mercoledì 23 novembre 2016



RICORDI. Mio padre(2): E si levò il cappello..
Non ricordo di essermi mai seduto da solo con mio padre a parlare. Era di poche parole. Il tema rapporto con i figli era delegato a mia madre. Le parole che ricordo sono : " Paulin, 'o taca' al caval, dai che a go da da' l'aqua a la vida" (Paolino, ho attaccato il cavallo, dai vieni che devo dare il pesticida alla vite). Quella mattina come sempre andammo per "dar l'aqua a la vida", io ero seduto dietro il sedere del cavallo sulla stanga di sinistra, della botte del veleno, mentre mio padre teneva lo spruzzo per irrorare la vite. Il mio ruolo era far fare due metri al cavallo e poi fermarmi per dar tempo al papa' di irrorare. Ma io nell'attesa mi guardavo intorno e fantasticavo sul volo delle farfalle nel prato, sul leprotto che scappava al rumore, sui contadini che lontano "si davano la voce". Cosi' quella mattina il cavallo, probabilmente disturbato dalle mosche, fece uno scatto in avanti e trascino' mio padre che non aveva finito quel tratto. Disse, senza alzare la voce, "Oh vacca...", si levo' dalla testa il cappello, lo butto' per terra, lo schiacciò con rabbia tre volte, destro sinistro destro, lo raccolse, se lo rimise in testa, e mi disse "tiral in dre' " (fai arretrare il cavallo)'. La crisi era superata.

A mi padre
Pedro Garfias
¿Por qué no hablamos nunca, largamente,
tú y yo padre, cuando esto era posible,
como dos hombres, como dos amigos
o dos desconocidos que se encuentran
en el camino y echan un cigarrillo
y se sientan al borde de la vida
mirando pasar la tarde y el camino
y hablan, hablan y callan, pausas de humo,
miradas vagas, las palabras caen
y se quedan flotando en el silencio,
a veces dicen su verdad primera,
el origen, la fuente, y se desnudan,
las palabras desnudas amanecen,
por qué no hablamos nunca, solos, largo?...
Ver métrica de este poema

martedì 22 novembre 2016



RICORDI. Mio padre(1): "scultar, capir e taser" 


Con sette figli,  mia mamma, e una zia che non si era mai sposata, la moglie del figlio maggiore, che a sua volta aveva quattro figli, la casa era piena di voci e rumore sempre. Per questo non mi ricordo che mio padre sia mai arrivato a tavola a mangiare con tutti noi. Il suo "turno", per scelta, era quando tutti avevano finito. Arrivava dai campi, col cappello di panno in testa, estate ed inverno,  che non si toglieva mai, e andava in cucina a recuperare l'avanzo  di minestra, e quando, raramente, c'era il pollo, di solito alla domenica, non aveva che da mangiare il collo e la testa. I figli e nipoti famelici, questo gli lasciavano. Non mi ricordo di averlo mai sentito parlare a tavola. Non cosi' mia madre che approfittava per tutte le lamentele, che di solito consistevano in"ti avevo detto di fare ... " oppure " non ti sei ricordato di...", oppure ancora "quando ti decidi a fare..." . Lui ascoltava con la testa bassa e il cappello sempre in testa, e non diceva niente. Ma capitava che alla domenica, pur in ritardo, fosse a tavola con tutti noi. E allora, mi ricordo che un giorno una discussione era stata particolarmente animata , anche perche', come sempre, avveniva con voci sovrapposte, dove nessuno ascoltava gli altri. A un certo punto lo sentimmo che diceva, come fra sé e sé, "scultar, capir e taser, l'e na gran fatiga". Ascoltare, capire e tacere e' una gran fatica. E il suo interloquire nella discussione si fermo' , senza altro aggiungere.

