mercoledì 27 settembre 2023

LA CASA DI ASTERIONE Estratto da L’Aleph Jorge Luis Borges,


         LA CASA DI ASTERIONE 

 Estratto da L’Aleph

Jorge Luis Borges,

Feltrinelli, 1959

 Recensione 

Protagonista del racconto di Borges è Asterione, un'inquietante figura che vive un'esistenza solitaria in una casa dalla struttura intricata. Temuta da tutti per la sua diversità, vive relegato nel suo labirinto lamentandosi della sua solitudine e auspicando che prima o poi qualcuno giunga a salvarlo.

 Per comprendere il racconto di Borges bisogna co￾noscere il mito di Asterione, più noto con il nome di Minotauro. Secondo la tradizione più diffusa, Minos￾se, figlio di Zeus ed Europa, si fece re di Creta a danno dei fratelli Radamanto e Sarpedonte, e a legittimazio￾ne del suo diritto al trono chiese a Poseidone di far emergere dal mare un toro, promettendo di sacrificar￾lo. Avendo poi tenuto per sé il bellissimo animale, si attirò la vendetta del dio: questi ispirò alla sposa di Minosse, Pasifae, un’irresistibile passione per il toro, al quale ella si unì introducendosi in una vacca lignea costruitale da Dedalo. Dall’unione nacque Asterione, mostro dal corpo umano e dalla testa taurina, che il re rinchiuse nel labirinto costruito dallo stesso De￾dalo. Il mostro (che nella denominazione di Minotauro unisce il nome di Minosse al vocabolo latino per toro, taurus) veniva nutrito ogni anno (secondo altre ver￾sioni, ogni tre o nove anni) con nove fanciulli e nove fanciulle (o sette) che la città di Atene doveva fornire in sacrificio. Ma l’eroe Teseo, con l’aiuto di Arianna, figlia di Minosse, uccide il mostro e libera Atene da quell’orribile tributo.

 In questo misterioso racconto di Borges, solo le ul￾time parole rivelano la vera identità del protagonista, fino a questo momento pressoché irriconoscibile. In questa rielaborazione del mito, infatti, il ruolo del Minotauro è capovolto rispetto alla versione originale. Nel mito classico, esso è un mostro orribile e violento che si sazia soltanto di carne umana; qui egli vive solitario, aggirandosi nel labirinto-prigione, condannato alla solitudine dalla sua diversità: nessuna creatura lo accetta né lui dimostra un vero inte￾resse verso gli esseri umani. L’unico modo per uscire dal suo isolamento è l’invenzione di un doppio, un altro Asterione con cui dialogare e rispecchiarsi, ma che non può liberarlo dalla sua condizione. In questo senso, egli attende la morte come una liberazione, che gli sarà infine offerta da Teseo, qui nell’ambiguo ruolo di carnefice-salvatore. Asterione diventa così il simbolo della condizione umana, destinata all’incomunicabilità e alla solitudine.Tutta la produzione letteraria di Borges è densa di simboli. Il labirinto è uno dei più ricorrenti: esso rappresenta l’impossibilità da parte dell’uomo di trovare una verità assoluta, un senso definitivo della propria esistenza. La vita è così l’interminabile ricerca di una via d’uscita da un labirinto che l’uomo stesso crea nel momento stesso in cui cerca di fuggirne. 


LA CASA DI ASTERIONE

 So che mi accusano di superbia, e forse di misantropia', o di pazzia. Tali accuse (che punirò al momento giusto) sono ridicole. E vero che non esco di casa, ma è anche vero che le porte (il cui numero è infinito) restano aperte giorno e notte agli uomini e agli animali. Entri chi vuole. Non troverà qui lussi donsneschi né la splendida pompa dei palazzi, ma la quiete e la solitudine. E troverà una casa come non ce n'è altre sulla faccia della terra. (Mente chi afferma che in Egitto ce n'è una simile.) Perfino i miei calunniatori ammettono che nella casa non c'è un solo mobile. Un'altra menzogna ridicola è che io, Asterione, sia un prigioniero. Dovrò ripetere che non c'è una porta chiusa, e aggiungere che non c'è una sola serratura? D'altronde, una volta al calare del sole percorsi le strade; e se prima di notte tornai, fu per il timore che m'infondevano i volti della folla, volti scoloriti e spianati, come una mano aperta. Il sole era già tramontato, ma il pianto accorato d'un bambino e le rozze preghiere del gregge dissero che mi avevano riconosciuto. La gente pregava, fuggiva, si prosternava"; alcuni si arrampicavano sullo stilobate del tempio delle Fiaccole, altri ammucchiavano pietre. Qualcuno, credo, cercò rifugio nel mare. Non per nulla mia madre fu una regina; non posso confondermi col volgo, anche se la mia modestia lo vuole.

