giovedì 28 febbraio 2019


FAVOLOSO
Estratto da "Storie che danno da pensare"
Robert Walser
  Il tempo era favoloso. Con quel tempo Kitsch e Kutsch non avevano voglia di rimanere a casa e quindi si apprestarono a uscire, e veloci scesero in strada. Favolosa, la luce in strada, mormorò Kutsch, mentre proseguivano camminando ambedue di buon passo e anche Kitsch disse: favoloso. Poco dopo incontrarono una donna grassa, e i due amici a passeggio trovarono subito favolosa quella donna. Presero il tranvai, che cosa favolosa viaggiare così, disse di nuovo Kutsch grattandosi la barba da giovincello, e Kitsch si affrettò a convenirne senz’altro con il compagno. Nella vettura era seduta una ragazza dagli «occhi favolosi». All’improvviso cominciò a venir giù una leggera pioggerella: favoloso!

  Dopo un po’ i nostri Kitsch e Kutsch scesero ed entrarono in una galleria d’arte. Il mercante d’arte stava guardando fuori dalla sua bottega e ci mancò un pelo che i due non trovassero la cosa favolosa, dicessero cioè: è favoloso come quel tizio guarda fuori dal suo negozio, ma evitarono di formulare ad alta voce questo pensiero, avvertendo che non si può continuare sempre a dire la stessa cosa. Mezzo minuto dopo erano davanti a un Renoir: semplicemente favoloso!, scappò di bocca ad ambedue. Kutsch riprese a radersi la barba con le dita, ma già il suo collega aveva scoperto una cosa che era di cento favole ancor più favolosa del Renoir: un antico maestro olandese. Roba del genere, dissero, era più che favolosa e avrebbero voluto ambedue mettersi a urlare.

  Poi uscirono. Fuori nel frattempo si era formata una sottile crosta di neve, e aveva un aspetto favoloso, la neve era tutta nera, di un nero bluastro, semplicemente; be’, si trattennero, in fondo non si poteva dire sempre la stessa cosa. Incontrarono un pittore. Non passò molto tempo e il pittore disse che non conosceva nulla di più favoloso di Parigi. Kitsch e Kutsch trovarono disgustoso dire che Parigi è favolosa e senza indugio trattarono con disprezzo l’ignaro pittore insieme alla sua fi-fe-fo-fu-favolosa Parigi. Appena furono di nuovo soli, ai due venne da dirlo un’altra volta, ma quello sembrava il posto giusto, stavolta era uno stagno. Si trovavano su un ponte e sotto c’era lo stagno in tutta la sua favolosità. Di colpo si misero a parlare delle poesie di Verlaine. Kutsch batté le mani e gridò: favoloso. Allora Kitsch sorrise. Adesso aveva finalmente capito e disse a se stesso: com’è volgare favoloseggiare così ad ogni minima occasione. Un minuto dopo stramazzò per terra, abbattuto dal favoloso aspetto di una gonna azzurra. È un azzurro strepitoso, disse Kitsch, rialzandosi a fatica. Si era slogato un piede. Da quel momento in poi dissero sempre strepitoso e non più favoloso.