radicali: che noi teniamo troppo al Rinascimento ed a tutta la tonalità letteraria, enfatica, retorica che vi ha radice. I mio ideale d'Italiani è quello di uomini più pratici, più severi, più colti, più aperti alla visione del grande mondo moderno:

Sento che si potrebbe arrivare ad un profondo rivolgimento spirituale in breve tempo: in un paio di generazioni; a patto di sentire la nostra attuale complessiva inferiorità, rispetto ad altri popoli; a patto di una rinunzia rigida a consuetudini che abbassano soprattutto il nostro valore morale e la nostra dignità a patto di un esame di coscienza purificatore.

Certamente non è facile dire a noi stessi ed in pubblico: ho peccato; ma non vi è correzione possibile se non a traverso questa confessione.

Può darsi che nel compito prefisso, esageri. Ma non mi sono mai posto un freno perché generalmente si è andati tanto in là con gli elogi sperticati e con la soddisfazione inconsiderata, da rendere desiderabile qualunque azione contraria.

Quando in corsa ed alle svoltate una slitta minaccia di cader da una parte, ci vuol pure qualcuno che si sacrifichi e si sporga tutto fuori dalla parte opposta.




CODICE DELLA VITA ITALIANA

Capitolo I. - Dei furbi e dei fessi

1. I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi.

2. Non c'è una definizione di fesso. Per : se uno paga il biglietto intero in ferrovia, non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente nella magistratura, nella Pubblica Istruzione ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all'agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc. questi è un fesso.

3. I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta.

4. Non bisogna confondere il furbo con l'intelligente. L'intelligente è spesso un fesso anche lui.

5. Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere di averle.

6. Colui che sa è un fesso. Colui che riesce senza sapere è un furbo.

7. Segni distintivi del furbo: pelliccia, automobile, teatro, restaurant, donne.

8. I fessi hanno dei principi. I furbi soltanto dei fini.

9. Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro.

10. L'Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l'Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.

11. Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo.

12. Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi.

13. Ci sono fessi intelligenti e colti, che vorrebbero mandar via i furbi. Ma non possono: 1) perché sono fessi; 2) perché gli altri fessi sono stupidi e incolti, e non li capiscono.

14. Per andare avanti ci sono due sistemi. Uno è buono, ma l'altro è migliore. Il primo è leccare i furbi. Ma riesce meglio il secondo che consiste nel far loro paura: 1) perché non c'è furbo che non abbia qualche marachella da nascondere; 2) perché non c'è furbo che non preferisca il quieto vivere alla lotta, e la associazione con altri briganti alla guerra contro questi.

15. Il fesso si interessa al problema della produzione della ricchezza. Il furbo soprattutto a quello della distribuzione.

16. L'Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto in Italia non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l'italiano in generale ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e per la vendetta. Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l'esempio e la dottrina corrente - che non si trova nei libri - insegnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbizia che l'ha colpita, ma in cuor suo si ripromette di imparare la lezione per un'altra occasione. La diffidenza degli umili che si riscontra in quasi tutta l'Italia, è appunto l'effetto di un secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, per , a porli al riparo delle sempre nuove scaltrezze di quelli.

Capitolo II. - Della Giustizia

17. In Italia non esiste giustizia distributiva. Ne tiene le veci l'ingiustizia distribuita. Per cinque anni il Sindaco (oppure il Deputato, il Prefetto, il Ministro) del Partito Rosso perseguita gli uomini del partito nero e distribuisce cariche o stipendi agli uomini del partito rosso. La situazione sarebbe intollerabile se dopo cinque anni, essendo salito al potere il Sindaco (c.s.) del Partito Nero, questi facesse le cose giustamente.

E' chiaro che lascerebbe almeno una metà dell'ingiustizia antecedente. Perciò il Sindaco (c.s.) del partito nero fa tutto il rovescio dell'altro; distribuisce cariche e stipendi agli uomini del partito nero e perseguita gli uomini del partito rosso.

Così l'ingiustizia rotativa tiene luogo della giustizia permanente.

18. Non è vero, in modo assoluto, che in Italia, non esista giustizia. E' invece vero che non bisogna chiederla al giudice, bensì al deputato, al Ministro, al giornalista, all'avvocato influente ecc. La cosa si può  trovare: l'indirizzo è sbagliato.

19. In Italia non si può  ottenere nulla per le vie legali, nemmeno le cose legali. Anche queste si hanno per via illecita: favore, raccomandazione, pressione, ricatto ecc.

Capitolo III. - Del Governo e della 

Monarchia

20. L'Italia non è, democratica nè aristocratica. E' anarchica.

21. Tutto il male dell'Italia viene dall'anarchia. Ma anche tutto il bene.

22. In Italia contro l'arbitrio che viene dall'alto non si è trovato altro rimedio che la disobbedienza che viene dal basso.

23. In Italia il Governo non comanda. In generale in Italia nessuno comanda, ma tutti si impongono.

24. Per le cose grosse non si cade mai, per quelle piccine spesso.

Ci  corrisponde al carattere italiano che subisce le grosse ingiustizie, ma è intollerantissimo per le piccole.

25. L'Italiano non dice mai bene di quello che fa il Governo, anche se è fatto bene; perché non c'è italiano il quale non affiderebbe qualunque cosa al governo e non si lagni perché il Governo non pensa a tutto.

26. I ministri non sono scelti perché persone competenti nell'agricoltura, nei lavori pubblici, nelle finanze, nelle poste e telegrafi, bensì perché piemontesi, liguri, lombardi, toscani, siciliani, abruzzesi, o perché appartenenti al gruppo a, b, c. Si è ministri non per quel che si è fatto, ma per il dialetto che si capisce, per il gergo parlamentare che si parla. Questo deriva in gran parte dal concetto della ingiustizia distribuita (cap. II).

27. Il valore degli incarichi non corrisponde sempre alla realtà. Molto spesso il piantone conta più del colonnello, l'usciere ne sa più del ministro, il segretario pu  quello che il cardinale non osa, e così via. Nelle piazze e nei salotti la conoscenza di questo " annuario segreto " delle potenze, forma uno dei punti indispensabili per poter fare carriera. Rivolgersi al principale senza passare per la succursale, è uno dei più comuni errori di tutti i novizi della vita italiana.

28. L'autorità del grado non conta. L'italiano non si inchina davanti al berretto. Nulla lo indispone più dell'uniforme. Ma obbedisce al prestigio personale ed alla capacità di interessare sentimentalmente o materialmente la folla.

29. L'uomo politico in Italia è uomo avvocato. Il dire niente in molte parole è stata sempre la prima qualità degli uomini politici; che se hanno sommato il dire niente al parlare fiorito, hanno raggiunto la perfezione.

30. La Monarchia resiste in quanto non esiste. I repubblicani non esistono in quanto non esiste l'oggetto della loro lotta. Non si pu  combattere un Re che non è meno noioso di un presidente di repubblica, poiché non crea nemmeno la difficoltà di farsi eleggere.

31. Il Re ha rinunciato ai diritti che esercitava, e non esercita più quelli che gli son rimasti.

32. La piazza è il vero Governo italiano, che decide la guerra o fa cessare lo sciopero dei tranvieri. Da parecchi anni impiegati, produttori. operai, e ormai anche militari, sanno che non si ottiene nulla dal governo, " se non si scende in piazza ". Forse è per questo che siamo i discendenti dei Romani, che decidevano le questioni politiche nel Foro.

Capitolo IV. - Della geografia politica

33. L'Italia si divide in due parti: una europea che arriva all'incirca a Roma, e una africana o balcanica, che va da Roma in giù. L'Italia africana o balcanica è la colonia dell'Italia Europea.

Capitolo V. - Della famiglia

34. In Italia l'uomo è sempre poligamo. La donna è poliandra (quando può ).

35. La famiglia è la proprietà del capo di famiglia. La moglie è un oggetto di proprietà. Se abbandona si pu  uccidere. Viceversa non è ammesso che possa uccidere, se la si abbandona.

36. La moglie ha la sua posizione sociale segnata fra la serva e l'amante. Un po' più in su della serva e un po' più giù dell'amante. Fa le giornate da serva e le notti da amante.

37. I figli sono proprietà del padre. Devono fare onore, non a se stessi, ma al padre.

Capitolo VI. - Delle leggi

38. In Italia nove decimi delle relazioni sociali e politiche non sono regolate da leggi, contratti o parole date. Si fondano sopra accomodamenti pratici ai quali si arriva mediante qualche discorso vago. una strizzatina d'occhio e il tacito lasciar fare fino a un certo punto. Questo genere di relazioni si chiama compromesso. Non ci sono mai situazioni nette tra marito e moglie, tra compratore e venditore, tra governo e opposizione, tra ladri e pubblica sicurezza, tra Quirinale e Vaticano.

39. Tutto ci  che è proibito per ragioni pubbliche si pu  fare quando non osta un interesse privato. Nei vagoni dove è proibito fumare tutti fumano finché uno non protesta.

40. In Italia nulla è stabile fuorché il provvisorio.

41. La mancia è la più grande istituzione tacita d'Italia, dove gli usi contano più delle leggi, e le consuetudini più dei regolamenti. Per far procedere una pratica come per ottenere un vagone. per avere notizia di una sentenza. come per far scaricare un piroscafo, occorre sempre la mancia. Il modo di darla è variabile ed esige un noviziato non breve, una conoscenza della graduatoria sociale e dei sistemi in uso. Essa va dal volgare gruzzoletto posto nella mano dell'autorità da commuovere, e dalla bottiglia fatta stappare in onore dell'affare che si conclude, fino alla " bustarella ", in uso negli uffici di Roma ed ai contratti tariffati degli agenti ferroviari del settentrione. o al vezzo di perle per la signora e la compartecipazione ad un'emissione di azioni per il grosso affarista o giornalista.

42. La pena di morte non è abolita in Italia. Essa colpisce, in generale, gli innocenti che si trovano a passare sotto la traiettoria dei moschetti della Regia Guardia o dei Reali Carabinieri, oppure nel cerchio delle bombe a mano lanciate da socialisti o da fascisti.

Capitolo VII. - Delle Ferrovie

43. In Italia si viaggia gratis in prima classe; con riduzione, in seconda. In terza si paga la tariffa intera, proporzionalmente più alta di quella che pagherebbero le altre classi, se le altre la pagassero mai interamente.

Capitolo VIII. - Dell'ideale

44. C'è un ideale assai diffuso in Italia: guadagnar molto faticando poco. Quando questo è irrealizzabile, subentra un sottoideale: guadagnar poco faticando meno.

45. La scuola è fatta per avere il diploma. E il diploma? Il diploma è fatto per avere il posto. E il posto? Il posto è fatto per guadagnare. E guadagnare? E' fatto per mangiare. Non c'è che il mangiare che abbia fine a se stesso, sia cioé un ideale. Salvo in coloro, in cui ha per fine il bere.

Capitolo IX. - Del guadagno

46. In generale in Italia nessuna professione è sufficiente per vivere, da sola. Perci  si vede l'insegnante che fa anche il giornalista; l'impiegato che fa il rappresentante di case commerciali; il ragioniere dello Stato che va a curare la sera aziende private; il giornalista che scrive commedie. Un solo impiego non basta a sbarcare il lunario. Con due ci si riesce. Con tre si vive bene. Bisogna essere furbi per averne quattro. Se fra questi ve n'è uno almeno da trascurare, la preferenza vien fatta a quello dello Stato, in base al principio che segue.

Capitolo X. - Della proprietà collettiva

47.La roba di tutti (uffici. mobili dei medesimi, vagoni, biblioteche, giardini, musei, tempo pagato per lavorare, ecc.) è roba di nessuno.

Capitolo XI. - Dell'Italia e degli Italiani

48. L'Italia è il giardino del mondo. L'Italia è un paese naturalmente povero, senza carbone, con poco ferro, molto scoglio, per tre quarti malarico e troppo popoloso. Esso dipende e dipenderà sempre economicamente dagli stranieri. L'indipendenza dell'Italia è il mito più infondato e dannoso che un italiano possa nutrire. C'è una sola consolazione: che nessun paese è economicamente indipendente.

49. L'italiano è un popolo che si fa guidare da imbecilli i quali hanno fama di essere machiavellici, riuscendo così ad aggiungere al danno la beffa, ossia l'insuccesso alla disistima, per il loro paese. Da molti anni il programma degli uomini che fanno la politica estera sembra riassumersi in questo: mani vuote, ma sporche.

50. I veri italiani sono pochissimi. La maggior parte di coloro che si fanno passare per italiani, sono in realtà piemontesi, toscani, veneti, siciliani, abruzzesi, calabresi, pugliesi e via dicendo. Appena fuori d'Italia, l'italiano torna ad essere quello che è: piemontese, toscano veneto ecc. L'italiano sarà un prodotto dell'Italia, mentre l'Italia doveva essere un prodotto degli italiani.

51. L'ammirazione degli stranieri per tutte quelle cose che ci urtano nella vita italiana (il lazzaronismo, l'indisciplina, il sentimentalismo, la musica da serenate, la statueria ecc.), indica che in tutti questi difetti c'è qualche cosa di gradevole e di simpatico. Ma per chi va a fondo delle cose, vede che si tratta di una permanente insidia al carattere italiano, già inclinato a ci  che è più gradevole, ma meno pericoloso per gli stranieri. Essi vedono volentieri gli italiani prendere il mandolino in mano e far serenate alla luna, e li carezzano gettando un obolo, con la simpatia e il disprezzo che si ha per una cortigiana, o la sottintesa superiorità che si mostra verso un cagnolino.

52. Se per ingegno si intende la facilità nelle cose facili, l'arte di esprimersi con abbondanza, la capacità di intendersi senza troppo precisare. la vernice di tutti i talenti esterni. il canto piacevole, la poesia sonora, l'arrivare d'un colpo a comprendere le cose senza sforzarsi, dopo, di compiere un passo più avanti per approfondirsi in ci  che si è imparato, l'italiano è un popolo intelligente. Se per ingegno si intende invece ...

53. Il perfetto italiano giudica l'ingrandimento dell'Italia dell'allargamento chilometrico, la grandezza dei quadri dalla superficie della tela, la bellezza della poesia dalla sonorità delle rime e quella delle donne dalla quantità della ciccia. Il buffo è che molti di questi valori plastici sono entrati anche nella zucca degli stranieri, che ammirano il nostro parlar sonoro, le nostre donne carnose, i quadroni dal Rinascimento in poi, e qualche volta anche l'aumento dei chilometri quadrati.

54. La storia d'Italia è la storia di Spagna e di Francia, d'Alemagna e d'Austria, e in fondo, storia d'Europa. Lo sforzo degli storici per creare una storia d'Italia dimostra come si possa spendere molto ingegno per una causa poco ingegnosa, come accade a quei capitani che si fanno valorosamente ammazzare per una causa infame.

55. L'Italiano è di tanto inferiore al giudizio che porta di se stesso di quanto è superiore al giudizio che ne danno gli stranieri. Le sue qualità migliori sono le ignorate e i suoi difetti peggiori sono i pubblicati da tutta la fama.

56. La famiglia è l'unico aggregato sociale solido in Italia. Il comune è l'unico organismo politico sentito in Italia. Tutto il resto è sentimento generico di classi intellettuali, come la patria; o astrattismo burocratico, come la provincia; o mito vago, che nasconde spinte economiche molto ristrette ed egoistiche, come l'internazionale.

57. Alcune massime e parole italiane hanno una origine dialettale e regionale, che significa che una qualità particolare d'una data gente s’è andata allargando a tutta l'Italia. Per esempio : tira a campà è massima eminentemente romana; non ti compromettere è precetto squisitamente toscano; fare fesso è pratica particolarmente meridionale; per  tutti gli italiani ormai le capiscono e i furbi le hanno adottate come regola di vita sociale.

58 Il tempo è la cosa che più abbonda in Italia, visto lo spreco che se ne fa.

59 Tutto è in ritardo in ritardo in Italia, quando si tratta di iniziare un lavoro. Tutto è in anticipo quando si tratta di smetterlo.

60 Non è vero che l'Italia sia un paese disorganizzato. Bisogna intendersi : qui la forma di organizzazione è la camorra. Il Partito come la religione, la vita comunale come la economica prendono inevitabilmente questo aspetto. Non manca disciplina ma è la disciplina propria della camorra, l'ultra disciplina che va dal fas al nefas.

61. Tutti i principali difetti degli italiani, e soprattutto i più vergognosi : la mancanza di parola, il servilismo, l’individualismo esagerato, l’abitudine dei piccolo inganno e della corruzione, derivano dalla povertà italiana, come la sporcizia di tanti loro paesi dalla mancanza di acqua. Quando in Italia correrà più denaro vero e più acqua pulita, la redenzione d'Italia sarà in buona parte compiuta.

Capitolo XlI - Senza titolo riassuntivo indispensabile

62. L'Italia è una speranza storica che si va facendo realtà.

Firenze, 1921


venerdì 16 giugno 2023

IL PASSEGGERO Cormac McCarthy


 IL PASSEGGERO 

Cormac McCarthy 

Recensione

Dopo capolavori come "La strada" e "Non è un paese per vecchi", è impossibile non avere riferimenti a cui paragonare ogni suo nuovo libro. 

E invece questo "Il Passeggero" è spiazzante tanto è diverso. L’unico punto di incontro a mio parere è nell’atmosfera che l’autore riesce a creare. Qui si tratta di disincanto, senso di oppressione, di impossibilità, di superare la mancanza di una persona che si è amata, di vita in fuga non si sa verso dove e non si sa perché. 

I lunghi dialoghi che affollano il libro sono concisi e serratissimi, inclini al pessimismo, spesso fatti apposta per far perdere al lettore la cognizione di chi stia dicendo cosa. Ma in fondo non è così importante. Il senso è nel discorso che dal dialogo scaturisce.

L’atmosfera del protagonista in fuga, braccato, senza speranze e pieno di pessimismo, è ciò che ho più apprezzato.

C’è moltissimo altro in questo libro: ci sono colti rimandi letterari, ci sono dissertazioni di fisica, di filosofia, c’è un profondo nichilismo, e poi ancora e ancora


IL PASSEGGERO 


Nella notte era scesa una leggera nevicata e i suoi capelli ghiacciati erano aurei e cristallini e i suoi occhi gelidi e duri come pietre. Uno degli stivali gialli le si era sfilato e spuntava dalla neve sotto di lei. La sagoma del cappotto impolverata di neve si disegnava dove l’aveva lasciato cadere e vestita solo di un abito bianco lei pendeva tra i nudi e grigi tronchi degli alberi invernali con il capo chino e le mani leggermente rivolte all’infuori come quelle di certe statue ecumeniche la cui postura chiede che ne venga contemplata la storia. Che vengano contemplate le fondamenta del mondo poiché originano dal travaglio delle sue creature. Il cacciatore si inginocchiò e conficcò il fucile accanto a sé nella neve e si sfilò i guanti e li lasciò cadere e giunse le mani l’una sull’altra. Pensò che avrebbe dovuto pregare ma preghiere per una cosa simile non ne aveva. Chinò la testa. Torre d’Avorio, disse. Oro del Tempio. Rimase lí inginocchiato a lungo. Quando riaprí gli occhi vide una piccola sagoma semisepolta nella neve e si chinò e spolverò via la neve e raccolse una catenina d’oro con una chiave di acciaio, un anello d’oro bianco. Se li infilò nella tasca del giaccone da caccia. Durante la notte aveva sentito il vento. Il lavoro del vento. Un bidone dei rifiuti che sbatacchiava sul laterizio dietro casa. La neve che turbinava nell’oscurità della foresta. Alzò lo sguardo in quei freddi occhi di smalto che scintillavano azzurri nella fioca luce invernale. Si era legata il vestito con una fusciacca rossa perché potessero trovarla. Una chiazza di colore nel rigore di quella desolazione. In quel giorno di Natale. Quel freddo e appena accennato giorno di Natale.

