L'UOMO SUBLIMINALE
James G. Ballard
(The Subliminal Man, New Worlds, 1963)
Tutti i racconti
Vol. II (1963-1968)
Fra le tematiche predilette da Ballard, centrale è sicuramente quella della riflessione sulla società dei consumi, caratterizzata da un’atroce quanto inesorabile invasività. In questo racconto - la cui atmosfera distopica ricorda 1984 e Fahrenheit 451 - il protagonista è preda di apparenti allucinazioni, emanate da immensi cartelloni pubblicitari che invadono l’area suburbana con i loro serpeggianti messaggi nascosti di comprare, comprare, comprare, cambiare i propri elettrodomestici in tempi sempre più accellerati, ogni sette mesi, ogni due mesi, ogni giorno, fino a cancellare il pensiero negli esseri umani, riducendoli a mere macchine circondate da altre macchine.
Certamente la ribellione è possibile anche se, per Ballard, può condurre soltanto alla follia, o tutt’al più a gesti puerili che rimangono inascoltati.
L'UOMO SUBLIMINALE
Certamente la ribellione è possibile anche se, per Ballard, può condurre soltanto alla follia, o tutt’al più a gesti puerili che rimangono inascoltati.
L'UOMO SUBLIMINALE
(The Subliminal Man, New Worlds, 1963)
«I segnali, dottore! Ha visto i segnali?»
Accigliato e infastidito, il dottor Franklin accelerò il passo e si affrettò a scendere la scalinata dell'ospedale, dirigendosi verso la fila di auto parcheggiate. Con la coda dell'occhio intravide un tipo giovane con i sandali consumati e i jeans macchiati di vernice che gesticolava verso di lui dal lato opposto del viale.
«Dottor Franklin! I segnali!»
Il capo chino, Franklin aggirò una coppia anziana che procedeva verso gli ambulatori. La sua macchina era a cento metri di distanza. Troppo stanco per mettersi a correre, aspettò che il giovane lo raggiungesse.
«E va bene, Hathaway, che c'è stavolta?» esordì, secco. «Sono stufo di vederti ronzare qui intorno.»
Hathaway gli si fermò davanti, barcollante, con i capelli neri e spettinati che gli scendevano sugli occhi come una tendina. Se li scostò con una mano ad artiglio e si aprì in un sorriso emozionato: evidentemente, era tanto contento di vedere il dottore quanto ignaro dell'ostilità che l'altro gli aveva dimostrato.
«Ho cercato di parlarle ieri sera, dottore, ma quando chiamo sua moglie mi riattacca sempre il telefono in faccia» spiegò senza il minimo rancore, come chi è già abituato a subire umiliazioni del genere. «E non volevo
venirla a cercare in clinica.» Si erano fermati accanto a una siepe di ligustro che li rendeva invisibili dalle finestre dell'edificio principale, ma
gli incontri regolari tra Franklin e Hathaway, e gli strani proclami
messianici di quest'ultimo, erano già stati oggetto di commenti divertiti.
Franklin cominciò a dire: «Apprezzo molto che tu...» ma Hathaway tagliò corto con un gesto della mano. «Lasci stare, dottore, ci sono cose
molto più urgenti. Hanno cominciato a costruire i primi segnali su grande scala! Alti più di trenta metri, sulle isole spartitraffico fuori città. Tra poco avranno coperto tutte le strade in entrata. E a quel punto tanto varrà che rinunciamo a pensare.»
«In realtà, il tuo problema è che pensi troppo» replicò Franklin. «Sono settimane che continui a vaneggiare di questi segnali. E allora dimmi un po', ne hai mai visto uno che ti faceva segno?»
Esasperato da quell'osservazione irrilevante, Hathaway strappò un pugno di foglie dalla siepe. «Certo che no, ma è proprio questo il punto, dottore.» Abbassò la voce al passaggio di un gruppo di infermiere, che lo guardarono in tralice, stupite dal suo aspetto stravagante. «Ieri notte le squadre di costruzione sono uscite di nuovo e hanno posato i cavi elettrici. Tornando a casa li noterà di certo. Ormai sono quasi pronti.»
«Sono semplici segnali stradali» gli spiegò con pazienza Franklin. «Il cavalcavia è stato appena completato. Santo cielo, Hathaway, rilassati. Dovresti pensare a Dora e al bambino.»
«Ma io ci penso, eccome!» La sua voce si alzò fino a trasformarsi in un grido controllato. «Quei cavi reggono fino a 40.000 volt, dottore, una potenza terrificante. I camion erano carichi di impalcature metalliche, enormi. Domani cominceranno a tirarli su per tutta la città e finiranno per coprire almeno metà del cielo! Cosa pensa che diventerà Dora, dopo sei mesi di questo trattamento? Dobbiamo fermarli, dottore, o trasformeranno i nostri cervelli in transistor!»
Imbarazzato dalle grida di Hathaway, per un istante Franklin perse il senso dell'orientamento e prese a percorrere con lo sguardo il mare di auto alla disperata ricerca della sua. «Hathaway, non posso più perdere tempo a parlare con te. Credimi, hai bisogno di farti aiutare da uno specialista, o queste ossessioni finiranno col rovinarti.»
Hathaway accennò a una protesta, e Franklin sollevò la mano destra in un gesto fermo. «Sta' a sentire. Per l'ultima volta, se sei in grado di mostrarmi uno di questi segnali e hai le prove che sta trasmettendo dei messaggi subliminali, ti accompagno alla polizia. Ma non hai niente di concreto, e lo sai. La pubblicità subliminale è stata vietata trent'anni fa da leggi che non sono mai state abrogate. E in ogni caso la tecnica non era soddisfacente e non ha mai avuto successi, se non marginali. La tua idea su una grande cospirazione che opera piazzando dappertutto queste migliaia di segnali giganteschi non sta in piedi.»
