venerdì 8 marzo 2019



SE FOSSI UN PASTORE
Estratto da "Storie che danno da pensare"
Robert Walser

  Una mattina, appoggiandomi alla scrivania, direi alla mia consorte: «Cara moglie, ti prego, chiudi la porta e non venirmi a disturbare. Il tuo viso d’angelo mi è caro, ma finisce ogni volta per distogliermi dal turbinio dei pensieri che ho nella mente. Quindi esci, su, dammi ancora un rapido bacio. E adesso lasciami solo, va’ nell’altra stanza. Pensa, debbo di nuovo scrivere uno di quei testi che oggi piace mettere sotto il naso, così scrupoloso nell’esaminare e nel palpare, del mondo dei lettori. Con il compenso che ne ricaverò, potrai poi farti fare una gonna nuova. O comperarti una simpatica collana, oppure una sontuosa pelliccia che in seguito, intendo dire, quando ce l’avrai qui, potrai rendere aderente alla tua figura che è una delizia contemplare. Anch’io sono sensibile alle seduzioni della carne e quindi adesso fammi il piacere, prendi la porta e sparisci, e lascia tuo marito lavorare e scrivere».
  Ecco, adesso sono finalmente solo davanti al trono di Dio. Per l’appunto. Prego? Chi sta parlando? Nessuno? Così va bene, e ora voglio davvero sentire chi sono io, poi i pensieri elevati si affacceranno da soli. Come pastore sono tenuto per forza di cose ad avere una profonda attitudine al pensiero, ora questa mia propensione io voglio ampliarla, e con le parole «Quanto tempo è passato», parole semplici e giuste da poter essere facilmente comprese anche dall’ultima sgualdrinella della Elsässerstrasse, mi smarrisco andando a ritroso di millenni nella sublime storia universale. A questo punto mi piace imitare un po’ J.P. Jacobsen, il danese pieno di garbo, e dire: «I fiocchi di neve rotolano a terra». Anche questo ci sta bene, c’è posto per tutto nel vuoto dei concetti fondamentali. Effettivamente un pensiero del genere è perlopiù vuoto, e questo perché a inzepparlo siano i sentimenti. Negli ultimi tempi scrivo un po’ troppo, ma per quale ragione uno viene poi sollecitato a scrivere? Del resto io sono capace di farlo altrettanto bene quanto i giornalisti, sempre a caccia di ghiottonerie in fatto di parole. La dignità della mia professione si accorda magnificamente con la punta e l’acuminatezza della penna, poiché là dove c’è un po’ di tatto ci si può permettere qualsiasi parola. Qualunque cosa si affronti e si intraprenda, tutto respira un medesimo stile impregnato di decoro. Io posso benissimo prendere la mano di un malato grave oppure scrivere: «Fate l’esame di coscienza. Non basta essere persone di solidi princìpi». Posso altrettanto bene scrivere un saggio oppure consolare qualcuno, imitare Monsieur Goethe oppure prestare aiuto a una persona, curare lo stile oppure piangere sull’assoluta miseria umana. Per il caro lettore, in fondo, è così attraente conoscere i prodotti letterari della sua guida spirituale, è quasi, non del tutto, ma quasi come se un consigliere cantonale presentasse al consesso dei suoi concittadini le proprie qualità di drammaturgo mettendole in scena. E poi vi è forse un’altra cosa da considerare: al giorno d’oggi, nell’epoca delle navicelle aeree provviste d’ali, ci si serve, se così in nome del Cielo ha da essere, dei mezzi più eclatanti per affermarsi in questo mondo. Se una cantante, un autore profano, una casa editrice, un circo, una trattoria, un governo, un macellaio, un conciapelli, uno stampatore, una società per azioni e che so io può farsi pubblicità, altrettanto sarà lecito a un pastore d’anime. Ci mettiamo tutti quanti in mostra, acconciati alla perfezione: questa è la realtà. Se uno ha da dire al mondo cose significative, deve darsi da fare e aprir bocca, anche se a spingerlo è in piccola parte vano autocompiacimento. Sapersi muovere, ecco la dote principale. Al cospetto di Dio quello che conta è l’operosità, la fronte che suda per gli impegni assunti, il braccio sfinito, gli occhi che il sentimento fa risplendere oltre la morte. Dio sa perdonare gli errori. Adesso voglio asciugare la mia fervida penna. Un momento, ancora questo: «Quanto tempo è passato!». Ci sta bene. La gente dirà che sono un talento di tipo artigianale, che padroneggio la forma, se, come ho appena fatto, alla fine aggiungo in modo incantevole le parole con cui ho esordito.