IMPOSSIBILE AMARE
...impossibile amare proprio quelli che ti stanno vicino....
(Fëdor Michajlovic Dostoevskij, I fratelli Karamàzov, Garzanti)
"Devo farti una confessione", esordì Ivan, "non ho mai potuto capire come si possa amare il prossimo. Secondo me, è impossibile amare proprio quelli che ti stanno vicino, mentre si potrebbe amare chi ci sta lontano. Una volta ho letto da qualche parte la storia di "Giovanni il misericordioso", un santo: un viandante affamato e infreddolito andò da lui e gli chiese di riscaldarlo e quello lo fece coricare nel letto insieme a lui, lo abbracciò e prese a soffiargli nella bocca, putrida e puzzolente a causa di una terribile malattia. Io sono convinto che egli lo facesse per una lacerazione piena di falsità, per il dovere di amare che gli era stato imposto, per una penitenza che si era inflitto. Perché si possa amare una persona, è necessario che essa si celi alla vista, perché non appena essa mostrerà il suo viso, l'amore verrà meno"."Più di una volta, lo starec Zosima ha parlato di questo", osservò Alëša; "ha anche detto che spesso il viso di un uomo, per chi è inesperto in amore, diventa un ostacolo per l'amore. Tuttavia, c'è anche molto amore nell'umanità, amore quasi comparabile a quello di Cristo, questo l'ho visto io stesso, Ivan...
"Be', io non ne so niente di questo per ora e non posso capire, e, come me, una moltitudine innumerevole di uomini. La questione è se questo è dovuto alle cattive qualità degli uomini o se tale è la loro natura. Secondo me, l'amore di Cristo per gli uomini è una specie di miracolo impossibile sulla terra. Vero è che egli era Dio. Ma noi non siamo dèi. Supponiamo, per esempio, che io soffra profondamente: un'altra persona non potrà mai sapere fino a che punto io soffra, perché lui è un'altra persona e non è me, e, soprattutto, è raro che un uomo sia disposto a riconoscere in un altro un uomo che soffre (come se si trattasse di un'onorificenza). Perché non è disposto a farlo, tu che ne pensi? Perché, ad esempio, ho un cattivo odore, perché ho una faccia stupida, o perché una volta gli ho pestato un piede. E poi c'è sofferenza e sofferenza: una sofferenza degradante, umiliante come la fame, per esempio, il mio benefattore me la può ancora concedere, forse, ma quando la sofferenza è a uno stadio superiore, quando, per esempio, si soffre per un'idea, quella non me la accetterà, perché, diciamo, dandomi un'occhiata, ha visto che non ho affatto la faccia che, secondo la sua immaginazione, dovrebbe avere una persona che soffre per un'idea. E quindi egli mi priva immediatamente dei suoi favori, e non si può dire che lo faccia per cattiveria. I mendicanti, soprattutto quelli nobili, non dovrebbero mai mostrarsi, ma dovrebbero chiedere l'elemosina rimanendo nascosti dietro i giornali. Si può amare il prossimo in astratto, a volte anche da lontano, ma da vicino è quasi sempre impossibile. Se tutto fosse come a teatro, nei balletti, dove, quando appaiono mendicanti, essi indossano stracci di seta e pizzi lacerati e chiedono l'elemosina danzando leggiadramente, be', in tal caso, li si potrebbe ancora ammirare. Ammirare, ma non amare."




RICORDI. Sul Po fino a 15 anni. (1) L'alluvione. 

