venerdì 1 febbraio 2019



L'UOMO SUBLIMINALE
James G. Ballard
(The Subliminal Man, New Worlds, 1963)
Tutti i racconti
Vol. II (1963-1968)
Fra le tematiche predilette da Ballard, centrale è sicuramente quella della riflessione sulla società dei consumi, caratterizzata da un’atroce quanto inesorabile invasività. In questo racconto - la cui atmosfera distopica ricorda 1984 e Fahrenheit 451 - il protagonista è preda di apparenti allucinazioni, emanate da immensi cartelloni pubblicitari che invadono l’area suburbana con i loro serpeggianti messaggi nascosti di comprare, comprare, comprare, cambiare i propri elettrodomestici in tempi sempre più accellerati, ogni sette mesi, ogni due mesi, ogni giorno, fino a cancellare il pensiero negli esseri umani, riducendoli a mere macchine circondate da altre macchine.
Certamente la ribellione è possibile anche se, per Ballard, può condurre soltanto alla follia, o tutt’al più a gesti puerili che rimangono inascoltati. 

L'UOMO SUBLIMINALE

(The Subliminal Man, New Worlds, 1963)


«I segnali, dottore! Ha visto i segnali?»
Accigliato e infastidito, il dottor Franklin accelerò il passo e si affrettò a scendere  la  scalinata  dell'ospedale,  dirigendosi  verso  la  fila  di  auto parcheggiate.  Con  la  coda  dell'occhio  intravide  un  tipo  giovane  con  i sandali consumati e i jeans macchiati di vernice che gesticolava verso di lui dal lato opposto del viale.
«Dottor Franklin! I segnali!»
Il capo chino, Franklin aggirò una coppia anziana che procedeva verso gli  ambulatori.  La  sua  macchina  era  a  cento  metri  di  distanza.  Troppo stanco per mettersi a correre, aspettò che il giovane lo raggiungesse.
«E va bene, Hathaway, che c'è stavolta?» esordì, secco. «Sono stufo di vederti ronzare qui intorno.»
Hathaway gli si fermò davanti, barcollante, con i capelli neri e spettinati  che gli  scendevano  sugli occhi  come una tendina. Se li  scostò  con una  mano ad artiglio e si aprì in un sorriso emozionato:  evidentemente, era  tanto contento di vedere il dottore quanto ignaro dell'ostilità che l'altro gli aveva dimostrato.
«Ho cercato di parlarle ieri sera, dottore, ma quando chiamo sua moglie  mi riattacca sempre il telefono in faccia» spiegò senza il minimo rancore, come chi è già abituato a subire umiliazioni del genere. «E non volevo 
venirla  a  cercare  in  clinica.»  Si  erano  fermati  accanto  a  una  siepe  di  ligustro che li rendeva invisibili dalle finestre dell'edificio principale, ma 
gli  incontri  regolari  tra  Franklin  e  Hathaway,  e  gli  strani  proclami 
messianici di quest'ultimo, erano già stati oggetto di commenti divertiti.
Franklin  cominciò  a  dire:  «Apprezzo  molto  che  tu...»  ma  Hathaway  tagliò corto con un gesto della mano. «Lasci stare, dottore, ci sono cose 
molto più urgenti. Hanno cominciato a costruire i primi segnali su grande  scala! Alti più di trenta metri, sulle isole spartitraffico fuori città. Tra poco avranno coperto tutte le strade in entrata. E a quel punto tanto varrà che  rinunciamo a pensare.»
«In realtà, il tuo problema è che pensi troppo» replicò Franklin. «Sono settimane che continui a vaneggiare di questi segnali. E allora dimmi un po', ne hai mai visto uno che ti faceva segno?»
Esasperato da quell'osservazione irrilevante, Hathaway strappò un pugno di foglie dalla siepe. «Certo che no, ma è proprio questo il punto, dottore.» Abbassò  la  voce  al  passaggio  di  un  gruppo  di  infermiere,  che  lo guardarono  in  tralice,  stupite  dal  suo  aspetto  stravagante.  «Ieri  notte  le squadre di costruzione sono uscite di nuovo e hanno posato i cavi elettrici. Tornando a casa li noterà di certo. Ormai sono quasi pronti.»
«Sono semplici segnali stradali» gli spiegò con pazienza Franklin. «Il cavalcavia è stato appena completato. Santo cielo, Hathaway, rilassati. Dovresti pensare a Dora e al bambino.»
«Ma io ci penso, eccome!» La sua voce si alzò fino a trasformarsi in un grido  controllato.  «Quei  cavi  reggono  fino  a  40.000  volt,  dottore,  una potenza  terrificante.  I  camion  erano  carichi  di  impalcature  metalliche, enormi. Domani cominceranno a tirarli su per tutta la città e finiranno per coprire almeno metà del cielo! Cosa pensa che diventerà Dora, dopo sei mesi di questo trattamento? Dobbiamo fermarli, dottore, o trasformeranno i nostri cervelli in transistor!»
Imbarazzato dalle  grida  di  Hathaway,  per un  istante Franklin  perse  il senso dell'orientamento e prese a percorrere con lo sguardo il mare di auto alla disperata ricerca della sua. «Hathaway, non posso più perdere tempo a parlare con te. Credimi, hai bisogno di farti aiutare da uno specialista, o queste ossessioni finiranno col rovinarti.»
Hathaway accennò a una protesta, e Franklin sollevò la mano destra in un  gesto  fermo.  «Sta'  a  sentire.  Per  l'ultima  volta,  se  sei  in  grado  di mostrarmi uno di questi segnali e hai le prove che sta trasmettendo dei messaggi  subliminali,  ti  accompagno alla  polizia.  Ma  non  hai  niente di concreto, e lo sai. La pubblicità subliminale è stata vietata trent'anni fa da leggi che non sono mai state abrogate. E in ogni caso la tecnica non era soddisfacente e non ha mai avuto successi, se non marginali. La tua idea su una grande cospirazione che opera piazzando dappertutto queste migliaia di segnali giganteschi non sta in piedi.»