I.

Questo dunque accadeva a Chicago nell’inverno del suo ultimo anno di vita. Nel giro di una settimana avrebbe fatto ritorno alla Stella Maris e da lí si sarebbe allontanata addentrandosi nei cupi boschi del Wisconsin. Il Talidomide Kid la trovò da un affittacamere su Clark Street. Near North Side. Bussò alla porta. Cosa insolita per lui. Lei naturalmente sapeva chi era. Lo stava aspettando. E comunque non erano proprio dei colpi. Solo una specie di schiaffeggio.

Lui prese a fare su e giú ai piedi del letto. Si fermò per parlare e ci ripensò e riprese a fare su e giú, strofinandosi le mani come il cattivo di un film muto. Salvo che naturalmente non erano vere mani. Solo pinne. Tipo quelle delle foche. La sinistra delle quali adesso gli reggeva il mento mentre lui si soffermava a studiarla. Tornati a grande richiesta, disse. In carne e ossa.

Ce ne avete messo di tempo.

Già. Abbiamo avuto le luci contro per tutto il viaggio.

Come hai fatto a sapere in che stanza ero?

Facile. Stanza 6-C. E infatti ci sei. Cosa usi al posto dei soldi?

Di soldi ne ho ancora.

Il Kid si guardò intorno. Mi piace come hai sistemato questo posto. Magari dopo il tè possiamo fare un giretto in giardino. Che programmi hai?

I miei programmi li conosci credo.

Già. Non promette granché bene, eh?

Niente è per sempre.

Stai lasciando un messaggio?

Sto scrivendo una lettera a mio fratello.

Un gelido riassunto scommetto.

Il Kid era alla finestra e guardava fuori il freddo aspro. Il parco innevato e il lago ghiacciato in lontananza. Be’, disse. La vita. Che dire? Non è roba per tutti. Gesú, gli inverni sono limitanti.

È tutto?

Tutto cosa.

Tutto quello che hai da dire?

Sto pensando.

Aveva ripreso a fare su e giú. Poi si fermò. E se prendessimo armi e bagagli e smammassimo?

Non cambierebbe niente.

E se rimanessimo?

Cioè, altri otto anni di te e quei cialtroni dei tuoi amici?

Nove, cara la mia matematica.

Okay, nove.

Perché no?

No grazie.

Su e giú. Massaggiandosi lentamente la piccola testa sfregiata. L’aria di uno venuto al mondo col forcipe. Si fermò di nuovo alla finestra. Ti mancheremo, disse. Insieme abbiamo fatto molta strada.

Certo, disse lei. Ed è stato meraviglioso. Senti. Tutto ciò non è pertinente. A nessuno mancherà nessuno.

Mica eravamo obbligati a venire, sai.

Non so che cosa foste obbligati a fare. Non sono pratica delle vostre incombenze. Non lo sono mai stata. E adesso mi è del tutto indifferente.

Già. Hai sempre pensato il peggio.

E raramente sono rimasta delusa.

Non tutte le allucinazioni ectromeliche che spuntano nel tuo boudoir il giorno del tuo compleanno ti vogliono incastrare. Cercavamo di portare un po’ di luce in un mondo travagliato. Cosa c’è di male?

Non è il mio compleanno. E credo che sappiamo cos’avete portato. Comunque sia, non sarete mai nelle mie grazie, per cui lascia perdere.

Tu di grazie non ne hai piú. Terminate.

Tanto meglio.

Il Kid si stava guardando intorno. Gesú, disse. Questa stanza fa veramente schifo. Hai visto cos’ha appena attraversato il pavimento? Cos’è, abbiamo finito le scorte di Zyklon B? Non sei mai stata Miss casalinga perfetta ma direi che qui ti sei superata. Un tempo in un buco simile non ci avresti vissuto manco morta. Ti stai prendendo cura di te?

Non sono affari tuoi.

L’ennesima sistemazione sgangherata. Eh, be’. Stai un po’ sulla corda, dico bene? Se vuoi scusare la freddura. Hai mai pensato di prendere il velo? Okay. Tanto per sapere.

Magari limitiamoci a fare ammenda per quel che si può e lasciamo perdere il resto. Non peggioriamo le cose.

Sí sí certo certo.

Tu lo sapevi che sarebbe successo. Anche se ti piace fingere che ti nascondo le cose.

È vero. Che me le nascondi. Cristo che freddo fa qua dentro. Potresti appenderci la carne in questo cazzo di posto. Mi hai dato dell’operatore spettrale.

Ti ho dato cosa?

Dell’operatore spettrale.

Non ti ho mai dato niente del genere. È un termine matematico.

Già. Come no.

Vai a guardare.

Dici sempre cosí.

E tu non lo fai mai.

Sí, vabbè. Acqua passata.

Passata? Cos’è, ti preoccupano le stellette sulle tue prestazioni professionali?

Pensala come vuoi, principessa. Abbiamo fatto del nostro meglio. Il morbo persiste.

Poco male. Non persisterà ancora a lungo.

Già, continuo a dimenticarlo. Via verso i confini da cui nessun viaggiatore e cazzi e mazzi.

Continui a dimenticarlo?

Si fa per dire. Dimentico ben poco. Se parliamo di memoria, tu invece non hai l’aria di ricordarti granché dello stato nel quale ti abbiamo trovata la prima volta che ci siamo presentati.

Non devo ricordarmelo. Ci sono tuttora.

Sí, vabbè. Correggimi se sbaglio ma mi sembra di ricordare una ragazzina che in punta di piedi sbircia attraverso un alto pertugio di cui di rado gli archivi fanno menzione. Che cosa vedeva? Una figura al cancello? Ma la domanda è un’altra, giusto? La domanda è, la figura vedeva lei? Un occhiello di luce. Chi l’avrebbe notato? Ma i cani dell’inferno possono passare attraverso il vuoto di un cerchio. Ho ragione o no?

Stavo bene prima che arrivaste.

Certo che sei proprio un bel tipo. Lo sapevi? Guarda, te lo metto per iscritto. Come disse il puttaniere muto alla battona. Figli delle tenebre, sbavanti e degenerati, e lei che fa? Prova a guardare oltre le loro spalle. Che c’è laggiú? Boh. Un qualche atavismo partorito dalla psicosi di un antenato defunto emerso dalla pioggia. Che fuma là nell’angolo. Insomma al diavolo. Lasciami accendere le luci. Niente. Stacca il proiettore. Chi cazzo l’ha ordinato tra l’altro? Basta che arrotoli lo schermo e tutta questa merda va direttamente sul muro. Mi hai dato anche dell’agente patogeno.

Tu sei un agente patogeno.

Vedi?

Ma arrivano o cosa?

Arrivano chi?

Piantala. So che sono là fuori.

Sarebbe a dire le orti.

Sarebbe a dire.

Ogni cosa a suo tempo.

Vedo i piedi sotto la porta. Vedo le ombre dei piedi.

Piedi e ombre di piedi. Proprio come nel mondo reale.

Che cosa stanno aspettando?

Chi lo sa? Magari non si sentono benaccetti.

Finora non si sono mai formalizzati.

Il Kid inarcò un sopracciglio tarmato. Ah no? disse.

No, disse lei. Tirandosi la coperta sulle spalle. Nessuno vi ha invitati. Vi siete presentati e basta.

Okay, disse il Kid. C’è qualcuno in corridoio, giusto? Be’, diamo un’occhiata.

Scivolò fino alla porta con un lungo glissé, si fermò e si tirò su la manica e afferrò la maniglia con la pinna. Pronta? gridò. Aprí la porta. Il corridoio era deserto. Si voltò a guardarla da sopra la spalla. A quanto pare hanno tagliato la corda. A meno che – come dire – non fosse la tua immaginazione.

So che erano lí. Riconosco l’odore. Riconosco il profumo della signorina Vivian. E senz’altro l’odore di Grogan.

Ah sí? Magari è solo qualcuno che cucina cavoli in fondo al corridoio. Nient’altro? Solfato di rame? Zolfo?

Sbatté la porta. All’esterno la combriccola fu subito di ritorno. Scalpiccii e colpi di tosse. Il Kid si strofinò le pinne. Come per scaldarsele. Bene. Dov’ero rimasto? Forse dovremmo aggiornarti su alcuni progetti. Magari se vedi qualcuno dei progressi che abbiamo fatto ti stabilizzi un filo.

Stabilizzarmi?

Abbiamo fatto passare la roba che abbiamo avuto da te e per il momento sembra buona.

Quale roba avete avuto da me? Da me non avete avuto niente.

See, come no. Stiamo ancora a cento leptoni la dracma e va bene cosí, nel senso che non è del tutto sbagliato ma speriamo che gran parte di questa roba classica se ne vada con il lavaggio e cosí possiamo tornare alla rinorma. Ogni volta che ci punti la luce la merda che vedi è differente. Tu ti limiti a differenziare, nient’altro. Su questa scala ovviamente niente ombre. Ci sono questi interstizi bui che ti ritrovi a guardare. Sappiamo che i continuum in realtà non continuano. Che non c’è linearità, Lina. Per quanto lo si riduca a fiamma viva si arriverà sempre alla periodicità. A questo livello ovviamente la luce non sottenderà. Non passerà da una sponda all’altra, per cosí dire. Quindi cos’è che sta nel mezzo con cui vorresti pasticciare ma che non puoi vedere per via delle difficoltà summenzionate? Boh. Come dici? Non è granché di aiuto? Come mai questo e come mai quello? Non lo so. Com’è che le pecore non si restringono sotto la pioggia? Qui lavoriamo senza rete. Se non c’è spazio non si può estrapolare. Dove vai a parare? Butti fuori roba ma quando la recuperi non sai dove sia stata. Bene. Non è il caso di prendersela. Devi solo darci dentro e fare qualche calcolo perdio. È qui che entri in gioco tu. La roba che hai qui sarà anche solo virtuale o forse no ma le regole dovrà pur contenerle, se no mi dici dove cazzo stanno le regole? E naturalmente è proprio questo che cerchiamo, Alice. Le sempre-siano-benedette regole. Metti tutto in un barattolo e poi etichetti il barattolo e da lí ti muovi à la Gödel, Church e compagnia e nel frattempo la roba reale che con ogni probabilità è un qualche substrato del substrato si leva dal cazzo nel tempo a venire a velocità deformabili a condizione che quanto è privo di massa non presenti variazioni di volume né niente e dunque niente forma e quello che non si può appiattire non si può gonfiare e viceversa nella miglior tradizione commutativa e a questo punto siamo per cosí dire bloccati. Giusto?

Non sai quello che dici. Stai farneticando.

Ah sí? Be’ ricordati chi è che ha la mano sulla porta Nand, cocca. Perché qui non c’entrano né il corruttore di minori né il piccoletto in tunica da druido. Se capisci cosa intendo. Aspetta. Mi chiamano. Si frugò nelle tasche e cacciò fuori un telefono gigante e se lo incollò al piccolo orecchio grinzoso. Taglia, Triglia. Siamo in riunione. Già. Semiostile. Esatto. Base Due. Qui siamo alla canna del gas. No. No. Vacche magre. Due torti non fanno una legione. Sono un branco di simpatici cazzoni e diglielo pure. Richiamami.

Mise giú e ricacciò dentro l’antenna con l’inforcatura della pinna e si rificcò il telefono sotto le vesti e la guardò. C’è sempre qualcuno che crolla dal pero.

Che casca.

Esatto. Torniamo ai nostri grafici. So cosa stai pensando. Ma ogni tanto semplicemente bisogna optare per l’equivalenza. Stendi lo stronzo con un montecarlo e fine della storia. Nel bene e nel male. Ché altrimenti qui si fa Natale.

È già Natale. Quasi

Sí, be’. Quel che è. Dov’ero rimasto?

Cambia qualcosa?

Il tuo dispositivo di laboratorio imprescindibile sarà il servomeccanismo. Schiavo e padrone. Collega un pantografo. Metti la punta sul dilemma e ruota. Conta fino a quattro. Seno co’ seno. Ripeti l’operazione finché appare la lemniscata.

Il Kid fece qualche sonoro passo di tip-tap e un’altra lunga scivolata sul linoleum e si fermò e riprese il suo andirivieni. Partiranno alla caccia del grande Kahuna. Una bottarella nella savanna, Hannah. Nella mischia anche un sacco di squinzie, nonostante le lagnanze delle scienziate in gonnella. Ho mandato i miei in perlustrazione. C’è Madam Curry. C’è Pamela Dirac.

C’è chi?

Per non parlare di altre per ora senza nome. Per la miseria, su con la vita! Devi uscire di piú. Com’è che dicevi? Alla matematica segue la sciatica? Senti qua. Intermezzo comico. Okay? Se l’hai già sentita fermami. Topolino chiede il divorzio, il giudice guarda giú e gli dice: Se capisco bene il motivo del contendere è che lei avrebbe sorpreso sua moglie Minnie che ramazzava in ogni angolo della casa. È cosí? E Topolino dice: No, vostro onore, non è quello che ho detto. Io ho detto che l’ho beccata a scopare lí e là.

Il Kid camminò per la stanza pestando i piedi e tenendosi la pancia e sganasciandosi dal ridere.

Capisci sempre tutto storto. Cosa ridi?

Uah, boccheggiò lui. Cosa?

Capisci sempre tutto storto. È qui e qua. Non lí e là.

E cosa cambia?

L’ha beccata a scoparsi Qui e Qua. Ma figuriamoci se ci arrivi.

Sí, be’. Siamo arrivati a te. Comunque il punto è che tu hai bisogno di darti una scrollata. Cosa credi? Che all’ultimo il piccolo Bobby Shafto della canzoncina tornerà tra i vivi e verrà a soccorrerti? Con le fibbie d’argento alle scarpe o come cazzo era? È fuori dal giro, Gina. Da quando si è intronato la testa col bolide.

Lei distolse lo sguardo. Il Kid si schermò gli occhi con una pinna. Be’, disse. Ora sí che mi ascolta.

Tu non sai di cosa parli.

Ah no? Da quant’è che ronfa? Un paio di mesi?

È ancora vivo.

È ancora vivo. Oh, be’, al diavolo. Se è ancora vivo fanculo. Perché non la finisci? Sappiamo entrambi per quale motivo non sei lí al capezzale del caduto. Dico bene? Cos’è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?

Io vado a dormire.

È perché non abbiamo idea di cosa si risveglierà. Se mai si risveglia. Sappiamo entrambi quante probabilità ci sono che ne esca mentis intactus, e da ragazza cazzuta quale sei non ti ci vedo altrettanto infatuata delle vestigia che ancora potrebbero annidarsi dietro quell’occhio vitreo e quel labbro sbavante. Insomma, al diavolo. Non si sa mai cos’ha in serbo il destino, dico bene? Probabilmente sareste riatterrati a Frattagliopoli. Tutti e due. A mangiare lardo e armonie di mais o qualsiasi cazzo di roba mangino laggiú nella terra dei figli di buonadonna. Non è proprio come bazzicare l’Europa con l’autista ma se non altro è tranquillo.


Non succederà.


Lo so che non succederà.


Bene.


Quindi qual è la prossima tappa?


Ti scriverò una cartolina.


Non l’hai mai fatto.


Stavolta sarà diverso.


Non ne dubito. Hai intenzione di chiamare tua nonna?


Per dirle cosa?


Non so. Qualcosa. Gesú, Gelsomina. C’è ancora molto da fare, sai.


Può darsi. Ma non per me.


E che mi dici del cancello della notte e del covo degli ineffabili? Non hai paura di quelli?


Correrò il rischio. Immagino che quando farò scattare il salvavita diventerà tutto nero e via.


Ci siamo davvero scomodati per te sai.


Mi spiace.


E se ti dicessi cose che non sono tenuto a dirti?


Non mi interessano.


Cose che ti farebbe un gran piacere sapere.


Tu non sai niente. Racconti storie.


Già. Ma alcune sono niente male.


Alcune.


Che ne dici di questa: Tutto bianco, nero e rosso, cos’è?


Non ne ho la piú pallida idea.


Trockij in smoking.


Bella.


Okay. E quest’altra. Un contadino trova due cacopsylla mali nel suo frutteto.


Me l’hai già raccontata.


Io mai.


Sceglie il male minore.


Già. Vabbè. Senti. Sto montando qualche nuovo numero. Ho preparato una carrellata di vecchio materiale degli Chautauqua1. I classici ti sono sempre piaciuti. Qualche rattoppo ai costumi. Un paio di settimane di prove.


Buonanotte.


Ho anche una pista per qualche altro otto millimetri. Perfino una scatola da scarpe piena di scatti degli anni Quaranta. Roba di Los Alamos. E delle lettere.


Che lettere?


Lettere ai parenti. Lettere di tua madre.


Scemenze. Le lettere le hanno rubate tutte.


Ah sí? Può darsi. Cosa intendi fare?


Dormire.


Ma sul lungo periodo dico.


Appunto.


Giusto. Lasci il meglio per ultimo. Certo.


Non te la prendere.


Figurati. Lo sapevo dove si andava a parare. Chissà? Potrebbe farti piacere vedere come trascorrerai il tuo tempo. Il passato è il futuro. Chiudi gli occhi.


E se non volessi chiuderli?


Fallo per me.


Già, come no.


Va bene. Procediamo alla vecchia maniera. Va’ a sapere. Dovrebbe essere spassoso.


Si cavò un gran pezzo di seta da non si sa dove e lo lanciò per aria e riacchiappò e stirò e girò da una parte e dall’altra per farglielo vedere. Stese il braccio e lo agitò. Poi lo fece sparire. In una poltrona di vimini sedeva un vecchio con una polverosa marsina nera. Pantaloni a righe e panciotto grigio. Scarpe di capretto nere e ghette di fustagno e bottoncini di perla. Il Kid fece un inchino e indietreggiò e lo squadrò dalla testa ai piedi. Be’. Da dove l’abbiamo tirato fuori, eh? Eheheh.


Diede all’uomo una pacca sulla schiena sollevando una nuvola di polvere. Il vecchio si chinò in avanti tossendo. Il Kid si scostò e scacciò la polvere con la pinna. Gesú. Questo è da un po’ che non vede la luce del giorno, vero? Allora, nonno, che te ne pare del mondo? Un parere esterno ci potrebbe tornare utile.


Il vecchio alzò la testa e si guardò intorno. Occhi smorti e infossati. Si sistemò il foulard strattonando il nodo verso l’alto e strizzò gli occhi e scrutò.


Quel completo è un classico, eh? disse il Kid. Non proprio il massimo per i terreni umidi. Ci si è sposato in quei vestiti. Una mogliettina sedicenne. Naturalmente se la trombava già da un paio d’anni per cui allora ne aveva quattordici. Alla fine è riuscito a ingravidarla e voilà, eccoci qua. Il maiale era piú vecchio di suo padre. Insomma, le campane hanno comunque suonato sommariamente a nozze. Il milleottocentonovantasette mi pare che fosse. Una cosa formale. Matrimonio riparatore. E questo è quanto, piú o meno. Pensavo che magari il vecchio coglione avrebbe avuto qualcosa da dire ma sembra piuttosto confuso. Sbaglio o pende vagamente a dritta?