 Fino ai quindici anni la grande ed unica passione che ebbi, fu il Po. Credo di averlo amato tanto perché mi ha fatto capire il significato della vita. Oh, il fiume, che scorreva calmo d'estate, dove ci bagnavamo timorosi di quei gorghi in agguato che avevano fatto annegare, si raccontava, proprio quelli che si sentivano bravi nuotatori. Io non lo ero e nuotavo, poco, vicino alla riva. Ma durante l'inverno diventava fangoso, portando alberi e rottami d'ogni tipo verso il mare, lontano. Premeva sugli argini, ed era sempre pericoloso per le case come la nostra, che stava a poche centinaia di metri. Era l'alluvione del 1951. Fu allora che abbiamo portato le mucche sull’argine, il Po non aveva ancora rotto nel Polesine e continuava a crescere, ormai al livello dell’argine. Ricordo che guardando dall’argine si vedeva una gobba dell’acqua che nel mezzo era, o sembrava, più alta dell’argine per un effetto tipo quello che si osserva nei capillari. Uomini e donne senza sosta portavano sacchi di sabbia per creare un rialzo. Si facevano i turni di sorveglianza dell'argine, insieme ai contadini delle cascine vicine. In casa si viveva nel timore che arrivasse l'acqua. Fuori si sentiva il vento minaccioso e la pioggia che non cessava. Avevamo portato i mobili su al primo piano. Si mangiava e dormiva tutti insieme, coi materassi per terra, in una stanza dove c'era la stufa. Le altre due stanze erano piene di mobili, che avevamo portato dal pian terreno. Ricordo che Zia Francesca, quando abbiamo deciso di portare al primo piano i mobili, per prima cosa mise in salvo la sua scopa. Quando ha rotto a Polesine ha incominciato improvvisamente a calare anche da noi. E abbiamo incominciato a sperare che non rompesse anche da noi. Erano un ricordo lontano le passeggiate lungo le sponde piene di gigli d'acqua, e ombreggiate dai salici e pioppi, mentre le rane saltavano in acqua per non rischiare di essere catturate da noi ragazzini. Quanto ho amato quei colori, profumi di fiori, di un amore istintivo che partiva dagli occhi per invadere il corpo, che gioia spontanea, naturale. Ricordi del levar del sole tra le nebbie mattutine, come bianchi vapori, che si alzavano al comparire del sole a illuminare i prati lucenti di rugiada.

lunedì 21 novembre 2016


RICORDI. Mi piace raccontare....

Mi piace raccontare, spizzichi della mia vita, perchè penso non sia la più piatta e monotona delle esistenze. Come tutti abbiamo aspetti del passato, più o meno emozionanti, abbiamo una quotidianità fatta di abitudini ma anche episodi unici, inaspettati, che si presentano per cambiare il corso delle cose, per arricchirti, o per metterti alla prova. Per questo ho amato molto leggere Ángeles Mastretta "L'emozione delle cose" dove ci racconta i piccoli frammenti di passato, di presente, di vita quotidiana che in un modo o nell'altro hanno condizionato o condizionano la sua vita. Cose che l'hanno fatta sorridere e cose che l'hanno fatta e ancora la fanno stare male. Così ci racconta della morte della madre che fatica ad accettare, ma che scrivendo cerca di affrontarne il lutto. Racconta dei nonni, delle loro origini, dei lutti in famiglia come dei momenti di gioia, del suo diventar grande, dell'amore, dei suoi figli. Così leggendo il racconto della sua vita sono portato a pensare alla mia e mi viene voglia di raccontarla. Ma mi accorgo di non essere Ángeles Mastretta.



POST-VERITÀ

Non sopporto questa mania "post-moderna" di inventare parole per mascherare un significato. Menzogna è una menzogna, è una menzogna, è una menzogna e ancora una menzogna. Ma che cavolo è la post-verità?.