«E va bene, dottore.» Hathaway si appoggiò al cofano di una delle auto. Sembrava che il suo umore fosse passato in un attimo da un estremo all'altro. Guardò Franklin con un'espressione rilassata. «Qual è il problema, ha perso la sua macchina?»
«È tutto questo tuo sbraitare che mi ha confuso le idee.» Franklin tirò fuori la chiavetta di accensione e rilesse il numero della targa: «NYN 299 -566 -367-21. La vedi, per caso?»
Hathaway si guardò intorno voltandosi pigramente, con un sandalo sempre incollato al parafango, controllando la piazzola coperta da mille e più macchine che si stendeva di fronte a loro. «E difficile, vero? Specie quando sono tutte identiche, addirittura dello stesso colore. Trent'anni fa
c'erano almeno dieci modelli, con una dozzina di tinte diverse per ognuno.»
Franklin ritrovò la sua macchina e si incamminò verso di essa. «Sessant'anni fa i modelli erano almeno cento. E allora? È inevitabile che la standardizzazione economica abbia un prezzo.»
Hathaway si mise a tamburellare con le dita sui tettucci delle auto. «Ma non è che queste macchine costino poi così poco, dottore. In realtà, se le si paragona a quelle di trent'anni fa in base all'incidenza sul reddito, sono più care del quaranta per cento. Con la riduzione a un unico modello ci si dovrebbe aspettare un calo, non un aumento di prezzo.»
«Forse» rispose Franklin, aprendo la portiera. «Ma per quanto riguarda la meccanica le auto di oggi sono molto più sofisticate. Più leggere, più resistenti, più sicure da guidare.»
Hathaway scosse il capo con fare scettico. «Io le trovo noiose. Stesso modello, stesso design, stesso colore, anno dopo anno. È una specie di
comunismo.» Fece scorrere un dito unto sul parabrezza. «Anche questa è nuova, vero, dottore? Che fine ha fatto quella vecchia, l'ha tenuta solo per tre mesi?»
«Ho fatto una permuta» rispose Franklin, accendendo il motore. «Se avessi anche tu dei soldi sapresti che è il modo più economico per
possedere un'auto in buone condizioni. Non conviene continuare a tenere sempre la stessa finché non va in pezzi. E questo vale per tutto il resto -
televisori, lavatrici, frigoriferi. Ma questo è un problema che non ti interessa.»
Hathaway ignorò la frecciata e si appoggiò con il gomito al finestrino di Franklin. «E non è certo una brutta situazione, dottore. Mi lascia il tempo per pensare. Non lavoro dodici ore al giorno per potermi pagare un sacco di cose ed essere poi troppo occupato per riuscire a usarle prima che diventino obsolete.»
Mentre Franklin usciva in retromarcia dalla sua fila, Hathaway lo salutò con la mano, per poi gridare dietro al fumo della marmitta: «Guidi con gli occhi chiusi, dottore!» Guidando verso casa, Franklin si tenne accuratamente sulla corsia più lenta delle quattro. Come gli accadeva sempre dopo una discussione con
Hathaway, si sentiva vagamente depresso. Si rese conto di invidiarne inconsapevolmente l'esistenza nomade. Nonostante il suo appartamento sudicio e privo di acqua calda avvolto dall'ombra e dal frastuono del cavalcavia, nonostante la moglie petulante e il bambino malato e le interminabili liti con il padrone di casa e il responsabile crediti al
supermercato, Hathaway conservava intatta la sua libertà. Scevro di ogni
responsabilità, non aveva difficoltà a resistere agli irrilevanti abusi che il resto della società poteva imporgli, se non altro generando in lui fantasie
ossessive come l'ultima, quella sulla pubblicità subliminale.
La capacità di reagire agli stimoli, anche in modo irrazionale, era un valido criterio di libertà. Al contrario, qualunque libertà Franklin potesse
possedere era periferica e nettamente demarcata dalle vistose responsabilità su cui restava incentrata la sua vita - i tre mutui sulla casa, i cicli obbligatori di cocktail party, il consultorio privato che gli impegnava la maggior parte del sabato e con il quale pagava le rate su una moltitudine
di articoli per la casa, vestiti e vacanze già godute. I tragitti in auto da casa al lavoro e viceversa erano quasi i soli momenti che avesse per sé.
Ma almeno le strade erano splendide. Per quante critiche si potessero rivolgere alla società, non c'era dubbio che sapesse come costruire le
strade. Autostrade a otto, dieci e dodici corsie si incrociavano in tutto il paese, gettandosi a capofitto da tratti sopraelevati in giganteschi parcheggi
nel cuore delle città, o dividendosi in grandi arterie suburbane con le loro vaste aree di sosta intorno ai centri commerciali. Sommati, le strade e i parcheggi occupavano più di un terzo della superficie del paese, e nelle aree urbane la percentuale era anche maggiore. Le vecchie città erano circondate dalle enormi sculture in movimento dei raccordi a quadrifoglio e dei cavalcavia, ma ciò nonostante non c'era modo di evitare la
congestione.
I quindici chilometri che separavano l'ospedale da casa sua in realtà diventavano quasi quaranta, e per percorrerli serviva il doppio del tempo
che impiegava prima della costruzione dell'autostrada; i chilometri in più erano tutti all'interno dei tre colossali raccordi. Dai motel, i caffè e le rivendite di auto intorno alle arterie sorgevano nuove città. Al primo accenno di incrocio, in mezzo alla foresta di insegne elettriche e segnali
stradali si espandeva un precario agglomerato di negozi al dettaglio e
stazioni di servizio.
Tutto intorno a Franklin, le macchine sfrecciavano come pallottole, disegnando una scia rivolta verso i sobborghi. Rilassato dal lento
beccheggiare della sua auto, il dottore si sporse fino a invadere la corsia accanto alla sua. Mentre accelerava dai sessanta agli ottanta all'ora, un rumore stridulo e fastidioso esplose dai suoi pneumatici, scuotendo il telaio della macchina. Con l'evidente scopo di facilitare il rispetto dei limiti
di velocità per ogni corsia, la superficie stradale era cosparsa di piccoli cunei gommati, sempre più distanziati da una corsia all'altra, in modo che
le ruote prendessero a ronzare esattamente a sessanta, ottanta, cento e
centoventi all'ora. Procedere a una velocità intermedia per più di pochi secondi, oltre a mettere a dura prova l'udito, poteva provocare danni all'auto e alle gomme.
