sabato 30 settembre 2023

DUE POESIE D'AMORE INGLESI Jorge Luis Borges

DUE POESIE D'AMORE INGLESI

Jorge Luis Borges

Due poesie d'amore

 René Magritte, Amore a distanza, 1930

Queste sono tra le pochissime poesie scritte non in spagnolo da Borges, che comunque conosceva benissimo l’inglese. Nel quart'ultimo verso, usa il termine kernel; in traduzione è reso con essenza,  ma inevitabilmente riduce un po’ della ricchezza che questa parola ha nella lingua inglese.

"I offer her that kernel of myself that I have saved, somehow – the central heart that deals not in words, traffics not with dreams and is untouched by time, by joy, by adversities”

Il kernel è l’essenza, il cuore, il nocciolo, inteso anche in senso vegetale: è la parte morbida del seme, quella contenuta all’interno del guscio – da qui è poi passato ad indicare la parte più importante di qualcosa.

Ecco, io trovo che questa sia un’immagine bellissima dell’amore: il donare la nostra vera essenza, protetta dal guscio che le costruiamo intorno, e che scegliamo di mostrare solo talvolta, mettendo completamente a nudo la parte più preziosa e vulnerabile di noi.

DUE POESIE INGLESI

I

L’alba vana mi coglie sull’angolo deserto di una strada; sono sopravvissuto alla notte.

Le notti sono onde altere: onde di tenebra blu, dalle cime incombenti, cariche d’ogni sfumatura del bottino abissale, di cose incredibili e desiderabili.

Le notti offrono sempre misteriosi regali e rifiuti, cose metà cedute, metà trattenute, gioie con un emisfero cupo. È così che si comportano le notti, te lo giuro.

I flutti, quella volta, mi hanno lasciato i soliti relitti, i consueti detriti: qualche amico aborrito per parlare, musica per i sogni, e il fumo di ceneri amare. Cose del tutto inutili per un cuore affamato.

La grande ondata ha portato te.

Parole, parole qualsiasi, la tua risata; e tu così pigramente, così incessantemente bella. Abbiamo parlato e tu hai dimenticato le parole.

L’alba disastrosa mi coglie in una strada deserta della mia città.

Il tuo profilo che si volta e si allontana, i suoni che compongono il tuo nome, la cadenza della tua risata: ecco gli splendenti giocattoli che mi hai lasciato.

Li osservo nella luce nascente, li perdo, li ritrovo; li descrivo ai pochi cani randagi, alle poche stelle randagie dell’alba.

La tua vita ricca e oscura…

Devo raggiungerti in qualche maniera: metto via gli splendenti giocattoli che mi hai lasciato, voglio il tuo sguardo nascosto, il tuo vero sorriso, quel sorriso beffardo e solitario che il tuo impassibile specchio conosce.      

                                                    

II

Con cosa posso trattenerti?

Ti offro povere strade, tramonti disperati, la luna dei laceri sobborghi.

Ti offro l’amarezza di un uomo che ha guardato a lungo, molto a lungo, la luna solitaria.

Ti offro i miei antenati, i miei morti, i fantasmi che i vivi hanno onorato oggi col bronzo: il padre di mio padre ucciso ai confini di Buenos Aires con due pallottole dentro i polmoni, morto barbuto che i suoi soldati avvolsero in una pelle di vacca; il nonno di mia madre, ventiquattrenne appena quando guidò la carica dei suoi trecento uomini in Perù, ormai spettri su cavalli svaniti.

Ti offro ogni intuizione racchiusa nei miei libri e quanta virilità o buon umore ha la mia vita.

Ti offro la lealtà di un uomo che non fu mai leale.

Ti offro la mia essenza, salvata non so come, quel centro del cuore che non tratta parole, non traffica coi sogni e non è mai toccato dal tempo, dalla gioia o dalle avversità.

Ti offro il ricordo di una rosa gialla vista anni fa al tramonto, prima che tu nascessi.

Ti offro spiegazioni di te stessa, teorie su di te, notizie vere e sorprendenti al tuo riguardo.

Ti posso dare la mia solitudine, le mie tenebre, la fame del mio cuore; cerco di allettarti con l’incertezza, il pericolo, la sconfitta.

Traduzione di Ilide Carmignani


TWO ENGLISH POEMS

Por Jorge Luis Borges (1934)

I.

The useless dawn finds me in a deserted streetcorner; I have outlived the night.

Nights are proud waves: darkblue topheavy waves laden with all hues of deep spoil, laden with things unlikely and desirable.

Nights have a habit of mysterious gifts and refusals, of things half given away, half withheld, of joys with a dark hemisphere. Nights act that way, I tell you.

The surge, that night, left me the customary shreds and odd ends: some hated friends to chat with, music for dreams, and the smoking of bitter ashes. The things my hungry heart has no use for.

The big wave brought you.

Words, any words, your laughter; and you so lazily and incessantly beautiful. We talked and you have forgotten the words.

The shattering dawn finds me in a deserted street of my city.

Your profile turned away, the sounds that go to make your name, the lilt of your laughter: these are the illustrious toys you have left me.

I turn them over in the dawn, I lose them; I tell them to the few stray dogs and to the few stray stars of the dawn.

Your dark rich life…

I must get at you, somehow: I put away those illustrious toys you have left me, I want your hidden look, your real smile –that lonely, mocking smile your mirror knows.


II.

What can I hold you with?

I offer you lean streets, desperate sunsets, the moon of the ragged suburbs.

I offer you the bitterness of a man who has looked long and long at the lonely moon.

I offer you my ancestors, my dead men, the ghost that living men have honoured in marble: my father’s father killed in the frontier of Buenos Aires, two bullets through his lungs, bearded and dead, wrapped by his soldiers in the hide of a cow; my mother’s grandfather –just twentyfour- heading a charge of three hundred men in Perú, now ghosts on vanished horses.

I offer you whatever insight my books may hold, whatever manliness humour my life.

I offer you the loyalty of a man who has never been loyal.

I offer her that kernel of myself that I have saved, somehow – the central heart that deals not in words, traffics not with dreams and is untouched by time, by joy, by adversities.

I offer you the memory of a yellow rose seen at sunset, years before you were born.

I offer you explanations of yourself, theories about yourself, authentic and surprising news of yourself.

I can give you my loneliness, my darkness, the hunger of my heart; I am trying to bribe you with uncertainty, with danger, with defeat.


venerdì 29 settembre 2023

«Il deserto dei tartari» di Dino Buzzati nella lettura di Jorge Luis Borges

 


«Il deserto dei tartari» di Dino Buzzati nella lettura di Jorge Luis Borges

L’angoscia e la magia dell’attesa

di Lucio Coco


Nel 1985 l’editrice Hyspaméria di Buenos Aires avviò la pubblicazione della Biblioteca personal di Jorge Louis Borges. Nelle intenzioni dello scrittore argentino dovevano essere cento libri ma la sua morte avvenuta un anno dopo impedì che l’opera si completasse e la serie si fermò alla cifra di 64 volumi. In questa collezione di lusso, Il deserto dei tartari, di cui ricorrono i quarant’anni della pubblicazione (per Rizzoli, nella collana «Il sofà delle muse» diretta da Leo Longanesi), figura tra i primi sei titoli. 

Scrive Borges nel prologo, spiegando le ragioni delle sue scelte, di aver tenuto conto soprattutto «del piacere del lettore» (cito dall’edizione Biblioteca personal, Alianza Editorial, Madrid, 1988). A guidarlo era stato solo il suo fiuto «di lettore sensibile e riconoscente» che della lettura, prima ancora che della scrittura, aveva fatto il suo motivo di orgoglio e la ragione della sua fierezza; come egli stesso ebbe a dire una volta: «Che gli altri si vantino dei libri che hanno scritto, io mi vanterò di quelli che ho letto». Dopo essersi assicurato in questo modo il patto con il lettore, sempre nel prologo, Borges passa a descrivere come avviene l’incontro tra un libro e chi lo legge: «Un libro — scrive — è una cosa tra le cose, un volume perso tra i volumi che popolano l’universo indifferente» e questo fino a quando non trova il suo lettore ovvero «l’uomo destinato ai suoi simboli».

La lettura è proprio in questo incontro, nell’avvertire che quel libro è fatto per noi. In realtà non siamo noi a leggere il libro, ma è il libro a leggerci, a scoprirci, a decifrarci. Borges parla dell’«emozione» che produce in noi questo momento, e lo definisce come «un meraviglioso mistero che né la psicologia né la retorica riescono a spiegare». 

L’auspicio, posto a conclusione, della premessa: «Spero che tu sia il lettore che questo libro ha atteso», forse più che alle altre opere della selezione, è quello che meglio si adatta a Il deserto dei tartari, sesto volume della Biblioteca personal di Borges. Forse perché in esso si fa riferimento a due parole chiave del romanzo, che lo definiscono perfettamente, «il libro dell’attesa». Ed è interessante a questo punto seguire la lettura che ne fa Borges in un secondo prologo che precede il romanzo nella collana progettata dell’editrice argentina. Innanzitutto lo definisce un «classico», cosa non facile quando si tratta di autori contemporanei: «Sono troppi — scrive — e il tempo non ha ancora rivelato la sua antologia».

Poi ne tratteggia la biografia: «Buzzati nasce nel 1906 nell’antica città di Belluno, in Veneto e vicino al confine austriaco. Era un giornalista e in seguito si dedicò alla letteratura fantastica. Il suo primo libro, Bàrnabo delle montagne, risale al 1933; l’ultimo, I miracoli di Val Morel, al 1971, un anno prima della sua morte». Per quanto riguarda le sue ascendenze letterarie Borges riporta che «l’influenza di Poe e del romanzo gotico erano state da lui stesso dichiarate», mentre altri per lui «hanno parlato di Kafka».

Naturalmente questi due modelli non sono in conflitto tra di loro, perché dunque, si chiede, «senza alcun pregiudizio per Buzzati, non accettare entrambi gli illustri maestri?».

Poi l’autore de La biblioteca di Babele parla della produzione del prosatore bellunese, sottolineando due elementi in particolare, da una parte il realismo magico e dall’altra l’angosciosa dimensione esistenziale: «La sua vasta opera, non di rado allegorica, emana angoscia e magia».

In questo modo lo scrittore argentino mette in evidenza due fattori che influenzano decisamente anche l’atmosfera de Il deserto dei tartari. Questo libro, spiega Borges sempre nel prologo, «che è forse il suo capolavoro e che ha ispirato un bellissimo film di Valerio Zurlini, è governato dal metodo della procrastinazione indefinita e quasi infinita, cara agli eleati».

Siamo così giunti alla definizione di quella che è la legge che governa il romanzo di Buzzati, secondo Borges la postergación, il rinvio infinito, in un gioco di rimandi che ricorda la scuola di Elea e il paradosso di Zenone di Achille e della tartaruga, che rende impossibile il movimento mentre attesta che l’infinita divisibilità equivale all’indivisibilità del tutto.


Anche il capolavoro di Buzzati è permeato di questa immobilità e del fatto che il movimento è solo illusione. In esso infatti non accade niente e quante volte appare illusorio agli stessi soldati della fortezza Bastiani anche il movimento dei barbari lungo confine... Eppure, continua Borges, a differenza di Kafka, anche lui un maestro della proroga e del differimento, a prevalere non è il tono, tipico delle narrazioni dello scrittore praghese, «volutamente grigio e mediocre, che ha il sapore della burocrazia e della noia».


Questo non è il caso del romanzo di Buzzati. Qui, scrive Borges, «c’è una vigilia, che è quella di una grande battaglia, temuta e attesa». In questa prospettiva l’apparente scorrere monotono e uguale del tempo trova un suo orientamento e un suo senso proprio nella preparazione all’evento.


Per questo motivo il libro, proprio mentre descrive un nulla di avvenimenti, è sottratto alla legge della noia e inserito in una dimensione più grande, da cui trae la sua giustificazione, che è quella l’attesa. Il deserto dei tartari è infatti per Borges come una grande «veglia», i turni di guardia dei soldati, le loro vigiliae sugli spalti della fortezza sul confine più lontano, non fanno altro che scandire i momenti di questa preparazione e non ne sono che una metafora. «In tal modo Buzzati, in queste pagine, riporta il romanzo all’epopea, che ne fu la fonte», spiega Borges, rilevando la contraddizione, l’ossimoro, che anima e tiene vivo tutto il romanzo e non lo consegna a nessuna deriva nichilistica ma lo agita con l’attesa di un senso: «Il deserto è reale ed è simbolico. È vuoto eppure l’eroe aspetta la folla».





mercoledì 27 settembre 2023

LA CASA DI ASTERIONE Estratto da L’Aleph Jorge Luis Borges,


         LA CASA DI ASTERIONE 

 Estratto da L’Aleph

Jorge Luis Borges,

Feltrinelli, 1959

 Recensione 

Protagonista del racconto di Borges è Asterione, un'inquietante figura che vive un'esistenza solitaria in una casa dalla struttura intricata. Temuta da tutti per la sua diversità, vive relegato nel suo labirinto lamentandosi della sua solitudine e auspicando che prima o poi qualcuno giunga a salvarlo.

 Per comprendere il racconto di Borges bisogna co￾noscere il mito di Asterione, più noto con il nome di Minotauro. Secondo la tradizione più diffusa, Minos￾se, figlio di Zeus ed Europa, si fece re di Creta a danno dei fratelli Radamanto e Sarpedonte, e a legittimazio￾ne del suo diritto al trono chiese a Poseidone di far emergere dal mare un toro, promettendo di sacrificar￾lo. Avendo poi tenuto per sé il bellissimo animale, si attirò la vendetta del dio: questi ispirò alla sposa di Minosse, Pasifae, un’irresistibile passione per il toro, al quale ella si unì introducendosi in una vacca lignea costruitale da Dedalo. Dall’unione nacque Asterione, mostro dal corpo umano e dalla testa taurina, che il re rinchiuse nel labirinto costruito dallo stesso De￾dalo. Il mostro (che nella denominazione di Minotauro unisce il nome di Minosse al vocabolo latino per toro, taurus) veniva nutrito ogni anno (secondo altre ver￾sioni, ogni tre o nove anni) con nove fanciulli e nove fanciulle (o sette) che la città di Atene doveva fornire in sacrificio. Ma l’eroe Teseo, con l’aiuto di Arianna, figlia di Minosse, uccide il mostro e libera Atene da quell’orribile tributo.

 In questo misterioso racconto di Borges, solo le ul￾time parole rivelano la vera identità del protagonista, fino a questo momento pressoché irriconoscibile. In questa rielaborazione del mito, infatti, il ruolo del Minotauro è capovolto rispetto alla versione originale. Nel mito classico, esso è un mostro orribile e violento che si sazia soltanto di carne umana; qui egli vive solitario, aggirandosi nel labirinto-prigione, condannato alla solitudine dalla sua diversità: nessuna creatura lo accetta né lui dimostra un vero inte￾resse verso gli esseri umani. L’unico modo per uscire dal suo isolamento è l’invenzione di un doppio, un altro Asterione con cui dialogare e rispecchiarsi, ma che non può liberarlo dalla sua condizione. In questo senso, egli attende la morte come una liberazione, che gli sarà infine offerta da Teseo, qui nell’ambiguo ruolo di carnefice-salvatore. Asterione diventa così il simbolo della condizione umana, destinata all’incomunicabilità e alla solitudine.Tutta la produzione letteraria di Borges è densa di simboli. Il labirinto è uno dei più ricorrenti: esso rappresenta l’impossibilità da parte dell’uomo di trovare una verità assoluta, un senso definitivo della propria esistenza. La vita è così l’interminabile ricerca di una via d’uscita da un labirinto che l’uomo stesso crea nel momento stesso in cui cerca di fuggirne. 


LA CASA DI ASTERIONE

 So che mi accusano di superbia, e forse di misantropia', o di pazzia. Tali accuse (che punirò al momento giusto) sono ridicole. E vero che non esco di casa, ma è anche vero che le porte (il cui numero è infinito) restano aperte giorno e notte agli uomini e agli animali. Entri chi vuole. Non troverà qui lussi donsneschi né la splendida pompa dei palazzi, ma la quiete e la solitudine. E troverà una casa come non ce n'è altre sulla faccia della terra. (Mente chi afferma che in Egitto ce n'è una simile.) Perfino i miei calunniatori ammettono che nella casa non c'è un solo mobile. Un'altra menzogna ridicola è che io, Asterione, sia un prigioniero. Dovrò ripetere che non c'è una porta chiusa, e aggiungere che non c'è una sola serratura? D'altronde, una volta al calare del sole percorsi le strade; e se prima di notte tornai, fu per il timore che m'infondevano i volti della folla, volti scoloriti e spianati, come una mano aperta. Il sole era già tramontato, ma il pianto accorato d'un bambino e le rozze preghiere del gregge dissero che mi avevano riconosciuto. La gente pregava, fuggiva, si prosternava"; alcuni si arrampicavano sullo stilobate del tempio delle Fiaccole, altri ammucchiavano pietre. Qualcuno, credo, cercò rifugio nel mare. Non per nulla mia madre fu una regina; non posso confondermi col volgo, anche se la mia modestia lo vuole.

 La verità è che sono unico. Non m'interessa ciò che un uomo può trasmettere ad altri uomini; come il filosofo, penso che nulla può essere comunicato attraverso l'arte della scrittura. Le fastidiose e volgari minuzie non hanno ricetto nel mio spirito, che è atto solo al grande; non ho mai potuto ricordare la differenza che distingue una lettera dall'altra. Un'impazienza generosa non ha consentito che imparassi a leggere. A volte me ne dolgo, perché le notti e i giorni sono lunghi. Certo, non mi mancano distrazioni. Come il montone che s'avventa, corro pei

corridoi di pietra fino a cadere al suolo in preda alla vertigine. Mi acquatto all'ombra di una cisterna e all’angolo d’un corridoio e giuoco a rimpiattino

. Ci sono terrazze dalle quali mi lascio cadere, finché resto insanguinato. In qualunque mo￾mento posso giocare a fare l’addormentato, con gli occhi chiusi e il respiro pesan￾te (a volte m’addormento davvero; a volte, quando riapro gli occhi, il colore del giorno è cambiato). Ma, fra tanti giuochi, preferisco quello di un altro Asterione. 

Immagino ch’egli venga a farmi visita e che io gli mostri la casa. Con grandi inchini, gli dico: “Adesso torniamo all’angolo di prima,” o: “Adesso sbocchiamo in un 

altro cortile,” o: “Lo dicevo io che ti sarebbe piaciuto il canale dell’acqua,” oppu￾re: “Ora ti faccio vedere una cisterna che s’è riempita di sabbia,” o anche: “Vedrai 

come si biforca la cantina.” A volte mi sbaglio, e ci mettiamo a ridere entrambi.

Ma non ho soltanto immaginato giuochi; ho anche meditato sulla casa. Tut￾te le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa è un altro luogo. Non ci sono una cisterna, un cortile, una fontana, una stalla; sono infinite le stalle, le fontane, i cortili, le cisterne. La casa è grande come il mondo. Tuttavia, a forza di percorrere cortili con una cisterna e polverosi corridoi di pietra grigia, raggiunsi la strada e vidi il tempio delle Fiaccole e il mare. Non compresi, finché una visio￾ne notturna mi rivelò che anche i mari e i templi sono infiniti. Tutto esiste molte 

volte, infinite volte; soltanto due cose al mondo sembrano esistere una sola volta: in alto, l’intricato sole; in basso, Asterione. Forse fui io a creare le stelle e il sole e questa enorme casa, ma non me ne ricordo.

Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni ma￾le. Odo i loro passi o la loro voce in fondo ai corridoi di pietra e corro lietamen￾te incontro ad essi. La cerimonia dura pochi minuti. Cadono uno dopo l’altro, senza che io mi macchi le mani di sangue. Dove sono caduti restano, e i cadaveri aiutano a distinguere un corridoio dagli altri. Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizzò, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redento￾re. Da allora la solitudine non mi duole, perché so che il mio redentore vive e un giorno sorgerà dalla polvere. Se il mio udito potesse percepire tutti i rumori del mondo, io sentirei i suoi passi. Mi portasse a un luogo con meno corridoi e meno porte! Come sarà il mio redentore? Sarà un toro o un uomo? Sarà forse un toro con volto d’uomo? O sarà come me?

Il sole della mattina brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue. “Lo crederesti, Arianna?” disse Teseo. “Il Minotauro non s’è quasi difeso.”

 

Nota dell'autore: a. L'originale dice quattordici, ma non mancano motvi per inferire che, in bocca di Asterione, questo aggettivo numerale vale infiniti.

 1. misantropia: odio dell'umanità, tendenza a evitare ogni contatto umano.

 2. pompa: ostentazione di lusso sfrenato.

 3. accorato: addolorato.

 4. gregge: la folla, che Asterione disprezza, è paragonata a un gregge di pecore.

 5. si prosternava: si inchinava fino a terra.

6. stilobate: basamento delle colonne.

 7. come il filosofo: molti filosofi dell'antica Grecia non credevano che la conoscenza potesse essere afidata all'arte della scrittura: tra questi, Socrate è di certo il più celebre.

 8. non hanno ricetto: non vengono accolte.

 

lunedì 25 settembre 2023

CAVALLI SELVAGGI Cormac McCarthy


CAVALLI SELVAGGI
Cormac McCarthy
(All the Pretty Horses - 1992)