domenica 20 novembre 2016



DALLA PARTE GIUSTA

Noi abbiamo sempre più informazioni, per capire sempre meno la realtà che ci circonda. Noi capiamo poco e quindi ci fa comodo dar ragione a chi rappresenta “la nostra parte”, sia esso il politico o chi si autoproclama "esperto" (il più dannoso) di turno. In genere ci fidiamo del politico che già abbiamo deciso di votare o dell'esperto che conferma le nostre idee, mentre pensiamo che dicano solo menzogne ( che adesso va di moda chiamare "post-verità")il politico o l'esperto che abbiamo sempre avversato. Siamo riluttanti a cambiare idea su questioni rilevanti, o giudizio su fatti che ci disturbano. Ci poniamo poche domande, e a quelle che ci poniamo diamo quasi sempre le stesse rassicuranti risposte.
Siamo ferreamente convinti di essere dalla "parte giusta" in quanto biologicamente nelle condizioni di ragionare con la "nostra testa". Anche se questo vuol dire che ci limitiamo a considerare le nostre opinioni “giuste”, a priori, solo perchè, fermamente, sono le nostre, nascondendo a noi stessi quanto siano frutto di arbitrariarietà, casualità, e scarsa dimostrabilità. Siamo ad esse legati tanto fermamente da difenderle come verità assolute disprezzando coloro che hanno opinioni differenti.
Da qui, io credo, possiamo capire quale siano le difficoltà di un approccio razionale applicato ai temi della politica e dell’analisi sociale.
Allora forse, in tempi di grandi incertezze e di grandi cambiamenti, per cercare di calmare o quantomeno ingannare l’ansia della vita, l’emotività diventa un valore strategico delle narrazioni. E compaiono e vincono i personaggi tipo Trump.


IL FATTO NON È PIÙ NULLA

"...il fatto non è più nulla in sé e per sé, è tutto nell'idea che gli altri se ne fanno....." così scrive Balzac in "Le illusioni perdute"...
"“In Francia, dunque, tanto la legge politica quanto quella morale, la collettività e i singoli, hanno smentito gli inizi con la conclusione, le opinioni con la condotta, o la condotta con le opinioni. Non c'è stata logica né nel governo né negli individui. Così voi non avete più morale. Attualmente, da voi, il successo è la ragione suprema di tutte le azioni, quali che siano. Perciò il fatto non è più nulla in sé e per sé, è tutto nell'idea che gli altri se ne fanno. Di qui, giovanotto, una seconda norma: abbiate un bell'aspetto! Nascondete il lato negativo della vostra vita, e presentate quello più brillante. La discrezione, che è la divisa degli ambiziosi, è anche quella del nostro Ordine: fatene la vostra divisa. I grandi commettono press'a poco tante vigliaccherie quante ne commettono i miserabili, ma le commettono nell'ombra ed esibiscono solo le loro virtù: perciò restano grandi. I piccoli invece professano le loro virtù nell'ombra ed espongono le miserie alla piena luce del giorno: perciò sono disprezzati. Voi avete nascosto le vostre grandezze e avete lasciato che si vedessero le vostre piaghe."