Quando i cunei si consumavano venivano sostituiti da altre protuberanze leggermente diverse e perfettamente corrispondenti alle zigrinature sull'ultimo modello di pneumatici, in modo da costringere i guidatori a cambiare spesso le gomme garantendo così la sicurezza e l'efficienza delle autostrade. La maggior parte delle auto che avevano più di sei mesi cadevano in pezzi per effetto dei maltrattamenti, ma tutto questo veniva considerato quasi auspicabile, poiché la rotazione continua diminuiva il prezzo per unità e consentiva un'innovazione permanente dei modelli, oltre a liberare le strade dai veicoli pericolosi.
Quattrocento metri più avanti, a poca distanza dal primo dei raccordi a quadrifoglio, il flusso del traffico stava rallentando e si intravedevano
grandi cartelli della polizia stradale che segnalavano 'Lavori in corso' e 'Rallentare'. Franklin tentò di spostarsi di nuovo sulla prima corsia, ma le
auto erano letteralmente incollate una all'altra. Quando il telaio cominciò a tremare e vibrare, risuonandogli fin nella spina dorsale, il dottore strinse i denti e tentò di trattenersi dal suonare. Gli altri guidatori faticavano di più a controllarsi e ovunque intorno a lui i motori boccheggiavano e ringhiavano, e i clacson ululavano. Le tasse stradali erano ormai così alte,
fino al trenta per cento del prodotto interno lordo (mentre quelle sul reddito non superavano il due per cento), che qualunque fattore di ritardo
sulle autostrade provocava un'immediata inchiesta governativa, e i principali dicasteri si occupavano quasi esclusivamente di gestire il
sistema stradale.
Avvicinandosi ancora al raccordo, vide che le corsie erano state chiuse per consentire a una squadra di operai di erigere su una delle isole spartitraffico un gigantesco cartellone dalla struttura in metallo. L'area
recintata brulicava di ingegneri e sorveglianti, e Franklin ne dedusse che doveva essere il segnale che Hathaway aveva visto trasportare la sera prima. Il suo appartamento era in uno degli edifici dozzinali cresciuti alla spicciolata intorno al raccordo, un'area a buon mercato abitata dal
personale di stazioni di servizio, da cameriere e da altri pendolari. Il cartellone era enorme, alto almeno trenta metri e fissato su griglie che somigliavano alla parte concava di un radar. Poggiato su una serie di cassoni pneumatici, si elevava al di sopra del manto stradale, visibile per chilometri e chilometri. Franklin allungò il collo per osservare le griglie, seguendo il percorso dei cavi dai trasformatori fino alla massa intricata di rotoli metallici che ne coprivano la superficie. Una fila intera di faretti rossi era già accesa lungo il puntone, e Franklin ne dedusse che il cartellone doveva far parte del sistema di segnali di terra dell'aeroporto cittadino, che era a quindici chilometri di distanza.
Tre minuti dopo, mentre accelerava sul rettilineo di autostrada che portava al raccordo successivo, si vide davanti il secondo, gigantesco cartellone che svettava nel cielo.
Spostandosi sulla corsia dei sessanta all'ora, Franklin guardò la grande massa che si allontanava nello specchietto retrovisore. Benché non vi
fossero simboli grafici tra i rotoli di cavi che coprivano le griglie, gli risuonarono di nuovo all'orecchio gli avvertimenti di Hathaway. Senza sapere il perché, era sicuro che i cartelloni non facessero parte della
segnaletica dell'aeroporto. Nessuno dei due era collocato in linea con le rotte aeree principali. Se si volevano giustificare le spese sostenute per piazzarli al centro dell'autostrada - per reggersi sull'isoletta a centro strada,
il secondo cartellone aveva richiesto un elaborato sistema di contrafforti - era inevitabile dedurre che il loro ruolo avesse qualcosa a che fare con i flussi del traffico.
Duecento metri più avanti c'era un auto-market, e tutto d'un tratto Franklin si ricordò che gli servivano delle sigarette. Svoltando sulla rampa d'ingresso si unì alla coda che scorreva verso la cassa self-service sul lato opposto. L'auto-market era zeppo di macchine, e ognuna delle sue cinque file era composta da uomini dall'aspetto stanco, curvi sul loro volante e diretti al banco degli acquisti.
Inserite le sue monete (le banconote erano state ritirate dalla circolazione perché le casse automatiche non erano in grado di leggerle), prese un pacchetto dal distributore. Era l'unica marca di sigarette disponibile - in realtà, c'era una sola marca di qualsiasi prodotto - anche se in alternativa
vi erano le maxi-confezioni economiche. Mentre si allontanava, aprì il cruscotto.
Dentro, ancora avvolti nella plastica, c'erano altri tre pacchetti.
Quando arrivò a casa, l'ambiente era pervaso da un forte odore che sembrava di pesce e filtrava dal forno in cucina. Fiutando l'aria, tutt'altro
che entusiasta, Franklin si tolse cappotto e cappello. Sua moglie era in salotto, raggomitolata davanti al televisore. Un annunciatore stava dettando una serie di numeri, e Judith li trascriveva in gran fretta su un taccuino, imprecando di tanto in tanto tra i denti. «Che fregatura!» esplose.
«Andava così veloce che sono riuscita a copiarne solo qualcuno.»
«Probabile che l'abbia fatto apposta» commentò Franklin. «Cos'è, un nuovo gioco con il pubblico da casa?»