Recensione
Vale Flip
Cormac McCarthy.  Cavalli selvaggi.
Quello che ho pensato dopo qualche decina di pagine...è che sì, è proprio lui, capace di raccontarti un paesaggio nelle sue infinite, mutevoli varianti; raccontartelo passo dopo passo, con tutto il suo corredo di monti, laghi,erbe, nubi e stelle, e andare avanti per pagine senza ripetersi , tenendo tesa la tua attenzione. Descrive l'America dei grandi spazi, dei grandi silenzi, degli animali selvatici, del ricordo dei pellerossa.
Questo, nelle prime 100 pagine del libro, è quello su cui l'autore maggiormente si diffonde. Certo, al di là di questa lunga cavalcata c'è anche la storia. Storia di ragazzi , impazienti, migranti, cowboy, domatori di cavalli, amanti dei cavalli. Sono inizialmente due ragazzi, poi tre, e ancora due; alla fine rimane lui, il protagonista massimo, con l'anima del giusto e l'incertezza del giovane. 
Si parla anche di sentimenti, e McCarthy è bravissimo; tocca con poche parole, ma sono di quelle che sospingono nubi e generano temporali, grandine e saette. Sono sequenze rapide, ma rimangono negli occhi; sai e non sai, quindi ci aggiungi di tuo, immagini. Ti emozioni.
Si parla di ragazzi dicevo, e del loro passaggio tumultuoso all'età adulta in un tempo per loro ancora acerbo, ma hanno intraprendenza, iniziativa, coraggio.
Il narratore è  attento, accurato nei dettagli, preciso e mai stanco di raccontare. Scrittura elegante, non c'è  dubbio.
CAVALLI SELVAGGI 
PARTE PRIMA
La fiamma della candela e la sua immagine riflessa nello specchio si contorsero e si raddrizzarono quando entrò nell'ingresso e di nuovo quando chiuse la porta. Si tolse il cappello, avanzò lentamente facendo scricchiolare il pavimento di legno sotto gli stivali e rimase in piedi, vestito di nero, davanti allo specchio scuro nel quale i pallidi gigli si protendevano dall'esile vaso di cristallo. Nel freddo corridoio alle sue spalle, alle pareti rivestite di legno erano appesi i ritratti, incorniciati sotto vetro e fiocamente illuminati, di alcuni avi che conosceva solo vagamente. Abbassò lo sguardo sul mozzicone di una candela gocciolante, lasciò l'impronta del pollice nella cera tiepida colata sul ripiano di quercia e guardò quel viso smunto affondato fra le pieghe del raso funebre, i baffi ingialliti e le palpebre sottili come carta. No, non era sonno. Non era affatto sonno.
Fuori faceva buio e freddo e non tirava un alito di vento. In lontananza un vitello muggì lamentosamente. Lui rimase in piedi col cappello in mano. Da vivo non ti pettinavi mai così, mormorò.
Il silenzio in cui era immersa la casa era rotto soltanto dal ticchettio dell'orologio che si trovava sulla mensola del camino in salotto. Uscì e chiuse la porta.
Buio, freddo, non un filo di vento e un sottile chiarore che cominciava a spuntare lungo il confine orientale del mondo. Fece qualche passo verso la prateria, s'arrestò tenendo in mano il cappello, quasi a supplicare l'oscurità in cui era immersa ogni cosa, e restò immobile a lungo.
Quando si voltò per tornare sentì il treno. Si fermò ad aspettarlo. Lo avvertiva sotto i piedi. Fischiando e sbuffando in lontananza, il treno sbucò da est come un irriverente satellite del sole che stava per nascere. Il lungo fascio dell'unico faro esplorava l'intrico dei cespugli di mesquite, faceva emergere nella notte lo steccato diritto e senza fine che costeggiava i binari e di nuovo risucchiava nel buio miglia e miglia di fili e paletti lasciandosi dietro il frastuono insistente e il fumo della caldaia a vapore che si sfrangiava lento nell'incerto chiarore del nuovo giorno. Lui, immobile col cappello in mano, sentì la terra tremare e seguì il treno con lo sguardo finché non lo vide svanire. Poi si voltò e tornò verso casa.
Al suo ingresso lei alzò gli occhi dalla cucina e lo squadrò da capo a piedi osservando il vestito. Buenos días, guapo, disse.
Lui appese il cappello all'attaccapanni accanto alla porta ingombro d'impermeabili, mantelline e finimenti vari, e raggiunse la cucina per prendere un po' di caffè e portarselo al tavolo. Lei aprì il forno, tirò fuori una teglia di panini appena fatti, ne mise uno su un piatto, glielo portò insieme al coltello per il burro e tornò alla cucina sfiorandogli la nuca con la mano.
Ti ringrazio d'aver acceso il cero, disse lui. Cómo?
La candela. La vela.
No fui yo, disse lei.
La señora?
Claro.
Ya se levantó?
Antes que yo.
Lui bevve il caffè. Fuori cominciava ad albeggiare e Arturo stava venendo verso casa.
Al funerale vide suo padre. Era in piedi, da solo, oltre il vialetto di ghiaia vicino al recinto. A un certo punto il padre si recò all'auto parcheggiata in strada, poi ritornò. A metà mattina s'era messo a soffiare un forte vento da nord che sollevava turbini di polvere frammista a qualche fiocco di neve e le donne sedute si tenevano il cappello con le mani. Sulla tomba avevano steso un telone che non serviva a niente perché il vento tirava da tutte le parti. Il telone sbatteva furiosamente e le parole del predicatore si perdevano nell'aria. Al termine della cerimonia i presenti si alzarono e le seggiole di tela su cui erano seduti, travolte dalle raffiche, volarono fra le lapidi.
Al tramonto sellò il cavallo e si diresse a occidente. Il vento s'era piuttosto calmato, faceva molto freddo e di fronte a lui il sole rosso ed ellittico posato sull'orizzonte insanguinava una lunga frangia di nuvole. Spinse il cavallo nella direzione che prendeva sempre, là dove la diramazione occidentale dell'antico sentiero Comanche, uscendo dal territorio dei Kiowa a nord, attraversava l'estremità occidentale del ranch e proseguiva verso sud, a stento visibile nella bassa prateria racchiusa fra il ramo settentrionale e quello mediano del Concho River. Era l'ora che preferiva da sempre, l'ora delle ombre lunghe, quando nella luce rosata e obliqua l'antica strada prendeva forma davanti ai suoi occhi come un sogno del passato nel quale i cavalli dipinti e i cavalieri di quel popolo perduto, con le facce istoriate, i lunghi capelli a treccia e le armi per combattere la guerra della loro vita, scendevano da nord insieme alle donne, ai bambini e alle mamme coi piccoli al seno; un popolo vincolato da un patto di sangue che si poteva riscattare solo nel sangue. Quando soffiava il vento da nord si sentivano gli indiani, i cavalli, il fiato dei cavalli, gli zoccoli foderati di cuoio, il tintinnio delle lance e il perpetuo frusciare dei travois trascinati sulla sabbia come enormi serpenti, i ragazzi nudi che montavano i cavalli bradi con la spavalderia dei cavallerizzi da circo spingendo altri cavalli bradi davanti a loro, i cani che trottavano accanto con la lingua fuori e gli schiavi seminudi che marciavano a piedi oppressi da pesanti fardelli e soprattutto la lenta litania dei canti che i cavalieri cantavano in viaggio; un popolo e il suo spirito che attraversavano in coro sommesso il deserto pietroso verso un'oscurità perduta alla storia e a ogni ricordo come un graal contenente la somma delle loro vite violente ed effìmere.
Cavalcò con la faccia ramata dal sole nel vento rosso che soffiava da ovest. Svoltò a sud lungo l'antico sentiero di guerra, raggiunse la cresta di una collinetta, smontò da cavallo, lasciò cadere le redini, fece qualche passo e si fermò come fosse arrivato alla line di qualcosa.
Fra gli arbusti c'era un vecchio teschio di cavallo. Si accovacciò, lo prese e lo rigirò fra le mani. Fragile, sottile. Sbiancato come carta. Rimase acquattato nella luce radente col teschio in mano, guardando i denti da fumetto che ballavano negli alveoli. Le suture del cranio che sembravano saldature sbavate di piastre ossee. Lo scorrere silenzioso della sabbia nella scatola cranica ogni volta che lui la rivoltava.
Ciò che amava nei cavalli era la stessa cosa che amava negli uomini, il sangue e il calore del sangue che li animava. Tutta la sua stima, la sua simpatia, le sue propensioni andavano ai cuori ardenti. Così era e sempre sarebbe stato.
Tornò che era buio. Il cavallo affrettò il passo. L'ultima luce del giorno inondò la pianura alle spalle del cavaliere e si ritirò nuovamente lungo i confini del mondo nella fresca ombra azzurrina del crepuscolo sempre più freddo, fra gli ultimi cinguettii degli uccelli rintanati nell'oscuro groviglio dei rovi. Riattraversò l'antico sentiero e spinse il cavallo verso la pianura e la casa. I guerrieri, invece, fra rumori di asce e lance da età della pietra prive ormai d'ogni efficacia, avrebbero proseguito nell'oscurità destinata a inghiottirli, cantando sommessamente alla maniera degli avi e spingendosi speranzosi a sud nelle pianure che portavano al Messico.
In quella casa, costruita nel 1872, settantasette anni dopo suo nonno fu il primo a morire. Gli altri che erano stati esposti nella camera ardente dell'ingresso ci erano arrivati in barella o avvolti nel telone di un carro o infilati in una rozza bara di pino, trasportati da un carrettiere che si fermava all'ingresso con un ordine di consegna. Quelli che c'erano arrivati. Ma spesso era arrivata solo la notizia della loro morte. Un ritaglio ingiallito di giornale. Una lettera. Un telegramma. In origine il ranch contava 2300 acri registrati nel vecchio rilevamento Meusebach della concessione Fisher-Miller e la casa era una capanna di canne e bastoni composta da un'unica stanza. Questo nel 1866. Nello stesso anno la prima mandria di bestiame aveva attraversato quella che era ancora la Bexar County e aveva tagliato l'estremità settentrionale del ranch proseguendo per Fort Sumner e Denver. Cinque anni dopo il bisnonno aveva fatto scortare seicento capi di bestiame lungo lo stesso sentiero e coi soldi ricavati dalla vendita aveva fatto costruire la casa. A quell'epoca il ranch era già arrivato a 18000 acri. Nell'83 avevano messo il primo filo spinato, nell'86 i bisonti erano già spariti e quello stesso inverno c'era stata una terribile moria. Nel 1889 Fort Concho fu evacuato.
Suo nonno, il primo di otto figli maschi, era stato l'unico a superare i venticinque anni d'età. I fratelli erano morti annegati, erano stati uccisi da una pallottola o dal calcio di un cavallo. Morti in un incendio, carbonizzati. L'unica paura che sembravano avere era di morire nel proprio letto. Gli ultimi due erano stati ammazzati a Portorico nel 1898. In quell'anno il nonno s'era sposato e aveva portato la moglie al ranch, dove probabilmente ogni tanto andava in giro a contemplare i suoi possedimenti interrogandosi sulle vie del Signore e sulle leggi della primogenitura. Dodici anni dopo la moglie era morta in un'epidemia d'influenza senza aver ancora generato dei figli. L'anno seguente il nonno aveva sposato la sorella maggiore della moglie defunta e l'anno successivo era nata la madre del ragazzo, destinata a restare figlia unica. Così il cognome dei Grady era finito sotto terra col vecchio nel giorno in cui la tramontana aveva fatto volare le sedie di tela sull'erba vizza del cimitero. Il ragazzo si chiamava Cole, John Grady Cole.
Lui e il padre si trovarono nell'atrio del St Angelus Hotel, percorsero Chadbourne Street fino all'Eagle Cafe e si sedettero a un tavolino in fondo al locale. Al loro ingresso alcuni clienti seduti agli altri tavoli tacquero. Qualcuno fece al padre un cenno con la testa e un uomo lo salutò per nome.
La cameriera chiamava tutti gioia. Prese l'ordinazione e civettò un po' con lui. Il padre tirò fuori le sigarette, ne accese una, posò il pacchetto sul tavolino mettendoci sopra lo zippo del Terzo Fanteria, si appoggiò allo schienale a fumare e lo guardò. Lui gli raccontò che alla fine del funerale suo zio Ed Alison era andato a stringere la mano al predicatore. I due erano rimasti in piedi a tenersi il cappello schiacciato in testa, inclinati di trenta gradi contro il vento come pagliacci del circo, mentre il telone sbatteva furiosamente sulla loro testa e gli addetti al funerale inseguivano le sedie nel cimitero. Lo zio, proteso verso il predicatore, aveva gridato che fortunatamente il funerale s'era svolto di mattina perché visto il tempo, prima di sera avrebbe potuto scatenarsi una vera e propria tempesta di vento.
Il padre sorrise in silenzio, poi si mise a tossire. Bevve un bicchiere d'acqua e riprese a fumare scuotendo la testa.
Quand'è tornato dal confine, Buddy mi ha detto che una volta, lassù, alla fine di un tornado tutti i polli erano stramazzati per terra.
La cameriera portò il caffè. Ecco gioiette, disse. Il resto arriverà fra un minuto.
Lei è andata a San Antonio, disse il ragazzo.
Non chiamarla lei.
Mamma.
Lo so.
Bevvero il caffè.
Cosa pensi di fare?
A proposito di cosa?
Di tutto.
Per me può andare dove vuole.
Il ragazzo lo guardò. Faresti meglio a non fumare quella roba, disse.
Il padre protese le labbra in avanti, tamburellò le dita sul tavolo e alzò gli occhi. Quando ti chiederò cosa devo fare saprai di avere l'età per dirmelo.
Sissignore.
Hai bisogno di soldi?
No.
Osservò il ragazzo. Te la caverai bene, disse.
La cameriera portò le bistecche, la salsa, le patate e i fagioli in piatti di ceramica piuttosto spessi.
Il pane arriva subito.
Il padre s'infilò il tovagliolo nella camicia.
Non sono certo preoccupato per me, dichiarò il ragazzo. Questo posso dirlo?
Il padre prese il coltello e tagliò la bistecca. Si, rispose. Puoi dirlo.
La cameriera portò il cestino del pane, lo posò sul tavolo e andò via. Cominciarono a mangiare. Ma il padre non mangiò molto. Dopo un po' spinse via il piatto col pollice, prese un'altra sigaretta, la batté sull'accendino, la mise in bocca e l'accese.
Puoi dire tutto quello che vuoi. Che diavolo. Se ti va puoi anche rompermi le scatole con la storia del fumo.
Il ragazzo non rispose.
Lo sai che non intendevo questo, no?
Sì, lo so.
Ti occupi di Roseo?
Non l'ho ancora montato.
Perché non usciamo sabato?
D'accordo.
Se hai altro da fare non sei obbligato.
Non ho nient'altro da fare.
Il ragazzo guardò il padre fumare.
E nemmeno se non ti va.
Mi va.
Tu e Arturo potreste sellare i cavalli e venirmi a prendere in città.
Certo.
A che ora?
A che ora ti alzi?
A qualunque ora.
Saremo da te alle otto.
Sarò pronto.
Il ragazzo assentì e finì di mangiare. Il padre si guardò attorno. Vorrei sapere a chi diavolo bisogna ordinare il caffè qui dentro, disse.
Lui e Rawlins tolsero il basto ai cavalli, li lasciarono pascolare nel buio e si sdraiarono sulle coperte appoggiando la testa alla sella. Nella notte fredda e chiara le rosse scintille del fuoco si perdevano fra le stelle. Dalla strada arrivava il rombo dei camion e a nord il deserto rifletteva le luci della città distante quindici miglia.
Cosa pensi di fare? chiese Rawlins.
Non so. Niente.
Non capisco che cosa ti aspettavi. Lui ha due anni più di te, ha la macchina e tutto il resto.
A lui non gliene importa niente di lei, non glien'è mai importato.
Lei cos'ha detto?
Non ha detto nulla. Che doveva dire? Non c'è nulla da dire.
Be', non so cosa ti aspetti.
Non mi aspetto niente.
Sabato ci vai?
No.
Rawlins sfilò una sigaretta dal taschino della camicia, si rizzò a sedere, prese un tizzone dal fuoco e accese la sigaretta, poi rimase Il a fumare. Io non me la prenderei, dichiarò. Tolse la cenere sul tacco dello stivale. Non se lo merita, nessuna donna lo merita.
Lui rimase un poco in silenzio. Poi disse: Invece sì, se lo meritano.
Al ritorno strigliò il cavallo, lo mise nella stalla ed entrò in cucina. Luisa era andata a letto e la casa era immersa nel silenzio. Lui toccò la caffettiera per vedere se era calda, prese una tazza, la riempì di caffè e uscì nel corridoio.
Entrò nell'ufficio del nonno, andò alla scrivania, accese la lampada e si sedette sulla vecchia sedia girevole di quercia. Sulla scrivania c'era un piccolo datario d'ottone che ruotava su due perni e che cambiava giorno capovolgendolo. Segnava ancora il 13 settembre. Un portacenere. Un fermacarte di vetro. Un tampone di carta assorbente con la scritta «Palmer Feed and Supply». In una piccola cornice d'argento la foto della madre il giorno del diploma.
La stanza puzzava di sigaro. Lui si chinò, spense la piccola lampada d'ottone e si sedette al buio. Dalla finestra sul davanti vedeva la prateria illuminata dalle stelle perdersi a nord. Le croci nere dei vecchi pali del telegrafo segnavano le costellazioni migranti da est a ovest. Suo nonno diceva che i Comanche tagliavano i fili del telegrafo e li rimettevano a posto giuntati con crini di cavallo. Si appoggiò allo schienale e incrociò gli stivali sulla scrivania. Verso nord, a quaranta miglia di distanza, si vedevano i bagliori dei lampi. Oltre l'ingresso, l'orologio del salotto batté le undici.
Lei scese le scale, si fermò sulla porta dello studio e accese la luce. Era in vestaglia e si teneva i gomiti con le braccia incrociate sul petto. Lui la fissò e tornò a guardare fuori dalla finestra.
Che fai? disse lei.
Mi rilasso.
Lei rimase in piedi a lungo in vestaglia. Poi si voltò, riattraversò l'ingresso e risalì al piano di sopra. Quando la sentì chiudere la porta, lui si alzò e spense di nuovo la luce.
Ogni tanto, nel pomeriggio di quegli ultimi giorni tiepidi, lui e il padre si trovavano a bere il caffè nella stanza d'albergo arredata coi mobili di vimini bianchi e le sottili tendine all'uncinetto gonfiate dal vento che entrava dalla finestra aperta. Il padre si versava un goccio di whiskey nella tazza e lo sorseggiava fumando e guardando la via sottostante, dove i fuoristrada dei cercatori di petrolio parcheggiati sul bordo sembravano appena rientrati da una zona di guerra.
Se avessi i soldi lo compreresti? chiese il ragazzo.
Li ho avuti e non l'ho fatto.
Vuoi dire la liquidazione dell'esercito?
No, dopo.
Quant'è il massimo che hai vinto?
È meglio che tu non lo sappia. Sono vizi da non imparare.
Un pomeriggio posso portare la scacchiera?
Non ho più pazienza di giocare a scacchi.
Ma ce l'hai per giocare a poker.
È diverso.
Perché?
È il denaro che fa la differenza.
Restarono seduti.
Laggiù sotto terra ci sono ancora un sacco di soldi, aggiunse il padre. Il pozzo n. 1 della I. C. Clark, quello dell'anno scorso, è ricchissimo.
Sorbì il caffè, si allungò per prendere le sigarette dal tavolo e dopo averne accesa una guardò il ragazzo e di nuovo la strada. Dopo un po' disse:
Ho vinto ventiseimila dollari in ventidue ore di gioco. Nell'ultimo piatto c'erano quattromila dollari. Eravamo in tre a giocare, due ragazzi di Houston ed io. Ho vinto la mano con un tris di donne servito.
Si voltò a guardare il ragazzo. Teneva la tazza a mezz'aria, davanti alla bocca. Poi tornò a guardare fuori dalla finestra. Di quei soldi non m'è rimasto manco un cent, disse.
Cosa dovrei fare secondo te?
Secondo me non c'è molto da fare.
Andrai a parlarle?
Non posso.
Potresti provarci.
L'ultima volta che le ho parlato è stato a San Diego, California, nel 1942. Non è colpa sua. Io non sono più quello di una volta. Mi piacerebbe.
Ma non lo sono più.
Ma sì che lo sei. Dentro.
Il padre tossì. Bevve un sorso. Dentro, ripetè.
Rimasero a lungo in silenzio.
Fa l'attrice di teatro da qualche parte.
Sì. Lo so.
Il ragazzo raccolse il cappello da terra e l'appoggiò sul ginocchio. È meglio che torni, disse.
Sai che stimavo moltissimo il vecchio, vero?
Il ragazzo guardò fuori dalla finestra. Sì, rispose.
Cerca di non metterti a piangere davanti a me.
Non piango mica.
Be', non farlo.
Non mollava mai, disse il ragazzo. E mi diceva di non mollare mai. Diceva che è inutile fare un funerale finché non c'è qualcosa da seppellire, perlomeno la piastrina di riconoscimento. Volevano dar via i tuoi vestiti.
Il padre sorrise. Avrebbero fatto bene, disse. L'unica cosa che mi andava ancora erano gli stivali.
Era convinto che vi sareste rimessi insieme.
Sì, lo so.
Il ragazzo s'alzò e si mise il cappello. È meglio che torni, disse.
Per lei era sempre pronto a scatenare una rissa. Anche da vecchio. Con chiunque avesse qualcosa da ridire su di lei. Appena lo veniva a sapere...
Non era un bel modo di fare.
È meglio che vada.
Bene.
Il padre tirò giù i piedi dal davanzale. Scendo con te, voglio dare un'occhiata al giornale.
Nell'atrio piastrellato dell'albergo il padre scorse i titoli del giornale e il ragazzo l'attese.
Come farà Shirley Tempie a ottenere il divorzio? chiese.
Alzò lo sguardo. Il precoce crepuscolo invernale scendeva in strada.
Andrò a farmi tagliare i capelli, disse.
Guardò il ragazzo.
So come ti senti. Anch'io mi sono sentito così.
Il ragazzo annuì. Il padre tornò a scorrere il giornale e lo ripiegò.
La Bibbia dice che gli umili erediteranno la terra, e probabilmente è vero. Io non sono un libero pensatore, ma non sono affatto convinto che sia un bene.
Guardò il ragazzo. Prese una chiave dalla tasca della giacca e gliela porse.
Torna in camera. C'è una cosa per te nell'armadio.
Il ragazzo prese la chiave. Cos'è? chiese.
Una cosa per te. Volevo dartela a Natale, ma sono stufo di trovarmela sempre fra i piedi.
Sissignore.
D'altra parte sembra che un po' d'allegria ti farebbe bene. Quando scendi lascia la chiave al bancone.
Sissignore.
Ci vediamo.
D'accordo.
Il ragazzo salì in ascensore, percorse il corridoio, infilò la chiave nella toppa, entrò e sbirciò nell'armadio. Per terra, accanto a due paia di stivali e a un mucchio di camicie sporche, c'era una sella Hamley Formfitter nuova di zecca. La prese per il pomo, chiuse la porta, gettò la sella sul letto e rimase in piedi a guardarla.
Cristo santo! disse.
Lasciò la chiave al banco e uscì in strada con la sella in spalla.
Raggiunse South Concho Street e si fermò posando la sella a terra davanti a sé. Si faceva buio e i lampioni s'erano appena accesi. Il primo veicolo a passare, un camioncino Ford Model A, si fermò bruscamente slittando di lato con grande stridore di freni. Il guidatore si chinò di fianco, tirò giù leggermente il finestrino e gli gridò con voce impastata di whiskey: Butta quella roba dietro, cowboy, e sali.
Sissignore, rispose lui.
La settimana seguente piovve e tornò bello. Poi riprese a piovere. Nell'immensa pianura l'acqua veniva giù a catinelle senza pietà. A Christoval il torrente sommerse il ponte e la strada venne chiusa al traffico. A San Antonio ci fu l'alluvione. Con l'impermeabile del nonno il ragazzo esplorò a cavallo i pascoli Alicia. Il recinto era sommerso dall'acqua sino al filo più alto. Il bestiame isolato sui rilievi fissava con occhi torvi il cavaliere. Redbo fissava con occhi torvi il bestiame. Il ragazzo strinse i fianchi del cavallo fra i tacchi degli stivali. Andiamo, disse. Questo spettacolo non piace nemmeno a me.
Quando lei non c'era, lui, Luisa e Arturo mangiavano in cucina. Ogni tanto la sera dopo cena lui raggiungeva a piedi la strada e si faceva dare un passaggio fino in città, dove girovagava o si fermava davanti all'albergo in Beauregard Street a guardare la stanza del quarto piano in cui la figura o l'ombra di suo padre passava dietro le sottili tende della finestra e ritornava indietro come l'orso meccanico di un tiro a segno, ma più lento, più scarno e più agonizzante.
Quando lei tornò mangiarono in sala da pranzo, seduti alle due estremità del lungo tavolo di noce. Luisa portò via gli ultimi piatti, si fermò sulla porta e chiese:
Algo más, señora?
No, Luisa. Gracias.
Buenas noches, señora.
Buenas noches.
La porta si chiuse. L'orologio ticchettava. Lui alzò gli occhi.
Perché non mi affitti il ranch?
Affittarti il ranch? Sì.
Mi sembrava d'averti già detto che non intendo discuterne. Ma non è la stessa cosa.
Sì che lo è.
Ti darei tutti i soldi e tu potresti fare quello che vuoi.
Tutti i soldi. Non sai quello che dici. Soldi non ce ne sono. Per vent'anni ci siamo appena pagati le spese. Da prima della guerra qui non ha più lavorato un bianco. Oltretutto hai sedici anni e non puoi mandare avanti un ranch.
Sì che posso.
Sei ridicolo. Devi andare a scuola.
La donna posò il tovagliolo sul tavolo, spinse indietro la sedia, si alzò e uscì. Il ragazzo allontanò la tazza di caffè che aveva davanti e si appoggiò allo schienale della sedia. Sul muro di fronte, sopra la credenza, un quadro ritraeva sei cavalli che uscivano di corsa da un recinto con lunghe criniere al vento e occhi spiritati. Il dipinto era stato copiato da un libro. I cavalli avevano il muso lungo andaluso e la struttura del cranio tipica della razza berbera. Quelli in primo piano avevano i quarti posteriori robusti. Come se avessero sangue Steeldust nelle vene. Ma tutto il resto non tornava, il ragazzo non aveva mai visto dei cavalli così e una volta aveva chiesto al nonno di che razza erano. Il vecchio, alzando gli occhi dal piatto e guardando il quadro come se non l'avesse mai visto prima, gli aveva risposto che erano copiati da un libro e aveva continuato a mangiare.
Salì le scale che portavano all'ammezzato, vide il nome Franklin scritto ad arco sul vetro smerigliato della porta, si tolse il cappello, girò la maniglia ed entrò. La signorina alla scrivania lo guardò.
Vorrei vedere il signor Franklin, disse lui.
Ha un appuntamento?
No, signora. Però mi conosce.
Il suo nome?
John Grady Cole.
Attenda un minuto.
La signorina andò nell'altra stanza e poco dopo uscì facendogli un cenno d'assenso.
Lui si alzò e attraversò la stanza.
Entra, figliolo, disse Franklin.
Lui entrò.
Accomodati.
Il ragazzo si sedette e gli disse quello che aveva da dire. Franklin si appoggiò alla sedia, guardò fuori dalla finestra e scosse la testa. Poi si voltò e intrecciò le mani sulla scrivania davanti a sé. In primo luogo, disse, non sono nella posizione migliore per darti consigli. Si chiama conflitto d'interessi. Ma posso dirti che lei è la proprietaria e può farne tutto quello che vuole.
Non ho alcuna voce in capitolo.
Sei minorenne.
E mio padre?
Franklin si appoggiò di nuovo allo schienale. È una faccenda spinosa, disse.
Non sono divorziati. Invece sì.
Il ragazzo lo guardò.
È un atto pubblico, quindi non credo sia un segreto. C'era sul giornale.
Quando?
Il divorzio è diventato effettivo tre settimane fa.
Il ragazzo abbassò gli occhi. Franklin l'osservò.
È avvenuto prima che il vecchio morisse.
Il ragazzo annuì. Capisco quel che intende, disse.
È una faccenda spiacevole, figliolo. Ma penso non ci sia niente da fare.
Non potrebbe parlarle?
Già fatto.
Cosa ha detto?
Quel che ha detto non ha importanza, fatto sta che non cambierà idea.
Il ragazzo annuì e rimase seduto a guardarsi il cappello.
Figliolo, non tutti sono convinti che vivere in un ranch del profondo Texas e allevare bestiame sia la cosa più sublime dopo il paradiso. Lei non vuole vivere al ranch, questo è il problema. Se fosse un'impresa redditizia sarebbe diverso. Ma non è così.
Potrebbe esserlo.
Be', non voglio entrare nel merito della faccenda. Ma secondo me lei è giovane e vuole fare una vita più brillante di quella a cui ha dovuto adattarsi finora.
Ha trentasei anni.
L'avvocato tornò ad appoggiarsi allo schienale della poltrona girevole.
Oscillò leggermente sul perno e tamburellò il labbro inferiore con l'indice. È colpa di tuo padre. Ha firmato tutti i documenti che gli hanno messo davanti. Non ha mai alzato un dito per proteggersi. Diavolo, non potevo certo essere io a consigliarlo. Gli ho detto di rivolgersi a un avvocato. Non gliel'ho solo detto, l'ho scongiurato.
Sì, lo so.
Wayne mi ha detto che non va più nemmeno dal medico.
Il ragazzo annuì. È vero. Be', mi scuso del tempo che le ho fatto perdere.
Mi spiace di non poterti dare notizie migliori. Ma certamente puoi rivolgerti a qualcun altro, anzi, mi farebbe piacere.
Va bene così.
Come mai oggi non sei a scuola?
Ho piantato lì.
L'avvocato annuì. Be', disse. È comprensibile.
Il ragazzo si alzò e si mise il cappello. Grazie.
L'avvocato s'alzò.
Al mondo ci sono cose che non è possibile cambiare. Probabilmente questa è una.
Sì, disse il ragazzo.
Dopo Natale lei se ne andò definitivamente. Lui, Luisa e Arturo mangiavano in cucina. Luisa non riusciva a parlarne senza mettersi a piangere, quindi non ne parlavano. Nessuno l'aveva detto alla madre di Luisa, che abitava al ranch da prima dell'inizio del secolo. Alla fine Arturo dovette dirglielo. Lei ascoltò, annuì e si voltò dall'altra parte.
La mattina dopo, all'alba, lui si fermò sul bordo della strada con una borsa di pelle in cui aveva messo lo spazzolino da denti, il rasoio, il pennello da barba, una camicia pulita e un paio di calze. La borsa era del nonno e il giaccone imbottito del padre. La prima automobile di passaggio si fermò. Lui salì, posò la borsa sul pavimento dell'abitacolo e si sfregò le mani fra le ginocchia. L'uomo al volante si chinò su di lui per controllare lo sportello, innestò la prima con la lunga leva del cambio e partì.
Quello sportello non chiude bene. Dove sei diretto?
San Antonio.
Io vado fino a Brady, Texas.
Benissimo.
Sei un commerciante di bestiame?
Come?
L'uomo indicò la borsa piena di cinghie e fìbbie di ottone. T'ho chiesto se commerci in bestiame.
No, signore. Questo è il mio bagaglio.
Pensavo che fossi un commerciante di bestiame. Era tanto che aspettavi?
Solo pochi minuti.
L'uomo indicò un pomello di plastica del cruscotto che emanava un bagliore arancione. Questo rottame ha il riscaldamento che non funziona.
Senti un po' di calore?
Sissignore, per me va benissimo.
L'uomo allungò la mano davanti a sé indicando l'alba grigia e minacciosa. Vedi che brutto tempo?
Sissignore.
L'uomo scosse la testa. Odio l'inverno. Non ho mai capito a cosa serva.
Guardò John Grady.
Sei di poche parole, vero?
Non parlo molto.
È un'ottima dote.
Dopo due ore arrivarono a Brady.
L'uomo attraversò la città e scaricò il ragazzo dalla parte opposta.
Quando arrivi a Fredericksburg segui la 87. Non prendere la 290 altrimenti finirai a Austin. Capito?
Sissignore, grazie.
Quando lui chiuse lo sportello, l'uomo alzò la mano e mosse la testa, fece inversione di marcia e tornò indietro. La macchina successiva si fermò e lui montò.
Dove vai? chiese il guidatore.
Quando attraversarono San Saba nevicava, ma nevicava anche sull'Edwards Plateau e le rocce dei Balcones erano bianche di neve. Il ragazzo guardava i fiocchi chiari che si scioglievano sul parabrezza e venivano spazzati dal tergicristallo. Ai margini dell'asfalto s'era accumulata una poltiglia lucente e il ponte sul Pedernales era ghiacciato. L'acqua verde scorreva lentamente lambendo gli alberi scuri della riva. I mesquite lungo la strada erano così pieni di vischio da sembrare querce in rigoglio. L'automobilista, curvo sul volante, fischiettava sottovoce fra sé e sé. Alle tre del pomeriggio, quando arrivarono a San Antonio sotto una tempesta di neve, il ragazzo scese, ringraziò, entrò nel primo caffè e si sedette al banco posando la borsa sullo sgabello accanto. Poi prese il menù, lo esaminò e guardò l'orologio appeso al muro di fondo. La cameriera gli mise davanti un bicchiere d'acqua.
Qui c'è la stessa ora di San Angelo? chiese lui.
Mi aspettavo una domanda del genere, rispose lei. Hai l'aria di uno così.
Non lo sa?
Non sono mai stata a San Angelo in vita mia.
Vorrei un hamburger al formaggio e una cioccolata.
Sei qui per il rodeo?
No.
L'ora è la stessa, disse un tipo seduto al banco più in là.
Lui lo ringraziò.
L'ora è la stessa, ripetè.
La cameriera finì di scrivere l'ordinazione sul taccuino e alzò lo sguardo. Non ero sicuro, disse lui.
Girellò per la città sotto la neve e quando fece buio si fermò sul ponte di Commerce Street a guardare i fiocchi svanire nell'acqua. Le auto in sosta erano già imbiancate, con l'arrivo dell'oscurità il traffico s'era ridotto praticamente a zero e ogni tanto un taxi o un camion illuminava coi fari la barriera di fiocchi cadenti e passava lentamente con un fruscio ovattato dalla neve. Si fermò all'ostello della gioventù di Martin Street, pagò due dollari e salì in camera. Si tolse gli stivali e li mise sul radiatore, si tolse le calze e le appese vicino agli stivali, poi si tolse il giaccone e si sdraiò sul letto tirandosi il cappello sugli occhi.
Alle otto meno dieci era davanti al botteghino con la camicia pulita e i soldi in mano. Per venticinque dollari prese un posto in galleria nella terza fila.
È la prima volta che vengo qui, disse.
È un buon posto, ribatté la cassiera.
Il ragazzo la ringraziò, entrò e porse il biglietto a una maschera che l'accompagnò alle scale coperte da una guida rossa e gli restituì il biglietto. Lui salì in galleria, si sedette al suo posto e restò ad aspettare l'inizio col cappello sulle ginocchia. Il teatro era mezzo vuoto. Quando le luci si abbassarono alcuni spettatori seduti accanto a lui si spostarono in prima fila. Appena s'alzò il sipario, sua madre si presentò sul palco da una porta di scena e si mise a parlare con una donna seduta su una sedia.
Nell'intervallo il ragazzo s'alzò, si rimise il cappello, scese nell'atrio rintanandosi in una nicchia dorata, si arrotolò una sigaretta e cominciò a fumare con uno stivale appoggiato al muro. Era consapevole degli sguardi che la gente gli lanciava. Ogni tanto si chinava a scuotere la cenere nel risvolto dei jeans e salutava gravemente con un cenno della testa gli uomini con cappello e stivali, che a loro volta ricambiavano. Poco dopo la luce dell'atrio scemò di nuovo.
Con i gomiti sullo schienale della poltrona vuota che gli stava davanti e il mento appoggiato agli avambracci, il ragazzo guardò la commedia con grande attenzione. Pensava che la trama gli avrebbe rivelato qualcosa di come andava o doveva andare il mondo. Ma non ci cavò nulla di nulla. Quando le luci si accesero scoppiarono gli applausi. Sua madre venne alla ribalta più volte e tutti gli attori si presentarono sul palco e s'inchinarono al pubblico tenendosi per mano, finché il sipario calò definitivamente e gli spettatori cominciarono a sfilare nei corridoi verso l'uscita. Il ragazzo rimase seduto a lungo nel teatro vuoto, poi s'alzò, si rimise il cappello e uscì fuori nel freddo.
Il mattino dopo, quando uscì a far colazione, era ancora buio e la temperatura era intorno allo zero. In Travis Park c'erano dieci centimetri di neve. L'unico locale aperto era un bar messicano. Il ragazzo entrò, ordinò huevos rancheros e caffè e si mise a sfogliare il giornale pensando di trovarci qualcosa sulla madre, invece niente. Era l'unico cliente del bar. La cameriera era giovane e lo guardava. Quando la ragazza gli portò il piatto, lui mise da parte il giornale e tirò la tazza verso di sé.
Más café? chiese lei.
Si por favor.
La ragazza portò il caffè. Hace mucho frio, commentò.
Bastante.
Risalì la Broadway con le mani nelle tasche del giaccone e il colletto tirato su contro il vento. Entrò nell'atrio del Menger Hotel, si accomodò in poltrona, incrociò gli stivali e aprì il giornale.
Lei scese nell'atrio verso le nove al braccio di un uomo in cappotto elegante insieme al quale uscì e prese un taxi.
Dopo essere rimasto là a lungo, il ragazzo s'alzò, ripose il giornale e andò al banco. Il portiere lo guardò.
Fra i vostri clienti c'è una certa signora Cole? chiese.
Cole? Sì.
Un momento.
Il portiere andò a controllare il registro e scosse la testa. No, disse, nessun Cole.
Grazie, disse il ragazzo.
Cavalcarono insieme l'ultima volta ai primi di marzo, quando i giorni erano già tiepidi e i fiori gialli a forma di sombrero sbocciavano lungo la strada. Scaricarono i cavalli da McCullough e proseguirono attraverso i pascoli costeggiando il Grape Creek e inoltrandosi sulle colline basse. Il torrente era limpido e verde e sui sassi sporgenti ondeggiavano ciuffi di muschio. Cavalcarono lentamente in aperta campagna fra cespugli di mesquite e nopal, passarono dalla contea Tom Green alla Coke, attraversarono la vecchia strada Schoonover e percorsero le alture frastagliate e punteggiate di cedri sul terreno coperto di ciottoli insidiosi. Cento miglia a nord si vedeva la neve sulle cime azzurrine dei monti. In tutto il giorno non si scambiarono molte parole. Il padre cavalcava sulla parte anteriore della sella reggendo le redini in una sola mano a poca distanza dal pomo. Era così smilzo e fragile da sembrare perduto dentro i vestiti. Guardava il panorama con occhi socchiusi come se il mondo esterno fosse alterato o sospetto a causa di ciò che aveva visto altrove. Come se non potesse mai più vederlo come prima. O peggio, come se lo vedesse finalmente nel modo giusto. Com'era sempre stato e sempre sarebbe stato. Il ragazzo, che cavalcava poco più avanti, stava in sella come ci fosse nato, e infatti era così, ma dava l'impressione che, se fosse nato in uno strano paese privo di cavalli, avrebbe saputo scovarli ugualmente. Perché il mondo fosse a posto o perché lui fosse a posto nel mondo, si sarebbe accorto che mancava qualcosa e sarebbe andato in giro continuamente e dovunque finché non si fosse imbattuto in un cavallo, e allora avrebbe capito subito che il cavallo era e sarebbe sempre stato quel che cercava.
Nel pomeriggio attraversarono i resti di un vecchio ranch che si trovava su una mesa rocciosa. Tra i sassi spuntavano i paletti marci di un antico recinto fatto con un tipo di filo spinato che da quelle parti non si vedeva da anni. Un antico avamposto militare. Le rovine di un vecchio mulino a vento di legno crollato a terra. Proseguendo fecero alzare in volo le anatre dagli stagni e all'imbrunire scesero dalle colline tondeggianti, attraversarono la pianura alluvionale di argilla rossa e arrivarono al paese di Robert Lee.
Attesero il loro turno e passarono coi cavalli sul ponte di legno. Il fiume era arrossato dal fango. Risalirono Commerce Street, svoltarono nella Seventh, percorsero Austin Street fino alla banca, smontarono, legarono i cavalli davanti al caffè ed entrarono.
Il proprietario venne a prendere le ordinazioni chiamandoli per nome.
Il padre alzò gli occhi dal menù.
Sbrigati a ordinare, disse al ragazzo. Non può mica aspettare un'ora.
Tu cosa prendi?
Una fetta di torta e un caffè.
Che torta avete? chiese il ragazzo.
Il proprietario guardò verso il banco.
Ordina qualcosa da mangiare, disse il padre. So che hai fame.
Quando ebbero finito di ordinare il proprietario portò il caffè e tornò al banco. Il padre prese una sigaretta dal taschino della camicia.
Hai pensato a chi affidare il cavallo?
Sì, rispose il ragazzo. Ci ho pensato.
Forse Wallace te lo tiene se tu gli dai da mangiare, lavi la stalla e cose del genere. Puoi combinare un affare così.
Non credo che sarà contento.
Wallace?
No, Redbo.
Il padre l'osservò fumando.
Vedi sempre la Barnett?
Il ragazzo scosse la testa.
Ti ha mollato lei o l'hai mollata tu?
Non so.
Questo vuol dire che t'ha mollato lei. Sì.
Il padre fece un cenno d'assenso. Continuò a fumare. Due uomini a cavallo passarono in strada. Il padre e il figlio studiarono i cavalieri e gli animali. Il padre girò a lungo il caffè, inutilmente perché era liscio, e appoggiò il cucchiaino fumante sul tovagliolo di carta, poi sollevò la tazza, la osservò e bevve continuando a guardare fuori dalla vetrata dove non c'era niente da vedere.
Tua madre ed io non siamo mai andati molto d'accordo. A lei piacevano i cavalli. Pensavo fosse abbastanza. Che ingenuo. Siccome era giovane, credevo che certe smanie le sarebbero passate, ma non è stato così. Forse erano smanie solo per me. Non è stata solo la guerra. Ci siamo sposati dieci anni prima che cominciasse. Lei se n'è andata quando tu avevi sei mesi ed è tornata quando avevi tre anni. So che lo sai, è stato un errore nascondertelo. Ci siamo separati. Lei è andata in California. Luisa s'è presa cura di te. Luisa e Abuela.
Il padre guardò il ragazzo e tornò a guardare fuori dalla vetrina.
Voleva che la raggiungessi laggiù, disse il padre.
Perché non ci sei andato?
Ci sono andato. Ma è durata poco.
Il ragazzo annuì.
È tornata per te, non per me. Ci tenevo a dirtelo.
Sissignore.
Il proprietario del locale portò la cena del ragazzo e la torta. Senza alzare la testa, il ragazzo allungò la mano a prendere il sale e il pepe. Il proprietario portò la brocca del caffè, riempì le tazze e andò via. Il padre spense la cicca, prese la forchetta e attaccò la torta.
Lei vivrà ben più a lungo di me. Sarei contento di vedere che riuscite a superare le divergenze.
Il ragazzo tacque.
Se non fosse per lei non sarei qui. Quando ero ricoverato a Goshee le parlavo per ore. Me l'immaginavo come una che potesse fare qualunque cosa. Le raccontavo degli altri ragazzi che pensavo non riuscissero a farcela e le chiedevo di curarli e di pregare per loro. Qualcuno in realtà ce l'ha fatta. Penso che fossi un po' matto. Perlomeno in un certo periodo. Ma se non fosse stato per lei non ce l'avrei fatta. Questo non l'ho mai detto a nessuno. Nemmeno a lei.
Il ragazzo finì di mangiare. Fuori scese la sera. Il padre continuò a bere il caffè in attesa che arrivasse Arturo col camion. Infine disse che il loro paese non sarebbe mai più stato lo stesso.
La gente non si sente più sicura, aggiunse. Sembriamo i Comanche di duecento anni fa. Non sappiamo chi spunterà domattina. E nemmeno di che colore sarà.
La sera era quasi tiepida. Lui e Rawlins, sdraiati sulla strada, sentivano il calore dell'asfalto contro la schiena e guardavano le stelle cadere dal lungo pendio nero del firmamento. In lontananza sentirono sbattere una porta. Il richiamo di una voce. L'ululato di un coyote proveniente dalle colline s'interruppe, poi riprese.
Qualcuno ti chiama?
È probabile, disse Rawlins.
Rimasero distesi sull'asfalto a braccia e gambe aperte come prigionieri in attesa di essere processati all'alba.
L'hai detto a tuo padre? chiese Rawlins.
No.
Hai intenzione di farlo?
A che servirebbe?
Quand'è che dovete smammare?
Chiudiamo il primo di giugno.
Potresti aspettare fino allora.
A che prò?
Rawlins mise il tacco di uno stivale sulla punta dell'altro. Come se volesse misurare il cielo col piede. Mio padre è scappato di casa a quindici anni. Altrimenti sarei nato in Alabama.
Non saresti nato affatto.
Cosa te lo fa pensare?
Tua madre è di San Angelo e tuo padre non l'avrebbe mai incontrata.
Ne avrebbe incontrata un'altra.
E lei avrebbe incontrato un altro.
E allora?
E allora tu non saresti nato.
Non vedo perché. Sarei nato da qualche altra parte.
In che modo?
Perché no?
Se tua madre avesse avuto un figlio da un altro marito e tuo padre ne avesse avuto uno con un'altra moglie, tu quale saresti?
Né l'uno né l'altro.
Esatto.
Rawlins rimase a fissare le stelle. Dopo un po' disse: Potrei essere nato ugualmente. Magari con un aspetto diverso. Se Dio voleva che nascessi sarei nato comunque.
E se non voleva non saresti nato.
Mi fai scoppiare la testa.
Lo so, scoppia anche a me.
Continuarono a guardare le stelle.
E allora cosa ne pensi? disse lui.
Non lo so, rispose Rawlins.
Allora?
Capirei se fossi dell'Alabama, allora avresti un motivo per scappare in
Texas. Ma sei già in Texas. Non saprei. Tu hai molti più motivi per andartene di me.
Che diavolo ci stai a fare qui? Speri che qualcuno muoia e ti lasci qualcosa?
Cazzo, no.
Meglio così, perché non succederà.
Di nuovo la porta sbatté e la voce chiamò nella notte.
È meglio che torni, disse Rawlins.
Si alzò, si spolverò il fondo dei jeans con la mano e si mise il cappello.
Se io non vengo tu parti lo stesso?
John Grady si rizzò a sedere e si mise il cappello. Sono già partito, disse.
La vide l'ultima volta in città. Era andato a North Chadbourne nella bottega di Cullen Cole a farsi saldare un morso spezzato e stava risalendo Twohig Street quando la vide uscire dalla drogheria Cactus. Lui attraversò la strada, ma sentendosi chiamare si fermò e l'attese.
Volevi evitarmi? gli chiese.
Lui la guardò. Non credo, non pensavo nulla.
Lei l'osservò. Non puoi nascondere ciò che senti.
Neppure tu, no?
Pensavo che potessimo restare amici.
Lui annuì. Certo. Ma non starò più a lungo da queste parti.
Dove vai?
Non posso dirlo.
Perché?
Perché non posso e basta.
Lui guardò la ragazza. Lei studiava il suo viso.
Cosa direbbe lui se ti vedesse parlare con me?
Non è geloso.
Meno male. È una fortuna. Gli eviterà un sacco di rogne.
Cosa vuoi dire?
Niente. Ora devo andare.
Mi detesti?
No.
Ma non ti vado a genio.
Lui la guardò. Senti carina. Adesso mi stai seccando, disse. Che differenza fa? Se hai la coscienza sporca dimmi cosa vuoi sentirmi dire e io te lo dico.
Ma non saresti tu a dirlo. Comunque sia, non ho la coscienza sporca. Pensavo solo che potevamo restare amici.
Lui scosse la testa. Sono solo parole, Mary Catherine. Ora devo proprio andare.
Che importa se sono solo parole? Tutte sono parole, no?
Non tutte.
Vai davvero via da San Angelo? Già.
Ma tornerai.
Forse.
Non ho nulla contro di te.
Non ne hai motivo.
Lei guardò la strada dove lui stava guardando, ma non c'era granché da vedere e si voltò. Lui la fissò negli occhi umidi solo a causa del vento. Lei gli porse la mano e lui lì per lì rimase sorpreso.
Ti auguro buona fortuna, disse lei.
Lui le strinse la mano, piccina e familiare. Era la prima volta che stringeva la mano a una donna. Riguardati, disse lei.
Grazie. Lo farò.
Lui si raddrizzò, alzò la mano al cappello, girò sui tacchi e se ne andò senza voltarsi indietro, ma nelle vetrate del Federai Building al di là della strada la vide immobile dove l'aveva lasciata. Infine svoltò l'angolo e uscì per sempre dal riflesso del vetro.
Smontò, aprì il cancello, fece entrare il cavallo, richiuse e si tirò dietro la bestia lungo il recinto. Si abbassò per vedere se riusciva a individuare Rawlins contro lo sfondo del cielo, ma non scorse nulla. All'angolo della staccionata lasciò cadere le redini e guardò la casa. Il cavallo fiutava l'aria e gli sfregava il gomito col muso.
Sei tu? sussurrò Rawlins.
Sarà meglio.
Rawlins si avvicinò tirandosi dietro il cavallo e si fermò a guardare la casa.
Sei pronto? gli chiese John Grady. Sì.
Sospettano qualcosa?
No.
Andiamo.
Aspetta un secondo. Ho buttato tutto sul cavallo come veniva e l'ho portato qui.
John Grady raccolse le redini e balzò in sella. C'è una luce laggiù, disse.
Cristo.
Arriveresti in ritardo anche al tuo funerale.
Non sono ancora le quattro. Sei in anticipo.
È meglio andare. S'è accesa una luce anche nella stalla.
Rawlins stava cercando di legare il carico dietro la sella. C'è un interruttore in cucina, disse. Perciò lui non è ancora andato nella stalla. E non è detto che ci vada. Forse è sceso solo a prendere un bicchiere di latte o qualcosa del genere.
Forse sta solo caricando un fucile o qualcosa del genere.
Rawlins montò a cavallo. Sei pronto? chiese.
Da un pezzo.
Seguirono il recinto e attraversarono i pascoli. Nel freddo del mattino il cuoio crepitava. Spinsero i cavalli al piccolo trotto. Le luci scomparvero alle loro spalle. S'inoltrarono nella prateria mettendo le bestie al passo sotto il cielo nero trapunto di stelle. Da qualche parte nella notte vuota i rintocchi di una campana risuonarono e si spensero lontano dove campane non ce n'erano. Sulla superficie ricurva della terra buia e senza luce che sosteneva le loro figure e le innalzava contro il cielo stellato, i due giovani sembravano cavalcare non sotto ma in mezzo alle stelle, temerari e circospetti al contempo come ladri appena entrati in quel buio elettrico, come ladruncoli in un frutteto lucente, scarsamente protetti contro il freddo e i diecimila mondi da scegliere che avevano davanti a sé.
A metà del giorno seguente avevano già fatto quaranta miglia, ma quella zona era ancora nota ad entrambi. Per attraversare il ranch del vecchio Mark Fury scesero davanti al recinto. Con un palanchino John Grady tolse le graffe che tenevano il filo spinato, divaricò i fili facendo passare Rawlins con i cavalli e rimise tutto a posto piantando le graffe nei paletti, poi infilò l'attrezzo nella borsa della sella e montò a cavallo.
Come diavolo prevedono che si possa andare a cavallo in questo paese? disse Rawlins.
Non lo prevedono affatto, rispose John Grady.
Cavalcarono fino all'alba e mangiarono i panini che John Grady s'era portato da casa. A mezzogiorno fecero bere i cavalli in una vecchia vasca di pietra e se li tirarono dietro lungo un torrente in secca fra orme di buoi e di pecari fino a una macchia di pioppi. Al loro arrivo le mucche sdraiate sotto gli alberi si alzarono, li guardarono e andarono via.
Si fermarono sotto gli alberi e si sdraiarono nell'erba secca con le giacche arrotolate sotto la testa e il cappello tirato sugli occhi mentre i cavalli pascolavano lungo il torrente.
Hai portato qualcosa che spara? chiese Rawlins.
Solo il vecchio cannone del nonno.
Riesci a beccarci qualcosa? No.
Rawlins sghignazzò. Ce l'abbiamo fatta, eh? Sì.
Pensi che ci daranno la caccia?
Per quale motivo?
Non so, in un certo senso mi sembra fin troppo facile.
Sentivano il rumore del vento e dei cavalli che brucavano l'erba. Sai cosa ti dico? riprese Rawlins.
Cosa?
E chi se ne frega!
John Grady si mise a sedere, prese il tabacco dalla tasca della camicia e cominciò a farsi una sigaretta. Di cosa? disse.
Bagnò la sigaretta, se la mise in bocca, prese i cerini, l'accese e spense il fiammifero con uno sbuffo di fumo, poi si voltò a guardare Rawlins, ma Rawlins dormiva.
Nel tardo pomeriggio si rimisero a cavallo. Al tramonto sentirono in lontananza rombare dei camion su una strada. Nel fresco della sera lunga e buia si diressero a ovest lungo un'altura da cui si vedeva il lento e periodico andirivieni dei fari. Giunsero a una strada sterrata e la seguirono fino al nastro d'asfalto dove c'era un cancello. Fermarono i cavalli e guardarono attentamente, ma non riuscirono a scorgere un cancello dall'altra parte della strada asfaltata. Alla luce dei fari guardarono a destra e a sinistra ma non videro alcun passaggio.
Che vuoi fare? chiese Rawlins.
Non lo so. Mi piacerebbe attraversare la strada stasera.
Non ho alcuna intenzione di portare il cavallo su quella strada di notte.
John Grady si sporse a sputare. Nemmeno io, disse.
Stava calando il freddo. Il vento fece sbattere il cancello e i cavalli si mossero innervositi.
Cosa sono quelle luci? chiese Rawlins.
Sarà Eldorado.
Quant'è distante secondo te?
Dieci o quindici miglia.
Che vuoi fare?
Distesero le coperte nel greto di un ruscello in secca, tolsero la sella ai cavalli, legarono gli animali e dormirono fino all'alba. Quando Rawlins s'alzò John Grady aveva già sellato il cavallo e stava legando le coperte al loro posto. C'è un bar sulla strada, disse. Vuoi far colazione?
Rawlins si mise il cappello e prese gli stivali. Amico, mi hai letto il pensiero.
Tirandosi dietro i cavalli in mezzo a cataste di vecchi sportelli, ingranaggi e rottami di camion, girarono dietro il bar e abbeverarono gli animali nella vasca metallica che serviva a localizzare i buchi nelle camere d'aria forate. John Grady s'avvicinò a un messicano che stava cambiando la ruota di un camion e gli chiese dov'era il gabinetto degli uomini. L'uomo gli indicò una parete dell'edificio.
Prese nella borsa l'occorrente per farsi la barba, andò in bagno, si rase, si lavò i denti e si pettinò. Quando uscì trovò i cavalli legati a un tavolo da picnic sotto gli alberi. Rawlins era già entrato e stava bevendo un caffè.
John Grady lo raggiunse al tavolo. Hai già ordinato? chiese.
Aspettavo te.
Il proprietario arrivò con un'altra tazza di caffè. Cosa ordinate?
Comincia tu, disse Rawlins.
John Grady ordinò tre uova al prosciutto, fagioli e fette biscottate e Rawlins ordinò lo stesso con l'aggiunta di focaccine calde allo sciroppo.
È meglio che fai il pieno.
Non ho bisogno di sentirmelo dire, rispose Rawlins.
Coi gomiti appoggiati al tavolo guardarono fuori e contemplarono la pianura che si estendeva a sud fino alle montagne lontane, sfiorate dal primo sole del mattino ma ancora avvolte nell'ombra.
Ecco la nostra meta, disse Rawlins.
Lui assentì. Entrambi bevvero il caffè. Il proprietario servì loro la colazione in piatti bianchi di rozza ceramica e tornò poco dopo con la brocca del caffè. Rawlins annerì le uova di pepe e spalmò le focaccine di burro.
Alla faccia delle uova al pepe, commentò il proprietario. Riempì le tazze e tornò in cucina.
Guarda bene il tuo vecchio amico come ti sistema per le feste questa canaglia di colazione, disse Rawlins.
Vai pure, l'esortò John Grady.
Alla fine nessuno ci vieta di ricominciare dall'inizio.
Poiché il locale non aveva foraggio per i cavalli comprarono una grossa confezione di fiocchi d'avena, pagarono il conto e uscirono. John Grady squarciò la scatola con il coltello, versò l'avena in un paio di calotte coprimozzo e mentre i cavalli mangiavano si sedette con Rawlins a fumare al tavolo da picnic. Il messicano s'avvicinò a guardare i cavalli, aveva più o meno l'età di Rawlins.
Dove andate? chiese. In Messico.
A far che?
Rawlins guardò John Grady. Pensi che ci possiamo fidare?
Sì, sembra a posto.
Siamo inseguiti dalla polizia, disse Rawlins.
Il messicano li squadrò attentamente.
Abbiamo rapinato una banca.
Guardò i cavalli. Non avete rapinato nessuna banca, disse.
Conosci quel posto? gli chiese Rawlins.
Il messicano scosse la testa e sputò. Non sono mai stato in Messico in vita mia.
Sellarono i cavalli che avevano finito di mangiare, passarono davanti al caffè tirandoseli dietro, attraversarono la strada, costeggiarono il fosso ed entrarono in un cancello richiudendoselo alle spalle, poi montarono a cavallo e seguirono la strada sterrata per un miglio. Quando il sentiero svoltò a est lo lasciarono e si diressero a sud nella pianura ondeggiante disseminata di cedri.
A metà mattina raggiunsero il Devils River, abbeverarono i cavalli, si sdraiarono all'ombra di un boschetto di salici e guardarono la mappa di una società petrolifera che Rawlins aveva preso al bar. Rawlins la osservò e guardò a sud verso un passo che si apriva fra le colline. Nella parte americana della mappa c'erano segnati i fiumi, le strade e le città fino al Rio Grande, ma oltre non c'era più nulla.
Oltre il fiume non c'è segnato più niente, vero? disse Rawlins.
Proprio così.
Pensi che non esista una carta di quei posti?
Esiste sì, ma non è questa. Ne ho una nella borsa.
Rawlins andò a prenderla, la stese per terra e indicò il loro percorso col dito. Poi alzò lo sguardo.
Be'? disse John Grady.
Non c'è niente laggiù.
Lasciarono il fiume e seguirono la valle verso ponente. La campagna era collinosa e verdeggiante e il giorno assolato ma fresco.
Si direbbe che in un posto così dovrebbe esserci più bestiame, disse Rawlins.
Hai ragione.
Passando sulle alture stanarono dall'erba tortore e quaglie. Ogni tanto una lepre. Rawlins smontò da cavallo, estrasse la piccola carabina 25-20 dalla custodia in cui la teneva e si allontanò lungo la cresta. John Grady lo sentì sparare. Poco dopo Rawlins tornò con una lepre, rimise la carabina al suo posto, prese il coltello, si allontanò di qualche passo e si accovacciò a sventrare la preda, poi si alzò, pulì la lama sui calzoni, richiuse il coltello e legò la lepre per le zampe posteriori alla cinghia della coperta. Infine rimontò a cavallo e riprese la marcia.
Nel tardo pomeriggio attraversarono una strada diretta a sud e alla sera raggiunsero il Johnson's Run, si accamparono accanto a una pozza d'acqua lungo la riva del torrente in secca, abbeverarono i cavalli e li impastoiarono lasciandoli al pascolo. Poi accesero il fuoco, scuoiarono la lepre, l'infilzarono su un ramo verde e la misero ad arrostire ai margini del fuoco. John Grady aprì la sacca da campeggio ormai annerita dall'uso, tirò fuori una piccola caffettiera smaltata e andò al torrente a riempirla. Seduti accanto al fuoco, restarono immobili a guardare le fiamme e la piccola falce di luna che era sorta sulle nere colline a ponente.
Rawlins arrotolò una sigaretta, l'accese con un tizzone e si appoggiò indietro alla sella. Sai cosa ti dico?
Vai pure.
Ci farei facilmente il callo a questa vita.
Aspirò una boccata di fumo, spostò la sigaretta di lato e fece cadere la cenere con un gesto delicato dell'indice. Non ci metterei niente.
L'indomani cavalcarono tutto il giorno attraverso le colline e le basse alture calcaree punteggiate di cedri e di yucca in fiore sui pendii esposti a oriente. Alla sera incontrarono la strada per Pandale e l'imboccarono in direzione sud finché raggiunsero il villaggio.
Nove case, compreso l'emporio e il distributore di benzina. Legarono i cavalli davanti all'emporio ed entrarono, tutti impolverati e puzzolenti di cavallo, di sudore e fumo di legna. Rawlins aveva la barba lunga. Alcuni uomini seduti in fondo al negozio li guardarono entrare e ripresero a parlare fra loro.
I due ragazzi si fermarono al reparto della carne. La donna che stava dietro al bancone li raggiunse, prese un grembiule e accese una luce sulla sua testa con una catenella.
Sembri davvero un desperado, disse John Grady.
Anche tu non sembri un direttore d'orchestra, disse Rawlins.
La donna si legò il grembiule alla vita e si voltò a guardarli sopra la vetrinetta smaltata di bianco. Desiderate?
Comprarono affettati, formaggio, una pagnotta, un barattolo di maionese; una scatola di cracker, una dozzina di scatolette di wurstel, dodici bustine di koolaid, un trancio di bacon, qualche scatola di fagioli; due chili di farina di mais e una bottiglia di salsa piccante. La donna incartò separatamente la carne e il formaggio, inumidì la matita sulla lingua, fece il conto e mise tutto in un sacchetto di carta.
Da dove venite? chiese.
Dalle parti di San Angelo.
E siete venuti fin qui a cavallo?
Sissignora.
Complimenti!
Il mattino dopo al risveglio si trovarono accanto una casetta in mattoni.
Una donna uscì a gettare una catinella d'acqua sporca in cortile, li guardò e rientrò in casa. Quando presero le selle che avevano messo ad asciugare su un recinto un uomo uscì a osservarli. Sellarono i cavalli, li condussero sulla strada, li montarono e svoltarono a sud.
Chissà che starà succedendo a casa... disse Rawlins.
John Grady si chinò di fianco e sputò. Be', probabilmente non si sono mai divertiti tanto. Magari hanno trovato il petrolio. Già me li vedo in città a ritirare la macchina nuova o qualcosa del genere.
Cazzo, disse Rawlins.
Continuarono a cavalcare.
Non ti senti mai a disagio? chiese Rawlins.
Per cosa?
Non so. Per qualunque cosa. Non ti senti a posto.
Ogni tanto. Se uno sta in un posto sbagliato si sente a disagio. O almeno dovrebbe.
Be', immagina di essere a disagio e di non sapere perché. Vuol dire che senza saperlo sei in un posto sbagliato?
Che diavolo ti prende?
Non so. Nulla. Canta che ti passa.
Così fece. E cantò: Ti mancherò, ti mancherò, ti mancherò quando me ne sarò andato.
Conosci Radio Del Rio? chiese Rawlins.
Certo.
Ho sentito dire che di notte puoi sentirla tenendo il filo di un recinto fra i denti. Non c'è nemmeno bisogno della radio.
E tu ci credi?
Non so.
Ci hai provato?
Sì, una volta.
Continuarono a cavalcare. Rawlins cantava. Che diavolo sarebbe un albero di confine fiorito? chiese.
Adesso m'hai proprio rotto, cugino.
Passarono sotto un alto dirupo calcareo da cui scendeva un torrente e attraversarono un ampio bacino sassoso. A monte, nelle pozze formate dalle piogge recenti, un paio d'aironi proiettavano lunghe ombre dall'alto dei loro trampoli. Uno s'alzò in volo e l'altro rimase dov'era. Un'ora dopo guadarono il Pecos River a cavallo. Gli animali studiavano l'acqua limpida e calcarea che scorreva svelta davanti a loro, appoggiavano le zampe con grande attenzione sui grossi e insidiosi lastroni di pietra e osservavano le alghe verdi che ondeggiavano e mulinavano nelle rapide a valle del guado diffondendo brillanti bagliori verdi nella luce del mattino. Rawlins si sporse dalla sella, immerse la mano nel fiume e assaggiò l'acqua. È piena di sali, esclamò.
Smontarono da cavallo fra i salici della sponda opposta, mangiarono qualche panino di salumi e formaggio e poi restarono seduti a fumare guardando la corrente del fiume. Qualcuno ci segue, disse John Grady. L'hai visto?
Non ancora.
È a cavallo? Sì.
Rawlins osservò la strada al di là del fiume. Non può essere uno che si fa i fatti suoi?
No, perché ormai si sarebbe fatto vedere.
Magari è diretto da qualche altra parte.
E dove?
Rawlins fumò. Secondo te cosa vuole?
Non lo so.
Cosa pensi di fare?
Proseguiamo. O si fa vedere o sparisce.
Si arrampicarono sulla sponda del fiume cavalcando lentamente affiancati sulla strada sterrata e raggiunsero l'altopiano dal quale si spaziava a sud verso le colline coperte d'erba e margherite. Un miglio a ovest un recinto di filo spinato sfigurava la prateria come una brutta sutura, e al di là del recinto un piccolo branco di antilopi li fissavano immobili. John Grady mise di traverso il cavallo e guardò la strada da cui erano venuti.
Rawlins l'attese.
È ancora lì?
Sì. Da qualche parte.
Proseguirono fino a un ampio avvallamento o bajada. Sulla destra c'era una fitta macchia di cedri, Rawlins la indicò con la testa e rallentò l'andatura.
Perché non ci nascondiamo laggiù ad aspettarlo?
John Grady si guardò alle spalle. D'accordo, disse, ma andiamo avanti ancora un po' e poi torniamo indietro. Se vede le nostre orme uscire dal sentiero in questo punto capisce subito dove siamo.
Va bene.
Continuarono per mezzo miglio, poi lasciarono la strada, raggiunsero il boschetto di cedri, smontarono, slegarono i cavalli e si misero a sedere per terra.
Pensi che abbiamo il tempo di fumare una sigaretta? chiese Rawlins.
Se è già fatta sì, disse John Grady.
Fumarono osservando la strada. Attesero a lungo, ma invano. Rawlins si sdraiò tirandosi il cappello sugli occhi. Non dormo. Mi riposo soltanto, disse.
Non s'era addormentato da molto quando John Grady gli diede un calcio nello stivale. Rawlins si rizzò a sedere, si sistemò il cappello e si mise a guardare. Un cavaliere si avvicinava sulla strada. Anche a quella distanza notarono che aveva un bel cavallo.
Il cavaliere si avvicinò fino a un centinaio di metri. Aveva un cappello a tesa larga e una tuta a pettorina. Rallentò l'andatura e guardò giù dalla bajada proprio nella loro direzione. Poi riprese a marciare.
È un ragazzino, disse Rawlins.
Il cavallo è uno schianto, disse John Grady.
Eccome.
Pensi ci abbia visti? No.
Che facciamo?
Aspettiamo che passi e poi gli andiamo dietro sulla strada.
Attesero che non si vedesse più, slegarono i cavalli, montarono in sella e raggiunsero la strada.
Quando il cavaliere li sentì si fermò, si voltò, spinse indietro il cappello e rimase a osservarli. Loro lo affiancarono uno per lato.
Ci stai inseguendo? chiese Rawlins.
Il ragazzino poteva avere tredici anni.
Non vi sto affatto inseguendo, disse.
Come mai ci segui?
Non vi seguo mica.
Rawlins guardò John Grady. John Grady guardava il ragazzino, poi si voltò verso i monti lontani, tornò a guardare il ragazzino e finalmente Rawlins che teneva le mani appoggiate al pomo della sella. Davvero non ci stai inseguendo? gli chiese.
Sto andando a Langtry. Non so nemmeno chi siete, disse il ragazzino.
Rawlins guardò John Grady. John Grady si arrotolava una sigaretta osservando il ragazzo, l'equipaggiamento e il cavallo.
Dove hai trovato quel cavallo? gli chiese.
È mio.
John si mise la sigaretta in bocca, prese un fiammifero dal taschino della camicia, lo sfregò con l'unghia del pollice e accese la sigaretta. Anche il cappello è tuo? disse.
Il ragazzino guardò la tesa larga che gli copriva gli occhi. Poi fissò Rawlins.
Quanti anni hai? chiese John Grady.
Sedici.
Rawlins sputò per terra. Sei falso come Giuda.
E tu non capisci niente.
Capisco che non hai sedici anni. Da dove vieni?
Da Pandale.
Ci hai visti ieri sera a Pandale, vero? Sì.
Sei scappato di casa?
Il ragazzino guardò l'uno e l'altro. E anche se fosse?
Rawlins guardò John Grady. Che facciamo?
Non so.
Potremmo vendere il suo cavallo in Messico. Già.
Ma stavolta non gli scavo la fossa come abbiamo fatto con l'ultimo.
Cazzo, disse John Grady. È stata un'idea tua. Io ti avevo detto di lasciarlo agli avvoltoi.
Tiriamo la moneta per vedere a chi tocca farlo fuori?
D'accordo.
Scegli, disse Rawlins.
Testa.
La moneta volteggiò in aria. Rawlins la prese al volo, la schiaffò sul dorso della mano, alzò il polso alla luce e tolse la mano.
Testa, disse. Dammi il fucile.
Non è giusto, disse Rawlins. Gli ultimi tre sono toccati a te. Allora fai tu. Così mi devi un favore. Però tienigli fermo il cavallo. Può non essere abituato agli spari.
Avete finito di scherzare? disse il ragazzo.
Chi t'ha detto che scherziamo?
Voi non avete fatto fuori nessuno.
Cosa ti fa pensare che non puoi essere il primo?
State scherzando. L'ho capito dall'inizio.
Come no, disse Rawlins.
Qualcuno ti sta cercando? chiese John Grady.
Nessuno.
Ma stanno cercando il cavallo, eh? L'altro non rispose. Vai davvero a Langtry? Sì.
Ma non insieme a noi, disse Rawlins. Ci faresti finire in galera. Il cavallo è mio, disse il ragazzino.
Bimbo mio, disse Rawlins, non m'importa un fico di chi è. Ma una cosa è certa, non è tuo. Andiamo, John.
Voltarono i cavalli, li spronarono e trottarono a sud senza voltarsi indietro.
Pensavo che si difendesse meglio, disse Rawlins. John Grady fece volare la cicca in strada. Non è detto che ce lo siamo tolto dai piedi.
A mezzogiorno lasciarono la strada e si diressero a sud-ovest in aperta campagna. Abbeverarono i cavalli alla cisterna metallica di un vecchio e cigolante mulino a vento F. W. Axtell. A sud una mandria di buoi pascolava all'ombra di una macchia di querce. Per evitare Langtry discussero la possibilità di attraversare il fiume di notte. Poiché faceva caldo lavarono la camicia, se la rimisero bagnata e proseguirono a cavallo. Dietro di loro si vedeva la strada per parecchie miglia ma non c'era nessuno in vista.
Quella sera attraversarono i binari della Southern Pacific a est di Pumpville e si accamparono mezzo miglio al di là della ferrovia. Quando ebbero finito di strigliare e legare i cavalli e di accendere il fuoco era buio. John Grady mise la sella in piedi vicino al fuoco, s'inoltrò nella prateria e si fermò ad ascoltare. Contro il cielo rossastro si stagliava il serbatoio idrico di Pumpville. Accanto, una falce di luna. Sentiva i cavalli che brucavano l'erba cento metri più in là. Per il resto la buia prateria era immersa nel silenzio.
A metà mattina dell'indomani attraversarono la strada 90 e proseguirono lungo una serie di pascoli punteggiati qua e là di bestiame. A sud le montagne del Messico apparivano e sparivano come fantasmi alla luce incerta delle nubi sospinte dal vento. Due ore dopo raggiunsero il fiume. Si sedettero su un costone dell'argine, si tolsero il cappello e osservarono la corrente. L'acqua fangosa e torbida rumoreggiava nelle rapide a valle. Sotto di loro la sponda sabbiosa era ingombra di salici e canne e il ripido argine opposto era trapunto, crivellato, solcato da migliaia di rondini. Oltre l'argine riprendeva il deserto. I due si guardarono e si rimisero il cappello.
Risalirono a monte fino a un torrente, l'attraversarono e raggiunsero l'altra sponda ghiaiosa. Là fermarono i cavalli e osservarono l'acqua e i dintorni. Rawlins arrotolò una sigaretta, appoggiò una gamba sul pomo della sella e si mise a fumare.
Da chi ci nascondiamo? chiese.
Da chi non ci nascondiamo?
Non vedo come qualcuno possa nascondersi laggiù.
Potrebbero dire la stessa cosa guardando qui.
Rawlins fumava e non rispose.
Potremmo attraversare laggiù, su quel banco di sabbia, disse John Grady.
Perché non attraversiamo adesso?
John Grady sputò nel fiume. Come vuoi, disse. Pensavo fossimo d'accordo di non correre rischi.
Se dobbiamo attraversare preferisco farlo subito.
Anch'io, compare. John Grady guardò Rawlins.
Rawlins annuì. Va bene, disse.
Risalirono un poco il torrente, smontarono da cavallo sulla ghiaia della riva, tolsero la sella e legarono i cavalli nell'erba, poi si sedettero all'ombra dei salici a mangiare wurstel e cracker e a bere l'acqua del torrente insaporita da una bustina di koolaid. Pensi che in Messico esistano i wurstel? chiese Rawlins.
Nel tardo pomeriggio John Grady risalì la sponda del torrente e si fermò col cappello in mano a guardare l'erba mossa dal vento nella vasta pianura che si estendeva a nord-est. A un miglio vide un cavaliere che veniva verso di lui e lo tenne d'occhio.
Quando tornò al campo svegliò Rawlins.
Che c'è? disse Rawlins.
Sta venendo qualcuno. Penso sia quel moccioso.
Rawlins s'aggiustò il cappello in testa, s'arrampicò su per la riva e osservò la campagna.
È lui? chiese John Grady.
Rawlins annuì. Poi sputò.
Se è lui non so, ma il cavallo è certamente lo stesso.
Ti ha visto?
Non so.
Viene da questa parte.
Probabilmente mi ha visto.
Penso che dovremmo farlo correre.
Rawlins guardò nuovamente John Grady. Quel piccolo bastardo mi fa sentire a disagio.
Anche a me.
E non è ingenuo come sembra.
Che sta facendo? chiese John Grady.
S'avvicina.
Adesso vieni giù. Forse non ci ha visti.
S'è fermato, disse Rawlins.
Che fa?
S'è rimesso in marcia.
L'aspettarono. Poco dopo i cavalli alzarono la testa e guardarono a valle. I due ragazzi sentirono qualcuno scendere nell'alveo del torrente accompagnato dal rumore dei sassi e da un leggero tintinnio di metallo.
Rawlins prese il fucile e scese al fiume con John Grady. Il ragazzino osservava l'altra sponda in groppa al grande baio fermo nell'acqua bassa della riva. Quando si voltò e li vide, spinse indietro il cappello col pollice.
Sapevo che non eravate passati, disse. Sull'altra sponda vicino a quei mesquite ci sono due cervi al pascolo.
Rawlins s'acquattò sulla ghiaia, mise il fucile di fronte a sé e appoggiò il mento al braccio che lo reggeva. Che diavolo dobbiamo fare con te? disse.
Il ragazzino guardò Rawlins e Rawlins guardò John Grady. In Messico nessuno m'inseguirà.
Dipende da quello che hai fatto, ribatté Rawlins.
Non ho fatto niente.
Come ti chiami? chiese John Grady.
Jimmy Blevins.
Balle, disse Rawlins, Jimmy Blevins è un annunciatore della radio.
Quello è un altro.
Chi ti sta inseguendo?
Nessuno.
Come fai a saperlo?
Perché non c'è nessuno.
Rawlins guardò John Grady e di nuovo il ragazzo. Hai da mangiare? gli chiese. No.
E soldi?
Nemmeno.
Insomma, campi a sbafo.
Il ragazzino alzò le spalle. Il cavallo fece un passo nell'acqua e si fermò di nuovo.
Rawlins scosse la testa, sputò e guardò l'altra sponda del fiume. Dimmi solo una cosa.
Forza.
Per quale motivo dovremmo prenderti con noi?
Il piccolo non rispose. Restò a guardare la corrente fangosa e la sottile ombra dei salici allineati sulla riva sabbiosa nel crepuscolo. Contemplò la sierra azzurrina a sud, sollevò la bretella della tuta, infilò il pollice nella pettorina e si voltò a guardarli.
Perché sono americano, disse.
Rawlins si voltò e scosse la testa.
Nudi, bianchi e magri attraversarono il fiume a cavallo sotto un pallido quarto di luna. Poco prima avevano infilato gli stivali capovolti nei jeans, ci avevano schiacciato sopra la camicia, il giubbotto e lo zaino con le munizioni e la roba per farsi la barba poi, chiusi i jeans alla vita con le cinture, se li erano annodati al collo e col cappello come unico indumento avevano portato i cavalli sul ghiaione, avevano allentato le cinghie del sottopancia, erano montati in sella e avevano fatto entrare le bestie nell'acqua spronandole coi talloni nudi.
A metà del guado i cavalli si misero a nuotare sbuffando e allungando il collo fuori dall'acqua mentre la coda galleggiava leggera. Scivolando a valle con la corrente, i cavalieri nudi presero a incitare i cavalli e, allineati uno dietro l'altro con Rawlins che teneva in alto il fucile, raggiunsero la riva straniera come una banda di predoni.
Uscirono dal fiume fra i salici e risalirono la corrente in fila indiana fino a un lungo ghiaione asciutto dove si tolsero il cappello e si voltarono a guardare il paese appena lasciato. Nessuno fiatò. Poi improvvisamente lanciarono i cavalli al galoppo sulla riva e andarono avanti e indietro sventolando i cappelli in aria, ridendo e fermandosi di colpo a dare pacche affettuose ai cavalli.
Accidenti, disse Rawlins, lo sapete dove siamo?
Fermarono i cavalli fumanti al chiaro di luna e si guardarono. Poi con calma smontarono, slegarono i calzoni annodati al collo, si rivestirono, si tirarono dietro i cavalli lasciandosi alle spalle i salici e il ghiaione del fiume ed emersero sulla pianura dove rimontarono a cavallo e si diressero a sud nell'arida regione di Coahuila.
Si accamparono ai margini di una pianura di mesquite e il mattino seguente, dopo aver cotto il bacon coi fagioli e il pane fatto col mais e l'acqua, fecero colazione guardando il paesaggio.
Quando hai mangiato l'ultima volta? disse Rawlins al ragazzino.
L'altro giorno, disse Blevins.
L'altro giorno?
Sì.
Rawlins lo squadrò. Ma non ti chiami Blivet?
No, Blevins.
Sai cos'è un blivet?
Cos'è?
Dieci chili di merda in un sacco da cinque chili.
Blevins smise di masticare. Continuò a guardare la pianura a occidente, dove il bestiame uscito dai ripari risaltava al sole mattutino. Poi riprese a masticare.
Non mi avete detto come vi chiamate, disse.
Non ce l'hai chiesto.
L'educazione che ho ricevuto io è diversa, disse Blevins.