sabato 19 novembre 2016


...Scrivere per lui significava una lotta impari ..

“Le sue inclinazioni erano rigorosamente liriche, le descrizioni della natura e delle emozioni gli venivano con sorprendente facilità, ma gli erano invece molto ostici i dettagli quotidiani come, per esempio, aprire o chiudere le porte o scambiare strette di mano se in una stanza c'erano numerosi personaggi e una o due persone dovevano salutarne molte altre. Inoltre Il'ja Borisovic lottava costantemente con i pronomi, come nel caso di «lei», che aveva un modo dispettoso di riferirsi, nella medesima frase, non solo alla protagonista ma anche a sua madre e a sua sorella, cosicché per evitare di ripetere un nome proprio si trovava costretto a scrivere «quella signora» o «la sua interlocutrice» benché di colloqui non ci fosse nemmeno l'ombra.
Scrivere per lui significava una lotta impari contro oggetti indispensabili; i beni di lusso sembravano molto più docili, ma di quando in quando perfino loro si ribellavano, si inceppavano, ostacolavano la libertà di movimento – e ora che aveva laboriosamente messo fine al trambusto del guardaroba ed era in procinto di donare al suo protagonista un elegante bastone, Il'ja Borisovic si dilettava con innocente candore del luccichio del massiccio pomello, senza prevedere, ahimè!, quali pretese avrebbe avanzato quell'articolo di valore, con quanta molesta insistenza avrebbe chiesto di essere menzionato quando Dolinin si fosse risolto a portare in braccio Irina attraverso un ruscello primaverile, avvertendo sotto le sue mani le curve sinuose di quel giovane, agile corpo.”
........
“Già quando il protagonista, Dolinin, triste e stanco del mondo, udiva gli squilli di tromba di una nuova vita e (dopo quella sosta quasi fatale al guardaroba) scortava la sua giovane compagna fuori, nella notte di aprile, il romanzo aveva trovato il suo titolo: Labbra contro labbra. Dolinin fece traslocare Irina nel suo appartamento, ma non era ancora successo nulla in senso amatorio, perché lui desiderava che lei venisse nel suo letto spontaneamente, esclamando:
«Prendimi, prendi la mia purezza, prendi il mio tormento. La tua solitudine è la mia solitudine, e, per breve o lungo che sia il tuo amore, sono pronta a tutto perché intorno a noi la primavera ci chiama all'umanità e al bene, perché il cielo e il firmamento irradiano bellezza divina, e perché ti amo».
«Un brano forte» osservò Eufratskij. «Firmamento» presumo «è un gioco su terra firma, vero? Molto forte».”