«E va bene, dottore.» Hathaway si appoggiò al cofano di una delle auto. Sembrava  che  il  suo  umore  fosse  passato  in  un  attimo  da  un  estremo all'altro.  Guardò  Franklin  con  un'espressione  rilassata. «Qual  è  il problema, ha perso la sua macchina?»
«È tutto questo tuo sbraitare che mi ha confuso le idee.» Franklin tirò fuori la chiavetta di accensione e rilesse il numero della targa: «NYN 299 -566 -367-21. La vedi, per caso?»
Hathaway si guardò intorno voltandosi pigramente, con un sandalo sempre incollato al parafango, controllando la piazzola coperta da mille e  più macchine che si stendeva di fronte a loro. «E difficile, vero? Specie quando sono tutte identiche, addirittura dello stesso colore. Trent'anni fa 
c'erano  almeno  dieci  modelli,  con  una  dozzina  di  tinte  diverse  per ognuno.»
Franklin  ritrovò  la  sua  macchina  e  si  incamminò  verso  di  essa. «Sessant'anni fa i modelli erano almeno cento. E allora? È inevitabile che la standardizzazione economica abbia un prezzo.»
Hathaway si mise a tamburellare con le dita sui tettucci delle auto. «Ma non è che queste macchine costino poi così poco, dottore. In realtà, se le si paragona a quelle di trent'anni fa in base all'incidenza sul reddito, sono più care del quaranta per cento. Con la riduzione a un unico modello ci si dovrebbe aspettare un calo, non un aumento di prezzo.»
«Forse» rispose Franklin, aprendo la portiera. «Ma per quanto riguarda la meccanica le auto di oggi sono molto più sofisticate. Più leggere, più resistenti, più sicure da guidare.»
Hathaway scosse il capo con fare scettico. «Io le trovo noiose. Stesso modello,  stesso  design, stesso  colore, anno dopo anno. È una  specie  di 
comunismo.» Fece scorrere un dito unto sul parabrezza. «Anche questa è nuova, vero, dottore? Che fine ha fatto quella vecchia, l'ha tenuta solo per  tre mesi?»
«Ho  fatto  una  permuta»  rispose  Franklin,  accendendo  il  motore.  «Se avessi  anche  tu  dei  soldi  sapresti  che  è  il  modo  più  economico  per 
possedere un'auto in buone condizioni. Non conviene continuare a tenere sempre la stessa finché non va in pezzi. E questo vale per tutto il resto -
televisori,  lavatrici,  frigoriferi.  Ma  questo  è  un  problema  che  non  ti interessa.»
Hathaway ignorò la frecciata e si appoggiò con il gomito al finestrino di Franklin. «E non è certo una brutta situazione, dottore. Mi lascia il tempo per pensare. Non lavoro dodici ore al giorno per potermi pagare un sacco di  cose  ed  essere  poi  troppo  occupato  per  riuscire  a  usarle  prima  che diventino obsolete.»
Mentre Franklin usciva in retromarcia dalla sua fila, Hathaway lo salutò con la mano, per poi gridare dietro al fumo della marmitta: «Guidi con gli occhi chiusi, dottore!» Guidando verso casa, Franklin si tenne accuratamente sulla corsia più lenta delle quattro. Come gli accadeva sempre dopo una discussione con 
Hathaway, si sentiva vagamente depresso. Si rese conto di invidiarne inconsapevolmente  l'esistenza  nomade.  Nonostante  il  suo  appartamento sudicio  e  privo  di  acqua  calda  avvolto  dall'ombra  e  dal  frastuono  del cavalcavia, nonostante la  moglie  petulante  e il bambino malato  e le interminabili  liti  con  il  padrone  di  casa  e  il  responsabile  crediti  al 
supermercato, Hathaway conservava intatta la sua libertà. Scevro di ogni 
responsabilità, non aveva difficoltà a resistere agli irrilevanti abusi che il resto della società poteva imporgli, se non altro generando in lui fantasie 
ossessive come l'ultima, quella sulla pubblicità subliminale.
La capacità di reagire agli stimoli, anche in modo irrazionale, era un valido criterio di libertà. Al contrario, qualunque libertà Franklin potesse 
possedere   era   periferica   e   nettamente   demarcata   dalle   vistose responsabilità su cui restava incentrata la sua vita - i tre mutui sulla casa, i cicli obbligatori di cocktail party, il consultorio privato che gli impegnava la maggior parte del sabato e con il quale pagava le rate su una moltitudine 
di articoli per la casa, vestiti e vacanze già godute. I tragitti in auto da casa al lavoro e viceversa erano quasi i soli momenti che avesse per sé.
Ma almeno le strade erano splendide. Per quante critiche si potessero rivolgere  alla  società,  non  c'era  dubbio  che  sapesse  come  costruire  le 
strade. Autostrade a otto, dieci e dodici corsie si incrociavano in tutto il paese, gettandosi a capofitto da tratti sopraelevati in giganteschi parcheggi 
nel cuore delle città, o dividendosi in grandi arterie suburbane con le loro vaste aree di sosta intorno ai centri commerciali. Sommati, le strade e i parcheggi occupavano più di un terzo della superficie del paese, e nelle aree  urbane  la  percentuale  era  anche  maggiore.  Le  vecchie  città  erano circondate dalle enormi sculture in movimento dei raccordi a quadrifoglio e dei cavalcavia, ma ciò nonostante non c'era modo di evitare la 
congestione.
I quindici chilometri che separavano l'ospedale da casa sua in realtà diventavano quasi quaranta, e per percorrerli serviva il doppio del tempo 
che impiegava prima della costruzione dell'autostrada; i chilometri in più erano  tutti  all'interno  dei  tre  colossali  raccordi.  Dai  motel,  i  caffè  e  le rivendite  di  auto  intorno  alle  arterie  sorgevano  nuove  città.  Al  primo accenno di incrocio, in mezzo alla foresta di insegne elettriche e segnali 
stradali  si  espandeva  un  precario  agglomerato  di  negozi  al  dettaglio  e
 stazioni di servizio.