Rawlins lo guardò di traverso e si girò dall'altra.
John Grady Cole, disse John Grady. E lui è Lacey Rawlins.
Il ragazzino annuì e continuò a masticare.
Veniamo dalle parti di San Angelo, disse John Grady.
Non ci sono mai stato.
Aspettarono che dicesse da dove veniva, ma il ragazzino rimase in silenzio.
Rawlins ripulì il piatto con un grosso pezzo di pane che poi ingurgitò. E se noi volessimo scambiare quel cavallo con un altro che non ci faccia rischiare una pallottola?
Il ragazzino guardò John Grady e poi di nuovo il bestiame. Non commercio in cavalli, disse.
Però non ti dispiace se noi ti proteggiamo.
So badare a me stesso.
Certo. Immagino che tu abbia una pistola.
Blevins non rispose subito. Ma dopo un minuto disse: Sì, ho una pistola.
Rawlins alzò lo sguardo. Poi continuò a mangiare il pane. Che pistola è? chiese. Una Colt 32-20.
Balle, disse Rawlins. Quelle sono cartucce da fucile.
Il ragazzino finì di mangiare e ripulì il piatto con un ciuffo d'erba.
Faccela vedere, disse Rawlins.
Blevins posò il piatto, guardò prima Rawlins poi John Grady, infilò la mano nella pettorina e tirò fuori la pistola, poi la fece girare in aria afferrandola per la canna e porse a Rawlins l'impugnatura capovolta.
Rawlins guardò lui e poi la pistola, posò il piatto nell'erba e prese l'arma rigirandola in mano. Era una vecchia Colt Bisley di metallo grigio con l'impugnatura di bachelite così consunta da aver perso la zigrinatura. Rawlins la girò per leggere la scritta sulla canna. Diceva 32-20. Poi guardò il ragazzo, aprì lo sportellino di carico con il pollice, tirò indietro il cane a metà, ruotò il tamburo, si fece cadere in mano una pallottola con l'eiettore a bacchetta e la esaminò. Infine rimise il proiettile al suo posto, chiuse lo sportellino e riabbassò il cane.
Dove l'hai presa? domandò.
Dove so io.
L'hai mai usata?
Sì, l'ho usata.
E riesci a far centro?
Il ragazzino allungò la mano verso la pistola. Rawlins la soppesò, la girò e gliela porse.
Se getti qualcosa in aria io la becco, disse Blevins.
Balle.
Il ragazzino scrollò le spalle e ripose la pistola nella pettorina.
Cosa dovrei gettare? chiese Rawlins.
Qualunque cosa.
Vuoi dirmi che becchi qualunque cosa? Sì.
Balle.
Il ragazzino si alzò. Pulì il piatto strusciandolo avanti e indietro sui calzoni della tuta e guardò Rawlins.
Getta il portafoglio in aria e te lo ritrovi bucato, disse. Rawlins s'alzò e prese il portafoglio dalla tasca dei calzoni. Il ragazzino si chinò a posare il piatto nell'erba ed estrasse di nuovo la pistola. John Grady mise il cucchiaio nel piatto e lo posò per terra. Infine tutti e tre si diressero verso la pianura nella luce radente del mattino. Sembrava una sfida a duello.
Blevins si fermò con le spalle al sole e la pistola lungo il fianco. Rawlins
si voltò a guardare John Grady con un ghigno. Sollevò il portafoglio tenendolo tra il pollice e l'indice.
Sei pronto, pistolero? disse.
Aspetto solo te.
Rawlins tirò in aria il portafoglio che ruotò su se stesso rimpicciolendosi contro l'azzurro del cielo. Lo guardarono in attesa del colpo. Quando il ragazzino sparò, il portafoglio deviò bruscamente di lato, s'aprì e cadde a terra avvitandosi come un uccello ferito.
L'eco dello sparo svanì immediatamente nell'immenso silenzio del deserto. Rawlins andò a raccogliere il portafoglio, se lo mise in tasca e tornò.
Meglio smammare, disse.
Fammelo vedere, disse John Grady.
Andiamo, è meglio girare alla larga da questo fiume.
Sellarono i cavalli, Blevins spense il fuoco calpestando la brace e tutti e tre cominciarono a cavalcare fianco a fianco, ben distanziati nella vasta pianura sassosa che costeggiava il bordo curvo e cespuglioso del fiume; proseguirono senza parlare e abituando gli occhi al nuovo paesaggio. Un falco scese in picchiata dalla cima di un mesquite, fece un lungo volo radente e si posò su un albero mezzo miglio a levante. Al loro passaggio prese il volo di nuovo.
Avevi la pistola anche quando ci siamo incontrati sul Pecos, vero? disse Rawlins.
Sotto l'immenso cappello il ragazzino lo guardò e rispose: Sì.
Cavalcarono. Dopo un po' Rawlins si sporse di fianco a sputare. Avresti potuto spararmi.
A sua volta il ragazzino sputò. Non ci tengo a farmi sparare, disse.
Proseguirono sulle alture coperte di cactus e arbusti e a metà mattina incrociarono un sentiero segnato da orme di cavallo. Svoltarono a sud e a mezzogiorno entrarono nella città di Reforma.
Percorsero in fila indiana la strada carraia che fungeva da via principale.
Mezza dozzina di casette cadenti fatte con mattoni d'argilla, qualche capanna di rami e fango col tetto di frasche e un corrai dove cinque ronzini dalla testa enorme fissarono solennemente i cavalli di passaggio.
Smontarono, legarono i cavalli presso una piccola bottega di fango ed entrarono. Dentro, una ragazza leggeva un filmetto alla luce della porta. La ragazza, seduta accanto alla stufa di latta in mezzo alla stanza, sollevò gli occhi, tornò a guardare il fumetto e li risollevò, poi si alzò, lanciò un'occhiata alla tenda verde che copriva un passaggio al fondo del locale, posò il fumetto sulla sedia, attraversò il pavimento di terra battuta recandosi al banco e si voltò. Sul banco c'erano tre orci di terracotta. Due erano vuoti, ma il terzo aveva un coperchio di latta con un intaglio per far passare il manico di un mestolino smaltato. Alle spalle della ragazza c'erano tre o quattro scaffali ingombri di scatolette, tessuti, filo da cucire e dolciumi. Contro la parete più distante una rozza madia di pino era sormontata da un calendario inchiodato al muro di fango con un bastoncino. Nel locale non c'era altro.
Rawlins si tolse il cappello, si passò l'avambraccio sulla fronte e si rimise il cappello. Poi si rivolse a John Grady. Ci sarà qualcosa da bere?
Tiene algo que tornar? chiese John Grady alla ragazza.
Si, disse lei, sollevando il coperchio dell'orcio. I tre cavalieri s'avvicinarono a guardare. Cos'è? disse Rawlins.
Sidrón, disse la ragazza.
John Grady la guardò. Habla inglés?
Oh no, disse lei.
Cos'è? disse Rawlins.
Sidro.
Rawlins sbirciò dentro l'orcio. Va bene. Daccene tre, disse.
Mande?
Tre, disse Rawlins. Tres. Alzò tre dita e tirò fuori il portafoglio.
La ragazza si girò a prendere tre bicchieri da uno scaffale, li posò sul banco e li riempì di un liquido marroncino col mestolo. Rawlins mise sul banco un biglietto da un dollaro forato alle due estremità. I ragazzi presero i bicchieri e John Grady indicò il biglietto con la testa.
L'ha proprio centrato, eh?
Già, disse Rawlins.
Poi sollevò il bicchiere e bevve con gli altri. Rawlins era pensieroso.
Non so che cazzo sia, disse. Ma non è male per un cowboy. Facciamo il bis.
Misero i bicchieri sul banco e la ragazza li riempì. Cosa dobbiamo? disse Rawlins.
Lei guardò John Grady.
Cuánto, disse John Grady.
Para todo? Sí.
Uno cincuenta.
Quant'è? disse Rawlins.
Circa tre cent a bicchiere.
Rawlins spinse i soldi sul banco. Questa volta paga paparino, disse.
Lei prese il resto da una scatola di sigari sotto il banco, mise le monete messicane davanti a sé e li guardò. Rawlins posò il bicchiere vuoto, lo indicò, pagò un altro giro per tutti e prese il resto. I tre uscirono all'aperto col bicchiere in mano.
Sedettero all'ombra della ramada di frasche davanti alla bottega e sorseggiarono la bibita contemplando l'immobilità desolata delle stradine bruciate dal sole di mezzogiorno. Le capanne di fango. Le agavi polverose e le brulle colline sassose all'orizzonte. Un rivoletto d'acqua azzurrina scorreva nel canale di scolo scavato in terra davanti al negozio. In mezzo alla strada sconnessa una capra guardava i cavalli.
Qui manca l'elettricità, disse Rawlins.
Sorseggiò la bibita e guardò lungo la strada.
Dubito che qui sia mai arrivata una macchina.
Non capisco da dove potrebbe venire, disse John Grady.
Rawlins annuì. Alzò il bicchiere alla luce, agitò il sidro e lo osservò.
Secondo te è succo di cactus?
Non so, disse John Grady. Però mi sembra un po' alcolico, no?
Credo di sì.
È meglio che il piccolo non ne beva più.
Io ho bevuto anche il whiskey, disse Blevins. In confronto sta roba è acqua fresca.
Rawlins scosse la testa. Pensare che siamo qui a bere succo di cactus nel vecchio Messico. Secondo te cosa penseranno a casa in questo momento?
Che siamo scappati, disse John Grady.
Rawlins, seduto con le gambe allungate, gli stivali incrociati e il cappello su un ginocchio, guardò la terra straniera e assentì. È vero, no?
Abbeverarono i cavalli, allentarono le cinghie per farli respirare e si rimisero in marcia verso sud cavalcando in fila indiana nella polvere fra orme di buoi, pecari, cervi e coyote. Nel tardo pomeriggio attraversarono un altro gruppo di catapecchie ma non si fermarono. Nella strada c'erano solchi profondi scavati dalla pioggia e ogni tanto nelle gole si vedevano carcasse di mucche morte di siccità con le ossa che spuntavano fuori dalla rigida pelle secca e annerita.
Che ne dici di questo posto? disse John Grady.
Rawlins sputò senza rispondere.
Al crepuscolo raggiunsero una piccola estancia e fermarono i cavalli allo steccato. Dietro la casa c'erano parecchi annessi sparsi qua e là e un corrai che rinchiudeva due cavalli. Nell'aia due bambine vestite di bianco alla vista dei cavalieri corsero in casa. Poco dopo uscì un uomo.
Buenas tardes, disse.
Poi andò ad aprire il cancello, li fece entrare e indicò l'acqua per i cavalli. Pásale, disse. Pásale.
Mangiarono su un tavolino di legno verniciato alla luce di un lume a petrolio fra vecchi calendari e manifesti appesi ai muri di fango. Su una parete c'era un piccolo quadretto della Vergine incorniciato. Sotto, un asse di legno era sostenuto da due zeppe piantate nel muro e sull'asse c'era un piccolo bicchiere verde con un resto di candela annerita. Gli americani erano seduti spalla a spalla su un lato del tavolo e le due bambine, dalla parte opposta, li fissavano attonite. La donna mangiava a capo chino e l'uomo scherzava coi ragazzi passando i piatti di fagioli e tortillas e un tegame di coccio pieno di stufato di capra al peperoncino. Bevvero caffè nelle tazze di metallo smaltato. L'uomo spingeva i piatti di portata verso i ragazzi e li indicava con gesti significativi. Deben comer, diceva.
Voleva sapere dell'America che non era più distante di trenta miglia a nord. Una volta, da ragazzo, l'aveva vista attraversando il fiume ad Acuna, e aveva dei fratelli che ci lavoravano e uno zio che abitava in Texas dalle parti di Uvalde, ma che probabilmente era morto.
Rawlins finì di mangiare e ringraziò la donna. Quando John Grady tradusse le parole dell'amico, lei sorrise e annuì con modestia. Mentre Rawlins mostrava alle due bambine che riusciva a staccarsi un dito e rimetterlo a posto, Blevins incrociò le posate sul piatto, si pulì la bocca sulla manica e si appoggiò indietro, ma poiché la panca non aveva schienale annaspò nel vuoto per un momento, rovinò a terra, diede un calcio al tavolo facendo tintinnare i piatti e quasi trascinò con sé Rawlins e John Grady. Le due bambine si alzarono di scatto e batterono le mani strillando di gioia. Rawlins, che aveva afferrato il tavolo per non cadere, guardò il ragazzo: Che Dio mi strafulmini! disse. Oh, mi scusi, signora.
Blevins si rialzò a fatica. L'unico ad aiutarlo fu l'uomo.
Està bien? gli chiese.
Benissimo, rispose Rawlins per lui. I cretini non possono farsi male.
La donna, che si era chinata in avanti per raddrizzare una tazza, zittì le bambine e non rise per educazione, ma il suo sguardo divertito non sfuggì neppure a Blevins che nel frattempo aveva ripreso il suo posto.
Ce ne andiamo? sussurrò.
Non abbiamo ancora finito di mangiare, disse Rawlins.
Il ragazzino si guardò attorno a disagio. Non posso più stare qui, disse.
Parlava a testa bassa con voce roca e ridotta a un sussurro.
Perché no? disse Rawlins.
Non sopporto che mi ridano dietro.
Rawlins guardò le piccole. Erano di nuovo sedute con occhi attenti e seri. Per la miseria, esclamò. Sono solo bambine.
Non sopporto che mi ridano in faccia, bisbigliò Blevins.
L'uomo e la donna li guardarono preoccupati.
Se non sopporti che ti ridano dietro non cadere come un sacco di merda, disse Rawlins.
Chiedo scusa a tutti, disse Blevins.
Si alzò, prese il cappello e uscì rimettendoselo in testa. L'uomo lo guardò preoccupato e si chinò verso John Grady chiedendogli qualcosa sottovoce. Le due bambine immobili guardavano il piatto.
Pensi che se ne vada? disse Rawlins.
John Grady alzò le spalle. Ne dubito, rispose.
I padroni di casa sembravano in attesa che i due ragazzi lo raggiungessero, ma nessuno si mosse. Dopo il caffè la donna si alzò e sparecchiò la tavola.
John Grady trovò Blevins seduto a terra come fosse in meditazione. Che stai facendo? gli chiese.
Niente.
Perché non torni dentro?
Sto bene dove sono.
Ci hanno invitati a dormire da loro.
Fate pure.
Cos'hai in mente di fare?
Io sto bene qui.
John Grady lo fissò un momento. Be', disse. Fa' come ti pare.
Blevins tacque e John Grady lo lasciò seduto dov'era.
Dormirono in una stanzetta del retro senza finestre che sapeva di paglia o di fieno. Per terra c'erano due pagliericci con una coperta sopra. I due ragazzi presero il lume dalle mani dell'uomo e lo ringraziarono. Nel chinarsi per uscire dalla porta piuttosto bassa, l'ospite augurò loro buona notte senza chiedere notizie di Blevins.
John Grady posò il lume sul pavimento ed entrambi sedettero sui pagliericci e si tolsero gli stivali.
Sono stanco morto, disse Rawlins.
A chi lo dici.
Cos'ha detto della possibilità di lavorare da queste parti?
Ha detto che oltre la Sierra del Carmen ci sono ranch molto grandi. Si trovano a trecento chilometri da qui.
E cioè?
Centosessanta, centosettanta miglia.
Credi che ci abbia presi per desperados?
Non so. Non sarebbe mica male.
Sono d'accordo con te.
A sentir lui quel posto sembra il paese del bengodi. Ha detto che ci sono laghi, torrenti ed erba alta fino alle staffe. Da quel che ho visto finora, un posto così non me l'immagino proprio da queste parti, e tu?
Forse cerca di farci sloggiare.
Può darsi, disse John Grady. Poi si tolse il cappello e si sdraiò tirando su la coperta.
Che diavolo fa il bimbo, dorme in cortile?
Penso di sì.
Magari domattina non lo troviamo più.
Magari.
John Grady chiuse gli occhi. Non dimenticare il lume acceso. Se si spegne da solo annerisce tutta la casa.
Lo spengo fra un minuto.
Dopo qualche minuto di assoluto silenzio John Grady chiese: Che stai facendo?
Niente.
John Grady aprì gli occhi. Guardò Rawlins che aveva messo il portafoglio sulla coperta.
Che fai?
Guarda in che stato è ridotta la mia patente.
Quaggiù non ti serve.
E la tessera del biliardo. Ha beccato anche quella.
Dormi, non ci pensare.
Guarda che disastro. Ha beccato Betty Ward in mezzo agli occhi.
Che ci fa nel tuo portafoglio? Non sapevo che ti piacesse.
È una foto che mi ha dato lei. Una foto di quando andava a scuola.
Al mattino, seduti alla stessa tavola della sera prima, fecero una gran colazione a base di uova, fagioli e tortillas. Nessuno andò a cercare Blevins o chiese di lui. La donna diede loro del cibo avvolto in un panno, e i due la ringraziarono, strinsero la mano al marito e uscirono nel fresco del mattino. Il cavallo di Blevins non era nel corrai.
Pensi che abbiamo una fortuna così sfacciata? disse Rawlins.
John Grady scosse la testa dubbioso.
Sellarono i cavalli e proposero all'uomo di pagare quel che avevano mangiato, ma lui s'accigliò e rifiutò augurando loro buon viaggio. I due ragazzi gli strinsero di nuovo la mano, montarono a cavallo e ripresero il sentiero sconnesso in direzione sud, seguiti da un cane che poco dopo si fermò a guardarli.
L'aria del mattino era fresca e sapeva di fumo di legna. In cima alla prima altura Rawlins sputò disgustato. Eccolo là, disse.
Di traverso alla strada c'era Blevins sul baio.
I due rallentarono il passo. Secondo te che diavolo ha? chiese Rawlins.
È ancora bambino.
Merda, disse Rawlins.
Quando si avvicinarono Blevins sorrise. Masticava tabacco. Sorrise, sputò e si pulì la bocca con l'interno del polso.
Che c'è da ridere?
Giorno, disse Blevins.
Dove hai preso il tabacco? chiese Rawlins.
Me l'ha dato quel tipo.
Te l'ha dato lui?
Sì. Dove siete stati?
Lo superarono su entrambi i lati lasciandolo in mezzo e proseguirono.
Avete qualcosa da mangiare?
La donna ci ha dato il pranzo, disse Rawlins.
Cosa vi ha dato?
Non so. Non ho guardato.
Perché non ci diamo un'occhiata?
Ti sembra l'ora di pranzo?
Joe, digli di passarmi qualcosa.
Lui non si chiama Joe, disse Rawlins. E anche se si chiamasse Evelyn non ti darebbe il pranzo alle sette del mattino.
'Fanculo, disse Blevins.
Cavalcarono fino a mezzogiorno passato. Lungo la strada non c'era nulla, solo aperta campagna, e la campagna era deserta. L'unico rumore era il costante scalpiccio dei cavalli e Blevins in fondo alla fila che di tanto in tanto sputava tabacco. Rawlins cavalcava con una gamba incrociata sulla sella ed era chino sul ginocchio a fumare e a osservare sovrappensiero il paesaggio.
Laggiù mi sembra di vedere dei pioppi, disse.
Anche a me, disse John Grady.
Mangiarono sotto gli alberi al bordo di una piccola ciénaga. I cavalli bevevano e pascolavano tranquillamente nell'erba umida. Come in un picnic aprirono a terra la pezza di tela in cui la donna aveva avvolto il cibo e, appoggiati indietro ai gomiti e con le gambe incrociate in avanti, spiluccarono le quesadillas, i tacos e i bizcochos all'ombra degli alberi, masticando pigramente e osservando i cavalli.
Ai vecchi tempi, disse Blevins, questo sarebbe stato proprio il posto i cui
i Comanche ci avrebbero aspettati per farci un'imboscata.
Spero si portassero le carte o gli scacchi per ingannare l'attesa, disse Rawlins. Ho l'impressione che quaggiù non passi mai nessuno.
Ai vecchi tempi c'erano più viaggiatori, disse Blevins.
Rawlins scrutò biecamente il paesaggio arido e bruciato dal sole. Che cazzo ne sai tu dei vecchi tempi? disse.
Ne volete ancora? chiese John Grady.
Sono pieno come un otre.
John Grady riavvolse la pezza, si alzò, si svestì, attraversò l'erba tutto nudo passando accanto ai cavalli e andò a sedersi nell'acqua, poi allargò le braccia e si sdraiò indietro scomparendo sott'acqua osservato dai cavalli con curiosità. Si rimise a sedere, si tirò indietro i capelli e si strofinò gli occhi restando a mollo.
Per la notte si accamparono accanto alla strada nel greto di un torrente in secca, accesero un fuoco e rimasero seduti sulla sabbia a guardare la brace.
Tu Blevins sei un cowboy? chiese Rawlins.
È un mestiere che mi piace.
Piace a tutti.
Ma non sono un granché. So cavalcare.
Davvero? disse Rawlins.
Quello è uno che sa andare a cavallo, disse Blevins e accennò con la testa a John Grady seduto dall'altra parte del fuoco.
Che cosa te lo fa pensare?
È capace e basta.
E se ti dicessi che ha appena imparato? Che monta solo cavalli che possono montare anche le ragazzine? Risponderei che mi prendi per il culo. E se ti dicessi che è il migliore che abbia mai visto? Blevins sputò nel fuoco. Non ci credi?
Certo che ci credo. Dipende da chi hai visto cavalcare. Ho visto Booger Red, disse Rawlins. Davvero? disse Blevins. Già.
E pensi che lui sia più bravo? Sono sicuro di sì. Be', forse sì e forse no.
Tu confondi la merda col budino, disse Rawlins. Booger Red non vale una cicca in confronto.
Non starlo a sentire, disse John Grady. Rawlins reincrociò gli stivali e indicò John Grady con la testa. Non riesce a darmi ragione senza fare il bullo, eh? È pieno di merda, disse John Grady. L'hai sentito? disse Rawlins.
Blevins si chinò sul fuoco e sputò. Non capisco come tu possa dire che uno è il migliore in assoluto.
Effettivamente non si può, disse John Grady. È un ignorante, tutto qui.
Ce n'è tanti di bravi a cavallo, osservò Blevins. Vero, disse Rawlins. Ce n'è tanti. Ma uno è il migliore di tutti. E guarda caso è seduto proprio di fronte a te. Lascialo perdere, disse John Grady.
Non gli sto rompendo l'anima, disse Rawlins. Ti sto forse rompendo l'anima? No.
Di' a Joe che non ti sto rompendo l'anima.
L'ho appena detto.
Lascialo stare, disse John Grady.
Nei giorni seguenti attraversarono le montagne fino a un passo desolato e battuto dal vento, dove fermarono i cavalli frale rocce per contemplare la terra che si estendeva a sud fra le ultime ombre del giorno. A ponente il sole rosso sangue occhieggiava fra strati di nuvole e in lontananza le cordigliere segnavano il limite dell'orizzonte sfumando dal chiaro all'azzurrino fino a svanire del tutto.
Dove pensi che sia quel paradiso? chiese Rawlins.
John Grady si era tolto il cappello per rinfrescarsi la testa. Non si può dire com'è un paese finché non ci si arriva.
Certo che è ben grande, non trovi?
John Grady annuì. È per questo che sono venuto qui.
E io pure, cugino.
Scesero lungo il fresco versante settentrionale immerso nell'ombra azzurrina. Frassini sempreverdi crescevano nelle gole rocciose. Diospiri, sapodillas. Sotto di loro si alzò un falco, volteggiò nella bruma che si addensava e scese in picchiata. I ragazzi tolsero i piedi dalle staffe e fecero avanzare i cavalli con prudenza lungo i tornanti di roccia friabile. Al calar della notte si accamparono su una spianata sassosa e più tardi sentirono quello che non avevano mai sentito prima, tre lunghi ululati a sud-ovest seguiti da un silenzio totale.
Hai sentito? disse Rawlins. Sì.
È un lupo, vero? Sì.
Sdraiato sotto la coperta, John Grady contemplava il quarto di luna reclinato sulla cresta delle montagne. In quella falsa alba blu le Pleiadi sembravano levarsi nell'oscurità sopra il mondo trascinando con sé tutte le stelle, mentre il gran diamante di Orione, Cepella e il marchio di Cassiopea sembravano una rete da pesca gettata nel buio fosforescente. Rimase là a lungo ad ascoltare il respiro degli altri che dormivano e a contemplare la natura selvaggia fuori e dentro di sé.
La notte fu fredda e al primo chiarore dell'alba, quando si svegliarono, Blevins s'era già alzato, aveva acceso il fuoco e ci stava chinato sopra perché era vestito leggero. John Grady strisciò fuori dalla coperta, s'infilò gli stivali e la giacca e s'allontanò a osservare la nuova terra che emergeva dalle tenebre sotto di lui.
Bevvero il caffè rimasto e mangiarono le tortillas fredde condite con una striscia di salsa piccante.
Per quanto tempo pensi che ci basterà questa roba? chiese Rawlins.
La cosa non mi preoccupa, disse John Grady.
Ma il tuo amico laggiù sembra un po' in apprensione.
Non ha molto lardo di riserva.
Nemmeno tu.
Guardarono il sole sorgere sotto di loro. I cavalli al pascolo alzarono la testa e lo guardarono. Rawlins bevve l'ultimo sorso di caffè, scolò la tazza e prese il tabacco nella tasca della camicia.
Credi che verrà un giorno in cui non sorgerà il sole?
Sì, rispose John Grady, il giorno del giudizio.
E quando sarà?
Quando Lui vorrà.
Il giorno del giudizio, disse Rawlins. Ma tu ci credi a queste cose?
Non so. Sì, penso di sì. E tu?
Rawlins s'infilò la sigaretta nell'angolo della bocca, l'accese e gettò il fiammifero. Non so, forse.
Lo sapevo che eri un infedele, disse Blevins.
Tu non sai niente di niente, replicò Rawlins. Taci e non renderti più ridicolo di quel che già sei.
John Grady s'alzò, prese la sella per il pomo, si gettò la coperta in spalla e si voltò verso gli altri. Andiamo, disse.
A metà mattina arrivarono ai piedi delle montagne e proseguirono nella vasta pianura infestata di avena selvatica e gramigna e disseminata di lechuguilla. A un miglio di distanza scorsero per la prima volta altri cavalieri e si fermarono a guardarli. Erano tre uomini a cavallo seguiti da una fila di bestie da soma cariche di cesti vuoti.
Chi pensi che siano? chiese Rawlins.
Non dobbiamo fermarci così, disse Blevins. Se noi vediamo loro, loro vedono noi.
Che diavolo vuoi dire? disse Rawlins.
Tu che diresti se vedessi che loro si fermano?
Ha ragione, disse John Grady. Andiamo avanti.
Erano zacateros che andavano in montagna a raccogliere l'erba chino. Esteriormente non si dimostrarono affatto stupiti d'incontrare degli americani a cavallo da quelle parti e chiesero ai ragazzi se avevano visto il fratello di uno di loro che era andato sulle montagne con la moglie e due figlie grandi, ma i tre giovani risposero di non aver incontrato nessuno. I messicani fermarono i cavalli e muovendo lentamente gli occhi scuri passarono in rassegna l'equipaggiamento dei ragazzi. Gli zacateros erano piuttosto malmessi e mezzi vestiti di stracci, avevano il cappello chiazzato di unto e sudore e gli stivali riparati con toppe di cuoio grezzo. Le vecchie selle quadrate erano così consunte da lasciar intravedere il telaio di legno. Si arrotolarono le sigarette in brattee di mais e le accesero con esclarajos fatti con bossoli riempiti di stoppa e forniti di pietra focaia. Uno di loro teneva infilata nella cintura una Colt decrepita che aveva lo sportello di caricamento aperto per non scivolare. Puzzavano di fumo, di sego e di sudore e sembravano selvaggi e strani come la loro terra.
Son de Tejas? chiesero i messicani.
Si, rispose John Grady.
Loro annuirono.
John Grady fumava e li osservava. Malgrado l'aspetto cencioso, gli zacateros avevano ottimi cavalli e scrutò quegli occhi neri per cercar di capire cosa pensavano, ma non riuscì a cogliere nulla. Parlarono del paese e del tempo e dissero che sulle montagne faceva ancora freddo. Nessuno fece la mossa di scendere da cavallo. Scrutavano il paesaggio come se per loro rappresentasse un problema, qualcosa che non avevano ancora deciso. I piccoli muli in fila dietro di loro si erano addormentati in piedi appena si erano fermati.
Il capo finì la sigaretta e lasciò cadere la cicca sul sentiero. Bueno, disse.
Vamonos.
Chinò la testa per salutare gli americani. Buena suerte, disse. Spronò il cavallo con le rotelle degli speroni e partì seguito dagli altri. I muli sfilarono guardando le bestie dei ragazzi e agitando la coda malgrado l'assenza di mosche.
Nel pomeriggio abbeverarono i cavalli in un limpido ruscello proveniente da sud-ovest, bevvero anche loro e riempirono le borracce. Nella piana a un paio di miglia videro un branco di antilopi attente con la testa ritta.
Proseguirono e lungo il fondovalle erboso incontrarono qua e là mucche pezzate come gatti o come gusci di tartarughe che al loro passaggio si allontanavano fra gli arbusti spinosi o li guardavano dai pendii laterali di quell'antica terra digradante a est. Alla sera si accamparono sulle colline e arrostirono una lepre presa da Blevins con la pistola. Il ragazzino la sventrò con il coltello a serramanico, la interrò sotto la sabbia senza scuoiarla e vi accese un fuoco sopra dicendo che gli indiani facevano così.
Hai mai mangiato una lepre? chiese Rawlins.
Blevins scosse la testa. Non ancora, disse.
È meglio che ci metti altra legna se vuoi mangiarla.
Cuocerà.
Qual è la cosa più strana che hai mangiato?
La cosa più strana? Le ostriche, disse Blevins.
Ostriche vere o ostriche di montagna?
Ostriche vere.
Com'erano cotte?
Non erano cotte. Si mangiano crude, nella conchiglia. Con un po' di salsa piccante.
E le hai mangiate?
Certo.
Che gusto hanno?
Più o meno quello che mi aspettavo.
Continuarono a guardare il fuoco.
Di dove sei, Blevins? chiese Rawlins.
Blevins guardò Rawlins e tornò a fissare il fuoco. Uvalde County, disse. Dalle parti del Sabinal River.
Perché sei scappato di casa?
E tu?
Io ho diciassette anni, posso andare dove mi pare.
Anch'io.
John Grady fumava appoggiato alla sella con le gambe incrociate in avanti. Eri già scappato una volta, vero? chiese. Sì.
E ti hanno acciuffato?
Sì. Lavoravo a rialzare i birilli in una sala di bowling ad Ardmore, in Oklahoma, e un bulldog mi ha morso la gamba strappandomi un pezzo di ciccia grande come una bistecca. Così m'è venuta l'infezione e il tipo per cui lavoravo mi ha portato dal dottore che ha pensato mi fossi beccato la rabbia. Allora è successo un gran casino e mi hanno rispedito a casa.
Che ci facevi ad Ardmore?
Rialzavo i birilli del bowling.
Sì, ma come mai sei finito laggiù?
A Uvalde doveva esserci uno spettacolo e io avevo messo da parte i soldi per andarlo a vedere, ma lo spettacolo non è mai arrivato perché l'organizzatore è finito in galera per oscenità a Tyler, Texas. C'era uno spogliarello. Ho letto su un manifesto che lo spettacolo era in programma due settimane dopo ad Ardmore, in Oklahoma, e così sono andato ad Ardmore.
Sei andato fino in Oklahoma solo per vedere quello spettacolo?
Avevo messo da parte i soldi per andarci e volevo vederlo.
E ad Ardmore l'hai visto?
No. Non è mai arrivato nemmeno lì.
Blevins arrotolò un calzone della tuta e mostrò la gamba alla luce del fuoco.
Ecco dove mi ha morso quel bastardo. Sembra il morso di un alligatore. E perché hai deciso di scappare in Messico? disse Rawlins. Per il tuo stesso motivo.
E cioè?
Perché sapevi che avrebbero piantato un gran casino se ti avessero trovato quaggiù.
Nessuno mi sta correndo dietro.
Blevins srotolò il calzone e attizzò il fuoco con un bastone. Ho detto a quel figlio di puttana che non mi avrebbe mai più frustato e così è stato.
Tuo padre?
Mio padre non è mai tornato dalla guerra.
Allora il tuo patrigno. Sì.
Rawlins si chinò in avanti a sputare nel fuoco. Gli hai sparato?
No, ma l'avrei fatto. Lui lo sapeva.
Che ci faceva un bulldog in una sala di bowling?
Non è lì che mi ha morso. Nel bowling ci lavoravo soltanto.
Cos'hai fatto per farti mordere?
Nulla. Assolutamente nulla.
Rawlins tornò a sputare nel fuoco. Ma dov'eri?
Tu fai troppe domande del cazzo. E piantala di sputare nel fuoco che c'è la nostra cena.
Cosa? disse Rawlins.
Ti ho detto di non sputare nel fuoco che c'è la nostra cena.
Rawlins guardò John Grady che era scoppiato a ridere. Poi guardò Blevins. La cena? disse. Vedrai che bella cenetta appena provi a masticare quella schifezza stopposa.
Blevins annuì. Se non vuoi la tua parte non hai che da dirmelo.
Dissotterrarono una roba fumante, rinsecchita come una mummia. Blevins appoggiò la lepre su una roccia piatta, tolse la pelle e mise nei piatti la carne raschiata via dalle ossa. L'innaffiarono di salsa piccante, l'arrotolarono nelle ultime tortillas e si misero a masticare guardandosi in faccia.
Be', disse Rawlins, non è poi così male.
Niente affatto, disse Blevins. Ma in tutta sincerità non sapevo se era commestibile.
John Grady smise di mangiare e li guardò, poi riprese a masticare. Sembra che siate qui da più tempo di me. Pensavo che fossimo venuti insieme.
Il giorno dopo, sul sentiero diretto a sud, incontrarono gruppi di mercanti diretti al confine settentrionale su carri piuttosto scassati. Gli uomini dal volto scuro segnato dalle intemperie si tiravano dietro tre o quattro coppie di asinelli che barcollavano sotto il carico di candelilla, pellicce, pelli di capra, rotoli di corda di lechuguilla intrecciata a mano e sotol, una bevanda fermentata tenuta in barilotti e barattoli legati sui basti di rami. L'acqua era conservata in otri di pelle di maiale o in recipienti di tela impermeabilizzata con cera di candelilla, provvisti di spine di corno; alcuni portavano con sé donne e bambini e spingevano le bestie da soma ai lati della strada per far passare i caballeros, e quando i ragazzi auguravano loro buon giorno, annuivano sorridendo e si facevano da parte.
Cercarono di comprare un po' d'acqua dalla carovana, ma non avevano monete che valessero così poco. Quando Rawlins offrì a un mercante cinquanta centavos per il mezzo penny d'acqua necessario a riempire le borracce, l'uomo non volle accettare nulla. Prima di sera comprarono una borraccia di sotol e se la passarono più volte finché diventarono brilli. A un certo punto Rawlins bevve un sorso, tirò a sé il tappo attaccato alla catenella e l'avvitò, poi prese la cinghia della borraccia e si voltò per tirarla a Blevins, ma la riprese al volo perché il cavallo di Blevins arrancava dietro di lui con la sella vuota. Rawlins, sorpreso, guardò l'animale, fermò il proprio cavallo e chiamò John Grady che stava poco più avanti.
John Grady si voltò a guardare.
Dov'è Blevins?
E chi lo sa! Lungo e tirato per terra da qualche parte, immagino.
Tornarono sui loro passi e Rawlins si tirò dietro il cavallo senza cavaliere. Blevins stava seduto in mezzo alla strada col cappello in testa.
Ehi, disse vedendoli. Sono sbronzo perso.
Gli altri due fermarono i cavalli e lo guardarono.
Riesci a stare in sella? disse Rawlins.
È come chiedere se gli orsi cagano nella foresta! Certo che sì. Quando sono caduto ero a cavallo.
Si alzò barcollando e si guardò attorno. Vacillò e a tastoni raggiunse il cavallo. Si appoggiò al fianco della bestia e al ginocchio di Rawlins.
Pensavo che ve ne foste andati lasciandomi qua, disse.
La prossima volta non torneremo più a raccogliere il tuo culo secco.
John Grady si sporse a prendere le redini e tenne fermo il cavallo mentre Blevins montava faticosamente in sella. Dammi le redini, disse Blevins. Sono un cowboy, ecco quel che sono.
John Grady scosse la testa. Blevins si lasciò sfuggire le redini e nel tentativo di ricuperarle rischiò di precipitare a terra. Ma riprese l'equilibrio e tirò le briglie facendo girare bruscamente l'animale. Sono un mago dei cavalli, cosa credete?
Piantò i talloni nei fianchi della bestia che si abbassò e scattò in avanti. Blevins cadde di schiena in mezzo alla strada. Rawlins sputò disgustato. Lasciamolo qui quello stronzo, disse.
Monta su quel maledetto cavallo, disse John Grady, e piantala di fare l'idiota.
All'imbrunire il cielo settentrionale si scurì e l'arida terra su cui marciavano si fece grigia a perdita d'occhio. Si riunirono in cima a un'altura e guardarono indietro. Sulla loro testa torreggiava il fronte di una tempesta e un vento fresco sferzava la loro faccia sudata. Si accasciarono sulla sella e si guardarono stralunati. In lontananza fra i nuvoloni neri balenavano lampi silenziosi che sembravano saldature incandescenti tra fumi di metallo fuso. Pareva che riparassero un guasto nell'oscurità metallica del mondo.
Sta per venire un diluvio, osservò Rawlins.
Bisogna trovare un riparo, disse Blevins.
Rawlins rise e scosse la testa. Ma sentilo.
E dove pensi di andare? chiese John Grady.
Non so. Ma da qualche parte devo andare.
Perché devi trovare un riparo?
Per i fulmini.
I fulmini?
Sì.
Sembri diventato sobrio tutto d'un colpo, disse Rawlins.
Hai paura dei fulmini? disse John Grady.
Mi beccano subito, garantito al cento per cento.
Rawlins indicò la borraccia appesa al pomo della sella di John Grady. Non dargli più quella merda. Ha già il delirium tremens.
È una sfiga ereditaria, disse Blevins. Mio nonno è rimasto fulminato sul montacarichi di una miniera del West Virginia, il fùlmine è sceso nel pozzo a beccarlo, cinquanta metri sotto terra; non ha nemmeno aspettato che uscisse all'aperto. Hanno dovuto raffreddare il montacarichi a secchiate prima di tirarlo fuori, lui e altri due. Erano abbrustoliti come bacon. Il fratello maggiore di mio padre è stato fulminato nel 1904 a Batson Field mentre era su una torre di trivellazione; la torre era di legno ma il fulmine l'ha beccato lo stesso e non aveva ancora diciannove anni. Un prozio di mia madre, ho detto mia madre, è rimasto fulminato a cavallo; il cavallo non s'è fatto niente, ma lui è rimasto stecchito, hanno dovuto tagliare la cintura perché la fibbia era fusa, e un cugino che ha solo quattro anni più di me s'è beccato un fùlmine in cortile mentre tornava dalla stalla ed è rimasto paralizzato a metà, non solo, ma il fùlmine gli ha fuso le otturazioni dei denti che si sono saldate fra loro e gli hanno inchiodato la bocca.
Te l'avevo detto, osservò Rawlins. È completamente fuori di testa.
Non capivano che gli avesse preso. Non faceva che mugolare e indicarsi la bocca tra uno spasimo e l'altro.
Questa è la palla più grossa che abbia mai sentito, disse Rawlins.
Senza nemmeno sentirlo, Blevins proseguì col sudore alla fronte. Un altro cugino di mio padre è stato beccato e il fulmine gli ha incendiato i capelli. Le monete che aveva in tasca si sono fuse, sono cadute a terra e hanno incendiato l'erba. Io sono stato colpito due volte, ecco perché sono sordo da quest'orecchio. La morte per fuoco ce l'ho nel sangue due volte: da parte di madre e di padre. Devo disfarmi di qualunque oggetto metallico. Il fulmine può colpire qualunque cosa. Le fibbie della tuta. I chiodi delle scarpe.
E allora cosa pensi di fare?
Lanciò uno sguardo disperato verso nord. Devo scappare prima che arrivi. È l'unica.
Rawlins guardò John Grady e si sporse a sputare per terra. Be', disse. Se era rimasto qualche dubbio sulla sua sanità mentale, adesso non ce n'è più.
Non si può sfuggire a un temporale, osservò John Grady. Che diavolo ti viene in mente?
È l'unica speranza che ho.
In quello stesso momento il primo fulmine crepitò in lontananza con uno schiocco non più forte di un rametto spezzato. Blevins si tolse il cappello, si passò la manica della camicia sulla fronte, prese le redini in mano, lanciò un ultimo sguardo terrorizzato all'indietro e frustò il fianco della bestia col cappello.
Lo guardarono partire al galoppo con la mano sul cappello, ma il cappello gli sfuggì rotolando nella polvere. Blevins proseguì ugualmente nella vasta pianura coi gomiti svolazzanti e diventò sempre più piccolo, sempre più ridicolo.
Non mi assumo nessuna responsabilità nei suoi confronti, disse Rawlins. Staccò la borraccia dalla sella di John Grady e si mise in marcia. Cadrà di nuovo per terra e il cavallo chissà che fine farà.
Rawlins proseguì bevendo e parlando da solo. Te lo dico io che fine farà il cavallo, urlò voltandosi indietro.
John Grady lo seguiva. Gli zoccoli dei cavalli sollevavano sbuffi di polvere che mulinavano in avanti spazzati dal vento.
Scapperà chissà dove, urlò Rawlins. Venerdì sarà già all'inferno. Ecco che fine farà quel maledetto cavallo.
Proseguirono sotto i goccioloni di pioggia portati dal vento. Rawlins cercò di far passare il cavallo sul cappello di Blevins, ma il cavallo lo evitò. John Grady sfilò un piede dalla staffa e si chinò a raccoglierlo senza smontare. Ormai sentivano la pioggia avvicinarsi alle loro spalle come un'orda di fantasmi.
Il cavallo ancora sellato di Blevins era legato in una macchia di salici a fianco della strada. Rawlins fermò il cavallo sotto la pioggia e si voltò sulla sella a guardare John Grady. John Grady attraversò il boschetto, scese nel greto dell'arroyo e seguì le rade impronte di piedi nudi impresse nel fango battuto dalla pioggia finché non trovò Blevins accucciato sotto le radici di un pioppo caduto, in un'ansa del torrente che poi si perdeva nella piana. A parte un enorme paio di mutandoni sporchi, era nudo come un verme.
Che diavolo ci fai lì? chiese John Grady.
Blevins stava seduto abbracciandosi le spalle bianche e ossute. Niente, sto qui e basta.
John Grady guardò la pianura dove gli ultimi raggi di sole sfioravano le colline meridionali. Si chinò e lasciò cadere ai piedi di Blevins il cappello.
Dove sono i vestiti?
Me li sono tolti.
Lo vedo. Dove sono?
Li ho lasciati lassù. La camicia ha i bottoni d'ottone.
Se diluvia, qui fra un po' l'acqua verrà giù come un treno, te ne rendi conto?
Tu non hai mai preso un fulmine, disse Blevins. Non sai cosa vuol dire.
Qui finirai annegato.
Non importa. Perlomeno è la prima volta.
Quindi vuoi restare qua?
Esattamente.
John Grady appoggiò le mani sulle ginocchia. Be', disse. Non insisto.
Il lungo brontolio di un tuono rumoreggiò nel cielo a nord. La terra tremò. Blevins si mise le mani sulla testa e John Grady risalì il greto dell'arroyo. Grosse schegge di pioggia perforavano la sabbia umida sotto gli zoccoli del cavallo. John Grady guardò un'ultima volta Blevins accucciato al posto di prima. Una figura quasi inconcepibile in quel paesaggio.
L'hai trovato? chiese Rawlins.
È rintanato là sotto. È meglio che ti metti la mantellina.
L'ho capito a prima vista che è svitato, disse Rawlins. Ce l'ha scritto in fronte.
La pioggia veniva giù a catinelle. Il cavallo di Blevins, ritto sotto il diluvio, sembrava un fantasma. Lasciarono la strada, seguirono il letto del ruscello fino a un boschetto e si ripararono sotto una roccia sporgente, accucciandosi con le ginocchia alla pioggia e tenendo per la briglia i cavalli che scalpitavano e scuotevano la testa. Un fulmine crepitò e il vento cominciò a sferzare le acacie e i paloverde mentre la pioggia flagellava la terra. Sentirono un cavallo fuggire sotto la pioggia, poi soltanto lo scroscio dell'acqua.
Sai cos'è stato, vero? disse Rawlins. Sì.
Vuoi un sorso di sta roba?
No. Sento che comincia a farmi male.
Rawlins annuì e bevve. Anch'io.
Al calar della sera il temporale s'allontanò e la pioggia si ridusse fin quasi a cessare. I due ragazzi tolsero le selle bagnate, legarono i cavalli, si allontanarono nel chaparral in direzioni diverse e vomitarono con le gambe divaricate e le mani sulle ginocchia. I cavalli al pascolo alzarono la testa di scatto. Era un rumore che non avevano mai sentito prima. Nell'incerta luce del crepuscolo i conati sembravano il richiamo di una rozza specie primitiva perduta nella vasta pianura. Una cosa imperfetta e abnorme, insediata nel cuore stesso dell'essere. Qualcosa che sorrideva stupidamente in fondo agli occhi della grazia come una gorgone in una pozza autunnale.
Al mattino sellarono i cavalli, legarono le coperte bagnate dietro la sella e condussero le bestie sulla strada.
Che vuoi fare? chiese Rawlins.
È meglio andarlo a cercare.
E se lo lasciassimo perdere?
John Grady montò a cavallo e guardò Rawlins dall'alto. Non me la sento di lasciarlo quaggiù a piedi.
Rawlins annuì. Sì, hai ragione.
John Grady scese nell'arroyo e incontrò Blevins che risaliva il greto. Guardava attentamente dove metteva i piedi nudi, ancora in mutande come l'aveva lasciato e con uno stivale in mano. John Grady fermò il cavallo e il ragazzino lo guardò.
Dove hai messo i vestiti? disse John Grady.
Se li è portati via l'acqua.
Il tuo cavallo è scappato.
Lo so. Sono già salito una volta a vedere.
Cosa pensi di fare?
Non lo so.
Sembra che quel maledetto rum non ti abbia fatto molto bene.
Ho la testa che scoppia come se una cicciona ci stesse seduta sopra.
John Grady osservò il deserto che brillava al sole appena sorto del mattino. Poi guardò il ragazzo.
Rawlins ne ha le palle piene di te. Penso che lo sai.
Non si può mai sapere quando c'è bisogno di quelli che si disprezzano, disse Blevins.
E questa dove l'hai presa?
Da nessuna parte, mi è venuta così.
John Grady scosse la testa. Aprì la borsa di pelle, prese la camicia di ricambio e la gettò a Blevins.
Mettitela, prima che il sole ti arrostisca. Io faccio un giro a cercare la tua roba.
Grazie, disse Blevins.
Al ritorno trovò Blevins seduto sulla sabbia in camicia.
Quant'acqua c'era qui ieri sera?
Una valanga.
Dove hai trovato lo stivale?
Su un albero.
Ridiscese nel greto e perlustrò il ghiaione a valle. Ma non vide nessuno stivale. Al ritorno trovò Blevins seduto come l'aveva lasciato.
Lo stivale è andato, disse.
L'immaginavo.
John Grady gli allungò la mano. Andiamo.
Tirò su Blevins in mutande e lo fece sedere sul cavallo dietro di sé.
Sentirai Rawlins, cosa dirà quando ti vede, disse.
Quando lo vide, Rawlins rimase troppo costernato per parlare.
Ha perso i vestiti, disse John Grady.
Rawlins voltò il cavallo e si mise lentamente in marcia. Gli altri lo seguirono. Poco dopo John Grady sentì un tonfo sulla strada, guardò indietro e vide lo stivale di Blevins per terra. Si voltò a guardare il ragazzino, ma sotto la tesa del cappello Blevins tenne ostentatamente lo sguardo fisso in avanti. I cavalli procedevano baldanzosi fra le ombre che cadevano sulla strada e le felci che fumavano d'evaporazione. Ogni tanto il gruppo passava accanto a una macchia di cholla. Sulle spine delle piante c'erano trafitti numerosi uccelli trascinati dal vento, piccole creature grigie e anonime impalate nell'atto di volare o afflosciate con le piume arruffate. Alcuni erano ancora vivi e al passaggio dei cavalli si contorcevano sulle spine sollevando il capo e pigolando, ma i cavalieri non si fermarono. Quando il sole s'alzò nel cielo il paesaggio cambiò colore e si tinse del verde acceso delle acacie e dei paloverde, del verde scuro dell'erba che costeggiava la strada e del rosso fuoco dei fiori dell'ocotillo, come se la pioggia fosse stata elettrica e avesse elettrizzato il territorio.
Verso mezzogiorno, ai piedi di una bassa mesa rocciosa che si estendeva davanti a loro da est a ovest, trovarono un accampamento di raccoglitori di cera. Sulla riva di un ruscello limpido, i messicani avevano scavato un focolare delimitato da pietre sul quale avevano assicurato una caldaia ricavata dalla metà inferiore di un serbatoio galvanizzato. Per portarla lì l'avevano legata a un palo e avevano assicurato il palo a un telaio di legno che i cavalli avevano trascinato nel deseno da Saragozza, una città ottanta miglia a levante. La traccia del chaparral appiattito, ancora visibile, si perdeva in lontananza nell'uniformità del deserto. Nell'accampamento c'erano parecchi asini che erano appena scesi dalla mesa carichi della candelilla da cui si ricavava la cera per bollitura. I messicani li avevano lasciati lì ed erano andati a mangiare. Gli uomini, circa una dozzina, indossavano quasi tutti una specie di pigiama stracciato e stavano acquattati all'ombra dei radi salici a mangiare nei piatti di coccio con cucchiai di stagno. I messicani guardarono i ragazzi ma non interruppero il pasto.
Buenos días, disse John Grady. Gli uomini risposero in coro ma svogliatamente. Quando lui smontò da cavallo lo guardarono, si scambiarono un'occhiata e continuarono a mangiare.
Tienen algo que comer?
Un paio di loro gli indicarono il fuoco con il cucchiaio. Quando Blevins smontò, si scambiarono un'altra occhiata.
I ragazzi presero i piatti e le posate dalla sacca della sella. John Grady tirò fuori il pentolino smaltato e lo porse a Blevins insieme a un vecchio forchettone dal manico di legno. Si avvicinarono al fuoco, riempirono il piatto di fagioli al peperoncino, presero da una lamiera appoggiata sul fuoco due tortillas di mais annerite e andarono a sedersi sotto i salici a una certa distanza dagli operai. Blevins stese le gambe nude di fronte a sé, ma vedendole bianche e appariscenti si vergognò e cercò di nasconderle sotto il sedere coprendo le ginocchia con i lembi della camicia presa a prestito. Mentre loro mangiavano, i messicani che avevano già finito fumavano appoggiati all'indietro e ruttavano tranquilli.
Pensi di chiedere notizie del mio cavallo? disse Blevins.
John Grady masticava pensieroso. Be', se è qui dovrebbero aver capito che è nostro.
Pensi che vogliano rubarlo?
Quel cavallo non lo rivedrai mai più, disse Rawlins. Appena arriviamo in una città, è meglio che cerchi di scambiare la pistola con un vestito e un biglietto dell'autobus per tornare a casa. Sempre che ci sia un autobus.
Forse il tuo amico laggiù è disposto a portarsi dietro il tuo culo per tutto il Messico, ma io certamente no.
La pistola non ce l'ho più, disse Blevins. Era sul cavallo.
Merda, disse Rawlins.
Blevins riprese a mangiare. Dopo un po' alzò lo sguardo. Ma che cosa ti ho fatto?
Tu non mi hai fatto niente e non farai mai niente che mi vada a genio, questo è il guaio.
Lascialo stare, Lacey. Non c'è nulla di male se cerchiamo di aiutarlo a ritrovare il cavallo.
Gli sto solo dicendo come stanno le cose, disse Rawlins.
Lo sa benissimo come stanno le cose.
Non sembra.
John Grady ripulì il piatto con l'ultima tortilla, mangiò la tortilla, posò il piatto a terra e cominciò a rollare una sigaretta.
Maledizione, sto ancora crepando di fame, disse Rawlins. Credi che s'incazzino se facciamo un altro giro?
Non s'incazzano, disse Blevins. Fa' pure.
Chi ti ha chiesto qualcosa? ribatté Rawlins.
John Grady fece per prendere un fiammifero in tasca, ma poi si alzò, raggiunse gli operai, si acquattò e chiese un po' di fuoco. Due uomini tirarono fuori di tasca un esclarajo e uno di loro glielo porse acceso. John Grady accese la sigaretta e cominciò a informarsi sulla caldaia e sulla candelilla che era ancora legata sugli asini. Gli operai gli parlarono della cera e uno si alzò, andò a prenderne un panetto grigio e glielo porse. Sembrava sapone da bucato. Il ragazzo grattò la cera con l'unghia, l'annusò, la sollevò in alto e l'osservò attentamente.
Qué vale? chiese.
I messicani scrollarono le spalle.
Es mucho trabajo, disse John.
Bastante.
Un tipo smilzo con un panciotto di cuoio ricamato e bisunto osservava John Grady con occhi socchiusi e indagatori. Quando John Grady restituì la cera l'uomo richiamò la sua attenzione con un sibilo alzando di scatto la testa.
John Grady si voltò.
Es su hermano, el rubio?
Si riferiva a Blevins. John Grady scosse la testa. No, disse.
Quién es? chiese l'uomo.
John Grady guardò lo spiazzo e vide Blevins che si spalmava sulle gambe bruciate dal sole un pezzo di lardo ricevuto dal cuoco.
Un muchacho, no mas, disse.
Algun parentesco?
No.
Un amigo.
John Grady tirò una boccata di fumo e scrollò la cenere contro il tacco dello stivale. Nada, disse.
Tutti tacquero. L'uomo col panciotto studiò John Grady e guardò Blevins, poi chiese a John se voleva vendere il ragazzino.
Di fronte al suo silenzio l'uomo immaginò che ci stesse pensando.
Restarono in attesa. Poi John Grady sollevò lo sguardo. No, disse.
Qué vale? chiese l'uomo.
John Grady spense la cicca sulla suola di uno stivale e si alzò.
Gracias por su hospitalidad, disse.
L'uomo gli offerse della cera in cambio del ragazzo. Gli altri si voltarono ad ascoltarlo. Poi si voltarono a guardare John Grady.
John Grady li studiò. Non sembravano cattivi, ma non si sentì meglio.
Infine si voltò e attraversò lo spiazzo in direzione dei cavalli. Blevins e Rawlins si alzarono.
Cos'hanno detto? gli chiese Blevins.
Niente.
Hai chiesto del mio cavallo? No.
Perché no?
Perché non ce l'hanno.
Cosa voleva quel tipo?
Niente. Prendete i piatti e andiamo.
Rawlins guardò gli uomini seduti al di là dello spiazzo, prese le redini e balzò in sella.
Cos'è successo? chiese.
John Grady montò a cavallo, fece dietrofront e si voltò a guardare gli operai. Poi guardò Blevins a terra coi piatti in mano. Perché quell'uomo mi puntava? disse il ragazzino.
Metti la roba nella borsa e salta su, svelto.
Non è lavata.
Fa' come ti dico.
Alcuni operai s'alzarono. Blevins infilò i piatti nella sacca, John Grady si chinò e lo tirò in groppa al cavallo.
Lasciarono l'accampamento e imboccarono il sentiero in direzione sud. Rawlins si guardò alle spalle e spinse il cavallo al trotto. John Grady lo raggiunse e cavalcò in silenzio al suo fianco sulla stretta pista sconnessa. Dopo un miglio Blevins chiese cos'aveva detto l'uomo col panciotto, ma John Grady non rispose.
Quando Blevins rifece la domanda, Rawlins si voltò a guardarlo e gli disse: Voleva comprarti, ecco quel che voleva.
John Grady non guardò Blevins e tutti proseguirono in silenzio.
Perché gliel'hai detto? chiese John Grady. Non ce n'era nessun bisogno.
Quella sera s'accamparono sui contrafforti della Sierra de la Encantada e rimasero intorno al fuoco in silenzio. Blevins, con le gambe ossute e bianche coperte di polvere e di pagliuzze appiccicate al lardo e con quei mutandoni troppo larghi e sporchi, sembrava davvero un servo infelice e maltrattato, se non peggio. John Grady gli passò una delle sue coperte e Blevins se l'avvolse intorno, si sdraiò accanto al fuoco e s'addormentò. Rawlins scosse la testa e sputò.
È ridotto in uno stato pietoso, dichiarò. Hai pensato a quel che ho detto?
Sì, disse John Grady, ci ho pensato.
Rawlins fissò a lungo la rossa brace del fuoco. Sai cosa ti dico? Sentiamo.
Ho il presentimento che stia per succedere qualcosa di brutto.
John Grady continuò a fumare in silenzio stringendo le ginocchia fra le braccia.
Questo è solo l'inizio, disse Rawlins. Adesso viene il bello, te lo dico io.
A mezzogiorno dell'indomani entrarono nel pueblo di Encantada ai piedi delle colline basse e smussate che avevano costeggiato da tempo, e la prima cosa che videro fu la pistola di Blevins che sporgeva dalla tasca posteriore di un uomo chino sul motore di una Dodge. John Grady la vide per primo e si disse che era l'ultima cosa che avrebbe voluto vedere.
Accidenti, ecco la mia pistola! esclamò Blevins.
John Grady si voltò e afferrò Blevins al volo per la camicia prima che cadesse da cavallo.
Sta calmo, idiota, gli disse.
Sta calmo un accidente, ribatté Blevins.
Cosa vuoi fare?
Rawlins si affiancò agli altri due. Dio santissimo, non fermarti, sibilò.
Su una porta spuntarono alcuni bambini a guardare la scena e Blevins si voltò indietro.
Se il cavallo è qui, disse Rawlins, non hanno bisogno di chiamare DickTracy per scoprire chi è il proprietario.
Che facciamo?
Non lo so, ma togliamoci subito da questa maledetta strada. Forse è già troppo tardi. Sarebbe meglio nascondere Blevins in un posto sicuro e dare un'occhiata con calma.
Sei d'accordo, Blevins?
Chi se ne frega se è d'accordo o no, disse Rawlins. Lui deve solo star zitto, perlomeno se vuole il mio aiuto.
Rawlins superò gli altri due e, seguito da loro, svoltò in un vicoletto sterrato che lì era considerato una strada. Smettila di voltarti indietro, maledizione, disse John Grady.
Lasciarono Blevins all'ombra di un boschetto di pioppi con una borraccia d'acqua, gli dissero di non farsi vedere da nessuno e tornarono lentamente al villaggio. Nell'imboccare uno dei tanti vicoletti sterrati videro il cavallo del ragazzino guardar fuori da una finestra senza serramenti che si apriva in una capanna di fango abbandonata.
Non fermarti, disse Rawlins.
John Grady annuì.
Quando tornarono al boschetto di pioppi Blevins era sparito. Rawlins guardò il paesaggio deserto e polveroso e prese il tabacco in tasca.
Sai cosa ti dico, cugino?
John Grady sputò. Sentiamo.
Tutte le cazzate che ho fatto nella mia vita le ho fatte per colpa di una decisione che avevo preso prima. Il problema non era la cazzata, ma la decisione. Capisci quello che voglio dire?
Sì, credo di sì. E allora?
E allora questa è la nostra ultima carta. Adesso o mai più. Non ci sarà un'altra volta, te l'assicuro.
Vuoi lasciarlo qui?
Sissignore.
E se toccasse a te? Non tocca a me.
Ma se ti toccasse?
Rawlins infilò la sigaretta fra le labbra, prese un fiammifero in tasca e l'accese con l'unghia del pollice, poi guardò John Grady.
Io non abbandonerei te e tu non abbandoneresti me, questo è sicuro.
Ti rendi conto che è nella merda fino al collo?
Sì, me ne rendo conto, ma è lui che ci si è messo.
Rimasero fermi. Mentre Rawlins fumava, John Grady incrociò le mani sul pomo della sella e le fissò per qualche tempo, poi alzò gli occhi.
Non me la sento, disse.
Okay.
Che significa?
Significa d'accordo, se non te la senti non te la senti. D'altra parte lo sapevo che avresti risposto così.
Ah sì? Io no.
Dopo aver tolto la sella legarono i cavalli, si sdraiarono sulle foglie secche all'ombra dei pioppi e s'addormentarono. Quando si svegliarono era quasi buio e il ragazzino, accucciato accanto a loro, li stava guardando.
Buon per voi che non sono un furfante, disse. Avrei potuto arraffare tutto quello che avete e svignarmela.
Rawlins si voltò a guardarlo da sotto il cappello e poi distolse lo sguardo.
John Grady si tirò su a sedere.
Cos'avete scoperto? disse Blevins.
Il tuo cavallo è qui.
L'avete visto?
Sì.
E la sella?
Non l'abbiamo vista.
Non me ne vado di qui finché non ho ricuperato tutta la mia roba.
Ci siamo, disse Rawlins. Ecco che comincia!
Che ha detto? domandò Blevins.
Lascia perdere, disse John Grady.
Se la roba fosse sua sarebbe diverso e la rivorrebbe indietro, ci scommetto.
Non stuzzicarlo.
Senti, testa di cazzo, disse Rawlins. Se non fosse per lui io non sarei qui. Ti avrei lasciato laggiù in quell'arroyo. Anzi, no, ti avrei già lasciato sul Pecos.
Cercheremo di ricuperare il cavallo, disse John Grady. Se questo non ti basta dillo subito.
Blevins fissò lo sguardo a terra.
Non gliene frega niente, disse Rawlins. Ci metterei la firma. Morire ammazzato per furto di cavallo non lo preoccupa affatto. Non vede l'ora.
Non è un furto, disse Blevins. Il cavallo è mio.
Che differenza fa? Ora di' chiaramente che intenzioni hai, ma dillo a lui perché a me non me ne frega un cazzo, te l'assicuro.
D'accordo, disse Blevins.
John Grady l'osservò. Se ti riportiamo il cavallo sei disposto a partire subito? Sì.
Abbiamo la tua parola?
Capirai che parola! esclamò Rawlins. Sì.
John Grady guardò Rawlins che s'era sdraiato col cappello tirato sugli occhi e tornò a guardare Blevins. Allora d'accordo, disse.
Si alzò, prese le coperte e ne diede una a Blevins.
Andiamo subito a dormire? disse Blevins.
Io sì.
Avete mangiato?
Sì, disse Rawlins, certamente. Tu no? Ci siamo sbafati una bisteccona per uno e ci siamo divisi la terza.
Porca vacca, disse Blevins.
Dormirono fino al calar della luna, poi fumarono al buio. John Grady guardava le stelle.
Che ora sarà? chiese Rawlins.
Dalle mie parti il primo quarto di luna tramonta a mezzanotte.
Rawlins finì di fumare. Be', al diavolo, io torno a nanna, disse. Va' pure, ti sveglio io.
D'accordo.
Poco dopo anche Blevins andò a dormire. John Grady rimase a guardare il firmamento srotolarsi dalle scure palizzate delle montagne che sorgevano a oriente. Il villaggio era buio pesto. Non un cane abbaiava. Il ragazzo guardò Rawlins dormire avvolto nelle coperte e pensò che aveva ragione in tutto, salvo che non si poteva fare diversamente. L'orsa maggiore al confine settentrionale del mondo ruotò e la notte parve non passare più.
Li svegliò a poco più di un'ora dall'alba.
Sei pronto? chiese Rawlins.
Visto che non se ne può fare a meno...
Sellarono i cavalli e John Grady porse la pastoia a Blevins. Fanne una cavezza, disse.
Va bene.
Nascondila sotto la camicia, disse Rawlins, non farla vedere a nessuno.
Non c'è nessuno che possa vederla, ribatté Blevins.
Non esserne così sicuro, laggiù vedo già una luce.
Andiamo, disse John Grady.
Nella strada in cui avevano visto il cavallo le case erano tutte buie. Avanzarono lentamente. Un cane che dormiva per terra si alzò e cominciò ad abbaiare, ma Rawlins fece il gesto di gettargli una pietra e il cane scappò. Quando arrivarono alla casa che cercavano John Grady smontò, andò a guardare dalla finestra e tornò indietro.
Non c'è, disse.
Nel vicoletto sterrato c'era un silenzio di tomba. Rawlins sputò. Merda, disse.
Siete sicuri fosse qui? chiese Blevins. Sì.
Il ragazzino scivolò giù dal cavallo, attraversò il vicolo a piedi nudi con fare circospetto e sbirciò dentro la casa, poi ci entrò scavalcando la finestra.
Che diavolo fa? esclamò Rawlins.
Mi hai tolto le parole di bocca.
Attesero. Ma Blevins non si fece vedere.
Laggiù arriva qualcuno.
Si sentirono abbaiare dei cani. John Grady rimontò in sella, girò il cavallo, tornò sulla strada e si fermò al buio. Rawlins lo seguì. I cani cominciarono ad abbaiare in tutto il villaggio. Si accese una luce.
Per Dio, e adesso? esclamò Rawlins.
John Grady lo guardò. Aveva la carabina appoggiata alla coscia. Al di là delle case si alzò un urlo che coprì il latrato dei cani.
Ma lo sai cosa ci faranno questi bastardi? esclamò Rawlins. Ci hai pensato?
John Grady si chinò a parlare al cavallo e gli mise una mano sul collo. L'animale pur non essendo di natura nervoso aveva cominciato a scalpitare nervosamente. Il ragazzo guardò in direzione delle case in cui s'era accesa la luce e udì un nitrito di cavallo nel buio.
Quel figlio di puttana è pazzo, disse Rawlins. Completamente pazzo.
Subito dopo scoppiò il pandemonio. Rawlins voltò il cavallo che partì al trotto, ma lui lo colpì al fianco con la canna del fucile e il cavallo si fermò piantando a terra gli zoccoli posteriori. Blevins, in mutande, sul grande baio e inseguito dappresso da una muta di cani ringhiosi, esplose in strada attraverso una pioggia di schegge sfondando un recinto di ocotillo.
Passando accanto a Rawlins sul baio, Blevins si reggeva alla criniera e si teneva il cappello schiacciato in testa. I cani urlanti si precipitarono in strada, il cavallo di Rawlins si girò scuotendo la testa e il grande baio fece un giro completo su se stesso. Nel buio si sentirono risuonare a intervalli regolari tre colpi di pistola: barn barn barn. John Grady schiacciò i tacchi degli stivali contro il cavallo, si chinò sulla sella e risalì rapidamente il vicolo seguito da Rawlins. Blevins, con le ginocchia nude incollate al cavallo e la camicia svolazzante, li superò entrambi.
Prima che raggiungessero la svolta in cima alla collina, nella strada alle loro spalle risuonarono altri tre spari. Imboccarono la strada principale in direzione sud e attraversarono il villaggio di gran carriera. Alcune finestre erano già illuminate, ma i ragazzi galopparono verso le colline. Il mondo prendeva forma alla prima luce dell'alba. Un miglio a sud del villaggio incontrarono Blevins che aveva fermato il cavallo sul sentiero e li aspettava osservando la strada alle loro spalle.
Fermi, disse. Fatemi ascoltare.
Gli altri cercarono di calmare i cavalli ansimanti. Figlio di puttana, disse Rawlins.
Blevins non rispose, scese da cavallo e si sdraiò sulla strada in ascolto. Poi si alzò e risali in sella.
Ragazzi, disse, stanno arrivando.
Cavalli?
Sì. Ve lo dico chiaro e tondo, non potete tener dietro al mio cavallo. Lasciatemi andare avanti perché è me che cercano. Loro seguiranno la polvere e voi potete scappare da qualche altra parte. Ci vediamo più avanti.
Prima che gli altri potessero rispondere girò il cavallo con la cavezza e partì al gran galoppo sul sentiero.
Ha ragione, disse John Grady. È meglio togliersi da questa maledetta strada.
D'accordo.
Al buio s'infilarono fra i cespugli tenendosi nei punti meno esposti e restando chini sul collo delle bestie per non essere individuati sullo sfondo del cielo.
Così siamo sicuri di far mordere i cavalli da qualche serpente, disse Rawlins.
Fra poco sarà giorno.
Così ci sparano.
Poco dopo sentirono alcuni cavalli sulla strada. Poi altri ancora. Infine silenzio.
È meglio che ci nascondiamo da qualche parte, disse Rawlins, ormai è quasi giorno.
Sì, lo so.
Pensi che al ritorno vedranno dove abbiamo lasciato la strada?
Se ci sono passati tanti cavalli no.
E se lo beccano?
John Grady non rispose.
Non esiterebbe un momento a spiattellare dove siamo andati.
Probabilmente hai ragione.
Lo sai benissimo. Basta che gli facciano gli occhiacci.
Allora è meglio smammare alla svelta.
Be', non so il tuo, ma il mio cavallo è quasi scoppiato.
Allora dimmi che vuoi fare.
Merda, esclamò Rawlins, non abbiamo scelta. Vedremo cosa ci porterà il mattino. Magari uno di questi giorni riusciamo a trovare un po' di biada in questo maledetto paese.
Può darsi.
Rallentarono il passo e raggiunsero la cresta delle colline. Nel grigio del paesaggio nulla si muoveva. Smontarono da cavallo e proseguirono a piedi sentendo i primi cinguettìi degli uccelli levarsi dal chaparral.
Lo sai da quanto tempo non mangiamo? disse Rawlins.
Non ci ho nemmeno pensato.
Neppure io, finora. L'idea di beccarsi una pallottola fa passare l'appetito, non ti pare?
Fermati un attimo.
Che c'è?
Fermo.
Restarono in ascolto.
Non sento niente.
Laggiù c'è gente a cavallo.
Sulla strada?
Non so.
Vedi qualcosa?
No.
Proseguiamo.
John Grady sputò e rimase ancora in ascolto. Poi s'avviarono.
All'alba lasciarono i cavalli nel greto di un torrente in secca, s'arrampicarono in cima a un'altura e si acquattarono fra gli ocotillos a guardare il territorio che si estendeva indietro a nordest. Alcuni cervi pascolavano sul crinale di fronte. Non videro altro.
Riesci a vedere la strada? chiese Rawlins.
No.
Si fermarono. Rawlins appoggiò il fucile contro il ginocchio e prese il tabacco in tasca. Mi farò una bella fumata, disse.
A oriente s'aprì un gran ventaglio di luce e all'orizzonte sorse l'immenso disco del sole, rosso come sangue.
Guarda laggiù, disse John Grady.
Dove?
Laggiù.
A due miglia alcuni uomini a cavallo spuntarono su una cresta. Prima uno, poi due, poi un terzo. Quindi scomparvero di nuovo.
Dove saranno diretti?
Be', cugino, non posso giurarci, ma penso di saperlo benissimo.
Rawlins teneva la sigaretta in mano. Ci toccherà crepare in questo maledetto paese.
Io dico di no.
Pensi che riescano a seguire le nostre tracce su questo terreno?
Non lo so. Ma non sono nemmeno certo del contrario.
Sai che ti dico? Se riescono a scovarci quassù coi cavalli scoppiati dovranno vedersela con questo fucile. John Grady lo guardò e tornò a guardare il punto in cui erano comparsi i cavalieri. Non ho nessuna voglia di tornare in Texas facendomi strada a colpi di fucile, disse.
Dov'è la tua pistola?
Nella borsa.
Rawlins accese la sigaretta. Se incontro ancora quel figlio di puttana lo faccio secco personalmente, lo giuro sulla mia testa.
Andiamo, disse John Grady. Tra noi e loro c'è ancora un sacco di strada. Preferisco una bella fuga a una pessima resistenza.
Si allontanarono verso occidente col sole alle spalle e proiettarono di fronte a sé ombre lunghe come alberi. Attraversarono un antico territorio vulcanico, si tennero al margine di quel nero pianoro ondulato e sassoso, e spesso si guardarono alle spalle. Videro una seconda volta gli uomini a cavallo, più a sud del punto previsto. E li videro ancora una terza.
Se i loro cavalli non hanno toccato il fondo, direi che dovrebbero andare più svelti, disse Rawlins.
Anch'io.
A metà mattina salirono sulla cresta di un'altura vulcanica, voltarono i cavalli e si fermarono a guardare indietro.
Che ne dici?
Be', ormai hanno capito che noi non abbiamo il cavallo, questo è sicuro, e forse non muoiono dalla voglia di gironzolare da queste parti come noi due.
Hai ragione.
Si fermarono a lungo in mezzo all'immobilità più totale.
Secondo me ci hanno lasciati perdere.
Anche secondo me.
Però muoviamoci.
Nel tardo pomeriggio i cavalli cominciarono a barcollare. Dopo averli fatti bere nel proprio cappello, i due ragazzi scolarono l'altra borraccia e ripresero la marcia. Degli inseguitori nessuna traccia. Verso sera s'imbatterono in un gruppo di pastori accampati sull'altra sponda di un profondo arroyo col letto di sassi bianchi e rotondi. I pastori parevano aver scelto il posto come gli antichi abitanti di quella terra, pensando alla possibilità di difendersi, e osservarono con grande solennità i cavalieri che costeggiavano l'altra riva.
Che dici? chiese John Grady.
Dico di proseguire. Sono un po' deluso dagli abitanti di queste parti.
Forse hai ragione.
Proseguirono per un altro miglio e scesero nell'arroyo in cerca di acqua, ma non ne trovarono. Smontarono e proseguirono a piedi caracollando nel buio incombente. Rawlins, con il fucile ancora in mano, seguiva le orme lasciate dagli uccelli o dai cinghiali sulla sabbia.
La notte li sorprese seduti per terra sulle coperte, senza fuoco e senza parole. I cavalli erano legati poco più in là. A un certo punto Rawlins disse: Dovevamo farci dare un po' d'acqua da quei pastori.
Troveremo l'acqua domattina.
Vorrei fosse già domattina.
John Grady non rispose.
Quel maledetto di Junior continuerà ad agitarsi, a pisciare e far casino tutta la notte. Ormai lo conosco.
Probabilmente i cavalli pensano che siamo impazziti.
E non lo siamo?
Pensi che l'abbiano preso?
Non saprei.
Vado a nanna.
Si avvolsero nelle coperte. I cavalli si agitavano nel buio. Sai che ti dico di lui? chiese Rawlins.
Di chi?
Di Blevins.
Cosa?
Quando gli fregano il cavallo, quel piccolo figlio di puttana non ha paura di nessuno.
Al mattino lasciarono i cavalli nell'arroyo e si arrampicarono a guardare l'alba e a vedere come si presentava la situazione. Al sorgere del sole si sedettero con la schiena al caldo per rimediare al freddo della notte. A nord un sottile filo di fumo aleggiava nell'aria immobile.
Saranno i pastori? chiese Rawlins.
Speriamo.
Vuoi andare laggiù a vedere se ci danno un po' d'acqua e di roba da mangiare?
No.
Io nemmeno.
Rawlins si alzò e s'allontanò col fucile in mano. Poco dopo ritornò col cappello pieno di fichi d'India, versò i frutti su una roccia piatta e cominciò a pelarli con il coltello.
Ne vuoi? disse.
John Grady si avvicinò e prese in tasca il proprio coltello. I fichi d'India, ancora freddi per la notte, tinsero le loro dita di rosso. Li pelarono, li mangiarono, sputando i semi durissimi e cominciarono a togliersi le spine dalle dita. Rawlins indicò il paesaggio deserto con la mano. Non succede molto da queste parti, eh?
John Grady assentì. Il guaio peggiore è che possiamo finire in bocca a quella gente senza nemmeno saperlo. Non abbiamo nemmeno visto bene i loro cavalli.
Rawlins sputò. Loro hanno lo stesso problema. Non ci conoscono.
Però ci riconoscerebbero facilmente.
Sì, disse Rawlins. Hai ragione.
In compenso i nostri problemi fanno ridere rispetto a quelli di Blevins. Lui è come se avesse il cavallo dipinto di rosso e andasse in giro suonando la tromba.
Non hai tutti i torti.
Rawlins pulì il coltello sui calzoni e lo richiuse. Ho l'impressione di non capirci più niente.
Il bello è che lui dice la verità: quel cavallo è suo.
Comunque sia è di qualcuno.
Ma certamente non è di questi messicani.
Sì, ma non potrà mai dimostrarlo.
Rawlins infilò il coltello in tasca e ispezionò il cappello per ripulirlo dalle spine dei fichi d'India. Un bel cavallo è come una bella donna, non vale i fastidi che dà. Meglio un cavallo normale che faccia quello che deve fare.
E questa dove l'hai presa?
Non lo so.
John Grady ripiegò il coltello e disse: Be', da queste parti c'è un sacco di spazio.
Davvero un sacco.
Chissà dov'è andato.
Rawlins annuì. Ora ti ripeto quello che hai detto a me.
Che cosa?
Vedrai che non ce lo siamo ancora tolto dai piedi.
Cavalcarono tutto il giorno nella vasta pianura in direzione sud e a mezzogiorno trovarono l'acqua, un residuo fangoso in fondo a una cisterna in mattoni. Verso sera, attraversando un colle, stanarono un cerbiatto da una macchia di ginepri. Rawlins mollò le redini, estrasse rapidamente il fucile dal fodero, mirò e fece fuoco. Il cavallo s'inarcò e scartò di fianco tremando. Il ragazzo smontò e raggiunse di corsa il cerbiatto che giaceva morto in una pozza di sangue. John Grady lo seguì tirandosi dietro l'altro cavallo. Il cerbiatto, colpito alla base del cranio, aveva già gli occhi vitrei. Rawlins estrasse il bossolo, mise in canna un'altra pallottola con l'apposita leva e abbassò il cane col pollice, poi alzò lo sguardo.
Bel colpo, disse John Grady.
No, è stata solo fortuna. Ho sparato senza nemmeno mirare.
Bel colpo lo stesso.
Passami il tuo coltello da caccia. Se non ci facciamo un'abbuffata di cervo io sono un cinese.
Lo sventrarono, lo stesero a raffreddare sui ginepri e fecero un giretto sulla collina in cerca di legna, poi accesero il fuoco, tagliarono dei rami di paloverde e fecero alcuni montanti a forcella per appoggiarveli sopra. Rawlins scuoiò il cerbiatto, tagliò la carne a strisce e la stese sui rami ad affumicare. Quando le fiamme scemarono, infilzò i pezzi che restavano su due bastoncini di legno verde e li mise a cuocere sulle braci appoggiandoli di lato su qualche pietra. Infine si sedettero entrambi a guardare la carne arrostire e fiutarono l'odore del grasso che colava nel fuoco fumando e sfrigolando.
John Grady raggiunse i cavalli, li dissellò, li mise in pastoie e tornò con le coperte e la sella.
Ecco qua, disse.
Cos'è?
Sale.
Quanto vorrei un po' di pane!
E che ne diresti di un po' di mais fresco, qualche patata e una brocca di sidro ghiacciato?
Non fare lo stronzo.
Non è ancora cotta la roba?
No. Siediti. Non la farai cuocere prima stando lì in piedi.
Mangiarono un filetto a testa, voltarono i pezzi stesi ad affumicare sui rami e si sdraiarono a rollarsi una sigaretta.
Ho visto i vaqueros che lavoravano da Blair tagliare una vitella di un anno in fette così sottili da vederci attraverso. E riuscivano a disossarla in maniera da ricavarne quasi un unico pezzo. Poi appendevano la carne intorno al fuoco come biancheria; se ci capitavi di notte non riuscivi a capire cosa diavolo fosse. Sembrava di guardare attraverso qualcosa e vedergli il cuore. Durante la notte attizzavano il fuoco e giravano la carne, e li vedevi aggirarsi là in mezzo. Se ti svegliavi vedevi quella strana cosa risplendere nella prateria come una stufa incandescente. Rossa come sangue.
Questa carne saprà di cedro, disse John Grady.
Lo so.
A sud lungo la cresta si sentivano i coyote ululare. Rawlins si sporse a scuotere la cenere della sigaretta nel fuoco.
Pensi mai alla morte?
Sì. Qualche volta. Tu?
Sì. Qualche volta. Secondo te esiste il paradiso? Sì. E secondo te?
Non so. Sì. Forse. Secondo te si può credere al paradiso se non si crede all'inferno?
Secondo me puoi credere a quel che ti pare. Rawlins annuì. Se pensi a tutto quello che ti può succedere non la finisci più.