'Labbra contro labbra' racconto tratto daVladimir Nabokov, “Una bellezza russa e altri racconti.” Adelphi.



RICORDI Lezione di latino (2)Un indimenticabile insegnamento

All'inizio fu un trauma. "A te non piace il latino, perche' non sai cosa fartene" disse mio fratello (non ricordo ahimè, se fosse Don Aldo o Amadio) assumendo un ruolo di insegnante di "ripetizione", ma che, da fratello maggiore, non si era neanche posto il problema di chiedere cosa io pensassi, capissi o non capissi. Di quelle ripetizioni ricordo poco. Ma in realtà non era vero che non amassi il latino. Solo, forse, ero pigro mentalmente. In realtà ricordo bene una lezione dell'insegnante di latino, che mi aveva fatto capire quanto quella lingua morta fosse vivissima nella nostra vita.
"Ragazzi ascoltatemi", disse l'insegnante, " perche' è fondamentale amare ciò che noi facciamo. È bene allora che insieme iniziamo a scoprire l'importanza del latino. Il 90% delle parole in Italiano derivano dal latino. Incominciamo da 'deficiente' (mi ricordavo l'uso nei miei confronti dei fratelli maggiori) deriva da de+facio, cioe' incapace di fare. 'Facio' dal verbo 'facere' " A quel punto fu come se quella dura e severa insegnante avesse aperto uno spiraglio da cui una luce incominciava ad entrare. Mi sentivo da una parte intimidito, perchè mi vergognavo della mia pochezza, ma al tempo stesso sentivo, che a quella insegnante sempre pronta a bruciarti con uno sguardo quando sbagliavo una declinazione, non interessava dimostrare di essere gentile e comprensiva della mia difficolta', perche' considerava piu' importante scuotermi affinche' reagissi. " A voi piace andare sul Po a pescare o giocare con i rivoli d'acqua sui sentieri quando piove," continuò, " 'rivolo', sta per piccolo rivo, cioè piccolo canale, fiume...ma non sapete che "rivale", che vuol dire antagonista, nemico, deriva dal latino 'rivus', perche' i nemici spesso erano i vicini da cui erano separati da un corso d'acqua. Pensai subito ai rivoli vicino al trattore e alle dighe e deviazioni che facevamo. "Quindi, come vedete da questi due semplici esempi, il latino apre la mente sul significato delle parole. Attraverso la parola noi indaghiamo la nostra civiltà, e l'evoluzione umana, la nostra cultura. Ecco la parola "cultura", attraverso la sua origine vi racconterà una parte dell’avventura umana. Indagando scoprireste che la parola nacque dal termine latino "colo", che e' un verbo che significa «coltivare», «abitare», «venerare»". Guardavo ormai rapito quella insegnante che si stagliava nella luce del finestrone (*) proiettando un ombra sui banchi della prima fila. Pensando che, mentre io facevo fatica a realizzare la sufficienza nella scuola media, lei era lanciata nelle sue spiegazioni, ispirata da un'ansia di trasmettere le emozioni del sapere. Allora mentalmente sentii che svaniva l'angoscia di ricordare "aliquis, alicuius, aliqui, aliquem, e com'era l'ablativo aliqu...? " Mentre lei diceva "Vedete, noi viviamo in campagna e non abbiamo esperienza del passaggio dal nomadismo alla condizione sedentaria, che ha voluto dire aver imparato a coltivare la terra, abitando un luogo, e venerandone la divinità, che ha fatto nascere il termine "cultura" inteso come radicamento alle proprie origini, alla propria terra, da cui trarne e svilupparne i frutti. E i frutti non sono solo materiali ma dello spirito e della religione". Allora mi sentivo sempre piu' colpevole, nel non aver visto nel Latino, tutte queste possibilita'. Vedevo la mia insegnante come diversa perchè mi aveva svelato quei segreti che non sarebbero piu' stati tali usando la chiave del Cicerone di " errat si quis hoc existimat". 
(*) Il finestrone nella cui luce si staglia la figura dell’insegnante era uno dei finestroni del palazzo sopra il chiostro dei secolari. Alle aule si accedeva dallo scalone di Barberini (1674) che biforcava a destra verso le aule dell’Avviamento e a sinistra verso le Elementari e in fondo le Medie.(Roberto)