Il Kid raddrizzò il vecchio nella sua poltrona e indietreggiò e chiuse un occhio per valutarne la verticalità. Reggendo una pinna come un remo e strizzando gli occhi. Forse potremmo usare una livella, che dici? Eheheh. Vabbè, al diavolo. Non è proprio tutto questo spasso. Però un attimo. Sono i denti. È sdentato, cazzo.


Il vecchio aveva aperto la bocca incartapecorita e si stava cavando dalle guance batuffoli di cotone macchiato per poi ficcarseli nella tasca della giacca. Si schiarí la voce e si guardò intorno desolato.


E adesso cosa fa? disse il Kid. Qualcosa nel taschino del panciotto. Cos’è, l’orologio? Gesú. Vorrà mica ricaricarlo? Che fa lo ascolta? Cazzo non può funzionare. Infatti. Lo sta scrollando. Bell’orologio tra l’altro. A cipolla. Scappamento a riposo scommetto. Bravo. Dagli una scrollata. No. Niente da fare.


Il vecchio sbatté le gengive. Sta’ a vedere, disse il Kid. Ci siamo. Notizie dall’altrocoso. Manco uno straccio di ringraziamento per il culo che mi faccio per te.


Dove, rantolò il vecchio, dov’è il bagno?


Il Kid si raddrizzò. E che cazzo. Dov’è il bagno? Sul serio? Sono una testa di minchia. Che ne dici di portare il tuo lurido culo fuori da qui? Dov’è il bagno? Cristo di un Dio. È in fondo al cazzo di corridoio. Vedi di levarti dai coglioni.


Il vecchio si alzò dalla poltrona e ciondolò verso la porta. Sul pavimento alle sue spalle si posò una polvere sottile. Dai vestiti gli cascarono certe bestioline che si precipitarono zampettando sotto il letto. Armeggiò con la maniglia e riuscí ad aprire la porta e sbirciò nel corridoio e sparí. Cristo, disse il Kid. Andò alla porta e la sbatté e si voltò e ci si appoggiò. Scosse la testa. Vabbè. E adesso? Pessima idea, eh? Fanculo. Alcuni si perdono per strada. Perché non ne facciamo entrare un paio della vecchia gang. Magari ci tirano un po’ su.


Non voglio far entrare nessuno. Vado a dormire.


L’hai già detto.


Bene. Sta’ a vedere.


Senti, cocchina, non vorrei insistere ma tu qui stai premendo l’acceleratore per un beneamato cazzo.


E tu sei qui per darmi il tormento.


Stai bene? Niente febbre? Vuoi un bicchier d’acqua?


Lei si raggomitolò nel letto e si tirò su le coperte. Spegni la luce quando te ne vai.


Il Kid iniziò a fare su e giú. Il tuo nome non è uscito dal cilindro, sai. Ma chi lo sa cosa sai e cosa no. Io sono qui per lavorare. Sono un operatore? E va bene, sono un operatore. E forse qualcuno sa cosa ci aspetta ma non il sottoscritto. Eddai. Come faccio a parlarti se hai la testa sotto quelle fottute coperte. Non saluti nemmeno?


Lei spinse via le coperte. Apri la porta e farò un cenno con la mano.


Il Kid andò alla porta e l’aprí. C’erano tutti. Allungavano l’occhio, facevano cenni di saluto, alcuni sulle punte dei piedi. Addio, gridò lei. Addio. Il Kid li invitò ad andarsene con un gesto della mano. Come una suora con gli scolari. Richiuse la porta. Okay, disse.


Abbiamo finito?


Non lo so, teso’. Non mi rendi le cose facili. Non ti seguirò alla neuro sai.


Bene.


Un’alta concentrazione di squinternati acquisisce inevitabili poteri. Ha un effetto destabilizzante. Fatti un periodo in manicomio e vedrai.


Lo so. L’ho fatto. Ho visto.


Scelta è il nome che dai a quello che ti hanno dato.


Smettila di citarmi.


Non mi vuoi parlare.


No.


Proprio per niente? Neanche un consiglio in extremis per i vivi?


Sí. Meglio di no.


Gesú. Sei di marmo.


Facciamo che spegniamo le luci e per questa vita la chiudiamo qui.


Ci mancherai.


E tu ti mancherai?


Saremo nei paraggi. C’è sempre qualcosa da fare.


Aveva l’aria un po’ ammosciata lí in piedi, ma si riscosse. Okay, disse. Se quest’è quest’è. Prendo atto.


Si ripiegò una pinna sul pancino e fece una specie di inchino e sparí. Lei si tirò le coperte sulla testa. Poi sentí la porta riaprirsi. Quando guardò il Kid era entrato di nuovo e andò in silenzio al centro della stanza e sollevò per una traversa la sedia impagliata e se la mise in spalla e girò i tacchi e uscí chiudendosi dietro la porta.


Dormí e nel sonno sognò che rincorreva un treno con suo fratello, correvano lungo la pista di brecciame e la mattina lo mise nella lettera. Rincorrevamo il treno Bobby e il treno si allontanava da noi nella notte e le luci svanivano nel buio e noi barcollavamo lungo i binari e io volevo fermarmi ma tu mi prendevi per mano e nel sogno sapevamo che non dovevamo perderlo di vista o l’avremmo perso. Che seguire i binari non sarebbe bastato. Ci tenevamo per mano e correvamo e poi mi sono svegliata ed era giorno.


1. Lo Chautauqua è stato un movimento per l’educazione e la socializzazione degli adulti negli Stati Uniti, molto popolare tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo. I raduni Chautauqua si sono diffusi in tutta l’America rurale fino alla metà degli anni Venti del Novecento. Lo Chautauqua ha portato intrattenimento e cultura all’intera comunità, con relatori, insegnanti, musicisti, showmen, predicatori ed esperti dell’epoca.


Sedeva avvolto in una delle coperte di salvataggio grigie contenute nella borsa di pronto soccorso e beveva tè bollente. Intorno sciabordava il mare scuro. L’imbarcazione della guardia costiera che si era fermata a un centinaio di metri da lí oscillava sulle onde con le luci di navigazione accese mentre quindici chilometri piú a nord si potevano scorgere le luci dei camion lungo la strada rialzata, in provenienza da New Orleans e diretti a est lungo la US 90 verso Pass Christian, Biloxi, Mobile. Il mangianastri diffondeva il concerto per violino e orchestra n. 2 di Mozart. La temperatura dell’aria era di sette gradi ed erano le tre e diciassette del mattino.


L’operatore di superficie era appoggiato sui gomiti con le cuffie sulle orecchie e osservava le acque scure sotto di loro. A tratti il mare si accendeva di una debole luce sulfurea dove a dodici metri di profondità Oiler lavorava con il cannello. Western osservava l’operatore e soffiava sul tè sorseggiandolo e guardava le luci muoversi lungo la strada rialzata con la lenta motilità cellulare delle gocce d’acqua su un cavo. Lampeggiare flebilmente passando dietro le colonne di cemento. Un vento di mare soffiava dalla punta occidentale di Cat Island e l’acqua era leggermente increspata. Odore di petrolio e l’intenso fetore fluttuante delle mangrovie e della salicornia dalle isole. L’operatore si scosse e si tolse le cuffie e iniziò a rovistare nella cassetta degli attrezzi.


Come procede?


Procede.


Cosa vuole?


Il tronchese diagonale.


Infilò un moschettone in un paio di cesoie e agganciò il moschettone al cavo di sicurezza e osservò le cesoie scivolare nel mare. Guardò Western.


Fino a che profondità si può usare l’acetilene?


Nove, dieci metri.


Dopodiché si va di ossiarco.


Esatto.


L’operatore annuí e si rimise le cuffie.


Western bevve l’ultimo sorso di tè e scrollò fuori i residui e ripose la tazza nella borsa e si allungò a prendere le pinne e se le infilò. Si fece scivolar via la coperta dalle spalle e si alzò e chiuse la lampo della muta e si piegò a prendere le bombole e le sollevò per le cinghie e se le infilò. Allacciò le cinghie e infilò la maschera.


L’operatore spostò le cuffie dalle orecchie. Ti spiace se cambio stazione?


Western sollevò la maschera. È una cassetta.


Ti spiace se cambio cassetta?


No.


L’operatore di superficie scosse la testa. Trasportarci qua fuori in elicottero con questo freddo porco all’una del mattino. Che fretta c’era io non lo so.


Sarebbe a dire che sono tutti morti.


Già.


E tu come lo sai?


Semplice buonsenso.


Western guardò la motovedetta della guardia costiera in lontananza. La sagoma delle luci spezzata dall’increspatura dell’acqua scura. Guardò l’operatore. Buonsenso, disse. Giusto.


Si infilò i guanti. Il fascio di luce bianca del faro di profondità corse sull’acqua e tornò indietro e si spense. Si infilò la cintura e l’allacciò e si sistemò il regolatore in bocca e abbassò la maschera ed entrò in acqua.


Una lenta discesa nell’oscurità verso il bagliore intermittente del cannello là sotto. Raggiunse lo stabilizzatore e atterrò sulla carlinga e si voltò e la costeggiò nuotando lentamente, scorrendo la mano guantata sull’alluminio liscio. Le capocchie dei rivetti. Il cannello avvampò di nuovo. La sagoma della carlinga che andava sparendo nell’oscurità. Si spinse oltre le massicce gondole che contenevano i turboreattori e si lasciò scivolare lungo la fiancata della carlinga e dentro la pozza di luce.


Oiler aveva tagliato i congegni di chiusura e la porta era aperta. Lui era accovacciato contro la paratia all’entrata dell’aereo. Gli fece un cenno del capo e Western si accostò alla porta e Oiler diresse il fascio di luce lungo il corridoio del velivolo. Le persone sedute ai loro posti, le loro chiome fluttuanti. Le bocche aperte, gli occhi svuotati di ogni intendimento. Il cesto con gli attrezzi era posato sul pavimento accanto alla porta e Western si allungò a prendere l’altra torcia e si issò nell’aereo.


Si fece lentamente strada lungo il corridoio sopra i sedili, con le bombole che scivolavano sopra di lui. Le facce dei morti a pochi centimetri. Tutto ciò che poteva galleggiare era contro il soffitto. Penne, cuscini, tazzine di polistirolo. Fogli di carta con l’inchiostro che colando formava geroglifici. Una claustrofobia attanagliante. Si girò con una capriola e tornò indietro.


Oiler stava nuotando con la sua torcia lungo l’esterno della carlinga. Nello spazio vuoto fra i doppi vetri la luce formava una corolla. Western proseguí e si spinse nella cabina di pilotaggio.


Il copilota era ancora al suo posto con la cintura allacciata ma il pilota volteggiava contro il soffitto con le braccia e le gambe penzoloni come un’enorme marionetta. Western puntò il fascio di luce sulla strumentazione. Le due manette della cloche sul quadro di controllo erano abbassate su off. Gli indicatori erano analogici e quando l’acqua marina aveva fatto saltare i circuiti erano tornati in posizione neutra. Uno dei quadri della strumentazione era stato rimosso e al suo posto c’era uno spazio vuoto. Restavano i buchi delle sei viti che lo fissavano al quadro di comando e tre spinotti penzolanti dove i cavetti di raccordo erano stati scollegati. Western bloccò le ginocchia contro il retro dei sedili da una parte e dall’altra. Al polso del copilota, un ottimo orologio di acciaio inossidabile Heuer. Studiò i pannelli di controllo. Cosa manca? Altimetri Kollsman e indicatori di velocità verticale. Indicatore del carburante in libbre. Velocità dell’aria a zero. La strumentazione Collins invece no. Era il pannello con la strumentazione di volo. Uscí dalla cabina a marcia indietro. Sopra di lui, le bolle che fuoriuscivano dal regolatore si distribuivano lungo la volta del soffitto. Aveva cercato la borsa del pilota in ogni angolo possibile ed era abbastanza sicuro che non ci fosse. Si spinse fuori dalla porta e cercò Oiler con lo sguardo. Fluttuava sopra l’ala. Fece un movimento circolare con la mano e indicò verso l’alto e cominciò la risalita.


Presero posto sul piccolo ponte del gommone e si tolsero le maschere e sputarono il boccaglio del regolatore e si piegarono all’indietro e si liberarono delle bombole. Dal mangianastri arrivavano le note dei Creedence Clearwater. Western tirò fuori il thermos.


Che ore sono? chiese Oiler.


Le quattro e dodici.


Sputò e si asciugò il naso con il rovescio del polso. Si sporse oltre Western e chiuse le valvole delle bombole. Detesto le merde come questa, disse.


Cosa, i cadaveri?


Be’. Anche. Ma no. Le situazioni assurde. Che non riesci a decifrare.


Già.


Qua non ci sarà nessuno per un altro paio d’ore. Forse tre. Cosa vuoi fare?


Cosa voglio fare o cosa penso che dovremmo fare?


Non lo so. Tu come la vedi?


Boh.


Oiler si sfilò i guanti e aprí la sua borsa da sub e tirò fuori il thermos. Tolse la tazza di plastica dalla bottiglia e svitò il tappo e si riempí la tazza e ci soffiò sopra. L’operatore stava tirando su il cavo di sicurezza e il cesto.


Manco si riesce a vederlo quel fottuto aereo. E vuoi che l’abbia trovato un pescatore? Stronzate.


Non credi che le luci potrebbero essere rimaste accese per un po’?


No.


Forse hai ragione.


Oiler si asciugò le mani in un telo che aveva nella borsa e tirò fuori l’accendino e le sigarette e ne aspirò una dal pacchetto e se l’accese e rimase a guardare l’acqua nera e sciabordante. Sono tutti lí seduti ai loro posti? Che cazzo mi significa?


Direi che quando l’aereo è affondato dovevano essere già morti.


Oiler fece un tiro e scosse la testa. Già. E niente chiazze di carburante.


Manca un pannello nella strumentazione. E la borsa del pilota.


Ah sí?


Sai cosa vuol dire, vero?


No. Tu lo sai?


Alieni.


Vaffanculo Western.


Western sorrise.


Che autonomia credi che abbiano quegli affari?


I JetStar?


Sí.


Probabilmente qualcosa come tremila chilometri. Perché?


Perché bisogna chiedersi da dove veniva.


Già. Cos’altro?


Credo che siano là sotto da qualche giorno.


Cazzo.


Non hanno l’aria granché bentenuta. Quanto impiega un corpo a risalire?


Non lo so. Due o tre giorni. Dipende dalla temperatura dell’acqua. Quanti sono?


Sette. Piú il pilota e il copilota. Nove in tutto.


Cosa pensi di fare?


Andare a casa e andare a letto.


Oiler soffiò sulla tazza e bevve un sorso di caffè. Già, disse.


L’operatore di superficie si chiamava Campbell. Studiò Western e guardò Oiler. Dev’essere una bella merda là sotto, disse. Non vi preoccupa?


Vuoi scendere a dare un’occhiata?


No.


Diamine. Ti assisto io. Western scenderà con te se vuoi.


Tu mi prendi per il culo.


Non ti prendo per il culo.


Be’. Non ci penso proprio.


Lo so che non ci pensi proprio. Ma se non hai visto quello che abbiamo visto noi forse prima di dirci cosa ne dovremmo pensare dovresti contare fino a dieci.


Campbell guardò Western. Western inclinò le foglie di tè nella tazza. Diamine, Oiler. Diceva per dire.


Scusate. Il punto è che non riesco a concepire come quell’aereo sia finito là sotto. E ogni volta che penso a tutto quello che non torna la lista si allunga.


Sono d’accordo.


Forse il buon dottor Western qui presente saprà illuminarci.


Western scosse la testa. Il buon dottor Western brancola nel buio.


Non so nemmeno cosa ci stiamo a fare, qui.


Lo so. Non c’è niente che quadra in questa storia.


Insomma quanto abbiamo, due ore prima dell’alba?


Già. Forse un’ora e mezza.


Io non li tiro su.


Io nemmeno.


Superstiti. Che cazzo dicono?


Rimasero seduti lí con le facce offuscate dalla lampada, il gommone che si sollevava e inclinava tra i flutti. Oiler allungò il thermos. Vuoi un po’, Gary?


Sono a posto.


Dài. È caldo.


Va bene.


Io di guasti non ne ho visti.


Già. Sembrava fresco di fabbrica.


Chi li costruisce? I come si chiamano, JetStar?


JetStar, esatto. La Lockheed.


Be’. Gran bell’aereo. Quattro reattori? A che velocità può arrivare Bobby?


Western scrollò via le foglie e avvitò il tappo sul thermos. Credo arrivi a mille chilometri orari.


Alla faccia.


Oiler fece un ultimo tiro e lanciò la cicca nel buio. Cadaveri tu non ne hai mai recuperati, o sbaglio?


No. Mi sono detto che quello che tu non volevi fare probabilmente non piaceva manco a me.


Si recuperano con una fune e un’imbracatura ma prima bisogna tirarli fuori dall’aereo. E quelli cercano continuamente di metterti le braccia addosso. Una volta ne abbiamo tirati fuori cinquantatre da un Douglas di linea al largo della Florida e mi è bastato. Era prima che andassi a lavorare per la Taylor. Erano rimasti là sotto alcuni giorni e quell’acqua fidati che era meglio non ritrovarsela in bocca. Erano tutti gonfi dentro i vestiti e bisognava tagliare le cinture di sicurezza. Neanche il tempo di liberarli che quelli iniziavano a sollevarsi con le braccia spalancate. Tipo palloncini.


Questi non sembrano colletti bianchi.


Ah no? Sono in giacca e cravatta.


Lo so. Ma non quelle giacche e quelle cravatte. E le scarpe hanno l’aria di essere europee.


Boh. Non saprei. Non metto un paio di scarpe normali da dieci anni.


Cosa vuoi fare?


Schiodare da qui cazzo. Abbiamo bisogno di una doccia.


Va bene.


Che ore sono?


Le quattro e ventisei.


Il tempo vola quando ci si diverte.


Al ritorno possiamo darci una sciacquata sul molo. Lavare le mute.


Io mi sa che prendo il largo, Bobby. Sicuro qui non torno.


Va bene.


Tu credi che là sotto c’è già stato qualcuno, vero?


Non lo so.


Già. Però non è una risposta. Come ci sarebbero entrati nell’aereo? Avrebbero dovuto andare di cannello come abbiamo fatto noi.


Magari qualcuno gli ha aperto la porta.


Oiler scosse la testa. Accidenti, Western. Non so manco perché sto qua a parlarti. Sai solo farmi cacare sotto. Gary, che dici, mettiamo in moto?


Subito.


Western ficcò il thermos nella borsa da sub. Quindi? disse.


Quindi te lo dico io. Ho idea che il desiderio di rimanere totalmente all’oscuro di una merda che mi procurerà solo guai in me sia profondo e tenace. Direi che è quasi una religione cazzo.


Gary si era spostato in fondo al gommone. Western e Oiler levarono le due ancore e con un piede sullo specchio di poppa Gary tirò il cavo di avviamento. Il grosso fuoribordo Johnson si accese immediatamente e partirono borbottando. Quando furono a una buona distanza dal galleggiante arancione Gary diede gas e solcarono le acque scure verso Pass Christian.