Tutto  intorno  a  Franklin,  le  macchine  sfrecciavano  come  pallottole, disegnando  una  scia  rivolta  verso  i  sobborghi.  Rilassato  dal  lento 
beccheggiare della sua auto, il dottore si sporse fino a invadere la corsia accanto alla sua. Mentre accelerava dai sessanta agli ottanta all'ora, un rumore  stridulo  e  fastidioso  esplose  dai  suoi  pneumatici,  scuotendo  il telaio della macchina. Con l'evidente scopo di facilitare il rispetto dei limiti 
di velocità per ogni corsia, la superficie stradale era cosparsa di piccoli cunei gommati, sempre più distanziati da una corsia all'altra, in modo che 
le  ruote  prendessero  a  ronzare  esattamente  a  sessanta,  ottanta,  cento  e 
centoventi all'ora. Procedere a una velocità intermedia per più di pochi secondi,  oltre  a  mettere  a  dura  prova  l'udito,  poteva  provocare  danni all'auto e alle gomme.
Quando i cunei si consumavano venivano sostituiti da altre protuberanze leggermente  diverse  e  perfettamente  corrispondenti  alle  zigrinature sull'ultimo  modello di  pneumatici,  in  modo  da costringere i  guidatori  a cambiare spesso le gomme garantendo così la sicurezza e l'efficienza delle autostrade.  La  maggior  parte  delle  auto  che  avevano  più  di  sei  mesi cadevano in pezzi per effetto dei maltrattamenti, ma tutto questo veniva considerato  quasi  auspicabile,  poiché  la  rotazione  continua  diminuiva  il prezzo per unità e consentiva un'innovazione permanente dei modelli, oltre a liberare le strade dai veicoli pericolosi.
Quattrocento metri più avanti, a poca distanza dal primo dei raccordi a quadrifoglio,  il  flusso  del  traffico  stava  rallentando  e  si  intravedevano 
grandi  cartelli  della polizia stradale  che segnalavano 'Lavori  in  corso' e 'Rallentare'. Franklin tentò di spostarsi di nuovo sulla prima corsia, ma le 
auto erano letteralmente incollate una all'altra. Quando il telaio cominciò a tremare e vibrare, risuonandogli fin nella spina dorsale, il dottore strinse i denti e tentò di trattenersi dal suonare. Gli altri guidatori faticavano di più a controllarsi e ovunque intorno a lui i motori boccheggiavano e ringhiavano, e i clacson ululavano. Le tasse stradali erano ormai così alte, 
fino  al  trenta  per  cento  del  prodotto  interno  lordo (mentre  quelle  sul reddito non superavano il due per cento), che qualunque fattore di ritardo 
sulle  autostrade  provocava  un'immediata  inchiesta  governativa,  e  i principali  dicasteri  si  occupavano  quasi  esclusivamente  di  gestire  il 
sistema stradale.
Avvicinandosi ancora al raccordo, vide che le corsie erano state chiuse per  consentire  a  una  squadra  di  operai  di  erigere  su  una  delle  isole spartitraffico  un  gigantesco  cartellone  dalla  struttura  in  metallo.  L'area 
recintata brulicava di ingegneri e sorveglianti, e Franklin ne dedusse che doveva  essere  il  segnale  che  Hathaway  aveva  visto  trasportare  la  sera prima. Il suo appartamento era in uno degli edifici dozzinali cresciuti alla spicciolata  intorno  al  raccordo,  un'area  a  buon  mercato  abitata  dal 
personale di stazioni di servizio, da cameriere e da altri pendolari. Il cartellone era enorme, alto almeno trenta metri e fissato su griglie che somigliavano  alla  parte  concava  di  un  radar.  Poggiato  su  una  serie  di cassoni pneumatici, si elevava al di sopra del manto stradale, visibile per chilometri e chilometri. Franklin allungò il collo per osservare le griglie, seguendo il percorso dei cavi dai trasformatori fino alla massa intricata di rotoli  metallici  che ne  coprivano  la  superficie. Una fila  intera  di  faretti rossi  era  già  accesa  lungo  il  puntone,  e  Franklin  ne  dedusse  che  il cartellone doveva far parte del sistema di segnali di terra dell'aeroporto cittadino, che era a quindici chilometri di distanza.
Tre  minuti  dopo,  mentre  accelerava  sul  rettilineo  di  autostrada  che portava  al  raccordo  successivo,  si  vide  davanti  il  secondo,  gigantesco cartellone che svettava nel cielo.
Spostandosi sulla corsia dei sessanta all'ora, Franklin guardò la grande massa  che  si  allontanava  nello  specchietto  retrovisore.  Benché  non  vi 
fossero  simboli  grafici  tra  i  rotoli  di  cavi  che  coprivano  le  griglie,  gli risuonarono  di  nuovo  all'orecchio  gli  avvertimenti  di  Hathaway.  Senza sapere  il  perché,  era  sicuro  che  i  cartelloni  non  facessero  parte  della 
segnaletica dell'aeroporto. Nessuno dei due era collocato in linea con le rotte  aeree  principali.  Se  si  volevano  giustificare  le  spese sostenute  per piazzarli al centro dell'autostrada - per reggersi sull'isoletta a centro strada, 
il secondo cartellone aveva richiesto un elaborato sistema di contrafforti - era inevitabile dedurre che il loro ruolo avesse qualcosa a che fare con i flussi del traffico.
Duecento  metri  più  avanti  c'era  un  auto-market,  e  tutto  d'un  tratto Franklin si ricordò che gli servivano delle sigarette. Svoltando sulla rampa d'ingresso si unì alla coda che scorreva verso la cassa self-service sul lato opposto. L'auto-market era zeppo di macchine, e ognuna delle sue cinque file era composta da uomini dall'aspetto stanco, curvi sul loro volante e diretti al banco degli acquisti.
Inserite le sue monete (le banconote erano state ritirate dalla circolazione perché  le  casse  automatiche  non  erano  in  grado  di  leggerle),  prese  un pacchetto dal distributore. Era l'unica marca di sigarette disponibile - in realtà, c'era una sola marca di qualsiasi prodotto - anche se in alternativa 
vi  erano  le  maxi-confezioni  economiche.  Mentre  si  allontanava,  aprì  il cruscotto.