Judith lo baciò su una guancia, nascondendo con cura il posacenere stracolmo di cicche e carte di cioccolatini. «Ciao tesoro, mi spiace ma non
ho potuto preparare l'aperitivo. Hanno cominciato questa nuova serie di Grandi Promozioni, sai? C'è una scelta di articoli con il novanta per cento
di sconto all'acquisto, sempre che si abiti nella zona giusta e si possa fornire la serie completa di numeri. Ma è tutto tremendamente complicato.»
«Non male come idea, però. E cosa hai rimediato?»
Judith controllò la sua lista. «Be', a quanto vedo solo uno spiedo da barbecue a infrarossi. Ma dobbiamo riuscire ad arrivare al negozio entro le otto, e sono già le sette e mezzo.»
«Niente da fare, allora. Sono stanco, angelo mio, e devo assolutamente mangiare qualcosa.» E vedendo che Judith accennava a una protesta aggiunse: «Senti, non voglio uno spiedo da barbecue a infrarossi, sono solo due mesi che abbiamo comprato il nostro. Per la miseria, non c'è ancora neanche il modello nuovo!»
«Ma caro, non capisci, comprarne sempre di nuovi è molto più economico. Dovremmo comunque ridare indietro il nostro entro la fine dell'anno, lo dice il contratto, e in questo modo risparmiamo almeno cinque sterline. Queste Grandi Promozioni non sono solo un gioco, in caso tu non lo sappia. Sono rimasta incollata a quel dannato apparecchio per tutto il giorno.» Dalla voce di Judith traspariva un'irritazione crescente, ma Franklin tenne il punto, ostinandosi a ignorare l'orologio.
«E va bene, perdiamo cinque sterline. Ne vale la pena.» Prima che lei potesse replicare aggiunse: «Judith, ti prego! Oltre tutto, magari hai anche copiato male il numero.» Mentre la moglie, scrollate le spalle, si dirigeva verso il mobile bar, disse ad alta voce: «Fammene uno bello robusto. A quanto vedo, il menu prevede del cibo macrobiotico.»
«È per la tua salute, tesoro. Sai bene che non puoi mangiare sempre alimenti ordinari. Non contengono proteine né vitamine. E poi, lo dici sempre anche tu che dovremmo fare come la gente dei bei tempi andati, che mangiava solo prodotti naturali.»
«Lo so, ma hanno un odore così tremendo...» Franklin si stese sul divano, il naso affondato nel bicchiere di whisky, gli occhi fissi sul panorama urbano che andava oscurandosi fuori dalla finestra.
A cinquecento metri, sopra il tetto del supermercato di quartiere, brillavano a intermittenza le luci di segnalazione. Di tanto in tanto, quando i proiettori delle Grandi Offerte gettavano i loro raggi sulla facciata del palazzo, riusciva a vedere la massa imponente di un cartellone che si stagliava nitida contro il crepuscolo.
«Judith!» Andò in cucina e la accompagnò alla finestra. «Quel cartellone, proprio dietro il supermercato. Quando l'hanno messo?»
«Non lo so.» Judith lo guardò, ansiosa. «Perché ti preoccupi tanto, Robert? Saranno stati quelli dell'aeroporto.»
Franklin fissava la scura mole del cartellone. «È quello che penseranno
tutti.»
E con cautela, versò il whisky nel lavello.
Alle sette del mattino successivo, dopo aver parcheggiato la sua macchina accanto al supermercato, Franklin si svuotò con cura le tasche e mise le monete nel cruscotto. Il supermercato era già in piena attività, preso d'assalto dai clienti mattinieri, e i trenta tornelli scattavano e sbattevano. Da quando era stato introdotto il principio 'spendere 24 ore su 24', il negozio non chiudeva mai. Quasi tutti gli acquirenti disponevano di uno sconto: casalinghe che avevano contrattato l'acquisto di quantità industriali di cibo, vestiario e accessori a un prezzo di favore, costrette a passare di supermercato in supermercato per tenere il passo delle loro cedole d'acquisto, tentando al tempo stesso di sfruttare tutti gli incentivi che venivano ad aggiungersi per alimentare la febbre.
Le donne finivano spesso per fare squadra, e mentre Franklin si avviava
verso l'entrata un gruppo di loro si lanciò di gran carriera verso le rispettive auto, inzeppando gli scontrini nelle borse e chiamandosi a gran voce. Subito dopo, le loro macchine partirono rombanti in carovana, dirette all'area commerciale successiva.
Una grande insegna al neon sopra l'ingresso elencava gli ultimissimi sconti - un misero cinque per cento - calcolati sul volume del fatturato.
Quelli più alti, che a volte arrivavano addirittura al venticinque per cento,
venivano praticati nelle zone residenziali dove vivevano i colletti bianchi più giovani. In quel caso, c'era un forte incentivo sociale alla spesa, e il desiderio di diventare il miglior acquirente del quartiere veniva moralmente rafforzato dal sistema di fare apparire tutti i nomi e il totale
aggiornato delle spese sostenute su un grosso tabellone elettronico,
nell'atrio dei supermercati. Più si spendeva, più rilevante diventava il proprio contributo allo sconto di cui tutti gli altri avrebbero goduto.
Chi spendeva cifre modeste era guardato come se fosse colpevole di crimini
Chi spendeva cifre modeste era guardato come se fosse colpevole di crimini
contro la società e vivesse da parassita alle spalle degli altri.
Fortunatamente questo sistema non era stato ancora adottato nel quartiere di Franklin - non perché i professionisti e le loro mogli fossero capaci di una maggiore discrezione, ma perché i redditi maggiori consentivano loro di accedere ai sistemi di sconto molto più alti applicati dai grandi magazzini del centro.
A dieci metri dall'ingresso Franklin si fermò, guardando il grosso cartellone metallico montato in un angolo, al limitare del parcheggio. A differenza delle altre insegne e dei tabelloni che proliferavano ovunque, non era stato fatto alcun tentativo di decorarlo o di camuffare il rettangolo spoglio di maglie d'acciaio inchiodate. I cavi elettrici scorrevano sui lati, e la superficie asfaltata del parcheggio era attraversata da una grossa cicatrice nella quale era stato fatto passare un cavo.