Una vecchia goletta scendeva sul fiume con le vele ammainate. Scafo nero, occhio di Plimsoll d’oro. Passò sotto il ponte e proseguí costeggiando il lungofiume grigio. Fantasma di grazia. Superò il deposito e la banchina, le alte gru a portale. I cargo liberiani arrugginiti ormeggiati davanti ai docks di Algiers. Sulla passeggiata alcune persone si erano fermate a guardare. Una cosa uscita da un altro tempo. Attraversò i binari e risalí Decatur Street fino a St Louis e poi su per Chartres Street. Al Napoleon House la solita cricca lo chiamò dai tavolini all’esterno davanti alla porta. Vecchi amici da un’altra vita. Quante storie cominciano cosí?


Ehi ’ser Western, esclamò Long John. Di ritorno dai neri abissi, eh? Unisciti a noi per una libagione. Il sole ha passato lo zenit ed è ora di bagnarsi l’ugola, se l’occhio non mi gioca un brutto tiro.


Western tirò a sé una sediolina di legno centinato e posò la sua borsa verde sulle piastrelle. Bianca Pharaoh si sporse e sorrise. Cos’hai di bello in quella borsa, stella?


È in partenza per un viaggio, disse Darling Dave.


Sciocchezze. Il nostro messere qui non ci abbandona. Cameriere.


È solo la mia attrezzatura.


È solo la sua attrezzatura, disse Brat alla tavolata.


Count Seals si voltò pigramente. È la sua attrezzatura da sub, disse. Fa il sommozzatore.


Ooh, fece Bianca. Mi piace un sacco. Fammici guardare dentro. Niente di sconveniente?


Il ragazzo va a lavorare vestito di gomma, cosa ti aspetti? Giovanotto, senta. Un boccale della piú forte che avete per il mio amico.


Il cameriere si allontanò. I turisti transitavano sulla passeggiata. Stralci di conversazioni vuote rimanevano sospesi nell’aria come frammenti di codice. Sotto i piedi, il tonfo lento e cadenzato di un battipalo da qualche parte sul lungofiume. Western soppesò il suo ospite. Che mi racconti, John?


Sto bene, ’sere. Sono stato via per un po’. Un piccolo dissapore con le autorità a proposito della validità di certe prescrizioni mediche.


Raccontò sbrigativamente le sue avventure. Blocchi di prescrizioni falsificate presso una tipografia di Morristown Tennessee. Medici veri, ma recapiti telefonici sostituiti con numeri di telefoni pubblici dei parcheggi di supermercati. Amica a pochi metri in un’auto posteggiata. Sí. Esattamente. Sua madre è una malata terminale. Sí. Dilaudids. Centosedici. Tre settimane cosí nelle cittadine degli Appalachi meridionali e poi armi e bagagli e ritorno in una stanza dell’Hilltop Motel su Kingston Pike a Knoxville. Stanza pagata con una carta di credito rubata. In attesa del contatto. Mezza scatola da scarpe di oppioidi Protocollo II con un valore di mercato superiore ai centomila dollari. Si era sbarazzato dei vestiti e faceva su e giú nudo nella calura tranne che per un paio di stivali di struzzo e un Borsalino nero a tesa larga. Fumando l’ultimo Montecristo. Si erano fatte le cinque. Poi le sei. Alla fine avevano bussato alla porta. L’aveva aperta di scatto. Dove diavolo eravate finiti tutti? aveva detto. Ma sotto il naso aveva la canna di una calibro 38 d’ordinanza e accanto in secondo piano un rincalzo armato di fucile a pompa. L’agente del Tbi esibiva il distintivo. Gli occhi alzati su questo improbabile malavitoso completamente nudo. Vecchio mio, disse, siamo arrivati prima che abbiamo potuto.


Sei fuori su cauzione, disse Western.


Sí.


Ma non c’è il divieto di lasciare lo stato?


Tecnicamente sí. In ogni caso sono qui solo per qualche giorno. Se ti può rasserenare. La vecchia città iniziava a darmi sui nervi. Quando finalmente mi hanno tirato fuori sono andato a casa e ho fatto una doccia e mi sono cambiato e stavo scendendo per Jackson Avenue con l’intenzione di scroccare un drink quando mi sono imbattuto in una vecchia amica. Ma dài, dice, sei tu, John? È un secolo che non ti vedo. Dov’eri finito? E io: Ero al bagno penale, mia cara. E lei: Sul serio? Io non la sopporto tutta quell’umidità. E io mi sono detto: È proprio ora di cambiare aria.


Western sorrise. Il cameriere arrivò con la birra e la posò sul tavolo e ripartí. Il lungo levò il bicchiere. Salud. Bevvero. Brat era in riunione con Darling Dave. Gli serviva un consulto. Nel sogno, stava dicendo, entravo da una finestra e tramortivo questa vecchia nel suo letto a colpi di batticarne. Aveva quei motivi a cialda sulla testa.


Dave spazzò via qualcosa di invisibile dalla tovaglia. Stai chiedendo aiuto, disse.


Cosa?


Potrebbe essere che al tuo corpo manca qualcosa di cui ha bisogno.


È sempre questione di libertà, disse Bianca. Scrollarsi di dosso tutta quella roba. Come un genitore che muore.


Seals si animò. Un amante degli uccelli, Seals. Nel suo bagno minacciosi rapaci incappucciati come boia si spostavano arcigni sui loro posatoi. Un falco sacro, un lanario.


Un astore hai detto? fece lui.


Bianca sorrise e gli diede qualche buffetto sul ginocchio. Ti adoro, disse.


Tra loro parecchi cercavano un impiego. John gesticolò col bicchiere. Brat era a tanto cosí dal concludere, disse. Ma all’ultimo ovviamente è andato tutto a ramengo.


Me lo sono giocato, disse Brat. Non so cosa mi è preso. Il beota non la finiva piú di menarla con la loro politica su questo e quell’altro. Finché ha detto: E ancora una cosa. Qui non stiamo a guardare l’orologio. E io ho detto be’ non so dirle quanto mi faccia piacere sentirglielo dire. Ho da sempre la cattiva abitudine di arrivare un’ora in ritardo praticamente in tutto.


E lui cos’ha detto?


Si è zittito. È rimasto lí un attimo e poi si è alzato ed è uscito. Ed eravamo nel suo ufficio. Dopo un po’ è entrata la segretaria e ha detto che il colloquio era finito. Le ho chiesto se avevo avuto il lavoro e ha detto che credeva di no. Aveva l’aria vagamente nervosa.


Hai trovato un altro posto dove stare?


Non ancora.


E le denunce per incendio doloso?


Le hanno ritirate. Hanno trovato qualcuno dei gatti.


Gatti?


Già. Gatti. Il problema è che l’incendio era partito in qualcosa come sei posti diversi per cui gli era sembrato sospetto, ma poi hanno iniziato a trovare i gatti. C’era solo da fare due piú due.


I gatti mi hanno rovesciato il diluente per vernici, disse Bianca. E hanno iniziato a rotolare in giro nella latta. Dopodiché sono corsi sotto la stufa e hanno preso fuoco. E a quel punto si sono messi a correre per il monolocale.


Gatti.


Gattini. Hai presente. Dei cuccioli. Ha allargato le mani per indicarne le dimensioni. Ho detto perché mai dovrei dare fuoco al mio appartamento? E comunque siamo solo in affitto, Cristo santo. Non ci si tira su niente cosí. Voglio dire, che i gatti fossero in fiamme avrebbe dovuto essere palese. Cosa credevano, che se ne erano stati lí ad aspettare che scoppiasse un incendio per potersi lanciare tra le fiamme? Evidentemente i gatti hanno preso fuoco e questo ha scatenato il resto. È che sono stupidi come la merda.


I gatti?


No, non i gatti. Quei fottuti assicuratori.


È stato abbastanza spassoso, disse Brat. Quando l’ufficiale giudiziario ha alzato la mano per farla giurare lei si è allungata a battergli il cinque. Mi sa che non avevano mai visto niente del genere.


Suppongo che la predisposizione genetica cambi a seconda della razza, disse John, in ogni caso sembrerebbe che le tendenze autoimmolatorie dei gatti siano un fattore noto dell’equazione felina. Come Asclepio, fra altri antichi, osservava nei suoi scritti.


Gesú, disse Seals.


Il che sembrerebbe contraddire Unamuno, però. Dico bene, ’sere? La sua massima secondo cui i gatti riflettono piú di quanto non piangano? Naturalmente stando a Rilke la loro stessa esistenza è del tutto ipotetica.


Dei gatti?


Dei gatti.


Western sorrise. Bevve. Una giornata fresca e soleggiata nella città antica. La delicata luce meridiana d’inizio inverno nelle strade.


Dov’è Willy V?


Ha piazzato il cavalletto a Jackson Square. Ovviamente spera di vendere le sue croste ai turisti. Lui e il suo segugio color di luna.


Quell’affare azzannerà il culo a qualche turista e lo spedirà in tribunale.


O in galera.


Long John aveva iniziato a scartare un grosso sigaro nero. Ne morsicò la punta e sputò e se lo fece rotolare sulla lingua e lo afferrò coi denti cercando i fiammiferi. Ho sognato di te, messere.


Sognato, dici.


Sí. Ho sognato che andavi in giro sul fondo del mare con le tue scarpe zavorrate. In cerca di Dio sa cosa nel buio di quelle profondità batipelagiche. Quando arrivavi sul ciglio della placca di Nazca c’erano delle fiamme che salivano dall’abisso. Il mare ribolliva. Nel sogno mi è parso che inciampassi nella bocca dell’inferno e ho pensato che avresti lanciato una corda agli amici che ti avevano preceduto. Ma non l’hai fatto.


Sfregò il cerino sotto il piano del tavolo e si accinse ad accendersi il sigaro.


Davvero sei un sommozzatore? chiese Bianca.


Non del tipo che hai in mente tu, dolcezza, disse Dave.


Lui incarna ogni genere di sommozzatore che ti possa venire in mente, disse Seals, cercando faticosamente di raddrizzarsi quel tanto e piazzando un pugno sul tavolo. Ogni fottuto genere.


Faccio recupero subacqueo, disse Western.


E cosa recuperi?


Qualunque cosa per cui ci ingaggino. Qualunque cosa sia andata persa.


Tesori?


No. È piú roba commerciale. Cargo.


Qual è la richiesta piú strana che ti abbiano mai fatto?


Intendi di natura extrasessuale?


Sapevo che mi stava simpatico.


Non lo so. Dovrei pensarci. Una volta dei tizi che conosco hanno tirato su una barcata di merda di pipistrello.


T’immagini? disse Seals. Merda di pipistrello.


E come ci sei finito in questo campo?


Lascia stare, cara, disse John. Non ti conviene. Sapere come in cuor suo speri di morire negli abissi per espiare i suoi peccati. E questo è solo l’inizio.


La faccenda si fa interessante.


Io ci andrei piano. Forse avrai notato che il nostro è un po’ reticente. È vero che fa lavori subacquei pericolosi per un lauto compenso, ma è anche vero che la profondità lo spaventa. Be’, dirai tu. Ha superato le sue paure. Manco per niente. S’inabissa in un’oscurità che è del tutto incapace di afferrare. Oscurità e un freddo paralizzante. Contrariamente a lui, parlare di lui non mi dispiace. Sono sicuro che ti piacerebbe sentire la parte su peccato ed espiazione. Come minimo quella. È un uomo affascinante. Le donne vogliono salvarlo. Ma ovviamente la cosa non lo tange. Che dici, ’sere? Ti ci ritrovi?


Continua pure a farneticare, Sheddan.


Non ho altro da aggiungere, credo. So cosa state pensando. Vedete in me un ego enorme, caotico, ingiustificato. Ma in tutta onestà non aspiro neanche lontanamente alle vette di autostima di cui il messere ha il dominio. E mi rendo conto che per certi versi ciò legittima addirittura il suo punto di vista. In fondo io sono solo un nemico della società, mentre lui è nemico di Dio.


Wow, disse Bianca. E rivolse a Western uno sguardo vorace. Cos’hai fatto?


Quando aspirò dal sigaro le guance magre di Sheddan si incavarono. Soffiò sulla tavolata una fragrante boccata di fumo e sorrise. Quello che il ’sere non ha mai capito è che il perdono ha un calendario. Per la vendetta invece non è mai troppo tardi.


Western finí la birra e posò il boccale sul tavolo. Devo andare, disse.


Resta, disse Sheddan. Ritiro tutto.


Ma figurati. Sai bene che apprezzo le tue chiacchiere.


Non sarai mica in partenza per una delle tue missioni oltreoceano?


No. Sono in partenza per il mondo dei sogni.


Dopo un turno dell’altro mondo, eh?


Direi che hai colto nel segno. Ci vediamo.


Si allungò a prendere la borsa e si alzò e salutò gli astanti con un cenno e si avviò su Bourbon Street con la borsa in spalla.


Mi piace il tuo amico, disse Bianca. Bel culo.


Fai un buco nell’acqua, mia cara.


Perché? È gay?


No. È innamorato.


Peccato.


Peggio ancora.


Cioè?


È innamorato di sua sorella.


Wow. È uno di quelli dei quartieri alti che sbarcano qui la domenica mattina?


No. È di Knoxville. Insomma, anche qui, peggio ancora. In realtà è di Wartburg. Wartburg Tennessee.


Wartburg Tennessee.


Esatto.


Ma non esiste.


Temo di sí. Dalle parti di Oak Ridge. Suo padre di lavoro progettava e fabbricava enormi bombe destinate a incenerire intere città di innocenti mentre dormivano nei loro letti. Ordigni abilmente concepiti e artigianali. Solo pezzi unici. Come le Bentley vintage. Quanto a Western, l’ho incontrato all’università. Be’, in realtà la prima volta che l’ho visto è stato al Club Fifty-Two sulla Asheville Highway. Era sul palco che suonava il mandolino con la band. Bluegrass. Non l’avevo mai incontrato ma lo conoscevo di nome. Era uno studente di matematica con una media del trenta. Qualcuno l’ha invitato al nostro tavolo e ci siamo messi a parlare. Gli ho citato Cioran e lui mi ha risposto citando Platone sullo stesso argomento. E aveva questa splendida sorella. Credo fosse quattordicenne. E lui se la portava dietro nei locali. Uscivano insieme cosí, alla luce del sole. E lei era addirittura piú sveglia di lui. E bella da impazzire. Una vera e propria sciagura. Poi lui ha vinto una borsa per il Caltech ed è andato a studiare fisica ma il dottorato non l’ha mai finito. Ha ereditato un gruzzolo ed è andato in Europa a fare le corse d’auto.


Guidava le auto da corsa?


Sí.


Quali?


Non lo so. Quei macinini con cui corrono laggiú. A Oak Ridge, quando andava al liceo, faceva dirt track all’Atomic Speedway. A quanto pare era piuttosto bravo.


È stato pilota di Formula 2, disse Dave. Era bravo, ma non abbastanza.


Sí. Be’. Ha una placca di metallo in testa, per quell’abbastanza. E una stecca di metallo in una gamba. Cose del genere. Zoppica leggermente. Ma potrebbe anche essere stato un semplice colpo di sfiga. Ho idea che fosse un ottimo pilota. Se non sai guidarli su quegli affari mica ti ci fan salire, puoi avere tutti i soldi che vuoi.


I soldi ce li ha ancora?


Ti aspettavo. No. Se li è sputtanati tutti.


E nel frattempo si scopa la sorella.


Ho ragione di crederlo.


Mi stupisce che tu non gliel’abbia mai chiesto.


Certo che gliel’ho chiesto.


E cos’ha detto?


Non l’ha presa bene. Ha negato, ovviamente. Secondo lui sono uno psicopatico e forse non ha torto. L’ultima parola ancora non c’è. Ma lui è il classico narcisista del genere cripto e, di nuovo, quel suo sorriso dimesso nasconde un ego grande quanto tutta Cleveland.


A me è sembrato estremamente a posto. Mi chiedevo addirittura com’era che questi lo conoscevano.


Il lungo la guardò. A posto? Non scherziamo.


Cos’altro ha fatto?


Cos’altro? Dio. Quello è un seduttore di prelati e un corruttore di magistrati. È un appicciaceri incallito e un gelignitarolo praticante, un matematico platonista e un molestatore di pennuti domestici. Principalmente di razza Dominique. Un chiavapolli, detto come va detto.


John?


Cosa.


Stai parlando di te.


Di me? Macché. Non farmi ridere. Forse un edredone. Una volta.


Un edredone?


La cosiddetta anatra sposa. Somateria mollissima, mi pare.


Gesú.


Un peccatuccio veniale rispetto agli scheletri nell’armadio del nostro. Sogni infestati di lagnanze avicole. Un sommovimento nel pollaio, un battibecco. Poi i conseguenti frullii d’ala, gli strilli. È una cosa che dà da pensare. Anche solo la lista delle sue incombenze quotidiane. Pulire pick-up. Chiamare madre. Chiavare polli. Mi sorprende che una donna di mondo come te si faccia cosí facilmente abbindolare.


Aspirò meditabondo dal suo sigaro. Scosse la testa quasi amareggiato. Comunque presumo che se queste umiliazioni li sottraggono in extremis al coltello del pollivendolo loro siano piú che disposti a sopportarle. E ovviamente si pone il quesito se sia giusto mangiarli, dopo. Su questo la legge islamica è piuttosto chiara, se non erro. Dice che per l’appunto sarebbe sbagliato. Ma il tuo vicino se li può mangiare. Sempre che l’idea gli sorrida. Sulla questione mi pare che la Chiesa occidentale non si esprima.


Tu mi prendi in giro.


Mai stato piú sincero.


Bianca sorrise. Sorseggiò il suo drink. Fammi capire, disse.


Dimmi.


È Knoxville che sforna fuori di testa o li attira soltanto?


Bella domanda. Natura o cultura. In realtà i piú suonati sembrano venire dal vicino entroterra. Ma la domanda è interessante. Fammici riflettere.


Insomma, a me sembra molto simpatico.


Lo è. Gli sono enormemente affezionato.


Però è innamorato di sua sorella.


Sí. È innamorato di sua sorella. Ma ovviamente è ancora peggio.


Bianca sfoderò il suo sorriso strano e si leccò il labbro superiore. Okay. È innamorato di sua sorella e…?


È innamorato di sua sorella e sua sorella è morta.


Dormí fino a sera e poi si alzò e fece una doccia e si vestí e uscí di casa. Scese St Philip Street fino al Seven Seas. Per strada c’era un’ambulanza parcheggiata con il motore acceso e due volanti della polizia lungo il marciapiede. Gente intorno.


Cos’è successo? chiese Western.


Qualcuno ha tirato le cuoia.


Cos’è successo? Jimmy?


È Lurch. Si è fatto fuori. Lo stanno portando giú.


Quando? Stanotte?


Non lo so. Erano un paio di giorni che non lo vedevamo.


Harold Harbenger guardava da sopra la spalla di Jimmy. Non lo vedevamo perché era morto. Perciò non si è fatto vivo.


Due paramedici stavano portando fuori la barella. Sollevarono le ruote sulla soglia e spinsero Lurch per strada. L’avevano coperto con una coperta grigia di salvataggio.


Eccolo che arriva e se ne va, disse Harold.


È là sotto, disse Jimmy. Sicuro come la morte.


Abbiamo sentito l’odore del gas. Stamattina era veramente forte.


Aveva messo dell’adesivo intorno a tutte le porte e le finestre.


E ficcato i calzini sotto la porta. Li vedevi spuntare in corridoio. È cosí che si è tradito.


E tu non hai pensato che fosse il caso di dare un’occhiata?


Si fotta. Vivi e lascia vivere, dico io.


Eccolo che se ne va, disse Harold.