venerdì 18 novembre 2016



RICORDI Lezione di Latino(1)

Era una signora di eta', per me, indefinibile, l'insegnante di latino. Non molto alta, magra, sempre vestita di nero, non credo sposata, capelli corvini stretti a crocchia, occhiali con montatura pesante di tartaruga, con una voce dai toni acuti quando si arrabbiava per gli errori di declinazione : rosa, rosae... In seconda media inferiore, come si chiamava allora, si iniziava a studiare il latino. Non mi ricordo molto delle lezioni a scuola. Ma cosa mi e' rimasto nella memoria sono le ore di sofferenza a casa, mandare a memoria regole grammaticali e sintattiche.
Arriva la fine dell'anno scolastico di seconda media e la pagella mi dice che il voto in latino e' un misero "cinque": condannato a studiare per la "riparazione" a settembre. La regola nella mia famiglia, consolidata dalla storia scolastica dai miei quattro fratelli e una sorella, maggiori di eta', era che nessun insegnante di "ripetizione" poteva essere autorizzato. Non c'erano soldi per pagarlo, e inoltre se uno era "rimandato" era perche' non aveva fatto il "proprio dovere", studiando per quanto bastava. Espressioni tipo "poverino non ce l'ha fatta, ha bisogno di aiuto", non esistevano. Per giunta i fratelli maggiori, piu' comprensiva mia sorella, al massimo ti dicevano "ma non ti vergogni di essere cosi' ignorante".... in dialetto mantovano: "tze n'ignorant"... Ma non era solo questo. In estate tutti, adulti e bambini, dovevano contribuire ai lavori della campagna, ognuno secondo la propria eta'. Poco tempo per studiare materie, per le quali uno aveva avuto tutte le ore necessarie durante l'anno scolastico. Avevamo quattordici mucche. Le coltivazioni erano: erba medica per il fieno, frumento, granoturco (mai conosciuto allora la parola mais), e poi vite, e frutta varia da raccogliere. A giugno quando finiva la scuola era tempo di tagliare il grano, gli adulti con le falci, e i bambini con le donne, una volta raccolto, andavano a "spigolare", che volevs dire raccogliere le spighe che erano rimaste a terra. C'era la raccolta delle pesche, albicocche e susine...per donne e bambini soprattutto. C'era da dare una mano a " rastrellare" il fieno. C'era da "guidare il cavallo" che tirava la botte, mentre il papa' "dava al velen" alle viti per evitare l'attacco della peronospera, oidio ecc.. Ogni giorno mio fratello primogenito, l'unico rimasto con mio papa' a coltivare la poca terra, chiamava per assegnare il lavoro ai bambini: cioè a me e a mio fratellino di quattro anni piu' giovane di me.Il lavoro che piu' piaceva, a noi due, era la sorveglianza del trattore che pompava l'acqua di irrigazione, di solito per il granoturco, piu' bisognoso di acqua nei mesi di luglio e agosto, quando la pianta sviluppava le pannocchie, e quindi determinante per la quantita' e qualita del futuro raccolto. Il nostro trattore non era un Landini, quello lo aveva, un vicino che era chiamato "Mignolin" (non mi ricordo nè nome nè cognome). Non dimentico che dormivamo al conciliante tumtumtum del suo Landini, che entrava dalle finestre aperte per il caldo, perchè Mignolin lo faceva andare tutta la notte. Il nostro era un Fiat R25 che non andava a benzina agricola, economica ma non abbastanza, e nemmeno a nafta come il Landini di Mignolin. Andava a petrolio agricolo che tenevamo nella cisterna sulla quale a volte sedevo per gioco. Da qualche parte dovrebbe esservi anche una foto che mi immortala su quella cisterna. Vicino al trattore avevamo un "canestar" di petrolio col quale dovevamo rifornire il trattore, ogni due ore, cercando di non versarcene addosso. Non ci siamo mai riusciti. La nostra attività, in riva al fossato, da dove si traeva l'acqua, era di usare la regolare perdita delle tubature, per fare giochi basati su piccoli canali nel terreno, costruendo microscopiche dighe, immaginando castori e lontre e gallinelle d'acqua che nuotassero, sguazzassero, nei canali da noi disegnati. Oppure ci dedicavamo alla caccia delle rane, inseguendole sulla riva, battendo con un legno, con scarsi risultati di cattura. Tutto questo avveniva pero' nel momento piu' bello della giornata: tra l'una e le quattro del pomeriggio mentre il fratellone e il papa' facevano la pennichella, e noi eravamo on the job, ma fuori da occhiute attenzioni. Di notte stavamo in una tenda, probabilmente militare, vicino al trattore a fare la guardia perché non ce lo rubassero. Verso mezzanotte arrivava Enrico che ci dava il cambio e dormiva nella tenda fino al mattino.
Ps. Ringrazio mio fratello Roberto per suggerimenti