Franklin proseguì, per poi fermarsi a una quindicina di metri dal cartellone, rendendosi conto che sarebbe arrivato in ritardo all'ospedale ma che aveva bisogno di un'altra stecca di sigarette. Dagli altoparlanti sotto l'insegna usciva un mormorio indistinto ma forte, che svanì lentamente quando lui tornò al supermercato.
Avvicinandosi ai distributori automatici si frugò in cerca di monete, poi si lasciò sfuggire un fischio quando ricordò il motivo per cui si era deliberatamente svuotato le tasche.
«Hathaway!» disse, con voce abbastanza alta da far girare due avventori. Riluttante a guardare direttamente il cartellone, ne spiò il riflesso in uno dei pannelli di vetro dell'ingresso, in modo che qualunque messaggio subliminale venisse rispedito al mittente. Doveva aver ricevuto due impulsi contrastanti - 'Tieniti a distanza' e
'Compra delle sigarette'. La gente che di solito parcheggiava l'auto lungo il
perimetro del parcheggio evitava l'area intorno alla nicchia e descriveva un
semicerchio per mantenersi ad almeno quindici metri dal cartellone.
Si voltò verso il custode che stava spazzando l'atrio. «A che serve quello?»
L'uomo si appoggiò alla ramazza, volgendo uno sguardo ottuso al
cartellone. «Non ne ho idea» disse. «Deve avere qualcosa a che fare con
l'aeroporto.» Aveva in bocca una sigaretta appena accesa, ma la sua mano
destra si infilò in una tasca ed estrasse un pacchetto. Quando Franklin andò
via, stava battendo distrattamente la seconda sigaretta sull'unghia del
pollice.
Tutti quelli che entravano nel supermercato compravano sigarette.
Immettendosi lentamente nella corsia dei sessanta, Franklin cominciò a
interessarsi più da vicino al paesaggio che lo circondava. Di solito era
troppo stanco o troppo preoccupato per pensare ad altro se non alla guida,
ma stavolta esaminò metodicamente l'autostrada, scrutando i caffè che la
costeggiavano in cerca di versioni dei segnali in miniatura. Le porte e le
finestre erano coperte di espositori illuminati al neon, per lo più di aspetto
innocuo, quindi rivolse la sua attenzione ai cartelloni più grandi eretti nelle
zone aperte lungo l'autostrada. Molti di essi erano alti quanto una casa a
quattro piani ed erano rappresentazioni tridimensionali e accurate in cui
gigantesche casalinghe con occhi e denti elettrici trafficavano e si
mettevano in posa nelle loro cucine ideali, sorridendo in un'esplosione di
neon.
Le aree su ambedue i lati dell'autostrada erano desolate, un susseguirsi di
discariche zeppe di macchine e camion, lavatrici e frigoriferi, tutti
perfettamente funzionanti ma messi in disparte per effetto della pressione
economica esercitata dalle ondate successive di modelli scontati. Gli
involucri e gli stipi metallici, quasi completamente privi di ruggine,
splendevano al sole. Nei pressi della città, i cartelloni erano abbastanza
vicini da coprire quello spettacolo, ma di tanto in tanto, quando rallentava
per imboccare uno dei raccordi, Franklin intravedeva le grandi piramidi di
metallo che rilucevano silenziose come le rovine di un El Dorado ormai
dimenticato.
Quella sera, quando scese i gradini dell'ospedale, Hathaway lo stava aspettando. Franklin gli fece cenno di attraversare il vialetto, poi proseguì a passo rapido verso la macchina.
«Che succede, dottore?» chiese Hathaway quando Franklin tirò su i finestrini scrutando le file di auto parcheggiate. «La stanno pedinando?» Franklin rise senza allegria. «Non lo so. Spero di no, ma se quello che dici è vero, immagino sia possibile.»
Hathaway si appoggiò allo schienale ridacchiando e puntò un ginocchio contro il cruscotto. «Quindi anche lei se n'è accorto, dopo tutto.»
«Be', non ne sono ancora sicuro, ma esiste la possibilità che tu abbia ragione. Stamattina, al supermercato di Fairlawne...» S'interruppe, ripensando con disagio al grande cartellone nero e al gesto brusco con il quale era tornato verso il supermercato, poi descrisse il suo incontro.
Hathaway annuì. «L'ho visto, quel cartellone. È grosso, ma meno di tanti altri che stanno venendo su adesso. Ormai li costruiscono dovunque. Su tutta la città. Che ha intenzione di fare, dottore?»
Franklin si strinse al volante. Il tono velatamente divertito di Hathaway lo irritava. «Niente, è ovvio. Maledizione, potrebbe essere solo una forma di autosuggestione, magari sei stato tu a indurmi a immaginare...»
Hathaway scattò a sedere. «Non dica assurdità, dottore! Se non riesce a credere ai suoi sensi, che speranze le restano? Le stanno invadendo il cervello, e se non si difende completeranno l'opera! Dobbiamo agire subito, prima di restare tutti paralizzati.»
Franklin alzò stancamente una mano per interromperlo. «Un attimo solo. Ammesso che questi cartelloni siano ormai dappertutto, quale dovrebbe essere il loro scopo? A parte il fatto di mandare sprecato l'enorme capitale investito per tutte le altre insegne e i tabelloni, la capacità di spesa discrezionale ancora disponibile dovrebbe essere infinitesimale. Ci sono mutui e programmi di sconto che durano fino a mezzo secolo. Una guerra commerciale di grandi dimensioni sarebbe disastrosa.»
«Lei ha ragione, dottore,» replicò con calma Hathaway «ma dimentica
un particolare. Cosa potrebbe generare una crescita del potere di spesa? Un
grosso aumento della produzione. Hanno già cominciato a portare la
giornata lavorativa da dodici a quattordici ore. In alcune delle fabbriche
fuori città lavorare la domenica è diventato quasi la regola. Riesce a
immaginarlo, dottore? Sette giorni su sette, e tutti avranno almeno tre
lavori.»