Caricarono la barella sull’ambulanza e chiusero le porte. Western li guardò allontanarsi giú per la strada. Quando entrò nel bar un ispettore della polizia locale stava parlando con Josie.


Era tipo una persona tranquilla o cosa?


Tranquillo? Manco per idea.


Era un piantagrane?


Josie aspirò dalla sigaretta. Ci pensò su. Guardi, disse. Non sono una che parla male dei morti. Non sai mai dove potrebbero essere o con quali orecchie potrebbero ascoltarti. Mi segue? Quando gestisci un posto come questo c’è sempre qualcuno con cui tocca chiudere un occhio. Gente che tira l’alba a sbraitare ubriaca o che so io. Piú qualche altra cosa in cui preferisco non addentrarmi. Quello che posso dire è che non aveva mai fatto niente del genere prima.


L’ispettore se lo appuntò sul taccuino. Che lei sappia aveva qualche parente?


Non lo so. Sembra sempre che abbiano una sorella da qualche parte.


Western si fece servire una birra da Jan e si spostò in fondo al locale. Entrarono Red e Oiler e ordinarono due birre e lo raggiunsero. Vecchio Lurch, disse Oiler.


Chi l’avrebbe mai detto.


L’apparenza inganna.


Western annuí. Proprio cosí. Hai raccontato a Red del lavoretto di stamattina?


Come no.


Mi chiedo se non dovremmo tenercelo per noi.


Forse non è una cattiva idea.


Tu che dici, Bobby? Da quanto tempo era in acqua secondo te quell’aereo?


Non lo so. Parecchio. Almeno un paio di giorni.


Chi si occuperà del recupero?


Oiler scosse la testa. Non noi.


Con noi intendi quelli della Taylor.


Già. Lou dice che hanno spedito l’assegno via corriere.


Hanno chi?


Non so.


Ci sarà pur stato un nome, sull’assegno.


Non era un assegno. Era un vaglia.


Secondo te cosa c’è sotto?


Oiler scosse la testa.


Come potrebbero essere saliti a bordo?


Nessun’idea.


Insomma la scatola nera qualcuno deve averla. Il pilota non l’avrà buttata dal finestrino.


Non so cosa pensare. Non voglio proprio pensarci.


Western annuí. Che tu lo voglia o no, non è finita qui.


E perché mai?


Non credi che verranno a chiedercene conto?


Non lo so.


Sí che lo sai. Rifletti.


Uscí nel patio per andare in bagno. Quando tornò Red se n’era andato e Oiler si era seduto a un tavolino.


Dove andava cosí di fretta?


Oiler spinse indietro la sedia col piede. Posa le chiappe. Aveva un appuntamento.


Un appuntamento?


Cosí ha detto lui.


Un appuntamento.


Già. Gli ho chiesto se intendeva che doveva passare a prendere qualche mignotta di sua conoscenza per andare a farselo succhiare in un parcheggio da qualche parte. E sai cos’ha detto?


No. Cosa?


Ha detto sí. Un appuntamento.


Western prese la birra che Oiler gli aveva portato dal bancone. Scosse la testa. Gesú.


L’hai detto.


Devo farti una domanda.


Vai.


Voi state sempre a parlare del Nam. O forse del Vietnam, per i profani. Ma quando ci sono io vi zittite. È come quando entri in una stanza e tutti smettono di parlare.


Ti capita spesso, immagino.


Dico sul serio.


Cosa ci vuoi fare. Se non c’eri non c’eri. Non è che per questo sei una brutta persona.


Una volta Red mi ha detto che hai vinto un sacco di medaglie.


Vinto.


Non è la parola giusta.


Non conosco nessuno che si sia fatto il Nam e che abbia vinto qualcosa. Se non un cappotto di legno.


Quelle medaglie per cosa te le han date?


Per essere stato fesso.


Ti va di raccontarmi?


Del fesso che sono stato?


Eddai.


Che senso ha, Bobby?


Eri mitragliere su un elicottero.


Già. Mitragliere. Su una cannoniera volante. Piú idiota di cosí è difficile. Senti, Western. Inventati la storia che ti pare. Non ti sbaglierai di molto.


Ho qualche dubbio.


Manco ne sai abbastanza per sapere cosa chiedere.


Qual è la cosa piú degna di nota che ti sia successa in vita tua.


In vita mia.


Eh.


Okay. Il Nam. Quindi?


Quindi qual è la cosa piú degna di nota che non è successa a me.


Cristo.


Raccontami qualsiasi cosa. Quello che vuoi. Prova a far finta che non sono solo un povero idiota.


Non mi va di dover spiegare le cose.


Non dovrai spiegare niente. Farò uno sforzo.


Okay. Al diavolo. Stavamo cercando di recuperare dei tizi in un’area di atterraggio e ci siamo beccati un razzo e siamo andati giú e io ho ammazzato un bel po’ di musi gialli ma l’unico a cui ho salvato il culo sono io. Cioè, l’ho salvato anche a un altro ma è morto comunque. Ho fatto un paio di giri di ricognizione. Fine della storia. Gli altri sono ancora lí. Giusto qualche osso sparso in una giungla impenetrabile. Quelli col cazzo che hanno ricevuto una medaglia. Cos’altro?


Forse è solo che vorrei sapere cosa mi sono perso.


Non ti sei perso un cazzo.


Sai cosa intendo.


Che senso ha, Bobby? Eri tu quello sveglio, mica io. E io mi sono fatto due turni. E nei marines un turno era di tredici mesi. Sono le cose che fai quando hai diciotto o diciannove anni e sei stupido come una capra.


Prese la birra e bevve e si appoggiò allo schienale grattando l’etichetta col pollice. Guardò Western.


Continua.


Fottiti, Western.


Quante volte sei rimasto ferito?


Una ferita può essere qualsiasi cazzo di cosa. Mi hanno sparato cinque volte. A proposito d’idiozia. Ne sarebbero bastate due o tre, ti pare? A quel punto uno avrebbe dovuto capire che probabilmente la cosa non faceva per lui. C’è gente che la guerra l’ha mollata lí e via. Di quelli non si sente mai parlare. Non so quanti di loro ce l’abbiano fatta. Certi raggiungevano la Thailandia passando dal Laos. Conosco un tizio che è andato a piedi fino in Germania.


In Germania?


Già. Un mio amico ha ricevuto una sua lettera. È ancora lí. Per quel che ne so.


Come se non fossi solo un povero idiota. Okay?


Okay. Avevano un cannone a puntamento radar nella tri-border area e noi l’abbiamo attraversata come se non ce ne potesse fregare di meno. Il primo proiettile è entrato dal muso dell’elicottero ed è esploso nel petto del pilota. Il secondo ha fatto fuori il rotore principale. All’improvviso, un gran silenzio. Solo qualche scricchiolio. Il motore si era già fermato. Mentre iniziavamo a scendere ricordo che ho pensato, be’ lo sapevi che succedeva e adesso che nella merda ci sei non devi piú preoccuparti. Dopodiché mi sono accorto che ci sparavano dal fianco della collina e ho guardato Williamson ed era lí appeso alle cinghie e praticamente in quel momento dalla coda è entrata una Rpg e se l’è portata via e io mi son beccato una manciata di schegge di metallo e sto scaricando questa M60 con bandoliera da cento colpi salvo che traballiamo tutti e una su due sparo al cielo. Alla fine ho smesso perché la canna stava diventando rossa e sapevo che era lí lí per incepparsi e comunque ormai precipitavamo come un fottuto sasso. Il copilota era ancora vivo e quando gli ho lanciato un’occhiata aveva tirato fuori l’arma da fianco e stava infilando una pallottola nel tamburo. E poi abbiamo sbattuto contro la volta.


Cioè la volta della giungla.


Già. Una bella botta ma ce la siamo cavata. Abbiamo sfondato quella merda e alla fine ci siamo fermati a poco piú di due metri da terra. Mi sono spinto fino alla cabina di pilotaggio e ho chiesto al tenente se pensava di riuscire a camminare e lui ha detto che potevo scommetterci che ci provava e di tirarlo fuori da lí. Quindi gli ho slacciato la cintura e l’ho trascinato fino alla porta e l’ho fatto rotolare fuori. È semplicemente scomparso tra l’erba e io ho preso il mio giubbotto tattico e la mia arma e gli son corso dietro. Un silenzio spettrale. Quando l’ho raggiunto stringeva ancora in mano la sua calibro 45 e aveva l’aria un po’ incazzata ma mi son detto che probabilmente era un bene. Era coperto di sangue ma ho pensato che piú che altro doveva essere quello del capitano e l’ho tirato su e ci siamo addentrati nella giungla zoppicando. E questo per tre giorni, finché ci hanno recuperati in un’area di atterraggio. Puro culo. C’erano musi gialli dappertutto e noi non abbiamo sparato manco un colpo. Siamo stati ripescati da questo Huey e siamo tornati alla base dove hanno caricato il tenente su una barella e gli hanno buttato addosso una coperta. Era un tipo con le palle. Probabilmente piú giovane di me. O come me, diciamo. Sapevo che stava soffrendo di brutto. Ha alzato gli occhi e mi ha detto: Sei un bravo rottinculo. L’hanno rispedito in patria e non l’ho mai piú rivisto.


Tu non eri ferito.


Mi hanno tirato fuori un mucchio di schegge di metallo della granata che si era portata via il culo dell’elicottero. Non mangiavo da tre giorni ma non avevo nessuna fame. Tutto quello che volevo era dormire. Circa una settimana dopo sono andato in licenza e tre settimane piú tardi ero di ritorno legato a dovere in un AC-130 e di nuovo pronto a morire.


Hai ammazzato molta gente?


Gesú.


Western aspettò. Oiler scosse la testa. Quando vai in guerra non è che ce l’hai con qualcuno in particolare. Cerchi solo di rimanere in vita quanto basta per imparare a rimanerlo. È quando cominci a vedere un paio di compagni devastati, allora sí che ti sale la carogna verso quei figli di puttana. Se ho accettato di farmi un altro turno è stato per avere una possibilità di vendetta. Tutto qui. Niente di complicato. Be’. Forse proprio tutto non è.


Cos’altro c’è?


Uno ci prende gusto. Di questo la gente non ne vuole sapere. Troppo pesante. Credevo che il nostro reparto fosse essenzialmente un branco di finocchi e poi è arrivato un nuovo comandante. Wingate. Tenente colonnello. Che ha iniziato a spaccar culi e dettar legge. Dal giorno uno. Che la guerra era una merda lo sapevamo tutti. Verso la fine del ’68 l’intera faccenda stava andando in vacca. La droga che prima si limitava alle retrovie adesso era praticamente ovunque. Si sparava ai civili. Arrivava uno nuovo a capo del plotone e la prima cosa che dovevi decidere era se ti sarebbe toccato fargli saltare in aria il culo per salvarti il tuo. Il vero problema era che non potevi arrivare agli ufficiali superiori. Pezzi di merda che si appuntavano medaglie a vicenda per combattimenti che manco sapevano trovare su una mappa. Sono tornato al quartier generale e in pochi giorni mi hanno assegnato a un altro reparto. Bella puttanata. Non gli passava manco per la testa che uno volesse stare coi suoi compagni. E non farsi spostare di continuo. Stupidi come la merda, ti dico. A quel punto ero sergente scelto per cui non potevano mettermi a lavar pavimenti. Ma il colonnello aveva l’abitudine di appiopparmi delle commissioni. Poi un giorno l’ho sentito parlare al telefono con qualcuno che piú tardi ho scoperto essere un mezzo colonnello su alle operazioni e dirgli che non gliene fotteva un cazzo. Ha detto stia bene a sentire, colonnello. Io sono qui per ammazzare. E se non posso ammazzare farò mangiare merda a tutti. E se lei non è qui per ammazzare meglio che me lo dica. Perché in tal caso per lei io non ci lavoro. E ha messo giú. E io ho capito che era il mio uomo. Era un fottuto guerrafondaio. Quanto a me, ero lí per infliggere morti atroci e per nessun’altra ragione. E anche questa non ti piacerà. Ho ammazzato molta gente? È una domanda che mi hanno già fatto. Ma è la prima volta che me lo chiede un uomo. A una ragazza con cui uscivo ho detto che sí avevo ammazzato un bel po’ di musi gialli ma non ne avevo mangiato nessuno. Quindi che mi dici? Ne hai abbastanza di questa merda?


Continua.


Ogni pomeriggio salivo alle riparazioni. Una corsia che non stava né in cielo né in terra. Era giusto uno stanzone di compensato con una serie di cavalletti. Zero letti. Arrivavano con le barelle e le piazzavano sui cavalletti. Fine. L’ho vista piena piú di una volta. Sembrava di essere tornati alla guerra civile. Un’infermiera mi ha detto che quando uno calpestava una mina ti saresti aspettato che con le gambe spazzate via in quel modo sanguinasse a morte mentre invece l’esplosione cauterizzava i moncherini. Comodo, no? Mi sdraiavo su un tavolo solo con un asciugamano addosso e lei mi toglieva i pezzetti di alluminio. O di acciaio. Era uno schianto di ragazza e sapevo che vedermi arrivare non le dispiaceva affatto. Ero un bel pezzo di marcantonio. Ma lei era un ufficiale e sapevo che non c’era storia. Una volta le ho chiesto se non le veniva mai da chiamarmi in modo diverso dal mio grado e lei ha quasi sorriso ma non l’ha fatto.


Cos’ha detto?


Non ha detto niente. Come me ne aveva visti talmente tanti che manco li calcolava piú.


Faceva male?


Intendi farmi levare pezzi di metallo dal culo con una pinza a becchi lunghi?


Sí.


Be’. Dovevi vederla lei. Direi che tutto sommato era quasi piacevole.


Western sorrise.


Insomma, tendenzialmente dormivo come un sasso. Intorno alle tre del mattino scattava la guerra psicologica, un’operazione sonora che solcava il buio in lontananza. Diffondendo il pianto di un neonato. A ripetizione. Sapevano bene che non saremmo intervenuti. Se gli sparavi c’erano buone probabilità che l’impianto ti cadesse addosso. Dopo un po’ sono arrivato al punto che iniziava quasi a piacermi. Mi lasciavo semplicemente scivolare di nuovo nel sonno.


Guardò verso il bancone e alzò due dita e nel giro di qualche minuto Paula arrivò con le birre. Oiler alzò la sua in controluce e la studiò. Te la posso anche raccontare, ’sta merda. Ma non ha nessun senso. Non so manco bene che senso ha per me. Se penso alle cose di cui non vorrei sapere niente è sempre roba di cui so tutto. E ne saprò sempre. Un cazzo di guaio. Accanto a te qualcuno si becca una pallottola e dal rumore sembra che abbia colpito il fango. E infatti è cosí. Potevi arrivare alla fine dei tuoi giorni senza saperla una cosa cosí. E invece sei lí. Ogni giorno sai di essere in un posto dove non dovresti essere. Ma le tue giovani chiappe sono lí.


I figli dei ricchi andavano all’università e i figli dei poveri andavano in guerra.


Sí, be’. Non pensavo proprio a quello.


Raccontami di quando hai ammazzato i musi gialli.


Ho ammazzato i musi gialli.


Da un altro elicottero in caduta libera.


Non sono mai stato su un elicottero che non sia caduto.


Davvero?


Già. Davvero. Stavolta ci avevano chiamati in un’area di atterraggio dove avevano tirato giú uno Huey in arrivo. A bordo c’erano quattro tizi che dovevano evacuare. Unità di ricognizione a lungo raggio. Chi immaginava che si sarebbero ficcati in un cazzo di macello simile. Due di loro avevano messo il piede in una trappola. A noi non è andata molto meglio che allo Huey. Be’, in verità un filo meglio sí perché l’elicottero ha cabrato e si è allontanato sbarellando nella giungla e si è schiantato e ha preso fuoco. Dei ragazzi non ne abbiamo piú rivisto mezzo. Piú tardi abbiamo saputo che dietro di noi arrivava un elicottero da trasporto ma quando hanno visto tutto quel macello hanno invertito la rotta. Dei tipi svegli. Avevamo dovuto buttar via un sacco di carburante per alleggerirci e poter caricare i nostri e io continuavo a pensare e se ci piomba addosso qualcosa? Fatto sta che la coda ha urtato le cime degli alberi e siamo scesi in picchiata. Con le pale che randellavano tutto. L’altro mitragliere si chiamava Wasatch e io sono saltato giú mentre lui continuava a sparare e l’elicottero era inclinato sul fianco e uno di quei bossoli incandescenti mi si è infilato nella combinazione e mi ha fatto un male porco. Ci aspettavano quattro giorni di giungla e una serie di scontri a fuoco e ne sono venuto fuori con un solo uomo che è morto in volo mentre ce ne andavamo. E per questo ricevi una cazzo di medaglia? Ma fatemi il piacere. Quest’è, Bobby, ho finito.


La volta in cui ti sei spaventato di piú.


Ero sempre spaventato.


Ma di piú.


Forse la sensazione piú orribile era quando ti sparavano addosso roba davvero pesante. In volo erano i Sam. Se ti beccavi uno di quelli la tua unica speranza era la reincarnazione.


Te ne hanno mai lanciati? Di Sam. Missili, giusto?


Come no. Ti attaccavano a due a due. Il capitano ha fatto sobbalzare il mezzo e siamo scesi di brutto fino a rasentare gli alberi. Quest’è.


Cos’altro.


Gesú.


Cos’altro.


Un pezzo da 106 puntato sulla nostra base. A una distanza di circa tre chilometri, abbiamo immaginato. Dopo la prima botta ci siamo messi a correre. Evacuazione totale. Li conoscevano perfino gli ultimi arrivati quei cazzo di affari. Quest’è.


Di cosa ti penti? Questo posso chiedertelo?


Di cosa mi pento.


Sí.


Di tutto.


Di alcune cose, magari.


E va bene. Degli elefanti.


Gli elefanti?


Già. Quei cazzo di elefanti.


Non ti seguo.


Scappando da Quang Nam vedevamo questi elefanti nelle radure e i maschi arretravano e alzavano la proboscide e ci sfidavano. Prova a immaginare. Ci va un bel pelo sullo stomaco. Non sapevano cosa fossimo. Ma proteggevano la vecchia. I giovanotti. Ed ecco che arriviamo noi su questo elicottero da combattimento coi nostri missili 2.75. Non potevi sparargli da troppo vicino perché per innescarsi il missile doveva percorrere una certa distanza. Per armare la testata. Non erano neanche cosí precisi. A volte le derive non si aprivano bene e sbarellavano come dei cazzo di palloncini. Potevano finire chissà dove. Per cui forse ci siamo detti fanculo. Qualche chance ce l’hanno. Ma non li abbiamo mai mancati. Li facevamo esplodere. Saltavano in aria cazzo. Penso a questo, accidenti. Non avevano fatto niente. E a chi potevano chiedere aiuto? È a questo che penso. Questo di cui mi pento. Okay?


Non immaginava che sarebbero venuti a cercarlo cosí in fretta. Riattraversò il Quarter. Superò Jackson Square. Il Cabildo. L’aria notturna satura dell’intenso odore di muschio e cantine della città. Una gelida luna color teschio che avanzava tra matasse di nuvole oltre l’ardesia dei tetti. Le tegole e i comignoli. La sirena di una nave sul fiume. I lampioni svettanti dentro sfere di vapore e i palazzi scuri e traspiranti. A volte la città sembrava piú vecchia di Ninive. Attraversò la strada e sbucò sopra il Blacksmith Shop. Sbloccò il cancello ed entrò nel patio.