Dentro, ancora avvolti nella plastica, c'erano altri tre pacchetti.
Quando  arrivò  a  casa,  l'ambiente  era  pervaso  da  un  forte  odore  che sembrava di pesce e filtrava dal forno in cucina. Fiutando l'aria, tutt'altro 
che  entusiasta,  Franklin  si  tolse  cappotto  e  cappello.  Sua  moglie  era  in salotto,  raggomitolata  davanti  al  televisore.  Un  annunciatore  stava dettando una serie di numeri, e Judith li trascriveva in gran fretta su un taccuino, imprecando di tanto in tanto tra i denti. «Che fregatura!» esplose. 
«Andava così veloce che sono riuscita a copiarne solo qualcuno.»
«Probabile  che  l'abbia  fatto  apposta»  commentò  Franklin.  «Cos'è,  un nuovo gioco con il pubblico da casa?»
Judith  lo  baciò  su  una  guancia,  nascondendo  con  cura  il  posacenere stracolmo di cicche e carte di cioccolatini. «Ciao tesoro, mi spiace ma non 
ho potuto preparare l'aperitivo. Hanno cominciato questa nuova serie di Grandi Promozioni, sai? C'è una scelta di articoli con il novanta per cento 
di  sconto  all'acquisto,  sempre  che  si  abiti  nella  zona  giusta  e  si  possa fornire  la  serie  completa  di  numeri.  Ma  è  tutto  tremendamente complicato.»
«Non male come idea, però. E cosa hai rimediato?»
Judith  controllò  la  sua  lista.  «Be',  a  quanto  vedo  solo  uno  spiedo  da barbecue a infrarossi. Ma dobbiamo riuscire ad arrivare al negozio entro le otto, e sono già le sette e mezzo.»
«Niente da fare, allora. Sono stanco, angelo mio, e devo assolutamente mangiare  qualcosa.»  E  vedendo  che  Judith  accennava  a  una  protesta aggiunse:  «Senti,  non  voglio  uno  spiedo  da  barbecue  a  infrarossi,  sono solo  due  mesi  che  abbiamo  comprato  il  nostro.  Per  la  miseria,  non  c'è ancora neanche il modello nuovo!»
«Ma  caro,  non  capisci,  comprarne  sempre  di  nuovi  è  molto  più economico. Dovremmo comunque ridare indietro il nostro entro la fine dell'anno,  lo  dice  il  contratto,  e  in  questo  modo  risparmiamo  almeno cinque sterline. Queste Grandi Promozioni non sono solo un gioco, in caso tu non lo sappia. Sono rimasta incollata a quel dannato apparecchio per tutto il giorno.» Dalla voce di Judith traspariva un'irritazione crescente, ma Franklin tenne il punto, ostinandosi a ignorare l'orologio.
«E va bene, perdiamo cinque sterline. Ne vale la pena.» Prima che lei potesse replicare aggiunse: «Judith, ti prego! Oltre tutto, magari hai anche copiato male il numero.» Mentre la moglie, scrollate le spalle, si dirigeva verso il mobile bar, disse ad alta voce: «Fammene uno bello robusto. A quanto vedo, il menu prevede del cibo macrobiotico.»
«È  per  la  tua  salute,  tesoro.  Sai  bene che non puoi  mangiare  sempre alimenti  ordinari.  Non  contengono  proteine  né  vitamine.  E  poi,  lo  dici sempre anche tu che dovremmo fare come la gente dei bei tempi andati, che mangiava solo prodotti naturali.»
«Lo  so,  ma  hanno  un  odore  così  tremendo...»  Franklin  si  stese  sul divano,  il  naso  affondato  nel  bicchiere  di  whisky,  gli  occhi  fissi  sul panorama urbano che andava oscurandosi fuori dalla finestra.
A cinquecento metri, sopra il tetto del supermercato di quartiere, brillavano a intermittenza le luci di segnalazione. Di tanto in tanto, quando i proiettori delle Grandi Offerte gettavano i loro raggi sulla facciata del palazzo,  riusciva  a  vedere  la  massa  imponente  di  un  cartellone  che  si stagliava nitida contro il crepuscolo.
«Judith!»  Andò  in  cucina  e  la  accompagnò  alla  finestra.  «Quel cartellone, proprio dietro il supermercato. Quando l'hanno messo?» 
«Non  lo  so.»  Judith  lo  guardò,  ansiosa.  «Perché  ti  preoccupi  tanto, Robert? Saranno stati quelli dell'aeroporto.»
Franklin fissava la scura mole del cartellone. «È quello che penseranno 
tutti.»
E con cautela, versò il whisky nel lavello.

Alle  sette  del  mattino  successivo,  dopo  aver  parcheggiato  la  sua macchina accanto al supermercato, Franklin si svuotò con cura le tasche e mise  le  monete  nel  cruscotto.  Il  supermercato  era  già  in  piena  attività, preso  d'assalto  dai  clienti  mattinieri,  e  i  trenta  tornelli  scattavano  e sbattevano. Da quando era stato introdotto il principio 'spendere 24 ore su 24', il negozio non chiudeva mai. Quasi tutti gli acquirenti disponevano di uno  sconto:  casalinghe  che  avevano  contrattato  l'acquisto  di  quantità industriali di cibo, vestiario e accessori a un prezzo di favore, costrette a passare  di  supermercato  in  supermercato  per  tenere  il  passo  delle  loro cedole d'acquisto, tentando al tempo stesso di sfruttare tutti gli incentivi che venivano ad aggiungersi per alimentare la febbre.
Le donne finivano spesso per fare squadra, e mentre Franklin si avviava 
verso  l'entrata  un  gruppo  di  loro  si  lanciò  di  gran  carriera  verso  le rispettive auto, inzeppando gli scontrini nelle borse e chiamandosi a gran voce.  Subito  dopo,  le  loro  macchine  partirono  rombanti  in  carovana, dirette all'area commerciale successiva.