Franklin scosse il capo. «La gente non lo accetterà.»
«E invece sì. Negli ultimi venticinque anni il prodotto interno lordo è cresciuto del cinquanta per cento, ma lo stesso vale per la media delle ore lavorative. Alla fine non faremo che lavorare e spendere ventiquattr'ore al giorno e sette giorni la settimana. Nessuno oserà rifiutarsi. Pensi cosa significherebbe un crollo dei prezzi - milioni di disoccupati, gente con tanto tempo a disposizione e niente con cui utilizzarlo. Autentico tempo libero, non solo tempo speso a fare compere.» Afferrò Franklin per una spalla. «Allora, dottore, è dalla mia parte?»
Franklin si divincolò. A meno di un chilometro, nascosto in parte dai quattro piani del Dipartimento di Patologia, spuntava il lato superiore di uno dei cartelloni giganti: gli uomini erano ancora al lavoro e strisciavano avanti e indietro lungo le travi. Le rotte aeree erano state tenute volutamente lontane dall'ospedale, quindi era ovvio che il cartellone non avesse alcun rapporto con eventuali aerei in avvicinamento.
«Ma non esiste un divieto di - com'è che la chiamavano? - esistenza
subliminale? Com'è possibile che i sindacati accettino tutto questo?»
«Hanno paura di un crollo dei prezzi. Lei conosce i nuovi dogmi
economici. Se la produzione non cresce con un ritmo inflattivo costante
del cinque per cento, l'economia andrà in stagnazione. Dieci anni fa per
garantire questo ritmo bastava aumentare l'efficienza, ma i vantaggi di quel
tipo ormai si sono assottigliati, ed è rimasta una sola possibilità. Lavorare
di più. E la pubblicità subliminale fornirà gli stimoli giusti.»
«E cosa hai pensato di fare?»
«Non posso rivelarglielo, dottore: deve prima assumersi le mie stesse responsabilità.»
«Mi sembra una battaglia contro i mulini a vento» commento Franklin. «Non potrai certo buttar giù tutti quei cartelloni a colpi d'ascia.»
«Non ci proverò neppure.» Hathaway aprì la portiera. «Non aspetti troppo a prendere una decisione, dottore, o potrebbe non avere più la possibilità di farlo.» Un gesto di commiato, e sparì.
Sulla via di casa, Franklin sentì crescere lo scetticismo. L'idea di una
cospirazione era a dir poco forzata, e le argomentazioni economiche gli
sembravano fin troppo plausibili. Comunque, come già in precedenza,
l'esca che gli aveva lanciato Hathaway segnava almeno un punto a suo
favore: il lavoro domenicale. Anche la sua attività di consulenza si era
estesa alla domenica mattina quando aveva accettato un contratto come
medico esterno per una delle fabbriche di auto che avevano introdotto i
turni festivi. Ma invece di provare rancore per questa intrusione nelle sue
già scarse ore di tempo libero, ne era stato contento. E per un solo, spaventoso motivo: gli serviva un reddito extra.
Guardando oltre le file di auto che procedevano in ordine sparso, notò
che lungo l'autostrada erano stati tirati su almeno una dozzina di cartelloni.
Come aveva detto Hathaway, ne sbucavano fuori ovunque: si ergevano
sopra i supermercati dei quartieri residenziali come vele di metallo
arrugginito.
Quando arrivò a casa, Judith era in cucina e stava guardando un programma televisivo sul portatile sopra il forno. Franklin scavalcò una grossa cassa di cartone ancora sigillata che bloccava l'ingresso, baciò sua moglie su una guancia mentre lei trascriveva in gran fretta dei numeri sul suo taccuino. Il piacevole odore di pollo arrosto - o piuttosto, una sua versione in gelatina al sapore di pollo e priva di qualsiasi proprietà tossica o nutritiva - placò la sua irritazione nel trovarla ancora impegnata a giocare a 'Scopri la superofferta'.
Toccò il cartone con un piede. «Che cos'è?»
«Non ne ho idea, tesoro, di questi tempi arriva sempre qualcosa di
nuovo: non riesco a tenere il ritmo.» Controllò il pollo attraverso lo
sportello di vetro - era una versione economica da cinque chili, delle
dimensioni di un tacchino, con cosce e ali stilizzate e un enorme petto, che
per la maggior parte sarebbe stato gettato via a fine pasto (non c'erano più
cani e gatti, quindi le classiche briciole cadute dalla tavola del ricco non
servivano ormai a nulla) - poi guardò Franklin con attenzione.
«Mi sembri preoccupato, Robert. È stata una giornataccia?»
Lui borbottò qualcosa di vago. Le ore trascorse a tentare di scovare indizi sui volti degli annunciatori di 'Scopri la superofferta' avevano acuito le capacità percettive di Judith. Sentì una fitta di comprensione per le schiere di mariti che provavano il suo stesso senso di inferiorità.
«Hai parlato di nuovo con quello straccione pazzo?»
«Hathaway? Effettivamente sì. E non è poi così pazzo.» Fece un passo indietro e inciampò sul cartone, rovesciando quasi il suo aperitivo. «Ma insomma, cos'è 'sta roba? Visto che dovrò lavorare le prossime cinquanta domeniche per pagarla, non mi dispiacerebbe saperlo.»
Controllò i due lati della scatola, fino a trovare l'etichetta. «Un
televisore? Judith, possibile che ce ne serva un altro? Ne abbiamo già tre.
Quelli in soggiorno e in sala da pranzo, più il portatile. A che ci serve un
quarto?»
«Per la stanza degli ospiti, caro, non ti agitare. Non possiamo metterci il
portatile, sarebbe sgarbato. Sto cercando di ridurre le spese, ma quattro apparecchi sono davvero il minimo. C'è scritto su tutte le riviste.»