In piedi davanti alla porta c’erano due uomini. Si fermò. Se erano riusciti a varcare il cancello sarebbero anche riusciti a entrare nel suo appartamento. Poi si rese conto che nel suo appartamento ci erano già entrati.


Signor Western?


Sí.


Le spiace se scambiamo due parole?


Chi siete?


Si infilarono una mano nei cappotti ed estrassero dei porta distintivo di pelle e se li rimisero in tasca. Forse potremmo entrare e parlare un attimo.


Scavalcare il cancello. Scappare.


Signor Western?


Va bene. Certo.


Infilò la chiave nella toppa e aprí la porta e accese la luce. L’appartamento consisteva di un’unica stanza con un cucinino e un bagno. Il letto era a scomparsa ma lui lo lasciava sempre giú. C’erano un divano e un tappeto arancione e un tavolino ingombro di libri. Tenne la porta ai due uomini.


Non mi avete fatto uscire il gatto vero?


Prego?


Avanti.


Entrarono con studiata deferenza. Lui chiuse la porta e si inginocchiò a guardare sotto il letto. Il gatto era acquattato contro il muro. Miagolava sommessamente.


Tieni duro, Billy Ray. Tra un attimo mangiamo.


Si alzò e indicò il divano. Accomodatevi, disse.


Devo dire che non sembra particolarmente sorpreso di vederci.


Dovrei esserlo?


È solo un’osservazione.


Naturalmente. Posso offrirvi un tè?


No grazie.


Sedetevi. Metto solo a bollire l’acqua.


Andò in cucina e accese il fornello e riempí il bollitore al rubinetto e lo posò sul fuoco. Quando tornò i due uomini erano seduti alle estremità del divano. Si sedette sul letto e si tolse le scarpe e se le lasciò cadere accanto e raccolse le gambe sotto di sé e rimase a guardarli.


Signor Western, vorremmo chiederle dell’immersione che ha fatto stamani.


Sentiamo.


Solo qualche domanda.


Certo.


L’altro uomo si sporse in avanti e posò le mani sul bordo del tavolino, una sopra l’altra. Picchiettò un paio di volte quella sopra su quella sotto e alzò lo sguardo. In realtà non abbiamo molte domande. Ma una piuttosto impegnativa.


Bene.


Sembrerebbe che manchi un passeggero.


Un passeggero.


Sí.


Che manca.


Sí.


Lo osservavano. Non aveva idea di cosa volessero. Avete un documento? chiese.


Gliel’abbiamo fatto vedere.


Potrei magari rivederlo.


Si scambiarono un’occhiata e poi si chinarono e tirarono fuori i distintivi e glieli mostrarono.


Se vuole può segnarsi i numeri.


Va bene cosí.


Può segnarseli. Non abbiamo niente in contrario.


Non ho bisogno di segnarmeli.


Non erano sicuri di cosa volesse dire. Chiusero i porta distintivo e li misero via.


Signor Western?


Sí.


Quanti passeggeri c’erano nel velivolo?


Sette.


Sette.


Sí.


Vuole dire oltre al pilota e al copilota.


Sí.


Nove cadaveri.


Sí.


Be’ a quanto pare i passeggeri avrebbero dovuto essere otto.


Qualcuno ha perso l’aereo.


Noi crediamo di no. C’erano otto passeggeri sul manifesto.


Quale manifesto?


Il manifesto passeggeri.


Perché dovrebbe esserci un manifesto passeggeri?


Perché non dovrebbe?


Era un aereo privato.


Era un charter.


Se fosse stato un charter ci sarebbe stata una hostess.


I due si scambiarono un’occhiata.


E perché mai, signor Western?


Il regolamento della Faa prevede la presenza di una hostess su tutti i voli commerciali con piú di sette passeggeri.


Ma non c’erano piú di sette passeggeri.


Ha appena detto che ce n’erano otto.


Rimasero a guardarlo. Quello con le mani sul tavolino si appoggiò allo schienale del divano. E lei come lo sa? chiese.


Della hostess?


Sí.


Non lo so. L’ho letto da qualche parte.


Si ricorda di tutto quello che legge?


Abbastanza. Chiedo scusa. Mi prendo il tè.


Andò in cucina e tirò giú il barattolo e versò un cucchiaio di miscela scura in un becher da mezzo litro e la coprí con l’acqua bollente e rimise il bollitore sul fornello e spense il fuoco e tornò di là e si sedette di nuovo sul letto. I due sembravano non essersi mossi. Quello che aveva parlato annuí. Va bene, disse. Forse manifesto non è la parola giusta. Quello che abbiamo è la lista dei passeggeri fornita dalla società.


Avrete anche una lista, ma non credo che ci sia una società.


E perché mai?


Non credo che fosse un volo aziendale.


Sembra avere le idee piuttosto chiare su quel volo.


Non direi. Ho degli interrogativi. Come voi.


Le spiacerebbe comunicarceli?


O forse ho solo una domanda piuttosto impegnativa.


Sentiamo.


Potrei vedere ancora una volta quei distintivi?


Come dice?


Vi prendo in giro. Scusate.


Va bene.


Secondo noi l’aereo era sott’acqua da un po’. E pensiamo che a segnalarlo non sia stato un pescatore. Non si vedeva nemmeno. E pensiamo che non sia del tutto da escludere che qualcuno fosse salito a bordo prima di noi.


Un altro sommozzatore.


Un altro qualcuno.


Be’, sarebbe per forza un sommozzatore, no?


Per forza?


Avete pensato che qualcuno fosse salito a bordo prima di voi.


È quello che abbiamo pensato.


Prima di lei e del suo collega.


Sí.


Naturalmente se aveste portato via qualcosa dall’aereo da parte vostra sarebbe logico affermare che non siete stati i primi a salirci.


Quanti sommozzatori di recupero conoscete?


I due si scambiarono un’occhiata.


Perché questa domanda?


Semplice curiosità. Noi dagli aerei non portiamo via niente.


Forse potrebbe dirci qualcosa di quello che avete trovato quando siete arrivati sul posto.


Certo. L’aereo si trovava a circa dodici metri di profondità. Sembrava praticamente intatto. Quando abbiamo puntato la torcia sull’oblò abbiamo visto i passeggeri all’interno seduti ai loro posti. Avevamo un solo operatore di superficie ed era piuttosto alle prime armi per cui io sono tornato su e ho lasciato che a bordo ci salisse Oiler.


E lui come ha fatto a salire a bordo?


Ha asportato la serratura con la fiamma ossidrica.


L’aereo era intatto.


Sí.


Niente danni nell’impatto.


Non abbiamo visto particolari segni di collisione. L’aereo era posato sul fondo della baia. Non sembrava nemmeno che avesse qualcosa di particolarmente fuori posto.


Non aveva niente fuori posto.


Apparentemente no. Se non il fatto che era sott’acqua.


Dopo che il suo collega è salito a bordo, lei si è immerso di nuovo?


Sí. Non siamo rimasti molto tempo a bordo. Ci avevano mandati a vedere se c’erano dei superstiti. Non ce n’erano.


Qualcuno si è messo in contatto con voi a proposito dell’incidente?


No. Sicuri che non prendete un po’ di tè?


Sicuri.


È una disposizione?


In che senso una disposizione?


Niente. Torno subito.


Andò in cucina e tirò fuori la vaschetta del ghiaccio e riempí di cubetti di ghiaccio un grosso bicchiere verde in cui versò il tè filtrandolo con un colino. Poi rimase a guardare le foglie nel colino. Si può sapere chi siete? disse. Tornò di là e si sedette sul letto e bevve un sorso di tè freddo e aspettò.


Ha mai recuperato un aereo?


Sí. Una volta.


Dove?


Al largo della Carolina del Sud.


Nel velivolo c’erano dei cadaveri?


No. Mi pare che a bordo ci fossero quattro o cinque persone ma l’aereo era aperto in due. Hanno rinvenuto un paio di corpi portati a riva dal mare pochi giorni dopo. Non credo che abbiano mai trovato gli altri.


Signor Western, lei vola?


No. Non piú.


Quando è stato? La Carolina del Sud.


Due anni fa.


Se ne intende di aerei JetStar?


No. Questo è il primo che vedo.


Bell’apparecchio.


Gran bell’apparecchio.


Ma il vano bagagli voi l’avete aperto?


Perché avremmo dovuto?


Non lo so. L’avete aperto?


No.


Sapete cos’è una valigetta di volo?


Sí. Non ce l’abbiamo noi.


Però era sparita.


Era sparita. Sí. Quella e la scatola nera. Il registratore di volo.


E non ha pensato che fosse il caso di menzionarlo?


Non ho pensato che fosse il caso di menzionare una cosa che sapevate già. Perché non mi dite che interesse avete in tutto questo, cosa pensate sia successo. Cosa sapete.


Non siamo autorizzati a farlo.


Ovviamente.


Voi comunque dall’apparecchio non avete portato via niente.


No. Noi non portiamo via le cose. Oiler ha detto che era meglio risalire e cosí abbiamo fatto. L’acqua era piena di cadaveri. Non sapevamo da quanto tempo o di cosa fossero morti. Non abbiamo preso la valigetta. Non abbiamo preso la scatola nera. Non abbiamo preso la valigia. E quanto è vero Iddio non abbiamo preso nessun cadavere.


Lei è assicurato, signor Western?


Sí.


C’è altro che le farebbe piacere dirci?


Siamo sommozzatori di recupero. Facciamo quello per cui ci pagano. Comunque sia, sono sicuro che di questa storia ne sapete piú voi di me.


Bene. Grazie per la disponibilità.


Si alzarono dal divano simultaneamente. Come uccelli da un filo. Western si tirò su dal letto.


Forse dovrei davvero dare ancora un’occhiata a quei distintivi.


Lei ha un curioso senso dell’umorismo, signor Western.


Lo so. Me lo dicono spesso.


Dopo che se ne furono andati chiuse la porta, si inginocchiò e allungò una mano sotto il letto e parlò al gatto finché riuscí ad acchiapparlo. Si alzò col gatto nella piega del braccio e rimase in piedi ad accarezzarlo. Un gatto maschio nero e massiccio coi denti di fuori. La coda che faceva qua e là. I gatti gli ispiravano simpatia. E lui a loro. Dov’è la tua ciotola? disse. Dov’è la tua ciotola? Andò con il gatto alla porta d’ingresso e rimase sulla soglia. L’aria era fresca e umida. Rimase lí ad accarezzare il gatto. Ad ascoltare il silenzio. Sotto i piedi scalzi sentiva il martellio sordo del battipalo in lontananza. Il battito lento. La misura.

II.

Disse che le allucinazioni erano iniziate quando aveva dodici anni. All’insorgere delle mestruazioni, disse, citando dalla letteratura. Guardandoli scrivere sui loro blocchi per appunti. La realtà non sembrava esattamente il loro oggetto di studio, ascoltavano le sue osservazioni e poi tiravano dritto. Che la ricerca della sua definizione fosse inesorabilmente sepolta e dominata dalla definizione cercata. O che la realtà del mondo non potesse essere una categoria fra altre in essa contenute. Sta di fatto che lei non ne parlava mai come di allucinazioni. E non incontrò mai un medico che avesse la benché minima idea del significato dei numeri.


Questo dunque accadeva nella piccola soffitta della casa di sua nonna nel Tennessee all’inizio dell’inverno del millenovecentosessantatre. La mattina di quella gelida giornata si svegliò di buonora e li trovò raccolti ai piedi del suo letto. Non sapeva da quanto tempo fossero lí. O se la domanda stessa avesse un senso. Il Kid era seduto alla sua scrivania e frugava tra i suoi fogli prendendo appunti su un piccolo taccuino nero. Quando vide che era sveglia mise via il taccuino da qualche parte nei vestiti e si voltò. Bene, disse. A quanto pare è sveglia. Fantastico. Si alzò e cominciò a fare su e giú con le pinne dietro la schiena.


Cosa ci facevi lí a frugare tra i miei fogli? E cosa scrivevi in quel libretto?


Una domanda alla volta, principessa. Ogni cosa a suo tempo. Libretto. Liber. Liber-a-nos. Quel che è tuo è nostro okay? Abbiamo un sacco da fare per cui meglio se cominciamo. Potrebbe esserci un test sui qualia per cui tienilo a mente. Vero falso inter alia, quattro errori e sei fuori. E niente risposte multiple sulle risposte multiple. Ne scegli una e vai.


Si voltò a sbirciarla e riprese a fare su e giú. Senza badare alle altre entità. Un’accoppiata di nani in giacchina e cravatta viola e lobbia in testa. Una signora senescente col cerone imbrattato di fard. Abito d’epoca di voile nero, pizzo ingrigito sulla gola e ai polsi. Al collo una stola composta di ermellini morti spianati come vittime della strada con neri occhi di vetro e nasi di broccato. Si portò agli occhi una lorgnette ingemmata e spiò la ragazza da dietro il velo liso. Altre figure sullo sfondo. Uno sferragliare di catene nell’angolo opposto della stanza dove due animali al guinzaglio di un taxon incerto si alzarono e girarono su se stessi e tornarono a sdraiarsi. Un fruscio leggero, un colpo di tosse. Come a teatro quando le luci di sala si abbassano. Lei si tirò le coperte fin sotto il mento. Chi siete? disse.


Bene, disse il Kid, fermandosi per fare un gesto d’incoraggiamento con una pinna. Entreremo nel vivo a poco a poco, per cui fin qui nessun bisogno di scaldarsi. Bene. Altre domande?


Il nano di sinistra alzò la mano.


Non tu, testa di cazzo. Gesú. Stai cercando di farmi venire la pellagra? Bene. Se non ci sono altre domande apriamo le danze. Abbiamo in programma alcuni numeri eccezionali. Se per i tuoi gusti qualcosa diventa troppo piccante sentiti libera di prendere nota, piega il foglio per il lungo e ficcatelo dove non batte il sole. Bene.


Si trascinò fino alla sua sedia e tornò a sedersi. Gli altri aspettavano.


Chiedo scusa, disse lei.


Lo spazio per le domande è finito Fiona, per cui basta domande e punto. Okay? Si cavò un grosso orologio da non si sa dove e premette il bottone. Il coperchio si aprí con uno scatto e alcune note risuonarono debolmente e poi cessarono. Il Kid lo richiuse e lo mise via. Incrociò le pinne e prese a battere il piede. Cristo in carriola, mormorò. Qui è peggio che andar di notte. Si portò una pinna all’angolo della bocca. Si alzi il sipario, gridò.


La porta dell’armadio si spalancò e un piccolo saltimbanco con un cappello a quadri e pantaloni alla zuava balzò nella stanza battendo le mani. Saltò sul cassettone di cedro. Aveva un sorriso dipinto in faccia e oggetti di latta appesi in vita e fece una breve danza sferragliante reggendo per il manico due padelle.


Gesú, disse il Kid, alzandosi e venendo avanti. Per le emorroidi di Dio. No no no no no. Per l’amor del cielo. Dove cazzo credi di essere? Non puoi entrare qui e propinarci ’sto schifo. Uno chiede dei numeri semplici e si ritrova un cazzo di trombaio senza lobi frontali? Dio santo. Fuori. Fuori. Gesú. Bene. Chi è il prossimo? Cristo. Dove bisogna andare per trovare un po’ di talento? Sulla cazzo di luna?


Si soffermò a sfogliare il taccuino. Dunque, cos’abbiamo? Punch e Judy? Furetto nei calzoni? Numeri con animali di carattere suggestivo? Insomma, che cazzo. Fatevi sotto.


Chiedo scusa, disse lei.


Cosa c’è ancora?


Chi siete?


Il Kid inarcò le sopracciglia e guardò gli altri. Avete sentito, gente? Niente male. Bene, aprite le orecchie. Questo è piú o meno quanto potete sperare, per cui se vi aspettate qualcosa come un po’ di gratitudine tanti auguri. Okay? Okay. Dunque, cos’abbiamo. Vai, questo spacca. Conosciamo il soggetto. Avanti.


Un omino con un completo troppo stretto e una camicia bianca piena di patacche e una cravatta verde attorcigliata intorno al collo ciabattò fuori dall’armadio e attaccò a declamare in tono spento e monocorde: Hai i tuoi classici congegni a orologeria da mettere in fila. Gli isolotti di tempo nella rete del tuo mare. Lascia che tutto sgoccioli. Potresti dover appendere gli idrocefali ai travetti lassú ma va bene cosí. Non preoccuparti per il pavimento. Asciugherà. Quella di cui stiamo parlando in realtà è la situazione dell’anima.


Saturazione, disse il Kid.


La saturazione dell’anima. Il legno è vecchio e un po’ secco e ci potrebbe essere qualche scricchiolio. Un po’ di polvere di legno nell’aria è normale. Non essere iniqua.


Inquieta.


Non essere inquieta. Cerca di non agitarti. A buon intenditor. Meglio un uovo oggi.


Meglio un uovo oggi?


Prevenire è meglio che curare. Siamo ancora in alto mare.


Ma che cazzo. Dove lo dice?


Braccino corto e tasche bucate. Uomo onesto il ciel l’aiuta.


Gesú. Basta cosí. Dove va a prenderle queste cazzate? Qualcuno mi leva di torno questo rincoglionito? Dov’è il gancio?


Chiedo scusa.


Guardò la ragazza nel letto. In effetti aveva una mano alzata. Bontà divina, cosa c’è?


Voglio sapere cosa ci fate qui.


Il Kid alzò gli occhi al cielo. Guardò le altre entità e scosse la testa. Tornò alla ragazza. Allora, princi. Stringi stringi è perlopiú questione di struttura. Qualcosa che da queste parti non abbonda, penso che perfino tu ne converrai. Ma finché non ci tiriamo su il morale c’è poco da fare. Diamoci tutti una regolata. Un minimo di riguardo. Okay? Stiamo cercando di gettare le basi. Altrimenti va tutto a rotoli. Bisogna usare il buonsenso. Lavorare con quello che si ha sottomano. Qui ci sono parecchi scenari orrendi. Tipo quali? Silhouette di gesso della vittima? Facile cosí. Niente da fare. Ma tu hai spiato da sotto la porta, Polly, e di questo non ci sono molti precedenti. Per cui se ogni tanto hai l’impressione che andiamo a braccio tant’è. La prima cosa da fare è individuare la linea narrativa. Non è necessario che sia a prova di bomba. Comincia a imbastire il materiale dei vari episodi. L’aneddotica. Vedrai che ci riesci. Ricordati solo che dove non c’è linearità non c’è delineazione. Cerca di rimanere concentrata. Nessuno ti sta chiedendo di firmare niente, okay? E comunque non hai tutte queste alternative.


Si voltò verso gli altri e accennò a lei con la pinna al di sopra della spalla. Puparella qui crede di avere degli amici che là fuori la proteggono dalle avversità ma si ripiglierà presto. Bene. Vediamo un po’. Che cos’abbiamo.


Si spostò e tornò a sedersi sulla sedia. Pronti, gridò. Aspettarono. Quando volete, disse il Kid. Gesú. Cosa cazzo ci vuole? Un megafono? Si alzi il sipario.


Due menestrelli truccati da neri con la salopette e il cappello di paglia uscirono agitandosi con enormi scarpe gialle. Portavano degli sgabelli e un banjo. Gli sgabelli erano dipinti a strisce rosse bianche e blu con delle stelle d’oro. I menestrelli si levarono il cappello e posarono gli sgabelli ai due lati della stanza e si sedettero. Il presentatore apparve dietro di loro. Con la tuba e il frac impolverati dalla strada. Brandí il bastone e sorrise e fece un inchino. Il Kid si appoggiò allo schienale della sedia e si guardò attorno soddisfatto. Bene, disse. Già meglio.