Una  grande  insegna  al  neon  sopra  l'ingresso  elencava  gli  ultimissimi sconti - un misero cinque per cento - calcolati sul volume del fatturato. 
Quelli più alti, che a volte arrivavano addirittura al venticinque per cento, 
venivano praticati nelle zone residenziali dove vivevano i colletti bianchi più giovani. In quel caso, c'era un forte incentivo sociale alla spesa, e il desiderio  di  diventare  il  miglior  acquirente  del  quartiere  veniva moralmente rafforzato dal sistema di fare apparire tutti i nomi e il totale 
aggiornato  delle  spese  sostenute  su  un  grosso  tabellone  elettronico, 
nell'atrio  dei  supermercati.  Più  si  spendeva,  più  rilevante  diventava  il proprio contributo allo sconto di cui tutti gli altri avrebbero goduto.
 Chi spendeva cifre modeste era guardato come se fosse colpevole di crimini 
contro la società e vivesse da parassita alle spalle degli altri.
Fortunatamente  questo  sistema  non  era  stato  ancora  adottato  nel quartiere di Franklin - non perché i professionisti e le loro mogli fossero capaci  di  una  maggiore  discrezione,  ma  perché  i  redditi  maggiori consentivano loro di accedere ai sistemi di sconto molto più alti applicati dai grandi magazzini del centro.
A dieci metri dall'ingresso Franklin si fermò, guardando il grosso cartellone metallico montato in un angolo, al limitare del parcheggio. A differenza delle altre insegne e dei tabelloni che proliferavano ovunque, non era stato fatto alcun tentativo di decorarlo o di camuffare il rettangolo spoglio di maglie d'acciaio inchiodate. I cavi elettrici scorrevano sui lati, e la  superficie  asfaltata  del  parcheggio  era  attraversata  da  una  grossa cicatrice nella quale era stato fatto passare un cavo.
Franklin  proseguì,  per  poi  fermarsi  a  una  quindicina  di  metri  dal cartellone, rendendosi conto che sarebbe arrivato in ritardo all'ospedale ma che aveva bisogno di un'altra stecca di sigarette. Dagli altoparlanti sotto l'insegna  usciva  un  mormorio  indistinto  ma  forte,  che  svanì  lentamente quando lui tornò al supermercato.
Avvicinandosi ai distributori automatici si frugò in cerca di monete, poi si  lasciò  sfuggire  un  fischio  quando  ricordò  il  motivo  per  cui  si  era deliberatamente svuotato le tasche.
«Hathaway!» disse, con voce abbastanza alta da far girare due avventori. Riluttante a guardare direttamente il cartellone, ne spiò il riflesso in uno dei  pannelli  di  vetro  dell'ingresso,  in  modo  che  qualunque  messaggio subliminale venisse rispedito al mittente. Doveva aver  ricevuto  due impulsi  contrastanti  - 'Tieniti  a distanza'  e 
'Compra delle sigarette'. La gente che di solito parcheggiava l'auto lungo il 
perimetro del parcheggio evitava l'area intorno alla nicchia e descriveva un 
semicerchio per mantenersi ad almeno quindici metri dal cartellone.
Si  voltò  verso  il  custode  che  stava  spazzando  l'atrio.  «A che  serve quello?»
L'uomo si appoggiò alla  ramazza, volgendo uno sguardo ottuso al 
cartellone. «Non ne ho idea» disse. «Deve avere qualcosa a che fare con 
l'aeroporto.» Aveva in bocca una sigaretta appena accesa, ma la sua mano 
destra si infilò in una tasca ed estrasse un pacchetto. Quando Franklin andò 
via,  stava  battendo  distrattamente  la  seconda  sigaretta  sull'unghia  del 
pollice.
Tutti quelli che entravano nel supermercato compravano sigarette.
Immettendosi lentamente nella corsia dei sessanta, Franklin cominciò a 
interessarsi  più  da  vicino  al  paesaggio  che  lo  circondava.  Di  solito  era 
troppo stanco o troppo preoccupato per pensare ad altro se non alla guida, 
ma stavolta esaminò metodicamente l'autostrada, scrutando i caffè che la 
costeggiavano in cerca di versioni dei segnali in miniatura. Le porte e le 
finestre erano coperte di espositori illuminati al neon, per lo più di aspetto 
innocuo, quindi rivolse la sua attenzione ai cartelloni più grandi eretti nelle 
zone aperte lungo l'autostrada. Molti di essi erano alti quanto una casa a 
quattro piani ed erano rappresentazioni tridimensionali e accurate in cui 
gigantesche  casalinghe  con  occhi  e  denti  elettrici  trafficavano  e  si 
mettevano in posa nelle loro cucine ideali, sorridendo in un'esplosione di 
neon.
Le aree su ambedue i lati dell'autostrada erano desolate, un susseguirsi di 
discariche  zeppe  di  macchine  e  camion,  lavatrici  e  frigoriferi,  tutti 
perfettamente funzionanti ma messi in disparte per effetto della pressione 
economica  esercitata  dalle  ondate  successive  di  modelli  scontati.  Gli 
involucri  e  gli  stipi  metallici,  quasi  completamente  privi  di  ruggine, 
splendevano al sole. Nei pressi della città, i cartelloni erano abbastanza 
vicini da coprire quello spettacolo, ma di tanto in tanto, quando rallentava 
per imboccare uno dei raccordi, Franklin intravedeva le grandi piramidi di 
metallo che rilucevano silenziose come le rovine di un El Dorado ormai 
dimenticato.
Quella  sera,  quando  scese  i  gradini  dell'ospedale,  Hathaway  lo  stava aspettando. Franklin gli fece cenno di attraversare il vialetto, poi proseguì a passo rapido verso la macchina.
«Che  succede,  dottore?»  chiese  Hathaway  quando  Franklin  tirò  su  i finestrini scrutando le file di auto parcheggiate. «La stanno pedinando?» Franklin rise senza allegria. «Non lo so. Spero di no, ma se quello che dici è vero, immagino sia possibile.»