«Più tre radio?» Franklin guardò lo scatolone, irritato. «Se invitiamo un ospite, quanto tempo passerà in camera a guardare la televisione? Judith, dobbiamo darci un taglio. Tutte queste cose non sono gratis, e neppure economiche. E in ogni caso, la televisione è una colossale perdita di tempo. C'è un solo programma. È ridicolo avere quattro apparecchi.»
«Robert, ci sono quattro canali.»
«Ma solo le pubblicità sono diverse.» Prima che Judith potesse replicare, squillò il telefono. Franklin sollevò il ricevitore in cucina e restò ad ascoltare il rumore gracchiante che si riversava dalla cornetta. All'inizio si chiese se non si trattasse di una stramba forma di offerta pubblicitaria, poi capì che era Hathaway, in preda a un attacco di follia.
«Hathaway!» sbraitò. «Rilassati, santo cielo! Cosa succede ancora?»
«Dottore, stavolta dovrà credermi. Sono salito su una delle isole
spartitraffico con uno stroboscopio, hanno centinaia di schermi che
sparano immagini a tutta velocità in faccia alla gente e nessuno si accorge
di nulla! La prossima campagna su grande scala sarà per auto e televisori,
stanno cercando di portare la velocità di permuta a due mesi - ma se lo
immagina, dottore? Una macchina nuova ogni due mesi, santo Dio, è
assolutamente...»
Franklin restò in attesa, impaziente, mentre irrompeva nella
conversazione la pausa pubblicitaria di cinque secondi (le chiamate
telefoniche erano tutte gratuite e la lunghezza degli spot dipendeva dalla
distanza: per le interurbane il rapporto tra pubblicità e conversazione
arrivava anche a 10:1, e i partecipanti tentavano disperatamente di
scambiarsi una parola tra le interminabili interruzioni), ma un attimo prima
che la pausa finisse riattaccò all'improvviso e staccò il ricevitore dalla
forcella.
Judith si avvicinò e gli toccò un braccio. «Robert, cosa succede? Hai un'aria provata.»
Franklin riprese il suo drink e passò in soggiorno. «È per via di Hathaway. Come dicevi, mi sono fatto coinvolgere troppo. E sta cominciando a insinuarsi nella mia mente.»
Guardò la sagoma scura del cartellone sopra il supermercato, con le luci rosse che brillavano contro il cielo notturno. Vuoto e senza nome, come un'area ormai chiusa a doppia mandata nella mente di un folle, a spaventarlo era la sua totale anonimità.
«Eppure non sono sicuro» mormorò. «Molte delle cose che dice Hathaway sono perfettamente sensate. Queste tecniche subliminali sarebbero proprio il tentativo disperato che ci si potrebbe aspettare da un sistema industriale a elevata capitalizzazione.»
Aspettò una risposta da Judith, poi alzò gli occhi e la guardò. Era al centro del tappeto, le mani piegate e inerti, il suo viso acuto e intelligente stranamente ottuso e inespressivo. Seguì il suo sguardo sopra i tetti, poi si voltò, non senza uno sforzo, e accese la televisione.
«Forza,» disse a denti stretti «guardiamoci un po' di TV. Il quarto apparecchio ci serve proprio.»
Una settimana dopo, Franklin cominciò a compilare il suo inventario.
Non aveva avuto più notizie di Hathaway; ogni volta che lasciava
l'ospedale, la sera, non c'era traccia della sua familiare e trasandata figura.
Quando la prima delle esplosioni risuonò ovattata nelle periferie e lesse dei
tentativi di sabotare i cartelloni giganti, ne dedusse automaticamente che il
responsabile doveva essere Hathaway, ma più tardi sentì in un notiziario
che a causare le detonazioni erano stati degli operai impegnati a scavare le
fondamenta.
Altri cartelloni apparvero sopra i tetti, solitari sulle isole spartitraffico vicino ai centri commerciali dei sobborghi. Ce n'erano già più di trenta sui quindici chilometri di strada dall'ospedale, e torreggiavano fianco a fianco sulle macchine in corsa come gigantesche tessere del domino. Franklin aveva rinunciato al tentativo di evitare di guardarli, ma la remota possibilità che le esplosioni fossero state un contrattacco di Hathaway manteneva in vita i suoi sospetti.
Cominciò il suo inventario dopo aver sentito il notiziario, e scoprì che nelle due settimane precedenti lui e Judith avevano permutato:
la macchina (un modello di due mesi)
due televisori (quattro mesi)
il tagliaerbe (sette mesi)
il forno elettrico (cinque mesi)
l'asciugacapelli (quattro mesi)
il frigorifero (tre mesi)
due radio (sette mesi)
il registratore (cinque mesi)
il mobile bar (otto mesi) Aveva fatto personalmente metà degli acquisti, ma non riusciva mai a
ricordare il momento esatto. Per esempio, aveva lasciato la macchina a
lucidare nel garage vicino all'ospedale, e quella sera stessa aveva firmato
per l'acquisto del nuovo modello seduto al volante, accettando le
rassicurazioni del venditore, secondo il quale il deprezzamento sulla
permuta a due mesi dall'acquisto era virtualmente più economico di una
semplice lucidatura. Dieci minuti dopo, mentre procedeva in autostrada, si
era reso conto all'improvviso di aver comprato un'auto nuova. Allo stesso
modo, i due televisori erano stati sostituiti da modelli identici dopo una
fastidiosa serie di interferenze (stranamente, anche i nuovi modelli
avevano lo stesso problema, ma come aveva garantito il venditore, i
disturbi svanirono nel giro di due giorni). Non una sola volta aveva deciso
di sua spontanea volontà di volere qualcosa ed era andato in un negozio a
comprarla!