Signor Bones, gridò il presentatore. Cos’abbiamo in programma per stasera?


Orbene sior presentator, noi si fa la danza mestruale per la signorina Ann qui presente. Abbiamo in mente di fare il passo strascicato dei morti di fame e balleremo il gran tonchioso finché i gatti di casa si rifugeranno in fienile. E inoltre il menu prevede il tip-tap quindi restate fino alla fine. Preparatevi a vedere un onesto lavoro di piedi. Seguirà qualche motteggio che la signorina Ann potrà riascoltarsi da cima a fondo sul suo stereo e ammazzarci le serate in solitaria. Dico bene signorina Ann?


Il Kid si appoggiò allo schienale della sedia e si portò una pinna all’angolo della bocca. Di’ dici bene, sussurrò con voce roca.


Io non mi chiamo Ann.


Sior Bones, possiamo dar fiato alle trombe?


Sissignò, sissignò, gridò Bones. Balzò in piedi e attaccò a suonare il banjo. Aveva gli occhi azzurri e ciocche biondo paglierino che spuntavano da sotto la falda del cappello. I due attraversarono la stanza in diagonale ballando all’unisono e ritorno.


Signor Bones, gridò il presentatore.


Sissignò sior presentator.


Papà talpa avanza nel tunnel che sta scavando sotto il giardino e annusa l’aria e dice: Sento odore di navone. Mamma talpa avanza dietro di lui e annusa l’aria e dice: Sento odor di rapanello. Baby talpa avanza e annusa l’aria e che odore dice di sentire Baby talpa?


Dice che l’unico che sente è odore di culo.


Si piegarono in due ululando e sganasciandosi. Le entità ridacchiarono e il Kid sogghignò e tirò fuori il taccuino e ci scrisse qualcosa e lo rimise via.


Signor Bones.


Sissignò sior presentator.


Cos’ha detto Rastus alla signorina Liza quando il didietro del carro le si è staccato?


Ha detto: Signorina Liza, rivuoi il tuo didietro?


E cos’ha detto la signorina Liza?


Ha detto: Rastus, razza di buffone paranormale, sali sul carro.


Zomparono per la stanza ululando e dandosi delle gran pacche sulle cosce.


Chiedo scusa, disse lei.


Il Kid si appoggiò allo schienale e la guardò. Cosa c’è ancora?


Queste sono le barzellette piú trite e tremende che abbia mai sentito.


Ah sí? Allora perché ridono tutti? Cosa sei, la critica di salcazzo? Gesú.


Non so proprio cos’abbiano da ridere.


Il Kid alzò gli occhi al soffitto. Si voltò verso le sue coorti. Bene. Dieci minuti di pausa.


Voglio sapere da dove venite, disse lei.


Intendi dove eravamo prima di essere qui?


Sí.


Le coorti si avvicinarono appena. Come per allungare l’orecchio. Bene, disse il Kid. Qualcuno vuole rispondere?


È una domanda facile.


Certo, certo.


Come siete arrivati qui?


Siamo venuti col bus.


Siete venuti col bus.


Già.


Non siete venuti col bus.


Ah no? Chiedo scusa agli straccidenti vostri.


Non è vero.


Perché no?


Perché non siete venuti col bus. Come avreste potuto venire col bus?


Cristo, Cristina. L’autista apre la porta e tu sali a bordo. Quanto ci vuole?


C’erano altre persone sul bus?


Ma sí. Che domanda è?


E nessuno ha detto niente?


Tipo cosa?


Non vi hanno guardato strano?


Guardato strano.


Potevano vedervi?


Gli altri passeggeri?


Sí.


Chi lo sa? Gesú. Probabilmente alcuni sí e alcuni no. Altri potevano ma non hanno guardato. Dove vuoi andare a parare?


Insomma che tipo di passeggero può vedervi?


Com’è che ci siamo incagliati in questa storia di passeggeri?


Sono solo curiosa.


Riformula la domanda.


Che tipo di passeggero è in grado di vedervi.


Credo di aver capito la questione. Okay. Che tipo di passeggero?


Il Kid si ficcò nelle orecchie l’equivalente dei pollici e agitò le pinne e alzò gli occhi al cielo e attaccò a fare blalalala. Lei si coprí la bocca con la mano.


Ti sto prendendo per i fondelli. Non ho idea del tipo di passeggero. Gesú. La gente ti guarda e ha l’aria sorpresa, tutto qua. E tu capisci che guarda te.


Che cosa dice?


Non dice niente. Cosa dovrebbe dire?


Chi pensa che siete?


Chi pensa che siamo? Non lo so. Cristo. Penseranno che sono un passeggero. Certo si potrebbe obiettare che se loro sono passeggeri io devo essere qualcos’altro. Ma non è detto. Non posso parlare per loro. Forse vedono semplicemente un tizio piccoletto ma cordiale. Di età indefinita. Leggermente stempiato.


Leggermente stempiato?


Il Kid si strofinò la pallida cheloide del cranio. Qual è il problema?


Che per stempiarti dovresti avere i capelli. Io voglio solo sapere da dove venite e perché siete qui.


È la stessa identica domanda. Credevo l’avessimo evasa.

Siete in camera mia.

E tu pure. Perciò siamo qui. Secondo te in quale camera dovremmo essere? Se fossimo in un’altra camera qui non ci saremmo proprio. Senti, abbiamo un sacco da fare e sta venendo notte per cui se non ti fa niente possiamo andare avanti?

Qualcosa mi fa.

La domanda sarà sempre la stessa domanda. Qui si sta parlando di infiniti gradi di libertà, per cui puoi sempre girarla e farla apparire diversa ma diversa non è. È sempre la stessa. E continuerà a tornar su come un pranzo cattivo. So bene che indagare è il tuo mestiere ma qui è un filo diverso. E siccome a quanto pare la ragazza geniale qui sei tu magari metti a fuoco prima che noi si muoia tutti di noia cazzo.

Lei rimase lí con le mani intrecciate e premute sulle labbra.

Hai finito? disse il Kid.

No.

Il Kid scosse stancamente la testa. Vabbè, disse. Ripescò l’orologio e lo aprí e guardò l’ora e rimise via l’orologio. Sbadigliò e si batté la pinna sulla bocca. Senti, disse. Lascia che te la metta cosí. Come disse il parroco al chierichetto. Per il viaggiatore esperto la meta è al massimo un sentito dire.

L’ho scritto io. Nel mio diario.

Complimenti vivissimi. Quando hai un bambino in braccio si volterà per vedere dove sta andando. Chissà perché. Tanto ci va comunque. Devi solo tenerlo piú stretto che puoi, nient’altro. Tu credi che esistano delle regole a proposito di chi è autorizzato a viaggiare in bus e chi è autorizzato a essere qui e chi là. Come ci sei arrivata tu qui? Be’, trasportata dal suo ciclo lunare. Ti vedo cercare tracce sulla moquette ma se possiamo essere qui possiamo anche lasciare tracce. Oppure no. Il vero guaio è che ogni linea è una linea spezzata. Torni sui tuoi passi e niente è familiare. Allora giri i tacchi per fare marcia indietro solo che adesso hai lo stesso problema nella direzione opposta. Ogni linea di mondo è discreta e la cesura valica un baratro che non ha fondo. Ogni passo incrocia la morte.

Si voltò sulla sua sedia e batté le pinne. Bene, gridò. Si alzi il sipario.


In mattinata scese a piedi al French Market e comprò il giornale e si sedette all’esterno sotto un sole freddo a bere caffè caldo con latte. Sfogliò il giornale. Sul JetStar niente. Finí il caffè e uscí in strada e fermò un taxi e scese a Belle Chasse ed entrò nella piccola sala operativa. Lou era seduto alla sua scrivania e tirava la leva di una vecchia calcolatrice a nastro. Che cosa vuoi? disse.


Ti devo parlare.


Mi stai parlando.


Si sedette dall’altro lato della scrivania. Lou stava scribacchiando su un bloc-notes. Alzò lo sguardo su Western. Mi sai dire perché in Inghilterra hanno una cosa come la tonnellata lunga?


No.


Pensavo che fossi tenuto a sapere tutto.


Invece no. Tu cosa sai di quell’aereo?


Lou fece scorrere il nastro fra le dita e lo studiò. Ma non scherziamo, disse. Quale aereo?


Non prendermi per il culo.


Western, cosa vuoi che ne sappia? Dalla direzione le cose arrivano col contagocce. Chi cazzo lo sa? A quanto pare un corriere si è presentato qui con un assegno e fine della storia.


E non c’è modo di scoprire da chi venisse l’assegno.


A quanto pare no.


Lo sapevi che sui giornali non c’è niente?


Non leggo i giornali.


Non ti pare strano?


Che non leggo i giornali?


Com’è che i giornali non parlano di un incidente aereo? Nove morti.


Magari esce domani.


Non credo proprio.


Devo farti una domanda.


Sentiamo.


A te che cazzo te ne frega? Ti risulta che abbiano infranto qualche legge?


No.


Perché la politica della Taylor è questa. La politica di Halliburton, a dirla tutta. Se c’è qualcosa che puzza teliamo.


Ma infatti c’è qualcosa che puzza.


Quindi? Ormai noi siamo fuori. Dimentica.


Va bene. Che ore fai?


E tu?


Le dieci e zero sei.


Lou ruotò il polso e guardò l’orologio. Dieci e zero quattro.


Devo andare. Se senti qualcosa di piú sul volo misterioso fai un fischio.


Secondo me non sentiremo nient’altro.


Può darsi. Posso prendere in prestito un mezzo?


Qua fuori non c’è niente a parte l’autogrú.


Posso prenderla?


Certo, come no. Quando la riporti?


Non so. In mattinata.


Hai un appuntamento galante?


Già. Le chiavi sono nel quadro?


A meno che qualcuno non le abbia tirate fuori. Vedi di non portarla indietro vuota.


Va bene. Non ce l’hai un binocolo, vero?


Gesú, Western. E poi cos’altro?


Aprí l’ultimo cassetto della scrivania e tirò fuori un vecchio binocolo militare verde oliva che posò in piedi sul piano.


Grazie.


Red dice che in realtà quel mezzo è ottimo per rimorchiare.


Per quelle che rimorchia lui non ne dubito.


Andò fino a Gretna e imboccò la superstrada verso nord quindi uscí sulla statale in direzione est verso Bay St Louis e Pass Christian. Dall’altra parte del ponte c’erano le paludi, sotto il lago Pontchartrain. Due ragazzi cajun dall’aspetto grigiastro con la sigaretta all’angolo della bocca sporgevano il pollice senza entusiasmo. Uno in piedi, l’altro accovacciato. Li guardò allontanarsi nel retrovisore. Quello in piedi si voltò pigramente e gli fece il dito medio. Quando tornò a guardare erano entrambi accovacciati sui talloni. Gli occhi fissi sulla strada che si stendeva immobile davanti a loro nel sole del mattino.


La velocità massima del camion era di circa cento chilometri orari. Una leggera caligine azzurra di gas di scarico filtrava attraverso il pavimento e Western viaggiava con i finestrini abbassati. Scrutava le paludi in cerca di pennuti ma là ce n’erano pochi. Qualche anatra. Sull’altra sponda del Pearl River una lontra morta in mezzo alla strada.


Attraversò Pass Christian e proseguí fino ai docks dove parcheggiò il camion e s’informò per procurarsi una barca. Si ritrovò con uno schifo di sedici piedi a fasciame sovrapposto, la carena tonda e un Mercury fuoribordo da venticinque cavalli. Quando uscí dall’estuario era quasi l’una.


Giunto nella baia diede gas. Lo sciabordio delle onde sotto lo scafo si stabilizzò, il sole danzava sull’acqua. In lontananza nessun orizzonte ma solo il biancore di mare e cielo. Una linea sottile di pellicani che avanzavano lenti lungo la costa. L’aria salmastra era fredda e si tirò su la lampo della giacca per proteggersi dal vento.


Aveva il binocolo di Lou appeso al collo e lo puntò sul mare aperto. Della motovedetta della guardia costiera neanche l’ombra. Quando raggiunse il gruppo di isole al largo virò verso est e seguí la costa meridionale fino a una piccola baia. Ridusse la velocità e procedette col motore borbottante fino a una spiaggia dove accostò.


Spense il motore e andò in secco e saltò a terra e agganciò la mano sotto la prua e tirò la barca sulla spiaggia. Era un’imbarcazione piuttosto pesante. C’era un ancorotto incuneato nel mascone e lo staccò e sollevò e lo buttò nella sabbia e risalí la spiaggia. Forse una trentina di metri di arenile. Poi, erba e palme a ventaglio. Oltre quelle quercia nana. Nella sabbia dura sopra la linea di marea c’erano impronte di uccelli. Nient’altro. Cercò di ricordare l’ultima volta che aveva piovuto. Tornò alla barca e la mise in acqua e si inginocchiò a bordo e prese un remo e si spinse tra le secche e poi posò il remo a bordo e mise un piede sullo specchio di poppa e tirò il cavo di avviamento.


Entro fine pomeriggio aveva circumnavigato le isole in lungo e in largo, facendo scalo su ogni spiaggia. Trovò i resti di un fuoco e dei galleggianti e degli ossi e frammenti di vetro colorato smerigliati dal mare. Raccolse un pezzo di legno color pergamena trasportato dal mare a forma di omuncolo pallido e se lo rigirò tra le mani. Sul finire del giorno, con la luce che scemava, entrò in una caletta e tirò a riva la barca e saltò a terra e si voltò e quasi immediatamente vide le impronte sulla sabbia. Appena sopra il sottile orlo scuro di varech. Sembrava fossero state parzialmente interrate dal vento, ma non era quello. Ci avevano trascinato sopra qualcosa. Si spinse fino al limitare del palmeto dove le impronte riapparivano e scendevano lungo la spiaggia. Impronte pulite. Le nervature di gomma delle scarpette da sub. Rimase a guardare la distesa d’acqua grigia. Guardò il sole e scrutò le isole. E se la fauna locale comprendeva il serpente a sonagli? Crotalo diamantino. Due metri e mezzo di lunghezza. Orientale o occidentale non ricordava. Raccolse un pezzo di legno portato dal mare, se lo spezzò sul ginocchio per farne un bastone e seguí le impronte dentro il bosco.


Tra gli alberi radi correva quella che sembrava una pista di selvaggina. La quercia rachitica. Un accozzame d’alberi abbattuti dall’uragano Camille. I venti a piú di trecento chilometri orari che avevano spaccato Ship Island in due. Sentiva i tacchini gloglottare nel sottobosco ma non riusciva a vederli. Seguí la pista per forse quattrocento metri finché sbucò in una radura, e stava per tornare indietro quando una chiazza di colore catturò il suo sguardo. Lasciò il sentiero. Scostando le palme davanti a sé con il bastone strada facendo.


Era un canotto a due posti giallo che qualcuno aveva sgonfiato e arrotolato e infilato sotto un albero caduto e poi coperto con degli sterpi. Lo trascinò fuori e rimase a guardarlo. Si voltò e studiò la vegetazione. Una leggera brezza tra le querce e lo sciabordio sommesso della marea nelle secche in lontananza. Si accovacciò e sciolse i lacci e srotolò il canotto.


Era ancora bagnato. Acqua di mare negli angoli. Lo distese. Nuovo di zecca. Passò le mani sotto i tubolari nel punto in cui si congiungevano con il fondo di gomma. Aprí e rovistò le tasche. In una di queste c’era un’etichetta di ispezione plastificata ma nient’altro. Si accovacciò a esaminare il natante. Alla fine lo riarrotolò e riallacciò i cinturini e lo ricacciò sotto l’albero e lo ricoprí con gli sterpi e le foglie di palma secche e tornò sul sentiero che portava alla spiaggia. Con il canotto non c’erano remi, ma non aveva idea di cosa volesse dire. Arrivò alla spiaggia che il sole era basso sull’acqua e rimase lí a guardare verso occidente, il grigio e lento moto ondoso e oltre la leggera rientranza della costa e oltre ancora da qualche parte la città dove le luci stavano per accendersi. Si sedette sulla sabbia e ci affondò i talloni e incrociò le braccia sulle ginocchia e stette a guardare il tramonto e la luce sull’acqua. La stretta striscia di terra a sud era dunque l’arcipelago delle Chandeleur. Oltre quello la bocca d’idra del fiume. Oltre ancora il Messico. Le onde della bassa marea si frangevano e ritiravano. Avrebbe potuto essere la prima persona del creato. O l’ultima. Si alzò e risalí la spiaggia fino alla barca che spinse in acqua e ci saltò a bordo e andò a poppa a levare l’ancora. Afferrò il remo e si aprí un varco tra le secche e rimase lí a guardare il rosso intenso del tramonto scurirsi e morire.


Scese lungo il capo col motore al minimo e costeggiò il lato meridionale dell’isola. Nel giorno morente il golfo era calmo e a ovest lungo la costa le luci avevano cominciato ad accendersi. Girò la barca e spinse piano in avanti la manetta e si diresse a nord, orientandosi con le luci della strada rialzata. Faceva freddo sull’acqua col sole tramontato. Il vento era freddo. Il tempo di arrivare al porticciolo e concluse che con ogni probabilità l’uomo sbarcato sull’isola era il passeggero.


Quando entrò nel cortile della Taylor erano le dieci di sera. Indugiò nel silenzio sotto le luci al mercurio e poi girò la chiave e riavviò il motore e tornò su fino a Gretna e oltre il ponte fino al Quarter. Mangiò una ciotola di riso e fagioli al baretto su Decatur Street e poi risalí St Philip e parcheggiò il camion e varcò il cancello.


Prima del prossimo ingaggio giú a Port Sulphur aveva altri due giorni liberi. In tarda mattinata risalí a piedi Bourbon Street per pranzare con Debussy Fields da Galatoire. Lei era già in fila e si sbracciò verso di lui. Apparecchiata con un vestito costoso e dieci centimetri di tacco. I capelli biondi che le torreggiavano in testa. Orecchini alle spalle. Tutto spinto all’estremo compresa la scollatura, ma era molto bella. La baciò sulla guancia. Era piú alta di lui.


Buon profumo, disse.


Grazie. Possiamo tenerci per mano?


Non credo proprio.


Quanto la fai lunga. Credevo che sarebbe stato un appuntamento galante.


Quando entrarono nel locale ebbero uno scambio con il maître a proposito del tavolo. Io in fondo non mi siedo, disse lei. E nemmeno contro il muro.


Posso mettervi qui, disse il maître. Ma naturalmente c’è il passaggio.


Il passaggio non è un problema, tesoro.


Tirò fuori dalla borsetta un portasigarette argentato d’altri tempi e infilò uno dei cigarillos scuri che fumava in un bocchino d’avorio e d’argento e fece scivolare verso di lui l’accendino della Dunhill. Western le accese il cigarillo e lei si abbandonò contro lo schienale e incrociò le sue notevoli gambe con un distinto fruscio e soffiò una boccata di fumo verso l’alluminio goffrato del soffitto con studiata e voluttuosa disinvoltura. Grazie, tesoro, disse. Ai tavoli accanto clienti di ambo i sessi avevano completamente smesso di mangiare. Mogli e fidanzate si rodevano. Western la studiava con una certa attenzione. Nelle due ore che trascorsero lí lei non degnò di un solo sguardo nessun altro tavolo e lui si chiese dove l’avesse imparato. Cosí come le altre mille cose che sapeva.