Hathaway si appoggiò allo schienale ridacchiando e puntò un ginocchio contro il cruscotto. «Quindi anche lei se n'è accorto, dopo tutto.» 
«Be', non ne sono ancora sicuro, ma esiste la possibilità che tu abbia ragione.  Stamattina,  al  supermercato  di  Fairlawne...»  S'interruppe, ripensando con disagio al grande cartellone nero e al gesto brusco con il quale era tornato verso il supermercato, poi descrisse il suo incontro. 
Hathaway annuì. «L'ho visto, quel cartellone. È grosso, ma meno di tanti altri che stanno venendo su adesso. Ormai li costruiscono dovunque. Su tutta la città. Che ha intenzione di fare, dottore?»
Franklin si strinse al volante. Il tono velatamente divertito di Hathaway lo irritava. «Niente, è ovvio. Maledizione, potrebbe essere solo una forma di autosuggestione, magari sei stato tu a indurmi a immaginare...»
Hathaway scattò a sedere. «Non dica assurdità, dottore! Se non riesce a credere  ai  suoi  sensi,  che  speranze  le  restano?  Le  stanno  invadendo  il cervello, e se non si difende completeranno l'opera! Dobbiamo agire subito, prima di restare tutti paralizzati.»
Franklin alzò stancamente una mano per interromperlo. «Un attimo solo. Ammesso che questi  cartelloni siano ormai dappertutto, quale dovrebbe essere il loro scopo? A parte il fatto di mandare sprecato l'enorme capitale investito  per  tutte  le  altre  insegne  e  i  tabelloni,  la  capacità  di  spesa discrezionale ancora disponibile  dovrebbe  essere infinitesimale. Ci sono mutui e programmi di sconto che durano fino a mezzo secolo. Una guerra commerciale di grandi dimensioni sarebbe disastrosa.»
«Lei ha ragione, dottore,» replicò con calma Hathaway «ma dimentica 
un particolare. Cosa potrebbe generare una crescita del potere di spesa? Un 
grosso  aumento  della  produzione.  Hanno  già  cominciato  a  portare  la 
giornata lavorativa da dodici a quattordici ore. In alcune delle fabbriche 
fuori  città  lavorare  la  domenica  è  diventato  quasi  la  regola.  Riesce  a 
immaginarlo,  dottore?  Sette  giorni  su  sette,  e  tutti  avranno  almeno  tre 
lavori.»
Franklin scosse il capo. «La gente non lo accetterà.»
«E invece sì. Negli ultimi venticinque anni il prodotto interno lordo è cresciuto del cinquanta per cento, ma lo stesso vale per la media delle ore lavorative. Alla fine non faremo che lavorare e spendere ventiquattr'ore al giorno  e  sette  giorni  la  settimana.  Nessuno  oserà  rifiutarsi.  Pensi  cosa significherebbe  un  crollo  dei  prezzi  -  milioni  di  disoccupati,  gente  con tanto tempo a disposizione e niente con cui utilizzarlo. Autentico tempo libero, non solo tempo speso a fare compere.» Afferrò Franklin per una spalla. «Allora, dottore, è dalla mia parte?»
Franklin si divincolò. A meno di un chilometro, nascosto in parte dai quattro piani del Dipartimento di Patologia, spuntava il lato superiore di uno dei cartelloni giganti: gli uomini erano ancora al lavoro e strisciavano avanti  e  indietro  lungo  le  travi.  Le  rotte  aeree  erano  state  tenute volutamente lontane dall'ospedale, quindi era ovvio che il cartellone non avesse alcun rapporto con eventuali aerei in avvicinamento.
«Ma non esiste un divieto di - com'è che la chiamavano? - esistenza 
subliminale? Com'è possibile che i sindacati accettino tutto questo?» 
«Hanno  paura  di  un  crollo  dei  prezzi.  Lei  conosce  i  nuovi  dogmi 
economici. Se la produzione non cresce con un ritmo inflattivo costante 
del cinque per cento, l'economia andrà in stagnazione. Dieci anni fa per 
garantire questo ritmo bastava aumentare l'efficienza, ma i vantaggi di quel 
tipo ormai si sono assottigliati, ed è rimasta una sola possibilità. Lavorare 
di più. E la pubblicità subliminale fornirà gli stimoli giusti.» 
«E cosa hai pensato di fare?»
«Non posso rivelarglielo, dottore:  deve prima assumersi le mie stesse responsabilità.»
«Mi sembra una battaglia contro i mulini a vento» commento Franklin. «Non potrai certo buttar giù tutti quei cartelloni a colpi d'ascia.» 
«Non  ci  proverò  neppure.»  Hathaway  aprì  la  portiera.  «Non  aspetti troppo  a  prendere  una  decisione,  dottore,  o  potrebbe  non  avere  più  la possibilità di farlo.» Un gesto di commiato, e sparì.
Sulla via di casa, Franklin sentì crescere lo scetticismo. L'idea di una 
cospirazione era a dir poco forzata, e le argomentazioni economiche gli 
sembravano  fin  troppo  plausibili.  Comunque,  come  già  in  precedenza, 
l'esca che gli  aveva lanciato Hathaway segnava almeno un punto  a suo 
favore:  il  lavoro  domenicale.  Anche la  sua  attività  di  consulenza  si  era 
estesa alla  domenica mattina quando aveva accettato  un contratto come 
medico esterno per una delle fabbriche di auto che avevano introdotto i 
turni festivi. Ma invece di provare rancore per questa intrusione nelle sue
già  scarse  ore  di  tempo  libero,  ne  era  stato  contento.  E  per  un  solo, spaventoso motivo: gli serviva un reddito extra.
Guardando oltre le file di auto che procedevano in ordine sparso, notò 
che lungo l'autostrada erano stati tirati su almeno una dozzina di cartelloni. 
Come  aveva  detto  Hathaway,  ne  sbucavano  fuori  ovunque:  si  ergevano 
sopra  i  supermercati  dei  quartieri  residenziali  come  vele  di  metallo 
arrugginito.