Stai cercando di convertirci?
No. Ma qualche volta mi chiedo se non farei meglio. Non starai mica meditando di andartene, eh? No, te l'ho detto. John Grady assentì.
Pensi che quella carne possa attirare un leone? disse Rawlins. Può darsi.
Ne hai mai visto uno? No, e tu?
Solo quello ucciso dai cani di Julius Ramsey lungo il Grape Creek. Julius s'è arrampicato sull'albero e l'ha costretto a scendere con un bastone. Così il leone ha dovuto vedersela coi cani. Secondo te l'ha fatto davvero? Sì, probabilmente sì.
John Grady annuì. È un tipo che ne sarebbe capace. I coyote ulularono, smisero, e ulularono di nuovo. Secondo te Dio tiene d'occhio la gente? disse Rawlins. Sì. Penso di sì. Tu?
Sì. Visto come va il mondo lo penso anch'io. Un giorno uno si sveglia e sternuta in Arkansas o in qualche altro posto, e prima che tu te ne accorga succedono guerre, disastri, il finimondo. In un attimo non si capisce più niente. Secondo me Lui ci sta attento. Altrimenti non saremmo in grado di sopravvivere un giorno. John Grady assentì. Pensi che quei bastardi l'abbiano preso? Blevins? Sì.
Non so. Credevo che non vedessi l'ora di liberartene. Non vorrei che gli succedesse qualcosa di brutto. Neanch'io.
Pensi che si chiami proprio Jimmy Blevins?
Chi lo sa.
Nella notte i coyote li svegliarono azzuffandosi come gatti per contendersi la carcassa del cervo.
Senti che casino, disse Rawlins.
Si alzò, prese un tizzone ardente e lo tirò ai coyote con un urlo facendoli scappare, poi attizzò il fuoco e girò la carne che stava ad affumicare sul graticcio di legno verde, ma non fece in tempo a tornare sotto le coperte che li sentì di nuovo arrivare.
L'indomani cavalcarono tutto il giorno sulle colline verso ponente. Ogni tanto mangiavano la carne quasi secca e affumicata del cervo: la tagliavano a pezzi, la masticavano a lungo pulendosi le mani nere e unte sul manto dei cavalli e si passavano la borraccia in continuazione ammirando il paesaggio. A sud c'era un temporale e all'orizzonte si muovevano lentamente grossi banchi di nuvole nere da cui pendevano pigramente lunghi tentacoli scuri di pioggia. Quella notte s'accamparono su una terrazza rocciosa che dominava la piana e guardarono le montagne apparire più volte nel buio totale alla luce dei lampi. Il mattino dopo traversarono il pianoro, bevvero l'acqua piovana rimasta nelle asperità delle rocce e abbeverarono i cavalli nelle pozze d'acqua stagnante trovate nelle bajadas. Poi si arrampicarono a passo lento sulle montagne sentendo l'aria rinfrescarsi progressivamente fino alla cresta delle cordilleras: e di là videro sotto di loro la terra di cui avevano sentito parlare. Grandi pascoli verdi si estendevano a perdita d'occhio nella densa bruma violetta della sera e a occidente piccoli stormi di uccelli acquatici, come branchi di pesci in un mare infuocato, migravano a settentrione sullo sfondo delle gallerie rosse scavate nelle nuvole dalla luce del tramonto. Nella pianura più vicina videro alcuni vaqueros spingere avanti il bestiame attraverso un velo di polvere d'oro.
S'accamparono sul versante sud e distesero le coperte all'asciutto sotto un riparo di roccia. Rawlins prese corda e cavallo, trascinò al campo un intero tronco secco e fece un gran falò contro il freddo. Lontano, nel buio sconfinato della pianura, il fuoco dei vaqueros, distante ben cinque miglia, sembrava il loro fuoco riflesso in un lago scuro. Di notte, quando la pioggia fece sibilare le braci, i cavalli emersero dalle tenebre e rimasero accanto al fuoco ammiccando e ruotando gli occhi rossi. La mattina spuntò fredda e grigia e il sole sorse piuttosto tardi.
A mezzogiorno raggiunsero la pianura e cavalcarono in mezzo a un'erba che non avevano mai visto. La pista del bestiame si snodava nel verde come un ruscello. A metà pomeriggio videro una mandria in marcia verso occidente e un'ora dopo la raggiunsero.
I vaqueros, riconoscendo nei ragazzi dei cowboy dal modo di stare a cavallo, li chiamarono caballero, scambiarono con loro il tabacco e parlarono di quella terra. Scortarono il bestiame a ponente, attraversarono diversi ruscelli, un torrente, e passarono in boschetti di enormi pioppi mettendo in fuga gruppi di antilopi e cervi dalla coda bianca. Verso sera giunsero a un recinto davanti al quale spinsero il bestiame a sud. Oltre il recinto c'era una strada e la strada era segnata da tracce di pneumatici e di cavalli rimaste impresse nel fango dopo le recenti piogge. I vaqueros tacquero all'avvicinarsi di una ragazza che montava un morello arabo e che portava stivali all'inglese, calzoni e giacchetta blu e un frustino. Probabilmente era entrata nel fiume o nelle ciénagas perché il cavallo aveva il ventre bagnato e la cinghia della staffa e gli stivali erano scuri nella parte inferiore. La ragazza portava un cappello di feltro nero a tesa larga da cui scendeva una chioma di capelli neri lunga fin quasi alla vita. Passando si voltò, sorrise e si toccò il cappello col frustino: allora uno per uno tutti i vaqueros, compresi quelli che avevano fatto finta di non vederla, la salutarono toccandosi il cappello. Poi la ragazza accelerò l'andatura e scomparve in fondo alla strada.
Rawlins guardò il capo dei vaqueros, ma l'uomo spronò il cavallo e si portò in testa alla fila. Rawlins rimase indietro fra gli altri e s'accostò a John Grady.
Hai visto che signorina? disse.
John Grady non rispose e continuò a guardare il punto in cui la ragazza era svanita. Non c'era nulla da vedere, ma non distolse lo sguardo.
Un'ora dopo, al crepuscolo, aiutarono i vaqueros a far entrare il bestiame in un grande recinto. Il gerente, arrivato a cavallo da casa, osservò la scena in silenzio pulendosi i denti. A lavoro finito il capo e un altro vaquero gli presentarono i ragazzi senza fare nomi. Tutti e cinque andarono alla casa del gerente e lì, al tavolo di metallo della cucina, sotto una nuda lampadina, il gerente li tempestò di domande sulla loro esperienza nei ranch mentre il capo confermava ogni loro affermazione e il vaquero annuiva e diceva che era proprio così. Poi il capo di sua iniziativa decantò spontaneamente certe doti che loro stessi non avevano, fugando ogni dubbio con un gesto della mano, quasi a voler dire che queste cose tutti le sapevano. Il gerente si appoggiò allo schienale della sedia e li studiò poi si fece sillabare il nome da entrambi e lo annotò sul registro. Infine i ragazzi si alzarono, gli strinsero la mano e uscirono nelle prime tenebre. La luna stava sorgendo, il bestiame muggiva e il bagliore giallo delle finestre illuminate dava forma e calore a un mondo ancora straniero.
Dissellarono i cavalli, li chiusero in un recinto e seguirono il capo al dormitorio, una lunga costruzione in mattoni col tetto di lamiera e la base di cemento. In uno stanzone c'erano dodici brande di legno o di metallo. Una piccola stufa di lamiera. Nell'altro, una lunga tavola con delle panche e un fornello a legna per cucinare. Una vecchia credenza che conteneva i bicchieri e le stoviglie. Un lavello di pietra e un armadietto zincato. Al loro ingresso gli uomini stavano già mangiando. Loro presero una tazza e un piatto nell'armadietto, andarono al fornello a servirsi di fagioli, tortillas e di un succoso stufato di capretto e raggiunsero il tavolo dove i vaqueros li accolsero con grandi cenni della testa e li invitarono a sedersi con gesti espansivi continuando a mangiare con l'altra mano.
Dopo cena rimasero a tavola a bere caffè e a fumare e i vaqueros li subissarono di domande sull'America, sui cavalli e sul bestiame, ma non su di loro. Alcuni avevano amici e parenti che c'erano stati, ma quasi per tutti l'America era poco più di una voce, qualcosa di cui non riuscivano a capacitarsi. Qualcuno mise in tavola un lume a petrolio e l'accese; poco dopo il generatore tacque e le lampadine appese al soffitto, dopo essersi ridotte a un tenue filamento arancione, si spensero. I vaqueros continuarono ad ascoltare con grande attenzione le risposte di John Grady annuendo con solennità, attenti a non esprimere opinioni avventate su ciò che sentivano perché, come quasi tutti gli uomini esperti nel proprio campo, disprezzavano chiunque pretendesse di sapere cose non sperimentate in prima persona.
Infine andarono a mettere i piatti in una vasca di metallo galvanizzato piena d'acqua saponata, portarono il lume nell'altro stanzone, allungarono i pagliericci sulla rete arrugginita delle brande, stesero le coperte, si spogliarono e spensero il lume. I due ragazzi, nonostante l'estrema stanchezza, rimasero svegli a lungo nel buio dopo che i vaqueros s'erano addormentati. Sentivano il respiro profondo e cadenzato degli altri risuonare nell'aria odorosa di cavalli, di cuoio e di uomini, e sentivano anche in lontananza il muggito del bestiame ancora sveglio nei recinti.
Mi sembrano bravi ragazzi, sussurrò Rawlins.
Anche a me.
Hai visto che fucili d'antiquariato? Sì.
Secondo te pensano che siamo fuggiaschi?
E non lo siamo?
Rawlins non rispose, ma dopo un po' disse: Mi piace sentire le bestie là fuori.
Anche a me.
Il gerente non ha parlato molto di Rocha, vero?
No.
Pensi che la ragazza sia sua figlia?
Direi di sì.
È un bel posto, no?
Ceno. Ma adesso dormi.
John? Sì?
E così che vivevano i vecchi cowboy, vero? Sì.
Quanto vorresti fermarti qua?
Cent'anni. Ora fai la nanna.
PARTE SECONDA
La Hacienda de Nuestra Señora de la Purísima Concepción era un ranch di undicimila ettari situato ai bordi del Bolsón de Cuatro Ciénagas nello stato di Coahuila. La parte occidentale, che si estendeva sulla Sierra de Anteojo, raggiungeva altezze di duemilasettecento metri, ma a sud e a est il ranch, che occupava una parte dell'ampio barrial, o bacino, del bolsón, era ricco di sorgenti naturali e limpidi ruscelli e presentava diversi acquitrini e marcite o lagunas. In quegli specchi d'acqua e nei ruscelli c'erano alcune specie di pesci sconosciute in altre parti della terra, e anche uccelli, lucertole e altre forme di vita rimaste a lungo isolate perché assediate dal deserto.
In quella parte del Messico, la Purísima era uno dei pochissimi ranch a possedere ancora per intero le sei leghe quadrate concesse dalla legge coloniale del 1824, e il proprietario Don Héctor Rocha y Villareal era uno dei pochi hacendados ancora residenti sulla stessa terra che da centosettant'anni apparteneva alla sua famiglia. Fra tutti i discendenti di quella stirpe del nuovo mondo, Don Héctor era l'unico erede maschio che avesse raggiunto i quarantasette anni.
Oltre a quella terra, su cui allevava oltre mille capi di bestiame, Rocha aveva una casa a Città del Messico, dove abitava la moglie, e un aeroplano che pilotava personalmente. E una grande passione per i cavalli. Quella mattina Rocha raggiunse a cavallo la casa del gerente accompagnato da quattro amici, da un gruppo di mozos e da due bestie da soma con due kiack, uno vuoto e l'altro pieno di provviste per il pranzo. Erano seguiti da una muta di levrieri snelli e argentei che schizzavano silenziosi e fluidi come argento vivo fra le zampe dei cavalli nella totale indifferenza di questi ultimi. L'hacendado emise un richiamo e, dopo aver scambiato qualche parola col gerente che era uscito di casa in maniche di camicia e aveva assentito, disse qualcosa agli amici e ripartì. Il gruppo superò il dormitorio, uscì dal cancello e imboccò la strada che portava in aperta campagna. Mentre i vaqueros ritiravano i cavalli dal recinto per sellarli e andare al lavoro, John Grady e Rawlins bevevano il caffè sulla porta del capannone.
Eccolo là, disse Rawlins.
John Grady annuì e buttò per terra i fondi del caffè.
Dove diavolo andranno? disse Rawlins.
A caccia di coyote, direi.
Ma non hanno i fucili.
Hanno le corde.
Rawlins lo guardò. Mi prendi per il culo?
Niente affatto.
Be', vorrei proprio vedere come funziona.
Anch'io. Sei pronto?
Lavorarono due giorni nei recinti a marchiare, punzonare, castrare, scornare e vaccinare il bestiame. Il terzo giorno i vaqueros portarono giù dalla mesa un piccolo branco di cavalli bradi di tre anni e li chiusero in un corrai. John Grady e Rawlins andarono a guardarli. Gli animali, raggruppati dalla parte opposta al cancello del recinto, erano un misto di roani, morelli, bai e pezzati di varia forma e grandezza. John Grady aprì il cancello, entrò insieme a Rawlins e lo richiuse. I cavalli, spaventatissimi, cominciarono a impennarsi e a correre a destra e a sinistra lungo lo steccato.
Sono i cavalli più spaventati che abbia mai visto, disse Rawlins.
Non sanno cosa siamo.
Che vuoi dire?
Che probabilmente non hanno mai visto un uomo a piedi.
Rawlins sputò.
Ne vedi qualcuno che ti piace?
Quello là.
Quale?
Quel baio scuro, laggiù.
Lo vedo.
Guardalo bene.
Peserà meno di tre quintali e mezzo.
Lo dici tu! Guarda i quarti posteriori. Sarebbe un ottimo cavallo da bestiame. E guarda quel roano laggiù.
Quel bastardo con le zampe storte?
Be', sì, sono un po' storte. Hai ragione. Allora guarda quell'altro. Il terzo sulla destra.
Quello con la macchia bianca? Sì.
Mi sembra un po' ridicolo.
Non è ridicolo. È pezzato in maniera strana.
E questo per te non significa niente? Ha gli stinchi bianchi.
È un ottimo cavallo. Guarda la testa. E le mascelle. Non scordare che tutti quanti hanno una bellissima coda.
Può darsi, disse Rawlins scuotendo la testa poco persuaso. Ma una volta eri molto difficile coi cavalli. Forse adesso è un bel pezzo che non ne hai più tanti sott'occhio.
John Grady annuì. Sì, disse. Può darsi. Ma non ho scordato come devono essere.
Intanto i cavalli s'erano raggruppati di nuovo dalla parte opposta del recinto e roteavano gli occhi sfregandosi il collo a vicenda.
Però hanno un punto a loro vantaggio, disse Rawlins.
Quale?
Nessun messicano li ha ancora domati.
John Grady assentì.
Continuarono a osservare i cavalli.
Quanti sono? disse.
Rawlins li passò in rassegna con lo sguardo. Quindici. Sedici.
Mi sembrano sedici.
Allora sedici.
Pensi che riusciamo a domarli in quattro giorni?
Dipende da cosa intendi per domare.
Portarli a un discreto livello di sgrossatura. Diciamo sellarli sei volte.
Insegnargli a voltare, a fermarsi e a non muoversi per la sellatura.
Rawlins prese il tabacco in tasca e spinse indietro il cappello.
Cosa stai meditando? disse.
Di domare questi cavalli.
Perché in quattro giorni?
Pensi che ce la facciamo?
Se vogliono utilizzarli subito può avere senso, altrimenti, per quel che ne so, un cavallo domato in quattro giorni ce ne mette altrettanti a ridiventare selvaggio.
Questi cavalli sono qui perché loro ne hanno bisogno. Rawlins mise il tabacco nella cartina incurvata. Vuoi dire che saranno i nostri cavalli da lavoro? Suppongo proprio di sì.
Dovremo cavalcare uno di questi figli di puttana domati con quei maledetti morsi messicani ad anello? Sì.
Rawlins annuì. Cosa vuoi fare, imbragarli ai lati? Sì.
Pensi che ci sia corda a sufficienza? Non lo so.
C'è da ammazzarsi di fatica. Te ne rendi conto? Pensa come dormirai bene.
Rawlins si mise la sigaretta in bocca e cercò un fiammifero. Cos'altro sai che non mi hai detto?
Armando mi ha detto che il vecchio ha molti cavalli su quella montagna. Quanti.
Circa quattrocento.
Rawlins lo guardò, accese la sigaretta e buttò il fiammifero. E che diavolo se ne fa?
Ha cominciato ad allevarli prima della guerra per fare razza.
Che cavalli sono?
Media sangres.
Vale a dire?
Mezzosangue.
Ah sì?
Quel roano laggiù, disse John Grady, è un cavallo coi fiocchi anche se ha le zampe storte. Da dove viene?
Da dove vengono tutti. Da un cavallo che si chiama José Chiquito.
Vuoi dire Little Joe? Sì.
È lo stesso cavallo?
Esattamente.
Rawlins fumò pensieroso.
José Chiquito Primo e José Chiquito Secondo sono stati venduti in Messico, disse John Grady. Là sulla montagna Rocha possiede una grande yeguada di giumente che discendono dall'antica stirpe Traveler-Ronda di cavalli Sheeran.
C'è altro? chiese Rawlins.
Tutto qui.
Andiamo a parlare al gerente.
Restarono in piedi, in cucina, col cappello in mano mentre il gerente, seduto al tavolo, li studiava attentamente.
Amansadores, disse. Si.
Ambos.
Sí. Ambos.
Si appoggiò allo schienale e tamburellò le dita sul tavolo.
Hay dieciséis caballos en el potrero, disse John Grady. Podemos amansarlos en cuatro días.
Riattraversarono il cortile e tornarono in dormitorio a lavarsi per cena.
Cos'ha detto?
Che siamo due palloni gonfiati. Ma l'ha detto in maniera simpatica.
Allora è un no definitivo?
No, penso che la cosa avrà un seguito.
Cominciarono a domare i puledri all'alba della domenica mattina; s'infilarono al buio gli abiti ancora umidi lavati la sera prima e, senz'aver bevuto il caffè, raggiunsero il potrero prima che sparissero le stelle mangiando per strada una tortilla fredda ripiena di fagioli; in spalla avevano un rotolo di corda maguey da lazo lunga una dozzina di metri e in mano alcuni sottosella e una bosalea, ovvero una cavezza con banda metallica per il muso. John Grady aveva anche un paio di sacchi di juta nuovi sui quali aveva dormito e la sella Hamley con le staffe già accorciate.
Si fermarono a guardare i cavalli. Si allontanavano allarmati e diffidenti, grigie ombre nel grigio mattino. Ammucchiati a terra fuori dal cancello c'erano vari rotoli di corda: di cotone, di canapa, di cuoio intrecciato, di maguey, di ixtle, e anche pezzi di vecchi mecates di crine e corde intrecciate a mano. Appese allo steccato c'erano le sedici cavezze di corda che avevano preparato nel dormitorio la sera prima.
Questo gruppo è già stato selezionato una volta su alla mesa, no?
Credo di sì.
Cosa vogliono fare con le giumente?
Le porteranno quaggiù.
Be', disse Rawlins. Adesso capisco perché sono duri coi cavalli. Devono affrontare quelle carogne.
Scosse la testa, s'infilò il resto della tortilla in bocca, si pulì le mani sui calzoni, sganciò il fil di ferro e aprì il cancello.
John Grady lo seguì all'interno, appoggiò la sella a terra, tornò fuori a prendere una bracciata di corde e di cavezze e s'accucciò a separarle. Rawlins, in piedi, fece un cappio a una corda.
Immagino che non t'importi un accidente di cominciare dall'uno o dall'altro.
Ben detto, cugino.
Sei sempre deciso a mettere sotto queste bestiacce? Sì.
Il mio vecchio diceva sempre che un cavallo si doma all'unico scopo di cavalcarlo. Quindi se hai un cavallo da domare tanto vale sellarlo, montarci su e partire.
John Grady ridacchiò. Il tuo vecchio era un domatore di professione?
Lui non l'ha mai detto. Ma l'ho visto un po' di volte sgroppare su e giù.
Be', adesso ti toccherà vederne altre di sgroppate.
Li domiamo in due riprese?
Perché?
Non ho mai visto un cavallo che si sia convinto la prima volta o che sia rimasto in dubbio la seconda.
John Grady sorrise. Ci penso io a convincerli, disse. Non preoccuparti.
Lasciatelo dire, cugino. Questo è un mucchio selvaggio di scalmanati.
Cosa dice Blair? Non dice che non esistono cavalli cattivi?
Non esistono cavalli cattivi, disse Rawlins.
I cavalli si mossero. John Grady lanciò il lazo al primo del gruppo che, afferrato alle gambe anteriori, cadde a terra con un tonfo tremendo. Gli altri schizzarono via e s'ammucchiarono a guardare la scena terrorizzati. Prima che il puledro potesse alzarsi, John Grady gli si sedette sul collo, gli torse la testa e se la strinse al petto tenendolo per il muso e sentendo sulla faccia e sul collo il fiato caldo e dolce dell'animale dilagare dai tenebrosi abissi delle froge come notizie da un altro mondo. Quegli animali non sapevano di cavallo. Sapevano di quel che erano. Sapevano di bestie selvatiche. Mentre gli serrava il muso contro il petto, il ragazzo sentì pulsare contro le proprie cosce il sangue dell'animale e percepì l'odore della sua paura. Allora gli mise una mano sugli occhi e l'accarezzò, e continuando ad accarezzarlo per fargli passare il terrore gli spiegò in tono pacato e fermo tutto quello che intendeva fare.
Rawlins prese una corda che teneva appesa al collo, fece un cappio e lo passò intorno a una zampa posteriore dell'animale, poi la tirò in avanti e la legò a quelle anteriori, sfilò il lazo, prese una cavezza e, con l'aiuto dell'amico, gliela fece passare sul muso e sulle orecchie. John Grady infilò il pollice nella bocca dell'animale in modo che Rawlins potesse inserirvi il morso di corda. Poi Rawlins fece un secondo cappio, legò l'altra zampa di dietro e assicurò entrambe le corde laterali alla cavezza.
Sei pronto? disse.
Prontissimo.
Lasciò andare la testa del cavallo e balzò via. Il cavallo si alzò, si voltò, scalciò con una zampa posteriore, si strattonò da solo costringendosi a fare mezzo giro su se stesso e cadde a terra. Si rialzò, scalciò di nuovo e di nuovo cadde. Alla terza volta scalciò più piano strattonandosi la testa in una piccola danza e non cadde più.
Allora fece qualche passo, ma poi scalciò di nuovo con una zampa e ricadde.
Restò qualche secondo a terra scombussolato, poi si rialzò, rimase fermo un minuto, fece tre sgroppate e si fermò a osservarli con aria torva. Rawlins ricuperò il lazo e rifece il cappio mentre gli altri cavalli, ammassati dalla parte opposta del potrero, osservavano la scena con grande attenzione.
Queste bestie infernali sono indemoniate, disse Rawlins.
Tu scegli quella più indemoniata, disse John Grady, e io domenica prossima a quest'ora ti do un cavallo perfetto.
Perfetto per chi?
Per te. Ne sarai totalmente soddisfatto.
Balle, disse Rawlins.
Imbragarono in quel modo tre cavalli che ormai s'aggiravano nel recinto sbuffando e guardandosi intorno infuriati. Nel frattempo parecchi vaqueros si erano radunati presso il cancello e si divertivano a guardare la scena sorseggiando il caffè. A metà mattina i cavalli imbragati erano otto mentre gli altri otto, più selvaggi dei cervi, si raggruppavano, si disperdevano e correvano come pazzi in un mare di polvere che aumentava sempre di più via via che l'aria si riscaldava. Pian piano i cavalli cominciavano a rendersi conto che non c'era niente da fare contro quella volontà impietosa capace di trasformare la loro esistenza fluida e collettiva in una condizione individuale di paralisi inesorabile, contagiosa come una pestilenza. Intanto l'intera squadra dei vaqueros si era assiepata intorno al recinto a godersi lo spettacolo e a mezzogiorno tutti i sedici mesteños, imbragati alla propria cavezza, s'aggiravano nel potrero disperdendosi in tutte le direzioni perché la comunione fra loro s'era definitivamente spezzata. Sembravano animali legati per gioco da un bambino e stavano là in piedi ad aspettare chissà cosa, sentendo ancora risuonare nel cervello la voce del domatore come quella di un dio che avesse preso possesso di loro.
Quando rientrarono al dormitorio a mangiare i vaqueros li trattarono con un certo rispetto, ma loro non riuscirono a capire se si trattava di rispetto tributato a gente in gamba o a ritardati mentali. Nessuno chiese la loro opinione sui cavalli e nessuno fece domande sul metodo che avevano usato. Ma nel pomeriggio, tornando al recinto, trovarono una ventina di persone — uomini, donne, ragazze e bambini — ad attenderli.
Da dove diavolo è saltata fuori tutta 'sta gente? disse Rawlins.
Non so.
La voce si sparge in fretta quando il circo arriva in città, eh?
Passarono fra la gente salutando, entrarono nel recinto e chiusero il cancello.
Allora, ne hai scelto uno? disse John Grady.
Il più pazzo di tutti è quel fottuto capoccione laggiù.
Il grullo?
Quello che sembra un grullo.
Te ne intendi di cavalli, eh?
Più che di cavalli, di matti.
John Grady raggiunse l'animale indicato, legò una corda di quattro metri alla sua cavezza e lo condusse nel recinto in cui avrebbe montato i cavalli. Rawlins pensò che l'animale, intimorito, avrebbe opposto resistenza o si sarebbe impennato, ma così non fu. Prese il sacco, le corde, raggiunse John Grady che intanto gli stava parlando, gli strinse un laccio intorno alle zampe anteriori, prese la corda di mecate e tenne il cavallo mentre John Grady per un quarto d'ora strofinava il sacco sulla testa, sul muso, fra le zampe, sulla groppa e sulla pancia dell'animale continuando a parlargli e ad appoggiarglisi contro. Infine prese la sella.
Secondo te a cosa serve strofinare un cavallo in quel modo? chiese Rawlins.
E che ne so, disse John Grady. Non sono mica un cavallo.
Mise il sottosella al suo posto e lo stese con cura continuando ad accarezzare e ad ammansire il cavallo, poi prese la sella, con i sottopancia legati sopra e le staffe appese al pomo, la posò sulla groppa dell'animale e la sistemò per bene al suo posto. Il cavallo rimase immobile. Il ragazzo si chinò a prendere le cinghie e allacciò il sottopancia. L'animale abbassò le orecchie ma lui gli parlò, strinse ancora il sottopancia, e gli si appoggiò contro parlandogli come se non lo considerasse né pazzo né pericoloso. Rawlins guardò verso il cancello del corrai. Vide una cinquantina di spettatori. Alcuni coi bimbi in braccio. Altri intenti a fare un picnic sull'erba. John Grady sganciò le staffe dal pomo e le lasciò cadere giù, poi strinse ancora il sottopancia e l'affibbiò definitivamente. Bene, disse.
Tieni, disse Rawlins.
Quando John Grady ebbe afferrato la corda, Rawlins slegò le corde laterali dalla cavezza e s'inginocchiò a legarle alle pastoie anteriori. Poi i ragazzi sfilarono la cavezza di corda e John Grady infilò delicatamente la bosalea sul muso del cavallo, sistemò il morso di corda e il paranaso, prese le redini, gliele fece passare sopra la testa e annuì. Allora Rawlins s'inginocchiò a slacciare le pastoie, le tirò in basso finché i cappi delle corde laterali caddero a terra presso gli zoccoli posteriori e s'allontanò.
John Grady mise un piede nella staffa, si strinse al cavallo mormorandogli qualche parola e montò in sella deciso.
Il cavallo rimase immobile come una statua, poi scalciò con una zampa posteriore per provare che aria tirava e s'immobilizzò di nuovo, infine si mosse di fianco, s'agitò, scalciò di nuovo e si fermò sbuffando. John Grady gli toccò le costole col tacco degli stivali e il cavallo si mosse in avanti, tirò le redini e il cavallo svoltò a destra e a sinistra. Rawlins sputò disgustato. John Grady fece voltare il cavallo e tornò indietro.
Che schifo di cavallo brado è questo? disse Rawlins. E dire che la gente ha pagato un sacco di soldi per vedere lo spettacolo!
All'imbrunire aveva già montato undici dei sedici cavalli, alcuni un po' meno docili, e all'esterno del potrero la gente aveva acceso un falò. Nel frattempo erano arrivate un centinaio di persone, alcune dal pueblo di La Vega, sei miglia a sud, altre da più lontano. John Grady montò gli ultimi cinque alla luce del fuoco. Gli animali danzavano e si muovevano con occhi che lampeggiavano ai riflessi delle fiamme. Una volta domati, i cavalli venivano riportati al potrero, e là restavano immobili o si trascinavano dietro le corde legate alla cavezza, camminando con circospezione per evitare di pestarle e di strattonarsi il muso dolorante, col risultato di muoversi con un'aria di gran dignità ed eleganza. Il branco selvaggio e scalmanato di mustang che quella mattina correvano nel potrero come sassi fatti mulinare in una bottiglia non esisteva praticamente più. I cavalli nitrivano al buio e si chiamavano fra di loro come per controllare chi o che cosa mancasse.
Quando scese la notte il falò era ancora acceso e nel buio si sentiva suonare una chitarra e un'armonica a bocca. I ragazzi tornarono al dormitorio, ma nel l'attraversare la folla tre sconosciuti offrirono loro da bere un po' di mescal.
Nella cucina ormai deserta presero la cena dal fornello e si sedettero a tavola. John Grady, un po' malfermo sulla panca, masticava il cibo con una certa pesantezza. Rawlins lo guardò e disse: Non verrai mica a dirmi che sei stanco, eh?
No, rispose John Grady. Ero stanco cinque ore fa.
Rawlins ridacchiò. Non bere più caffè. Altrimenti starai sveglio tutta la notte.
Il mattino dopo all'alba, quando uscirono, trovarono le braci ancora accese e quattro o cinque uomini sdraiati nell'erba a dormire, alcuni avvolti in una coperta e altri no. Tutti i cavalli chiusi nel potrero li guardarono entrare dal cancello.
Ti ricordi in che ordine li hai montati? disse Rawlins.
Certo. Me lo ricordo. E tu ricordi sicuramente qual è il tuo cocco.
Sì, me lo ricordo bene quel figlio di puttana.
Quando gli si avvicinò col sacco, il cavallo si voltò e si mise a trotterellare. Lui lo seguì fino allo steccato, prese la corda e la tirò. L'animale si fermò tremante. Allora John Grady lo raggiunse e cominciò a parlargli e a sfregarlo col sacco. Rawlins andò a prendere il sottosella, la sella e la bosalea.
Alle dieci di quella sera John Grady aveva montato tutta la remuda di sedici cavalli e Rawlins l'aveva rimontata una seconda volta. Il martedì rifecero la stessa cosa e mercoledì mattina all'alba, quando il sole non si era ancora levato, John Grady si diresse verso il cancello sul primo cavallo già sellato.
Apri, disse.
Lasciami sellare un altro cavallo.
Non c'è tempo.
Se quel figlio di puttana ti scarica in mezzo ai rovi, vedrai che il tempo lo trovi.
Allora sarà meglio che resti in sella.
Lasciami almeno sellare uno di quelli buoni.
D'accordo.
John Grady uscì dal cancello tirandosi dietro il cavallo di Rawlins e attese che lui chiudesse il cancello e montasse in sella. I due cavalli appena domati si mossero e si ritrassero nervosamente.
Mi sembra la storia del cieco che guida il cieco, non trovi?
Rawlins assentì. Mi ricorda il vecchio T-Bone Watts che lavorava per mio padre. Tutti lo prendevano in giro perché aveva l'alito cattivo, ma lui rispondeva meglio avere l'alito cattivo che non avercelo per niente.
John Grady rise, spinse il cavallo al trotto e imboccò la strada seguito dall'amico.
A metà pomeriggio aveva già montato di nuovo tutti i cavalli, e mentre Rawlins continuava ad addestrarli nel recinto lui fece un giro in campagna col piccolo grullo scelto da Rawlins. Due miglia sopra il ranch, dove la strada, costeggiata da carici, salici e pruni selvatici, passava accanto alla laguna, lei lo superò in sella al suo cavallo nero.
John Grady l'aveva sentita arrivare e si sarebbe voltato se non avesse udito l'altro cavallo cambiare andatura. Così non girò la testa finché il morello arabo non s'affiancò al suo tenendo il collo arcuato e guardando il mesteno con leggero disprezzo equino più che con circospezione. Lei lo superò alla distanza di un metro e mezzo, girò il viso aggraziato, lo guardò bene in faccia con gli occhi azzurri e fece un cenno con la testa o forse semplicemente si chinò per vedere meglio che cavallo montava, muovendo appena la tesa larga del cappello e la lunga chioma nera. Superato il giovane, il cavallo arabo cambiò di nuovo il passo. La ragazza, che stava in sella perfettamente con il busto eretto e le spalle ben aperte, mise il cavallo al trotto e lui rimase a guardarla sul mesteno che era fermo in mezzo alla strada con le zampe anteriori divaricate. Aveva avuto la tentazione di rivolgerle la parola, ma quegli occhi azzurri gli avevano sconvolto il mondo in un batter di cuore. La ragazza sparì oltre i salici che costeggiavano il lago e uno stormo d'uccellini cinguettanti s'alzò in volo e superò il cavaliere.
Quella sera, quando Antonio e il gerente si presentarono al recinto per ispezionare i cavalli, John Grady stava insegnando al grullo a indietreggiare con Rawlins in sella. I due uomini osservarono la scena e poi, mentre il gerente si puliva i denti, Antonio montò i due cavalli sellati facendoli andare avanti e indietro nel corrai e fermandoli bruscamente. Smontò, annuì e si recò col gerente a esaminare i cavalli chiusi nell'altra ala del recinto. Quando i due uomini andarono via, Rawlins e John Grady si guardarono. Dissellarono i cavalli, li chiusero insieme agli altri, tornarono alla baracca con le selle e i finimenti e si lavarono per andare a cena. I vaqueros erano già a tavola. Loro presero il piatto, si servirono al fornello in cucina, si versarono il caffè e si sedettero scavalcando la panca. In mezzo al tavolo c'era una terrina piena di tortillas coperta da un tovagliolo e quando John Grady la indicò chiedendo che gliela passassero, numerose mani s'allungarono da entrambi i lati del tavolo e gliela porsero come una coppa cerimoniale.
Tre giorni dopo andarono sulle montagne accompagnati da un mozo, che doveva cucinare e badare ai cavalli, e da tre vaqueros poco più vecchi di loro. Luis, il mozo, era un vecchio zoppo che aveva combattuto a Torreón, a San Pedro e in seguito a Zacatecas, mentre i vaqueros erano giovani di campagna: due di loro erano persino nati nell'hacienda e uno solo aveva visto Monterrey. Salirono in montagna accompagnati da tre cavalli a testa legati alle bestie da soma con le tende, i viveri e la cucina da campo, rincorsero i cavalli bradi nelle foreste di pini e madroño o nei valloni in cui erano rintanati, li radunarono galoppando sulle alte mesas e li convogliarono nella gola rocciosa che dieci anni prima era stata chiusa da un recinto e un cancello; là i cavalli scorrazzavano, nitrivano, cercavano di scalare le pareti di roccia, si mordevano e si prendevano a calci l'un l'altro mentre John Grady, sudato e impolverato, passeggiava in mezzo a quel putiferio col lazo in mano, come se i cavalli fossero solo un brutto sogno. Di notte s'accampavano sulle alture dove il fuoco agitato dal vento saettava nel buio e Luis parlava del Messico, dei suoi abitanti, di quelli che erano morti e in che modo erano morti. II vecchio aveva amato i cavalli per tutta la vita e lui, suo padre e i due fratelli avevano combattuto in cavalleria e il padre e i fratelli erano morti da cavalleggeri, ma tutti avevano odiato Victoriano Huerta e le sue malefatte più d'ogni cosa al mondo. Una volta, quando Luis disse che Giuda, confronto a Huerta, era come Gesù Cristo, un giovane vaquero guardò altrove e l'altro si fece il segno della croce. Luis diceva che la guerra aveva distrutto il
Messico perché la gente era convinta che la guerra si cura con la guerra come il curandero cura il morso del serpente con la carne di serpente. E parlava delle sue campagne di guerra nei deserti del Messico, dei cavalli uccisi mentre era in sella e di come l'anima dei cavalli rispecchi quella degli uomini molto più di quanto si pensi, e di come anche i cavalli amino la guerra. Secondo alcuni quella era una cosa che i cavalli imparavano, ma lui diceva che nessuna creatura può imparare ciò che il suo cuore non è predisposto a imparare. Suo padre diceva sempre che chi non ha mai fatto la guerra a cavallo non può conoscere veramente i cavalli e lui avrebbe voluto con tutto il cuore che non fosse vero, ma purtroppo era vero.
Infine disse d'aver visto l'anima dei cavalli, che era uno spettacolo terribile. Spiegò che la si poteva vedere in determinate circostanze assistendo alla morte di un cavallo; infatti i cavalli possiedono un'anima comune che diventa individuale solo separandosi da quella di tutti gli altri e diventando mortale. Disse che chi comprende l'anima di un cavallo comprende tutti i cavalli che siano mai esistiti.
Rimasero a fumare in silenzio fissando le braci al centro del fuoco dove i tizzoni ardenti crepitavano disgregandosi.
Y de los hombres? disse John Grady.
Il vecchio si fermò un momento a cercare le parole, infine disse che fra gli uomini non esisteva la comunione dei cavalli e che l'idea di riuscire a comprendere gli uomini era probabilmente un'illusione totale. E quando Rawlins gli chiese nel suo pessimo spagnolo se esisteva un paradiso dei cavalli, lui scosse la testa e rispose che i cavalli non avevano bisogno del paradiso. Alla fine John Grady gli chiese se non c'era pericolo che, sparendo i cavalli dalla faccia della terra, scomparisse anche l'anima equina perché non ci sarebbe stato più nulla a contenerla, ma il vecchio si limitò a dire che era inutile ragionare sulla sparizione dei cavalli dalla terra perché Dio una cosa simile non l'avrebbe permessa.
Portarono le giumente giù dalla montagna passando per gole e arroyos, attraversarono la verde piana irrigua del bolsòn e rinchiusero le bestie nei recinti. Dopo tre settimane di lavoro, alla fine di aprile, nei corrai c'erano più di ottanta giumente, molte già abituate alla cavezza e alcune già selezionate per diventare cavalli da sella. A quel tempo era già in corso il raduno del bestiame e ogni giorno nei pascoli del ranch arrivavano nuove mandrie dall'aperta campagna e i vaqueros non avevano più di due o tre cavalli al seguito, ma le nuove cavalcature erano già pronte nel recinto. La seconda mattina di maggio un rosso aeroplano Cessna arrivò da sud, sorvolò il ranch, s'abbassò e sparì alla vista dietro gli alberi.
Un'ora dopo John Grady si trovava nella cucina della fattoria col cappello in mano. Una donna lavava i piatti nell'acquaio e un uomo seduto al tavolo leggeva il giornale. La donna s'asciugò le mani nel grembiale, uscì e tornò dopo qualche minuto. Un ratito, disse.
John Grady annuì. Gracias, disse.
L'uomo s'alzò, ripiegò il giornale, attraversò la cucina, prese una serie di mannaie e di coltellacci e una cote per affilarli e mise tutto in bell'ordine sul giornale. In quel momento Don Héctor comparve sulla porta e si fermò fissando John Grady.
Snello e alto come i norteños, aveva la pelle chiara, le spalle larghe e i capelli grigi. Quando entrò in cucina e si presentò, John Grady si passò il cappello nella sinistra e gli strinse la mano.
Maria, disse l'hacendado. Café por favor. E indicò la porta con la mano. John Grady attraversò la cucina ed entrò nella casa fresca, silenziosa e profumata di cera e di fiori. A sinistra nel corridoio il pendolo di un grande orologio oscillava lentamente davanti ai pesi d'ottone. Quando lui si voltò l'hacendado sorrise e indicò la porta della sala da pranzo. Pásale, disse.
Sedettero a un lungo tavolo di noce inglese fra pareti tappezzate di damasco blu e quadri di uomini e cavalli. In fondo alla sala, su una credenza di noce erano esposte varie caraffe e piatti scaldavivande e sul davanzale esterno della finestra c'erano quattro gatti che prendevano il sole. Don Héctor si sporse a prendere un portacenere di porcellana dalla credenza, lo mise sul tavolo, tirò fuori un pacchetto di sigarette inglesi dal taschino della camicia e l'offrì a John Grady che ne prese una.
Gracias.
L'hacendado mise il pacchetto sul tavolo in mezzo a loro, prese un accendino d'argento in tasca e accese la sigaretta del ragazzo e la propria.
Gracias, disse.
L'uomo espirò lentamente un sottile filo di fumo sul tavolo e sorrise.
Bueno. Possiamo parlare inglese.
Como le convenga, disse John Grady.
Armando mi ha detto che ci sai fare coi cavalli.
Ci ho bazzicato un po'.
L'hacendado fumò pensieroso. Come se attendesse altre spiegazioni. Ma l'uomo che poco prima stava seduto in cucina a leggere il giornale entrò con un vassoio d'argento che reggeva due tazze, un bricco di caffè, una brocca di latte, una zuccheriera e un piatto di bizcochos, posò il vassoio sul tavolo, attese un momento e quando l'hacendado lo congedò con un grazie uscì.
Don Héctor dispose le tazze davanti a loro, versò il caffè e indicò il vassoio con un cenno della testa. Serviti pure, disse.
Grazie. Lo prendo liscio e amaro.
Sei texano.
Sissignore.
L'hacendado, seduto di fianco al tavolo con le gambe accavallate, annuì bevendo il caffè. Fece flettere il piede nello stivale di cuoio color cioccolato, si voltò e sorrise a John Grady.
Come mai sei venuto fin qui?
John Grady lo guardò. Guardò il tavolo su cui le ombre oblique dei gatti al sole sembravano immagini ritagliate nella carta, poi tornò a guardare l'hacendado.
Perché volevo vedere questo paese, credo. E così il mio amico. Posso chiederti quanti anni hai?
Sedici.
L'hacendado inarcò le sopracciglia. Sedici, disse.
Sissignore.
L'hacendado sorrise di nuovo. Quando avevo sedici anni dicevo sempre di averne diciotto.
John Grady sorseggiò il caffè.
Anche il tuo amico ha sedici anni?
Diciassette.
Ma tu sei il capo.
Non c'è nessun capo. Siamo amici e basta.
Naturalmente.
L'uomo spinse il piatto in avanti. Prego, serviti, disse.
Grazie. Ho appena finito di far colazione.
L'hacendado scosse la sigaretta sul posacenere e si riappoggiò alla sedia.
Che ne pensi delle giumente?
Nel mucchio qualcuna buona c'è.
Certo. Conosci un cavallo che si chiama Three Bars?
È un purosangue.
Lo conosci?
So che ha corso il Gran Premio del Brasile. Credo che sia originario del Kentucky, ma il proprietario è un certo Vail che sta a Douglas, in Arizona.
Giusto. Il purosangue è nato alla Monterey Farm che si trova a Paris, nel Kentucky. Lo stallone che ho comprato io è figlio della stessa giumenta, e quindi suo fratellastro.
Sissignore. E dov'è?
En route.
Dove?
In viaggio. Da Città del Messico. L'hacendado sorrise. L'hanno usato per la monta.
Lei intende allevare cavalli da corsa?
No. Mezzosangue.
Da usare qui al ranch? Sì.
Quindi vuole incrociare lo stallone con le sue giumente?
Sì. Cosa ne pensi?
Non penso niente. Ho conosciuto parecchi allevatori, alcuni con molta esperienza, ma tutti privi di qualunque opinione. Però so con certezza che alcuni ottimi cavalli mandriani discendono dai purosangue.
Esatto. Secondo te quanto è importante la giumenta?
Quanto lo stallone. Almeno, io la vedo così.
Molti allevatori danno più importanza al maschio.
Sì. È vero.
L'hacendado sorrise. Ma il caso vuole che io sia d'accordo con te.
John Grady si allungò a scuotere la cenere della sigaretta. Non è mica necessario che lei sia d'accordo con me.
No. E nemmeno tu con me.
Sissignore.
Parlami dei cavalli che hai trovato sulla mesa.
Qualche buona giumenta c'è ancora, ma non molte. Le altre non valgono la pena. Però da alcune si potrebbe ancora cavare un discreto cavallo da mandria, un cavallo tuttofare. Noi li chiamavamo cavalli spagnoli. Chihuahua. Razza Old Barb. Sono piccoli e un po' troppo leggeri e non hanno i quarti posteriori di un vero cavallo mandriano, ma ci si può lavorare col lazo...
S'interruppe. Guardò il cappello posato sulle gambe, passò le dita lungo la piega e alzò gli occhi. Non le sto dicendo nulla di nuovo.
L'hacendado prese il bricco del caffè e riempi le tazze.
Sai cos'è un criollo?
Sissignore. Un cavallo argentino.
E sai chi era Sam Jones?
Se si riferisce a un cavallo, sì.
E Crawford Sykes?
È un altro cavallo dello zio Billy Anson. È tutta la vita che lo sento nominare.
Mio padre comprava i cavalli da Anson.
Zio Billy e mio nonno erano amici. Erano nati a tre soli giorni l'uno dall'altro. Lui era il settimo figlio del conte di Litchfield. Sua moglie era un'attrice di teatro.
Sei di Christoval?
Di San Angelo. O meglio, di lì vicino.
L'hacendado lo studiò.
Conosci un libro di Wallace intitolato «Il cavallo americano»?
Sissignore. L'ho letto da cima a fondo.
L'hacendado si appoggiò allo schienale. Un gatto s'alzò per stirarsi. Sei venuto fin qui a cavallo dal Texas.
Sissignore.
Tu e il tuo amico.
Sissignore.
Qualcun altro?
John Grady guardò il tavolo. L'ombra del gatto si muoveva sottile e obliqua in mezzo alle altre. Poi rialzò gli occhi. Nessun altro, disse.
L'hacendado annuì, spense la sigaretta, e tirò indietro la sedia. Vieni, disse. Voglio farti vedere qualche cavallo.
Erano seduti sulle rispettive brande uno di fronte all'altro coi gomiti sulle ginocchia e si guardavano le mani intrecciate. Dopo un po' Rawlins parlò. Senza alzare gli occhi.
È una buona occasione per te. Non vedo nessun motivo per rifiutare.
Ma se tu non sei d'accordo lascio perdere. Resto qui.
Non vai mica tanto lontano.
Continueremo a lavorare insieme. Ad acchiappare e a domare i cavalli.
Rawlins assentì. John Grady lo guardò.
Non hai che da dirlo e io rifiuto.
Non ha senso rifiutare, disse Rawlins. È un'ottima occasione per te.
Al mattino, dopo aver fatto colazione con John Grady, Rawlins andò a lavorare al recinto e a mezzogiorno, quando tornò, il pagliericcio di John Grady era arrotolato in cima al letto e la sua roba non c'era più. Rawlins andò a lavarsi per pranzo.
La stalla era costruita in stile inglese, era rivestita di truciolato dipinto di bianco e aveva un soffitto a cupola sormontato da una banderuola segnavento. La sua stanza si trovava in fondo, vicino alla selleria. In faccia, sull'altro lato del capannone, c'era la stanzetta del vecchio stalliere che aveva lavorato per il padre di Rocha. Quando John Grady attraversò la stalla tirandosi dietro il cavallo, il vecchio uscì e guardò il cavallo, gli zoccoli del cavallo e infine John Grady, poi si voltò e tornò in camera chiudendo la porta.
Nel pomeriggio, mentre il ragazzo lavorava con una delle nuove giumente nel corrai accanto alla stalla, il vecchio uscì a guardarlo. John Grady lo salutò, il vecchio annuì e ricambiò il saluto. Osservò la giumenta. Disse che era tozza. Disse rechoncha, e quando John Grady, non sapendo cosa significasse, gli chiese spiegazioni, il vecchio allargò le braccia a forma di botte ma il ragazzo pensò che intendesse gravida e disse di no, allora il vecchio alzò le spalle e tornò dentro.
Quando riportò la giumenta nella stalla il vecchio stava stringendo il sottopancia del morello arabo. La ragazza aveva le spalle rivolte all'ingresso ma nel momento in cui l'ombra della giumenta oscurò il portone si voltò a guardare.
Buenas tardes, disse lui.
Buenas tardes, rispose lei. Poi si chinò e passò le dita sotto la cinghia per controllare se era tesa. Lui rimase sul portone. Lei s'alzò, passò le redini sulla testa del cavallo, mise il piede nella staffa, montò in sella, voltò la bestia, percorse tutta la stalla e uscì all'esterno.
Quella sera John Grady sdraiato nella branda udì una musica lontana provenire dalla casa, e scivolando nel sonno vide solo cavalli, aperta campagna e ancora cavalli. Cavalli bradi della mesa che non avevano mai visto un uomo a piedi, che non sapevano nulla di lui e della sua vita e che tuttavia l'avrebbero portato impresso per sempre nell'anima.
Una settimana dopo tornarono in montagna col mozo e due vaqueros, e quando i vaqueros si avvolsero nelle coperte a dormire lui e Rawlins rimasero seduti accanto al fuoco ai bordi della mesa a bere caffè. Rawlins tirò fuori il tabacco, ma John Grady prese un pacchetto di sigarette e glielo porse. Rawlins rimise in tasca il tabacco.
Dove hai preso quelle sigarette già fatte?
A La Vega.
Rawlins annuì. Prese un tizzone dal fuoco e s'accese la sigaretta. John Grady si chinò ad accendere la sua.
Così va a scuola a Città del Messico? Sì.
Quanti anni ha?
Diciassette.
Rawlins annuì. Che scuola fa?
Non so. Una specie di liceo o qualcosa del genere.
Una scuola di lusso.
Sì. Una scuola di lusso.
Rawlins tirò una boccata. Be', disse. Anche lei è una ragazza di lusso.
Non è vero.
Rawlins era appoggiato alla sella con le gambe accavallate accanto al fuoco. La suola dello stivale destro si era staccata e lui l'aveva riattaccata alla tomaia con qualche graffetta. Fissò la sigaretta. Be', disse. Te l'ho già detto una volta, ma sembra che tu non abbia nessuna intenzione d'ascoltarmi.
Sì. È vero.
Immagino che alla sera tu ti diverta un mondo ad addormentarti piangendo.
John Grady non rispose.
Probabilmente stasera avrà appuntamento con ragazzi che non solo hanno la macchina, ma anche l'aereo privato.
Probabilmente hai ragione.
È un piacere sentirtelo dire.
Ma non serve a nulla, vero?
Rimasero in silenzio a lungo. Rawlins finì la sigaretta e gettò la cicca nel fuoco. Vado a dormire.
Sì, disse John Grady. Anch'io.
Distesero le coperte e John Grady si tolse gli stivali, li mise accanto a sé e si sdraiò vicino alla brace. Guardò le stelle e l'ardente cintura di materia che correva lungo la nera volta celeste. Poi allungò le braccia lungo i fianchi e premendo le mani contro la terra si lasciò girare lentamente nelle tenebre di quella cupola gelida e ardente, sentendosi al centro del mondo teso e tremante che si muoveva enorme e vivo sotto le sue mani.
Come si chiama? disse Rawlins nel buio.
Alejandra. Si chiama Alejandra.
Domenica pomeriggio raggiunsero il pueblo di La Vega su due cavalli del nuovo gruppo che stavano addestrando. Con la nuca bianca come una cicatrice perché si erano appena fatti tagliare i capelli con un tosapecore da un esquilador del ranch, girellavano col cappello inclinato in avanti guardando a destra e a sinistra come a sfidare la campagna e tutti i suoi abitanti. Fecero una corsa a cavallo tra loro scommettendo cinquanta centesimi e John Grady vinse, e quando si scambiarono gli animali vinse anche col cavallo di Rawlins. Li lanciarono al galoppo e al trotto finché i cavalli, accaldati e sudati, s'impuntarono in mezzo alla strada. Intanto i campesinos a piedi, carichi di cesti d'ortaggi o di panieri di formaggio, si accalcavano al margine del viottolo o si arrampicavano sul ciglio fra i cespugli e i cactus e guardavano a bocca aperta la corsa dei due giovani, i cavalli che schiumavano dalla bocca e mordevano il freno e i cavalieri che urlavano in lingua sconosciuta e sfrecciavano con una furia silenziosa che sembrava incontenibile nello spazio a loro disposizione ma che lasciava ogni cosa inalterata: la polvere, il bagliore del sole, l'uccellino che cantava.
Nella tienda c'erano pile di camicie riposte sugli scaffali, e la prima camicia di ogni pila, anche quando veniva scossa, restava scolorita dove s'era depositata la polvere e dove aveva battuto il sole. Rovistarono nel mucchio per cercarne una con le maniche abbastanza lunghe per Rawlins. La donna misurava la manica della camicia sul braccio allungato del ragazzo tenendo in bocca gli spilli come una sarta, poi ripiegava la camicia, rimetteva gli spilli e scuoteva la testa dubbiosa. Poi andarono nel retrobottega a provarsi i calzoni di tela ancora rigidi perché nuovi, e si trovarono in una stanza con tre letti e un freddo pavimento di calce un tempo dipinto di verde. Si sedettero su un letto a contare i soldi.
Quanto costano queste braghe se vengono quindici pesos?
Ricordati che due pesos valgono venticinque cents.
Basta che te lo ricordi tu. Allora quanto vengono?
Un dollaro e ottantasette.
Accidenti, disse Rawlins. Siamo ben presi. La paga ci arriverà solo fra cinque giorni.
Comprarono calze e mutande e ammucchiarono tutto sul banco in attesa che la donna facesse il conto. Infine la donna fece due pacchi separati e li legò con lo spago.
Quanto ti resta? disse John Grady.
Quattro dollari e rotti.
Compra un paio di stivali.
Non mi bastano i soldi.
Metto io quel che manca.
Sei sicuro?
Sicurissimo.
È meglio lasciare qualche soldo da parte per stasera.
Abbiamo ancora un paio di dollari. Stai tranquillo.
E se le vuoi offrire una gazzosa?
Mi bastano quattro centesimi. Non ti preoccupare.
Rawlins maneggiò pensieroso gli stivali e ne provò uno contro la suola del proprio.
Sono troppo piccoli.
Prova questi.
Neri?
Certo. Perché no?
Rawlins infilò gli stivali nuovi e fece qualche passo su e giù. La donna approvò con la testa.
Che ne dici? disse John Grady.
Vanno bene. Ma ci vuole un po' di tempo per abituarsi a questi tacchi svasati.
Prova a ballare. Cosa?
Prova a ballare.
Rawlins guardò la donna e John Grady. Cristo, disse, a ballare sono una frana.
Fa' solo qualche passo.
Rawlins eseguì qualche goffo passo di danza sul vecchio pavimento di legno e si fermò sorridente in mezzo alla polvere che aveva sollevato.
Qué guapo, disse la donna.
John Grady ridacchiò e prese i soldi in tasca.
Abbiamo dimenticato i guanti, disse Rawlins.
I guanti?
Già. Finita la baldoria dovremo tornare al lavoro.
Non hai tutti i torti.
Quelle maledette corde di maguey mi hanno quasi segato le mani.
John Grady si guardò le mani. Chiese alla donna dov'erano i guanti e ne comprarono un paio ciascuno.
Aspettarono al banco che la donna glieli incartasse mentre Rawlins si rimirava gli stivali nuovi.
II vecchio ha della corda di canapa giù alla stalla, disse John Grady. Allaprima occasione buona te ne faccio avere una.
Stivali neri, disse Rawlins. Non sono belli? Ho sempre desiderato fare il bullo.
Benché la sera fosse fresca, il portone della masseria era spalancato e l'uomo che vendeva i biglietti era seduto su una piattaforma rialzata che lo costringeva a chinarsi verso i clienti con un gesto d'apparente benevolenza per prendere le monete e consegnare il biglietto o per controllare la matrice di quelli che rientravano. Le mura della vecchia sala di mattoni, che non avevano finestre ed erano curve e piene di crepe, erano rinforzate all'esterno da pilastri aggiunti in un secondo tempo. Lungo entrambi i lati della sala correva una fila di lampadine, e ogni lampadina era infilata in un sacchetto di carta dipinta a mano in cui s'intravedevano in trasparenza le pennellate rosse, verdi e blu che rendevano la luce colorata smorta e uniforme. Il pavimento era stato spazzato ma era cosparso di semi e pagliuzze e in fondo alla sala, su un palco allestito alla buona con cassette di legno, strimpellava un'orchestrina che si stagliava sullo sfondo di una conchiglia acustica di lamiera. Ai piedi del palco una serie di lampadine, infilate in scatolette di latta ricoperte di cellophane colorato e immerse in una stoffa variopinta che riluceva nel buio, proiettavano sulla conchiglia un gioco di ombre creato dai suonatori che si muovevano come indemoniati in mezzo al fumo e alla luce. Intanto un paio di piccoli rapaci notturni svolazzavano squittendo nella semioscurità della volta.
John Grady, Rawlins e un ragazzo del ranch chiamato Roberto indugiavano all'esterno nella penombra, in mezzo alle auto e ai carretti, passandosi un flacone da farmacia pieno di mescal. Roberto sollevò la bottiglia alla luce.
A las chicas, disse.
Roberto bevve e passò il flacone anche agli altri. Poi presero un po' di sale da un sacchetto di carta, se lo misero sul polso e lo leccarono. Infine Roberto tappò il flacone con un tutolo di mais e lo nascose dietro la ruota di un camion parcheggiato lì accanto. A quel punto si passarono un pacchetto di gomma da masticare.
Listos? disse John.
Listos.
Lei, con un vestito azzurro e le labbra rosse, ballava con uno stangone del ranch San Pablo. John Grady, Rawlins e Roberto restarono in mezzo agli altri giovani accanto al muro a guardarli ballare, ma lumarono anche le ragazze che stavano in fondo alla sala. Lui si fece strada nella calca. L'aria sapeva di paglia e sudore ma anche di vari effluvi d'acqua di colonia. Sullo sfondo della conchiglia il fisarmonicista suonava ispirato battendo il ritmo con uno stivale, ma poi indietreggiò e si fece avanti il trombettista. Lei, con i capelli neri raccolti da un nastro azzurro e il collo candido come la porcellana, l'individuò sopra la spalla del suo cavaliere. Al giro seguente gli sorrise.
John Grady, che non l'aveva mai toccata prima, le strinse la piccola mano e l'esile vita. Lei lo fissò dritto negli occhi, sorrise e gli appoggiò il viso alla spalla. Ballarono sotto le luci mentre un lungo assolo della tromba guidava i passi collettivi e distinti dei ballerini. Le falene sciamavano intorno alle luci di carta appese al soffitto e i rapaci notturni sfrecciavano lungo i fili apparendo un istante alla luce e scomparendo nel buio.
Parlava un inglese imparato principalmente sui libri di scuola e lui rifletteva su ogni frase che lei diceva ripetendosela più volte in silenzio per cercare il significato che voleva sentire. Disse che era contenta lui fosse venuto.
Te l'avevo detto che sarei venuto. Sì.
Continuarono a ballare mentre la tromba squillava.
Pensavi che non venissi?
Lei gettò la testa all'indietro e lo guardò sorridendo con occhi radiosi. Al contrario, disse. Sapevo che saresti venuto.
Durante un intervallo raggiunsero il bar, presero due gazzose in un bicchiere di carta e uscirono in strada a passeggiare nell'aria della notte. Camminando sulla strada incontrarono altre coppie cui augurarono buona sera. L'aria fresca odorava di terra, profumi e cavalli. Lei gli prese il braccio e lo chiamò mojado-reverso, un emigrante clandestino al contrario, una creatura rara da tenere in gran conto. Lui le raccontò la sua vita, la morte del nonno e la vendita del ranch. Si sedettero su un basso abbeveratoio di cemento e lei, con le scarpe in grembo e i piedi nudi incrociati per terra, si mise a far disegni con la mano nell'acqua scura. Da tre anni andava a scuola lontano da lì. La domenica andava a pranzo dalla madre che abitava a Città del Messico. Ogni tanto mangiavano al ristorante e poi andavano a teatro o al balletto. La madre diceva che nell'hacienda si sentiva troppo segregata, ma anche in città aveva pochi amici.
Ce l'ha con me perché voglio sempre venire qui, dice che preferisco papà.
È vero?
Lei assentì. Sì. Ma non è per questo che vengo qui. Però lei dice che cambierò idea.
Sul fatto di venire qui?
Su tutto.
Lo guardò e sorrise. Torniamo indietro?
Lui guardò le luci. L'orchestra aveva ripreso a suonare.
Lei si alzò, s'appoggiò alla sua spalla e s'infilò le scarpe.
Ti presenterò i miei amici. Soprattutto Lucia. È molto carina. Vedrai.
Ma non quanto te, sono sicuro.
Oddio, attento a quel che dici. Oltretutto non è vero. Lei è più carina.
Ritornò al ranch da solo col profumo della ragazza sulla camicia. I cavalli erano ancora legati accanto alla masseria, ma Rawlins e Roberto non si vedevano da nessuna parte. Quando slegò il suo cavallo, le altre due bestie scossero la testa e lo salutarono con un lieve nitrito. Nello spiazzo le auto cominciavano ad andare via e la gente sciamava lungo la strada. John Grady si tirò dietro il cavallo per togliersi dalla luce e montò in sella solo quando fu sulla strada. A un miglio dal villaggio un'auto di giovanotti lo superò a tutta velocità. Lui accostò il cavallo al ciglio della strada, ma la bestia scartò e danzò alla luce dei fari. I ragazzi urlarono qualcosa e gli tirarono una lattina vuota. Il cavallo indietreggiò, s'impennò e scalciò, ma lui lo tenne sotto controllo, gli parlò in tono suadente e riprese la marcia.
La polvere sollevata dall'auto aleggiava davanti a loro a perdita d'occhio, vorticando lentamente al chiarore delle stelle come le spire di una creatura enorme che emergeva dalla terra. Pensò che il cavallo si fosse comportato bene e strada facendo glielo disse a alta voce.
Attraverso un agente l'hacendado aveva comprato il cavallo senza nemmeno vederlo all'asta primaverile di Lexington e aveva mandato Antonio, il fratello di Armando, a ritirarlo. Antonio era partito dal ranch con un camioncino International del 1941 e un box improvvisato di lamiera a rimorchio, ed era rimasto via per due mesi. Con sé aveva due lettere firmate da Don Héctor, una in inglese e una in spagnolo, che dichiaravano lo scopo della sua missione; inoltre aveva una busta commerciale legata con uno spago in cui c'erano un sacco di soldi sia in dollari che in pesos e alcune tratte a vista appoggiate su banche di Houston e Memphis. Antonio, che non parlava inglese e non sapeva né leggere né scrivere, tornò senza la busta e la lettera scritta in spagnolo; però la lettera in inglese, anche se strappata in tre pezzi lungo le righe della piegatura e piena di orecchie, di macchie di caffè e altre chiazze che in parte potevano essere di sangue, era ancora nella sua tasca. Antonio era finito in galera una volta in Kentucky, una volta nel Tennessee e tre volte nel Texas. Quando arrivò in cortile scese dal camioncino, si diresse verso la casa con andatura anchilosata e bussò alla porta della cucina. Maria lo fece entrare, lo lasciò in piedi col cappello in mano e corse ad avvertire l'hacendado. Non appena entrò in cucina, Don Héctor gli strinse cerimoniosamente la mano e gli chiese come stava e Antonio rispose che stava benissimo e gli porse la lettera rotta in tre pezzi, una manciata di conti e di ricevute raccolte in trattorie, distributori di benzina, negozi d'alimentari e prigioni, il denaro rimasto, compresi gli spiccioli che aveva in tasca, le chiavi del camioncino, la quietanza della dogana messicana di Piedras Negras e una grossa busta commerciale, legata con un nastro blu, che conteneva i documenti e l'atto d'acquisto del cavallo.
Don Héctor posò i soldi, le ricevute e i documenti sulla credenza, intascò le chiavi e gli chiese se il camioncino era andato bene.
Sì, disse Antonio. Es una troca muy fuerte.
Bueno, disse l'hacendado. Y el caballo?
Está un poco cansado de su viaje, pero es muy bonito.
E lo era davvero. Aveva un bel manto castano scuro, era alto sedici palmi, pesava più di sei quintali e per un cavallo della sua razza possedeva un'ottima muscolatura e una robusta ossatura. Nella terza settimana di maggio, quando John Grady e il señor Rocha andarono alla stalla a vedere il cavallo appena arrivato dal Distrito Federai sul solito box a rimorchio, John Grady spinse il portello del suo comparto, entrò, si appoggiò al cavallo e cominciò ad accarezzarlo e a parlargli in spagnolo. Poi, mentre l'hacendado continuava a tacere, fece un giro intorno alla bestia continuando a parlare, tirò su uno zoccolo anteriore e l'esaminò.
L'ha montato?
Ma certo.
Mi piacerebbe cavalcarlo. Con su permiso.
L'hacendado annuì. Sì, disse. Naturalmente.
Il ragazzo uscì dal box, chiuse il battente e fissò a lungo lo stallone.
Le gusta? disse l'hacendado.
John Grady annuì. È un cavallo eccezionale, disse.
Nei giorni seguenti l'hacendado si recò spesso al corrai a vedere i due ragazzi domare i cavalli. Girellava fra le giumente in compagnia di John Grady che gliene elencava pregi e difetti. Allora ci pensava su, si allontanava a una certa distanza e guardava l'animale annuendo e riflettendoci sopra, poi si spostava in un altro punto d'osservazione e guardava la giumenta con il proposito di vederla con altri occhi. E quando contestava le doti di portamento o di struttura decantate da John Grady, quest'ultimo si rimetteva al suo giudizio. Tuttavia le giumente venivano giudicate sulla base di ciò che pian piano entrambi convennero di chiamare «l'unica cosa», e l'unica cosa che poteva assolverle dai difetti più grossolani era l'interesse dimostrato verso il bestiame. Infatti il ragazzo, dopo aver domato le giumente da sella più promettenti, le portava in campagna—dove le mucche e i vitelli pascolavano nell'erba lussureggiante lungo i laghetti — e le lasciava correre a piacimento in mezzo al bestiame. In ogni manada di giumente ce n'erano alcune che dimostravano grande interesse per le mucche e che, quando venivano portate via dai pascoli, si voltavano indietro a guardarle. Il ragazzo sosteneva che era possibile selezionare una razza di giumente dotate di senso del bestiame. L'hacendado ne era meno sicuro, ma su due cose entrambi erano totalmente e tacitamente d'accordo: che Dio aveva creato i cavalli per governare il bestiame e che il bestiame era l'unica ricchezza degna di un essere umano.
Lo stallone venne trasferito nella stalla del gerente per allontanarlo dalle femmine, e quando le giumente andarono in calore John e Antonio gliele portarono per la monta che avvenne quasi ogni giorno per tre settimane, in certi casi anche due volte al giorno. Antonio aveva un grande affetto e rispetto per lo stallone, lo chiamava caballo padre, gli parlava come faceva John Grady, spesso gli prometteva qualcosa e non gli mentiva mai. Il cavallo lo sentiva arrivare e scalpitava nella paglia con le zampe posteriori e Antonio, con voce profonda, si fermava a parlargli e a descrivergli le giumente. Antonio non lo fece mai accoppiare alla stessa ora per due giorni di seguito ed entrò in complicità con John Grady nel dire all'hacendado che era necessario cavalcarlo per evitare che diventasse intrattabile. John Grady amava cavalcarlo. In verità amava che glielo vedessero cavalcare. In verità amava che lei glielo vedesse cavalcare.
Il ragazzo andava in cucina a bere il caffè quand'era ancora buio, sellava il cavallo al chiarore dell'alba in compagnia delle piccole colombe del deserto che si svegliavano nel frutteto e, nell'aria fresca del mattino, tirava fuori lo stallone che si metteva a scalpitare arcuando il collo. Poi, mentre sorgeva il giorno, galoppava sulla strada lungo la ciénaga e gli acquitrini facendo levare stormi d'anatre, d'oche o di smerghi che decollavano sull'acqua, perforavano la bruma e prendevano quota indorandosi ai raggi di un sole ancora invisibile dalla piana del bolsón.
Qualche volta, prima che il cavallo si fermasse fremente, cavalcava senza soste fino all'estremità della laguna mormorandogli in continuazione frasi della Bibbia in spagnolo e ripetendogli all'infinito i comandamenti di una legge non scritta. Soy comandante de las yeguas, diceva, yo y yo sólo. Sin la caridad de estas manos no tengas nada. Ni comida, ni agua ni hijos. Soy yo que traigo las yeguas de las montañas, las yeguas jóvenes, las yeguas salvajes y ardientes. Intanto nel petto del cavallo stretto fra le sue ginocchia il cuore scuro e carnoso pompava secondo la volontà del Signore, il sangue pulsava e le poderose anse blu delle viscere si contraevano secondo la volontà del Signore, i femori robusti, le ginocchia, gli stinchi e i tendini gialli come corde di canapa si flettevano e si distendevano nelle articolazioni secondo la volontà del Signore, ben inguainati e immersi nella carne, e gli zoccoli fendevano la foschia mattutina che si alzava da terra mentre la bestia girava la testa a destra e a sinistra agitando la schiumante tastiera dei denti e i focosi globi oculari in cui ardeva il mondo.
Qualche volta, quando tornava a casa di buon'ora e andava a far colazione in cucina dove Maria era indaffarata a riempire di legna la grande cucina cromata o a stendere la pasta sul ripiano di marmo, John Grady udiva la ragazza cantare in qualche angolo della casa o sentiva un tenue profumo di giacinto come se lei fosse appena passata nel corridoio accanto. Le mattine in cui Carlos macellava una bestia, lui percorreva il vialetto attraversando un grande assembramento di gatti seduti in attesa sulle piastrelle della ramada, ne prendeva uno in braccio, lo accarezzava, e si avviava verso il cancello del patio dal quale una volta aveva visto la ragazza raccogliere i limoni e, dopo essersi fermato un po' lì davanti, posava a terra il micio che tornava immediatamente allo stesso posto di prima. Infine entrava in cucina togliendosi il cappello. Ogni tanto lei decideva di uscire a cavallo di mattina, e lui sapeva che faceva colazione da sola nella sala da pranzo al di là del corridoio, dove Carlos le portava il caffè e la frutta. Una volta, cavalcando sulle colline a nord, l'aveva vista a due miglia sotto di lui sulla strada della ciénaga e nei prati sopra la laguna, e un'altra volta l'aveva sorpresa fra i giunchi a tirarsi dietro il cavallo nell'acqua bassa, con la gonna arrotolata sopra le ginocchia, mentre nugoli di tordi le volteggiavano intorno strillando, e subito dopo l'aveva vista chinarsi a raccogliere le ninfee bianche seguita dal morello ubbidiente come un cane.
Non le aveva più parlato dalla sera del ballo a La Vega. L'hacendado l'aveva accompagnata a Città del Messico ed era tornato da solo. Non conosceva nessuno cui chiedere notizie di lei. A quel tempo aveva cominciato a cavalcare lo stallone senza sella, togliendosi gli stivali e saltandogli in groppa mentre Antonio teneva per il morso la giumenta appena montata che, ancora ansimante e tremante, stava lì con le zampe larghe e la testa bassa. Usciva dalla stalla puntando i talloni nudi contro la pancia del cavallo schiumante, sudato e ancora smanioso, e galoppava sulla strada della ciénaga tenendosi soltanto alla cavezza di corda, imbevuto del sudore dell'animale e dell'odore della giumenta. Sentiva le vene dello stallone pulsare sotto la pelle bagnata, gli stava chinato sul collo e gli sussurrava all'orecchio paroline tenere e oscene. Fu in quelle condizioni che una sera, in maniera del tutto imprevista, s'imbattè nella ragazza che tornava a casa sulla strada della ciénaga in groppa al morello.
Il ragazzo tirò le redini e fermò lo stallone fremente che scalpitò sulla strada scuotendo il muso pieno di schiuma. Si fermò anche lei. John Grady si tolse il cappello, si asciugò la fronte con la manica della camicia e le fece segno di proseguire; poi si rimise il cappello, fece scostare il cavallo sul ciglio del sentiero fra le carici e si voltò per vederla passare. Quando lei venne avanti e arrivò alla sua altezza, il ragazzo si toccò il cappello con l'indice e la salutò con un cenno del capo convinto che proseguisse. Lei si fermò e lo fissò sfrontata. Sul manto nero del morello brillava il riverbero della luce riflessa dall'acqua. Lui rimase fermo sul cavallo sudato come un bandito di strada, impietrito dallo sguardo della ragazza che aspettava di sentirgli dire qualcosa. In seguito cercò invano di ricordare cos'avesse detto, ma ricordò solo d'averla fatta involontariamente sorridere. Lei si voltò a guardare la superficie dell'acqua che rifletteva gli ultimi raggi del sole e tornò a fissare lui e il cavallo.
Voglio cavalcarlo, disse.
Come?
Voglio cavalcarlo.
Lei lo guardò dritto negli occhi sotto la tesa del cappello nero.
Lui si voltò a guardare le carici che oscillavano alla brezza del lago come se da quella parte potesse venirgli un aiuto. Poi si voltò di nuovo verso di lei.
Quando?
Come quando?
Quando vuoi cavalcarlo?
Adesso. Voglio cavalcarlo adesso.
Lui guardò il proprio cavallo come se fosse sorpreso di vederlo lì. Ma non ha la sella.
Sì, lo so, disse.
Il ragazzo strinse il cavallo fra i talloni e tirò le redini per farlo sembrare incerto e scontroso, ma lo stallone non fece una piega.
Non so se il patron sarebbe d'accordo. Tuo padre, intendo.
Lei ostentò un sorriso di sufficienza, smontò di sella, fece passare le redini sulla testa del morello e tenendole dietro la schiena si voltò a guardare il ragazzo.
Scendi, disse.
Sei proprio sicura?
Sì. Sbrigati.
Lui si lasciò scivolare a terra sentendo contro la gamba i calzoni caldi e bagnati.
E il tuo cavallo?
Portalo alla stalla.
A casa qualcuno mi vedrà. Portalo da Armando.
Mi stai mettendo nei guai.
Sei già nei guai.
La ragazza si girò, appese le redini al pomo della sella, prese le redini dalle mani del ragazzo, si voltò e gli mise una mano sulla spalla. Sentendo il cuore battere all'impazzata lui si chinò, fece una staffa con le mani intrecciate e, quando lei vi appoggiò lo stivale, la spinse in groppa allo stallone. La ragazza lo guardò dall'alto in basso, spronò il cavallo, trotterellò sul sentiero che costeggiava la laguna e sparì dalla vista.
Il sole calava pian piano. Lui tornò indietro tenendo il morello arabo al passo nella speranza che lei arrivasse e cambiasse di nuovo cavallo, ma non vedendola sopraggiungere si recò alla casa di Armando e, nel crepuscolo arrossato dal tramonto, smontò, condusse il cavallo a piedi nella stalla sul retro, gli tolse le briglie, allentò il sottopancia e lo lasciò sellato e legato alla sbarra con una corda. La casa era buia, e lui pensò che non ci fosse nessuno, ma poco dopo vide accendersi una luce in cucina. Affrettò il passo. Sentì che una porta si apriva, ma non si voltò nemmeno a guardare. Chiunque fosse, nessuno lo chiamò né gli disse nulla.
L'ultima volta che la vide prima che tornasse a Città del Messico, lei scendeva dalla montagna a cavallo sotto una cappa di nuvole nere che preannunciavano un temporale. Col cappello abbassato sulla fronte e allacciato sotto il mento, cavalcava eretta e altera, e i capelli neri ondeggiavano al vento ricadendole sulle spalle. Indifferente alle plumbee nubi che emanavano lampi silenziosi, proseguì apparentemente ignara di tutto fra i primi goccioloni di pioggia portati dal vento, scese dalle colline, attraversò i pascoli alti, superò i chiari laghetti irti di canne e continuò a cavalcare eretta e altera finché la pioggia non sopraggiunse inghiottendola nel paesaggio estivo battuto dalla furia degli elementi: vero il cavallo, vera l'amazzone, vero il cielo e vera la terra, eppure tutto era un sogno.
La presenza nell'hacienda di Duena Alfonsa, prozia e madrina della ragazza, rappresentava il legame con il passato, la storia e la tradizione. Eccetto i vecchi tomi rilegati in pelle, i libri della biblioteca erano suoi e suo era il piano. Il vecchio stereoscopio esposto in salotto e la coppia di pistole Greener, conservate nel guardaroba della camera di Don Héctor, erano appartenuti al fratello, quello stesso che si vedeva accanto a lei nelle fotografie scattate davanti alle cattedrali delle capitali europee: lei e la cognata in abiti estivi bianchi e lui in giacca, cravatta, panciotto e panama. Baffi neri. Occhi neri spagnoli. Portamento da gran signore. Il più antico ritratto a olio appeso in salotto, dalla superficie lucida e scura screpolata come una vecchia porcellana, era quello del bisnonno, eseguito a Toledo nel 1797. Il più recente, che ritraeva lei stessa in abito da sera, era stato eseguito a Rosario nel 1892 in occasione del suo quindicesimo compleanno.