 La verità è che sono unico. Non m'interessa ciò che un uomo può trasmettere ad altri uomini; come il filosofo, penso che nulla può essere comunicato attraverso l'arte della scrittura. Le fastidiose e volgari minuzie non hanno ricetto nel mio spirito, che è atto solo al grande; non ho mai potuto ricordare la differenza che distingue una lettera dall'altra. Un'impazienza generosa non ha consentito che imparassi a leggere. A volte me ne dolgo, perché le notti e i giorni sono lunghi. Certo, non mi mancano distrazioni. Come il montone che s'avventa, corro pei

corridoi di pietra fino a cadere al suolo in preda alla vertigine. Mi acquatto all'ombra di una cisterna e all’angolo d’un corridoio e giuoco a rimpiattino

. Ci sono terrazze dalle quali mi lascio cadere, finché resto insanguinato. In qualunque mo￾mento posso giocare a fare l’addormentato, con gli occhi chiusi e il respiro pesan￾te (a volte m’addormento davvero; a volte, quando riapro gli occhi, il colore del giorno è cambiato). Ma, fra tanti giuochi, preferisco quello di un altro Asterione. 

Immagino ch’egli venga a farmi visita e che io gli mostri la casa. Con grandi inchini, gli dico: “Adesso torniamo all’angolo di prima,” o: “Adesso sbocchiamo in un 

altro cortile,” o: “Lo dicevo io che ti sarebbe piaciuto il canale dell’acqua,” oppu￾re: “Ora ti faccio vedere una cisterna che s’è riempita di sabbia,” o anche: “Vedrai 

come si biforca la cantina.” A volte mi sbaglio, e ci mettiamo a ridere entrambi.

Ma non ho soltanto immaginato giuochi; ho anche meditato sulla casa. Tut￾te le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa è un altro luogo. Non ci sono una cisterna, un cortile, una fontana, una stalla; sono infinite le stalle, le fontane, i cortili, le cisterne. La casa è grande come il mondo. Tuttavia, a forza di percorrere cortili con una cisterna e polverosi corridoi di pietra grigia, raggiunsi la strada e vidi il tempio delle Fiaccole e il mare. Non compresi, finché una visio￾ne notturna mi rivelò che anche i mari e i templi sono infiniti. Tutto esiste molte 

volte, infinite volte; soltanto due cose al mondo sembrano esistere una sola volta: in alto, l’intricato sole; in basso, Asterione. Forse fui io a creare le stelle e il sole e questa enorme casa, ma non me ne ricordo.

Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni ma￾le. Odo i loro passi o la loro voce in fondo ai corridoi di pietra e corro lietamen￾te incontro ad essi. La cerimonia dura pochi minuti. Cadono uno dopo l’altro, senza che io mi macchi le mani di sangue. Dove sono caduti restano, e i cadaveri aiutano a distinguere un corridoio dagli altri. Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizzò, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redento￾re. Da allora la solitudine non mi duole, perché so che il mio redentore vive e un giorno sorgerà dalla polvere. Se il mio udito potesse percepire tutti i rumori del mondo, io sentirei i suoi passi. Mi portasse a un luogo con meno corridoi e meno porte! Come sarà il mio redentore? Sarà un toro o un uomo? Sarà forse un toro con volto d’uomo? O sarà come me?

Il sole della mattina brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue. “Lo crederesti, Arianna?” disse Teseo. “Il Minotauro non s’è quasi difeso.”

 

Nota dell'autore: a. L'originale dice quattordici, ma non mancano motvi per inferire che, in bocca di Asterione, questo aggettivo numerale vale infiniti.

 1. misantropia: odio dell'umanità, tendenza a evitare ogni contatto umano.

 2. pompa: ostentazione di lusso sfrenato.

 3. accorato: addolorato.

 4. gregge: la folla, che Asterione disprezza, è paragonata a un gregge di pecore.

 5. si prosternava: si inchinava fino a terra.

6. stilobate: basamento delle colonne.

 7. come il filosofo: molti filosofi dell'antica Grecia non credevano che la conoscenza potesse essere afidata all'arte della scrittura: tra questi, Socrate è di certo il più celebre.

 8. non hanno ricetto: non vengono accolte.