Quando  arrivò  a  casa,  Judith  era  in  cucina  e  stava  guardando  un programma televisivo sul portatile sopra il forno. Franklin scavalcò una grossa cassa di cartone ancora sigillata che bloccava l'ingresso, baciò sua moglie su una guancia mentre lei trascriveva in gran fretta dei numeri sul suo  taccuino.  Il  piacevole odore  di  pollo arrosto  -  o piuttosto,  una sua versione in gelatina al sapore di pollo e priva di qualsiasi proprietà tossica o nutritiva - placò la sua irritazione nel trovarla ancora impegnata a giocare a 'Scopri la superofferta'.
Toccò il cartone con un piede. «Che cos'è?»
«Non  ne  ho  idea,  tesoro,  di  questi  tempi  arriva  sempre  qualcosa  di 
nuovo:  non  riesco  a  tenere  il  ritmo.»  Controllò  il  pollo  attraverso  lo 
sportello  di  vetro  -  era  una  versione  economica  da  cinque  chili,  delle 
dimensioni di un tacchino, con cosce e ali stilizzate e un enorme petto, che 
per la maggior parte sarebbe stato gettato via a fine pasto (non c'erano più 
cani e gatti, quindi le classiche briciole cadute dalla tavola del ricco non 
servivano ormai a nulla) - poi guardò Franklin con attenzione.
«Mi sembri preoccupato, Robert. È stata una giornataccia?»
Lui  borbottò  qualcosa  di  vago.  Le  ore  trascorse  a  tentare  di  scovare indizi sui volti degli annunciatori di 'Scopri la superofferta' avevano acuito le  capacità  percettive  di  Judith.  Sentì  una  fitta  di  comprensione  per  le schiere di mariti che provavano il suo stesso senso di inferiorità.
«Hai parlato di nuovo con quello straccione pazzo?»
«Hathaway? Effettivamente sì. E non è poi così pazzo.» Fece un passo indietro e inciampò sul cartone, rovesciando quasi il suo aperitivo. «Ma insomma, cos'è 'sta roba? Visto che dovrò lavorare le prossime cinquanta domeniche per pagarla, non mi dispiacerebbe saperlo.»
Controllò  i  due  lati  della  scatola,  fino  a  trovare  l'etichetta.  «Un 
televisore? Judith, possibile che ce ne serva un altro? Ne abbiamo già tre. 
Quelli in soggiorno e in sala da pranzo, più il portatile. A che ci serve un 
quarto?»
«Per la stanza degli ospiti, caro, non ti agitare. Non possiamo metterci il
portatile, sarebbe  sgarbato. Sto cercando di ridurre le spese, ma quattro apparecchi sono davvero il minimo. C'è scritto su tutte le riviste.» 
«Più tre radio?» Franklin guardò lo scatolone, irritato. «Se invitiamo un ospite, quanto tempo passerà in camera a guardare la televisione? Judith, dobbiamo darci  un taglio. Tutte queste cose  non sono gratis, e neppure economiche. E in ogni caso, la televisione è una colossale perdita di tempo. C'è un solo programma. È ridicolo avere quattro apparecchi.» 
«Robert, ci sono quattro canali.»
«Ma solo le pubblicità sono diverse.» Prima che Judith potesse replicare, squillò  il  telefono.  Franklin  sollevò  il  ricevitore  in  cucina  e  restò  ad ascoltare il rumore gracchiante che si riversava dalla cornetta. All'inizio si chiese se non si trattasse di una stramba forma di offerta pubblicitaria, poi capì che era Hathaway, in preda a un attacco di follia.
«Hathaway!» sbraitò. «Rilassati, santo cielo! Cosa succede ancora?»
«Dottore,  stavolta  dovrà  credermi.  Sono  salito  su  una  delle  isole 
spartitraffico  con  uno  stroboscopio,  hanno  centinaia  di  schermi  che 
sparano immagini a tutta velocità in faccia alla gente e nessuno si accorge 
di nulla! La prossima campagna su grande scala sarà per auto e televisori, 
stanno cercando di portare la velocità di permuta a due mesi - ma se lo 
immagina,  dottore?  Una  macchina  nuova  ogni  due  mesi,  santo  Dio,  è 
assolutamente...»
Franklin   restò   in   attesa,   impaziente,   mentre   irrompeva   nella 
conversazione  la  pausa  pubblicitaria  di  cinque  secondi (le  chiamate 
telefoniche erano tutte gratuite e la lunghezza degli spot dipendeva dalla 
distanza:  per  le  interurbane  il  rapporto  tra  pubblicità  e  conversazione 
arrivava  anche  a 10:1,  e  i  partecipanti  tentavano  disperatamente  di 
scambiarsi una parola tra le interminabili interruzioni), ma un attimo prima 
che  la  pausa  finisse  riattaccò  all'improvviso  e  staccò  il  ricevitore  dalla 
forcella.
Judith si avvicinò e gli toccò un braccio. «Robert, cosa succede? Hai un'aria provata.»
Franklin  riprese  il  suo  drink  e  passò  in  soggiorno.  «È  per  via  di Hathaway.  Come  dicevi,  mi  sono  fatto  coinvolgere  troppo.  E  sta cominciando a insinuarsi nella mia mente.»
Guardò la sagoma scura del cartellone sopra il supermercato, con le luci rosse che brillavano contro il cielo notturno. Vuoto e senza nome, come un'area  ormai  chiusa  a  doppia  mandata  nella  mente  di  un  folle,  a spaventarlo era la sua totale anonimità.
«Eppure  non  sono  sicuro»  mormorò.  «Molte  delle  cose  che  dice Hathaway  sono  perfettamente  sensate.  Queste  tecniche  subliminali sarebbero proprio il tentativo disperato che ci si potrebbe aspettare da un sistema industriale a elevata capitalizzazione.»
Aspettò una risposta da Judith, poi alzò gli occhi e la guardò. Era al centro del tappeto, le mani piegate e inerti, il suo viso acuto e intelligente stranamente ottuso e inespressivo. Seguì il suo sguardo sopra i tetti, poi si voltò, non senza uno sforzo, e accese la televisione.