John Grady non aveva mai visto l'anziana signora. Forse l'aveva intravista di sfuggita nel corridoio. E non sapeva nemmeno che lei fosse al corrente della sua esistenza fino alla sera in cui, circa una settimana dopo che la ragazza era tornata a Città del Messico, venne invitato a giocare a scacchi nella casa dell'hacendado. Quando si presentò in cucina con la camicia e i calzoni nuovi Maria stava ancora lavando i piatti della cena. Si voltò a squadrarlo da capo a piedi, lì impettito col cappello in mano. Bueno, disse. Te espera.
Ringraziandola il ragazzo attraversò la cucina, percorse il corridoio e si fermò sulla porta della sala da pranzo. La vecchia s'alzò dal tavolo al quale stava seduta e inclinò la testa leggermente di lato. Buona sera, disse. S'accomodi prego. Sono la señorita Alfonsa.
Con la gonna scura, la camicetta bianca plissé e i capelli grigi raccolti sulla nuca, sembrava esattamente la maestra di scuola che era stata. Dopo aver pronunciato quelle prime parole con un leggero accento inglese, la signora tese un braccio e lui, trattenendosi in tempo dallo stringerle la mano, comprese che gli indicava una sedia alla sua destra.
Sera, signora. Sono John Grady Cole.
La prego, disse lei. S'accomodi. Sono contenta che sia venuto.
Grazie, signora.
Tirò la sedia verso di sé, sedette, posò il cappello sulla sedia accanto e guardò la scacchiera. Lei la spinse delicatamente verso di lui col pollice della mano. I quadrati chiari e scuri alternati erano di noce e di acero, il bordo era intarsiato di madreperla e le due serie di scacchi erano d'avorio e di corno nero.
Mio nipote non gioca con me, disse lei. Di solito lo sbaraglio. Si dice così?
Sì, signora. Penso di sì.
Era mancina come John Grady o comunque giocava con la sinistra a cui mancavano le ultime due dita, ma il ragazzo se ne accorse solo a metà partita. Quando lui le mangiò la regina, lei finalmente s'arrese, gli sorrise per complimentarsi e indicò la scacchiera con una certa impazienza. Nel bel mezzo della seconda partita, quando lui le aveva già mangiato entrambi i cavalli e un alfiere, lei fece due mosse che lo costrinsero a una pausa di riflessione. Lui studiò la scacchiera. Si rese conto che lei si aspettava che lui si arrendesse, e si rese anche conto di averci effettivamente pensato e che lei ci aveva pensato prima di lui. S'appoggiò allo schienale e studiò il gioco. Lei lo guardava. John Grady si chinò in avanti, mosse l'alfiere e le diede scacco matto in quattro mosse.
Che stupida, disse. Il cavallo della regina. Un errore madornale. Lei gioca benissimo.
Sì, signora. Anche lei.
La donna tirò leggermente indietro la manica della camicia e diede un'occhiata al piccolo orologio d'argento che aveva al polso. John Grady restò fermo in attesa. Di solito era già a letto da due ore.
Un'altra? disse lei.
Certo, signora.
Duena Alfonsa fece una mossa d'apertura che lui non aveva mai visto prima. Alla fine lui perse la regina e s'arrese. Lei sorrise e lo guardò. Nel frattempo era entrato Carlos che aveva posato sul tavolo un vassoio con il tè. La signora spinse da parte la scacchiera, avvicinò il vassoio e dispose le tazze e i piattini. C'era un piatto con qualche fetta di torta, un piatto di cracker con vari tipi di formaggio e una coppetta di salsa scura da cui emergeva un cucchiaino d'argento.
Vuole un po' di panna? disse lei.
No, signora.
Lei annuì e versò il tè.
Se rifacessi quell'apertura non otterrei più lo stesso effetto.
Non l'avevo mai vista prima.
L'ha inventata il campione irlandese Pollock. L'ha chiamata apertura del re. Temevo che lei la conoscesse.
Un giorno mi piacerebbe rivederla.
Certo, naturalmente.
La signora spinse avanti il vassoio. Prego, disse. Non faccia complimenti.
Grazie, ma preferisco di no. Se mangio a quest'ora faccio sogni stranissimi.
Lei sorrise e prese un tovagliolo di lino dal vassoio.
Io faccio sempre sogni strani, ma credo che non dipenda dalle mia dieta.
Sì, signora.
I sogni hanno vita lunga. Ancora oggi sogno cose che sognavo da piccola. Per essere irreali, i sogni hanno una persistenza davvero curiosa.
Secondo lei hanno qualche significato?
La vecchia lo guardò sorpresa. Certamente, disse. Secondo lei no?
Non saprei. Sono cose che esistono solo nella testa.
La signora sorrise di nuovo. Per me non è un fatto negativo com'è per lei. Dove ha imparato a giocare a scacchi?
A casa, da mio padre.
Dev'essere molto bravo.
È il migliore che abbia mai conosciuto.
Non è mai riuscito a batterlo?
Qualche volta. Ci sono riuscito quando è tornato dalla guerra, ma ormai non giocava più con tutto se stesso. Ora ha smesso completamente.
Peccato.
Sì, signora. Davvero.
Lei riempì di nuovo le tazze.
Ho perso due dita in un incidente di caccia, disse. O meglio, tiro al piccione. La canna destra è scoppiata. Avevo diciassette anni, l'età di Alejandra. Non deve sentirsi in imbarazzo, è naturale essere curiosi. La cicatrice che lei ha su una guancia è il ricordo di un cavallo, suppongo.
Sì, signora. Ma è stata colpa mia.
Lei lo guardò affettuosamente. Gli sorrise. Le cicatrici hanno lo strano potere di ricordarci che il passato è reale. È impossibile dimenticare gli eventi che le hanno causate, non trova?
Sì, è vero.
Alejandra si fermerà da sua madre a Città del Messico per due settimane. Poi tornerà qui a passare l'estate.
Lui deglutì imbarazzato.
Nonostante le apparenze, non sono una donna all'antica. Qui viviamo in un piccolo mondo. Un mondo assai chiuso. Alejandra ed io non andiamo molto d'accordo. Anzi non andiamo d'accordo per niente. Lei è così uguale a me alla sua età che qualche volta ho l'impressione di combattere contro il mio stesso passato. Io ho avuto un'infanzia infelice per ragioni ormai prive di qualunque importanza. Ma la cosa che ci unisce, me e mia nipote...
S'interruppe e spinse da parte la tazza e il piattino lasciando sulla vernice del tavolo un alone di vapore acqueo che si restrinse a partire dai margini e infine svanì. Dueña Alfonsa alzò gli occhi.
Vede, io non avevo nessuno che mi consigliasse. D'altra parte, forse, non l'avrei ascoltato. Pensavo che crescere in un mondo di uomini mi avrebbe aiutata a viverci dentro. Ma non è stato così. E poiché sono stata ribelle adesso riconosco i ribelli. Sono convinta che da giovane non volevo spaccare tutto, ma solo le cose che volevano spaccare me. I nomi delle cose che hanno il potere di piegarci cambiano col tempo. Le convenzioni sociali e l'autorità lasciano il posto alle malattie. Ma il mio atteggiamento verso certe cose non è cambiato. Non è affatto cambiato.
Lei capisce bene che per Alejandra posso nutrire solo simpatia. Anche quando ha torto. Ma non voglio che sia infelice. Non voglio che si parli male di lei. Che sia vittima dei pettegolezzi. Io so bene cosa vuol dire. Ma mia nipote pensa di potersene infìschiare e risolve tutto con una scrollata di spalle. In un mondo ideale i pettegolezzi non sarebbero pericolosi. Ma nel mondo reale ho dovuto constatare che possono avere conseguenze gravissime. Non escluso il versamento di sangue e persino la morte. Questo è successo nella mia stessa famiglia. Ciò che Alejandra ritiene trascurabile perché è solo esteriorità o mentalità antiquata...
Con la mano monca fece un gesto che rappresentava allo stesso tempo la volontà di concludere e di troncare la questione, poi si ricompose e fissò il ragazzo.
Anche se lei è più giovane di Alejandra, non è bene che vi vedano cavalcare insieme da soli. Quando mi è arrivata all'orecchio questa voce, mi sono chiesta se dovevo parlarne a mia nipote e ho deciso di no.
Si appoggiò allo schienale e lo guardò. Dalla cucina non proveniva il minimo rumore. Si sentiva ticchettare il pendolo nel corridoio.
Cosa vuole che faccia? chiese il ragazzo.
Voglio che cerchi di salvaguardare il buon nome di Alejandra.
Non ho mai inteso fare il contrario.
La signora sorrise. Le credo, disse. Ma deve capire che questo è un altro paese. Qui la reputazione è tutto ciò che una donna possiede.
Sì, signora.
Non c'è perdono, capisce?
Come?
Non c'è perdono. Per le donne. Un uomo che perde l'onore può riconquistarlo. Ma una donna no. È impossibile.
Rimasero in silenzio. Lei lo guardò. Tamburellava le dita sul cappello, poi sollevò lo sguardo.
Non mi sembra giusto, disse il ragazzo guardando la donna.
Giusto? Oh, sì. Capisco.
Fece un gesto con la mano per significare che s'era improvvisamente ricordata di non aver chiarito una cosa. No, disse. No. Non è questione di giustizia astratta. Capisce? Qui la questione è: a chi spetta decidere cos'è giusto? In questo caso spetta a me. Sono io che decido cos'è giusto.
Nel corridoio il pendolo ticchettava. La donna rimase a guardarlo. Lui prese il cappello.
Be', non era il caso che m'invitasse solo per dirmi questo.
Ha ragione, disse lei. Infatti stavo proprio per non invitarla.
Sulla mesa videro un temporale arrivare da nord e all'imbrunire la luce divenne spettrale. I verdi occhi scuri dei laghetti incastonati nella savana deserta sembravano squarci aperti su un altro universo. A ponente le nuvole gonfie di pioggia lasciavano filtrare lame di luce sanguigna che a un tratto avvolsero il paesaggio in un'aura violetta.
Sedettero sulla terra vibrante a causa dei tuoni e alimentarono il fuoco coi resti di un vecchio steccato. Stormi d'uccelli provenienti dalla campagna sbucavano dalla semioscurità sfiorando il bordo della mesa e i lampi saettavano all'orizzonte come infuocate radici di mandragola.
Che altro ti ha detto? disse Rawlins.
Nient'altro.
Pensi che parlasse a nome di Rocha?
No, secondo me parlava solo per se stessa.
Crede che tu abbia messo gli occhi sulla ragazza.
Infatti ce li ho messi.
Ma non li hai messi sulla distanza che vi separa.
John Grady fissò il fuoco. Non saprei, disse. Non ci ho proprio pensato.
Si vede.
John Grady guardò Rawlins e tornò a fissare il fuoco.
Quando torna?
Fra una settimana.
Non vedo cosa ti fa pensare che tu le interessi.
John Grady annuì. Io lo so. Con lei riesco a parlare.
Le prime gocce di pioggia sfrigolarono nel fuoco. John Grady guardò Rawlins.
Non ti sei pentito di essere venuto qui, vero?
Non ancora.
Annuì. Rawlins si alzò.
Vuoi la mantellina o preferisci prendere la pioggia?
Adesso la prendo.
Te la prendo io.
Protetti dalle incerate, continuarono a discutere all'ombra del cappuccio come se parlassero alla notte.
So che il vecchio ha stima di te, disse Rawlins. Questo non significa che sia contento di vederti corteggiare la figlia.
Sì, lo so.
Mi sembra che tu non abbia nessun asso nella manica.
È vero.
Piuttosto ho l'impressione che ci farai licenziare e buttar fuori di qui.
Contemplarono il fuoco in silenzio. Il filo spinato appeso ai pali del recinto giaceva a terra ingarbugliato e alcune spire immerse nella brace pulsavano di un bagliore incandescente. I cavalli spuntati dal buio, bagnati fradici, stavano immobili sotto la pioggia al bordo del cerchio di luce proiettato dal falò roteando gli occhi accesi dai riflessi delle fiamme.
Non mi hai ancora detto cosa le hai risposto, disse Rawlins. Che avrei fatto tutto quel che voleva.
E cosa vuole?
Non mi è così chiaro.
Tacquero osservando il fuoco.
Gliel'hai promesso? disse Rawlins.
Non lo so. Non ne sono così sicuro.
Be', o l'hai fatto o non l'hai fatto.
In realtà mi sembra di sì. Ma non ne sono sicuro.
Cinque sere dopo, mentre dormiva nella branda della stalla, sentì bussare alla porta. Si tirò su a sedere. Fuori c'era qualcuno. Dalle fessure delle assi si vedeva filtrare un po' di luce.
Momento, disse.
S'alzò, s'infilò i calzoni al buio e aprì la porta. Nell'androne della stalla, c'era Alejandra in piedi con una torcia elettrica puntata a terra.
Che succede? sussurrò lui.
Sono io.
Lei alzò la torcia per dimostrare che era vero. Lui rimase senza parole.
Che ora è?
Non so. Le undici o giù di lì.
Lui guardò la porta dello stalliere.
Rischiamo di svegliare Estéban, disse.
Allora fammi entrare.
Lui fece un passo indietro e lei entrò coi lunghi capelli fluenti e un gran fruscio di vestiti, seguita da una scia di profumo. Lui chiuse la porta, fece scorrere il chiavistello di legno e si voltò a guardarla.
Meglio non accendere la luce, disse lui.
D'accordo. Comunque il generatore è spento. Cosa ti ha detto la zia?
Penso che l'abbia detto anche a te.
Certamente, ma a te cos'ha detto?
Vuoi sederti?
Lei si voltò, si sedette sul bordo del letto con una gamba ripiegata sotto di sé e posò la torcia accesa spingendola sotto la coperta affinché lo stanzino fosse rischiarato solo da una luce soffusa.
Non vuole che ci vedano insieme nei campi.
Armando le ha detto che tu sei tornato col mio cavallo. Lo so.
Non sopporto di essere trattata così, disse lei.
In quel chiarore aveva un aspetto strano e irreale. Passò una mano sulla coperta quasi per spazzar via qualcosa. Lo guardò cogli occhi luccicanti sprofondati nelle orbite buie del volto pallido e austero. Lui la intravide deglutire a fatica e le lesse in viso e nel portamento quel che in lei non aveva mai visto prima, il dolore.
Pensavo che tu mi fossi amico.
Dimmi cosa devo fare, disse lui. E lo farò.
La rugiada notturna tratteneva la polvere sulla strada della ciénaga dove cavalcavano al passo affiancati sui cavalli imbrigliati con una semplice cavezza e privi di sella. Si erano tirati dietro gli animali fin sulla strada e li avevano montati proseguendo fianco a fianco sul sentiero. La luna brillava a ponente e i levrieri chiusi nel canile rispondevano ai latrati di qualche cane che ululava lontano dietro i recinti della tosatura. Lui aveva chiuso il cancello del recinto, aveva allacciato le mani a mo' di staffa e l'aveva aiutata a salire in groppa al morello, poi aveva slegato lo stallone dalla staccionata, era montato a cavallo appoggiando il piede su un asse del cancello e aveva fatto voltare l'animale. E insieme s'erano avviati sulla strada della ciénaga alla luce della luna che brillava a ponente come un panno bianco steso ad asciugare fra gli ululati dei cani.
Qualche volta rimanevano fuori fin quasi all'alba e al ritorno lui rimetteva lo stallone al suo posto, andava a far colazione in cucina e un'ora dopo s'incontrava con Antonio alla stalla per raggiungere a piedi il recinto delle cavalle che stava dopo la casa del gerente.
Di notte s'arrampicavano lungo il confine occidentale della mesa e si fermavano a due ore di cavallo dal ranch. Qualche volta lui accendeva un fuoco e le sedeva accanto a guardare le lanterne a gas dei cancelli dell'hacienda che galleggiavano nel lago di tenebre della pianura. Allora lei gli raccontava le storie della famiglia paterna e del Messico mentre le stelle cadevano a centinaia e le luci della valle sembravano muoversi come se il mondo girasse intorno a un altro centro. Al ritorno entravano in un laghetto e i cavalli, immersi fino al ventre, si fermavano a bere facendo oscillare e tremolare le stelle riflesse nell'acqua. E quando pioveva, sulle montagne il cielo era più vicino e la notte più calda. Una sera lui s'allontanò costeggiando la riva del lago tra i cespugli e i salici, scese da cavallo, si svestì ed entrò nell'acqua sospingendo il riflesso della luna davanti a sé verso le anatre che starnazzavano al buio. L'acqua era scura, tiepida, morbida come la seta, lui si immerse e allargò le braccia restando immobile poi, oltre la nera superficie immota del lago, la guardò ferma sulla riva accanto al cavallo, la guardò emergere dagli abiti ammucchiati ai suoi piedi, bianca come una crisalide che esce dal bozzolo, ed entrare in acqua.
Alejandra si fermò a mezz'acqua e si voltò indietro. Tremava ma non per il freddo perché freddo non faceva. Non dirle niente. Non chiamarla. Quando lo raggiunse lui le porse la mano e lei la strinse. Era così bianca nell'oscurità che sembrava ardere. Come un fuoco fatuo in una foresta buia. Che ardeva freddo. Ardeva freddo come la luna. I fluenti capelli neri le galleggiavano intorno nell'acqua. Lei gli mise l'altra mano sulla spalla, guardò la luna a ponente, non dirle niente, non chiamarla, e infine si voltò a fissarlo. Ancor più dolce per quel piccolo furto di tempo e di carne, ancor più dolce a causa dell'inganno. Le gru appollaiate su una zampa sola fra le canne della riva alzarono la testa sfilando il lungo becco nascosto sotto l'ala e li guardarono. Me quieres? disse lei. Sì, disse lui. Poi la chiamò per nome. Dio, sì, disse lui.
Uscì dalla stalla lavato e pettinato con la camicia pulita e si sedette con Rawlins su una cassetta di legno sotto la ramada del dormitorio a fumare in attesa della cena. Improvvisamente le chiacchiere e le risate che si sentivano dentro cessarono. Due vaqueros si fecero sulla porta. Rawlins si voltò a guardare la strada. Cinque poliziotti a cavallo si avvicinavano in fila indiana. Avevano la divisa cachi, montavano buoni cavalli e portavano una pistola alla cintura e un fucile nel fodero della sella. Rawlins si alzò. Gli altri vaqueros si affollarono sulla porta a guardare. Quando la pattuglia passò davanti al dormitorio, il comandante lanciò un'occhiata agli uomini radunati sotto la ramada e sulla porta. Poi i gendarmi proseguirono in fila indiana nell'incerta luce del crepuscolo e scomparvero alla vista dietro la casa del gerente, diretti verso il tetto rosso della villa padronale.
Quando tornò alla stalla John Grady vide i cinque cavalli ancora sellati fermi sotto i noci che fiancheggiavano la parte opposta della casa. Il giorno dopo non c'erano più. La notte seguente lei lo raggiunse nel letto e tornò per nove sere di seguito Dio solo sa a che ora: sprangava la porta col chiavistello, si spogliava e morbida e profumata si stringeva fresca e nuda al suo fianco sulla piccola branda, coprendolo con la splendida chioma nera senza preoccuparsi di niente e ripetendo non m'importa di nulla. E se lui le metteva la mano sulla bocca perché non gridasse, lei lo mordeva a sangue e poi s'addormentava sul suo petto mentre lui vegliava e non riusciva a prendere sonno. E quando a oriente spuntava il chiarore dell'alba lei si alzava e andava in cucina a far colazione fìngendo d'essersi semplicemente alzata presto.
Poi un giorno tornò in città. La sera dopo John Grady, arrivando dal lavoro, trovò Estéban nella stalla e gli disse qualcosa, ma il vecchio gli rispose senza guardarlo in faccia. Il ragazzo si lavò e andò a cenare in cucina, poi raggiunse la sala da pranzo e si sedette al tavolo con l'hacendado per aggiornare il registro di monta. L'hacendado s'informò sulle giumente, annotò i dati e s'appoggiò allo schienale fumando il sigaro e battendo la matita sul bordo del tavolo. Infine alzò gli occhi. Bene, disse.
Stai facendo progressi con il Guzmàn?
Be', non sono ancora pronto per passare al secondo volume.
L'hacendado sorrise. Guzmàn è eccellente. Non leggi il francese?
No, signore.
Quei maledetti francesi sono grandi intenditori di cavalli. Giochi a biliardo?
Come?
Giochi a biliardo?
Sissignore, qualche volta. Soprattutto all'americana.
Ah, bene. Vuoi fare una partita?
Sissignore.
Allora vieni con me.
L'hacendado chiuse i registri, spinse indietro la sedia, si alzò e, seguito dal ragazzo, percorse il corridoio e il salotto, attraversò la biblioteca, aprì la doppia porta in fondo alla stanza ed entrò in un locale buio che sapeva di legno vecchio e di muffa.
Tirando la nappa di un cordone, Don Héctor accese un lampadario di metallo finemente lavorato che illuminò un antico tavolo di legno scuro dalle gambe intagliate a forma di leone. Il lampadario, appeso al soffitto alto sei metri tramite una lunga catena, arrivava a poca distanza dal tavolo che era coperto da una tela cerata gialla. Al fondo della sala c'era un vecchissimo altare, fatto di legno scolpito e dipinto, sopra il quale si ergeva un Cristo a grandezza naturale, a sua volta scolpito nel legno e dipinto.
L'hacendado si voltò.
Io gioco assai di rado. Spero che tu non sia un giocatore provetto.
Nossignore.
Ho detto a Carlos di livellare il tavolo. L'ultima volta che ci ho giocato era fuori squadra. Vediamo cos'è riuscito a fare. Prendi quell'angolo del telo e fa' come ti dico.
Si misero ai lati opposti del tavolo, piegarono il telo a metà, lo ripiegarono un'altra volta, lo sollevarono, si scostarono dal tavolo e si vennero incontro. L'hacendado prese la tela cerata e la posò su una sedia.
Come puoi vedere, questa era una cappella. Sei superstizioso?
Nossignore. Non credo.
Bisognerebbe farla sconsacrare. Alfonsa sa come funziona. Bisogna chiamare un prete a dire qualche formula. Ma anche se la cappella non è ancora sconsacrata, il tavolo è qui da molti anni. Personalmente ho molti dubbi sul fatto che i preti possano sconsacrare le cose. Quel che è sacro è sacro. Il potere dei preti è molto più limitato di quanto si pensi. Fatto sta che qui non si celebra più messa da molti anni.
Da quanti?
L'hacendado, che esaminava le stecche allineate sulla rastrelliera di mogano in un angolo della stanza, si voltò.
Ho fatto la Prima Comunione in questa cappella. Penso che l'ultima messa sia stata quella. Era più o meno il 1911.
Tornò alle stecche. Non voglio che il prete vanifichi la santità della cappella. Perché dovrei farla sconsacrare? Mi piace sapere che Dio è qui. In casa mia.
Dispose le biglie a triangolo sul biliardo e porse a John Grady il boccino d'avorio ingiallito e visibilmente segnato dal tempo.
Dopo il tiro d'apertura giocarono all'americana e l'hacendado, che girava intorno al tavolo gessando la stecca con perizia e annunciando i numeri delle biglie in spagnolo, vinse facilmente studiando le sponde e i colpi con calma e giocando flemmatico: intanto parlava della rivoluzione, della storia messicana, di dueña Alfonsa e di Francisco Madero.
Madero è nato a Parras, in questo stato. Un tempo le nostre famiglie erano molto amiche. Forse Alfonsita era fidanzata col fratello di Madero. Ma non ne sono sicuro. Comunque mio nonno non avrebbe mai dato il suo consenso a quel matrimonio. Le idee politiche della mia famiglia erano assai radicali. Alfonsita non era più una bambina e suo padre avrebbe dovuto lasciarla decidere di testa sua, ma non l'ha fatto. A quanto pare lei non gliel'ha mai perdonato. E così gli ha dato un gran dispiacere e il vecchio se l'è portato dentro la tomba. El cuatro.
L'hacendado si chinò, prese la mira e colpì di sponda la palla numero quattro che stava dall'altra parte del tavolo, poi si alzò a gessare la stecca.
Alla fine tutto questo non è servito a nulla. La famiglia è andata in rovina. Entrambi i fratelli sono morti ammazzati.
Studiò il tavolo.
Come Madero, Alfonsita ha studiato in Europa. Come lui, ha imparato quelle idee, quelle...
Con la mano fece lo stesso gesto che il ragazzo aveva visto fare a dueña Alfonsa.
Ha sempre avuto quelle idee. Catorce.
Si chinò a tirare il colpo e si rialzò a gessare la stecca scuotendo la testa. Ogni paese è diverso dall'altro. Il Messico non è l'Europa. Qui le cose sono più complicate. Il nonno di Madero, Don Evaristo, era mio padrino di battesimo. Per questo e per altri motivi mio nonno gli è rimasto fedele. Non era un'impresa difficile perché Madero era un uomo meraviglioso, molto gentile e persino fedele al regime di Diaz. Quando Francisco ha pubblicato il suo libro, Don Evaristo s'è rifiutato di credere che fosse suo. Eppure nel libro non c'era niente di terribile. L'unica cosa strana era il fatto che l'avesse scritto un hacendado giovane e ricco. Siete.
Si chinò, mandò in buca la biglia numero sette e girò intorno al tavolo.
Sia lui che Gustavo erano andati a studiare in Francia insieme a tanti altri giovani di buona famiglia. Sono ritornati tutti quanti pieni di idee. Ma nessuno andava d'accordo con gli altri. Come te lo spieghi? I genitori li avevano mandati in Francia proprio perché imparassero quelle idee e loro le avevano imparate, ma al ritorno, aperte le rispettive valige, non ce n'erano due che contenevano la stessa cosa.
Scosse la testa gravemente. Come se il gioco lo preoccupasse.
Sulle cose pratiche andavano d'accordo. Sui nomi dei personaggi storici, sui monumenti, sulle date di certi eventi, ma sulle idee... Quelli della mia generazione sono più cauti. Noi non crediamo che la ragione possa migliorare il carattere della gente. Questa è un'idea francese.
Gessò la stecca, si spostò, tirò il colpo e si alzò a studiare il gioco.
Attenti ai cavalieri cortesi. Non c'è peggior mostro della ragione.
Guardò John Grady sorridendo e tornò a osservare il tavolo.
Questa naturalmente è un'idea spagnola, capisci. L'idea di Don Chisciotte. Ma nemmeno Cervantes poteva capire un paese come il Messico. Alfonsita mi accusa di essere egoista perché non voglio lasciar partire Alejandra. Forse ha ragione. Forse ha proprio ragione. Diez.
Partire per dove?
L'hacendado si era chinato per tirare. Si rialzò guardando l'ospite in faccia. Per la Francia, naturalmente.
Gessò di nuovo la stecca e studiò il gioco.
Perché me la prendo? Perché? Alejandra ci andrà. Chi sono io? Il padre, ma il padre non conta niente.
Sbagliò il colpo e fece un passo indietro.
Ecco, lo vedi? Lo vedi come le preoccupazioni mi rovinano il biliardo? I francesi sono entrati in casa mia a rovinarmi la partita di biliardo. Non si fermano davanti a nessun abominio.
Seduto sulla branda nel buio abbracciò il cuscino affondandovi il viso, fiutò l'odore della ragazza, cercò di immaginarne la figura e la voce e sussurrò sottovoce le parole che lei gli aveva detto. Dimmi cosa devo fare. Farò tutto quello che vuoi. Le stesse parole che le aveva detto lui. La ragazza aveva pianto a lungo fra le sue braccia affondando il viso nel suo petto nudo, ma non c'era nulla da dire e nulla da fare, e all'alba se n'era andata.
La domenica seguente Antonio l'invitò a casa del fratello. Dopo pranzo si sedettero entrambi all'ombra della ramada, fuori della cucina, e si rollarono una sigaretta e si misero a fumare e a parlare di cavalli e altre cose. John Grady gli raccontò la partita a biliardo con l'hacendado e Antonio, seduto col cappello su un ginocchio e le mani allacciate su una vecchia sedia mennonita che aveva la tela al posto della paglia, ascoltò le sue parole con la serietà che il caso comportava, fissando la sigaretta e annuendo col capo. John Grady scrutò attraverso gli alberi la casa padronale, i muri bianchi e le tegole rosse del tetto. Dígame, cuál es lo peor, que soy pobre o que soy americano? chiese.
Il vaquero scosse la testa. Una llave de oro abre cualquier puerta, disse.
Antonio guardò il ragazzo scuotendo la cenere della sigaretta e gli disse che era inutile chiedere un consiglio perché nessuno poteva darglielo.
Tienes razón, disse John Grady. Guardò il vaquero. Disse che appena lei fosse tornata le avrebbe parlato con la massima serietà per sapere cos'avesse nel cuore.
Il vaquero lo guardò. Guardò la casa padronale. Poi con aria stupita gli disse che lei era già tornata. Cómo?
Sí, ella está aquí. Desde ayer.
Restò sveglio tutta la notte fino all'alba. Ascoltò il silenzio della stalla. Il respiro dei cavalli che si muovevano nei box. Al mattino andò al dormitorio a far colazione e sulla porta della cucina trovò Rawlins che gli disse: Sembri un cavallo sfiancato e sudato marcio.
Si sedettero a mangiare, poi Rawlins si appoggiò allo schienale e prese il tabacco dal taschino della camicia.
Sto aspettando che sputi il rospo, fra poco devo andare al lavoro.
Sono venuto semplicemente a trovarti.
Qual è il problema?
Non dev'esserci per forza un problema, no?
No. Non è necessario. Sfregò un fiammifero sotto il tavolo, accese la sigaretta, lo spense scuotendolo e lo mise nel piatto.
Spero solo che tu sappia quello che fai.
John Grady finì di bere il caffè e mise la tazza e le posate nel piatto, poi prese il cappello appoggiato sulla panca, se lo mise in testa e s'alzò per portare le stoviglie nel lavandino.
Mi avevi detto di non essere contrario al fatto che mi trasferissi laggiù.
E tuttora non ho nulla in contrario.
John Grady annuì. Va bene, disse.
Rawlins lo guardò andare al lavello e dirigersi verso la porta. Pensava che avrebbe aggiunto qualcosa, ma John Grady tacque.
Lavorò tutto il giorno con le giumente e alla sera, sentendo l'aeroplano partire, uscì dalla stalla. L'aereo spuntò sopra gli alberi, si alzò nell'ultima luce del tramonto e virò in direzione sud-ovest. Pur non sapendo chi c'era sopra, il ragazzo guardò il velivolo finché non lo perse di vista.
Due giorni dopo lui e Rawlins andarono di nuovo in montagna e dopo aver lavorato duramente a stanare i cavalli bradi dalle gole montane si accamparono sul versante meridionale degli Anteojos, nello stesso posto in cui s'erano accampati con Luis, e cenarono a base di fagioli, capretto allo spiedo con tortillas e caffè nero.
Abbiamo quasi finito quassù, non ti pare? disse Rawlins.
John Grady annuì. Sì, probabilmente sì.
Mentre Rawlins sorbiva il caffè guardando il fuoco, tre levrieri pallidi e scheletrici, con le costole sporgenti e gli occhi arrossati dai riflessi delle fiamme, entrarono improvvisamente nel cerchio di luce e si misero a girare in tondo attorno al falò. Rawlins sobbalzò e versò il caffè.
Che diavolo succede!
John Grady si alzò e scrutò le tenebre. I cani svanirono improvvisamente com'erano apparsi.
Rimasero in attesa ma non videro venire nessuno.
Che strano, disse Rawlins.
S'allontanò di qualche passo dal fuoco e rimase ad ascoltare. Poi guardò John Grady.
Vuoi dare una voce?
No.
Quei cani non sono venuti quassù da soli.
Lo so.
Pensi che ci stia dando la caccia?
Se vuole sa dove trovarci.
Rawlins tornò accanto al fuoco, si versò un po' di caffè e rimase in ascolto.
Probabilmente è venuto quassù con un gruppo d'amici. John Grady non rispose.
Non credi? disse Rawlins.
Al mattino salirono al recinto convinti d'imbattersi nell'hacendado in compagnia di qualche amico, ma non ne videro nemmeno l'ombra e neppure nei giorni seguenti. Tre giorni dopo scesero dalla montagna scortando undici puledre, raggiunsero l'hacienda al crepuscolo, chiusero le cavalle nel recinto e andarono al dormitorio a mangiare. Alcuni vaqueros erano ancora seduti a tavola a bere caffè e a fumare, ma pian piano uscirono tutti.
All'alba del giorno dopo due uomini con le pistole spianate entrarono nel suo stanzino, gli puntarono una torcia negli occhi e gli ordinarono di alzarsi.
Lui si tirò su e mise i piedi a terra. Non vedeva bene l'uomo con la torcia in mano ma scorgeva la pistola puntata, una Colt automatica d'ordinanza. Si fece ombra con la mano e vide nella stalla alcuni uomini armati di fucile.
Quién es? chiese.
L'uomo abbassò la torcia e gli ordinò di vestirsi. Il ragazzo s'alzò e s'infilò i pantaloni, gli stivali e la camicia.
Vámonos, disse l'uomo.
Lui s'abbottonò la camicia.
Dónde están sus armas?
No tengo armas.
Il comandante parlò al gendarme che gli stava dietro e due uomini entrarono a perquisire la stanza. Rovesciarono una cassetta per terra, dispersero a calci i vestiti e gli oggetti personali e capovolsero il pagliericcio. I gendarmi avevano le divise cachi unte e annerite e puzzavano di sudore e di fumo.
Dónde esti su caballo?
En el segundo puesto.
Vàmonos, vamonos.
Lo scortarono alla selleria. Il ragazzo prese la sella e il sottosella e al ritorno trovò Redbo che scalpitava nervosamente in mezzo alla stalla. Di Estéban nessuna traccia, non si capiva nemmeno se fosse sveglio. Gli fecero luce mentre sellava il cavallo e uscirono tutti insieme nel chiarore dell'alba raggiungendo gli altri cavalli. Una guardia aveva in mano il fucile di Rawlins e Rawlins sedeva mesto e ammanettato sul proprio cavallo con le redini che pendevano a terra.
I gendarmi lo spinsero avanti con la canna di un fucile. Cos'è questa storia? chiese.
Rawlins non rispose. Sputò per terra e guardò altrove.
No hable, disse il comandante. Vàmonos.
Appena fu in sella lo ammanettarono e gli porsero le redini, poi montarono a cavallo anche loro e tutti uscirono dal cancello aperto in fila per due.
Quando passarono davanti al dormitorio, dove le luci erano ormai accese, i vaqueros accalcati sulla porta e sotto la ramada guardarono sfilare il drappello. In testa il comandante e il suo vice, in mezzo gli americani e in coda sei gendarmi in berretto e divisa che cavalcavano appaiati con la carabina appoggiata al pomo della sella. La pattuglia imboccò la strada della ciénaga e si diresse a nord verso le montagne.
PARTE TERZA
Cavalcarono tutto il giorno in direzione nord superando le colline, le montagne e la mesa, oltrepassarono la zona dei cavalli bradi e s'inoltrarono nel territorio che avevano attraversato quattro mesi prima. A mezzogiorno si fermarono presso una sorgente, si acquattarono intorno ai resti spenti e anneriti di un fuoco e mangiarono fagioli freddi e tortillas incartate in un foglio di giornale. John Grady pensò che le tortillas potevano provenire dalla cucina dell'hacienda perché il giornale era di Monclova. Con le manette ai polsi mangiò lentamente e bevve un po' d'acqua da una tazza di latta che si poteva riempire solo a metà perché era bucata all'attaccatura del manico. L'interno delle manette era consumato e sotto la cromatura s'intravedeva l'ottone che lasciava sui polsi una patina verde dall'aria velenosa. John Grady guardò Rawlins seduto poco più in là, ma Rawlins non ricambiò lo sguardo. Dopo un breve pisolino per terra all'ombra dei pioppi si alzarono, bevvero ancora un po' d'acqua, riempirono le borracce e si rimisero in marcia.
In quella zona le acacie erano in fiore per la stagione avanzata e, grazie alla pioggia caduta sulle montagne, l'erba cresceva verde e rigogliosa ai bordi delle vallette, risaltando sulla terra malgrado il crepuscolo. A parte qualche osservazione sul paesaggio, i gendarmi parlavano poco fra loro e non rivolgevano mai la parola ai due americani. Il gruppo prosegui nel rosso del tramonto e nell'oscurità della sera. Le guardie ormai da tempo avevano rimesso i fucili nel fodero e cavalcavano senza stare all'erta ciondolando in sella. Alle dieci si fermarono, s'accamparono e accesero un fuoco. I prigionieri ammanettati si sedettero sulla sabbia fra vecchie scatolette arrugginite e braci spente e i gendarmi tirarono fuori una vecchia caffettiera e una pentola blu di metallo smaltato. Così tutti bevvero un po' di caffè e mangiarono una pietanza stopposa e aspra che conteneva un tubero chiaro e fibroso e un misto di carne rossa e bianca.
I due ragazzi passarono la notte con le mani incatenate alla staffa dellasella, cercando di scaldarsi sotto l'unica coperta ricevuta dalle guardie, e furono ben lieti di rimettersi in marcia un'ora prima dell'alba.
II viaggio durò tre giorni. Il pomeriggio del terzo i due prigionierientrarono nel villaggio di Encantada, ancora fresco nella loro memoria.
Si sedettero uno accanto all'altro su una panchina di ferro della piccola alameda, sorvegliati da un paio di guardie armate di fucile e osservati curiosamente da una dozzina di bambini accalcati sulla strada polverosa. Due bambine sui dodici anni, sentendosi guardate dai prigionieri, si voltarono timidamente strattonando la gonna. John Grady le chiamò e chiese loro se potevano procurargli qualche sigaretta.
Sotto l'attento sguardo dei gendarmi, fece alle bambine il gesto di fumare ed esse corsero via. Gli altri bimbi rimasero immobili.
Il solito donnaiolo, disse Rawlins.
Non vuoi una sigaretta?
Rawlins sputò con calma in mezzo agli stivali e alzò lo sguardo. Non t'illudere che ti portino le sigarette.
Vuoi scommettere?
E cosa diavolo scommetti?
Una sigaretta.
Come fai a scommettere una sigaretta?
Se ce le portano io mi tengo la tua.
E cosa mi dai se non ce le portano?
Allora puoi tenerti la mia.
Rawlins fissò l'altro lato dell'alameda.
Guarda che sono ancora capace di prenderti a calci nel culo.
Se vogliamo toglierci da questo impiccio, non credi sia meglio cominciare a pensare come uscirne insieme?
Allo stesso modo in cui ci siamo finiti?
Non puoi stabilire il momento in cui è cominciato il guaio e dar tutta la colpa agli altri.
Rawlins non rispose.
Non far l'offeso. Sputa il rospo.
D'accordo. Quando ti hanno arrestato cos'hai detto?
Niente. A che sarebbe servito?
Già, a che sarebbe servito?
Cosa vuoi dire?
Non hai chiesto che andassero a chiamare il patron?
No.
Io invece sì.
E cosa ti hanno detto?
Rawlins sputò e si pulì la bocca con la mano.
Che era sveglio. Che era sveglio da un bel pezzo. E poi si sono messi a ridere.
Pensi che ci abbia venduti?
Tu no?
Non saprei. Se l'ha fatto ha creduto a qualche menzogna.
O a qualche verità.
John Grady restò seduto a fissarsi le mani.
Saresti più soddisfatto se ammettessi di essere un bastardo a diciotto carati?
Non ho mai detto questo.
Restarono in silenzio. Dopo un po' John Grady alzò lo sguardo.
Non posso tornare indietro e ricominciare da capo. Ma non vedo nemmeno che senso ha piangerci sopra. E non credo che mi sentirei meglio se potessi incolpare qualcun altro.
Non mi fa sentir meglio. Ma cerco di farti ragionare, tutto qui. Ci ho provato un sacco di volte.
Lo so, ma su certe cose non si può ragionare. Comunque sia, io sono la stessa persona che ha attraversato il fiume al confine con te. Sono lo stesso di allora e tutto quello che posso fare è tener duro. Non ti ho mai promesso che non saresti morto quaggiù né ti ho chiesto altrettanto. Non credo che si possa mettere la firma solo finché le cose vanno bene. O ci stai o non ci stai. Io, qualunque cosa tu faccia, ci sto e non mi tiro indietro. Non ho altro da dire.
Non ti ho mai scaricato, disse Rawlins.
D'accordo.
Poco dopo le due bambine tornarono e la più grande sporse la mano aperta in cui c'erano due sigarette.
John Grady guardò i gendarmi che, visto di cosa si trattava, fecero un cenno d'assenso. Le bambine s'avvicinarono alla panca e porsero ai prigionieri le sigarette e qualche fiammifero.
Muy amable, disse John Grady. Muchas gracias.
Accese le sigarette con un fiammifero, mise gli altri in tasca e guardò le bambine che gli sorrisero imbarazzate. Son americanos ustedes? Si.
Son ladrones?
Si, ladrones muy famosos. Bandoleros.
Le bambine trattennero il fiato. Qué precioso! dissero. Ma le guardie le chiamarono e le mandarono via con un gesto.
I due prigionieri fumarono appoggiandosi ai gomiti. John Grady osservò gli stivali di Rawlins.
Dove hai messo gli stivali nuovi?
Sono rimasti al dormitorio.
John annuì e continuò a fumare insieme all'amico. Poco dopo gli altri tornarono, chiamarono i due commilitoni lasciati di guardia e fecero segno ai prigionieri di muoversi. I due ragazzi si alzarono, salutarono i bimbi con un cenno del capo e scesero in strada.
Uscirono dalla parte settentrionale del villaggio e si fermarono davanti a una casa in mattoni col tetto di lamiera ondulata e una cella campanaria vuota fatta di fango. I muri in mattoni d'argilla recavano ancora le tracce di una vernice colorata. I prigionieri smontarono da cavallo ed entrarono in una grande stanza che un tempo poteva essere stata un'aula scolastica. Sulla parete di fronte c'era una ringhiera di metallo e un'intelaiatura vuota che poteva essere la cornice di una lavagna. Il pavimento di assicelle di pino era consunto da anni di sabbia calpestata e su entrambi i muri laterali i vetri delle finestre erano stati sostituiti da pezzi di latta ritagliati dallo stesso pannello pubblicitario che formavano una specie di mosaico interrotto fra una finestra e l'altra. In un angolo, seduto a una grigia scrivania metallica, c'era un uomo robusto in uniforme cachi con una sciarpa di seta gialla al collo. L'uomo guardò i prigionieri inespressivamente e con un leggero cenno della testa indicò il retro dell'edificio. Una delle guardie prese un grosso mazzo di chiavi appeso al muro e i prigionieri vennero scortati attraverso un polveroso cortile pieno d'erbacce fino a una piccola costruzione in pietra con una robusta porta di legno rinforzata da barre metalliche.
Nella porta, all'altezza degli occhi, c'era uno spioncino quadrato delimitato da una cornice di ferro su cui era saldata una robusta grata metallica. Una guardia tirò il vecchio catenaccio d'ottone, aprì la porta e prese un altro mazzo di chiavi dalla cintura.
Las esposas, disse.
Rawlins gli porse le manette. La guardia gliele tolse, lo spinse dentro e ripetè la stessa operazione con John Grady. La porta cigolò rumorosamente e si chiuse con un tonfo alle loro spalle.
La stanza era priva di luce, salvo quella che entrava dallo spioncino, e i due ragazzi rimasero immobili con la coperta in mano in attesa che gli occhi si abituassero all'oscurità. Il pavimento della cella era di cemento e l'aria puzzava di escrementi. Poco dopo una voce si levò dal fondo del locale.
Cuidado con el bote.
Attento al secchiello, disse John Grady.
Dov'è?
Non so. Ma stai attento.
Non vedo un accidente.
Nel buio si levò un'altra voce: Siete voi?
Alla fioca luce della grata John Grady vide la faccia a scacchi di Rawlins voltarsi lentamente. Vide l'angoscia nei suoi occhi. Oddio! lo sentì dire.
Blevins? disse John Grady.
Sì, sono io.
John Grady si mosse a tentoni verso il fondo della cella. Una gamba allungata sul pavimento si ritrasse come un serpente calpestato. Allora si accovacciò e nella penombra vide Blevins. Vide i suoi denti. Sembrava sorridere.
Cosa mi tocca vedere da quando non ho più la pistola, disse Blevins.
Da quanto tempo sei qui?
Non lo so, ma è un sacco di tempo.
Rawlins si spostò verso il fondo della cella e rimase in piedi a guardarlo.
Sei tu che li hai messi sulle nostre tracce?
Non ho mai fatto una cosa del genere, disse Blevins.
John Grady alzò gli occhi su Rawlins. Loro sapevano che eravamo tre. Sì, disse Blevins.
Merda, disse Rawlins. Se avesse solo ricuperato il cavallo non ci avrebbero dato la caccia. Deve aver fatto qualcos'altro.
Era il mio cavallo, per la miseria, disse Blevins.
Ormai riuscivano a vederlo. Era smunto, lercio e vestito di stracci.
Il cavallo, la sella e la pistola erano miei.
Rimasero accovacciati in silenzio.
Cos'hai combinato? disse John Grady.
Quello che chiunque avrebbe fatto.
Che cosa?
Lo sai benissimo, disse Rawlins.
Sei tornato qui?
Puoi giurarci che son tornato.
Che coglione! E cos'hai fatto? Racconta.
Non c'è niente da raccontare.
Oh certo, disse Rawlins, non c'è proprio niente da raccontare.
John Grady si voltò. Guardò oltre Rawlins. Un uomo stava tranquillamente seduto contro il muro. De qué crimen queda acusado el joven? chiese.
L'uomo ammiccò. Asesinato, disse.
El ha matado un hombre?
L'uomo ammiccò di nuovo e sollevò tre dita.
Che ha detto? chiese Rawlins.
John Grady non rispose.
Cos'ha detto? Lo so cos'ha detto.
Ha detto che Blevins ha ucciso tre uomini.
È una lurida menzogna, disse il ragazzino.
Rawlins si lasciò andare sul pavimento. Siamo spacciati, disse. Lo sapevo che sarebbe finita così fin dal primo momento che l'ho visto.
Questo non ci aiuterà in nessun modo, disse John Grady.
Solo uno è morto, disse Blevins.
Rawlins sollevò gli occhi e lo guardò, poi si alzò e andò a sedersi dall'altra parte della stanza.
Cuidado con el bote, disse il vecchio.
John Grady guardò Blevins.
Io non gli ho fatto niente, disse il ragazzino.
Dimmi cos'è successo.
Blevins aveva lavorato in una famiglia tedesca a Palau, un villaggio distante ottanta miglia a est. Poi con due mesi di paga in tasca aveva riattraversato lo stesso deserto, aveva lasciato il cavallo presso la stessa sorgente, era tornato al villaggio passando inosservato perché indossava gli abiti locali e s'era appostato per due giorni davanti alla tienda finché non aveva visto passare l'uomo che portava infilata nella cintura la sua Bisley dal calcio consunto.
E allora cos'hai fatto?
Hai una sigaretta?
No. Cos'hai fatto?
Lo sapevo che non ce l'avevi.
Cos'hai fatto?
Dio, cosa non darei per un po' di tabacco da masticare.
Cos'hai fatto?
L'ho seguito e gli ho sfilato la pistola dalla cintura, tutto lì.
E gli hai sparato.
Mi è saltato addosso.
Davvero? Già.
E allora gli hai sparato.
Non avevo altra scelta.
Davvero?
Non volevo sparare a quello stronzo, non mi era nemmeno passato per la testa.
E poi cos'hai fatto?
Appena sono tornato alla sorgente a prendere il cavallo mi sono piombati addosso. Il tipo a cavallo che ho abbattuto mi aveva sparato.
Allora cos'è successo?
Ho finito le cartucce, le ho sparate tutte. Colpa mia, tutte quelle che avevo erano nella pistola.
Hai sparato a uno dei rurales? Sì.
L'hai fatto fuori? Sì.
Tacquero un momento nella penombra.
Avrei dovuto comprare le pallottole a Muñoz prima di venire qui, disse Blevins. I soldi li avevo.
John Grady lo guardò negli occhi. Lo sai in che casino ti sei cacciato?
Blevins non rispose.
Ti hanno detto cosa vogliono fare di te?
Immagino che mi manderanno in un penitenziario.
Non ti manderanno affatto al penitenziario.
Perché no?
Non sarai così fortunato, disse Rawlins.
Non possono impiccarmi perché sono troppo giovane.
Per te faranno un'eccezione mentendo sull'età.
In questo paese non c'è la pena di morte, disse John Grady. Non ascoltarlo.
Sapevi che ci stavano dando la caccia? disse Rawlins.
Sì, lo sapevo. Ma che potevo fare, mandarvi un telegramma?
John Grady attese la risposta di Rawlins che non arrivò. La griglia metallica dello spioncino proiettava sulla parete opposta l'ombra obliqua di una scacchiera che sembrava deformata dalla ristrettezza di quell'antro oscuro e fetente. John Grady piegò la coperta, ci si sedette sopra e s'appoggiò al muro.
Ti fanno uscire qualche volta? Puoi passeggiare all'esterno?
Non lo so.
Che vuoi dire?
Non posso camminare.
Non puoi camminare?
Esattamente.
Come mai? disse Rawlins.
Perché mi hanno ridotto i piedi in poltiglia.
Rimasero seduti senza parlare. Presto scese la notte. Il vecchio cominciò a russare. Dal villaggio poco distante arrivarono i latrati dei cani. Il richiamo di una madre. Da qualche parte nell'oscurità più totale una radiolina scassata trasmetteva la tipica musica messicana con le grida in falsetto che sembravano urla disperate.
Quella notte sognò i cavalli che correvano su un altopiano dove l'erba e le piante selvatiche crescevano rigogliose per le piogge primaverili e i fiori blu e gialli si estendevano a perdita d'occhio. Nel sogno lui correva in mezzo ai cavalli inseguendo le giumente e le puledre che risplendevano al sole nei loro fulgidi manti bai e castani. I puledri correvano insieme alle madri e calpestavano i fiori sollevando una nebbia di polline che aleggiava nell'aria come polvere d'oro. Lui correva sugli altopiani insieme ai cavalli che facevano rimbombare il terreno sotto gli zoccoli, e fluivano liberi con la criniera al vento e la coda spumeggiante. Lassù non c'era nient'altro e i cavalli si muovevano in armonia come fossero guidati da una musica. I puledri e le giumente non avevano alcuna paura e correvano immersi nell'armonia universale che è il mondo stesso e che non si può descrivere, solo esaltare.
Al mattino due guardie vennero ad aprire la porta, misero le manette a Rawlins e lo portarono via. John Grady s'alzò a chiedere dove lo portavano, ma non ottenne risposta. Rawlins non si voltò nemmeno a guardare.
Il capitano, seduto alla scrivania con un caffè e il giornale di Monterrey vecchio di tre giorni, alzò gli occhi. Pasaporte, disse.
Non ce l'ho, disse Rawlins.
Il capitano lo guardò corrucciato e si fìnse sorpreso. Così non hai il passaporto, disse. Hai qualche altro documento?
Rawlins cercò di portare le mani alla tasca posteriore sinistra, ma le manette gli impedirono di prendere il portafoglio. Il capitano fece un cenno e una guardia prese il portafoglio e lo porse al superiore. Il capitano si appoggiò allo schienale. Quita las esposas, disse.
La guardia prese un mazzo di chiavi, afferrò i polsi di Rawlins, gli tolse le manette e se le appese alla cintura. Mentre Rawlins si massaggiava i polsi il capitano rigirò fra le mani il portafoglio annerito dal sudore, lo esaminò da entrambi i lati e guardò Rawlins. Poi l'aprì e ne estrasse tutte le carte, la foto di Betty Ward, i dollari americani e i pesos messicani, gli unici pezzi di carta non perforati. Sparse tutta la roba sulla scrivania, si riappoggiò allo schienale, intrecciò le mani, tamburellò il mento con gli indici e squadrò nuovamente Rawlins. Dall'esterno proveniva il rumore di una capra e di qualche bambino. Il capitano fece un piccolo gesto rotatorio col dito. Girati, disse.
Rawlins obbedì.
Tirati giù i pantaloni.
Come?
Tirati giù i pantaloni.
Perché diavolo?
Probabilmente il capitano fece un altro gesto perché la guardia venne avanti, estrasse uno sfollagente di cuoio dalla tasca posteriore e colpì Rawlins alla nuca. Rawlins vide la stanza diventare bianca, sentì le ginocchia piegarsi e annaspò nell'aria.
Senza ricordare di essere caduto si trovò sdraiato per terra con la faccia appoggiata al legno scheggiato. Il pavimento sapeva di polvere e grano. Si tirò su. I gendarmi aspettavano con calma. Come se non avessero nient'altro da fare.
Quando fu in piedi davanti al capitano sentì male allo stomaco.
Devi co-o-pe-ra-re, scandì il capitano, e non avrai noie. Girati e tirati giù i pantaloni.
Rawlins si voltò, slacciò la cintura, abbassò i calzoni alle ginocchia e tirò giù i mutandoni comprati allo spaccio di La Vega.
Alza la camicia, disse il capitano.
Rawlins obbedì.
Voltati.
Rawlins si voltò.
Rivestiti.
Rawlins lasciò cadere la camicia, si tirò su i calzoni e riallacciò la cintura.
Il capitano teneva davanti agli occhi la patente che aveva preso dal portafoglio del ragazzo.
Data di nascita, disse.
26 settembre 1932. Indirizzo.
Route Four, Knickerbocker, Texas, Stati Uniti d'America. Altezza. Un metro e ottanta. Peso.
Settantadue chili.
Il capitano tamburellò la patente sulla scrivania e guardò il ragazzo.
Hai un'ottima memoria. Dov'è quest'uomo? Quale?
Il capitano alzò la patente. Questo Rawlins. Rawlins deglutì a fatica. Si voltò verso la guardia e di nuovo verso il capitano. Sono io Rawlins.
Il capitano sorrise stancamente e scosse la testa.
Rawlins rimase immobile con le braccia penzoloni. Perché no?
Perché sei venuto qui? disse il capitano.
Qui dove?
In Messico.
In cerca di lavoro. Somos vaqueros.
Parla inglese, prego. Sei venuto a comprare bestiame?
Nossignore.
Non hai la licenza, vero? Siamo venuti qui a lavorare. A La Purísima. Da qualunque parte. Là abbiamo trovato lavoro.
Quant'era la paga?
Duecento pesos al mese.
In Texas quanto pagano per questo lavoro?
Non so, cento al mese.
Cento dollari.
Sissignore.
Ottocento pesos.
Sissignore, più o meno.
Il capitano sorrise di nuovo.
Perché avete dovuto lasciare il Texas?
Non abbiamo dovuto, l'abbiamo lasciato di nostra volontà. Qual è il tuo vero nome?
Lacey Rawlins.
Il ragazzo si passò la manica della camicia sulla fronte e se ne pentì immediatamente.
Blevins è tuo fratello.
No. Non ho nulla da spartire con lui.
Quanti cavalli avete rubato?
Non abbiamo mai rubato cavalli.
Questi cavalli non sono marcati.
Vengono dagli Stati Uniti.
Avete la fattura di questi cavalli?
No. Siamo venuti qui direttamente a cavallo da San Angelo, Texas. Non abbiamo nessun documento degli animali. Sono i nostri cavalli e basta.
Dove avete attraversato il confine?
Vicino a Langtry, nel Texas.
Quanti uomini avete ucciso?
Io non ho mai ammazzato nessuno e non ho mai rubato nulla. È la verità.
Perché siete armati?
Per sparare alla selvaggina.
Come?
Per cacciare. Cazador.
Adesso siete diventati cacciatori. Dov'è Rawlins?
Con le lacrime agli occhi Rawlins esclamò: Ce l'ha davanti, per la miseria.
Qual è il vero nome dell'assassino Blevins?
Non lo so.
Da quanto tempo lo conosci?
Io non lo conosco, non ne so proprio nulla.
Il capitano spinse indietro la sedia e si alzò tirando giù l'orlo della giacca per spianare le grinze. Poi guardò Rawlins. Sei proprio stupido, disse. Perché vai a caccia di guai?
Quando lo riportarono in cella, Rawlins si lasciò andare per terra, rimase seduto un momento, si piegò leggermente in avanti e di lato e infine si sdraiò raggomitolandosi su se stesso. Con un segno del dito la guardia chiamò John Grady che guardava la scena strizzando gli occhi a causa della luce improvvisa. Il ragazzo si alzò e guardò Rawlins.
Figli di puttana, disse.
Digli tutto quello che vogliono sapere, sussurrò Rawlins. Tanto è lo stesso.
Vámonos, disse la guardia.
Cosa gli hai detto?
Che siamo ladri di cavalli e assassini. Glielo dirai anche tu.
La guardia venne avanti, gli afferrò il braccio e lo spinse fuori. L'altra guardia chiuse la porta e la sprangò col catenaccio.
Il capitano era seduto in ufficio come prima, ma si era pettinato da poco. John Grady rimase in piedi davanti a lui. Nella stanza, oltre alla scrivania e alla sedia del capitano, c'erano tre sedie metalliche pieghevoli appoggiate al muro opposto che emanavano una spiacevole aria d'assenza. Come se qualcuno se ne fosse appena andato. O una persona attesa non fosse ancora arrivata. Un vecchio calendario di una dina di sementi di Monterrey era inchiodato al muro sopra le sedie e in un angolo su un piedistallo una gabbia metallica vuota sembrava una lampada a stelo barocca.
Sulla scrivania c'erano un lume a petrolio col vetro annerito. Un portacenere. Una matita appuntita col temperino.
Las esposas, disse.
La guardia fece un passo avanti e tolse le manette al prigioniero. Il capitano guardava fuori dalla finestra. Tamburellandosi i denti inferiori con la matita, si voltò, batté due volte la matita sulla scrivania e la posò sul ripiano. Come se avesse richiamato all'ordine una riunione.
Il tuo amico ci ha detto tutto, dichiarò.
Il ragazzo lo guardò.
È meglio che confessi tutto subito, cosi non avrai problemi.
Non c'era bisogno di picchiarlo, disse John Grady. Noi non sappiamo nulla di Blevins. Lui ha chiesto di aggregarsi a noi solo per il viaggio, questo è tutto. Non sappiamo nulla del suo cavallo. Quel cavallo è scappato durante una tempesta ed è finito qui. A quel punto sono cominciati i guai. Ma noi non c'entriamo niente in questa storia. Abbiamo lavorato tre mesi dal señor Rocha a La Purísima. Voi siete venuti laggiù e gli avete raccontato un sacco di menzogne. Lacey Rawlins è uno dei ragazzi più onesti che siano mai esistiti nella Tom Green County.
È il criminale Smith.
Non si chiama affatto Smith, si chiama Rawlins. E non è un criminale. Lo conosco da sempre. Siamo cresciuti insieme. Abbiamo frequentato la stessa scuola.
Il capitano s'appoggiò allo schienale. Sbottonò il taschino della camicia, tirò fuori una sigaretta senza estrarre il pacchetto e si riabbottonò. La camicia militare era stretta e il pacchetto era strizzato nel taschino. Il capitano prese un accendino dalla tasca della giacca, accese la sigaretta e posò l'accendino sulla scrivania accanto alla matita, poi tirò a sé il posacenere con un dito, s'appoggiò allo schienale e rimase col braccio alzato e la sigaretta accesa a qualche centimetro dall'orecchio in una posa che gli era estranea. Come se imitasse qualcuno che aveva visto da qualche parte.
Quanti anni hai? chiese il capitano.
Sedici. Diciassette fra sei settimane.
Quanti anni ha l'assassino Blevins?
Non lo so, non posso saperlo. Lui dice sedici, ma io penso quattordici. Se non tredici.
Non ha piume. Come?
Non ha piume.
Non lo so e non m'interessa.
Il capitano si rabbuiò. Tirò una boccata di fumo, mise la mano sulla scrivania col palmo in alto e schioccò le dita.
Deme su billetera.
John Grady prese il portafoglio, fece un passo avanti, lo posò sulla scrivania e tornò al suo posto. Il capitano lo guardò. Prese il portafoglio, s'appoggiò allo schienale, l'aprì e cominciò a tirare fuori i soldi, i documenti. Le foto. Sparse tutto sulla scrivania e alzò lo sguardo.
Dov'è il tuo libretto di lavoro?
Non ce l'ho.
L'hai distrutto.
Non ce l'ho e non l'ho mai avuto.
L'assassino Blevins non ha documenti.
Probabilmente no.
Perché?
Perché ha perso i vestiti.
Ha perso i vestiti?
Sì.
Perché è venuto qui a rubare cavalli?
Quel cavallo era suo.
Il capitano si appoggiò indietro a fumare.
Quel cavallo non è suo.
Be', lei dice così senza sapere come stanno le cose.
Como?
Per quanto ne so il cavallo è suo, ce l'aveva già in Texas. So per certo che l'ha portato in Messico perché ha attraversato il fiume su quel cavallo. L'ho visto coi miei occhi.
Il capitano tamburellò le dita sui braccioli della poltrona. Non credo a una parola di quello che dici.
John Grady non rispose.
Questi non sono i fatti.
Il capitano girò sulla sedia per guardare fuori dalla finestra.
Non sono i fatti. Poi voltò la testa e guardò il prigioniero sopra la spalla.
Qui da noi hai l'opportunità di dire la verità, ma fra tre giorni andrai a Saldilo e non ce l'avrai più. L'avrai perduta per sempre. Laggiù la verità sarà in altre mani. Cerca di capire, qui possiamo accertare la verità, ma possiamo anche perdere l'occasione. Quando ti porteranno via sarà troppo tardi per dire la verità. Sarai in altre mani, e chi può dire quale sarà la verità in quel momento? Allora te ne pentirai, te lo dico io.
La verità è una sola, disse John Grady. Sta nei fatti. Non nelle illazioni di qualcuno.
Ti piace questo villaggio? disse il capitano.
Sì, certo.
È un posto molto tranquillo.
Sì.
La gente qui è molto tranquilla. Di solito sono sempre tutti tranquilli.
Si sporse in avanti a schiacciare il mozzicone della sigaretta nel portacenere.
Ma un bel giorno arriva l'assassino Blevins che comincia a rubare i cavalli e ad ammazzare la gente. Come mai? Un ragazzo tranquillo e pacifico che non ha mai fatto male a nessuno viene qui e improvvisamente si mette a fare cose del genere?
Si riappoggiò allo schienale e scosse tristemente la testa. No, disse scuotendo un dito. No. Guardò John Grady.
La verità è un'altra. Quello non è mai stato un bravo ragazzo, è sempre stato un delinquente. Sempre.
Le guardie riportarono in cella John Grady e prelevarono Blevins che le seguì zoppicando. Quando sentì sprangare la porta col catenaccio, John Grady s'accovacciò davanti a Rawlins. Come va? Bene, e tu? Tutto a posto. Che è successo? Niente.
Cosa gli hai detto?
Che eri malridotto.
Non ti hanno messo ai ferri?
No.
Sei stato via un sacco di tempo. Sì.
Appeso a un gancio ha un camice bianco. Ogni tanto lo prende, lo indossa e se lo lega alla vita con una corda.
John Grady annuì e guardò il vecchio che li guardava pur non capendo l'inglese. Blevins sta male.
Sì, lo so. Penso che ci porteranno a Saldilo. Cosa c'è a Saldilo? Non lo so.
Rawlins si spostò lungo la parete e chiuse gli occhi. Stai bene? disse John Grady.
Sì.
Penso che voglia fare una trattativa con noi. Il capitano?
Il capitano o qualunque cosa sia. Che tipo di trattativa?
Per farci tenere la bocca chiusa o qualcosa del genere. Come se avessimo una possibilità di scelta. Tenere la bocca chiusa su cosa? Su Blevins.
Cosa c'è da tenere la bocca chiusa su Blevins?
John Grady osservò il piccolo quadrato di luce sulla porta e la sua proiezione obliqua sul muro, sopra la testa del vecchio seduto, poi si voltò verso Rawlins.
Ho l'impressione che vogliano ucciderlo.
Rawlins tacque a lungo con la testa appoggiata al muro. Quando tornò a guardarlo John Grady vide che aveva gli occhi umidi.
Forse no.
Sono convinto di sì.
Maledizione, disse Rawlins. All'inferno.
Quando venne riportato in cella, Blevins s'accucciò in un angolo e rimase in silenzio. John Grady conversò col vecchio. Si chiamava Orlando. Non sapeva di quale delitto fosse accusato. Gli avevano detto che sarebbe uscito se firmava le carte, ma lui non sapeva leggere e nessuno gliele voleva leggere. Non sapeva da quanto tempo stava in galera, ma ce l'avevano buttato d'inverno. Mentre parlavano vennero le guardie e il vecchio tacque.
Le guardie entrarono e appoggiarono per terra due secchi e una pila di piatti smaltati. Una guardia controllò il secchiello dell'acqua, l'altra prese il bugliolo e uscirono. Avevano un'aria svogliata come se stessero accudendo bestiame. Quando le guardie se ne furono andate, i prigionieri s'accucciarono intorno ai secchielli e John Grady distribuì i piatti. Erano cinque. Come se mancasse qualcuno. Poiché non c'erano le posate, per scodellare i fagioli dal secchio usarono le tortillas.
Blevins, vuoi mangiare? disse John Grady.
Non ho fame.
È meglio che mangi qualcosa.
Cominciate pure senza di me.
John Grady riempì un piatto di fagioli, mise una tortilla ripiegata sul bordo, portò il piatto a Blevins e tornò indietro. Blevins rimase immobile col piatto in grembo e dopo un po' chiese: Cosa gli avete detto di me?
Rawlins smise di masticare e guardò John Grady. John Grady guardò Blevins.
La verità.
Già, disse Blevins.
Pensi che gliene freghi qualcosa di quello che noi gli diciamo? chiese Rawlins.
Potevate cercare di aiutarmi.
Rawlins guardò John Grady.
Potevate mettere una buona parola per me, disse Blevins.
Una buona parola? disse Rawlins.
Non vi sarebbe costato niente.
Chiudi il cesso, disse Rawlins. Stai zitto perché se dici un'altra parola vengo lì e ti spacco il culo. Mi hai sentito? Prova a dire un'altra parola.
Lascialo perdere, disse John Grady.
Stupido figlio di puttana. Credi che quel tipo non sappia chi sei? Lo sapeva ancor prima di vederti. Prima ancora che tu fossi nato. Va' all'inferno. Vattene all'inferno.
Aveva le lacrime agli occhi. John Grady gli mise una mano sulla spalla. Non te la prendere, Lacey, disse. Lascia perdere.
Nel pomeriggio le guardie riportarono il bugliolo e portarono via i secchi e i piatti.
Chissà come se la passano i cavalli, disse Rawlins.
John Grady scosse la testa.
Cavalli, disse il vecchio. Caballos.
Si, caballos.
Rimasero seduti in silenzio ascoltando i rumori del paese. Il passaggio dei cavalli in strada. John Grady chiese al vecchio se l'avevano maltrattato, ma Orlando si schernì con un vago cenno della mano e disse che non gli avevano dato molto fastidio. Disse che non ci provavano gusto a sentire i rantoli di un vecchio. E che per un vecchio la sofferenza non era più una sorpresa.
Tre giorni dopo, strizzando gli occhi alla prima luce del sole, i ragazzi vennero prelevati dalla cella, attraversarono il cortile e la scuola e uscirono sulla strada dov'era parcheggiato un camion Ford col cassone scoperto. Sporchi, con la barba lunga e le coperte in mano, attesero in mezzo alla strada finché una guardia non fece loro cenno di salire sul camion. Un'altra guardia andò ad ammanettarli con le stesse manette consunte e li incatenò uno all'altro mediante una robusta catena che stava arrotolata nella ruota di scorta fissata alla cabina. Il capitano uscì alla luce del sole e si fermò a dondolare sui tacchi sorseggiando il caffè. Alla sinistra del suo cinturone di cuoio scuro c'era una fondina da cui spuntava un'automatica calibro 45 col cane armato e l'impugnatura a portata di mano. Il capitano disse qualcosa e le guardie si misero ad agitare le braccia. Un uomo in piedi sul paraurti anteriore alzò la testa dal vano motore, disse qualcosa gesticolando e si chinò di nuovo sotto il cofano.
Cos'ha detto? disse Blevins.
Nessuno rispose. Nel cassone del camion c'erano pile di cassette, pacchetti vari e alcune taniche militari di benzina da venti litri. La gente del villaggio continuava a portare pacchi e consegnava biglietti di carta all'autista che se li infilava nel taschino della camicia senza commenti.
Ecco laggiù le tue ragazzine, disse Rawlins.
Le ho viste, disse John Grady.
Stavano entrambe in piedi a braccetto e piangevano.
Che senso ha? chiese Rawlins.
John Grady scosse la testa.
Le bambine rimasero a guardare mentre il camion veniva caricato sotto la sorveglianza delle guardie sedute a fumare col fucile in spalla, ed erano ancora là un'ora dopo, quando finalmente il motore partì, il cofano venne chiuso e il camion, sballottando i prigionieri in catene, s'avviò sull'angusta strada sterrata e scomparve alla vista in una nube di polvere e fumo nero.
Le tre guardie sedute nel cassone coi prigionieri erano ragazzi di campagna infagottati in divise goffe e spiegazzate. Probabilmente avevano ricevuto l'ordine di non parlare coi prigionieri perché ne evitavano accuratamente persino lo sguardo. Salutavano con un cenno del capo o della mano la gente che stava ritta sulla soglia di casa a guardarli passare nella strada polverosa. Il capitano era salito nella cabina con l'autista. Qualche cane si mise a rincorrere il camion e l'autista sterzò bruscamente cercando di metterlo sotto. Le guardie sedute nel cassone si afferrarono saldamente alla sponda e l'autista le guardò dal lunotto posteriore sghignazzando. Allora anche le guardie si misero a ridere, si presero a pacche sulla schiena e riassunsero l'aria grave e compunta col fucile in mano.
Il camion svoltò in un vicoletto e si fermò davanti a una casa dipinta d'azzurro. Il capitano s'allungò a suonare il clacson e poco dopo la porta s'aprì lasciando uscire un uomo vestito con gli abiti eleganti di un charro. L'uomo girò intorno al camion e il capitano scese, lo fece salire in cabina, montò su e chiuse lo sportello.
Il camion proseguì sulla strada, superò l'ultima casa, l'ultimo recinto e l'ultima stalla di fango e attraversò un torrentello poco profondo. Durante il guado l'acqua lenta e iridescente come petrolio si ricomponeva dietro le ruote prima che potesse formarsi la scia dei pneumatici. Il camion superò la corrente, arrancò sulle rocce scheggiate della sponda e proseguì lungo la piana del deserto nella luce smorta del mattino avanzato.
I prigionieri, sbatacchiati sulle dure assi di quercia del cassone,cercavano di stare seduti sulle coperte piegate e guardavano la scia di polvere sollevata dal camion aleggiare sulla strada e svanire lentamente nel deserto. Al primo bivio il camion prese la strada per Cuatro Ciénagas e Saldilo, distante quattrocento chilometri a sud.
Blevins, sdraiato sulla coperta con le braccia dietro la testa, fissava il cielo azzurro e terso del deserto dove non si libravano né nuvole né uccelli. Ogni volta che parlava, la sua voce tremava per le vibrazioni che il cassone gli trasmetteva alla schiena.
Ragazzi, sarà un lungo viaggio.
Gli altri due lo guardarono e si guardarono senza pronunciarsi.
II vecchio ha detto che ci vuole un'intera giornata per arrivare laggiù,aggiunse Blevins. Gliel'ho chiesto e mi ha detto proprio così.
Prima di mezzogiorno raggiunsero la strada principale, proveniente da Boquillas e dal confine, e l'imboccarono verso l'interno. Attraversarono i pueblos di San Guillermo, San Miguel e Tanque el Revés. I rari veicoli che incontravano sulla strada rovente e sconnessa passavano in un vortice di sabbia e di sassi che costringeva i passeggeri del cassone a nascondere la faccia nell'incavo del braccio. Il camion si fermò a Ocampo a scaricare alcune cassette di ortaggi e la posta e proseguì per El Oso. Nel primo pomeriggio fecero una sosta a una piccola locanda sulla strada. Le guardie smontarono ed entrarono col fucile lasciando i prigionieri incatenati sul camion. Alcuni bimbi che giocavano nel fango del cortile s'interruppero per guardarli e un cagnetto bianco, che sembrava non aspettasse altro, fece una lunga pisciata sulla ruota posteriore del camion e trotterellò via.
Le guardie uscirono ridendo e arrotolandosi una sigaretta. Una di loro porse tre bottiglie di aranciata ai prigionieri e rimase ad aspettare i vuoti. Quando il capitano comparve sulla porta, le guardie salirono sul camion. Quella che aveva riportato indietro le bottiglie uscì seguita dall'uomo vestito da charro e dall'autista. Quando tutti furono a posto il capitano uscì dall'ombra della porta, attraversò il piazzale ghiaioso, salì sul camion che ripartì.
A Cuatro Ciénagas trovarono la strada asfaltata e svoltarono a sud verso Torreòn. Una guardia si alzò in piedi e, reggendosi alla spalla di un compagno, guardò indietro verso il cartello stradale, poi tornò a sedersi e, mentre il camion acquistava velocità, osservò i prigionieri e la campagna. Un'ora dopo il camion lasciò la strada e arrancò lungo un sentiero sterrato che attraversava i campi ondeggianti di una grande zona incolta tipica di quelle parti, dove di notte i capi di bestiame selvatico dal manto color della cera uscivano dagli arroyos a pascolare come tanti austeri stranieri. A nord s'accumulavano i nuvoloni di un temporale estivo e Blevins osservava l'orizzonte, i tenui filamenti dei lampi e la sabbia spazzata dal vento. Il camion attraversò un greto asciutto e sassoso sbiancato dal sole, s'arrampicò in un prato dall'erba alta come i pneumatici che frusciava sul fondo del veicolo, entrò in un boschetto di ebano facendo alzare una coppia di falchi dal nido e si fermò nel cortile di una estancia abbandonata, un quadrilatero circondato da baracche di fango e dai ruderi di vecchi ovili.
Sul camion nessuno si mosse. Il capitano aprì lo sportello e saltò giù.
Vamonos, disse.
Le guardie scesero col fucile in mano. Blevins osservò gli edifìci cadenti.
Dove siamo? chiese.
Una guardia appoggiò il fucile al camion, prese un mazzo di chiavi, aprì la catena, gettò i due capi nel cassone, riprese il fucile e fece segno ai prigionieri di scendere. Mentre gli altri aspettavano che la guardia mandata dal capitano a ispezionare la zona circostante tornasse dal giro di ricognizione, il charro fumava una sigaretta appoggiato al paraurti anteriore del camion con un pollice infilato nella cintura di cuoio lavorato.
Che ci facciamo qui? disse Blevins.
Non lo so, disse John Grady.
Intanto l'autista, che non era sceso dal camion, s'era sdraiato sul sedile col cappello sugli occhi e sembrava dormire.
Devo pisciare, disse Rawlins.
I due ragazzi s'allontanarono nell'erba seguiti da Blevins che zoppicava vistosamente. Gli altri li lasciarono fare. La guardia tornata dal giro d'ispezione fece rapporto al capitano. Allora quest'ultimo gli prese la carabina di mano e la passò al charro che la tenne come un fucile da caccia. I prigionieri ritornarono dal prato in ordine sparso e Blevins si sedette da solo in disparte. Il charro lo guardò, si tolse la sigaretta di bocca, la gettò nell'erba e la calpestò. Blevins s'alzò e raggiunse i due ragazzi dietro il camion.
Cos'hanno in mente di fare? chiese il ragazzino.
La guardia senza fucile li raggiunse dietro al camion. Vamonos, disse.
Rawlins fece per muoversi ma la guardia disse: Sólo el chico. Vàmonos.
Rawlins guardò John Grady.
Cos'hanno in mente di fare? disse Blevins.
Niente, disse Rawlins. John Grady rimase in silenzio.
La guardia prese Blevins per il braccio e ripete: Vamonos.
Un momento, disse Blevins.
Estan esperando, disse la guardia.
Blevins si liberò dalla presa e si accucciò a terra. La guardia s'accigliò e guardò in direzione del capitano in attesa davanti al camion. Intanto Blevins s'era tolto uno stivale e ci aveva infilato una mano dentro. Aveva tolto e buttato via la soletta interna e ci aveva riinfilato la mano. La guardia si chinò, l'afferrò per l'esile braccio e lo tirò su. Blevins cercò disperatamente di porgere qualcosa a John Grady. Tieni, sussurrò.
John Grady lo guardò. Che me ne faccio? disse.
Prendi.
Blevins gli cacciò in mano un malloppo di pesos lerci e sgualciti e la guardia lo trascinò via per il braccio.
Un momento, disse Blevins. Devo prendere lo stivale. Ma la guardia lo cacciò avanti a spintoni. Zoppicando, Blevins si lanciò un'occhiata alle spalle muto e terrorizzato e proseguì verso gli alberi in mezzo al capitano e al charro. Il capitano lo circondò con un braccio come un buon tutore e il charro li seguì col fucile. Blevins sparì fra gli alberi d'ebano zoppicando con un solo stivale esattamente com'era spuntato una mattina dall'arroyo dopo il temporale che qualche mese prima li aveva colti in una località sconosciuta.
Rawlins guardò John Grady. Aveva le mascelle serrate. Guardava il ragazzino stracciato scomparire zoppicando fra gli alberi insieme ai suoi guardiani. Blevins sembrava troppo inconsistente per poter suscitare l'ira di qualcuno, troppo debole per scatenare qualche rivalsa.
Non dire niente, disse Rawlins.
Va bene.
Tieni la bocca chiusa.
John Grady lo guardò. Poi guardò le guardie, quello strano posto e quello strano cielo.
D'accordo, sto zitto.
Nel frattempo l'autista era sceso ed era andato a ispezionare i ruderi. Sul posto rimasero solo i due prigionieri e le tre guardie con le divise stropicciate. Quella senza fucile s'acquattò contro una ruota. L'attesa fu lunga. Rawlins mise i pugni sul cassone, ci appoggiò la fronte e chiuse gli occhi con forza, ma dopo qualche istante alzò la testa e guardò John Grady.
Cristo, non possono portarlo via e sparargli. Non possono fare una cosa del genere.
John Grady lo guardò. In quel momento dal boschetto giunse il botto di una pistolettata. Non un colpo forte. Solo un piccolo scoppio smorzato. Poi ne arrivò un altro.
Il capitano spuntò dal boschetto con le manette in mano. Vamonos, ordinò.
Le guardie si misero in movimento, una salì sul mozzo della ruota posteriore e si sporse a prendere la catena gettata nel cassone. L'autista spuntò dai ruderi dell'estancia.