Scendendo sono passato dal tuo club. Sei l’attrazione principale.


Sí. Sono una star, tesoro. Credevo lo sapessi.


Sapevo che era solo questione di tempo.


Hai davanti a te una donna del destino.


Si chinò a sistemarsi il cinghietto di una scarpa. Quasi sfilandosi dal vestito. Alzò gli occhi su di lui e sorrise. Dimmi di te, disse. Non chiami non scrivi non mi ami piú. Non ho nessuno con cui parlare, Bobby.


Hai quelli del tuo giro.


Dio. Non ne posso piú di froci. I loro discorsi. Una noia mortale.


Arrivò il cameriere coi menu. Riempí i bicchieri con l’acqua della caraffa. Lei reggeva la sigaretta scura ad altezza spalle come fosse una bacchetta magica e aprí il menu con l’altra mano.


Aiutami a scegliere. Io quell’orrido pesce al cartoccio non lo mangio.


Che ne dici delle capesante? Le Coquilles St-Jacques.


Non lo so. Sembra che i frutti di mare siano tutti inquinati.


Io prendo l’agnello.


Tu prendi l’agnello e io dovrei mangiare dei molluschi putrescenti.


Be’ puoi prendere l’agnello anche tu.


Grazie.


Prendi l’agnello?


Sí.


Ottima scelta. Vuoi del vino?


No, tesoro. Sei gentile a chiedere.


Lui chiuse il menu e lo posò sopra la carta dei vini.


Non vuol dire che tu non puoi prenderti un bicchiere.


Lo so. Sto bene cosí.


Hai cambiato numero?


Sí. Per cosí dire. Hai una matita?


No.


Aspetta che vedo se ne trovo una.


Lascia stare. Lo tengo a mente.


Le diede il numero del Seven Seas. 523-9793. Lei lo ripeté tra sé e sé.


È solo il numero del bar, disse lui. Ma mi trasmetteranno il messaggio.


Bene. Ti chiamerò.


Bene.


Si chinò a scrollare il cigarillo nel portacenere di vetro massiccio. Te li ricordi i bicentennial minutes?


Quegli spezzoni di storia che mandavano in onda durante il bicentenario?


Quelli. Ne ho sentito uno nuovo.


Okay.


Martha Washington e Betsy Ross sono sedute davanti al fuoco a cucire la prima bandiera e rievocano i tempi andati e tutte le feste e i balli eccetera e Betsy dice a Martha: Oh e ti ricordi il minuetto? E Martha dice santo cielo cara riesco appena a ricordarmi quelli che mi sono scopata.


Western sorrise.


Tutto qua? disse lei. Un sorrisino?


Scusa.


Non ti starai mica ingrugnando.


Gnendo.


Gnendo?


Piú corretto, credo. Non ti spiace se te lo dico?


No. Figurati. Ingrugnendo. Anzi mi piace di piú.


Ottimo. Mi sto già rasserenando.


Arrivò il cameriere con le posate. Ne arrivò un altro con il pane avvolto in un tovagliolo di stoffa. Quando tornò il loro Western ordinò per entrambi. Il cameriere annuí e si allontanò. Lei fece un lungo tiro di cigarillo e rovesciò la testa all’indietro in un arco lento, esalando. Lui non riusciva neanche a immaginare che vita facesse.


Secondo te è peggio mangiarsi un bell’agnellino o una vera schifezza tipo un maiale?


Non lo so. Secondo te?


Non lo so. Devono proprio chiamarlo agnello come l’animale? Perché non gli trovano un nome suo? Tipo prosciutto. O stoccafisso.


Non lo so. Hai mai pensato di diventare vegetariana?


Molte volte. Ma sono un’incorreggibile edonista. Una gourmand. Gourmette? Ordiniamo dell’acqua minerale?


Certo.


Fece un cenno al cameriere. Lei tolse dal bocchino il mozzicone mezzo bruciato e lo spense nel portacenere e posò il bocchino sulla tovaglia. Per il Messico ho deciso di no, disse. Alzò gli occhi su di lui.


Mi sembra una mossa intelligente.


Lo sapevo. Me la ricordo la nostra conversazione. Vuol dire aspettare un altro anno. Come minimo. Non è poco. Un anno è un anno. Ne avrò venticinque. Dio come passa.


Altroché. Hai paura?


No. Non ho paura. Sono terrorizzata.


Comprensibile.


Fa venire i brividi, vero?


Immagino. Sí.


Ho paura di tutto. Sono equilibri fragili.


Non si vede.


Grazie. Ci sto lavorando.


Sulla paura?


Non esageriamo. Lavoro perché non si veda. È tutta una farsa. Ma non saprei come altro muovermi. Tutto quello che vedi è costato del lavoro. Parecchio lavoro.


Ti credo. Scusa. Non era la cosa da dire.


Nessun problema. Ci sono ragazze che si accontentano di prendere gli ormoni e si tengono i loro cosi. Ma il genere ha una sua importanza. Io voglio essere una donna. Ho sempre invidiato le ragazze. Una piccola stronzetta. Ormai è tardi per quello. So che essere una femmina è una cosa piú vecchia perfino di essere un umano. Adesso voglio essere piú vecchia che posso. Atavicamente femminile. Quando avevo sette anni sono caduta da un albero e mi sono rotta un braccio e ho pensato che dal momento che comunque era rotto magari potevo torcerlo fino a riuscire a baciarmi il gomito, perché se ti baciavi il gomito da maschio ti trasformavi in femmina e viceversa, e sospetto che mi abbiano vista strattonarmi il braccio rotto urlando e mi abbiano legata alla barella credendo che fossi isterica. Spero davvero di arrivare alla vecchiaia. Finalmente potrò dire a tutti di baciarmi il culo. Be’, magari no. Molti mi prenderebbero alla lettera. O forse no. Sarei vecchia. Basta solo che non sia povera. Te l’ho detto che mia sorella è venuta a trovarmi? No, ovvio che no. Mia sorella è venuta a trovarmi. Si è fermata una settimana. Vacanze scolastiche. Siamo state da Dio. È veramente fantastica. Alla fine se ne andava in giro per casa in mutande. Per me ha significato moltissimo.


Ha distolto lo sguardo e si è sventagliata gli occhi col tovagliolo. Scusa. È che quando si tratta di lei divento tremendamente sentimentale. Quando se n’è andata ho pianto come una fontana. È cosí bella. E intelligente. Mi sa che è pure piú intelligente di me.


Quanti anni ha?


Sedici. Sto cercando di convincerla a fare l’università. Le ho detto che la aiuterei. Dio, ho bisogno di soldi. Oh bene. Acqua. Sto morendo di sete.


Il cameriere riempí i bicchieri. Lei toccò con il proprio il bicchiere di lui. Grazie, Bobby. Mi fa proprio piacere.


Il cameriere arrivò con i piatti. Lei mangiava lentamente prestando molta attenzione al cibo. Mi guardi mangiare, disse.


Sí.


È l’unica cosa zen che abbia mai avuto davvero. Essere nell’attimo presente. E tra l’altro fa bene alla linea. Perché io adoro mangiare. Sarà la mia rovina. Nessun problema. Guarda pure. Tanto non mi piace mangiare e parlare allo stesso tempo.


Alzò gli occhi su di lui e sorrise. Parla pure, ti ascolto. Una volta tanto.


Mentre il cameriere serviva il caffè tirò fuori un’altra delle sue sigarettine cubane, Western prese dal tavolo l’accendino e gliel’accese. Ci vai mai a Greeneville? chiese.


Lei si soffiò un sottile filo di fumo al di sopra della spalla. Non bisogna aspirare, con questi. È per questo che li fumo. E per l’aspetto estetico, certo. E l’odore. Ma aspiro comunque. Un pochino. Sono di contrabbando, ovviamente. Vengono dal Messico. O da Cuba via il Messico. No. È troppo dura. La fa solo star male. La chiamo piú o meno una volta a settimana. Ciao. Come stai. Io bene. Tu. Meno male. Forse dovrei, non lo so. Non ti ho mai davvero raccontato della mia vita. Non mi piace parlare di cose tristi.


Hai avuto una vita triste?


No. Non ho avuto una vita triste. Ma ferire le persone è triste. Temo di essermela gestita male. Avrei dovuto darle la notizia poco per volta. Anche se non saprei bene come. Magari potremmo andarci con la tua Maserati. Un viaggio in macchina. Non sono mai stata a Wartburg. Quanto ci vorrebbe?


Non molto.


Ho cercato di dirglielo. Piú o meno. Ma ovviamente lei non ascoltava. Dio. Sono arrivata a casa sua con una macchina in affitto e sono scesa e ho fatto il giro sul retro e lei era lí nel giardino. Non sapevo proprio cosa mettermi. Mi sono semplicemente avvicinata al recinto e ho detto ciao. Lei ovviamente non aveva la minima idea di chi fossi. Ha alzato gli occhi e ha detto: Sí? E io ho detto: Ma’, sono William. E per un attimo lei si è inginocchiata lí nella terra e poi si è portata una mano alla bocca e sulle sue guance hanno cominciato a scorrere certi lacrimoni. Se ne stava lí in ginocchio. Scrollando la testa. Manco le avessero detto che era morto qualcuno. Be’, immagino che qualcuno fosse morto in effetti. Alla fine le ho detto che forse era meglio entrare in casa e lei si è alzata e siamo andate in cucina e lei ha preparato del caffè istantaneo. Che io detesto. Ed eccoci lí. Io che cercavo di sorriderle con questi denti che avevo pagato quattromila dollari. Ero vestita in modo abbastanza convenzionale ma presumo che la camicetta fosse piuttosto rivelatrice, e comunque lei continuava a guardarmi e alla fine ha detto: Posso chiederti una cosa? E io ho detto certo. Puoi chiedermi quello che vuoi. E lei ha detto: Sono vere?

Insomma. La stava prendendo talmente male che ho pensato di prenderla un po’ in giro, e avevo addosso quegli orecchini d’oro con la perla. Belle perle. Giapponesi. Circa nove millimetri, con una bella lucentezza e una delicata sfumatura rosa. Al che me ne sono tirato uno e ho detto: Sí, sono vere. Me le hanno regalate. Ed era cosí. Lei è sembrata ancora piú perplessa e ha detto no. Ha detto: Intendo le… E ha accennato vagamente alle mie tette con il dorso della mano.

Al che io ci ho infilato le mani sotto e me le sono spinte fin sotto il mento e ho detto: Ah. Parli di queste? E lei ha distolto lo sguardo e ha annuito e io ho detto: Sí, sono vere. Tanto quanto possono renderle vere gli ormoni e il silicone. E lei ha riattaccato a singhiozzare e non mi guardava e alla fine ha detto: Hai le mammelle.

Mammelle, tesoro. Dio. L’unica cosa che mi è venuta in mente è quel ristorante a Tijuana dove andavamo sempre. In città era praticamente l’unico posto dove facevano delle bistecche come si deve. Manzo argentino. E naturalmente la carta era in spagnolo, ma sull’altra pagina c’erano le traduzioni in inglese e nel menu avevano un piatto che se guardavi l’inglese diceva mammelle di pollo. Immagino che qualcuno gli avesse detto che petto era allusivo. Per cui mammelle. Gesú. Il colpo di grazia. Non so perché, ma mi ha fatto veramente girare il cazzo. L’ho guardata e ho detto: Cerca di non vederla come se perdessi un figlio, ma’. Cerca di vederla come se guadagnassi un mostro. A quel punto è scoppiata a piangere come una fontana. Insomma. Ecco. Credo di averti detto che con me lei non voleva andare da nessuna parte. Non si faceva vedere, con me. Mi sono fermata due giorni. Avevo una borsetta piena di… com’è che li chiama John? Centoni fiammanti?

Centoni fiammanti.

Forse qualcosa come tremila dollari. Un ritorno a casa in gran pompa. Ci avevo fantasticato su migliaia di volte. Avevo intenzione di portarla a Knoxville a fare shopping da Miller e poi a pranzo al Regas. Dio. Che idiota. Cosa pensavo? Mi ha chiesto se usavo il bagno delle donne. Voglio dire, sul serio pensava che potessi entrare in un bagno degli uomini con questo aspetto? Per cui niente. Un fiasco totale, cazzo. Scusa. Sto cercando di smettere di dire le parolacce. Circa un’ora dopo mia sorella è tornata da scuola e ovviamente non aveva idea di chi fosse quella creatura. Seduta in cucina con sua madre. Finché non le ho parlato. Aveva dodici anni. Si è limitata a guardarmi e ha detto: William? Sei tu? Sei bellissimo. E a quel punto sono scoppiata in singhiozzi. Dio quanto amo quella bambina.


Se non sbaglio mi avevi detto che tuo padre era morto.


Sí. È morto quando io avevo quattordici anni. Un periodo terribile. Non mi poteva vedere. Pagava i miei compagni per picchiarmi dopo la scuola.


Non scherzare.


Non scherzo, tesoro. Dopo un po’ si sono stancati perfino loro. Non li prendevano piú, i suoi soldi. Ed erano un branco di piccole merde infami che neanche ti immagini. Lui dal canto suo si era stancato di menarmi perché aveva queste ossa? O questi ossi?


Ossa.


Queste ossa del collo che gli davano problemi e ogni volta che mi picchiava aveva male al collo per giorni. Io gli dicevo che probabilmente era il lascito di una vita precedente in cui era stato impiccato, ma come immaginerai lui non ci trovava niente da ridere. Né in quello né in altro, se è per questo. Fatto sta che nella casa accanto c’era questo cane che all’epoca mi terrorizzava. Si scagliava contro la staccionata ringhiando e sbavando e aveva questi occhi da pazzo e mio padre e quell’orribile bestia sono morti lo stesso giorno. E la mattina dopo mi sono svegliata e sono rimasta sdraiata nel mio letto e mi aveva pervaso un incredibile senso di pace. Era sublime. Non ci sono altre parole per descriverlo. Ho capito che ero libera e che la libertà era proprio come si dice. Che vale qualunque sacrificio. E ho capito che avrei avuto la vita che sognavo. Per la prima volta in vita mia ero felice e questo compensava tutto quanto. Tutto. Era un vero e proprio regalo. Ero proprio trasformata. E poi avevo questa forza. E non ero piú arrabbiata. Il mio cuore era pieno di amore. Credo che lo fosse sempre stato. Scusami. Sto per fare uno scempio.


Prese un fazzoletto di lino dalla borsetta e aprí il portacipria e si tamponò gli occhi. Chiuse il portacipria e lo mise via e guardò Western e sorrise. Sicuro di voler sentire tutto questo?


Sí. Certo.


Bene. Un anno dopo lavoravo a New York in questo ristorante esclusivo e dividevo un appartamento in un palazzo senza ascensore con una vera ragazza. Avevo quindici anni. Mi ero procurata dei documenti finti e guadagnavo molto bene e lavoravo sul mio inglese e avevo iniziato la mia cura ormonale. Il medico da cui andavo mi ha detto che ero un gracile mesomorfo. E io ho detto certo e tu sei un brutto rottinculo. Perché a quel punto eravamo amici. Però gli ho chiesto cosa voleva dire e lui ha detto vuol dire che sarai una bella ragazza. E io ho detto non basta. Che ne dici di spettacolare? E lui ha sorriso e ha detto: Si vedrà. E si è visto. Mi ricordo che una mattina sono uscita per andare in rosticceria e tipo trotterellavo giú per le scale. In jeans e maglietta e nient’altro. E avevo le tette che ballonzolavano. Dio. Ero cosí emozionata. Ho risalito le scale di corsa e sono tornata giú trotterellando.


A quel punto manco a dirlo avevo iniziato a bere, e questa cosa ha rischiato di distruggermi. Ero un’alcolista nata. Meno male che ho incontrato qualcuno. Una fortuna sfacciata. Mi ha portato agli AA. Avevo un problema con la faccenda di Dio. Ce l’hanno in tanti. Finché una volta mi sono svegliata in piena notte ed ero lí sdraiata e ho pensato: Se una potenza superiore non c’è allora sono io. E a quest’idea mi sono cacata sotto. Non c’è nessun Dio e io sono lei. Cosí ho iniziato a lavorarci sul serio. Ci sto ancora lavorando. Forse è cosí che dev’essere. Comunque qualche progresso l’ho fatto. Gliene volevo a morte per avermi rovinata in quel modo ma forse non è cosí perfetto come alla gente piace pensare. Ha parecchia carne al fuoco e deve arrangiarsi da solo. Senza nessun aiuto.


Tu ci credi in Dio?


Sinceramente?


Certo.


Non so chi o che cosa sia Dio. Ma non credo che tutto questo sia arrivato qui da solo. Io inclusa. Forse tutto evolve esattamente come dicono. Ma se indaghi la fonte, a un’intenzione alla fin fine ci arrivi per forza.


Indagare la fonte?


Ti piace? È Pascal. Circa un anno piú tardi mi sono di nuovo svegliata ed era come se avessi sentito questa voce nel sonno e riuscivo ancora a sentirne l’eco e diceva: Se qualcosa non ti avesse amato non saresti qui. E mi sono detta okay. D’accordo. Ci sta. Non sembrerà chissà che. Ma per me lo era. Per cui faccio come dice il programma, Bobby. Un giorno alla volta. Ho bisogno di passare piú tempo con le donne e non è facile. Si sentono minacciate. Oppure diventiamo amiche e glielo dico, e allora ti accorgi che subentra una distanza. Salvo rare eccezioni. Molto rare. Sto cercando di convincere Clara a trasferirsi. Ad andare a scuola qui. Prova a indovinare chi si oppone. Ho letto parecchio sul dimorfismo sessuale nel cervello. Potrebbe essere piú duttile di quanto si pensi. Non è da escludere che si possa modificare. Sai bene dove sto andando a parare, ne abbiamo parlato. Voglio avere un animo femminile. Voglio essere contenuta dall’animo femminile. Ecco cosa voglio, non voglio altro. Pensavo che forse non sarebbe mai stata una cosa alla mia portata, ma adesso ho cominciato ad avere fede. Quando prego, prego per questo. Perché mi venga aperta la porta. Per entrare a far parte del femminile. In realtà col sesso c’entra ben poco. Col fatto di fare sesso. E tutto il resto è fuffa.


Sorrise. Alzò un braccio esile e guardò il sottile Patek Philippe Calatrava d’oro bianco che aveva al polso. Che ore sono? chiese.

Le due e diciotto.

Molto bene.

È un orologio dell’anteguerra?

Esatto. Zero complicazioni.

La storia della tua vita.

La storia della mia nuova vita. La mia vita come la vorrei. Devo andare. Alle tre ho un appuntamento telefonico. Sei un amore tesoro. Grazie. E grazie per aver ascoltato tutte le mie sciagure. Non ti ho neanche chiesto di te. Ti chiamo. Va bene?

Sí.

Lui pagò il conto e si alzarono. L’unica cosa che non mi piace del sedersi davanti è che non hai l’occasione di attraversare il locale.

Fai abbastanza danni cosí.

Lo so. Ci devo convivere e basta.

Sul marciapiede lo baciò sulle guance. Ti conosco da un sacco di tempo e mai una volta che mi sia chiesta cos’è che vuoi.

Da te?

Da me. Sí. È molto strano per me. Grazie.

Lui la seguí con gli occhi finché si perse fra i turisti. Uomini e donne indistintamente si voltavano a guardarla. Pensò che la bontà divina appare in posti strani. Tieni gli occhi aperti.