martedì 15 novembre 2016




VOTO USA. RISPOSTA DELLE MASSE AL TRADIMENTO DELLE ÉLITES?. 

Capire Trump. Ortega Y Gasset scrive in un libro del 1920 che l'emergere delle masse ha creato una minaccia della democrazia minando gli ideali di virtù civile che hanno caratterizzato le vecchie classi dirigenti. Ma alla fine del XX secolo, secondo Lasch, non sono tanto le masse quanto le élites di tipo professionale e manageriale che costituiscono la maggiore minaccia per la democrazia ("La rivolta delle élite e il tradimento della democrazia" Christopher Lasch, 1995). Le nuove "élites cognitive", formate da professionisti come avvocati, accademici, giornalisti, analisti di sistemi, broker, banchieri, ecc, maneggiano le informazioni e manipolano le parole e numeri della nostra vita. Vivono in un mondo astratto in cui le informazioni e le competenze sono le materie prime più preziose. Poiché il mercato di questi beni è internazionale, la classe privilegiata è più connessa con il sistema globale che con le comunità regionali, nazionali o locali. Lasch scrive. "In effetti, essi hanno rimosso se stessi dalla vita comune." E le masse rispondono con un rifiuto.

VOTO USA. USO DEI CLICHÉ PER NON CAPIRE NIENTE

Bisognerebbe smetterla di ripetere il messaggio retorico della demonizzazione del voto populista. Dovremmo capire che non servono a niente le imprecazioni e l'uso di cliché quali:"populismo", "razzismo", "islamofobia", etc. La maggior parte dei politici, degli editorialisti e degli intellettuali di sinistra brilla per la mancanza di una minima immaginazione, nella denuncia, pretendendo di svelare ‘il vero volto del populismo' lasciando intendere che esso sarebbe ‘fascista’ e ‘razzista’. Siamo ai pietosi riflessi condizionati ideologici. Per non parlare della denuncia della ‘deriva a destra’ di volta in volta, dell'ltalia, dell'Europa, ora degli Usa. Ma a che serve tutto questo argomentare?. A non capire niente.

mercoledì 9 novembre 2016


PERSONALIZZAZIONE, LEADERISMO, SENTIMENTO IDENTITARIO.(1)

Con queste elezioni americane che vedono il trionfo di Trump, ancora una volta ci accorgiamo che non è sufficiente  esorcizzare la personalzzazione, il leadersimo,  in nome di purtroppo superati convincimenti. Dobbiamo rassegnarci a considerare finita la stagione inaugurata a Cluny, nell’undicesimo secolo, di fondazione della politica moderna: impersonale e capace di perpetuarsi nel tempo grazie all’autorità dell'azione politica, esercitata collegialmente. ("La Ditta" direbbe Bersani). Oggi serve gridare che il "re è nudo", nel senso di dichiarare caduta la corazza statale e che ci troviamo in una sorta di nemesi storica della politica "assoluta", a causa di una  regressione  al principio primordiale del carisma individuale. Occorre anche che ammettiamo che non c'è nessuna possibilità di un ritorno a una politica dove  la condivisione di  valori  sia l'orientamento delle scelte. Questo quando vorremmo che custodi di questi "valori" fossero ancora quei  corpi intermedi della democrazia che erano i partiti, e i sindacati. Oggi che andiamo alla deriva – senza più partiti e sindacati – facciamo fatica a riproporre un passato prossimo definitivamente andato. Non riusciamo a cogliere la direzione – ben evidente - del mutamento. Il primo passo per capire sarebbe fare uno sforzo per sgombrare il campo dai tabù culturali che impediscono di guardare in faccia e fare i conti con la drastica riduzione ad personam di gran parte dell’universo politico. Questo dovrebbe servire  per una ripartenza cui mancano ancora le coordinate. Che vanno trovate. Dovremmo renderci conto che, dopotutto, grandi leader e piccoli boss basano la loro attrattiva sul convincere che loro hanno una vera attenzione alle richieste individuali, puntando a convincere sulla base dell'idea che sia il capo il portatore delle soluzioni. È questa "attenzione" percepita dall'elettorato che guida il gioco nel voto populistico, diventando sentimento identitario, un richiamo capace di innestare e sedimentare un rapporto anche di tipo autoritario col leader. Al tempo stessa questo "sentimento identitario" diventa capace durare in quanto come fattore, anche, valoriale. La sinistra, con questo tipo di leadership, continua a trovarsi a disagio, culturale e ideale. Forse questo contribuisce a farci capire perchè può solo perdere. 

lunedì 7 novembre 2016



SIMONE WEIL: L'ATTENZIONE

La "dottrina " dell'attenzione di Simone Weil e' meglio espressa nella seguente citazione dai Quaderni " I valori autentici e puri di vero, di bello e di bene nell’attività di un essere umano si producono con un solo e unico atto, una certa applicazione all’oggetto della pienezza dell’attenzione. [Quaderni, IV trad. di G. Gaeta, Adelphi, Milano, 1993]. Un solo e medesimo atto produce qualcosa di vero, di bello e di buono, sta cioè a fondamento della conoscenza, dell’estetica e dell’etica, ed è l’esercizio dell’attenzione; perché essa è la sola facoltà di cogliere il reale, oltre il quale non c’è assolutamente niente da conoscere, contemplare o soccorrere.  Di che mai ci parlerà uno scrittore incapace di andare oltre se stesso e cogliere la realtà,  “a comprendere totalmente che le cose e le persone esistono” (lettera a j. Bousquet)