Siamo salvi, sussurrò Rawlins. Siamo salvi.
John Grady non rispose. Cercò di tirarsi il cappello sugli occhi, ma ricordandosi di non avercelo più s'arrampicò sul cassone e s'accucciò in attesa che l'incatenassero. Una guardia raccolse lo stivale di Blevins e lo gettò nell'erba alta.
Quando uscirono dalla radura era già l'imbrunire e il sole proiettava ombre lunghe sull'erba e nelle vallette che formavano sacche d'oscurità. Stormi d'uccelli venuti in pastura nella fresca sera della campagna frullarono via rasenti l'erba. Alcuni falchi posati in cima a un albero secco, ben visibili sullo sfondo del tramonto, attesero immobili il passaggio del camion.
Arrivarono a Saldilo alle dieci di sera. La gente era tutta in giro a passeggio e i bar erano pieni. Appena il camion parcheggiò in piazza dalla parte opposta alla cattedrale, il capitano scese e attraversò la strada. Le panchine illuminate dalla luce gialla dei lampioni erano piene di uomini dalle scarpe lustre e i cartelli del parco ammonivano di non calpestare le aiuole. I venditori ambulanti offrivano paletas di bevande ghiacciate e numerose ragazze truccate girellavano a coppie tenendosi per mano e guardandosi intorno con grandi occhi neri e insicuri. John Grady e Rawlins rimasero immobili avvolti nelle coperte e nessuno li notò. Poco dopo il capitano tornò e il camion si rimise in moto.
Girarono per le strade e si fermarono davanti a parecchie porte, casette e tiendas scarsamente illuminate consegnando quasi tutti i pacchi e ritirandone altri. Quando si fermarono davanti al massiccio portone della vecchia prigione di Castelar la mezzanotte era già passata.
I prigionieri vennero condotti in una stanza dal pavimento di pietra chesapeva di disinfettante. Una guardia tolse loro le manette e se ne andò. Si accovacciarono contro il muro con la coperta sulle spalle come accattoni e attesero a lungo. Quando la porta si riaprì, il capitano entrò senza la pistola e si fermò a guardarli alla luce smorta dell'unica lampadina appesa al soffitto. Poi fece un cenno col mento e la guardia che aveva aperto la porta si ritirò chiudendosi il battente alle spalle.
II capitano li fissò con le braccia incrociate e il pollice sotto il mento. Iprigionieri lo guardarono, gli guardarono i piedi e infine volsero gli occhi altrove. Lui li studiò a lungo. Sembravano attendere qualcosa, come passeggeri di un treno fermo. Però il capitano vagava in un altro mondo, un mondo tutto suo, estraneo a quello dei comuni mortali. Un mondo riservato agli uomini inesorabili, un mondo che, pur contenendo al suo interno tutti i mondi inferiori, restava inaccessibile agli altri. L'appartenenza a quel mondo che, una volta scelto, non si poteva più abbandonare, era strettamente legata alla funzione che si svolgeva.
Il capitano fece qualche passo. Poi si fermò. Disse che il charro aveva avuto una crisi di nervi nel bosco di ebano vicino ai ruderi dell'estancia, che era il fratello dell'uomo ucciso dall'assassino Blevins e aveva pagato una certa somma affinché le cose venissero sistemate in un modo che il capitano stesso si era preso la pena di escogitare.
È, stato lui a venire da me. Non l'ho cercato io. È venuto da me a parlare di giustizia. Di onore della famiglia. Pensate che la gente voglia davvero queste cose? Io penso che ben pochi le vogliano.
Comunque mi ha sorpreso. Mi ha profondamente sorpreso perché qui non esiste la pena di morte per i criminali. Bisogna risolverla in un'altra maniera. Vi dico queste cose perché anche voi dovrete arrangiarvi in qualche maniera.
John Grady lo guardò.
Non siete i primi americani che sono finiti qua dentro, disse il capitano. Ho degli amici quaggiù coi quali potrete sistemare le cose. Non voglio che facciate errori.
Non abbiamo soldi, disse John Grady. E non siamo in grado di arrangiarci in nessuna maniera.
Scusatemi se insisto, ma senz'altro risolverete il problema in qualche modo. Non sapete ancora come stanno le cose.
Che fine hanno fatto i nostri cavalli?
Adesso non parliamo dei cavalli. I cavalli possono aspettare, prima bisogna trovare i legittimi proprietari.
Rawlins guardò severamente John Grady. Chiudi il becco, maledizione.
Invece è meglio parlare, intervenne il capitano. È meglio capirsi bene. Voi non potete stare qui. Se state qui morite. E poi sorgono altri problemi. I documenti vanno persi, la gente sparisce. Alcuni vengono qui a cercare qualcuno, ma lui non c'è più. E non ci sono nemmeno i documenti. Succedono cose del genere, capite? Nessuno vuole questi pasticci. Chi può dire che il corpo di una certa persona era qui? Noi non ce l'abbiamo. Un pazzo potrebbe dire che Dio è qui, ma tutti sanno che qui non c'è.
Il capitano allungò un braccio e batté le nocche della mano sulla porta.
Non c'era bisogno di ammazzarlo, disse John Grady. Còmo?
Potevate riportarlo sul camion. Non c'era bisogno di ammazzarlo.
All'esterno si sentì tintinnare un mazzo di chiavi. La porta si aprì. Il capitano alzò una mano verso una figura nascosta nella parziale oscurità del corridoio e disse: Momento.
Si voltò e rimase in piedi a studiarli.
Vi racconterò una storia, disse. Perché mi siete simpatici. Vedete, a quell'epoca ero giovane come voi. Stavo sempre in compagnia dei ragazzi più vecchi. Volevo imparare tante cose. Così una sera vado alla festa di San Pedro a Linares, nel Nuevo León, e gli altri ragazzi hanno un po' di mescal — sapete cos'è, vero? A un certo punto i miei amici trovano una donna e ci vanno tutti a scopare. Io resto per ultimo e quando tocca a me lei si rifiuta, dice che sono troppo giovane o qualcosa del genere.
Cosa dovevo fare? Non potevo tornare indietro perché gli altri avrebbero capito che ero andato in bianco. La verità viene sempre a galla. Chi va a fare una cosa non può tornare indietro. Come mai torna indietro?
Perché ha cambiato idea? Un vero uomo non cambia mai idea.
Il capitano chiuse la mano a pugno e l'alzò con fermezza.
Forse gli altri le avevano detto di mandarmi in bianco, per farsi beffe di me. Magari l'avevano pagata per questo. Ma io non permetto che le puttane mi facciano fesso. Quando io torno indietro nessuno ride, nessuno. Capite? Per me il mondo deve andare così. Quando io vado da qualche parte, nessuno mi ride dietro. Anzi, quando arrivo io tutti smettono di ridere.
Vennero scortati su per quattro rampe di scale e, passando attraverso una porta metallica, uscirono all'esterno su una passerella di ferro. La guardia ricambiò il loro sorriso alla luce della lampadina appesa sopra la porta. Davanti a loro s'apriva il cielo buio del deserto, sotto di loro c'era il cortile della prigione.
Se llama la periquera, disse il guardiano.
Seguirono il secondino sulla passerella con la sensazione che nelle gabbie scure davanti alle quali passavano sonnecchiasse una vita astiosa e maligna. Qua e là, lungo i vari piani delle passerelle che si vedevano sulla parte opposta del quadrilatero, le sbarre di alcune celle erano illuminate dalla luce fioca di una candela votiva che bruciava tutta la none davanti all'immagine di qualche santo. Dalla cattedrale, distante tre isolati, arrivò il profondo rintocco di una campana che risuonò una volta con orientale solennità.
Furono rinchiusi in cella nell'angolo più alto della prigione. Quando la porta a sbarre si chiuse sferragliando e venne sprangata, si udirono i passi della guardia sulla passerella e il tonfo della porta blindata che si chiudeva. Poi calò un silenzio assoluto.
Dormirono sulle brande di ferro incatenate al muro e su sottili pagliericci, o trocheros, unti, lerci e infestati di parassiti. Al mattino scesero in cortile mediante le quattro rampe di una scala metallica e si unirono ai prigionieri in attesa dell'appello mattutino. L'appello venne fatto per piani e durò più di un'ora, ma loro non vennero chiamati.
Vuol dire che non siamo qui, disse Rawlins.
Per colazione ricevettero soltanto una ciotola di brodaglia, poi vennero accompagnati in cortile e lasciati a se stessi. Passarono tutto il primo giorno a menare le mani e alla sera, quando furono finalmente rinchiusi in cella, si ritrovarono sfiniti e insanguinati. Rawlins aveva il naso rotto e la faccia gonfia di pugni. La prigione era un vero e proprio villaggio rinchiuso fra quattro mura all'interno del quale si svolgeva in permanenza una frenetica attività di scambi e baratti per procurarsi ogni sorta di cose, a partire dalle radio e dalle coperte fino ai fiammiferi, ai bottoni e ai chiodi da scarpe. Quei commerci nascondevano una lotta costante per il prestigio e la supremazia. Alla base di tutto, al pari delle norme fiscali che regolano una società commerciale, stava uno spesso strato di depravazione e violenza secondo il quale, con un criterio di assoluta uguaglianza, ogni uomo veniva giudicato in base all'unico metro della prontezza a uccidere.
Il mattino dopo si ripete la medesima scena. Fecero a botte guardandosi le spalle a vicenda e si aiutarono a rialzarsi l'un l'altro ricominciando immediatamente a pestarsi. A mezzogiorno Rawlins non riusciva più a masticare. Di questo passo ci ammazzeranno, disse.
John Grady pestò un po' di fagioli in una lattina, ci aggiunse dell'acqua e passò la poltiglia a Rawlins dicendo: Ascolta bene. Non provare a convincerli che devono smetterla. Mi senti? Voglio farmi ammazzare e non cederò di un millimetro. O ci fanno fuori o ci lasciano stare. Non c'è via di mezzo.
Sono rotto da tutte le parti.
Lo so. Lo so e non me ne importa un bel niente.
Rawlins succhiò la poltiglia. Guardò John Grady sopra l'orlo della lattina. Con quegli occhi pesti sembri un procione.
John Grady abbozzò un sogghigno. E tu a cosa diavolo pensi di somigliare?
Non ne ho la più pallida idea.
Dovresti già essere contento di sembrare soltanto un procione.
Non farmi ridere. Credo di avere la mascella rotta.
Non hai nulla di rotto.
Merda, disse Rawlins.
John Grady sogghignò. Vedi quel bestione laggiù che ci sta guardando?
Quel figlio di puttana? Lo vedo benissimo.
Vedi che ci sta guardando?
Certo.
Sai adesso cosa faccio?
Non ne ho la più pallida idea.
Mi alzo e vado a spaccargli la faccia.
Sei pazzo?
Sta' a vedere.
Ma perché?
Per risparmiargli il viaggio.
Alla fine del terzo giorno il peggio sembrava quasi passato. Entrambi erano seminudi e John Grady era mezzo orbo per i colpi di una calza piena di ghiaia che gli aveva rotto due denti inferiori e gli aveva chiuso completamente l'occhio sinistro. Il quarto giorno, domenica, col denaro di Blevins acquistarono qualche indumento, un pezzo di sapone per farsi la doccia e una scatoletta di zuppa di pomodoro. Mentre il sole tramontava sull'alto muraglione occidentale della prigione scaldarono la scatoletta sulla fiamma di una candela e l'avvolsero nella manica della vecchia camicia di Rawlins per passarsela senza scottarsi.
Sai che ti dico? Forse possiamo farcela, disse Rawlins.
Non cominciare a montarti la testa, accontentiamoci di tirare avanti giorno per giorno.
Secondo te quanti soldi ci vogliono per uscire di qui?
Non lo so. Tanti.
Anche secondo me.
Gli amici del capitano non si sono ancora fatti vivi. Probabilmente stanno aspettando di vedere se resterà ancora qualche brandello di noi in grado di comprarsi la scarcerazione, disse John Grady porgendo la scatoletta all'amico.
Finiscila tu, disse Rawlins.
Prendila. Ce n'è solo un sorso.
Rawlins prese la scatoletta, la prosciugò, ci versò dentro un po' d'acqua, la bevve e rimase a guardare la latta vuota.
Se pensano che siamo pieni di soldi come mai non ci hanno protetti un po' meglio?
Non lo so. Immagino che non siano loro a comandare qui dentro. Si limitano a gestire quel che entra e quel che esce.
Sempre che ci riescano, disse Rawlins.
Sulle mura si accesero i riflettori. I detenuti che si muovevano nel cortile s'immobilizzarono un attimo e ripresero a camminare.
Sta per suonare la sirena.
Abbiamo ancora un paio di minuti.
Non avrei mai immaginato che esistesse un posto del genere.
Probabilmente esistono tutti i posti che si riescono a immaginare.
Rawlins annuì. Ma uno così non me lo sarei mai immaginato, disse.
Nel deserto da qualche parte pioveva perché il vento portava l'odore del creosoto bagnato. La luce si accese anche nella baracca costruita in un angolo della prigione. Era riservata a un detenuto facoltoso che ci viveva come un satrapo in esilio con tanto di cuoco e guardia del corpo. Dietro la porta protetta dalla zanzariera una figura passò avanti e indietro. Sul tetto il bucato steso su un filo oscillava lentamente nella brezza notturna come una bandiera di stato. Rawlins accennò col capo alla luce che si era appena accesa nella baracca.
L'hai mai visto?
Sì. Una sera. Era sulla porta a fumare il sigaro.
Hai capito qualcosa del gergo che usano qui?
Qualche parola.
Che vuol dire pucha?
Mozzicone.
E tecolata?
La stessa cosa.
Quanti nomi usano per indicare una cicca?
Chi lo sa! Sai cos'è un papazote?
No.
Un pezzo grosso.
È così che chiamano quello della baracca? Già.
E noi siamo due gabachos.
Bolillos.
Pendejos.
Chiunque può essere un pendejo, disse John Grady. Vuol dire coglione. Davvero? Be', noi qui dentro siamo i più coglioni di tutti.
Non lo metto in dubbio.
Dopo qualche minuto di silenzio Rawlins domandò: Cosa pensi?
A quanto ci farà male alzarci di qui.
Rawlins assentì. Rimasero immobili a guardare i detenuti che si muovevano alla luce dei riflettori.
Tutto per un maledetto cavallo, disse Rawlins.
John Grady si chinò a sputare fra gli stivali. Il cavallo non c'entra per niente, disse.
Quella notte rimasero sdraiati sulle brandine di ferro come novizi ad ascoltare il silenzio. Sentirono un detenuto russare da qualche parte, un cane che abbaiava lontano e di nuovo il silenzio. E nel silenzio ciascuno udiva il respiro dell'altro che non dormiva.
Forse pensiamo di essere dei cowboy con le palle, disse Rawlins.
Sì. Forse sì.
Però ci possono ammazzare in qualunque momento.
Sì. Lo so.
Due giorni dopo il papazote li mandò a chiamare. Di sera un uomo alto e magro attraversò il cortile, li raggiunse, si chinò chiedendo loro di seguirlo e tornò indietro senza nemmeno voltarsi a controllare.
Che vuoi fare? chiese Rawlins.
John Grady si tirò su a fatica e si spolverò il fondo dei calzoni con la mano. Alza il culo da lì, disse.
L'uomo si chiamava Perez. La sua baracca consisteva di una singola stanza con quattro sedie e un tavolo pieghevole di lamiera. Contro una parete c'era un lettino di ferro e in un angolo un armadio. Accanto ad esso un ripiano reggeva alcuni piatti e un fornello a gas a tre fuochi. Perez guardava il cortile da una finestrella. Quando si voltò fece un vago gesto con due dita, e l'uomo che era andato a chiamare i ragazzi uscì e chiuse la porta.
Mi chiamo Emilio Perez, disse. Prego, accomodatevi.
I due ragazzi si sedettero al tavolo. Le assi del pavimento non erano inchiodate, i blocchi di tufo non erano cementati, le travi mal scortecciate del tetto erano solo appoggiate sul bordo dei muri e la lamiera che copriva la costruzione era tenuta ferma da blocchi di tufo disseminati lungo i bordi. Un paio di uomini in mezz'ora avrebbero potuto smontare e far sparire quella baracca. Tuttavia c'era la luce elettrica e una stufa a gas. Un tappeto. Varie foto di calendario appese ai muri.
Siete giovani, disse. Vi divertite a menare le mani, vero?
Rawlins fece per parlare ma John Grady lo prevenì. Sì, ci piace un sacco.
Perez sorrise. Era un uomo sulla quarantina coi baffi e i capelli grigi, lisci e ben curati. Tirò indietro una sedia, scavalcò lo schienale con fìnta noncuranza e si sedette appoggiando i gomiti su un tavolo dipinto di verde in maniera così approssimativa da lasciar trasparire la marca di una birra.
Infine intrecciò le mani.
Botte da orbi! disse. Da quanto tempo siete qui?
Quasi una settimana.
E quanto tempo pensate di rimanere?
Tanto per cominciare non abbiamo deciso noi di venirci, disse Rawlins. Non credo che la nostra volontà conti molto in questa faccenda.
Pérez sorrise. Qui di solito gli americani non si fermano molto. Qualche volta stanno due o tre mesi, ma poi se ne vanno. Non trovano questa vita molto piacevole, non se la godono.
Lei può farci uscire di qui?
Pérez allargò le mani alzando le spalle. Certo, naturalmente.
Perché non esce anche lei? disse Rawlins.
L'uomo s'appoggiò allo schienale. Sorrise di nuovo. Il gesto di allontanare bruscamente le mani come uccelli appena liberati da una gabbia contrastava stranamente con la sua aria contenuta. Forse per lui quel gesto era facilmente comprensibile agli americani.
Ho certi avversari politici. Che altro posso dirvi? Voglio essere chiaro con voi. Qua dentro non ci sto molto bene. Per stare decentemente devo spendere, e qui le cose costano molto care, carissime.
Lei sta facendo un buco nell'acqua, disse John Grady. Non abbiamo un quattrino.
Pérez li guardò con aria grave.
Se non ne avete come sperate di uscire di qui?
Ce lo dica lei.
Non c'è niente da dire. Senza soldi non si fa niente.
Allora temo proprio che non andremo da nessuna parte.
Pérez li studiò e si chinò in avanti intrecciando le mani. Sembrava che stesse cercando il modo migliore di esprimersi.
Questa è una faccenda piuttosto seria, disse. Voi non sapete come si vive qui. Pensate che si lotti per le stringhe delle scarpe, per qualche sigaretta o per cose del genere. La lucha. Ma siete ingenui. Sapete cosa vuol dire ingenui? Siete ingenui. La realtà è ben diversa. Qui dentro non potete mantenere l'indipendenza. Non sapete come stanno le cose, non parlate la lingua del posto.
Lui sì, disse Rawlins.
Pérez scosse la testa. No, disse. Voi non la parlate. Magari fra un anno riuscirete a capirla, ma non avete un anno davanti. Non avete tempo. Se non avete fiducia in me non posso aiutarvi, mi spiego? Non posso offrirvi il mio aiuto.
John Grady guardò Rawlins. Sei pronto, socio?
Prontissimo.
Spinsero indietro le sedie e si alzarono.
Pérez li guardò. Non ve ne andate, vi prego, disse.
È inutile.
Pérez tamburellò le dita sul tavolo. Siete sciocchi, molto sciocchi.
John Grady, che aveva il viso sfigurato, la mascella gonfia e l'occhio pesto blu come una prugna, si voltò a guardarlo con una mano sulla porta.
Perché non ci dice come stanno le cose là fuori? domandò. Lei ci chiede di avere fiducia. Ma visto che non sappiamo come stanno le cose perché non ce le spiega?
Pérez s'appoggiò allo schienale e li osservò.
Perché è impossibile, disse. È la verità. Posso dirvi qualcosa di quelli che sono sotto la mia protezione, ma degli altri?
Fece un piccolo gesto con la mano per indicare che non ci poteva far niente.
Gli altri sono semplicemente al di fuori. Vivono in un mondo in cui tutto può succedere. Dio solo sa cosa può succedere agli altri. Io no.
La mattina dopo, attraversando il cortile, Rawlins venne avvicinato da un uomo mai visto prima che aveva in mano un coltello. Non una trucha artigianale ricavata limando un cucchiaio, bensì un vero e proprio coltello a serramanico con l'impugnatura di corno nero e le borchie cromate. Tenendolo all'altezza della vita, l'uomo l'infilò tre volte nella camicia di Rawlins e Rawlins balzò indietro tre volte con le spalle incurvate e le braccia aperte che sembravano segnalare l'aggressione. Ma al terzo colpo si voltò e fuggì. Fuggì con una mano sullo stomaco e la camicia arrossata e appiccicosa.
Andò a sedersi contro il muro con le braccia incrociate sulla pancia e cominciò a dondolare avanti e indietro come se avesse freddo. John Grady si inginocchiò davanti a lui e cercò di scostargli le braccia.
Fa' vedere, maledizione.
Che bastardo. Che bastardo.
Fa' vedere.
Rawlins s'appoggiò al muro. Oh merda, disse.
John Grady sollevò la camicia intrisa di sangue. Non è grave, sta' tranquillo. Non è grave.
Chiuse la mano a coppa e la passò sullo stomaco dell'amico per togliere il sangue. La coltellata più bassa, che era la più profonda, aveva lacerato la fascia muscolare esterna ma non aveva raggiunto lo stomaco. Rawlins si guardò la ferita e disse: Ma non è nemmeno uno scherzetto. Che bastardo!
Riesci a camminare? Si.
Alzati.
Merda, disse Rawlins. Che figlio di puttana.
Alzati, socio, non puoi rimanere qui per sempre, disse John Grady aiutandolo a tirarsi su.
Forza, ti aiuto io.
Attraversarono il quadrilatero del cortile e raggiunsero la porta. La guardia sbirciò dallo spioncino, li studiò e aprì. John Grady affidò l'amico ai carcerieri.
Lo fecero sedere su una sedia e mandarono a chiamare l'alcaide. Sentendo il sangue gocciolare lentamente sul pavimento di pietra, Rawlins si tenne lo stomaco con due mani finché non gli passarono un asciugamano.
Nei giorni seguenti John Grady andò in giro il meno possibile e cercò di individuare l'accoltellatore fra gli occhi anonimi che ricambiavano il suo sguardo inquisitore, ma non venne a capo di nulla. Fra i detenuti aveva ormai qualche amico. Un vecchio dello Yucatán che non apparteneva a nessuna fazione ma era trattato con rispetto. Un indio della Sierra León. Due fratelli chiamati Bautista che avevano ucciso e bruciato un poliziotto a Monterrey: al momento dell'arresto il fratello maggiore indossava le scarpe dello sbirro. Tutti concordavano sul fatto che Pérez avesse un grande potere. Alcuni sostenevano che Pérez poteva uscire di notte. Che al villaggio aveva moglie e famiglia. E anche l'amante.
John Grady cercò di avere qualche informazione su Rawlins, ma le guardie dichiararono di non saperne nulla. Tre giorni dopo l'accoltellamento il ragazzo attraversò il cortile e andò a bussare alla porta di Pérez. Nel cortile piombò quasi un silenzio di tomba. Sentendosi addosso gli occhi di tutti, diede una semplice occhiata all'alto maggiordomo che aveva aperto la porta e scrutò l'interno.
Quisiera hablar con el señor Pérez, disse John Grady.
Con respecto de qué?
Con respecto de mi cuate.
Il maggiordomo chiuse la porta lasciandolo aspettare e dopo un po' la riaprì. Pásale, disse.
Il ragazzo entrò. L'uomo chiuse la porta e vi si appoggiò contro. Pérez era seduto al tavolo.
Come sta il tuo amico?
È quello che vorrei sapere da lei.
Pérez sorrise.
Accomodati, prego.
È vivo?
Siediti.
Il ragazzo s'avvicinò al tavolo, tirò indietro una sedia e si accomodò. Gradisci un caffè?
No, grazie.
Pérez s'appoggiò allo schienale.
Spiegami cosa posso fare per te.
Mi dica come sta il mio amico.
Se te lo dico te ne vai.
Perché dovrei restare?
Pérez sorrise. Santo cielo, disse. Per raccontarmi qualche storia della tua vita criminosa, ovviamente.
John Grady lo studiò.
Come tutti i ricchi, disse Pérez, ho soltanto un desiderio, che qualcuno m'intrattenga.
Me toma el pelo.
Certo. In inglese si dice prendere in giro, no?
Sì. Lei è ricco?
No, era una battuta. Mi piace far esercizio d'inglese. Mi serve a passare il tempo. E tu dove hai imparato il castellano?
A casa.
Nel Texas? Sì.
L'hai imparato dalla servitù?
Non abbiamo nessuna servitù, solo gente che viene a lavorare da noi.
Sei già stato altre volte in galera?
No.
Sei la oveja negra, vero? La pecora nera della famiglia.
Lei non sa niente di me.
Può darsi. Dimmi, perché pensi di poter uscire dalla prigione con qualche sotterfugio?
Gliel'ho detto, sta facendo un buco nell'acqua. Lei non sa cosa penso.
Conosco gli Stati Uniti. Ci sono stato varie volte. Voi siete come gli ebrei, avete sempre un parente ricco. In quale prigione sei stato?
Sa benissimo che non sono mai stato in galera. Dov'è Rawlins?
Tu pensi che io sia responsabile dell'incidente capitato al tuo amico, ma non è vero.
Lei pensa che io sia venuto qui per discutere d'affari. Ma io voglio solo sapere cosa è successo a Rawlins.
Pérez annuì pensieroso. Anche in un posto come questo, dove bisogna affrontare le esigenze primarie della vita, la mente anglosassone è stranamente chiusa. Una volta pensavo che fosse dovuto alla vostra vita di privilegiati, ma non è vero. È la vostra mente che è così.
Si appoggiò comodamente allo schienale e si batté la tempia. Non è che siate stupidi, disse. È che la vostra immagine del mondo è incompleta in un modo davvero strano e anomalo. Vedete solo quello che volete vedere. Mi spiego?
Sì, credo di capire.
Bene, continuò Pérez. Di solito riesco a dedurre quanto uno è intelligente da quanto pensa che io sia stupido.
Io non penso che lei sia stupido. Semplicemente non mi è simpatico.
Ah, bene. Benissimo.
John Grady osservò il maggiordomo che stava in piedi contro la porta e guardava davanti a sé con occhi inespressivi.
Non capisce quel che diciamo, disse Pérez. Esprimiti pure liberamente. Mi sono già espresso liberamente.
Certo.
Ora devo andare.
Pensi che potresti andartene se io non volessi? Sì.
Pérez sorrise. Sei un cuchillero?
John Grady s'appoggiò allo schienale.
La galera è... come dite voi? Un salón de belleza.
Un parrucchiere.
Sì, un parrucchiere. Un posto che vive di pettegolezzi. Ognuno sa tutto di tutti. I crimini sono molto interessanti, si sa.
Noi non abbiamo commesso nessun delitto.
Forse non ancora.
Che vuol dire?
Pérez alzò le spalle. Vi stanno ancora tenendo sotto osservazione, il vostro caso non è ancora deciso. Pensavate che fosse già deciso?
Non scopriranno nulla.
Buon Dio, disse Pérez. Buon Dio. Pensi che non ci siano delitti impuniti? Non c'è bisogno di scoprire niente. Basta scegliere il colpevole come si sceglie un vestito al negozio.
Sembra che non abbiano fretta.
Anche in Messico non possono trattenervi all'infinito. Per questo dovete sbrigarvi a fare qualcosa. Quando sarete accusati sarà troppo tardi. Allora cominceranno le cosiddette previas e sorgeranno molte difficoltà.
Pérez prese il pacchetto dal taschino e gli offrì una sigaretta. John Grady non si mosse.
Prendila, disse Pérez. Non c'è pericolo. Non è come rompere il pane. Accettare una sigaretta non comporta nessun obbligo.
John Grady prese una sigaretta e la mise in bocca. Pérez prese un accendino in tasca, l'accese e glielo porse attraverso il tavolo.
Dove hai imparato a menar le mani? disse.
John Grady aspirò una lunga boccata di fumo e s'appoggiò allo schienale. Cosa vuole sapere? disse.
Solo quello che tutti vogliono sapere.
Che cosa vogliono sapere?
Vogliono sapere se avete cojones. Se siete coraggiosi.
Si accese la sigaretta e posò l'accendino sul pacchetto di sigarette appoggiato sul tavolo e soffiò un sottile filo di fumo.
Allora potranno decidere qual è il vostro prezzo.
Certa gente non ha prezzo.
È vero.
In tal caso come la mettono?
Quella gente muore.
Io non ho paura di morire.
Benissimo. Ma questo ti aiuterà a morire. Non a vivere.
Rawlins è morto?
No. Non è morto.
John Grady spinse indietro la sedia.
Pérez abbozzò un sorriso di soddisfazione. Visto, disse? Stai facendo esattamente come avevo detto.
Io non la vedo così.
Devi deciderti. Non hai molto tempo. Non c'è mai tutto il tempo che si crede di avere.
Da quando sono qui il tempo è l'unica cosa che ho in abbondanza.
Spero che rifletterai sulla tua situazione. Ogni tanto gli americani hanno idee poco pratiche. Pensano che ci siano cose buone e cattive. Sono molto superstiziosi, capisci?
Lei non crede che ci siano cose buone e cattive?
No, le cose non sono buone o cattive. È una superstizione. È la superstizione di un popolo senza Dio.
Lei pensa che gli americani siano senza Dio?
Certo. Tu no?
No.
Li ho visti prendersela con oggetti di loro proprietà. Una volta ne ho visto uno distruggere la propria automobile. Con un martillo. Come si dice?
Martello.
La prendeva a martellate perché non partiva. Un messicano l'avrebbe fatto?
Non ne ho idea.
Certamente no. I messicani non pensano che una macchina possa essere buona o cattiva. Se il male è nella macchina, i messicani sanno che distruggere la macchina non serve a niente. Perché sanno dove il bene e il male stanno di casa. È strano, gli inglesi pensano che i messicani siano superstiziosi. Ma in realtà chi lo è veramente? Noi sappiamo che le cose posseggono certe qualità. Un'automobile può essere verde. O avere un certo motore. Ma non può essere contaminata dal male, capisci? E persino un uomo. Un uomo può essere abitato dal male, ma noi non pensiamo che sia suo. Dove l'ha preso? Come può rivendicarlo? No, in Messico il male è una realtà distinta che marcia sulle proprie gambe. Forse un giorno visiterà anche te. Forse l'ha già fatto.
Può darsi.
Pérez sorrise. Sei libero di andartene, disse. Vedo che non credi alle mie parole. Ma la stessa cosa vale anche per il denaro. Gli americani hanno sempre questo problema. Parlano di denaro sporco. Ma il denaro non possiede questa qualità. A un messicano non verrebbe mai in mente di attribuire alle cose un significato così particolare o di mettere qualcosa al riparo dai soldi. A che prò? Se il denaro è buono è buono. Non esiste denaro cattivo. Un messicano non ha questo problema. Non ha un'idea così aberrante.
In quel mondo in cui le sigarette erano denaro, John Grady schiacciò la sigaretta appena accesa nel portacenere e lasciò che si spegnesse davanti al suo ospite. Sa cosa le dico?
Cosa?
Arrivederci.
S'alzò e guardò il maggiordomo addossato alla porta. Il maggiordomo guardò Pérez.
Non volevi sapere cosa succederà là fuori?
John Grady si voltò. Questo cambierebbe le cose?
Pérez sorrise. Non sopravvalutarmi. In questo istituto di pena ci sono trecento persone. Nessuno saprà mai cosa può capitare.
Ci sarà ben qualcuno che guida la danza.
Pérez alzò le spalle. Può darsi, disse. Ma questo mondo dà una falsa impressione. Sembra che in galera tutto sia sotto controllo, ma se questa gente fosse controllabile non sarebbe qui. Vedi la contraddizione? Sì.
Ora puoi andare. Io stesso sono molto curioso di vedere come andrà a finire.
A un piccolo gesto della sua mano, il maggiordomo si scostò dalla porta e la aprì.
Joven, disse Pérez.
John Grady si voltò. Sì?
Sta' attento alla gente con cui spezzi il pane.
D'accordo, non mancherò.
Poi si voltò e uscì nel cortile.
Con gli ultimi quarantacinque pesos di Blevins cercò di comprare un coltello, ma nessuno volle vendergliene uno. Non era chiaro se non ce n'erano o se non ce n'erano per lui. Attraversando il cortile con passo lento e studiato scorse i Bautista seduti all'ombra del muro e si fermò. I due fratelli lo videro e gli fecero cenno di avvicinarsi.
John Grady s'acquattò davanti a loro.
Quiero comprar una trucha, disse.
I due fratelli annuirono. Quello chiamato Faustino gli chiese: Cuánto dinero tienes?
Cuarenta y cinco pesos.
Rimasero a lungo in silenzio. L'indio dal volto scuro rifletteva, meditabondo. Come se la complessità dell'affare comportasse ogni sorta di conseguenze. Poi Faustino disse: Bueno, dámelo.
John Grady lo scrutò. Occhi neri, luminosi. Ma non vi scorse alcuna luce sospetta. Allora si sedette per terra, si tolse lo stivale sinistro e sotto il loro sguardo attento infilò la mano dentro prendendo la mazzetta di pesos, poi si rimise lo stivale, restò un momento col malloppo stretto fra l'indice e il medio e con abile mossa lo fece roteare in aria buttandolo davanti a Faustino. L'indio non fece una piega.
Bueno, disse. La tendré esta tarde.
John Grady annuì, si alzò e riattraversò il cortile.
L'odore dei gas di scappamento aleggiava nella prigione e dalla strada proveniva il rumore degli autobus. Dedusse che era domenica. Si sedette da solo contro il muro, sentì un bambino piangere, poi vide l'indiano della Sierra León passare nel cortile e lo chiamò.
L'indiano s'avvicinò.
Siéntate.
L'uomo si sedette, prese dalla camicia un sacchetto di carta intriso di sudore e glielo passò. Dentro c'era una manciata di punche e qualche cartina di mais.
Gracias, disse il ragazzo.
Estrasse una cartina, la piegò, ci mise dentro una presa di quel rozzo tabacco filaccioso, arrotolò la sigaretta, la leccò e restituì il sacchetto. L'indiano si fece una sigaretta, rimise il sacchetto nella camicia, tirò fuori un esclarajo ricavato da un giunto da mezzo pollice, l'accese, aumentò la fiamma proteggendola con la mano, fece accendere John Grady e si accese la sigaretta.
John Grady lo ringraziò. No tienes visitantes? disse.
L'indiano scosse la testa senza ricambiare la domanda. John Grady pensò che l'altro potesse avere qualcosa da dirgli, una notizia circolata in prigione a sua insaputa nel periodo in cui s'era tenuto in disparte. Ma l'indiano non gli raccontò nulla. Quando ebbero finito di fumare la sigaretta appoggiati al muro, l'indiano lasciò cadere la cicca fra i piedi, si alzò e si allontanò.
A mezzogiorno non andò a mangiare, rimase in cortile a vedere che aria tirava. Pensò che i detenuti lo tenessero d'occhio, poi pensò che fingevano di non guardarlo. Infine si disse a mezza voce che a forza di pensare rischiava di farsi ammazzare e che anche parlando da solo rischiava di farsi ammazzare. Allora si svegliò di soprassalto e si protesse la testa col braccio. In preda al terrore all'idea di essersi addormentato all'aperto.
Osservò l'ampiezza dell'ombra proiettata dal muro che gli stava di fronte. Quando metà del cortile era in ombra erano le quattro del pomeriggio. Dopo qualche minuto si alzò e raggiunse i Bautista.
Faustino lo guardò e gli fece segno di avvicinarsi. Poi gli disse di spostarsi leggermente a sinistra e lo avvertì che ci stava proprio sopra.
Il ragazzo fece per abbassare gli occhi ma si trattenne. Faustino annuì.
Siéntate, disse.
Lui obbedì.
Hay un cordón.
John Grady guardò giù, vide una corda sotto lo stivale e la tirò coprendola con la mano. Quando sentì spuntare un coltello dalla ghiaia lo prese, l'infilò di nascosto dentro i calzoni, si alzò e andò via.
Era meglio del previsto. Un coltello messicano a serramanico cui mancava il rivestimento dell'impugnatura. Sotto le borchie cromate s'intravedeva l'ottone. Tolse la corda, lo pulì sulla camicia, soffiò nella scanalatura che accoglieva la lama, lo batté sul tacco dello stivale e ci soffiò sopra di nuovo. Quando schiacciò il pulsante il coltello si aprì di scatto. Inumidì un ciuffo di peli sul polso e provò il filo della lama. Mentre si reggeva su un piede solo e affilava la lama sulla suola dello stivale con l'altra gamba incrociata sul ginocchio sentì arrivare qualcuno. Allora chiuse il coltello, se l'infilò in tasca e s'allontanò incrociando due detenuti che gli rivolsero un sorriso ostentato e si diressero verso i cessi luridi e puzzolenti.
Mezz'ora dopo in cortile risuonò la sirena che annunciava la cena. John Grady attese che l'ultimo detenuto fosse entrato nel refettorio, entrò a sua volta, prese il vassoio e si mise in fila. Poiché era domenica e molti detenuti avevano mangiato la roba portata dalla moglie o dai parenti, la mensa era mezza vuota. Il ragazzo prese la sua razione di fagioli, tortillas e anonimo stufato, si voltò col vassoio in mano, raggiunse un tavolo appartato dove un giovane poco più vecchio di lui fumava bevendo un po' d'acqua e appoggiò il vassoio. Con permiso, disse.
Il giovane lo guardò, espirò il fumo della sigaretta dalle narici, annuì e prese la tazza. Sull'interno dell'avambraccio destro aveva il tatuaggio di un giaguaro blu stretto nelle spire di un anaconda. Sulla membrana del pollice sinistro c'erano tatuati cinque punti e la croce pachuco. Nulla di straordinario. Nel momento in cui si sedette John Grady capì d'improvviso perché il ragazzo mangiava da solo. Ma era troppo tardi per andare via. Prese il cucchiaio con la sinistra, cominciò a mangiare e, malgrado il tintinnio dei cucchiai sui vassoi metallici, sentì il catenaccio della porta chiudersi con uno scatto. Si guardò intorno. Vide che dietro il banco non c'era nessuno a servire. Le due guardie erano sparite. Continuò a mangiare sentendo il cuore battere all'impazzata e la bocca impastata di cibo che sembrava cenere. Prese il coltello di tasca e l'infilò nella cinta dei calzoni.
Il ragazzo spense la sigaretta e mise la tazza nel vassoio. All'esterno della prigione un cane abbaiava in lontananza. Una tamalera urlava decantando la merce. John Grady si rese conto che non avrebbe potuto sentire quei rumori se non ci fosse stato un silenzio di tomba. Aprì lentamente la lama frenando lo scatto contro la gamba e nascose il coltello sotto la fibbia della cintura. Il giovane si alzò, scavalcò la panca, prese il vassoio e s'avviò verso l'estremità del tavolo. John Grady, stringendo il cucchiaio nella sinistra e il vassoio nella destra, lo guardò con la coda dell'occhio e la testa bassa. Il giovane gli passò davanti e raggiunse l'estremità del tavolo, ma d'improvviso si voltò e gli menò un fendente alla testa col vassoio. John Grady vide tutta la scena al rallentatore. Il vassoio che arrivava di taglio contro i propri occhi, la tazza di latta leggermente inclinata e sospesa in aria col cucchiaio infilato dentro, il ciuffo di capelli neri e unti che svolazzava sulla faccia triangolare del giovane. John Grady parò il colpo col proprio vassoio che venne ammaccato profondamente da quello del giovane, poi ruzzolò indietro sulla panca con una capriola e s'affrettò a balzare in piedi aspettando di sentire il vassoio dell'aggressore cadere a terra, ma il giovane gli venne incontro lungo la panca menando fendenti con il vassoio che non aveva mollato. Per scansarlo John Grady cadde all'indietro parando i colpi col proprio vassoio e per la prima volta vide il coltello dell'altro balenare in mezzo ai vassoi come una fredda salamandra d'acciaio che cercava il calore del suo corpo. Balzò di lato scivolando sul cibo sparso per terra, estrasse il coltello dalla cintura e col vassoio colpì l'avversario in fronte. Il cuchillero, che stava appunto cercando di oscurargli la visuale col proprio vassoio, rimase sorpreso. John Grady arretrò e si trovò con le spalle al muro. Allora scartò di fianco e menò altri fendenti contro il vassoio dell'altro cercando di colpirgli le dita. Il cuchillero s'interpose fra lui e il tavolo e allontanò la panca con un calcio. Mentre il cozzo dei vassoi continuava a risuonare nell'assoluto silenzio della mensa, il sangue uscito dalla fronte del cuchillero cominciò a colargli sull'occhio sinistro. Quando il giovane fece un'altra finta, John Grady sentì il suo odore. Alla fìnta successiva il coltello dell'altro gli sfiorò la camicia. John Grady abbassò il vassoio alla vita e si spostò lungo il muro fissando gli occhi neri dell'avversario. Il cuchillero non diceva una parola e si muoveva con precisione e freddezza senza mostrare il minimo astio. John Grady comprese che era un sicario pagato e lo colpì alla testa. Il cuchillero lo scansò, fece una finta e venne avanti. Stringendo il vassoio in mano John Grady continuò a spostarsi lungo il muro e si passò la lingua nell'angolo della bocca sentendo sapore di sangue. Sapeva di avere un taglio in faccia ma non sapeva quanto fosse grave. Capì che avevano pagato un sicario perché ormai s'era fatto una reputazione e si rese conto che forse la sua ultima ora era arrivata. Scrutò quegli occhi neri in profondità leggendovi dentro una brutta storia, una storia oscura e remota ma ancora viva. Mentre strisciava lungo il muro cercando di tenere a bada l'avversario con il vassoio venne ferito di nuovo al braccio e al torace. Allora si voltò e fece due affondi col proprio coltello. Il cuchillero schivò i colpi con l'agilità e la grazia di un derviscio. Intanto gli uomini seduti al tavolo accanto avevano cominciato ad alzarsi in silenzio uno dopo l'altro come uccelli in partenza dai fili della luce. John Grady si voltò di nuovo e fece un altro affondo col vassoio. Il cuchillero s'accucciò e lui per un interminabile istante lo vide curvo sotto il suo braccio disteso come un omuncolo piccolo e scuro pronto a impossessarsi di lui. Sventolandogli il coltello sul petto, l'avversario si muoveva con incredibile rapidità e gli si parava continuamente davanti chinandosi con mosse felpate, oscillando leggermente e fissandolo dritto negli occhi per vedere la morte in arrivo. Gli occhi del giovane l'avevano già vista altre volte, sapevano sotto che spoglie arrivava e che aspetto aveva quando si presentava.
Un vassoio cadde rumorosamente per terra. John Grady si rese conto che era il suo. Si toccò la camicia, la sentì bagnata di sangue e si pulì la mano sui calzoni. Il cuchillero cercava di tenergli il vassoio davanti agli occhi per nascondere i propri movimenti. Sembrava che volesse fargli leggere ciò che c'era scritto sul fondo, ma sul metallo non c'era niente da vedere salvo i graffi e le tacche lasciati da diecimila pasti mangiati su quella lamiera. John Grady arretrò, si lasciò andare lentamente per terra piegando le gambe e s'addossò al muro aprendo le braccia di lato. Il cuchillero abbassò il vassoio e lo posò tranquillamente sul tavolo, poi si chinò, lo prese per i capelli e gli tirò indietro la testa per tagliargli la gola. In quell'istante John Grady alzò il coltello appoggiato a terra, l'affondò nel cuore del cuchillero e lo trasse bruscamente di lato lasciandogli la lama spezzata nel petto.
Il cuchillero lasciò cadere il coltello. Dall'occhiello rosso che si era formato sul taschino sinistro della sua camicia blu schizzava un rivoletto di chiaro sangue arterioso. Il giovane cadde sulle ginocchia e s'afflosciò morto nelle braccia del nemico. Alcuni dei presenti si alzarono per uscire in fretta come spettatori ansiosi di evitare la calca alla fine di uno spettacolo. John Grady lasciò cadere il manico del proprio coltello, spinse via la testa unta che gli pendeva sul petto, si spostò di lato e rovistò il pavimento a tastoni fino a trovare il coltello del cuchillero. Poi spostò il cadavere, s'afferrò al bordo del tavolo e s'alzò da terra con gli abiti intrisi di sangue. Infine arretrò lungo i tavoli, si voltò, raggiunse barcollante la porta, aprì il catenaccio e uscì malfermo nell'azzurro intenso del crepuscolo.
Il pallido corridoio proiettato nel cortile dalle luci della sala si oscurò leggermente quando quelli che avevano assistito al duello si accalcarono sulla porta a guardare il superstite, ma nessuno lo seguì. John Grady avanzò con prudenza tenendosi una mano sulla pancia. I riflettori in cima ai muri potevano accendersi da un momento all'altro. Proseguì con grande cautela. I piedi sguazzavano nel sangue degli stivali. Guardò il coltello che aveva in mano e lo gettò via. La sirena stava ormai per suonare e la luce stava per inondare le mura del cortile. Sentiva la testa leggera, stranamente non provava dolore e aveva le mani appiccicose a causa del sangue che sgorgava lentamente attraverso le dita appoggiate sulla pancia. La luce stava per accendersi e la sirena stava per suonare.
A metà strada dalla prima scala di ferro un uomo alto lo raggiunse e gli disse qualcosa. Lui si voltò chinandosi all'erta. Nella scarsa luce del tramonto forse non si sarebbero accorti che non aveva il coltello. Che aveva gli abiti intrisi di sangue.
Ven conmigo, disse l'uomo. Està bien.
No me moleste.
Le scure passerelle della prigione si perdevano all'infinito nel cielo quasi violetto. Un cane cominciò ad abbaiare.
E1 padrote quiere ayudarle.
Mande?
Ven conmigo, ripetè l'uomo parandoglisi davanti.
Era l'uomo di Pérez. Quando stese la mano per aiutarlo, John Grady arretrò. Lasciava tracce di sangue sulla terra asciutta del cortile. La luce stava per accendersi, la sirena stava per suonare. Si voltò per andarsene, ma sentì le ginocchia cedere, cadde e si rialzò. Il mayordomo cercò di aiutarlo, ma lui si liberò dalla presa e cadde nuovamente. Il mondo gli vorticò intorno. S'inginocchiò e cercò di alzarsi spingendo le braccia contro il terreno mentre il sangue gli colava sulle mani aperte. Improvvisamente la scura sponda del muro balzò nel cielo violetto e lui cadde disteso su un fianco. L'uomo di Pérez si chinò su di lui, lo prese fra le braccia, attraversò il cortile, entrò nella baracca e con un calcio si chiuse la porta alle spalle proprio mentre i riflettori si accendevano e la sirena cominciava a suonare.
Si svegliò in una stanza dalle mura di pietra immersa nel buio e impregnata dall'odore di disinfettante. Allungò la mano per tastare cosa gli stava intorno, ma sentì fìtte lancinanti ovunque. Sembrava che il dolore fosse rimasto silenziosamente in agguato in attesa che lui si svegliasse. Abbassò la mano e girò la testa. Un esile filo di luce fendeva le tenebre. Tese l'orecchio senza udire nulla. Ogni respiro sembrava una rasoiata. Dopo un po' sporse di nuovo la mano e toccò il freddo muro di pietra.
Hola, disse. Ma dalla bocca rigida e contratta gli uscì una voce flebile e roca. Hola, ripetè a stento. C'era qualcuno. Lo percepiva.
Quién està? chiese, ma nessuno rispose.
C'era qualcuno o forse c'era stato da poco. Però non c'era nessuno. Qualcuno c'era o c'era stato e non se n'era andato, però non c'era nessuno.
Guardò l'esile filo di luce. Trapelava dallo zoccolo di una porta. Rimase in ascolto e trattenne il respiro. La stanza era piccola, o almeno sembrava, e se era piccola si poteva sentire il respiro degli altri, tuttavia non sentì proprio nulla. Cominciò a chiedersi se non fosse morto e la disperazione gli suscitò un'ondata d'angoscia analoga a quella di un bimbo in procinto di piangere. Ma l'angoscia gli provocò un tale dolore fisico da costringerlo a bloccare ogni moto e a vivere la sua nuova vita respiro dopo respiro.
Sapeva che avrebbe tentato di alzarsi e di arrivare alla porta, ma ci mise molto tempo per prepararsi. Prima si girò sullo stomaco lasciandosi cadere di colpo per farcela, ma rimase impietrito dal dolore e si fermò a riprendere fiato. Poi allungò la mano per toccare il pavimento, ma la sentì oscillare nel vuoto. Sporse una gamba dal letto e si allungò finché il piede non toccò terra. Si riposò appoggiandosi ai gomiti.
Quando raggiunse la porta la trovò chiusa e rimase in piedi sul fresco pavimento di pietra. Attraverso le fasciature sentì che ricominciava a perdere sangue. Appoggiò la testa alla fredda porta metallica sentendo la faccia bendata, si tastò la benda del viso, provò una sete insensata e tornò a letto dopo una lunga sosta per riposarsi.
Quando la porta si aprì la luce fu accecante e, invece di un'infermiera in camice bianco, comparve un demandadero con la divisa cachi unta e grinzosa e con un vassoio metallico su cui c'erano due mestolate di pozole e un bicchiere d'aranciata. La guardia, poco più vecchia di John Grady, entrò di spalle col vassoio in mano e si voltò guardando ovunque meno che verso il letto. Eccetto il secchio metallico appoggiato sul pavimento, nella stanza c'era solo il letto che era l'unico posto in cui si poteva posare il vassoio.
La guardia s'avvicinò con sguardo imbarazzato e minaccioso al contempo e protese il vassoio verso l'infermo. John Grady, che indossava un camicione di cotone grezzo macchiato di sangue rappreso, si voltò sul fianco e si tirò su con la fronte imperlata di sudore.
Dame el refresco, disse. Nada más.
Nada más? No.
Prese il bicchiere d'aranciata dalle mani del demandadero e lo tenne in mano osservando la cameretta di pietra. Sul soffitto c'era un'unica lampadina protetta da una griglia di ferro.
La luz, por favor, disse John Grady.
Il demandadero annuì, uscì e si chiuse la porta alle spalle. Nel buio si udì lo scatto della serratura e subito dopo la luce si accese.
John Grady sentì i passi allontanarsi nel corridoio e si ritrovò nel silenzio. Alzò il bicchiere alla bocca e bevve lentamente l'aranciata: era tiepida, appena effervescente, deliziosa.
Rimase a letto tre giorni dormendo per la maggior parte del tempo. Poiché la luce era spenta di nuovo, si svegliava nel buio e chiamava, ma nessuno rispondeva. Pensava a suo padre che era stato a Goshee. Sapeva che gli avevano fatto qualcosa di terribile. Aveva sempre creduto di non volerne sapere nulla, ma in realtà in quel momento avrebbe voluto sapere. Disteso nel buio pensava a quello che non sapeva del padre rendendosi conto che non ne avrebbe mai saputo di più. Non pensava ad Alejandra perché non sapeva né quale sarebbe stato l'esito della vicenda né quanto sarebbe stato penoso, quindi decise di serbarne un buon ricordo. Perciò pensava ai cavalli che erano sempre il pensiero migliore. In seguito la luce venne di nuovo accesa e rimase accesa. Una volta sognò di essere circondato di scheletri dalle orbite vuote e scure dallo sguardo privo della luce del pensiero, ma in fondo a quelle cavità s'indovinava una tremenda conoscenza comune a tutti e da tutti rigorosamente taciuta. Al risveglio ebbe la certezza che in quella stanza erano morti degli uomini.
Quando la porta si aprì un'altra volta, un uomo sorridente in abito blu entrò con una borsa di cuoio e gli chiese come stava.
Mejor que nunca, disse lui.
L'uomo sorrise di nuovo. Posò la borsa sul letto, l'aprì, prese un paio di forbici da chirurgo, spostò la borsa ai piedi del letto e tirò indietro il lenzuolo macchiato di sangue.
Quién es usted? disse John Grady.
L'uomo parve stupito. Il dottore, disse.
La punta arrotondata delle forbici era fredda contro la pelle.
il dottore l'infilò sotto la garza macchiata di sangue, cominciò a tagliare
la benda che copriva la vita e tolse tutta la fasciatura. Entrambi guardarono i punti.
Bien, bien, disse il dottore tastando le suture con due dita. Bueno.
Medicò e disinfettò le ferite, le ricoprì di nuovo con garza e cerotto e aiutò il paziente a sedersi sul letto, poi prese dalla borsa una lunga benda arrotolata e cominciò ad avvolgerla intorno alla vita del ragazzo.
Mettimi le mani sulle spalle, disse.
Come?
Mettimi le mani sulle spalle. Così, bene.
Gli mise le mani sulle spalle e il dottore terminò la fasciatura. Bueno, disse. Bueno.
Finalmente il dottore s'alzò, chiuse la borsa e rimase in piedi a guardare il paziente.
Ti farò portare un pezzo di sapone e un asciugamano, così potrai lavarti. Bene.
Sei svelto a guarire.
Come?
Sei uno che guarisce in fretta. Sorrise, salutò con un cenno del capo e uscì. John Grady non sentì lo scatto della serratura, ma non avrebbe saputo comunque dove andare.
La visita successiva fu quella di un uomo mai visto prima che indossava una divisa militare. La guardia che l'aveva accompagnato chiuse la porta e attese all'esterno. L'uomo non si presentò, si fermò accanto al letto e si tolse il cappello come se rendesse omaggio a un eroe ferito. Poi prese un pettine dal taschino della giacca, si pettinò i capelli unti da entrambi i lati e lo rimise a posto.
Quando potrai camminare? chiese.
Per andare dove?
A casa.
Allora anche subito.
L'uomo lo studiò stringendo le labbra.
Fammi vedere come cammini.
John Grady scostò il lenzuolo, si voltò su un fianco, si alzò in piedi e cominciò a camminare su e giù lasciando sulle pietre lucide qualche orma umida e fredda che svaniva immediatamente come la storia del mondo. La fronte gli s'imperlò di sudore.
Siete giovani fortunati, disse.
Io non mi sento così fortunato.
Giovani fortunati, ripete. Poi salutò con un cenno del capo e uscì.
John Grady continuò a dormire e a vegliare deducendo il giorno e la notte dai pasti che gli portavano. Di solito mangiava poco, ma un giorno gli portarono un po' di riso, mezzo pollo arrosto e una pera sciroppata e lui mangiò tutto pian piano assaporando ogni boccone e passando il tempo a immaginare e a scartare varie ipotesi su ciò che era successo o stava succedendo all'esterno. E su ciò che sarebbe successo in futuro. Continuava a pensare che potevano portarlo in campagna e ammazzarlo.
Spesso si esercitava a camminare su e giù e ogni tanto, dopo aver lucidato il fondo del vassoio con la manica del camicione, si metteva al centro della stanza sotto la lampadina e guardava la sua faccia, malamente riflessa dal metallo contorto, che lo fissava come un folletto infuriato e deforme imprigionato là dentro. Poi scostava le bende e ispezionava i punti tastandoli con le dita.
Al successivo risveglio vide entrare il demandadero con una pila d'indumenti e i suoi vecchi stivali. La guardia li lasciò cadere a terra. Sus prendas, disse. Poi uscì e chiuse la porta.
Si tolse il camicione, si lavò con il sapone e un panno bagnato, si asciugò con l'asciugamano, si vestì e infine s'infilò gli stivali che tuttavia erano ancora umidi perché qualcuno li aveva lavati per levare il sangue. Allora cercò di toglierseli, ma non ci riuscì e rimase disteso sul letto calzato e vestito in attesa di chissà che cosa.
Due guardie si presentarono sulla porta e l'attesero. John Grady s'alzò e le seguì.
Percorsero il corridoio, attraversarono un piccolo patio, entrarono in un'altra parte dell'edificio e percorsero un altro corridoio dove una guardia bussò a una porta, l'aprì e gli fece segno d'entrare.
Alla scrivania c'era il comandante, ossia quello che era venuto a vedere se lui era in grado di camminare.
Siediti, disse il comandante.
Il ragazzo obbedì.
L'uomo aprì un cassetto della scrivania, prese una busta e gliela porse. Questa è tua.
John Grady prese la busta.
Dov'è Rawlins?
Prego?
Dónde està mi compadre?
Il tuo amico? Sì.
Ti sta aspettando là fuori.
Dove ci mandate?
Vi mandiamo via, a casa.
Quando?
Prego?
Cuàndo?
Adesso, subito. Non fatevi mai più vedere.
Il comandante lo congedò con un gesto della mano. John Grady si alzò appoggiando una mano sullo schienale della sedia e uscì. Le guardie lo accompagnarono lungo il corridoio fino all'ingresso, dove Rawlins lo stava aspettando vestito più o meno come lui. Cinque minuti dopo erano in strada davanti al grande portone blindato.
Si arrampicarono faticosamente sull'autobus parcheggiato nella via e avanzarono fra i sedili. Alcune donne munite di borse e ceste vuote li salutarono cortesemente.
Pensavo che fossi morto, disse Rawlins.
Anch'io lo pensavo di te.
Che ti è successo?
Poi te lo racconto. Adesso stiamo tranquilli. In silenzio.
Stai bene?
Sì, bene.
Rawlins si mise a guardare dal finestrino. Il paesaggio era grigio e immobile. Alcune gocce di pioggia cominciarono a cadere in strada e a battere sul tettuccio dell'autobus distinte come rintocchi di campana. In fondo alla via spuntavano i costoni arcuati della cupola e il campanile della cattedrale.
Per tutta la vita ho avuto la sensazione che i guai fossero proprio dietro la porta. Non che io stessi per finirci dentro. Però erano sempre lì.
Non dire niente, restiamocene qui seduti con calma, disse John Grady.
Guardarono la pioggia cadere in strada. Le donne restarono in silenzio. Fuori il cielo si stava oscurando e non si vedeva il sole né qualche punto più chiaro dove il sole avrebbe potuto trovarsi. Salirono altre due donne e presero posto, poi l'autista saltò su, chiuse le porte, guardò lo specchietto retrovisore, infilò la marcia e partì. Qualche donna pulì il vetro del finestrino con la mano e lanciò un'ultima occhiata alla prigione battuta dalla grigia pioggia del Messico. Il tetro edificio sembrava un'antica cittadella assediata d'altri luoghi e d'altri tempi, quando i nemici stavano tutti all'esterno.
Dopo qualche isolato arrivarono in centro e scesero in piazza dove i lampioni a gas erano già accesi. Raggiunsero lentamente i portici sul Iato nord della piazza e si fermarono a guardare la pioggia. Lungo il muro c'erano quattro suonatori della banda con l'uniforme porpora e gli strumenti in mano. John Grady guardò Rawlins. Senza cappello, a piedi e vestito con abiti troppo stretti, Rawlins sembrava perduto.
Andiamo a mettere qualcosa sotto i denti.
Ma non abbiamo soldi.
Io sì.
Dove li hai presi?
Ce n'ho una busta piena.
Entrarono in un caffè e si sedettero a un tavolo. Un cameriere portò loro due menù e andò via. Rawlins guardò fuori dalla vetrina.
Prendi una bistecca, disse John Grady.
D'accordo.
Adesso mangiamo, poi andiamo in un albergo, ci diamo una lavata e ci facciamo un bel sonno.
D'accordo.
Ordinarono due bistecche, patatine fritte e caffè. Il cameriere annuì e prese i menù. John Grady s'alzò, raggiunse lentamente il banco e comprò due pacchetti di sigarette e due scatole di fiammiferi. I clienti seduti agli altri tavoli lo guardarono attraversare la sala.
Rawlins si accese una sigaretta e lo guardò. Perché siamo ancora vivi? disse.
Perché lei ha pagato.
La señora?
Sì. La zia.
Perché?
Non lo so.
È da lei che ti sono arrivati i soldi? Sì.
C'entra la ragazza, vero?
Immagino di sì.
Rawlins continuò a fumare. Guardò fuori dalla vetrina. Dato che ormai era buio e in strada era appena piovuto, le luci del bar e dei lampioni si riflettevano nelle pozzanghere scure.
Non c'è un'altra spiegazione, vero?
No.
Rawlins annuì. Avrei potuto scappare dal posto in cui mi tenevano. Era un semplice reparto d'ospedale.
Perché non sei scappato?
Non lo so. Pensi che abbia fatto male?
Non saprei. Forse sì.
Tu cosa avresti fatto?
Non ti avrei mollato da solo.
Lo sapevo.
Non significa che tu non abbia fatto male.
Rawlins abbozzò un sorriso e guardò altrove.
Il cameriere portò il caffè.
Laggiù c'era un altro tutto tagliuzzato, riprese Rawlins. Probabilmente non era cattivo. Era uscito un sabato sera con qualche dollaro in tasca.
Anzi pesos. Una storia davvero penosa.
Che fine ha fatto?
È morto. Quando l'hanno portato via ho pensato che se avesse visto la scena l'avrebbe trovata stranissima. È sembrata strana a me, figuriamoci a lui. La gente non pensa mai di morire, vero? Già.
Rawlins assentì. Mi hanno fatto una trasfusione di sangue messicano.
Alzò lo sguardo.
John Grady s'accese una sigaretta, spense il fiammifero scuotendolo in aria e lo mise nel portacenere. Poi guardò Rawlins. E allora?
Secondo te cosa comporta? In che senso?
Be', nel senso che adesso sono un po' messicano. John Grady tirò una profonda boccata, s'appoggiò allo schienale, ed espirò il fumo nell'aria. Un po' messicano? Sì.
Quanto te ne hanno messo? Più di un litro, mi hanno detto. Quanto di più? Non lo so.
Be', con un litro sei diventato quasi un mezzosangue. Rawlins lo guardò.
Scherzi, vero?
Sì, non significa nulla. Il sangue è sangue, la provenienza non conta.
Il cameriere portò le bistecche e i ragazzi si misero a mangiare. A un certo punto John Grady guardò Rawlins e Rawlins alzò lo sguardo. Che c'è? Niente.
Dovresti essere più contento di essere uscito di là.
Stavo pensando la stessa cosa di te.
Rawlins assentì. Già, disse.
Cosa pensi di fare?
Tornare a casa.
Okay.
Per un po' continuarono a mangiare.
Tu pensi di tornare laggiù, vero? disse Rawlins.
Sì, penso di sì.
Per la ragazza?
Sì.
E i cavalli? Anche per i cavalli.
Rawlins annuì. Pensi che ti stia aspettando? Non lo so.
Secondo me la vecchia sarebbe sorpresa di vederti.
Niente affatto. È una donna sveglia. E Rocha?
Farà quel che dovrà fare.
Rawlins incrociò le posate nel piatto accanto all'osso e prese una sigaretta.
Non andarci, disse. Ho già deciso così.
Rawlins accese la sigaretta, spense il fiammifero e alzò lo sguardo.
C'è solo un patto che lei può aver fatto con la zia. Lo so. Ma voglio che sia lei a dirmelo. E se te lo dice ritorni indietro? Certo.
D'accordo, allora.
Comunque sia mi mancano anche i cavalli.
Rawlins scosse la testa e guardò altrove.
Non ti sto chiedendo di venire con me, disse John Grady.
Lo so perfettamente.
Te la caverai.
Sì. Lo so.
Scosse la cenere della sigaretta, si passò il palmo della mano sugli occhi e guardò fuori dalla vetrina. Pioveva di nuovo. Per strada non c'era traffico.
Laggiù all'angolo c'è un ragazzino che cerca di vendere i giornali, disse.
Non c'è un'anima in giro e lui sta lì coi giornali sotto la camicia a strillare.
S'asciugò gli occhi col dorso della mano. Oh, merda, disse. Che c'è?
Niente, solo che... merda. Perché?
Non riesco a togliermi Blevins di mente. John Grady non rispose. Rawlins si voltò a guardarlo. Aveva gli occhi umidi e il viso triste, invecchiato.
Non posso credere che l'abbiano portato laggiù e l'abbiano fatto fuori. Già.
Continuo a pensare com'era terrorizzato. Ti sentirai meglio quando sarai a casa.
Rawlins scosse la testa e guardò nuovamente fuori dai vetri. Non credo, disse.
Poi guardò l'amico fumare. Dopo un po' John Grady gli disse: Non sono mica Blevins.
Lo so, disse Rawlins, ma mi sto chiedendo fino a che punto tu sia messo meglio di lui.
John Grady spense la sigaretta. Andiamo, disse.
Comprarono due spazzolini da denti, un pezzo di sapone e un rasoio di sicurezza in farmacia e andarono in un albergo a due isolati dalla piazza. La chiave della camera era legata a un tondino di legno con un numero inciso a fuoco. Attraversarono il cortile di mattonelle battuto da una pioggia leggera, raggiunsero la camera, entrarono e accesero la luce. Un uomo si alzò nel letto e li guardò. Loro arretrarono, spensero la luce, chiusero la porta e tornarono dal portiere a farsi dare un'altra chiave.
In un angolo della stanza verde chiaro c'era la doccia circondata da una tenda di tela cerata. John Grady aprì l'acqua, attese che fosse calda e la spense.
Comincia tu, disse.
No, prima tu.
Io devo ancora togliermi i cerotti.
Si sedette sul letto a togliersi le fasciature. Rawlins fece la doccia, chiuse l'acqua, tirò la tenda e si asciugò con un asciugamano liso e sfilacciato.
Certo che siamo proprio una bella coppia, eh?
Davvero.
Come fai per i punti?
Penso che andrò da un dottore.
Fa più male a toglierli che a metterli. Si.
Lo sapevi?
Certo.
Rawlins s'avvolse l'asciugamano intorno alla vita e si mise a sedere sull'altro letto. Sul tavolo c'era la busta coi soldi.
Quanto c'è là dentro? chiese.
John Grady alzò gli occhi. Non lo so, disse. Scommetto molto meno di quel che dovrebbe esserci. Prova a contarli.
Rawlins prese la busta e contò i soldi sul letto.
Novecento settanta pesos, disse.
John Grady annuì.
Quant'è? chiese Rawlins.
Più o meno centoventi dollari.
Rawlins ricompose la mazzetta battendo le banconote sul vetro del tavolo e la rimise nella busta.
Dividili a metà, disse John Grady.
Io non ne ho bisogno.
Invece sì.
Sto andando a casa.
Non importa, metà sono tuoi.
Rawlins s'alzò, stese l'asciugamano sulla spalliera del letto e scostò le coperte. Penso che ti serviranno tutti fino all'ultimo.
Quando uscì dalla doccia, John Grady pensò che Rawlins dormisse, ma si sbagliava. Attraversò la stanza, spense la luce, si mise a letto e restò sdraiato nel buio ad ascoltare i rumori della strada e la pioggia che cadeva in cortile.
Ti capita di pregare? disse Rawlins.
Sì. Qualche volta, ma penso di essere un po' fuori esercizio.
Rawlins tacque a lungo. Poi disse: Qual è la cosa peggiore che hai fatto?
Non lo so. Ma se avessi fatto una cosa veramente brutta penso che non la direi. Perché?
Be', quando ero ferito in ospedale ho pensato: Non sarei qui se non avessi fatto qualcosa per esserci. Ti capita mai di pensare così?
Sì, qualche volta.
Nel buio sentirono qualcuno attraversare il patio e una porta che si apriva e si richiudeva.
Tu non hai mai fatto niente di grave, disse John Grady.
Una volta io e Lamont abbiamo portato un carico di mangime a Sterling City, l'abbiamo venduto ai messicani e ci siamo tenuti i soldi.
Ne ho sentite di molto peggio.
Ne ho fatte anche altre.
Se hai intenzione di continuare mi fumo una sigaretta.
No, ora sto zitto.
Rimasero in silenzio nel buio.
Lo sai cosa mi è successo, vero? disse John Grady.
Vuoi dire nella mensa? Sì.
Certo.
John Grady prese le sigarette dal tavolo, ne accese una e spense il fiammifero con un soffio. Non avrei mai pensato di poter fare una cosa del genere.
Non avevi altra scelta.
Ciò non toglie che non l'avrei mai pensato.
T'avrebbe fatto fuori lui.
Aspirò il fumo e l'espirò nel buio senza vederlo. Non occorrono giustificazioni. È così e basta.
Rawlins non rispose. Dopo un po' chiese: Dove avevi preso il coltello? Dai Bautista. L'ho comprato con gli ultimi quarantacinque pesos. Di Blevins.
Sì, di Blevins.
Rawlins, sdraiato di fianco sul letto di rete metallica, guardava nel buio dove riluceva la brace della sigaretta. Ogni volta che John Grady tirava una boccata, il suo viso coi punti sulla guancia emergeva dall'oscurità come una rossa maschera teatrale riparata alla meglio. Poi spariva di nuovo nel buio.
Quando ho comprato il coltello sapevo a cosa mi sarebbe servito.
Non vedo cosa ci sia di male.
La brace della sigaretta divenne incandescente e si smorzò di nuovo. Certo, ma non sei stato tu a farlo.
Il mattino dopo pioveva di nuovo. Fermi davanti allo stesso caffè del giorno prima con uno stuzzicadenti in bocca, guardarono la pioggia cadere nella plaza. Rawlins si studiò il naso nella vetrina.
Lo sai cosa mi dà veramente fastidio?
Che cosa?
Arrivare a casa con una faccia così.
John Grady lo guardò e distolse gli occhi. Non hai mica torto.
Anche tu non sei tanto in forma.
John Grady ridacchiò. Lascia perdere, disse.
In un negozio di Victoria Street acquistarono nuovi indumenti e un nuovo cappello ciascuno. Così rivestiti raggiunsero la stazione degli autobus camminando sotto una pioggerella leggera e Rawlins prese un biglietto per Nuevo Laredo. Poi entrambi, infagottati negli abiti nuovi, si sedettero al bar della stazione, appoggiarono il cappello capovolto sulla sedia accanto e rimasero insieme a bere il caffè finché non sentirono l'annuncio dell'autobus.
È il tuo, disse John Grady.
Si alzarono, si misero il cappello in testa e raggiunsero la corriera in partenza.
Be', disse Rawlins, penso che uno di questi giorni ti vedrò arrivare.
Stammi bene.
Sì, anche tu.
Rawlins si voltò, porse il biglietto all'autista che glielo restituì bucato e salì rigidamente sull'autobus. John Grady lo vide avanzare fra i sedili e pensò che si sarebbe seduto accanto al finestrino, ma Rawlins prese posto dall'altra parte del corridoio. John Grady aspettò qualche minuto, poi si voltò, uscì dalla stazione e tornò lentamente in albergo sotto la pioggia.
Nei giorni seguenti esaurì l'elenco dei medici di quella cittadina dell'altopiano desertico senza trovarne uno disposto a fare quello che gli chiedeva. Ormai, dopo intere giornate passate a camminare su e giù per le viuzze, conosceva ogni angolo e ogni callejón del villaggio. Una settimana più tardi riuscì a farsi togliere i punti della faccia. Il chirurgo, dopo averlo fatto sedere su una comune sedia metallica, tagliò i punti con le forbici e li tolse con una pinzetta canticchiando fra sé e sé, poi gli disse di non guardarsi troppo perché la cicatrice sarebbe migliorata col tempo. Infine coprì la ferita con un cerotto, gli chiese cinquanta pesos e gli disse di tornare di lì a cinque giorni per togliere le suture alla pancia.
Una settimana dopo, in un giorno fresco dal cielo coperto, lasciò Saldilo su un camion diretto a nord. Nel cassone con lui c'era un grande motore diesel incatenato alle sponde. Mentre il camion sobbalzava nelle vie il ragazzo cercò di stare seduto reggendosi forte con le mani, ma dopo un po' si tirò il cappello sugli occhi, s'alzò in piedi e proseguì il viaggio appoggiato al tettuccio della cabina. Sembrava un araldo che recava notizie dalla campagna, un essere biblico appena sceso dal cielo che veniva portato giù dalle montagne e condotto a nord verso Monclova attraverso il monotono e piatto deserto.
PARTE QUARTA
A una stazione di servizio presso un incrocio dall'altra parte di Paredón caricarono cinque braccianti. Gli uomini salirono sul cassone, salutarono il passeggero con un cenno della testa e gli parlarono con grande rispetto e cortesia. Ormai era quasi buio, cadeva una pioggerellina leggera e i loro volti bagnati rilucevano al chiarore giallino del distributore. I braccianti si raggrupparono davanti al motore incatenato e quando lui offrì le sigarette lo ringraziarono, ne presero una ciascuno, l'accesero proteggendo il fiammifero dalla pioggia con le mani a coppa e lo ringraziarono di nuovo.
De dónde viene?
De Tejas.
Y dónde va?
John Grady aspirò una boccata di fumo e li osservò. Quello più anziano accennò con la testa ai suoi dozzinali indumenti nuovi.
Él va a ver su novia, disse.
Gli altri lo guardarono con curiosità e lui annuì e ammise che era vero.
Ah, dissero loro. Qué bueno. In seguito per molto tempo John Grady avrebbe ricordato volentieri quei sorrisi e avrebbe riflettuto sulla bontà che li ispirava perché quel ricordo aveva il potere di proteggerlo, di rendergli onore, di rafforzare la propria volontà, di guarirlo e di salvarlo quando tutte le altre risorse erano esaurite.
Appena il camion partì i braccianti, vedendolo in piedi, gli offrirono i loro involti per cuscino. John Grady accettò, si sedette e sonnecchiò al ronzio dei pneumadci che correvano sull'asfalto. Poi la pioggia cessò e la notte divenne limpida. La luna appena sorta danzava sui fili della luce come una nota musicale argentata accesa nell'oscurità senza fine. A causa della pioggia caduta nei campi l'aria era impregnata da un forte odore di terra, di grano, di peperoni e ogni tanto di cavalli. A mezzanotte, quando arrivarono a Monclova, lui strinse la mano a ogni bracciante, girò intorno al camion e ringraziò l'autista salutando gli altri due passeggeri seduti nella cabina, poi restò a guardare i rossi fanalini di coda che si allontanavano in strada verso la periferia e rimase solo nel villaggio immerso nel buio.
Nella notte tiepida dormì su una panchina dell'alameda e quando si svegliò il sole era già alto e il traffico mattutino in fermento. Il marciapiede era affollato di bimbi col grembiulino blu che andavano a scuola, di donne che spazzavano l'ingresso delle botteghe e di venditori ambulanti che mettevano in mostra la mercanzia su tavoli o bancarelle di legno osservando il tempo.
John Grady si alzò, attraversò la strada, entrò in un bar di una via laterale e fece colazione al banco con caffè e pan dulce, poi andò in farmacia, comprò un pezzo di sapone, lo mise in tasca con il rasoio e lo spazzolino da denti e s'incamminò sulla strada diretta a occidente.
Trovò un passaggio fino a Frontera e un altro fino a San Bonaventura. A mezzogiorno si lavò in un canale d'irrigazione, si fece la barba e dormicchiò al sole disteso sulla giacca aspettando che gli abiti si asciugassero. Quando si svegliò vide alcuni bambini nudi che sguazzavano nel laghetto formato da una piccola chiusa di legno poco più a valle. Allora si alzò, si legò la giacca alla vita e seguì la sponda del canale finché trovò un posto per fermarsi a guardarli. Due ragazze passarono lungo il fosso reggendo fra di loro una tinozza coperta da un panno e un secchio nell'altra mano. Le ragazze, che portavano il pranzo alla gente al lavoro nei campi, sorrisero timidamente a John Grady che, seduto a torso nudo con la pelle bianchissima solcata dalle cicatrici arrossate sul petto e sullo stomaco, fumava con calma guardando i bimbi sguazzare nell'acqua limacciosa del canale.
Camminò tutto il pomeriggio sulla strada arida e calda diretta a Cuatro Ciénagas. Tutti quelli che incontrava non mancavano di rivolgergli la parola. Nei campi c'erano uomini e donne intenti a zappare la terra, e quelli più vicini alla strada interrompevano il lavoro, lo salutavano con un cenno del capo e gli dicevano che era una bella giornata e lui era perfettamente d'accordo. Alla sera mangiò in un accampamento di braccianti con cinque o sei famiglie sedute a un tavolo fatto di pali tenuti insieme da corde di canapa. Il tavolo era sormontato da un telone al di sotto del quale il sole al tramonto diffondeva un'intensa luce arancione che proiettava sulla faccia e sugli abiti dei commensali l'ombra delle cuciture e dei punti che tenevano insieme la tela. Le ragazze più giovani sistemarono i piatti su piccoli supporti fatti coi fondi delle cassette da frutta in modo da pareggiare l'incerta superficie del tavolo; poi un vecchio a capotavola pregò per tutti chiedendo a Dio di non dimenticare i morti e ai presenti di ricordare che il grano cresce per volontà del Signore e che in sua assenza non può esserci né grano, né raccolto, né luce, né aria, né pioggia, insomma niente di niente salvo le tenebre. Alla fine della preghiera tutti mangiarono.
Dopo cena gli offrirono un letto, ma lui li ringraziò e s'incamminò sulla strada nel buio, raggiunse un boschetto e dormì. Al mattino sulla strada vide un gregge di pecore seguito da due camion carichi di braccianti e andò a chiedere un passaggio a uno degli autisti. Quando l'uomo gli fece un cenno d'assenso, lui cercò di salire da dietro mentre il camion era in movimento, ma non ne ebbe la forza. I braccianti lo videro in difficoltà e si precipitarono a tirarlo su. Grazie a parecchi passaggi e a lunghi tratti percorsi a piedi attraversò le basse montagne dopo Nadadores, scese nel barrial, prese la strada sterrata che usciva da La Madrid e nel tardo pomeriggio entrò ancora una volta nel villaggio di La Vega.
Comprò una Coca-Cola in una bottega e la bevve appoggiato al bancone, poi ne bevve un'altra sotto lo sguardo incerto della ragazza che gliel'aveva data. Vedendo un calendario appeso al muro chiese alla ragazza che giorno era, ma nemmeno lei lo sapeva. Posò la bottiglia sul banco accanto alla prima, tornò nella strada polverosa e s'avviò a piedi verso La Purísima.