Portava l'inventario con sé, facendo le aggiunte necessarie, analizzando con tranquillità e senza protestare le nuove tecniche di vendita, chiedendosi se la capitolazione totale non potesse essere l'unico modo di neutralizzarle. Fino a quando avesse fatto resistenza, anche solo simbolica, la curva inflazionistica sarebbe cresciuta di un regolare dieci per cento annuo. Ma se la resistenza fosse venuta meno, avrebbe cominciato a salire vertiginosamente, senza che fosse più possibile controllarla...
Tornando a casa dall'ospedale due mesi dopo, vide per la prima volta uno dei cartelloni.
Era nella corsia dei sessanta, incapace di tenere il passo dell'ondata di
macchine nuove, e aveva appena superato il secondo dei tre raccordi,
quando a meno di un chilometro il traffico cominciò a rallentare. Centinaia
di auto si erano parcheggiate a bordo strada, e una folla si stava radunando
intorno a uno dei cartelloni. Due piccole figure nere si arrampicavano sulla
facciata di metallo, e una serie di luci a forma di griglia che si accendevano
a intermittenza illuminava l'aria della sera. C'era qualcosa di casuale e
incerto nel disegno proiettato dalle luci, come se fosse la prima volta che
l'insegna veniva accesa.
Sollevato all'idea che i sospetti di Hathaway si fossero dimostrati
infondati, Franklin parcheggiò sul ciglio della carreggiata, poi si mescolò
agli spettatori, investiti dalle luci intermittenti. Dietro le palizzate in
acciaio che circondavano l'isola spartitraffico, c'era un folto gruppo di
poliziotti e ingegneri che tendevano il collo per guardare gli uomini appesi al cartellone, trenta metri sopra di loro.
All'improvviso Franklin si fermò, e la sensazione di sollievo svanì bruscamente. Molti dei poliziotti erano armati di fucile, e i due agenti che si stavano arrampicando avevano un mitra in spalla. Stavano convergendo verso una terza figura, acquattata accanto a una scatola dei comandi sulla penultima sporgenza: un uomo barbuto con una camicia sporca e un ginocchio nudo che sbucava dai jeans.
Hathaway!
Franklin accelerò il passo dirigendosi verso lo spartitraffico, mentre l'insegna sibilava e i fusibili bruciavano a dozzine.
Poi il tremolio delle luci cessò e l'immagine si fece più nitida e continua, mentre la folla guardava la fila di lettere che brillavano nell'oscurità. Le frasi, in tutte le loro possibili combinazioni, suonavano perfettamente familiari, e Franklin seppe di averle lette per settimane, facendo avanti e indietro sull'autostrada.
COMPRATELA COMPRATELA COMPRATELA COMPRATELA
UNA MACCHINA NUOVA UNA MACCHINA NUOVA
ADESSO ADESSO ADESSO ADESSO ADESSO ADESSO
Due auto di pattuglia piombarono a sirene spiegate sul ciglio della strada
e parcheggiarono di traverso sull'erba umida. I poliziotti scesero uno dopo
l'altro con i manganelli in mano e cominciarono subito a spingere indietro
la folla. Franklin mantenne la sua posizione mentre gli si avvicinavano e
cominciò a dire: «Agente, io conosco quell'uomo...», ma il poliziotto lo
colpì sul petto con la mano aperta. Sbilanciato, arretrò fra le macchine, e si
appoggiò indifeso a un parafango mentre gli agenti cominciavano a
rompere i parabrezza tra le proteste furibonde dei poveri automobilisti, e
chi aveva parcheggiato più lontano si affrettava verso il proprio veicolo.
Il frastuono si interruppe quando da uno dei mitra partì una rapida
scarica, poi riprese trasformandosi in un rantolo collettivo quando
Hathaway, le braccia stese, lanciò un grido di trionfo e dolore, e saltò giù.
«Ma Robert, credi davvero che sia tanto importante?» chiese Judith la
mattina dopo, mentre Franklin sedeva inerte in soggiorno. «Certo, per sua
moglie e sua figlia è stata una tragedia, ma Hathaway soffriva di una vera e
propria ossessione. Se odiava tanto i cartelloni pubblicitari, perché non ha
fatto saltare in aria quelli che tutti noi possiamo vedere, invece di preoccuparsi tanto di quelli invisibili?»
Franklin guardava lo schermo del televisore, nella speranza che il programma riuscisse a distrarlo.
«Hathaway aveva ragione» disse.
«Credi davvero? Ormai la pubblicità è un fatto acquisito. Non abbiamo nessuna libertà di scelta. Non possiamo spendere più di quanto è alla nostra portata, o i creditori ci faranno a pezzi.»
«E tu accetti tutto questo?» Franklin andò alla finestra. A cinquecento
metri da lui, al centro esatto del quartiere, stavano tirando su un altro
cartellone. Era a est rispetto a casa loro, e nella luce del primo mattino
l'ombra della sua struttura rettangolare passava attraverso il giardino,
arrivando quasi ai gradini della porta finestra. A mo' di concessione per gli
abitanti, e forse per allontanare i sospetti durante la costruzione facendo
appello al loro snobismo, la base dell'insegna era stata coperta da pannelli
in stile Tudor.
Franklin guardò il cartellone, contando i poliziotti che sostavano accanto alle loro auto di pattuglia mentre la squadra di operai scaricava da un camion le griglie prefabbricate. Guardò l'insegna accanto al supermercato, tentando di togliersi dalla mente il ricordo di Hathaway e dei suoi patetici tentativi di convincerlo e assicurarsi il suo aiuto.
Ed era ancora lì in piedi un'ora dopo, quando Judith entrò, mettendosi il
cappellino e il cappotto, pronta per andare al supermercato.
Franklin la seguì alla porta. «Ti accompagno, Judith. Devo prenotare una
macchina nuova. I prossimi modelli usciranno alla fine del mese. Con un
po' di fortuna, potremo approfittare delle prime consegne.»
Si incamminarono lungo il vialetto ben curato, mentre le ombre dei
cartelloni ondeggiavano su tutto il quartiere man mano che il giorno
avanzava, oscillando sulle teste della gente diretta al supermercato come le
lame di gigantesche falci.