Nelle sette settimane in cui era stato via la campagna era cambiata e ormai l'estate era solo un ricordo. Per la strada non vide quasi nessuno e arrivò all'hacienda col buio.
Quando bussò alla porta del gerente vide la famiglia seduta a cena. Appena lo riconobbe, la donna che era andata ad aprire chiamò Armando che si presentò sulla porta con lo stuzzicadenti in bocca. Nessuno lo invitò a entrare. Aspettò Antonio che poco dopo arrivò e si sedette con lui a fumare sotto la ramada.
Quién está en la casa? disse John Grady.
La dama.
Y el señor Rocha? En México.
John Grady annuì.
Se fue él y la hija a México. Por avión. Con un gesto della mano simulò un aereo in volo.
Cuándo regresa?
Quién sabe?
Continuarono a fumare.
Tus cosas quedan aquí. Sí?
Sí. Tu pistola. Todas tus cosas. Y las de tu compadre.
Gracias.
De nada.
Rimasero in silenzio e Antonio lo guardò.
Yo no sé nada, joven.
Entiendo.
En serio.
Está bien. Puedo dormir en la cuadra?
Sí. Si no me lo digas.
Cómo están las yeguas?
Antonio sorrise. Las yeguas, ripetè.
Gli portò le sue cose. La pistola era scarica e le pallottole erano nella mochila con la roba da barba e il vecchio coltello da caccia del padre. John Grady ringraziò Antonio e scese alla stalla nel buio. Sulla sua branda il materasso era arrotolato e non c'erano cuscini e coperte. Srotolò il pagliericcio, si tolse gli stivali e si sdraiò. Alcuni cavalli, che al suo ingresso nella stalla erano spuntati dai box a curiosare, cominciarono a sbuffare e ad agitarsi. Contento di poterli ascoltare e di sentirne l'odore, lui s'addormentò.
All'alba il vecchio stalliere socchiuse la porta, lo guardò e la richiuse. John Grady si alzò, prese il sapone e il rasoio e andò a lavarsi in fondo alla stalla.
Nel raggiungere la casa padronale vide molti gatti venire dalle stalle e dall'orto e altri avvicinarsi lungo il muro di cinta o attendere il proprio turno per infilarsi sotto il legno consunto del cancello. Carlos aveva macellato una pecora e quindi sul pavimento macchiato del portico altri gatti in attesa dei resti si crogiolavano al primo sole del mattino che filtrava in mezzo alle ortensie. Quando Carlos s'affacciò in grembiule alla porta della dispensa in fondo al portico, John Grady gli augurò buongiorno, ma lui annuì gravemente e si ritirò.
Maria non parve affatto sorpresa di rivederlo. Gli servì la colazione e lui l'ascoltò in silenzio. La señorita si sarebbe alzata solo di lì a un'ora e alle dieci sarebbe venuta a prenderla un'auto per portarla a visitare la quinta Margarita dove sarebbe rimasta tutta la giornata. Però sarebbe tornata prima di notte perché non le piaceva viaggiare col buio. E aggiunse che magari la señorita l'avrebbe ricevuto prima che lui se ne andasse.
John Grady sorseggiò il caffè e le chiese una sigaretta. Maria prese il pacchetto di El Toros sul davanzale della finestra sopra il lavello e glielo mise davanti, senza chiedergli dov'era stato né come se l'era passata. Quando lui s'alzò per andarsene la donna gli mise una mano sulla spalla e gli versò ancora un po' di caffè.
Puedes esperar aquí, se levantará pronto, disse.
Il ragazzo aspettò. Carlos entrò in cucina, mise i coltelli nel lavandino e uscì. Alle sette Maria partì col vassoio della colazione e al ritorno gli disse che la señorita l'avrebbe ricevuto quella sera alle dieci. Lui s'alzò per uscire.
Quisiera un caballo, disse.
Caballo?
Sí, por el día, no más.
Momentito, disse lei.
Ritornò annuendo con la testa. Tienes tu caballo, disse. Espérate un momento. Siéntate.
John Grady aspettò e lei gli preparò uno spuntino, lo avvolse in un pezzo di carta, lo legò con un cordino e glielo porse.
Gracias, disse lui.
De nada.
María prese le sigarette e i fiammiferi appoggiati sul tavolo e glieli porse. Lui cercò di leggerle in viso qualche indizio che gli permettesse di dedurre com'era disposta nei propri confronti la padrona che aveva appena incontrato, ma da quello che vide sperò d'essersi sbagliato. La donna gli mise in mano le sigarette e disse: Ándale pues.
Attraversando la stalla il ragazzo si fermò a guardare le nuove giumente rinchiuse nei box, poi raggiunse la selleria, accese la luce, prese il sottosella e i finimenti che aveva sempre usato, tirò giù dallo scaffale la sella in apparenza migliore delle cinque o sei a disposizione, la esaminò da vicino, soffiò via la polvere, controllò le staffe, se la mise in spalla tenendola per il pomo e s'avviò a piedi verso il corrai.
Quando lo vide arrivare, lo stallone si mise a trottare. Il ragazzo si fermò al cancello a guardarlo. Lo stallone gli passò davanti con la testa piegata, gli occhi vivaci e le froge dilatate a inspirare con forza l'aria mattutina, poi lo riconobbe, tornò indietro e quando il ragazzo aprì il cancello nitrì, scosse la testa, sbuffò e gli appoggiò il lungo muso liscio sul petto.
John Grady passò a cavallo davanti al dormitorio dove Morales, intento a pelare cipolle sotto la ramada, gli fece un vago cenno col coltello in mano e gli gridò qualcosa. John Grady gli restituì il saluto prima ancora di realizzare che il vecchio gli aveva detto che il cavallo, e non lui, era contento di vederlo. Fece un altro saluto con la mano e spronò lo stallone che proseguì scalpitando e sgroppando come se non trovasse nel suo repertorio un'andatura adatta all'occasione. Superato il cancello e persa di vista la casa, la stalla e il cuoco, il ragazzo diede una manata sul lucido fianco dell'animale che fremeva sotto di lui e partì al galoppo sulla strada della ciénaga.
Salì sulla mesa, raggiunse i cavalli bradi e li stanò dalle gole e dai boschi di cedri in cui s'erano nascosti, poi mise lo stallone al trotto sui bordi erbosi dell'altopiano lasciando che il vento lo rinfrescasse. Da una valletta fece levare in volo un gruppo d'avvoltoi che banchettavano sulla carogna di un puledro e si fermò a guardare quella povera creatura senz'occhi e senza pelle distesa nell'erba sporca di sangue.
A mezzogiorno si sedette coi piedi a penzoloni sul bordo di una roccia
e, mentre il cavallo pascolava alla cavezza, mangiò il pane e il pollo freddo che Maria gli aveva preparato. A ponente la campagna si estendeva a perdita d'occhio in un gioco di luci e di ombre e in lontananza, a più di cento miglia, le nubi nere dei temporali estivi incombevano sulle cordigliere che si levavano e sparivano nella foschia tremolando incerte all'estremo limite dell'orizzonte visivo. Dopo aver fumato una sigaretta, fece un incavo sulla cima del cappello col pugno, ci mise dentro una pietra, si sdraiò nell'erba posandosi il cappello così appesantito sul viso e pensò a quale sogno avrebbe potuto portargli fortuna. Vide la ragazza cavalcare con la schiena dritta, il cappello nero in orizzontale e i capelli al vento, la vide girarsi e sorridere come faceva sempre e vide i suoi occhi. Poi pensò a Blevins, alla faccia e agli occhi che aveva fatto nel mettergli in mano i suoi ultimi averi. Una notte a Saldilo aveva sognato che Blevins era venuto a sedersi vicino a lui e gli aveva parlato della morte. Blevins gli aveva detto che la morte non era nulla di speciale e lui gli aveva creduto. E pensò che, se l'avesse sognato abbastanza, Blevins sarebbe scomparso per sempre e sarebbe rimasto fra i morti. Poi, mentre l'erba mossa dal vento gli solleticava l'orecchio, cadde in un sonno profondo senza sogni.
Alla sera, quando scese dall'altopiano, vide il bestiame uscire dal folto degli alberi dov'era rimasto all'ombra durante il giorno. Attraversando un frutteto di meli incolti e pieni di rovi colse una mela e le diede un morso, ma era dura, acerba e amara. Lasciò che lo stallone rovistasse nell'erba in cerca di mele cadute, ma il bestiame le aveva già mangiate tutte. Passò accanto ai ruderi di una vecchia capanna ormai priva di porta e vi entrò a cavallo. Le travi del tetto erano parzialmente cadute e il pavimento era coperto di cenere a causa dei falò accesi dai mandriani o dai cacciatori. Su un muro era inchiodata un'intera pelle di mucca e le finestre erano senza vetri perché i telai e le imposte erano stati usati come legna da ardere. Là dentro c'era un'aria strana, sembrava che la vita non vi avesse attecchito. Poiché il cavallo era piuttosto irrequieto, John Grady gli batté le redini sul collo, lo sfiorò coi tacchi degli stivali, lo fece voltare con attenzione e uscì attraversando il frutteto e le marcite in direzione della strada. Fra i richiami delle tortore che risuonavano nella luce violetta della sera portò il cavallo nel recinto e, vedendolo inquieto, lo legò per evitare che rincorresse la propria ombra.
Si lavò alla fontanella del corrai, si cambiò la camicia, si spolverò gli stivali e raggiunse il dormitorio. Essendo già buio, i vaqueros avevano finito di cenare e stavano seduti sotto la ramada a fumare.
Buenas noches, li salutò.
Eres tu, Juan?
Claro.
Ci fu un momento di silenzio, poi qualcuno disse: Estàs bienvenido aqui. Gracias, rispose lui.
Si sedette a fumare con loro e raccontò tutto quel che gli era successo. I vaqueros gli chiesero di Rawlins, col quale erano stati più amici e si dimostrarono dispiaciuti che non tornasse, ma dissero che un uomo perde troppe cose quando lascia il proprio paese. Secondo loro non era un capriccio del caso che un uomo nascesse in un posto e non in un altro, e aggiunsero che il clima e le stagioni di una terra forgiavano anche il destino e il carattere degli uomini, cose che si trasmettevano di padre in figlio per generazioni e che non si formavano facilmente in un altro modo. Gli parlarono del bestiame, dei cavalli, delle giovani giumente selvagge in calore, di un matrimonio celebrato a La Vega e di un funerale avvenuto a Vibora. Nessuno accennò al patrón e alla duena, nessuno parlò della ragazza. Dopo un po' John Grady augurò buona notte a tutti, tornò alla stalla e si sdraiò sulla branda, ma non avendo modo di sapere l'ora si alzò, raggiunse la casa padronale e bussò alla porta della cucina.
Attese e bussò un'altra volta. Maria venne ad aprirgli e gli disse che Carlos era appena uscito, poi guardò l'orologio appeso al muro sopra il lavello.
Ya comiste? disse lei.
No.
Siéntate, hay tiempo.
Lui si sedette al tavolo e la donna riempì un piatto di montone arrosto e salsa adobada, lo mise a scaldare nel forno e dopo qualche minuto glielo servì con una tazza di caffè. Poi finì di lavare i piatti e poco prima delle dieci uscì nel corridoio dopo essersi asciugata le mani sul grembiule. Al ritorno si fermò sulla porta e lui si alzò.
Està en la sala, disse lei.
Gracias.
Il ragazzo seguì il corridoio e raggiunse il salotto. La vecchia, che lo aspettava in piedi in maniera quasi formale con un vestito di un'eleganza che lo raggelò, attraversò la sala e si sedette indicandogli con un cenno del capo la sedia di fronte.
Prego, si accomodi.
Il ragazzo avanzò lentamente sul tappeto e si sedette. Sul muro alle spalle della signora c'era un grande arazzo che ritraeva l'incontro di due cavalieri sullo sfondo di un vago paesaggio campestre. Sopra la doppia porta della biblioteca la testa di un toro da combattimento senza un orecchio.
Héctor era certo che lei non sarebbe tornato, ma io gli ho detto che si sbagliava.
Quando ritorna?
Non a breve scadenza, e comunque non ha intenzione di rivederla.
Credo mi debba una spiegazione.
Se tiriamo le somme, penso che lei per ora ci abbia guadagnato. Per mio nipote lei è stato una gran delusione e per me una spesa notevole.
Senza offesa, signora, ma anch'io ho dovuto affrontare qualche disagio.
Le guardie erano venute qui già una volta, capisce, e mio nipote le aveva mandate via in attesa di fare un'indagine per conto suo. Era convinto che le cose stessero altrimenti. Profondamente convinto.
Perché non me ne ha parlato?
Perché aveva dato la sua parola al comandante. Altrimenti la polizia l'avrebbe portata via subito. Invece Héctor voleva fare un'indagine per conto suo. Lei capisce benissimo che il comandante era contrario a notificare un arresto senza eseguirlo.
Avrebbe dovuto darmi la possibilità di esporre la mia versione dei fatti.
Lei gli aveva già mentito due volte. Perché non doveva presumere che gli avrebbe mentito una terza?
Io non gli ho mai mentito.
Sapevamo del cavallo rubato ben prima che lei arrivasse qui. E si sapeva che i ladri erano americani. Mio nipote l'ha interrogata su queste cose e lei ha negato tutto. Qualche mese dopo il suo amico è tornato a Encantada e ha ucciso un pubblico ufficiale. Questi fatti sono innegabili.
Quando ritornerà suo nipote?
Comunque sia non la riceverà.
Lei è convinta che io sia un criminale.
Sono disposta a credere che alcune circostanze abbiano cospirato contro di lei. Ma i fatti non si possono negare.
Perché ha pagato per farmi uscire di prigione?
Immagino che lo sappia benissimo.
Su richiesta di Alejandra. Sì.
E in cambio Alejandra cos'ha dovuto promettere?
Immagino che sappia anche questo.
Che non mi avrebbe più visto. Sì.
John Grady s'appoggiò allo schienale e fissò il muro dietro di lei, fissò l'arazzo e il vaso blu in mostra su una credenza di noce intarsiata.
Non mi bastano le dita delle mani per contare le donne di questa famiglia che hanno vissuto disastrose storie d'amore con uomini di pessima reputazione. Naturalmente i tempi hanno permesso ad alcuni di loro di farsi passare per rivoluzionari. A ventun anni mia sorella Matilde era già rimasta vedova due volte: entrambi i mariti sono morti ammazzati. Erano bigami. Succedono cose del genere. Non è confortante pensare a una maledizione di famiglia, a una tara ereditaria. Ad ogni buon conto Alejandra non la vedrà più.
Lei le ha forzato la mano.
Sono contenta di essere stata nella condizione di farlo.
Non mi chieda di ringraziarla.
Certamente no.
Non ne aveva il diritto. Avrebbe dovuto lasciarmi là dentro.
Sarebbe morto.
Avrei preferito morire.
Rimasero in silenzio sentendo il ticchettio dell'orologio.
Desideriamo offrirle un cavallo. Dirò ad Antonio di sceglierlo. Soldi ne ha?
Lui la guardò. Pensavo che le delusioni della vita l'avessero resa più comprensiva verso gli altri.
Ha pensato male.
Credo di sì.
Non mi risulta che le difficoltà della vita rendano la gente più compassionevole.
Penso che dipenda dalle persone.
Lei crede di conoscermi. Mi giudica una vecchia amareggiata dal passato e invidiosa della felicità altrui. È una sindrome molto comune, ma non è la mia. Io ho perorato la sua causa persino di fronte ai peggiori attacchi isterici della madre di Alejandra — che per fortuna lei non ha conosciuto. La sorprende? Sì.
Se quella donna fosse più civile forse l'avrei sostenuta di meno. Io non sono una donna di società. Tutte le società che ho avuto modo di conoscere mi sono sempre sembrate mostruose macchine per opprimere le donne. In Messico, dove le donne non hanno nemmeno il voto, la società è molto importante. I messicani vanno pazzi per la società e per la politica e sono un disastro in entrambe le cose. La mia famiglia è considerata di sangue antico, ma la follia degli spagnoli non è molto diversa da quella dei creoli. Per quelli che hanno occhi per vedere, la tragedia politica della Spagna è stata vissuta vent'anni prima qui in Messico in tutta la sua enormità. Tutto era diverso. Ma in fondo tutto era uguale. Nel cuore degli spagnoli alberga un grande anelito per la libertà, ma solo per la propria. E anche una grande passione per la verità e per l'onore nelle più svariate forme, ma non nella sostanza. E una profonda convinzione che per mettere alla prova le cose sia necessario farle sanguinare. Le vergini, i tori, gli uomini. E in definitiva Dio stesso. Quando guardo mia nipote vedo una bambina. Eppure mi ricordo benissimo chi e cos'ero io a quell'età. In un'altra situazione avrei potuto essere una soldadera. Forse anche Alejandra potrebbe esserlo. Ma non saprò mai com'è la sua vita. Se c'è un filo o una trama, non prenderà mai una forma che questi occhi possano riconoscere. Mi sono sempre chiesta se la piega presa dalla nostra vita esiste sin dall'inizio o se invece la vita è fatta di eventi casuali nei quali individuiamo un filo solo a posteriori. Perché in caso contrario noi non siamo nulla. Lei crede nel fato?
Sì, signora. Penso di sì.
Mio padre aveva un senso vivissimo del legame che unisce le cose, ma io non sono certa di condividerlo. Lui sosteneva che la responsabilità di una decisione non può mai essere attribuita a un agente cieco ma solo a decisioni umane, anche se lontanissime dalle loro conseguenze. E faceva l'esempio di una moneta che si tira a testa o croce. In origine la moneta è solo un tondino di ferro della zecca che il coniatore prende dal mucchio e mette sotto il conio in uno dei due versi possibili. Da quell'atto dipende tutto il resto, cara y cruz, indipendentemente da tutti i giri e da tutte le rotazioni che la moneta fa in aria. A un certo punto viene il nostro turno e poi passa.
La vecchia abbozzò un breve sorriso.
È un ragionamento assurdo, lo so, ma quell'anonimo ometto della zecca mi è rimasto impresso. Sono convinta che se il fato governasse i nostri destini sarebbe possibile ragionarci o blandirlo, ma il coniatore no. Attraverso i suoi spessi occhiali da miope lui scruta i tondini lisci e poi sceglie, magari esitando un momento così da tenere in sospeso il fato di mondi ignoti di là da venire. Probabilmente in questa parabola mio padre vedeva un modo di accedere all'origine delle cose, ma io non ci vedo nulla del genere. Per me il mondo è sempre stato più simile a un teatro di marionette. Se si guarda dietro il sipario e si seguono i fili si arriva alle mani di altre marionette che a loro volta sono manovrate da altre mani e così via all'infinito. Nella mia vita ho visto fili dall'origine irrintracciabile causare la morte assurda e violenta di uomini illustri e causare la rovina di una nazione. Ora le spiegherò com'era il Messico, com'è stato e come di nuovo sarà. Così capirà come le cose che mi hanno fatta propendere a suo favore sono le stesse che alla fine mi hanno fatta propendere contro.
Quand'ero giovane la miseria di questo paese era terribile.
Quello che vede oggi non è nulla in confronto. Io ne ero molto impressionata. Nei villaggi c'erano botteghe in cui i contadini affittavano i vestiti per andare al mercato. Loro non ce li avevano. Li affittavano per la giornata e alla sera tornavano a casa rimettendosi addosso stracci e coperte. Non avevano nulla e ogni centavo che riuscivano a mettere insieme lo spendevano in funerali. La famiglia media non possedeva nessun oggetto industriale salvo un coltello da cucina. Nient'altro. Non uno spillo, non un piatto, non una pentola, non un bottone. Niente. Nelle città si vedevano i contadini che cercavano di vendere cose prive d'ogni valore: il bullone di un camion trovato per strada, un pezzo rotto di una macchina che nessuno sapeva a cosa servisse. Cose del genere. Erano scene patetiche. Secondo quella gente esisteva per forza qualcuno che cercava quegli oggetti e che ne conosceva il valore, bastava trovarlo. Era una fede che nessuna frustrazione sembrava capace di scuotere. Cos'altro avevano? Per quali altre cose dovevano abbandonarla? Per loro il mondo industriale era inimmaginabile e i suoi abitanti erano veri e propri alieni. Però quella gente non era stupida, per niente. Bastava vedere i bambini. Avevano un'intelligenza spaventosa. E una libertà che noi invidiavamo. Avevano pochissime limitazioni e pochissime aspettative. Ma poi, a undici o dodici anni, smettevano di essere bambini. Nel giro di una notte perdevano l'infanzia, ma non avevano nessuna giovinezza. Diventavano serissimi. Come se una terribile verità o una terribile visione li avesse visitati. A un certo punto della vita rinsavivano di colpo. Io ero stupefatta, ma naturalmente non potevo sapere cos'avevano visto o saputo.
A sedici anni avevo già letto molti libri ed ero diventata uno spirito libero. Perlomeno mi rifiutavo di credere in un Dio consenziente con tutta l'ingiustizia che vedevo nel mondo creato da lui. Ero molto idealista e parlavo senza peli sulla lingua. I miei genitori erano scandalizzati. Ma a diciassette anni, durante l'estate, la mia vita cambiò definitivamente.
Nella famiglia di Francisco Madero c'erano tredici figli, e molti erano miei amici. Rafaela ed io eravamo nate a tre giorni di distanza ed eravamo molto amiche. Molto di più che con le figlie di Carranza. Teníamos compadrazgo con su familia. Capisce? È un'espressione intraducibile. La famiglia aveva festeggiato la mia quinceañera a Rosario. Lo stesso anno Don Evaristo aveva portato un gruppo di noi in California. Eravamo tutte ragazze delle haciendas, di Parras e di Torreón. A quel tempo lui era già vecchio: il suo coraggio mi stupisce ancora adesso. Ma era un uomo stupendo, era stato governatore, era molto ricco, mi voleva molto bene e non si scandalizzava affatto delle mie filippiche. Mi piaceva andare a Rosario. A quei tempi le haciendas facevano molta vita sociale. Organizzavano feste sfarzose con orchestre e champagne che duravano fino all'alba, spesso con la partecipazione di amici e visitatori europei. Con mia grande sorpresa ero molto benvoluta e probabilmente sarei guarita dalla mia ipersensibilità se non fossero successe due cose.
La prima fu il ritorno dei due figli maggiori, Francisco e Gustavo. Erano andati a studiare in Francia per cinque anni e in precedenza avevano studiato negli Stati Uniti, in California e a Baltimora. Me li ripresentarono come vecchi amici, quasi parenti. Ma io ne avevo soltanto un ricordo d'infanzia e per loro ero un'emerita sconosciuta.
In quanto figlio maggiore, Francisco godeva in famiglia di una considerazione speciale. Sotto il portico c'era un tavolo dove lui discuteva con gli amici. Nell'autunno di quell'anno m'invitarono spesso da loro e per la prima volta sentii parlare apertamente delle cose che mi stavano a cuore. Solo allora cominciai a capire che il mondo, se decidevo di viverci dentro, doveva andare in un certo modo.
Francisco cominciò ad aprire scuole per i bambini poveri del distretto e a distribuire medicine gratuite. In seguito la sua cucina sfamò centinaia di persone. Oggi non è facile comunicare agli altri l'entusiasmo di quei giorni. La gente era molto attratta da Francisco. Amava la sua compagnia. A quel tempo lui non parlava d'impegno politico, cercava semplicemente di mettere in pratica le idee che aveva imparato, di realizzarle concretamente nella vita di tutti i giorni. Da Città del Messico cominciava a venire gente a trovarlo e Gustavo lo seguiva in ogni impresa.
Non so se lei può capire quello che dico. Allora avevo diciassette anni e ai miei occhi questo paese sembrava un vaso prezioso portato in giro da un bimbo. Nell'aria c'era una sorta di elettricità. Tutto pareva possibile. Io pensavo che quelli come Francisco, come Gustavo e come noi fossero migliaia, ma non era vero. Anzi, alla fine è sembrato che non ce ne fosse nessuno.
Per un incidente avuto da ragazzo Gustavo aveva un occhio artificiale, ma questo non diminuiva il fascino che esercitava su di me. Anzi, forse l'aumentava. Certo è che preferivo la sua compagnia a quella di chiunque altro. Parlavamo per ore e ore, mi dava dei libri da leggere. Era un uomo molto pratico, molto più di Francisco, e non era attratto dall'occultismo come il fratello. Parlava sempre di cose serie. Poi successe che nell'autunno di quell'anno andai col babbo e lo zio in una hacienda di San Luis Potosi, e fu proprio là che mi capitò l'incidente alla mano di cui le ho parlato.
Per un maschio le conseguenze sarebbero state serie, ma per una femmina furono catastrofiche. Non dovevo farmi vedere in pubblico, e mi parve persino di cogliere un cambiamento del babbo nei miei confronti.
Mio padre non poteva fare a meno di ritenermi sfigurata per sempre. Pensai si desse ormai per scontato che non potevo più aspirare a un buon matrimonio, e forse lo si presumeva davvero. Non avevo nemmeno più il dito su cui infilare la vera. In famiglia mi trattavano con gentilezza come se fossi stata dimessa dal manicomio. A quel tempo avrei voluto con tutto il cuore essere nata povera perché fra i poveri certe cose venivano accettate molto più facilmente. Nella mia condizione non mi restava che aspettare la vecchiaia e la morte.
Così passarono alcuni mesi, ma un giorno, appena prima di Natale, Gustavo venne a trovarmi. Terrorizzata dissi a mia sorella che lo pregasse di andare via, ma lui rifiutò. Quella sera mio padre tornò piuttosto tardi e rimase stupito di vederlo seduto da solo in salotto col cappello sulle ginocchia. Il babbo venne su a parlarmi e io mi tappai le orecchie. Non ricordo bene cosa successe. So soltanto che Gustavo rimase seduto in salotto per tutta la notte come un mozo. Qui, in questa casa.
Il giorno dopo il babbo era molto arrabbiato con me. Non l'annoierò con la scena che ne seguì, ma sono certa che le mie urla di rabbia e di angoscia raggiunsero le orecchie di Gustavo. Tuttavia, com'è ovvio, non potei oppormi alla volontà di mio padre e alla fine mi presentai. Vestita in maniera molto elegante, se ben ricordo. Avevo imparato a tenere un fazzoletto nella sinistra per coprire la menomazione. Gustavo si alzò e mi sorrise. Andammo a passeggiare nel giardino che a quei tempi era assai ben curato. Lui mi parlò dei suoi progetti, del suo lavoro, mi diede notizie di Francisco, di Rafaela, dei nostri amici. Mi trattò esattamente come prima, mi spiegò come aveva perso l'occhio, accennò alla crudeltà dei compagni di scuola, mi disse cose che non aveva mai detto a nessuno, nemmeno a Francisco. Diceva che io le potevo capire.
Mi parlò di quel che avevamo discusso tante volte a Rosario fino all'alba. Mi disse che chi subisce qualche disgrazia sarà sempre discriminato, ma che proprio quella sventura è la sua forza e la sua fortuna. Quell'individuo deve ritornare nel consorzio umano che senza di lui non può progredire, altrimenti lui stesso s'inaridisce perché resta chiuso nella sua amarezza. Mi disse queste cose con la massima serietà e la massima delicatezza. Alla luce del portico vidi che piangeva e compresi che piangeva per la mia anima. Nessuno aveva mai avuto per me tanta stima da comportarsi in quel modo. Non seppi cosa dire. Quella notte pensai a lungo, e non senz'angoscia, a cosa fare di me. Poiché volevo con tutto il cuore essere una persona di valore, fui costretta a chiedermi come potevo esserlo se nella vita non ci fosse stato qualcosa, come un'anima o uno spirito, che potesse sopportare qualunque sventura o menomazione senza esserne sminuito. Perché esista una persona di valore, il valore non può essere soggetto ai capricci della fortuna, dev'essere una qualità che non cambia, qualunque cosa succeda. Molto prima dell'alba compresi che stavo cercando di mettere a fuoco una cosa che sapevo da sempre, ossia che il coraggio è una forma di costanza e che per prima cosa il codardo abbandona sempre se stesso. In seguito tutte le altre viltà vengono da sole.
Sapevo che il coraggio veniva più facilmente ad alcuni che ad altri, ma ero convinta che chiunque lo desiderasse potesse averlo. Che il desiderio fosse la cosa stessa. Questo era più vero per il coraggio che per qualunque altra cosa mi venisse in mente.
Infatti molte cose dipendono dalla fortuna. Solo molti anni dopo compresi quanta determinazione doveva aver avuto Gustavo per parlarmi così. Per venire a casa di mio padre in quel modo, senz'alcun timore di essere respinto o di rendersi ridicolo. Ma soprattutto compresi che il suo dono non consisteva nemmeno nelle parole. Mi aveva comunicato qualcosa che non si poteva esprimere a parole, e da quel giorno cominciai ad amare l'uomo che me l'aveva comunicato. E benché oggi quell'uomo sia morto da quasi quarant'anni, i miei sentimenti non sono cambiati.
Dueña Alfonsa sfilò un fazzolettino dalla manica e si sfiorò le palpebre, poi alzò lo sguardo.
Mi scusi. Ad ogni modo lei è molto paziente. Il resto della storia non è difficile da immaginare. I fatti sono ben noti. Nei mesi successivi il mio spirito rivoluzionario s'infiammò di nuovo e i risvolti politici delle attività di Francisco Madero divennero più evidenti. Appena lo presero più seriamente comparvero molti nemici e il suo nome arrivò alle orecchie del dittatore Diaz. Per finanziare le sue attività Francisco fu costretto a vendere la proprietà che aveva acquistato in Australia. In seguito venne arrestato e poco dopo fuggì negli Stati Uniti. La sua determinazione non venne mai meno, però in quegli anni ben pochi avrebbero indovinato che Francisco sarebbe diventato il presidente del Messico. Lui e Gustavo tornarono armati. La rivoluzione era cominciata.
Nel frattempo la famiglia mi aveva mandata in Europa e laggiù io rimasi. Infatti mio padre, pur ammettendo molto francamente le colpe dei latifondisti, era lontanissimo dalle concezioni rivoluzionarie e non intendeva farmi tornare a casa finché non gli avessi promesso di dissociarmi dai Madero, ma io non lo potevo fare. Gustavo ed io non ci fidanzammo mai. Le sue lettere divennero meno frequenti e un bel giorno cessarono del tutto. Poi mi dissero che si era sposato. Non gliene feci una colpa allora come non gliela faccio adesso. Durante la rivoluzione per alcuni mesi il finanziamento dell'attività bellica venne sostenuto interamente dalle sue tasche. Ogni pallottola, ogni crosta di pane. Alla fine, quando Diaz fuggì e s'indissero libere elezioni, Francisco fu il primo presidente della repubblica eletto col voto popolare. E anche l'ultimo.
Ora le parlerò del Messico. Le racconterò che fine fecero quei bravi e valorosi uomini d'onore. A quel tempo insegnavo a Londra dove mia sorella mi raggiunse e si fermò fino all'estate. Poi mi pregò di tornare con lei, ma io rifiutai. Ero molto orgogliosa e ostinata. Non potevo perdonare a mio padre né la cecità politica né il modo in cui mi aveva trattata.
Fin dal primo giorno della presidenza Francisco Madero era circondato da cospiratori e intriganti. La sua fiducia nella fondamentale onestà degli uomini fu la sua rovina. Un giorno Gustavo gli portò davanti in punta di fucile il generale Huerta e l'accusò di tradimento, ma Francisco rifiutò di crederci e lo reinsediò nel suo incarico. Proprio Huerta, un assassino, una bestia. Era il febbraio del 1913. Ci fu una sollevazione armata. Huerta naturalmente ne era complice. Quando fu abbastanza sicuro, Huerta s'arrese ai ribelli e li guidò contro il governo. I rivoltosi arrestarono Gustavo. Poi Francisco e Pino Suàrez. Gustavo venne consegnato alla folla vociante nel cortile della ciudadela. Quei fanatici lo circondarono con torce e lanterne, l'insultarono e lo torturarono. Lo chiamarono Ojo Parado. Quando chiese di essere risparmiato per pietà della moglie e dei figli gli diedero del codardo. Lui, un codardo. Lo presero a spintoni e a botte. Lo ustionarono. Quando li scongiurò nuovamente di smetterla, uno di loro venne avanti con un punteruolo e gli strappò l'occhio sano. Lui rimase là a gemere e a barcollare nel buio e non disse più una parola. Un uomo si presentò con la pistola, gliela puntò alla testa e fece fuoco, ma siccome la folla urtò il braccio del fanatico, il colpo gli squassò la mandibola. Gustavo crollò ai piedi della statua di Morelos e venne finito da una scarica di fucilate. Fu dichiarato morto, ma un ubriaco si fece largo tra la folla e gli sparò di nuovo. Gli altri presero a calci il cadavere e lo coprirono di sputi. Uno gli tolse l'occhio di vetro e lo fece passare tra la folla come una curiosità.
La vecchia signora e il ragazzo tacquero. Il silenzio era rotto soltanto dal ticchettio dell'orologio. Dopo un po' lei alzò lo sguardo.
Ecco la comunità di cui parlava quel ragazzo meraviglioso che aveva dato tutto per loro.
Che ne fu di Francisco?
Lui e Pino Suarez vennero portati dietro il penitenziario e giustiziati. Il cinismo dei loro assassini arrivò al punto di sostenere che li avevano ammazzati mentre tentavano la fuga. La madre di Francisco scrisse un telegramma al presidente Taft chiedendogli d'intercedere per la vita del figlio. Sara andò all'ambasciata americana e consegnò personalmente il telegramma all'ambasciatore, ma probabilmente il messaggio non fu mai spedito. La famiglia andò in esilio a Cuba. Poi negli Stati Uniti. Poi in
Francia. Da sempre circolava la voce che fossero d'origine ebrea. Può darsi che fosse vero, erano assai intelligenti. Certo è che il loro destino mi sembra piuttosto simile a quello degli ebrei. La diaspora. Il martirio. La persecuzione. L'esilio. Oggi Sara vive a Colonia Roma e ha con sé i nipoti. Ci vediamo di rado ma ci sentiamo tacitamente sorelle. Quella notte, qui nel giardino di questa casa, Gustavo mi disse che un legame particolarmente forte unisce tutti coloro che hanno sofferto una gran disgrazia o una grande perdita, e questo si è dimostrato vero. I legami più stretti sono quelli creati dalla sofferenza. La comunione più profonda è quella basata sul dolore. Non tornai dall'Europa fino alla morte del babbo. Adesso rimpiango di non averlo conosciuto meglio. Penso che per molti versi non fosse adatto alla vita che aveva scelto, o che l'aveva scelto. Forse per tutti noi è così. Spesso leggeva libri di orticoltura. Qui, in questo deserto. Aveva già cominciato a coltivare il cotone da queste parti e sarebbe stato contento di vedere che era andata bene. Solo molto più tardi ho capito quanto lui e Gustavo fossero simili. Gustavo non aveva mai avuto la vocazione del soldato. Penso che entrambi non avessero capito il Messico. Come mio padre, anche Gustavo odiava gli spargimenti di sangue e la violenza. Forse non abbastanza. Francisco era il più illuso di tutti. Era il meno adatto a fare il presidente del Messico. Non era nemmeno adatto a essere messicano. Alla fine tutti noi veniamo guariti dai nostri sentimenti. Quelli che non vengono guariti dalla vita vengono guariti dalla morte. Il mondo è spietato nel separare il sogno dalla realtà, anche quando noi non vogliamo farlo. Il mondo sta in attesa fra il desiderio e la cosa desiderata. Ho riflettuto molto sulla mia vita e sul mio paese. Secondo me ci sono ben poche cose che possiamo dire di conoscere veramente. La mia famiglia è stata fortunata. Altre lo sono state meno, come spesso non mancano di far notare.
A scuola, studiando biologia, ho imparato che negli esperimenti gli scienziati prendono un gruppo di batteri, o di topi, o di uomini, e lo sottopongono a condizioni particolari, poi confrontano i risultati ottenuti con un gruppo analogo che non ha subito condizionamenti. Quest'ultimo si chiama gruppo di controllo, ed è quello che consente agli scienziati di misurare gli effetti dell'esperimento, di valutare la portata dei cambiamenti. Ma nella storia non ci sono gruppi di controllo e nessuno può dire cosa sarebbe successo altrimenti. Noi piangiamo pensando a ciò che avrebbe potuto succedere al posto di ciò che è successo, ma questa eventualità non esiste, non è mai esistita. Dicono che chi non conosce la storia è condannato a ripeterla, ma io non credo che conoscerla serva a qualcosa. L'avidità, la follia e l'attrazione per il sangue sono una costante della storia, e questa è una cosa che persino Dio — che sa tutto quel che si può sapere — sembra incapace di modificare.
Mio padre è sepolto a meno di duecento metri da qui. Io vado spesso laggiù a trovarlo e gli parlo come non sono mai riuscita a fare quand'era vivo. Lui mi ha resa un'esule in patria. Senza volerlo, ovviamente. Alla mia nascita questa casa era già piena di libri in cinque lingue, e poiché sapevo che a una donna il mondo sarebbe stato largamente negato, mi sono buttata su quest'altro mondo. A cinque anni leggevo già e nessuno mi ha mai tolto un libro di mano. Mai. Poi il babbo mi ha mandata in due delle migliori scuole d'Europa. Malgrado la severità e il piglio autoritario, mio padre si è rivelato un libero pensatore e dei più pericolosi. Lei ha parlato delle mie delusioni. Se tali sono state, mi hanno reso ancor più avventata. Mia nipote è l'unico futuro che ho davanti e quando si tratta di lei non posso fare altro che puntare tutto quello che ho. Forse la vita che desidero per lei non esiste più. Ma io so una cosa che Alejandra non sa, ovvero che non c'è niente da perdere. A gennaio compirò settantatre anni. In tutto questo tempo ho conosciuto molte persone, ma ben poche hanno fatto una vita per loro stesse soddisfacente. Io vorrei che mia nipote avesse l'opportunità di fare un matrimonio molto diverso da quello previsto dalla sua condizione. Io per lei non accetterò mai un matrimonio puramente convenzionale. Ma ancora una volta io so quello che lei non sa, ovvero che non c'è niente da perdere. Non so in che mondo vivrà e non ho preconcetti sul modo in cui dovrebbe viverci, ma so che se non imparerà ad apprezzare le cose vere più delle convenienze, non farà alcuna differenza in quale mondo vivrà. E per cose vere non intendo decorose, ma la pura e semplice verità. Lei pensa che io abbia respinto il suo fidanzamento con mia nipote perché è giovane, o privo di istruzione, o straniero, ma non è così. Io non mi sono mai stancata di istigare Alejandra contro la vanità dei suoi pretendenti, ed entrambe abbiamo coltivato a lungo l'idea che la salvezza può arrivare sotto qualunque forma, ma io le ho anche detto che nel sangue femminile della mia famiglia corre una certa stravaganza. Una certa caparbietà, una certa imprevidenza. Sapendo questo, nel suo caso, mio caro giovanotto, avrei dovuto essere più attenta, avrei dovuto vederci più chiaro. Adesso ci vedo più chiaro.
Ma lei non mi permette di esporre il mio caso.
Io conosco il suo caso e so che lei non è riuscito a dominarsi in certe cose che le sono successe quaggiù.
È vero.
Non ho dubbi, ma la sua ammissione non basta. Non ho simpatia per quelli che subiscono gli eventi. Forse sono sfortunati, ma questo non cambia le cose.
Vorrei comunque vedere Alejandra.
Dovrei essere sorpresa? Le darò persino il permesso, anche se non me l'ha chiesto. Ma Alejandra non verrà meno alla parola che mi ha dato, vedrà.
Sì signora. Lo vedremo.
La vecchia s'alzò, sfiorò la gonna per farla cadere e porse la mano al ragazzo che a sua volta s'alzò e per un breve istante le strinse la mano fresca e affusolata.
Mi spiace, ma non ci rivedremo più. Mi è costato un certo sforzo parlarle di me perché, tra l'altro, io penso che bisogna sapere chi sono i propri nemici. Ho conosciuto gente che ha passato la vita a odiare fantasmi e non era affatto felice.
Io non la odio.
Mi odierà.
Vedremo.
Sì, vedremo cosa il fato ha in serbo per noi, vero?
Pensavo che non credesse nel fato.
Dueña Alfonsa fece un gesto con la mano. Non è vero che non ci credo, ma non sottoscrivo le sue scelte. Se il fato è una legge ferrea, anche il fato vi è soggetto? A un certo punto non possiamo sfuggire al problema della responsabilità. È nella nostra natura. Qualche volta penso che tutti noi siamo come l'ometto miope della zecca, che anche noi, chini gelosamente sul nostro lavoro, prendiamo dal mucchio i tondini lisci uno per uno, convinti che nemmeno il caos possa sfuggire al nostro controllo.
Al mattino John Grady andò al dormitorio, fece colazione coi vaqueros e li salutò accomiatandosi, poi raggiunse la casa del gerente. Di lì lui e Antonio si recarono alla stalla, sellarono due cavalli e cavalcarono fino al recinto per esaminare gli animali non ancora completamente domati. Sapeva quale cavallo voleva. Quando li vide, il cavallo che aveva in mente sbuffò, si voltò e si mise a trotterellare. Era il grullo di Rawlins. Lo presero al laccio e lo portarono al corrai. A mezzogiorno John Grady l'aveva già reso trattabile, perciò gli fece fare un giretto e lo lasciò tranquillo. La bestia, non montata da settimane, non aveva nemmeno i segni delle cinghie e aveva appena imparato a mangiare la biada. Il ragazzo raggiunse a piedi la casa padronale e prese commiato anche da Maria. La cuoca gli diede uno spuntino già impacchettato e una busta rosa con lo stemma in rilievo della Purísima stampato in alto a sinistra. Una volta uscito dalla cucina, John Grady prese i soldi e se li mise in tasca senza contarli, poi piegò la busta vuota, se l'infilò nel taschino della camicia, ripassò davanti ai noci della casa padronale e raggiunse Antonio che lo aspettava tenendo i cavalli. Dopo aver scambiato un rapido e tacito abrazo con lui, il ragazzo montò in sella, girò il cavallo e s'avviò sulla strada.
Attraversò La Vega senza smontare. Il cavallo sbuffava e roteava gli occhi di fronte a tutto quel che vedeva. Quando un camion si mise in moto e si diresse verso di loro, l'animale mugolò disperato e cercò di scappare, ma lui lo costrinse a star giù, lo tenne buono con qualche pacca e gli parlò ininterrottamente finché il camion passò. Una volta uscito dal villaggio lasciò la strada e s'incamminò sull'immenso e antico bacino secco del bolsón. Attraversò un'arida playa gessosa, dove la crosta salina si rompeva sotto gli zoccoli del cavallo come colla di pesce, s'arrampicò su bianche colline di gesso cosparse di dátil stentati e scese in una chiara bajada che era incrostata d'infiorescenze gessose come una grotta cristallina esposta alla luce. In lontananza si scorgevano lunghe strisce verdi dove alberi e jacales in file serrate tremolavano vaghi e quasi sfuggenti nel chiaro mattino. Il cavallo teneva un buon passo naturale e lui gli parlava, gli diceva cose che in base alla propria esperienza erano vere e altre che gli sembravano vere, e le esponeva ad alta voce per vedere come suonavano. Spiegò al cavallo perché l'apprezzava e perché l'aveva scelto e gli assicurò che l'avrebbe protetto contro qualunque pericolo.
A mezzogiorno incrociò una strada sterrata costeggiata da acequias che portavano l'acqua fino ai bordi dei campi. Il ragazzo abbeverò il cavallo e lo fece camminare su e giù all'ombra di un boschetto di pioppi in modo che si rinfrescasse, poi spartì il pranzo con un gruppo di bambini venuti a sedersi vicino a lui. Alcuni non avevano mai mangiato il pane lievitato e guardavano il bambino più grande per capire come dovevano comportarsi. Infine i cinque bambini, seduti in fila sul bordo del sentiero, si passarono i panini al prosciutto spartiti in due e mangiarono con grande solennità. Finiti i panini, John Grady prese il coltello e divise a fette la crostata di mele e di guava fatta in casa.
Dónde vive? chiese il più vecchio.
Lui ci pensò su. I bambini restarono in attesa.
Una volta vivevo in una grande hacienda, disse. Ma adesso non sto da nessuna parte.
I bambini lo guardarono con grande attenzione e dissero: Puede vivir con nosotros. Lui li ringraziò ma disse che aveva una novia in un'altra città e che andava a chiederle di sposarlo.
Es bonita su novia?
Lui rispose che era molto bella e che aveva due occhi azzurri da non credere, ma aggiunse che il padre era un ricco hacendado mentre lui era povero. I bambini l'ascoltarono in silenzio e si dimostrarono piuttosto tristi per la sua situazione. La bambina più vecchia disse che la novia, se l'amava davvero, l'avrebbe sposato comunque, ma il bambino grande fu meno incoraggiante e disse che persino nelle famiglie ricche le ragazze non potevano contrariare la volontà paterna. La bambina gli disse di consultare la nonna, che in quelle faccende contava molto, e gli consigliò di portarle qualche regalo per ingraziarsela perché senza il suo appoggio aveva poca speranza. Tutti sapevano che era così.
John Grady annuì alla saggezza della bambina ma disse che la nonna se l'era già inimicata e che non poteva contare sul suo aiuto. A quelle parole i bambini smisero di mangiare e rimasero zitti con gli occhi bassi.
Es un problema, disse il ragazzino.
De acuerdo.
Una bambina si sporse in avanti.
Qué ofensa le dio a la abuelita? disse.
Es una historia larga, disse lui.
Hay tiempo, risposero loro.
Lui sorrise, li guardò e siccome in effetti c'era un sacco di tempo raccontò tutto quello che era successo. Raccontò che lui e un amico erano venuti a cavallo da un altro paese e per strada avevano incontrato un ragazzo squattrinato, affamato e quasi vestito di stracci col quale avevano proseguito il viaggio condividendo ogni cosa. Il ragazzino era molto giovane e aveva uno stupendo cavallo, ma temeva che Dio l'avrebbe ucciso con un fulmine, e a causa di quella paura aveva perso il cavallo nel deserto. Poi raccontò che avevano ritrovato il cavallo al villaggio di Encantada e l'avevano ripreso, ma il ragazzino successivamente era tornato a Encantada e aveva ucciso un uomo. Allora la polizia era venuta all'hacienda e li aveva arrestati, e infine la nonna aveva sborsato dei soldi per farli uscire dalla prigione ma aveva proibito alla novia di rivederlo.
Alla fine del racconto i bambini rimasero zitti. Dopo un po' la bambina gli consigliò di portare il ragazzino davanti alla nonna e di fargli confessare che era lui il colpevole, ma John Grady disse che non era possibile perché il ragazzino era morto. A quella notizia i bambini si fecero il segno della croce e si baciarono le dita. Il più grande osservò che la situazione non era molto rosea ma gli consigliò di trovare un intermediario che parlasse in suo favore alla nonna perché, se riusciva a dimostrare la propria innocenza, la nonna avrebbe cambiato idea. Secondo la bambina più grande il bambino stava dimenticando che la famiglia della novia era ricca mentre il ragazzo era povero. Quando il bambino ribatté che il ragazzo aveva un cavallo e di conseguenza non poteva essere tanto povero, tutti i bimbi guardarono John Grady per avere una conferma, ma lui dichiarò che, malgrado le apparenze, era molto povero e che il cavallo gli era stato dato proprio dalla nonna. I bambini fecero un lungo sospiro e scossero la testa. Infine la bimba più grande gli disse che doveva trovare un uomo saggio con cui discutere le proprie difficoltà, o magari una curandera, e la bimba più piccola gli disse di pregare Dio.
Quando entrò a Torreón era già notte fonda. Fermò il cavallo davanti a un albergo, lo legò ed entrò a chiedere se da qualche parte c'era una stalla a pensione, ma il portiere disse che non ne aveva la minima idea e guardò il cavallo dalla vetrina.
Puede dejarlo atràs, disse.
Atras?
Si, afuera. E indicò il retro dell'edifìcio.
John Grady guardò in quella direzione.
Por dónde?
Il portiere alzò le spalle e con la mano indicò l'ingresso. Por aqui.
Un vecchio, che guardava la strada da un sofà dell'ingresso, si voltò e disse a John Grady di non preoccuparsi perché di lì erano passate cose ben peggiori di un cavallo. Il ragazzo guardò il portiere, uscì, slegò il cavallo e lo portò dentro. Il portiere lo precedette nel corridoio, aprì la porta posteriore e lo fece uscire in cortile. Il ragazzo abbeverò l'animale in un mastello, aprì un sacco d'avena che aveva comprato a Tlahualilo e lo versò nel coperchio capovolto di una pattumiera. Poi tolse la sella, bagnò il sacco vuoto e sfregò il cavallo. Infine portò la sella con sé, si fece dare la chiave della camera e andò a letto.
Si svegliò a mezzogiorno dopo aver dormito quasi dodici ore, si alzò e andò a guardare dalla finestra che dava sul cortiletto posteriore dove il cavallo stava pazientemente passeggiando con tre bambini in groppa, un altro che se lo tirava dietro e un altro ancora aggrappato alla coda.
Passò gran parte della mattina al centralino telefonico in attesa che si liberasse una delle quattro cabine, e quando finalmente fu il suo turno Alejandra non era in casa. Si prenotò di nuovo al banco, ma la centralinista lo guardò in faccia e gli disse che avrebbe avuto più fortuna nel pomeriggio. Infatti fu così. Al telefono rispose una donna che mandò a chiamare la ragazza. Lui attese. Lei arrivò e gli disse che sapeva avrebbe chiamato.
Ho bisogno di vederti.
Non è possibile.
Invece sì. Sto venendo lì.
Non puoi.
Parto domattina, sono aTorreón.
Hai parlato con la zia? Sì.
Lei tacque un istante. Poi disse: Non posso vederti.
Sì che puoi.
Non sarò qui, fra due giorni vado a La Purisima.
Ti vengo a prendere al treno.
Non puoi, mi viene a prendere Antonio.
Lui chiuse gli occhi, strinse il telefono e disse che l'amava, che lei non aveva il diritto di promettere quello che aveva promesso alla zia nemmeno se i suoi parenti avessero minacciato di ucciderlo e che non se ne sarebbe andato senza vederla, fosse pure per l'ultima volta. Lei tacque a lungo, poi gli disse che sarebbe partita un giorno prima, raccontando che la zia non stava bene, e che si sarebbero visti l'indomani mattina a Zacatecas. Dopodiché appese.
John Grady mise il cavallo a pensione in una stalla dei barrios a sud della ferrovia e disse al patron di stare attento perché il cavallo era mezzo brado. L'uomo annuì e chiamò lo stalliere, ma John Grady capì che quello aveva le sue idee sui cavalli e che avrebbe tratto le sue conclusioni da solo. Andò in selleria a depositare la sella e lo stalliere chiuse la porta a chiave.
John Grady ritornò in ufficio e si dichiarò disposto a pagare in anticipo, ma il proprietario lo congedò con un gesto della mano. Lui uscì sotto il sole e prese l'autobus per il centro.
In un emporio comprò una piccola sacca da viaggio, due camicie e un paio di stivali nuovi, poi raggiunse la stazione, acquisto il biglietto, mangiò qualcosa al caffè e fece due passi per rodare gli stivali. Infine tornò in albergo, avvolse la pistola, il coltello e i vestiti vecchi nella coperta che usava per dormire all'aperto, fece mettere l'involto in un ripostiglio, disse al portiere di svegliarlo alle sei e andò a letto. Fuori era appena calata la sera.
Uscì dall'albergo in un mattino grigio e freddo e quando trovò posto sul treno vide cadere qualche goccia di pioggia sul finestrino. Seduto davanti a lui c'era un ragazzo con accanto la sorella. Quando il treno partì, il giovane gli chiese da dove veniva e dove andava e non parve affatto sorpreso di sentire che veniva dal Texas. Quando il cameriere passò ad annunciare la colazione, John Grady li invitò a venire con lui, ma il ragazzo rispose di no imbarazzato. D'altra parte anche lui si sentiva in imbarazzo. Raggiunse il vagone ristorante, trangugiò un piatto di huevos rancheros, bevve il caffè e guardò i campi grigi sfilare al di là del finestrino bagnato. Con la camicia e gli stivali nuovi addosso cominciò a sentirsi meglio di quanto si fosse sentito da molto tempo a quella parte. Poiché il peso che aveva sul cuore aveva cominciato ad alleggerirsi, si ripetè mentalmente quello che il padre gli aveva detto una volta, e cioè che il denaro giocato con paura non può vincere e che un uomo preoccupato non può amare. Il convoglio attraversò una desolata pianura disseminata soltanto di cholla ed entrò in una grande foresta di china. John Grady aprì il pacchetto di sigarette comprato al chiosco della stazione, se ne accese una, posò il pacchetto sulla tovaglia e soffiò il fumo sul vetro verso la campagna battuta dalla pioggia.
Il treno arrivò a Zacatecas nel tardo pomeriggio. Lui uscì dalla stazione, passò sotto gli alti archi del vecchio acquedotto di pietra e s'avviò verso il centro. La pioggia l'aveva seguito da nord, le viuzze lastricate di pietre erano bagnate e i negozi erano chiusi. Superò la cattedrale, percorse l'Hidalgo fino a Plaza de Armas e prenotò una camera al Reina Cristina Hotel. Un vecchio albergo coloniale fresco e tranquillo con un atrio dal lucido pavimento di pietra scura dove un pappagallo in gabbia guardava la gente passare. Nell'attigua sala da pranzo c'era gente che stava ancora mangiando. Si fece dare la chiave e salì in camera seguito dal facchino che gli portava la borsa. La stanza era alta e spaziosa, il copriletto era di ciniglia e sul tavolo c'era una caraffa di cristallo per l'acqua. Il facchino scostò le tende della finestra e andò nel bagno a controllare che tutto fosse in ordine. John Grady s'appoggiò al davanzale della finestra. Nel cortile sottostante un anziano, inginocchiato a curare i vasi di gerani bianchi e rossi, canticchiava ripetendo sempre la stessa strofa di un vecchio corrido.
Diede la mancia al facchino, posò il cappello sul comò, chiuse la porta e si stese sul letto a guardare le vigas modellate del soffitto, poi si alzò, prese il cappello e scese nella sala da pranzo a chiedere un panino.
Andò a passeggio nelle viuzze tortuose della città fra gli antichi palazzi e le piazzette appartate. La gente era vestita con una certa eleganza. Non pioveva più, l'aria era fresca e i negozi stavano aprendo. Si sedette su una panchina della plaza, si fece lucidare gli stivali e guardò le vetrine in cerca di un regalo per lei. Alla fine scelse una semplice collanina d'argento, pagò senza discutere il prezzo, infilò il pacchettino legato con un nastro nella tasca della camicia e tornò in albergo.
Il treno proveniente da Città del Messico e San Luis Potosi doveva arrivare alle otto. Alle sette e mezza lui era già in stazione. Il treno arrivò quasi alle nove. Lui attese sul marciapiede in mezzo alla gente, guardò scendere i passeggeri e quando la vide apparire sui gradini del vagone stentò a riconoscerla. Aveva un abito blu con la gonna fin quasi alle caviglie e un cappello blu a tesa larga, ma nessuno la scambiò per un'educanda. Il facchino prese la piccola borsa di pelle dalle sue mani, aspettò che scendesse e gliela restituì toccandosi il berretto. Quando lei si voltò a guardarlo, John Grady capì che lo aveva già visto dal finestrino. E quando gli venne incontro pensò che la sua bellezza fosse una cosa del tutto improbabile. Una presenza inspiegabile sia lì che in qualunque altro posto. Lei lo raggiunse, gli sorrise con aria triste, gli sfiorò la cicatrice della guancia con le dita e gliela baciò. Lui le restituì il bacio e le prese la borsa.
Come sei magro, disse Alejandra. Lui scrutò quegli occhi azzurri come se cercasse una visione del futuro increato dell'universo. Quasi senza fiato le disse che era molto bella, lei sorrise, ma con la stessa tristezza negli occhi che lui le aveva visto per la prima volta la sera in cui era venuta nella sua stanza. John Grady capì di esser parte di quella tristezza ma di non esserne l'unica causa.
Stai bene? chiese lei.
Sì, bene.
E Lacey?
Anche lui sta bene. È tornato a casa.
Quando uscirono dalla stazioncina lei gli prese il braccio.
Prendiamo un taxi, disse lui.
No, andiamo a piedi.
Come vuoi.
Le strade erano piene di gente e nella Plaza de Armas, davanti al
Palazzo del Governatore, alcuni carpentieri stavano montando un palco rivestito di tessuto crespo dal quale due giorni dopo avrebbero parlato gli oratori per celebrare il giorno dell'Indipendenza. Per attraversare la strada lui le prese la mano e cercò d'indovinare da quella stretta cosa lei avesse nel cuore, ma non ci riuscì.
Cenarono nella sala da pranzo dell'albergo. Lui non era mai stato in un luogo pubblico con Alejandra e non era preparato alle occhiate che gli adulti le lanciavano dai tavoli accanto, né alla grazia con cui lei le accettava. Quando il cameriere portò il caffè, lui prese il pacchetto di sigarette americane che aveva comprato in portineria, ne accese una, l'appoggiò nel portacenere e disse che doveva raccontarle tutta la storia.
Le parlò di Blevins, della prisión Castelar, di quello che era successo a Rawlins, le raccontò del cuchillero che era morto nelle sue braccia col coltello piantato nel cuore. Le disse tutto senza nascondere nulla. Alla fine entrambi rimasero a lungo in silenzio. Lei alzò gli occhi piangendo.
Parla, disse lui. Non posso.
Dimmi cos'hai.
Come faccio a sapere chi sei? So forse che tipo di uomo sei tu? O mio padre? Bevi whiskey? Vai con le prostitute? Lui ci va? Cosa sono i maschi?
Ti ho detto cose che non ho mai detto a nessuno, non ti ho nascosto nulla.
A che serve? A che serve?
Non lo so. Ma per me è giusto cosi.
Rimasero a lungo in silenzio. Poi lei lo guardò. Gli ho detto che eravamo amanti.
John Grady si sentì agghiacciare. Nella sala era calato il silenzio. Lei aveva parlato con un filo di voce, mai lui sentì un grande silenzio e non ebbe quasi il coraggio di guardarsi intorno. Poi chiese in tono disperato: Perché?
Perché la zia aveva minacciato di dirglielo. Mi aveva detto che se non la smettevo glielo avrebbe fatto sapere.
Non l'avrebbe fatto.
No, non lo so. Ma non sopportavo che lei avesse tanto potere. Così gliel'ho detto io.
Perché?
Non lo so. Non lo so.
Gliel'hai detto davvero? Sì.
Lui si appoggiò allo schienale, si mise le mani sul viso e la guardò nuovamente.
Tua zia come l'ha scoperto?
Chi lo sa. In vari modi. Forse gliel'ha detto Estéban o mi ha sentita uscire e tornare.
E tu non l'hai negato. No.
Cos'ha detto tuo padre?
Niente, non ha detto niente.
Perché non me ne hai parlato?
Eri sulla mesa. Te l'avrei detto, ma al ritorno ti hanno arrestato.
È stato lui a farmi arrestare. Sì.
Come hai potuto dirglielo?
Non lo so, è stata una follia. Per l'arroganza della zia. Le ho detto che non mi sarei fatta ricattare. Mi faceva impazzire.
La odi?
No, non la odio, ma lei mi dice sempre che devo essere me stessa e a ogni istante cerca di farmi diventare come lei. Non la odio perché non è capace di fare diversamente. Ma così ho spezzato il cuore a mio padre. Gli ho spezzato il cuore.
Non ha detto niente?
No.
Cos'ha fatto?
Si è alzato dal tavolo ed è andato in camera sua.
Gliel'hai detto a tavola? Sì.
Davanti alla zia?
Sì. Lui s'è ritirato in camera e il mattino dopo è uscito prima dell'alba. Ha sellato un cavallo ed è partito portandosi dietro i cani. È andato in montagna da solo. Credo volesse ammazzarti.
Alejandra piangeva. La gente guardava il loro tavolo. Lei abbassò gli occhi e rimase a singhiozzare in silenzio con le spalle che sussultavano e le lacrime che le colavano sulle guance.
Non piangere, Alejandra. Non piangere.
Lei scosse la testa. Ho distrutto tutto, volevo morire.
Non piangere. Aggiusterò tutto, vedrai.
Non è possibile, disse lei. E alzando gli occhi aggiunse: Prima di allora mio padre non sapeva cosa fosse la disperazione. Credeva di saperlo, ma non lo sapeva.
È venuto sulla mesa. Come mai non mi ha ucciso?
Non lo so. Forse temeva che io mi ammazzassi.
L'avresti fatto?
Non lo so.
Aggiusterò le cose, devi solo lasciarmi fare.
Lei scosse la testa. Tu non capisci.
Che cosa non capisco?
Non sapevo che mio padre avrebbe smesso di amarmi. Non immaginavo che fosse possibile. Ora lo so.
Prese un fazzolettino dalla borsa.
Mi dispiace, disse. La gente ci guarda.
Durante la notte piovve e le tende continuarono a veleggiare nell'aria. Al rumore della pioggia che cadeva in cortile lui la tenne stretta a sé, bianca e nuda. Lei pianse e gli disse che l'amava, lui le chiese di sposarlo e le disse che era in grado di guadagnarsi la vita, che potevano andare a vivere e a farsi una famiglia nel suo paese e tutto sarebbe andato bene. Alejandra non riuscì a chiudere occhio e all'alba lui si svegliò e la vide alla finestra con la propria camicia addosso.
Viene la madrugada, disse lei. Sì.
Lei andò a sedersi sul letto. Ti ho visto in sogno. Ti ho visto morto in un sogno.
Stanotte?
No, tanto tempo fa. Prima di tutta questa storia. Hice una manda. Una promessa. Sì.
Per la mia vita.
Sì. Ti portavano per le strade di una città che non avevo mai visto. Era l'alba. I bambini pregavano. Lloraba tu madre. Con mas razón tu puta.
Lui le mise una mano sulla bocca. Non dire così. Non puoi dire così.
Lei gli prese la mano e la tenne fra le sue sfiorandogli le vene del dorso.
All'alba uscirono a passeggiare nelle strade della città, chiacchierarono con gli spazzini e con le donne che lavavano l'ingresso delle botteghe, fecero colazione in un caffè e continuarono a passeggiare nei piccoli paseos e callejones. Le vecchie che vendevano caramelle, melcochas e charamuscas stavano mettendo in mostra la merce per terra. John Grady le comprò un po' di fragole e il ragazzino che le vendeva le pesò su una piccola stadera d'ottone e gliele mise in un cartoccio confezionato al momento. Visitarono il vecchio Jardin Independencia dove si ergeva la statua di un angelo di pietra bianca con un'ala rotta: la catena delle manette che gli stringevano i polsi era spezzata e pendeva giù. In cuor suo lui contò le ore che mancavano all'arrivo del treno proveniente da sud col quale lei sarebbe forse partita per Torreón e le giurò che se gli avesse affidato la vita non l'avrebbe mai tradita né abbandonata e l'avrebbe amata fino alla morte e lei disse che gli credeva.
Verso mezzogiorno, mentre stavano tornando all'albergo, lei gli prese la mano e gli fece attraversare la strada.
Vieni, disse. Ti faccio vedere una cosa.
Superarono la cattedrale e un porticato e imboccarono una via. Dove mi stai portando? chiese lui.
In un posto.
Percorsero la viuzza tortuosa, oltrepassarono una conceria e la bottega
di un lattoniere e sbucarono in una piazzetta. Là Alejandra si voltò.
Qui è morto il nonno, disse. Il padre di mia madre.
Dove?
Qui. Nella Plazuela de Guadalajarita.
Durante la rivoluzione?
Sì, il 23 giugno del 1914. Era con la Brigata Zaragoza al comando di
Raúl Madero. Aveva ventiquattro anni. Erano scesi dal nord, Cerro de Loreto, Tierra Negra. Oltre questa piazza a quel tempo c'erano solo i campi. Il nonno è morto in questo strano posto. Esquina de la Calle del Deseo y el Callejón del Pensador Mexicano. Non c'era la madre a piangerlo, come nei corridos. Né uccellini che volavano. Solo il sangue sul selciato. Volevo che tu lo vedessi. Ora possiamo andare.
Quién fue el Pensador Mexicano?
Un poeta, Joaquín Fernández de Lizardi. Ebbe una vita molto difficile e morì giovane. Invece Via del Desiderio è come la Calle de Noche Triste. Sono nomi adatti al Messico. Andiamo.
Quando arrivarono in albergo, la cameriera che stava pulendo la stanza uscì. Loro tirarono le tende, fecero l'amore e dormirono abbracciati. Si svegliarono all'imbrunire. Lei uscì dalla doccia avvolta in un asciugamano, si sedette sul letto, gli prese la mano e lo guardò. Non posso fare quello che mi chiedi, gli disse. Vorrei. Ma non posso.
Lui percepì chiaramente che quel momento era l'esito di tutta la vita e che dopo non c'era più nulla. Sentì una cosa fredda e inanimata entrargli dentro come un'altra creatura, immaginò un sorriso maligno sulle sue labbra e non ebbe nessun motivo per credere che se ne sarebbe mai andata. Quando lei uscì di nuovo dal bagno era vestita, lui la fece sedere sul letto e le parlò stringendole le mani, ma lei si limitò a scuotere la testa, a nascondere il viso rigato di lacrime e a dirgli che era tempo di andare, che non poteva perdere il treno.
Quando furono in strada lei gli prese la mano e lui le portò la borsa. Percorsero l'alameda sopra la vecchia arena di pietra, superarono il podio dell'orchestra scolpito nel marmo e scesero una scalinata. Un vento secco soffiava da sud e le cornacchie gracchiavano appollaiate sugli eucalipti. Il sole era tramontato, la luce blu del crepuscolo inondava il parco e i gialli lampioni a gas illuminavano le mura dell'acquedotto e i vialetti che si perdevano fra gli alberi.
Al binario lei gli appoggiò la testa sulla spalla, lui le parlò, ma lei non rispose. Il treno arrivò sbuffando e si fermò ansimante con i finestrini illuminati dei vagoni che si perdevano lungo il binario ricurvo come grandi tessere di domino accese nel buio. John Grady non potè fare a meno di paragonare l'arrivo del convoglio a quello di ventiquattrore prima. Lei si toccò la catenella d'argento al collo, prese la borsa per terra, lo baciò per l'ultima volta col viso rigato di lacrime e si voltò. Lui la guardò andare via come in un sogno. Lungo il binario le famiglie e gli innamorati si salutavano. Vicino a lui un uomo fece girare in aria una bimba che aveva in braccio. La bimba rise, ma quando vide la faccia del ragazzo diventò seria. Senza capacitarsi di come avrebbe potuto resistere fino alla partenza del treno lui restò lì, e quando il treno scomparve si voltò e uscì dalla stazione.
Pagò il conto all'albergo, prese la sua roba e uscì, s'infilò in una viuzza secondaria, entrò in un bar dalla cui porta aperta usciva una rauca e ibrida musica da birreria del nord, si prese una bella sbronza e si trovò coinvolto in una rissa. Si svegliò in un'alba grigia su un lettino di ferro dentro una stanza verde dalla cui finestra con le tende di carta proveniva il canto di un gallo.
Si studiò la faccia in uno specchio tutto chiazzato. Aveva la mascella gonfia e tumefatta. Spostando un pochino la testa riusciva a ridare una certa simmetria alle due metà della faccia e se teneva la bocca chiusa il dolore era tollerabile. La camicia era strappata e macchiata di sangue e la borsa da viaggio era sparita. Aveva alcuni vaghi ricordi della notte precedente, ma non sapeva se erano veri. Ricordava che in fondo a una via c'era un uomo, e quell'uomo assomigliava terribilmente a Rawlins quando per l'ultimo addio s'era voltato a salutarlo con la giacca buttata sulla spalla. Un uomo che non era andato a rovinare nessuna famiglia. Nessuna figlia. Vide una luce sulla porta di un magazzino di lamiera ondulata dove nessuno entrava e nessuno usciva. Vide un terreno spoglio in una città battuta dalla pioggia e in mezzo al terreno c'era una cassetta da imballaggio. Alla luce smorta e giallastra di un lampione vide spuntare dalla cassetta un cane che sembrava un cane da circo abbandonato. Il cane si fece strada con aria bastonata fra i detriti sparsi qua e là e svanì ingloriosamente fra le case buie.
Uscì all'aperto senza sapere minimamente dov'era. Cadeva una leggera pioggerellina. Cercò di orientarsi guardando La Bufa che si elevava a ponente sopra la città, ma si perse ben presto nelle viuzze tortuose. La donna cui chiese la strada per il centro gli indicò una via e lo guardò allontanarsi. Arrivato all'Hidalgo, John Grady vide una muta di cani randagi venirgli incontro spedita, e quando gli passò davanti, un cane scivolò sulle pietre bagnate, cercò di rialzarsi e ricadde. Gli altri gli si avventarono contro col pelo ritto ringhiando e mostrando le zanne, ma il cane caduto si rialzò prima di essere sopraffatto e il gruppo ripartì come se nulla fosse. John Grady raggiunse la periferia, prese la strada diretta a nord e cominciò a fare autostop col pollice alzato. Era quasi senza soldi e aveva molta strada da fare.
Viaggiò tutto il giorno su una vecchia cabriolet La Salle scoperta. L'uomo al volante, vestito in abito bianco, gli disse che quell'auto era l'unico esemplare del genere in tutto il Messico, che lui da giovane aveva girato il mondo e aveva studiato il bel canto a Milano e a Buenos Aires. Mentre correvano nella campagna l'uomo intonò alcune arie accompagnandosi con gesti teatrali.
Tramite quello e altri passaggi John Grady raggiunse Torreón l'indomani a mezzogiorno, passò in albergo a ritirare la sua roba e andò alla stalla a prendere il cavallo. Quando vide il ragazzo sporco, non rasato e stracciato il proprietario annuì comprensivo e non si dimostrò per niente stupito.
John Grady montò in sella, ma nel traffico di mezzogiorno il cavallo, bizzoso e intimorito, si mise a scalciare in strada e ammaccò la fiancata di un autobus con gran divertimento dei passeggeri che si sporsero a incitarlo e a provocarlo dai finestrini.
Nella calle Degollado smontò davanti a un'armeria, legò il cavallo a un lampione ed entrò a comprare una scatola di pallottole calibro 45 Long Colt. In periferia si fermò in una tienda a comprare tortillas, fagioli in scatola, un po' di salsa e un po' di formaggio, poi avvolse la roba nella coperta da bivacco e legò l'involto dietro la sella; infine riempì la borraccia, montò a cavallo e si diresse a nord. La pioggia aveva rigenerato tutta la campagna, nei fossi ai margini della strada l'erba era di un bel verde chiaro e dappertutto sbocciavano i fiori. Quella notte John Grady dormì all'aperto lontano da qualsiasi villaggio senza accendere il fuoco e rimase sdraiato ad ascoltare il cavallo in pastoie che brucava l'erba e il vento che fischiava nel vuoto. Guardò le stelle compiere un semicerchio e morire nelle tenebre ai confini del mondo e sentì un'angoscia mortale trafiggergli il cuore. Immaginò la sofferenza del mondo come un parassita informe in incubazione che per svilupparsi cercava il calore delle anime umane. Credeva di sapere cosa rendeva gli uomini soggetti alle sue visite, ma quel che non sapeva ancora era che quella creatura era priva di mente e quindi incapace di conoscere i limiti dell'anima. Ed ebbe paura che l'anima potesse non avere alcun limite.
Il pomeriggio del giorno dopo era già in pieno bolsón e l'indomani affrontò la vasta pianura irregolare e desolata che precedeva le montagne del deserto settentrionale. Poiché il cavallo non riusciva a mantenere l'andatura, il ragazzo fu costretto a farlo riposare spesso e a cavalcare di notte in modo che gli zoccoli potessero beneficiare della poca umidità notturna. In lontananza nella pianura vide la fioca luce gialla dei villaggetti rompere le tenebre prive di punti d'orientamento e si rese conto che per lui la vita di quei villaggi era inimmaginabile. Cinque giorni dopo, di notte, arrivò a un crocevia dove c'era un piccolo pueblo a lui sconosciuto. Fermò il cavallo all'incrocio e al chiarore della luna piena lesse i nomi dei villaggi incisi a fuoco sui cartelli indicatori inchiodati al palo. San Jerónimo, Los Pintos, La Rosita. Al fondo, un cartello con la scritta La Encantada indicava la direzione opposta. Si trattenne a lungo a riflettere. Poi sputò e guardò il buio a occidente. Al diavolo, disse. Non lascerò il mio cavallo quaggiù.
Viaggiò tutta la notte e al primo chiarore dell'alba, in groppa al cavallo stremato, s'inerpicò su un'altura al di sotto della quale scorse il villaggio, il chiarore giallino delle prime finestre illuminate, le case dai vecchi muri di fango e gli esili fili di fumo che si levavano verticalmente nell'alba senza vento perdendosi nell'oscurità. L'aria era così immobile che il villaggio sembrava appeso a quei fili. John Grady smontò, srotolò la coperta, si mise metà delle pallottole in tasca, controllò che la rivoltella avesse il tamburo carico e se la infilò nella cintura, poi rifece l'involto, lo assicurò di nuovo dietro alla sella, rimontò a cavallo ed entrò nel villaggio.
Le vie erano deserte. Legò il cavallo davanti al negozio, raggiunse a piedi la vecchia scuola, si fermò sul portico a guardare dentro alle finestre e cercò di aprire la porta. Poi raggiunse il retro dell'edificio, ruppe un vetro, girò la maniglia dall'interno ed entrò con la pistola in pugno. Attraversò la stanza, guardò fuori dalla finestra, andò alla scrivania del capitano, aprì il cassetto più alto, prese le manette e le posò sul tavolo. Infine si sedette coi piedi sulla scrivania.
Un'ora dopo arrivò la donna delle pulizie, aprì la porta con la chiave e, vedendolo lì seduto, rimase interdetta.
Pásale, pásale. Está bien, disse lui.
Gracias.
La donna fece per attraversare la stanza e raggiungere il retro, ma lui la fermò e la fece sedere su una sedia metallica addossata al muro. La donna si sedette tranquillamente senza fare storie e attese.
Il ragazzo vide il capitano dall'altra parte della strada e sentì risuonare i suoi passi sull'assito del portico. L'ufficiale entrò col caffè in una mano, le chiavi nell'altra e la posta sotto il braccio, ma vedendo John Grady con la pistola in mano e il calcio appoggiato alla scrivania, si immobilizzò.
Cierra la puerta, disse il ragazzo.
Il capitano lanciò un'occhiata alla porta. John Grady si alzò e armò la pistola. Nel silenzio del mattino si udirono chiaramente il clic del cane e lo scatto del tamburo che ruotava in posizione. La donna si tappò le orecchie con le mani e chiuse gli occhi. Il capitano accostò lentamente la porta col gomito.
Che cosa vuoi?
Il mio cavallo.
Il tuo cavallo?
Sì.
Io non ce l'ho.
Sarà meglio che mi dici dov'è.
Il capitano guardò la donna che si copriva ancora le orecchie ma aveva gli occhi aperti.
Vieni avanti e appoggia la roba sulla scrivania, disse John Grady.
Il capitano appoggiò il caffè e la posta sul tavolo e rimase in piedi con il mazzo di chiavi in mano.
Metti giù le chiavi.
Il capitano le posò.
Voltati.
Ti stai cacciando in un brutto guaio.
I guai che ho avuto io non te li sogni nemmeno. Voltati.
II capitano si voltò. Lui aprì la fibbia della fondina, prese la pistolad'ordinanza, la disarmò e se l'infilò nella cinta.
Voltati.
Il capitano si voltò con le mani in alto anche se nessuno gli aveva chiesto di alzarle. John Grady prese le manette e se le appese alla cintura.
Dove vuoi mettere la criada?
Mande?
Non importa, andiamo.
Prese il mazzo di chiavi, lasciò la scrivania e spinse avanti il capitano, poi fece un gesto del capo alla donna. Vámonos, disse.
Uscirono dalla porta posteriore ancora aperta e raggiunsero la prigione. John Grady tolse il catenaccio e aprì la porta. Il vecchio, seduto al solito posto nel chiaro triangolo di luce, strizzò gli occhi.
Ya estás, viejo?
Sí, cómo no.
Ven aquí.
Il vecchio ci mise un sacco di tempo ad alzarsi e barcollò verso la porta reggendosi al muro. John Grady gli disse che era libero di andarsene e fece segno alla donna di entrare scusandosi per il fastidio ma lei gli rispose di non preoccuparsi. Lui sprangò la porta, si voltò e, vedendo che il vecchio era ancora lì, gli disse di andare a casa. Il vecchio guardò il capitano.
No lo mire a él, disse John Grady. Te lo digo yo. Ándale.
Il vecchio gli prese la mano per baciarla, ma John Grady la ritirò bruscamente.
Porta via le chiappe di qui. Non badare a lui, sparisci.
Il vecchio caracollò verso il cancello, l'aprì, uscì nella via, richiuse il cancello e sparì.
Poco dopo nella strada comparve il capitano che si tirava dietro un cavallo sul quale c'era John Grady coi polsi ammanettati davanti a sé e con le pistole infilate nella cintura ma coperte dalla giacca. Quando raggiunsero la casa azzurra del charro, il capitano bussò alla porta. Venne ad aprire una donna che guardò il capitano e rientrò in casa. Poco dopo il charro si presentò sulla porta, salutò con un cenno del capo masticando uno stuzzicadenti, e fissò John Grady e il capitano. Poi di nuovo John Grady.
Tenemos un problema, disse il capitano.
Il charro non potendo vedere le pistole infilate nella cintura del ragazzo, continuò a succhiare lo stuzzicadenti senza capire perché il capitano si comportasse in quel modo.
Ven aquí, disse John Grady. Cierra la puerta.
Quando il charro si vide la pistola puntata in faccia, John Grady percepì chiaramente le rotelline del suo cervello che giravano vorticosamente modificando le impressioni precedenti e rimettendo ogni cosa al suo posto. Il charro si allungò a chiudere la porta, guardò il cavaliere col sole negli occhi, si spostò leggermente e lo guardò di nuovo.
Quiero mi caballo, disse John Grady.
Il capitano alzò le spalle. Il charro lo guardò. Poi guardò di nuovo il ragazzo, lanciò un'occhiata sulla destra e abbassò gli occhi. Al di là del recinto di ocotillo John Grady vide alcuni tuguri di fango e il tetto in lamiera arrugginita di una costruzione più grande. Scese da cavallo con le manette appese a un solo polso.
Vamonos, disse.
Il cavallo di Rawlins era in una stalla di fango dietro la casa e appena sentì il ragazzo parlare alzò la testa e nitrì. John Grady intimò al charro di andare a prendere i finimenti e controllò con la pistola in pugno che il charro imbrigliasse la bestia, poi gli prese le redini di mano e gli chiese dov'erano gli altri cavalli. Il charro deglutì e guardò il capitano. John Grady afferrò il capitano per il colletto, gli puntò la pistola alla tempia e disse al charro di non guardare più il capitano se non voleva vederlo morto all'istante. Allora il charro tenne gli occhi bassi e John Grady gli disse che non aveva né pazienza né tempo, che il capitano era comunque spacciato ma che lui poteva ancora salvarsi. Aggiunse che Blevins era suo fratello, che lui aveva giurato di non tornare a casa senza la testa del capitano e che se lui non ci riusciva ci avrebbero comunque provato a turno i suoi fratelli. Il charro perse il controllo e guardò ugualmente il capitano, ma poi chiuse gli occhi e si voltò coprendosi la cima della testa con la mano. John Grady, che in quel momento stava guardando il capitano, per la prima volta vide negli occhi dell'uomo l'ombra del dubbio. Il capitano cominciò a parlare al charro, ma lui lo strattonò per il colletto tenendogli la pistola alla tempia e gli disse che alla prossima parola l'avrebbe fatto secco sul colpo.
Tú, chiese al charro, dónde están los otros caballos?
Il charro guardò dentro la stalla. Sembrava una comparsa teatrale che recitava la sua unica battuta.
En la hacienda de Don Rafael, rispose.
Si diressero verso il villaggio, il capitano e il charro davanti, entrambi sul cavallo di Rawlins senza sella, e John Grady dietro, ammanettato come prima e con una briglia di scorta gettata sulla spalla. Quando passarono in centro le vecchie che spazzavano l'ingresso di casa si fermarono a guardarli.
A metà mattina raggiunsero l'hacienda a una decina di chilometri dal villaggio, entrarono dal cancello aperto e, accompagnati dai cani che correvano davanti ai cavalli saltellando e abbaiando, si diressero alle stalle che stavano dietro la casa.
Al corrai John Grady diede l'alt, si tolse le manette, le mise in tasca e prese la pistola dalla cintura, poi smontò, aprì il cancello e fece entrare nel recinto l'altro cavallo. Infine entrò anche lui sul grullo, chiuse il cancello, ordinò ai due prigionieri di smontare e indicò la stalla con la pistola.
La stalla in mattoni era nuova e aveva un tetto molto alto di lamiera. Il portone all'estremità opposta era chiuso, le ante dei box accostate e l'interno piuttosto buio. John Grady spinse avanti il capitano e il charro con la pistola. Sentiva i cavalli sbuffare nei box e i piccioni tubare in alto sulle travature.
Redbo, chiamò.
Il cavallo nitrì in risposta all'estremità della stalla.
Vamonos, disse John Grady spingendoli avanti.
Alle loro spalle un uomo si stagliò sul portone d'ingresso e chiese:
Quién está?
John Grady si defilò dietro al charro e gli puntò la pistola nelle costole. Respóndele, disse.
Luis, disse il charro.
Luis? Si.
Quién más?
Raúl, el capitán.
L'uomo rimase incerto. John Grady si mise alle spalle del capitano.
Tenemos un preso, disse.
Tenemos un preso, disse forte il capitano.
Un ladrón, sussurrò il ragazzo.
Un ladrón.
Tenemos que ver un caballo.
Tenemos que ver un caballo, ripetè il capitano.
Cuál caballo?
El caballo americano.
L'uomo esitò un istante e si tolse dalla luce del portone. Nessuno aprì bocca.
Qué pasó, hombre? gridò l'uomo.
Nessuno rispose. John Grady osservò l'aia battuta dal sole fuori dalla stalla. Vide l'ombra dell'uomo accanto alla porta. Poi l'ombra scomparve. Il ragazzo rimase un poco in ascolto e spinse i due uomini verso il fondo della stalla.
Vámonos, disse.
Chiamando di nuovo il cavallo John Grady localizzò il box, l'aprì e fece uscire Redbo che subito gli strofinò il muso sul petto. Quando lui gli parlò, il cavallo nitrì, si voltò e partì al trotto verso la luce del sole senza briglia o cavezza. Mentre tornavano indietro, altri due cavalli sporsero la testa dai box: il secondo era il grande baio di Blevins.
Il ragazzo si fermò a guardarlo, chiamò il charro, prese la briglia di scorta che aveva sulla spalla e gliela porse dicendogli di metterla al cavallo e di portar fuori la bestia. Sapeva che l'uomo venuto alla stalla aveva visto i due cavalli nel corrai, uno sellato e l'altro no, e immaginò che fosse rientrato in casa a prendere il fucile e che probabilmente sarebbe tornato prima che il charro potesse imbrigliare il baio di Blevins. E aveva visto giusto. Quando tornò alla stalla, l'uomo chiamò il capitano e il capitano guardò John Grady. Il charro rimase fermo con la briglia in una mano e il muso del cavallo nell'incavo del braccio.
Ándale, disse John Grady.
Raúl, chiamò l'uomo.
Il charro fece passare la briglia sulle orecchie dell'animale e rimase davanti al box con le redini in mano.
Vámonos, disse John Grady.
Su una rastrelliera della stalla c'erano corde e altri finimenti. Lui prese un rotolo di corda, lo porse al charro e gli disse di legarne un capo al sottogola del cavallo di Blevins. Sapeva che non c'era bisogno di controllare perché il charro non avrebbe osato sgarrare. Intanto Redbo s'era fermato sul portone e guardava l'uomo appiattito contro la parete esterna della stalla.
Quién está contigo? chiese l'uomo.
John Grady prese le manette di tasca e disse al capitano di voltarsi e di mettere le mani dietro la schiena. Il capitano esitò guardando il portone, ma il ragazzo alzò la pistola e tirò su il cane.
Bien, bien, disse il capitano. John Grady gli chiuse le manette ai polsi, lo spinse avanti e fece segno al charro di seguirli col baio. Intanto il cavallo di Rawlins era uscito dalla stalla e sfregava il muso su quello di Redbo. Poi entrambe le bestie alzarono la testa e guardarono i tre uomini che avanzavano dentro la stalla con l'altro cavallo.
Sulla linea d'ombra che segnava l'ingresso della stalla John Grady prese la corda del baio dalle mani del charro.
Espera aquí, disse. Si.
Poi spinse avanti il capitano.
Quiero mis caballos, nada más, disse.
Nessuno rispose.
Lasciò andare la corda e diede una pacca al cavallo che uscì dalla stalla trotterellando con la testa di lato per non pestare la corda. All'esterno l'animale si voltò, toccò il cavallo di Rawlins con la fronte e si fermò a guardare l'uomo rannicchiato contro il muro che probabilmente gli fece segno d'andar via perché il cavallo tirò indietro la testa di scatto e batté le ciglia, ma non si mosse. John Grady prese il capo della corda, la passò in mezzo alle braccia ammanettate del capitano, fece un passo avanti e l'attaccò al palo che reggeva la porta della stalla. Poi uscì e puntò la canna della rivoltella fra gli occhi dell'uomo accucciato all'esterno.
L'uomo lasciò cadere il fucile per terra e alzò le mani. Quasi nello stesso istante John Grady si sentì portare via le gambe di sotto e cadde senza aver nemmeno sentito il colpo di fucile. Però l'aveva sentito il cavallo di Blevins che s'impennò immediatamente e scappò via, ma la corda lo trattenne di colpo e lo fece cadere per terra con un gran tonfo. Con un forte fragore di ali uno stormo di piccioni s'alzò nel sole del mattino dalla capriata del tetto. Gli altri due cavalli si allontanarono al trotto e il grullo si mise a correre lungo lo steccato. Tenendo ben stretta la pistola e sapendo di essere ferito, John Grady cercò di alzarsi e di capire dov'era l'uomo che gli aveva sparato. L'uomo vicino a lui cercò di ricuperare il fucile caduto per terra, ma il ragazzo lo scoraggiò con la pistola, prese il fucile, rotolò su se stesso e coprì la testa del cavallo atterrato per impedirgli di alzarsi. Infine sollevò la testa guardingo.
No tire el caballo, gridò l'uomo che gli stava alle spalle. John Grady vide l'uomo che gli aveva sparato a una trentina di metri, in piedi sul cassone di un camion con il fucile appoggiato sulla cabina di guida. Quando il ragazzo lo prese di mira, l'uomo s'abbassò e lo guardò attraverso il lunotto posteriore e il parabrezza. John Grady puntò la pistola e con un colpo perforò il parabrezza, poi riarmò il cane e si voltò di colpo puntando l'arma sull'uomo inginocchiato alle sue spalle. Il cavallo emise un lamento e lui percepì il respiro lento e costante dell'animale contro il proprio stomaco. L'uomo alzò le mani e disse: No me mate. John Grady guardò verso il camion e vide degli stivali spuntare sotto il semiasse posteriore.
Allora si allungò sul cavallo, prese la mira e sparò. L'uomo si rannicchiò dietro la ruota posteriore, ma lui sparò di nuovo e colpì un pneumatico. L'uomo fuggì allo scoperto verso un altro riparo mentre il camion s'inclinava su un fianco e il pneumatico emetteva un fischio lento e costante nel silenzio del mattino.
Con le zampe leggermente divaricate e gli occhi spiritati Redbo e Junior tremavano all'ombra della stalla. John Grady, sdraiato sul baio con la pistola puntata sull'uomo dietro di sé, chiamò il charro, ma non ricevendo risposta lo chiamò di nuovo e gli disse di portargli una corda e una sella completa di finimenti per l'altro cavallo, altrimenti avrebbe ucciso il patron. Attesero qualche minuto. Poi il charro si presentò sul portone e per non correre rischi pronunciò ad alta voce il proprio nome come fosse un talismano protettivo.
Pasale, disse John Grady. Nadie le va a molestar.
Parlò a Redbo mentre il charro lo sellava e gli metteva i finimenti. Sentendo il respiro lento e regolare del cavallo di Blevins scaldargli la pancia e bagnargli la camicia, John Grady si accorse che stava respirando con lo stesso ritmo, come se una parte del cavallo respirasse dentro di lui, e pian piano entrò con la bestia in un'intimità ancor più profonda e priva di un nome. Si guardò la gamba e vide i calzoni macchiati di sangue e un po' di sangue per terra. Si sentiva stordito e strano, ma non aveva dolore. Quando il charro gli portò Redbo sellato, lui si scostò dal cavallo sdraiato e lo guardò. Il baio alzò gli occhi verso di lui e verso l'azzurro eterno e infinito del cielo. Lui cercò di alzarsi con l'aiuto del fucile, ma quando appoggiò il peso sulla gamba ferita sentì al lato destro una fitta tremenda e restò senza fiato. Il cavallo di Blevins sgambettò in aria e si rialzò tendendo bruscamente la corda. Con un urlo di dolore il capitano uscì dalla stalla piegato in due con le braccia alzate appese alla corda vibrante. Sembrava un animale appena stanato. Senza berretto, coi lisci capelli neri scomposti e la faccia terrea, l'ufficiale gridò aiuto. Sentiva un dolore atroce perché il cavallo di Blevins al primo colpo di fucile l'aveva strattonato con violenza slogandogli una spalla. John Grady slegò la corda dal sottogola del baio e la sostituì con quella portata dal charro, poi porse al charro un capo della prima corda e gli disse di appenderla al pomo della sella di Redbo e di portargli gli altri due cavalli. Infine guardò il capitano seduto a terra leggermente piegato di fianco e con i polsi ammanettati dietro la schiena. L'altro uomo era ancora inginocchiato per terra a un paio di metri e teneva le mani in alto. Quando John Grady lo guardò, l'uomo scosse la testa. Està loco, disse.
Tiene razón, rispose John Grady.
Poi gli disse di gridare al carabinero di uscire allo scoperto, ma nonostante due richiami l'altro rimase al riparo. John Grady sapeva che appena avesse tentato di andarsene quello gli avrebbe sparato e sapeva pure che doveva fare qualcosa per il cavallo di Blevins terrorizzato dagli spari. Prese la corda dalle mani del charro, gli diede le redini e gli disse di aiutare il capitano a montare sul grullo, poi si appoggiò contro il cavallo di Blevins e riprese fiato guardandosi la gamba. Infine guardò il charro e lo vide chinato sul capitano che non si era mosso di un dito. Fece per sparare un colpo a terra davanti all'ufficiale, ma si ricordò in tempo della paura del baio. Dopo aver lanciato un'occhiata all'uomo inginocchiato s'avvicinò al collo di Redbo usando il fucile come stampella, raccolse le redini, infilò la pistola nella cintura, mise il piede nella staffa e lanciando in aria la gamba ferita saltò in sella con uno slancio eccessivo sapendo che se falliva la prima volta non ci sarebbe riuscito nemmeno alla seconda. Soffocando un grido di dolore staccò la corda dal pomo della sella e col fucile sotto il braccio fece arretrare il cavallo verso Il capitano tenendo d'occhio il riparo dell'uomo armato. Redbo rischiò di travolgere il capitano, ma il ragazzo se ne infischiò e disse al charro di slegare la corda attaccata alla porta della stalla e di portargliela. Poiché s'era già accorto che fra i due uomini non correva buon sangue, disse al charro di legare la corda alle manette del capitano, e quando il charro ebbe eseguito l'ordine lo ringraziò.
Poi ricuperò in parte la corda, l'assicurò al pomo della sella e fece avanzare il cavallo. Vista la situazione, il capitano si alzò e disse: Momento.
John Grady non si fermò e proseguì tenendo d'occhio il riparo. Il capitano, vedendo la corda srotolarsi rapidamente, lo chiamò e si mise a correre con le mani dietro la schiena.
Momento, gridò.
Quando uscirono dal cancello il capitano era in sella a Redbo e John Grady, seduto alle sue spalle, lo teneva per la vita. Il cavallo di Blevins era legato dietro e i due cavalli sciolti precedevano il gruppo. A costo di lasciarci la pelle, John Grady era deciso a portare via i quattro cavalli, per il seguito non aveva progetti. La gamba ferita, intorpidita e pesante come un sacco di farina, sanguinava inondando lo stivale. Al cancello il ragazzo si chinò a prendere il cappello dalle mani del charro, se lo mise in testa e gli fece un cenno col capo.
Adiós, disse.
Il charro assentì e fece un passo indietro. John Grady spronò il cavallo e s'avviò sul sentiero aggrappato al capitano e voltato leggermente di fianco col fucile alla vita per controllare il corrai che ormai gli stava alle spalle. Il charro era ancora accanto al cancello, ma degli altri due uomini non c'era traccia. Il capitano seduto davanti a lui puzzava di rancido e di sudore e si era parzialmente sbottonato la giacca per infilarci la mano dentro per sostenere il braccio slogato. Quando passarono davanti alla casa non videro nessuno, ma in strada un gruppo di donne e di ragazze della cucina li sbirciavano nascoste dietro l'angolo.
Si diressero al trotto verso Encantada con Junior e il grullo che correvano sciolti davanti e il cavallo di Blevins legato dietro. Non sapendo se il grullo li avrebbe seguiti o no, rimpianse di non aver sellato Junior al suo posto, ma ormai non c'era niente da fare. Il capitano si lamentò della spalla, cercò di tirare le redini e disse che aveva bisogno di un medico e di pisciare. John Grady continuò a guardare impassibile la strada. E piscia! disse. Tanto più di così non puoi puzzare.
Poco più di dieci minuti dopo quattro uomini lanciati al galoppo e chini sul cavallo col fucile in mano comparvero alle loro spalle. John Grady lasciò andare le redini, girò su se stesso, puntò il fucile e sparò. Il baio di Blevins s'impennò come un cavallo da circo e Redbo, certamente perché il capitano aveva tirato le redini, s'arrestò di botto in mezzo alla strada. Il ragazzo andò a sbattere contro il capitano catapultandolo quasi giù dalla sella. Intanto gli inseguitori s'erano fermati e avevano messo di traverso i cavalli. Il ragazzo mise un colpo in canna con la leva e sparò di nuovo. Redbo si voltò per fronteggiare la tensione della corda cui era attaccato il baio di Blevins terrorizzato. John Grady si voltò, colpì il braccio del capitano con la canna del fucile per fargli mollare la presa, afferrò le reclini, fece voltare Redbo, lo batté sul fianco col fucile e guardò indietro. Nel frattempo gli inseguitori si erano buttati al coperto, ma lui vide l'ultimo cavallo scomparire fra i cespugli e capì dove si erano nascosti. Si chinò, prese la corda e tirò a sé il baio terrorizzato, poi ricuperò la corda e legò il cavallo al suo fianco. Infine spronò Redbo, trotterellò col baio accanto fino a raggiungere gli altri due cavalli e si buttò nella campagna irregolare che si estendeva a occidente del villaggio. Il capitano si voltò per lamentarsi di nuovo, ma il ragazzo lo strinse ancora più forte e continuò a portare con sé quel carico fetente che, irrigidito per il dolore, sembrava un manichino trascinato in giro per burla.
Scese in un ampio arroyo e mise i cavalli al passo mentre la gamba gli pulsava terribilmente e il capitano implorava di essere lasciato lì. Seguirono per un bel tratto l'arroyo che a monte girava a est verso il sole e proseguirono finché il greto non si restrinse diventando roccioso. Quando i cavalli sciolti cominciarono a muoversi con cautela occhieggiando le ripide scarpate laterali, li incitò a proseguire, s'arrampicò in mezzo ai massi caduti dall'alto, risalì la sponda rivolta a nord e seguì una cresta spoglia e sassosa dalla quale guardò indietro tenendo ben stretto il capitano. Gli inseguitori si erano dispersi a ventaglio nella campagna sottostante a circa un miglio di distanza. Prima che scomparissero alla vista in un avvallamento lui ne contò sei anziché quattro. Diede più corda al baio e riattaccò la fune allungata al pomo della sella.
Ho l'impressione che tu debba un sacco di soldi a quei bastardi, disse al capitano.
Spronò Redbo e raggiunse i due cavalli sciolti che si erano fermati più avanti a una trentina di metri a guardare indietro. Nella gola non si poteva più passare e allo scoperto non c'era nessun riparo. Aveva bisogno di un quarto d'ora di vantaggio e non ce l'aveva. Smontò di sella e, saltellando su una gamba sola, prese il grullo che indietreggiava nervosamente, staccò le redini legate al pomo della sella, mise un piede nella staffa, gli salì in groppa con una smorfia di dolore e si voltò a guardare il capitano.
Seguimi, disse. So quello che stai pensando, ma se credi di poter fuggire è meglio che ci pensi due volte. Se ti devo correre dietro, quando ti prendo ti frusto come un cane. Me entiende?
Il capitano tacque e abbozzò un sorriso sardonico. Il ragazzo annuì. Ridi, ridi pure. Ma se muoio io morirai anche tu.
Voltò il cavallo e ridiscese nell'arroyo seguito dal capitano. Dov'erano franate le rocce smontò, legò il cavallo, si accese una sigaretta e saltellò intorno ai massi col fucile in mano. Al riparo della frana si fermò, prese la pistola del capitano dalla cintura, la posò a terra, prese il coltello, tagliò una lunga striscia di stoffa dalla camicia e l'attorcigliò formando una corda che tagliò in due. Col primo pezzo legò il grilletto al calcio con forza in modo da escludere la sicura dell'impugnatura, poi legò un capo del secondo pezzo a un rametto secco e l'altro capo al cane della pistola, fermò il bastoncino con una grossa pietra e allontanò la pistola finché la corda non armò il cane. A quel punto posò la pistola a terra, la bloccò con un pietrone assicurandosi che tenesse, aspirò una bella boccata di fumo per ravvivare la brace e appoggiò attentamente la sigaretta sulla cordicella di stoffa. Infine riprese il fucile e ritornò saltellando ai cavalli.
Tolse le borracce e le briglie al grullo, accarezzò il cavallo sul muso. Mi dispiace lasciarti qui, vecchio mio. Sei stato grande, disse.
Porse le borracce al capitano, si gettò la briglia in spalla e alzò una mano. L'ufficiale lo guardò senza capire, poi allungò il braccio sano e lo aiutò a salire a cavallo dietro di sé. John Grady strinse il capitano alla vita, prese le redini, ritornò verso la cresta rocciosa dove erano rimasti i cavalli sciolti, scese dalla cresta con loro e si diresse allo scoperto nella pianura.
Individuare le orme dei cavalli su quel terreno fatto di sassi vulcanici era diffìcile ma non impossibile. Vedendo a circa due miglia una mesa rocciosa coperta di alberi che prometteva un terreno accidentato, spinse le bestie al galoppo e a meno di metà strada udì nettamente il colpo di pistola che si aspettava.
Capitano, disse. Finalmente hai sparato un colpo in difesa dei deboli.
La vegetazione che aveva individuato da lontano fiancheggiava un greto secco. John Grady s'inoltrò nella macchia, raggiunse un boschetto di pioppi, fece voltare il cavallo e osservò la piana appena attraversata. Non c'erano cavalieri in vista. Guardò il sole e giudicò che mancavano almeno quattro ore al calar della notte. Visto che Redbo schiumava ed era accaldato, lanciò un'ultima occhiata alla piana, raggiunse gli altri due cavalli che stavano bevendo in una pozza del fiume all'ombra dei salici, smontò, mise a Junior la briglia che aveva in spalla e col fucile fece segno al capitano di scendere. Poi slacciò il sottopancia di Redbo, tirò giù la sella e il sottosella, gettò il sottosella su Junior e si resse alla bestia per riprendere fiato sentendo un dolore tremendo alla gamba. A quel punto appoggiò il fucile al cavallo, gli mise la sella, strinse il sottopancia e si fermò a respirare, e quando il cavallo espirò, tirò di nuovo il sottopancia e allacciò la fìbbia.
Infine riprese il fucile e si voltò verso il capitano.
Se vuoi bere un po' d'acqua è meglio che ne approfitti adesso.
Il capitano oltrepassò i cavalli tenendosi il braccio, s'inginocchiò a bere e si lavò il collo con la mano buona, poi s'alzò con aria severa.
Perché non mi lasci qua?
Perché sei un ostaggio.
Mande?
Andiamo.
Il capitano rimase incerto.
Perché sei tornato?
Per riprendermi il cavallo. Andiamo.
Il capitano gli indicò la gamba ferita e il calzone intriso di sangue.
Così morirai.
Lasciamo decidere a Dio. Andiamo.
Non hai timore di Dio?
Non ne ho motivo. Anzi, ho un paio di cosette in sospeso con lui.
Dovresti aver paura di Dio, disse il capitano. Tu non sei un rappresentante della legge, non hai l'autorità di fare certe cose.
Appoggiato al fucile, John Grady si voltò a sputare e guardò il capitano.
Sali su quel cavallo e vai avanti. Cerca di scappare e sei un uomo morto.
Il calar della notte li sorprese ai piedi della Sierra Encantada.
Seguirono un greto secco al riparo di un dirupo sassoso, si fecero strada in mezzo a uno sbarramento di massi rotolati nel letto del torrente ed emersero su una tinaja rocciosa in mezzo alla quale c'era uno stagno perfettamente nero e perfettamente rotondo in cui si riflettevano le stelle perfettamente immobili. I cavalli sciolti scesero guardinghi lungo la sponda inclinata, sbuffarono sull'acqua e si misero a bere.
Smontarono da cavallo, raggiunsero la sponda opposta dello stagno, si sdraiarono ventre a terra sulle rocce ancora calde di sole e bevvero l'acqua nera, fresca e morbida come velluto, poi si lavarono la faccia e il collo, guardarono bere i cavalli e bevvero di nuovo.
John Grady lasciò il capitano vicino allo stagno, risali l'arroyo saltellando con l'aiuto del fucile, raccolse un po' di legna secca, accese un fuoco sulla sponda dello stagno, attizzò la fiamma col cappello e aggiunse altra legna. I cavalli riflessi nell'acqua alla luce del falò, imperlati di sudore, si muovevano pallidi e spiritati roteando gli occhi rossi. Il capitano, accasciato su un fianco al bordo dello stagno, sembrava una creatura morta prima di raggiungere l'acqua.
John Grady zoppicò intorno ai cavalli, prese la corda, la tagliò a pezzi e impastoiò le zampe anteriori degli animali, poi scaricò il fucile, si mise le pallottole in tasca, prese una borraccia, tornò accanto al fuoco e l'attizzò col cappello.
A quel punto sfilò la pistola dalla cintura, tolse il tamburo e lo mise in tasca accanto alle pallottole del fucile, poi prese il coltello, svitò l'impugnatura e mise le viti e i pezzi zigrinati nell'altra tasca. Infine riattizzò le braci col cappello, le radunò con un bastone e ci infilò dentro la canna della pistola.
Nel frattempo il capitano si era tirato su a sedere e lo guardava.
Qui ti beccheranno.
Ma noi non restiamo qui.
Io non ce la faccio più a proseguire.
Resterai sorpreso per le cose che riuscirai ancora a fare.
Si tolse la camicia, l'immerse nell'acqua e tornò accanto al fuoco riattizzandolo col cappello, poi si tolse gli stivali, si slacciò la cintura e lasciò cadere i calzoni.
La pallottola del fucile era entrata in alto nella parte esterna della coscia ed era uscita dalla parte posteriore in modo che John Grady, ruotando la gamba, riusciva a vedere entrambi i fori. Con la camicia bagnata il ragazzo tolse accuratamente il sangue rappreso finché le ferite non furono ben visibili e nette. Alla luce del falò l'area intorno ai fori sembrava bluastra e la pelle giallina. Infilò un bastoncino nel calcio della pistola, lo tirò a sé, osservò il metallo e rimise la pistola nella brace. Il capitano lo guardava tenendosi il braccio.
Ci sarà un po' di baccano, gli disse John Grady. Sta' attento a non farti pestare dai cavalli.
L'ufficiale non rispose e lo guardò attizzare il fuoco. John Grady estrasse un'altra volta la pistola dalla brace e vide la canna incandescente. Allora la posò sulla roccia, afferrò subito il calcio con la camicia bagnata e s'infilò la canna rovente nel buco della gamba.
Il capitano, che non aveva capito quello che lui stava per fare o che l'aveva capito ma non ci aveva creduto, cercò di alzarsi in piedi e cadde all'indietro rischiando di finire nell'acqua. John Grady cominciò a gridare prima che il metallo sfrigolasse nella carne e il suo urlo coprì i richiami di tutte le altre creature della notte. I cavalli si acquattarono nelle tenebre nitrendo e scalciando alle stelle. John Grady riprese fiato, urlò di nuovo e s'infilò la canna rovente nella seconda ferita tenendocela più a lungo per compensare il raffreddamento, poi s'accasciò su di un fianco e lasciò cadere la rivoltella che scivolò sulla roccia e sprofondò sibilando nello stagno.
Il ragazzo, squassato dal dolore, si morse il pollice, afferrò la borraccia aperta con l'altra mano e boccheggiando si versò l'acqua sulla ferita sentendo la carne sfrigolare come uno spiedino, poi lasciò cadere la borraccia, si alzò e chiamò dolcemente il suo cavallo per tranquillizzarlo perché l'aveva sentito raspare per terra e agitarsi in pastoie.
Quando John Grady si voltò a ricuperare la borraccia che si stava svuotando, il capitano allontanò la fiaschetta con un calcio. John Grady alzò lo sguardo. Il capitano incombeva su di lui col fucile in mano.
Tenendo il calcio sotto l'ascella gli fece segno di alzarsi.
In piedi, disse.
John Grady si mise seduto e lanciò un'occhiata ai cavalli. Ne vide solo due e pensò che il terzo fosse scappato lungo l'arroyo, ma non sapeva quale mancava, probabilmente il baio di Blevins. Si riallacciò la cintura e si rimise le bretelle.
Dove sono le chiavi? chiese il capitano.
John Grady si alzò faticosamente in piedi, si voltò e gli strappò il fucile di mano. Il cane scattò con secco rumore metallico.
Torna a sederti, disse.
Il capitano esitò e guardò verso il fuoco cercando una via di foga, ma il ragazzo provato dal dolore sentì una tal foria che se il focile fosse stato carico l'avrebbe ucciso. Afferrò la catena delle manette e la tirò con forza. Il capitano emise un gemito di dolore e s'allontanò barcollante e piegato in due reggendosi il braccio slogato.
John Grady, madido di sudore e ansimante, si mise a sedere e cercando di concentrarsi ricaricò il focile una cartuccia alla volta. Prima di allora aveva ignorato fino a che punto il dolore potesse istupidire, anzi aveva sempre pensato che acuisse i sensi, altrimenti a cosa serviva? Dopo aver caricato il focile prese un legno dal fuoco con la camicia bagnata e si recò al bordo della tinaja tenendo il tizzone sospeso sull'acqua limpidissima. Appena individuò la pistola entrò nello stagno, la prese e se l'infilò nella cintura, poi avanzò finché l'acqua non gli arrivò alla coscia e si fermò a togliersi il sangue dai calzoni e a estinguere il bruciore delle ferite. Infine si mise a parlare al cavallo che, pur impacciato dalla corda, cercò di avvicinarsi allo stagno. John Grady rimase in piedi nella scura tinaja col fucile appoggiato alla spalla, tenne in alto il tizzone che presto smise di fiammeggiare e continuò a parlare al cavallo al chiarore della brace arancione.
Lasciarono il falò acceso, scesero nella gola, ricuperarono il cavallo di Blevins e proseguirono. A sud, nella direzione da cui erano venuti, il cielo era nuvoloso e l'aria sapeva di pioggia. In groppa a Redbo senza sella, John Grady guidava il gruppo e ogni tanto si fermava in ascolto, ma non sentiva nulla. Il fooco acceso sulla tinaja, invisibile se non per i bagliori riflessi dalle rocce del rincón, si ridusse pian piano a un tenue chiarore e svanì completamente nella notte del deserto.
Uscirono dalla gola e proseguirono lungo il versante sud della cresta fra le grandi e tetre piante di aloe disseminate nel buio silenzioso e sconfinato. Immaginando che fosse mezzanotte passata, il ragazzo controllò a più riprese il capitano che lo seguiva ciondolando sul cavallo di Rawlins. Sembrava molto provato dall'avventura. Con la camicia fradicia annodata alla cinta, John Grady proseguì a petto nudo nella notte fredda dicendo al cavallo che sarebbe stata una lunga notte, e così fu. A un certo punto s'addormentò e venne svegliato dal rumore del fucile che cadeva sui sassi, allora si fermò e tornò indietro e sotto lo sguardo del capitano rimase a osservare l'arma caduta chiedendosi se ce l'avrebbe fatta a tornare in sella. In un primo momento pensò di abbandonare l'arma dov'era. Ma poi smontò da cavallo, prese il fucile, s'avvicinò a Junior, disse al capitano di togliere il piede dalla staffa, montò su Redbo e proseguì abbarbicato all'ufficiale.
L'alba lo trovò da solo su un pendio sassoso col fucile appoggiato alla spalla e la borraccia accanto ai piedi, seduto a guardare il deserto prendere forma alle prime luci del giorno. Contemplò la mesa, la pianura, la massa plumbea delle montagne a levante dove il sole stava per sorgere.
Afferrò la borraccia, svitò il tappo, bevve, prese fiato e bevve di nuovo. I primi raggi di sole spuntarono dalla cima delle montagne e nell'immobilità più assoluta illuminarono la pianura a cinquanta miglia di distanza. Sul versante opposto della valle, a circa un miglio, vide sette cervi che lo osservavano attentamente.
Restò seduto a lungo. Quando risalì sulla cresta e raggiunse la macchia di cedri in cui aveva lasciato i cavalli, il capitano era seduto per terra e sembrava stremato.
Andiamo, gli disse il ragazzo.
Il capitano lo guardò. Non ce la faccio più, disse.
Andiamo, ripete John Grady. Podemos descansar un poco más adelante. Vámonos.
Scesero dalla cresta e percorsero una lunga valletta in cerca di acqua, ma non la trovarono. Risalirono il versante orientale e scesero nella valle accanto. Sentendo il sole alto scaldargli piacevolmente la schiena, John Grady stese la camicia intorno alla vita per farla asciugare. Quando scollinarono un'altra volta a metà mattina, i cavalli erano in pessime condizioni e lui si rese conto che il capitano poteva anche morire.
Trovarono l'acqua in un serbatoio di pietra, smontarono, bevvero dal cannello, fecero bere i cavalli, si sedettero all'ombra avara delle querce morte e contorte della sorgente e osservarono l'aperta campagna. A circa un miglio alcuni buoi guardavano a est senza pascolare. John Grady guardò nella stessa direzione ma non vide nulla, poi guardò il capitano esausto e incurvato. Aveva uno stivale senza tacco, i calzoni macchiati di nero e di cenere e la cintura appesa al collo per sostenere il braccio slogato.
Non ho intenzione di ucciderti, non sono come te, disse John Grady.
Il capitano rimase muto.
Il ragazzo si tirò su, prese le chiavi di tasca e saltellando con l'aiuto del fucile andò a togliere le manette al capitano. L'ufficiale si guardò i polsi spelacchiati e macchiati dalle manette e li massaggiò dolcemente.
Togliti la camicia che ti metto a posto il braccio, disse John Grady. Mande? chiese il capitano.
Quítese su camisa.
Il capitano scosse la testa e si tenne il braccio stretto come un bambino. Non fare il furbo. Non è un invito, è un ordine. Cómo?
No tiene otra salida.
Gli sfilò la camicia, la stese a terra e ce lo fece sdraiare sopra. La spalla era livida e il braccio paonazzo. Il capitano alzò gli occhi con la fronte imperlata di sudore. John Grady si mise a sedere, infilò il piede sotto l'ascella dell'ufficiale, gli afferrò il polso e il gomito e ruotò leggermente il braccio. Il capitano lo guardò come se stesse precipitando da una rupe.
Non preoccuparti, disse. È da cent'anni che la mia famiglia cura i messicani.
Se il capitano aveva deciso di non urlare non lo diede a vedere. I cavalli s'impennarono e cercarono di nascondersi l'uno con l'altro. L'ufficiale si strinse il braccio come se volesse reclamarlo indietro, ma John Grady, sentendo che l'articolazione stava tornando a posto, gli afferrò la spalla e ruotò il braccio un'altra volta mentre il capitano boccheggiava scuotendo la testa. Infine lo lasciò andare, raccolse il fucile e si alzò.
Està compuesto? sospirò il capitano.
Sì, è tornato a posto.
Il capitano restò sdraiato tenendosi il braccio e sbattendo le ciglia.
Mettiti la camicia che è ora di andare, disse John Grady. Non ho intenzione di restare qua ad aspettare i tuoi amici.
Inerpicandosi sulle colline passarono presso una piccola estancia, smontarono, attraversarono a piedi le stoppie di un campo di mais, trovarono qualche melone e si sedettero fra le pietre dei solchi a mangiare. Poi il ragazzo, saltellando, raccolse altri meloni, li portò ai cavalli, li spaccò perché potessero mangiarli e si appoggiò al fucile a guardare la casa. Nell'aia razzolava qualche tacchino e sul retro c'era un corrai con parecchi cavalli dentro. John Grady tornò a prendere il capitano e si rimise in marcia. Quando guardò giù dalla collina che sovrastava l'estancia vide che il podere era più grande del previsto. A monte della casa si scorgevano alcuni edifici, i quadrilateri dei recinti, i muri di tufo e i canali d'irrigazione. Fra gli arbusti pascolava qua e là qualche mucca scheletrita. Un gallo cantò nella calura del mezzogiorno e un martello si mise a battere un metallo con la cadenza regolare di un fabbro.
Arrancarono lentamente sulle colline. Intanto John Grady, per evitare di tenere in mano il fucile, l'aveva scaricato, l'aveva legato alla sella del capitano, aveva rimesso insieme la rivoltella annerita dal fuoco, e dopo averla caricata se l'era infilata nella cintura. In groppa al baio di Blevins, che teneva un passo vivace, sentiva che la gamba gli faceva ancora male, ma era l'unica cosa a tenerlo sveglio.
All'ora del tramonto si fermò sul bordo orientale della mesa e osservò il paesaggio facendo riposare i cavalli. Un falco e la sua ombra attraversarono il pendio scivolando nell'aria come un uccello di carta. Il ragazzo scrutò il paesaggio e poco dopo vide alcuni uomini a cavallo a circa cinque miglia di distanza. I cavalieri scomparvero alla vista a causa di un avvallamento o di un'ombra, poi ricomparvero.
John Grady risalì seguito dal capitano che dormiva ciondolando in sella col braccio infilato nella cintura. Sull'altopiano l'aria era fresca e al tramonto sarebbe diventata più fredda. Prima di notte individuò una gola profonda nel versante settentrionale della collina appena superata, scese giù e trovò una pozza d'acqua stagnante fra le rocce. I cavalli la raggiunsero a fatica e si misero a bere.
John Grady tolse la sella a Junior, ammanettò il capitano alle staffe e gli disse che poteva andare dove voleva, sella permettendo. Poi accese un fuoco, ripulì un posto dai sassi, si sdraiò allungando la gamba dolente, infilò la pistola nella cintura e chiuse gli occhi.
Nel sonno sentì i cavalli muoversi fra le rocce e li sentì bere al buio nelle pozze d'acqua tra i sassi lisci e piatti come pietre di antiche rovine. L'acqua che gocciolava dal loro muso risuonava come se cadesse in un pozzo e nel sonno sognò che i cavalli si muovevano lentamente fra le pietre sconnesse come se fossero arrivati in un posto remoto in cui l'ordine del mondo era venuto meno e in cui ciò che era stato scritto sui sassi era stato cancellato dalle intemperie. I cavalli diffidenti si muovevano con grande cautela perché si portavano nel sangue il ricordo di posti come quelli, dove i cavalli erano stati in passato e ci sarebbero stati in futuro. Infine vide in sogno che l'ordine impresso nel cuore dei cavalli era più durevole perché era scritto in un posto in cui nessuna pioggia poteva cancellarlo.
Quando si svegliò tre uomini in piedi incombevano sopra di lui: avevano un serape sulle spalle, erano armati di pistole e uno di loro teneva in mano il fucile scarico. Malgrado il fùoco crepitasse vivace per la legna che quelli ci avevano aggiunto, John Grady sentiva un gran freddo e non aveva la minima idea di quanto avesse dormito. Quando si tirò su a sedere, l'uomo col fucile schioccò le dita e allungò la mano.
Deme las llaves, disse.
Il ragazzo prese le chiavi in tasca e gliele porse. Mentre un uomo gli restava accanto, gli altri due raggiunsero il capitano ammanettato alla sella dall'altra parte del falò e lo liberarono. L'uomo col fucile tornò da John Grady.
Cuàles de los caballos son suyos?
Todos son mios.
L'uomo lo fissò negli occhi alla luce del fuoco e andò a parlottare con gli altri. Tutti e tre tornarono indietro seguiti dal capitano coi polsi ammanettati dietro la schiena. L'uomo col fucile fece scattare l'otturatore e quando vide che l'arma era scarica l'appoggiò a una roccia e guardò John Grady.
Dónde està su serape?
No tengo.
L'uomo si sfilò la coperta dalla spalla e gliela porse con una lenta veronica, poi si voltò e insieme agli altri due s'allontanò dal cerchio di luce del fuoco. I tre uomini sparirono nelle tenebre dove avevano lasciato i cavalli e altri uomini.
Quiénes son ustedes? chiese il ragazzo.
L'uomo che gli aveva dato il serape si voltò sulla linea d'ombra e si toccò il cappello.
Hombres del pais, disse. Poi scomparvero tutti quanti.
Gente del posto, ripetè. Ascoltò i passi dei cavalli inerpicarsi fuori dalla gola e perdersi nel buio. Non li avrebbe rivisti mai più. Al mattino sellò Redbo, uscì dalla gola con gli altri due cavalli e si diresse a nord lungo la mesa.
Cavalcò tutto il giorno mentre il tempo peggiorava e il vento diventava sempre più freddo. Col fucile di traverso sulla sella e il serape sulle spalle proseguì sospingendo i cavalli davanti a sé. Alla sera tutta la parte settentrionale era plumbea e battuta da un vento gelato. John Grady percorse il bordo della mesa disseminata di conche erbose e rocce vulcaniche, poi si sedette col fucile sulle ginocchia in una bajada dell'altopiano. Nell'azzurro intenso del freddo crepuscolo i cavalli legati pascolavano alle sue spalle. Con l'ultima luce del giorno, quando il mirino del fucile era ancora visibile, cinque cervi entrarono nella bajada, drizzarono le orecchie e si misero a pascolare.
Il ragazzo mirò alla femmina più piccola e sparò. Il baio di Blevins, pur legato, s'impennò con un nitrito e i cervi fuggirono come il vento svanendo nell'oscurità. La cerbiatta colpita restò a terra a scalciare.
Lui la raggiunse nell'erba insanguinata, s'inginocchiò appoggiandosi al fucile e le mise una mano sul collo. La bestia lo guardò senza paura, con gli occhi caldi e umidi, e morì. Lui si sedette e la guardò a lungo. Pensò al capitano chiedendosi se era vivo, pensò a Blevins, pensò ad Alejandra e ricordò la prima volta che l'aveva vista passare di sera sulla strada della ciénaga col cavallo bagnato appena uscito dal lago. E ricordò gli uccelli, il bestiame al pascolo e i cavalli selvaggi sulla mesa. Il cielo era scuro e tirava un vento freddo. Nella luce morente del giorno, un'ombra viola e fredda aveva trasformato gli occhi della cerbiatta in una delle tante cose fra le quali l'animale giaceva. Erba e sangue. Sangue e pietre. Pietre macchiate dalle prime gocce di pioggia. Ricordò Alejandra e la prima volta che aveva visto le sue spalle curve per la tristezza, una tristezza che aveva creduto di capire ma di cui non aveva capito nulla, e si sentì solo come non gli era più capitato da quand'era bambino, totalmente estraneo al mondo che pure continuava ad amare. Pensò che la bellezza del mondo nascondeva un segreto, che il cuore del mondo batteva a un prezzo terribile, che la sofferenza e la bellezza del mondo crescevano di pari passo, ma in direzioni opposte, e che forse quella forbice vertiginosa esigeva il sangue di molta gente per la grazia di un semplice fiore.
Il mattino dopo il cielo era sereno, ma faceva molto freddo e a nord sulle montagne c'era la neve. Al risveglio John Grady sentì che suo padre era morto. Radunò le braci, ravvivò la fiamma, arrostì qualche pezzo di cervo e mangiò intabarrato nella coperta osservando il territorio da cui era venuto.
Si rimise in marcia e a mezzogiorno sul passo trovò la neve. Lungo il sentiero gli zoccoli dei cavalli rompevano sottili lastre di ghiaccio che coprivano le pozzanghere disseminate sulla terra nera come l'inchiostro. Arrancò fra le chiazze di neve che risplendevano al sole, attraversò uno scuro corridoio di abeti e scese lungo il versante settentrionale macchiato di luce e di ombra. Lassù l'aria sapeva di resina e di pietre bagnate e nessun uccello cantava.
Al calare del buio vide alcune luci lontane, si diresse a quella volta senza fermarsi e nel cuore della notte, sfinito al pari dei cavalli, raggiunse il villaggio di Los Picos.
Una singola strada sterrata piena di solchi per la recente pioggia. Una squallida alameda con un gazebo di frasche cadenti.
Qualche vecchia panchina di ferro. Gli alberi dell'alameda, da poco verniciati di bianco, si perdevano nel buio sopra la luce dei radi lampioni, ma rilucevano ugualmente come alberi finti di gesso appena usciti dallo stampo. Mentre i cavalli procedevano con grande cautela nei solchi di fango secco, i cani abbaiavano dai cancelli di legno e dalle porte delle case affacciate sulla strada.
Bivaccò nella zona nord del villaggio e al mattino si svegliò trovandosi di nuovo al freddo e alla pioggia. S'alzò bagnato, intirizzito e puzzolente, sellò il cavallo e tornò al villaggio avvolto nel serape sospingendo i cavalli sciolti davanti a sé.
Nell'alameda c'erano alcuni tavolini di metallo, e alcune ragazze fradice di pioggia appendevano festoni di carta ridendo fra loro. Le ragazze gettavano i rotoli di carta crespa sopra i fili e li riprendevano al volo dall'altra parte, ma avevano le mani rosse, verdi e blu perché la carta stingeva. John Grady legò il cavallo davanti alla tienda che aveva visto la sera prima, comprò un sacco d'avena per le bestie, si fece prestare un secchio per abbeverarle e s'appoggiò al fucile nell'alameda a guardarle pensando di sollevare la curiosità della gente, ma i passanti si limitavano a salutarlo con un lento cenno del capo e proseguivano. Riportò il secchio nella bottega, raggiunse il piccolo bar che dava sulla strada e si sedette a uno dei tre tavolini di legno. Il pavimento, appena spazzato, era di terra battuta. John Grady, che era l'unico cliente, appoggiò il fucile al muro, ordinò huevos revueltos e una tazza di cioccolata, aspettò che la roba arrivasse e si mise a mangiare con calma. Trovò il cibo saporito, bevve la cioccolata alla cannella, ne ordinò un'altra e mangiò una tortilla arrotolata guardando i cavalli fermi nella piazza al di là della strada. Il gazebo di frasche, coi festoni attaccati dalle ragazze, sembrava una catasta di fascine decorate. Il proprietario del bar, estremamente cortese, gli portò altre tortillas ancora calde di cornai e gli disse che era un peccato se pioveva perché c'era un matrimonio, poi gli chiese di dov'era e restò sorpreso di sapere che veniva da tanto lontano; si fermò alla finestra del caffè deserto, osservò i preparativi che si facevano in piazza, e disse che per fortuna Dio teneva i giovani ancora agli inizi all'oscuro delle verità della vita, altrimenti non se la sarebbero sentita di cominciare nulla.
A metà mattina la pioggia cessò, ma l'acqua continuava a colare dagli alberi dell'alameda e i festoni erano fradici. John Grady si fermò in strada accanto ai cavalli a guardare gli sposi e gli invitati che uscivano dalla chiesa. Lo sposo indossava un semplice abito nero troppo grande e, più che a disagio, sembrava infastidito, come se non fosse affatto abituato a portare i vestiti, mentre la sposa, imbarazzatissima, gli pendeva dal braccio. Gli sposi si fermarono sui gradini della chiesa e si misero in posa per le fotografìe di rito. Dati gli abiti tradizionali e la chiesa sullo sfondo, la scena ricordava le vecchie fotografie di una volta. In quel villaggio sperduto e in quel giorno piovoso color seppia uniforme, i due giovani erano invecchiati di colpo.
Intanto nell'alameda una vecchia avvolta in un rebozo nero inclinava i tavolini e le sedie per far scolare via l'acqua. Poi quella stessa donna e altre ancora cominciarono a imbandire i tavoli e tirarono fuori le vivande da secchi e panieri. Tre musicisti in costume argentato ma sporco si presentarono coi loro strumenti. Lo sposo prese la mano della sposa e l'aiutò a scavalcare le pozzanghere disseminate davanti alla chiesa. Nell'acqua le loro figure si riflettevano grige contro il cielo grigio. Un ragazzino saltò in una pozzanghera, inzaccherò i vestiti degli sposi e scappò via con gli amici. La sposa si aggrappò al marito, lui squadrò accigliato i monelli, ma ormai non c'era niente da fare. La sposa guardò il vestito bianco, guardò lo sposo e si mise a ridere. Allora rise anche lui e risero i parenti e gli amici, poi attraversarono la strada ridendo e guardandosi negli occhi e si presentarono nell'alameda fra i tavoli. A quel punto i musicisti cominciarono a suonare.
Con gli ultimi soldi rimasti John Grady comprò caffè, tortillas, fagioli e frutta in scatola. Le scatolette rimaste a lungo sugli scaffali avevano le etichette sbiadite e il metallo ossidato. Quando passò lungo la strada, il pranzo di nozze era in corso e i musicisti non suonavano ma bevevano in disparte qualcosa da una tazza di latta. Un uomo seduto da solo su una panchina, evidentemente estraneo al matrimonio, si voltò al lento scalpitio degli zoccoli e alzò una mano per salutare il pallido cavaliere di passaggio avvolto nel serape e armato di fucile. Il ragazzo sollevò una mano in risposta e proseguì.
Superò le ultime casette di terra e imboccò la strada diretta a nord, un sentiero fangoso che si snodava fra le colline brulle e desolate diramandosi più volte e terminando fra le rovine di una miniera abbandonata ingombra di tubi arrugginiti, pompe a stantuffo e travi marce. Salì fino al passo e verso l'imbrunire si trovò ai piedi del versante settentrionale, poi proseguì nella pianura dove solenni colonie di creosoto, diventate verdeoliva per la pioggia, si ergevano qua e là, più antiche di qualunque altro essere vivente perché popolavano da mille e più anni quella distesa disabitata e selvaggia.
Seguito dai due cavalli, il ragazzo proseguì facendo alzare stormi di colombi dagli stagni. A ovest il sole calante spuntò dalle nere nubi sui monti e arrossò una stretta striscia di cielo che sembrava un filo di sangue nell'acqua. Nella luce del tramonto il deserto fresco di pioggia s'indorò brevemente, diventò sempre più scuro e s'allargò come una macchia d'inchiostro inghiottendo la bajada, le colline e il nudo massiccio roccioso delle cordilleras che si perdevano in lontananza nel Messico. La pianura era bordata di massi caduti e nel crepuscolo le piccole volpi del deserto uscite dalla tana sostavano alla base dei massi, silenziose e regali come icone, osservando il calar della sera mentre i colombi tubavano sulle acacie. Poi venne buio pesto e il deserto piombò nell'immobilità e nel silenzio. Si sentiva solo il respiro dei cavalli e il rumore degli zoccoli sulla terra. John Grady puntò il cavallo sulla stella polare e proseguì la marcia mentre la luna sorgeva a levante e i coyote ululavano rispondendosi lungo tutta la piana.
Attraversò il fiume a occidente di Langtry, Texas, sotto una leggera pioggerellina. Tirava vento da nord, faceva freddo e il bestiame stava immobile al riparo degli anfratti del fiume. John Grady scese fra i salici seguendo le orme dei buoi, attraversò il carrizal e giunse alla riva dove l'acqua grigia mulinava sui sassi.
Studiò i gorghi della corrente, smontò, allentò il sottopancia del cavallo, si svestì e infilò gli stivali nei calzoni come aveva fatto molto tempo prima, aggiungendovi la camicia, il giubbotto e la pistola. Poi strinse la cinghia in modo da chiudere i calzoni alla vita, si gettò i calzoni in spalla, rimontò in sella nudo tenendo il fucile in alto, spinse i cavalli sciolti nella corrente e fece entrare Redbo nell'acqua.
Emerse sul suolo del Texas pallido e tremante, fermò un momento il cavallo e guardò la pianura settentrionale dove il bestiame che vagava lentamente nella bruma muggì ai cavalli, poi pensò al padre che era morto in quella terra e pianse nudo sotto la pioggia.
Nel primo pomeriggio, quando entrò a Langtry, pioveva ancora. La prima cosa che vide fu un camion col cofano alzato e due uomini che cercavano di farlo partire. Uno di loro si alzò a guardare il ragazzo e probabilmente vide un fantasma del passato perché diede una gomitata all'amico ed entrambi restarono a bocca aperta.
Salve, disse John Grady. Mi sapreste dire che giorno è oggi?
I due si guardarono.
Giovedì, rispose il primo.
Intendevo dire la data.
L'uomo lo guardò e guardò i cavalli che gli stavano dietro. La data?
Sissignore.
È il giorno del Ringraziamento, rispose l'altro.
Lui li guardò e poi guardò la strada.
Quel caffè laggiù è aperto? Sì.
John Grady alzò la mano dal pomo della sella e fece per toccare il cavallo ma si fermò.
Nessuno di voi vuole comprare un fucile?
I due si guardarono.
Forse può comprarglielo Earl, disse il primo. Di solito cerca di aiutare la gente.
È il padrone del caffè? Sì.
II ragazzo si toccò il cappello. Grazie mille, disse. Poi spronò Redbo es'avviò lungo la strada seguito dai cavalli sciolti. I due uomini lo guardarono. In silenzio perché non c'era niente da dire. Quello con la chiave inglese posò l'attrezzo sul paraurti ed entrambi rimasero fermi a guardare la scena finché il ragazzo girò l'angolo del caffè e non ci fu più niente da vedere.
Vagò lungo il confine per settimane in cerca del proprietario del baio. A Ozona, poco prima di Natale, tre uomini dichiararono su giuramento di essere i legittimi proprietari e lo sceriffo della contea sequestrò l'animale. L'udienza si tenne nell'aula del vecchio tribunale di pietra. Quando il cancelliere ebbe finito di leggere le imputazioni e i nomi, il giudice guardò John Grady.
Figliolo, hai un avvocato? disse.
Nossignore, rispose il ragazzo. Non ne ho bisogno. Vorrei soltanto dire qualcosa sul cavallo.
Il giudice annuì. D'accordo, disse. Sentiamo.
Sissignore. Se mi consente vorrei raccontare la storia dall'inizio, dalla prima volta che ho visto questo cavallo.
Se ti fa piacere raccontarla, a noi fa piacere ascoltarla, perciò inizia pure.
Il racconto richiese quasi mezz'ora e alla fine John Grady domandò un bicchiere d'acqua. Dopo un lungo silenzio il giudice disse al cancelliere:
Emil, porta un bicchiere d'acqua al ragazzo.
Il giudice guardò gli appunti che aveva preso e si rivolse a John Grady.
Figliolo, ora ti farò tre domande. Se sarai in grado di rispondere il cavallo è tuo.
D'accordo, ci proverò.
Be', o ci riesci o non ci riesci. Il guaio dei bugiardi è che non riescono a ricordare quello che hanno detto.
Io non ho mentito.
Lo so. Si tratta solo di una formalità. Non credo che nessuno possa inventarsi una storia come quella che ci hai raccontato.
Il giudice si rimise gli occhiali e chiese al ragazzo quanti ettari di terra aveva la Nuestra Señora de la Purísima Concepción, poi gli chiese come si chiamava il marito della cuoca dell'hacendado. Infine mise da parte gli appunti e gli chiese se aveva le mutande pulite.
Nell'aula si levò un sommesso scoppio di risa, ma il giudice e l'aiutante dello sceriffo rimasero seri.
Certo, sissignore.
Bene, visto che non ci sono donne presenti, se non ti vergogni vorrei che mostrassi alla corte i buchi delle pallottole che hai nella gamba. Se hai qualcosa in contrario ti faccio un'altra domanda.
Non ho nulla in contrario, dichiarò John Grady. Si slacciò la cintura, calò i calzoni alle ginocchia e mostrò la gamba destra al giudice.
Benissimo, figliolo. Grazie. Bevi pure l'acqua.
Il ragazzo si riallacciò i calzoni, prese il bicchiere d'acqua dal tavolo e bevve.
Quelle cicatrici sono davvero brutte, disse il giudice. Non te le ha curate un medico?
Nossignore, non c'era nessun medico nei paraggi.
L'immagino. È una fortuna che non ti sia venuta la cancrena.
Certo, signore, ma ho cauterizzato le ferite.
Cauterizzato?
Sissignore.
Con che cosa?
Con la canna della pistola. Con la canna arroventata della pistola.
Nell'aula scese un silenzio totale e il giudice si appoggiò indietro alla sedia.
Dispongo che lo sceriffo restituisca la proprietà in questione al signor Cole. Signor Smith, si accerti che il ragazzo rientri in possesso del cavallo. Figliolo, sei libero di andare e la corte ti ringrazia per la testimonianza che hai reso. Siedo su questi banchi sin dalla nascita della contea e in tutto questo tempo ho sentito raccontare tante cose che mi hanno fatto dubitare del genere umano, ma la tua storia è ben diversa. Dopo pranzo, all'una, vorrei vedere i tre querelanti nel mio ufficio.
L'avvocato dei querelanti s'alzò. Vostro onore, disse. Qui c'è stato un evidente scambio d'identità.
Il giudice chiuse il taccuino e si alzò. Sì, uno scambio davvero grossolano. La seduta è tolta, disse.
Quella sera John Grady, vedendo le luci ancora accese al pianterreno, bussò alla porta del giudice. Venne ad aprire una ragazza messicana che gli chiese cosa desiderava e lui rispose in spagnolo che desiderava vedere il giudice. Lei ripetè la frase in inglese con una certa freddezza e gli disse di attendere.
Il giudice venne alla porta con addosso una vecchia vestaglia di flanella e quando vide il ragazzo sul portico non dimostrò alcuna sorpresa e spalancò il battente.
Entra, figliolo, accomodati, disse.
Non vorrei disturbarla.
Non mi disturbi affatto.
John Grady rimase fermo col cappello in mano.
Io non ho intenzione di uscire, dichiarò il giudice. Perciò se vuoi parlarmi è meglio che entri.
Sissignore.
Il ragazzo entrò in un lungo corridoio. Sulla destra una scala con la balaustra di legno portava al piano superiore. La casa sapeva di cucina e di cera per mobili. Il giudice, con le pantofole di pelle ai piedi, s'incamminò silenzioso sulla guida del corridoio e imboccando una porta sulla sinistra entrò in una stanza piena di libri ravvivata da un caminetto acceso.
Eccoci qua, disse il giudice. Dixie, questo è John Cole.
Vedendo entrare il ragazzo, una donna dai capelli grigi si alzò e gli sorrise, poi si rivolse al giudice. Io comincio a salire, Charles.
Va bene, Marna.
Siediti, figliolo, disse il giudice.
John Grady si accomodò col cappello in grembo e rimase zitto.
Be', parla, disse il giudice. Il presente è il tempo più prezioso.
Sissignore. Prima di tutto volevo dire che le sue parole in udienza mi hanno preoccupato. Sembrava che avessi tutte le ragioni, ma a mio avviso le cose non stanno così.
E come stanno?
John Grady fissò a lungo il cappello, poi alzò gli occhi. Non mi sento del tutto giustificato, disse.
Il giudice annuì. Mi hai raccontato qualche frottola sul cavallo? Nossignore, non è questo.
E cos'è?
Be', direi che si tratta della ragazza.
Spiegati.
L'uomo per cui lavoravo, e per il quale avevo molto rispetto, non si è mai lamentato del mio lavoro ed è stato estremamente buono con me, ma è venuto a cercarmi in montagna con l'intenzione di uccidermi. Così almeno credo. Sono io che l'ho portato a questo, la colpa è solo mia.
Hai messo incinta la figlia?
Nossignore, ne ero innamorato.
Il giudice annuì gravemente. Be', potevi essere innamorato e metterla incinta ugualmente.
Sissignore.
Il giudice lo guardò. Figliolo, disse. Tu hai l'aria di uno che tende a essere troppo severo con se stesso. Dalle tue parole ho l'impressione che hai avuto fortuna a cavartela senza lasciarci la pelle. Forse adesso la cosa più saggia è tirare avanti senza pensare più a questa storia. Mio padre mi consigliava sempre di non rimuginare troppo sulle cose che ci rodono dentro.
Sissignore.
Ma non è tutto qui, vero?
Esatto.
Che altro c'è?
In galera ho ucciso un ragazzo.
Il giudice si appoggiò alla sedia. Be', disse. Mi spiace sentirtelo dire.
La cosa continua a tormentarmi.
Probabilmente ti aveva provocato.
Certo, ma non è sufficiente. Ha cercato di uccidermi con un coltello ed io per caso ho avuto la meglio.
Perché ti tormenta?
Non lo so. Di lui non so niente, nemmeno come si chiamava. Forse era un bravo ragazzo. Non so se è giusto che sia morto.
John Grady alzò lo sguardo e il giudice vide alla luce del fuoco che aveva gli occhi umidi.
Sai benissimo che non era un bravo ragazzo, no?
Sì, penso di sì.
Non vorresti essere un giudice, vero?
Certamente no.
Nemmeno io.
Come?
Nemmeno io volevo fare il giudice. Da giovane facevo l'avvocato a San Antonio, e quando sono tornato qui mio padre era malato e mi sono messo a lavorare col pubblico ministero della contea. Non volevo fare il giudice. La pensavo come te, credo, e la penso ancora così.
Come mai ha cambiato idea?
Non so se l'ho cambiata. Ma ho visto un sacco di cose storte nella giustizia, ho visto posti di grande responsabilità affidati a ragazzi coi quali ero cresciuto e di cui sapevo per certo che non avevano un briciolo di buon senso. Molto semplicemente credo di non aver avuto altra scelta. Nel '32 ho mandato un ragazzo di questa contea sulla sedia elettrica a Huntsville. Ci penso sempre. Non credo che fosse un bravo ragazzo. Eppure ci penso sempre. Ma quando mi chiedo se lo rifarei, mi rispondo sì, lo rifarei.
Ma io sono stato lì lì per commetterlo di nuovo.
Che cosa, un omicidio?
Sissignore.
Il capitano messicano?
Sissignore. Il capitano o cosa diavolo fosse. Era di quelli che laggiù chiamano madrina, nemmeno un pubblico ufficiale.
Ma non l'hai ucciso.
Nossignore. Non l'ho ucciso.
Cadde il silenzio. Il fuoco era diventato brace. Fuori soffiava il vento e ben presto lui avrebbe dovuto uscire.
Ma non ero deciso a lasciarlo vivo. Mi dicevo di sì, ma non ero affatto deciso. Non so cosa sarebbe successo se non fossero arrivati quegli uomini a portarselo via. Comunque penso che sia morto lo stesso.
Alzò gli occhi dalla brace e guardò il giudice.
Non ce l'avevo con lui. Almeno così mi pareva. Il ragazzino che aveva ammazzato lo conoscevo appena. C'ero rimasto male, è vero, ma per me Blevins non era niente.
E allora perché volevi ucciderlo?
Non lo so.
Be', disse il giudice, questa devi vedertela col buon Dio, non ti pare?
Sissignore. In verità non mi aspettavo una risposta, che forse non c'è, ma non mi andava giù che lei mi prendesse per una persona speciale. Non lo sono.
Be', è uno scrupolo non riprovevole.
John Grady prese il cappello con entrambe le mani come per alzarsi, ma rimase seduto.
Volevo ucciderlo perché, quando ha portato il ragazzino fra gli alberi e l'ha freddato, io l'ho lasciato fare senza dir nulla.
Sarebbe servito a qualcosa?
Nossignore. Ma questo non mi giustifica.
Il giudice si sporse a prendere l'attizzatoio appoggiato al camino, scosse le braci e rimise l'attrezzo a posto, poi intrecciò le mani e osservò il ragazzo.
Cos'avresti fatto se oggi la sentenza ti avesse dato torto?
Non lo so.
Mi sembra una risposta sincera.
Quegli uomini non erano i padroni del cavallo. Mi sarebbe spiaciuto.
Sì, disse il giudice. Penso proprio di sì.
Devo scoprire chi è il padrone. Per me sta diventando un tormento.
Non sei un cattivo ragazzo, figliolo. Penso che riuscirai a cavartela. Sissignore, penso di sì. Se sopravvivo.
John Grady si alzò.
Grazie del tempo che mi ha dedicato. Dell'ospitalità e di tutto il resto.
Il giudice si alzò. Torna pure a trovarmi quando ti pare.
Sissignore, la ringrazio molto.
Fuori faceva freddo, ma il giudice rimase sul portico in vestaglia e pantofole. Il ragazzo slegò il cavallo, prese gli altri due e montò in sella, poi guardò l'uomo ritto sulla soglia e alzò una mano. Quando il giudice ricambiò il saluto, John Grady rifece la strada illuminata dai lampioni, passando da un cono di luce all'altro e scomparve nel buio.
La mattina della domenica seguente John Grady fece colazione in un bar di Bracketville, Texas. Nel bar non c'era nessun altro, solo il barista seduto sull'ultimo sgabello che fumava una sigaretta e leggeva il giornale. La radio dietro il banco annunziò la trasmissione del Vangelo di Jimmy Blevins.
John Grady alzò la testa. Dov'è questa stazione radiofonica?
A Del Rio, rispose il barista.
Arrivò a Del Rio alle quattro e mezza del pomeriggio e quando trovò la casa di Blevins era già quasi buio. Il reverendo abitava in una villetta di legno dipinta di bianco cui si accedeva tramite un vialetto di ghiaia. John Grady smontò accanto alla cassetta postale, si tirò dietro i cavalli sul vialetto fin sul retro della casa e bussò alla porta della cucina. Una donnina bionda guardò dai vetri e aprì la porta.
Cosa desidera? gli chiese.
Il reverendo Blevins è in casa?
Per quale motivo desidera vederlo?
Be', direi per una faccenda che riguarda un cavallo.
Un cavallo?
Sissignora.
La donna guardò gli animali nel cortile e chiese: Quale cavallo?
Il baio. Quello più grande.
Il reverendo potrà benedirlo, ma le assicuro che non lo toccherà nemmeno con un dito.
Come dice?
Non tocca gli animali, nemmeno con un dito.
Chi c'è, cara? chiese un uomo dall'interno della cucina.
Un ragazzo con un cavallo, rispose lei.
Il reverendo uscì sul portico.
Accidenti, disse. Guarda che bei cavalli.
Scusi il disturbo, reverendo, ma è forse suo questo cavallo?
Mio? Non ho mai avuto un cavallo in vita mia.
Vuole farlo benedire o no? chiese la donna a John Grady.
Conosce un ragazzo di quattordici anni che si chiama Jimmy Blevins?
Quando ero giovane avevamo un mulo. Un grosso mulo che era un gran lazzarone. Un ragazzo che si chiama Jimmy Blevins... Jimmy Blevins hai detto?
Sissignore.
No, no, non ricordo nessuno chiamato così. In giro ci sono un sacco di Jimmy Blevins, ma si chiamano Jimmy Blevins Smith, Jimmy Blevins Jones eccetera. Immancabilmente ogni settimana riceviamo un paio di lettere che ci parlano di qualche Jimmy Blevins, non è vero, cara?
Verissimo, reverendo.
Ne riceviamo persino dall'altra parte del mondo. Una arrivata di recente parlava di Jimmy Blevins Chang. Un bambinetto cinese. C'erano anche le foto. Come hai detto che ti chiami?
Cole, John Grady Cole.
Il reverendo gli porse la mano e lui gliela strinse. Cole, disse il reverendo pensieroso, forse qui c'era un Cole, ma non vorrei sbagliarmi.
Hai già cenato?
Nossignore.
Cara, forse il signor Cole gradisce cenare con noi. Ti piace il pollo ripieno?
Eccome. Ci ho sempre avuto un debole.
Be', allora ce l'avrai ancora di più perché un pollo ripieno come quello che fa mia moglie non l'hai mai mangiato.
Sedettero in cucina.
Ora che siamo solo noi due mangiamo in cucina, disse la donna.
John Grady evitò di chiedere chi non c'era più. Il reverendo attese che la moglie fosse seduta, chinò la testa e benedisse il cibo, la tavola e i commensali. Continuò per un certo tempo benedicendo tutte le cose, dalle più piccole su su fino alla nazione, poi benedì altre nazioni, parlò delle guerre, delle carestie, delle missioni e di altri problemi mondiali con particolare riferimento alla Russia, agli ebrei e al cannibalismo, terminò in nome di Gesù Cristo amen, alzò la testa e si sporse a prendere il pane di mais.
Di solito la gente vuole sapere come ho cominciato, disse. Per me non è un mistero. Sin dalla prima volta che ho sentito una radio ho capito a cosa serviva. Da allora non ho mai avuto dubbi. Il fratello di mia madre s'era costruito una radio a galena. L'aveva comprata per posta. Arrivavano i pezzi in una scatola e bisognava montarli. Noi abitavamo nella Georgia meridionale e avevamo sentito parlare della radio, naturalmente. Ma non ne avevamo mai vista una coi nostri occhi. C'è una differenza abissale. Per farla breve, ho capito subito a cosa poteva servire. Con la radio non ci sono più scuse. Un uomo può avere il cuore tanto indurito da non sentire più la parola di Dio. Ma con la radio basta alzare il volume che la durezza del cuore è fregata. Altrimenti uno è sordo come una campana. Vedi, a questo mondo ogni cosa ha uno scopo. Qualche volta è difficile capire qual è, ma nel caso della radio, accidenti, non potrebbe essere più palese. Fin dalla prima volta che l'ho vista, la radio è entrata nella mia vita. È grazie a lei che ho abbracciato il sacerdozio.
Il reverendo, che durante il discorso s'era riempito il piatto, tacque e attaccò a mangiare. Pur non essendo un omone divorò due porzioni di pollo, una grossa fetta di crostata di mele e parecchi bicchieroni di latte.
Alla fine si pulì la bocca col tovagliolo e spinse indietro la sedia.
Dovete scusarmi, disse. Ma devo andare al lavoro. Il Signore non fa mai vacanza.
Si alzò e uscì dalla cucina. La moglie servì un'altra fetta di crostata a John Grady. Lui la ringraziò e lei si risedette a guardarlo mangiare.
Sa, mio marito è stato il primo a far mettere alla gente le mani sulla radio, esordì la donna.
Come dice?
È stato il primo a usare quel metodo. Pregava davanti alla radio e guariva quelli che lo ascoltavano mettendo le mani sul loro apparecchio.
Davvero?
Prima di allora si faceva spedire un oggetto e ci pregava su, ma quel sistema creava un sacco di problemi. La gente si aspetta troppo dai ministri di Dio. Lui guariva un sacco di gente e tutti lo sentivano dire alla radio. Mi spiace ammetterlo, ma le cose avevano preso una brutta piega. Almeno secondo me.
La donna guardò il ragazzo che mangiava.
Sono cominciati ad arrivare anche i morti.
Come dice?
Ci spedivano i morti. Li imballavano ben bene in una cassa e li spedivano per espresso col treno. Era diventata una cosa impossibile. Coi cadaveri non c'è niente da fare, solo Gesù in persona può fare qualcosa.
Capisco.
Vuole ancora un po' di latte? Sì, grazie, è molto buono.
Sono contenta che le piaccia.
La donna gli riempì il bicchiere e tornò a sedersi.
Lui lavora tantissimo per la sua missione, la gente non ne ha idea. Lo sa che la sua voce arriva in tutto il mondo?
Davvero?
Riceviamo lettere persino dalla Cina. È incredibile. Tanti cinesini piegati sulla radio ad ascoltare Jimmy.
Già, infatti vien da pensare che non capiscano quello che dice.
Arrivano lettere dalla Francia. Dalla Spagna. Da tutto il mondo. La sua voce è uno strumento, capisce. Quando dice alla gente di mettere le mani sulla radio, gli ascoltatori possono essere a Timbuctu o al polo sud, non fa alcuna differenza. La sua voce arriva dappertutto a qualunque ora. Via etere. Basta accendere la radio.
Naturalmente hanno cercato di far chiudere la stazione radio, ma l'hanno spostata in Messico. Ecco perché il dottor Brinkley è venuto qui.
Per fondarne una nuova. Lo sa che possono sentirla su Marte?
No, signora.
È verissimo. Quando penso a quelli lassù che per la prima volta sentono la parola di Gesù mi viene da piangere. Anzi, piango davvero. E tutto questo grazie a Jimmy Blevins, proprio a lui.
Nell'interno della casa si sentì russare poderosamente. La donna sorrise. Povero caro, disse. È stanchissimo. La gente non ne ha idea.
John Grady non riuscì a trovare il padrone del cavallo e verso la fine di febbraio prese di nuovo la via del nord, tirandosi dietro i cavalli sui bordi delle strade asfaltate dove lo spostamento d'aria degli immensi autotreni spingeva le povere bestie contro i guard-rail. Nella prima settimana di marzo arrivò a San Angelo, tagliò attraverso la campagna che conosceva come le sue tasche e nella prima sera tiepida dell'anno raggiunse il recinto di Rawlins all'ora del buio: nella pianura del Texas occidentale non c'era un filo di vento e la notte era immobile e chiara. Cavalcò fino alla stalla, smontò e raggiunse la casa a piedi. Vedendo la luce accesa nella stanza di Rawlins si mise due dita in bocca e fischiò.
Rawlins si sporse dalla finestra, guardò giù, uscì dalla cucina e lo raggiunse.
Sei proprio tu? Sì.
Incredibile, disse. Incredibile.
Gli girò intorno per vederlo alla luce squadrandolo come un animale raro.
Pensavo che ti facesse piacere riavere il tuo vecchio cavallo, disse John Grady.
Non posso crederci! Hai riportato Junior? È laggiù alla stalla.
Pazzesco, ribatté Rawlins, non posso crederci, è pazzesco. Si allontanarono a cavallo nella prateria e si sedettero per terra lasciando gli animali al pascolo. John Grady raccontò tutto quello che gli era successo e alla fine rimasero in silenzio. La luna risplendeva a ponente mentre lunghe nuvole piatte le scorrevano davanti come una flotta fantasma. Sei già andato a casa? No.
Sai che tuo padre è morto? Sì, l'avevo immaginato.
Tua madre ti ha cercato in Messico per fartelo sapere. Sì. La madre di Luisa è molto malata.
Nonna?
Sì.
Come se la passano?
Penso bene. Ho visto Arturo in città. Thatcher Cole gli ha trovato un lavoro alla scuola. Fa le pulizie e cose del genere. Nonna se la caverà? Non lo so, è molto vecchia. Già.
E tu cosa fai? Me ne vado. Dove? Non lo so.
Potresti lavorare ai pozzi di petrolio. Pagano bene. Sì, lo so.
Puoi fermarti a casa.
Penso che me ne andrò via.
Questo è ancora un buon posto per viverci.
Sì, lo so. Ma non è il mio.
Il deserto era rosso e rossa la polvere che si alzava, la polvere impalpabile che si posava sulle zampe del suo cavallo e di quello che lo seguiva. Al calar della sera si levò un gran vento che arrossò tutto il cielo. Da quelle parti c'era poco bestiame per l'estrema aridità della terra, ma all'imbrunire John Grady s'imbatte in un toro solitario che nella luce sanguigna del tramonto si rotolava per terra come una bestia sacrificale in agonia. Nelle raffiche di polvere sanguigna vomitata dal sole spronò il cavallo e riprese a marciare col viso ramato dagli ultimi raggi di luce, mentre il vento rosso dell'ovest spazzava il paesaggio crepuscolare e gli uccelli del deserto svolazzavano cinguettando fra le felci secche, e il cavallo, il cavaliere e il secondo cavallo passarono, e passarono le loro ombre affiancate come l'ombra di un unico essere. Passarono e impallidirono sulla terra sempre più buia, sul mondo a venire.