«Forza,»  disse  a  denti  stretti  «guardiamoci  un  po'  di  TV.  Il  quarto apparecchio ci serve proprio.»

Una settimana dopo, Franklin cominciò a compilare il suo inventario. 
Non  aveva  avuto  più  notizie  di  Hathaway;  ogni  volta  che  lasciava 
l'ospedale, la sera, non c'era traccia della sua familiare e trasandata figura. 
Quando la prima delle esplosioni risuonò ovattata nelle periferie e lesse dei 
tentativi di sabotare i cartelloni giganti, ne dedusse automaticamente che il 
responsabile doveva essere Hathaway, ma più tardi sentì in un notiziario 
che a causare le detonazioni erano stati degli operai impegnati a scavare le 
fondamenta.
Altri cartelloni apparvero sopra i tetti, solitari sulle isole spartitraffico vicino ai centri commerciali dei sobborghi. Ce n'erano già più di trenta sui quindici chilometri di strada dall'ospedale, e torreggiavano fianco a fianco sulle  macchine  in  corsa  come  gigantesche  tessere  del  domino.  Franklin aveva  rinunciato  al  tentativo  di  evitare  di  guardarli,  ma  la  remota possibilità  che  le  esplosioni  fossero  state  un  contrattacco  di  Hathaway manteneva in vita i suoi sospetti.
Cominciò il suo inventario dopo aver sentito il notiziario, e scoprì che nelle due settimane precedenti lui e Judith avevano permutato:
la macchina (un modello di due mesi)
due televisori (quattro mesi)
il tagliaerbe (sette mesi)
il forno elettrico (cinque mesi) 
l'asciugacapelli (quattro mesi) 
il frigorifero (tre mesi) 
due radio (sette mesi) 
il registratore (cinque mesi) 
il mobile bar (otto mesi) Aveva fatto personalmente metà degli acquisti, ma non riusciva mai a 
ricordare  il  momento  esatto.  Per esempio, aveva lasciato la  macchina  a 
lucidare nel garage vicino all'ospedale, e quella sera stessa aveva firmato 
per  l'acquisto  del  nuovo  modello  seduto  al  volante,  accettando  le 
rassicurazioni  del  venditore,  secondo  il  quale  il  deprezzamento  sulla 
permuta a due mesi dall'acquisto era virtualmente più economico di una 
semplice lucidatura. Dieci minuti dopo, mentre procedeva in autostrada, si 
era reso conto all'improvviso di aver comprato un'auto nuova. Allo stesso 
modo, i due televisori erano stati sostituiti da modelli identici dopo una 
fastidiosa  serie  di  interferenze (stranamente,  anche  i  nuovi  modelli 
avevano  lo  stesso  problema,  ma  come  aveva  garantito  il  venditore,  i 
disturbi svanirono nel giro di due giorni). Non una sola volta aveva deciso 
di sua spontanea volontà di volere qualcosa ed era andato in un negozio a 
comprarla!
Portava l'inventario con sé, facendo le aggiunte necessarie, analizzando con  tranquillità  e  senza  protestare  le  nuove  tecniche  di  vendita, chiedendosi se la capitolazione totale non potesse essere l'unico modo di neutralizzarle. Fino a quando avesse fatto resistenza, anche solo simbolica, la  curva  inflazionistica  sarebbe  cresciuta  di  un  regolare  dieci  per  cento annuo. Ma se la resistenza fosse venuta meno, avrebbe cominciato a salire vertiginosamente, senza che fosse più possibile controllarla...

Tornando a casa dall'ospedale due mesi dopo, vide per la prima volta uno dei cartelloni.
Era nella corsia dei sessanta, incapace di tenere il passo dell'ondata di 
macchine  nuove,  e  aveva  appena  superato  il  secondo  dei  tre  raccordi, 
quando a meno di un chilometro il traffico cominciò a rallentare. Centinaia 
di auto si erano parcheggiate a bordo strada, e una folla si stava radunando 
intorno a uno dei cartelloni. Due piccole figure nere si arrampicavano sulla 
facciata di metallo, e una serie di luci a forma di griglia che si accendevano 
a intermittenza illuminava l'aria della sera. C'era qualcosa di casuale e 
incerto nel disegno proiettato dalle luci, come se fosse la prima volta che 
l'insegna veniva accesa.
Sollevato  all'idea  che  i  sospetti  di  Hathaway  si  fossero  dimostrati 
infondati, Franklin parcheggiò sul ciglio della carreggiata, poi si mescolò 
agli  spettatori,  investiti  dalle  luci  intermittenti.  Dietro  le  palizzate  in 
acciaio che circondavano l'isola spartitraffico, c'era un folto gruppo di
poliziotti e ingegneri che tendevano il collo per guardare gli uomini appesi al cartellone, trenta metri sopra di loro.
All'improvviso  Franklin  si  fermò,  e  la  sensazione  di  sollievo  svanì bruscamente. Molti dei poliziotti erano armati di fucile, e i due agenti che si stavano arrampicando avevano un mitra in spalla. Stavano convergendo verso una terza figura, acquattata accanto a una scatola dei comandi sulla penultima  sporgenza:  un  uomo  barbuto  con  una  camicia  sporca  e  un ginocchio nudo che sbucava dai jeans.
Hathaway!
Franklin  accelerò  il  passo  dirigendosi  verso  lo  spartitraffico,  mentre l'insegna sibilava e i fusibili bruciavano a dozzine.
Poi il tremolio delle luci cessò e l'immagine si fece più nitida e continua, mentre la folla guardava la fila di lettere che brillavano nell'oscurità. Le frasi,  in  tutte  le  loro  possibili  combinazioni,  suonavano  perfettamente familiari, e Franklin seppe di averle lette per settimane, facendo avanti e indietro sull'autostrada.
COMPRATELA COMPRATELA COMPRATELA COMPRATELA 
UNA MACCHINA NUOVA UNA MACCHINA NUOVA
ADESSO ADESSO ADESSO ADESSO ADESSO ADESSO

Due auto di pattuglia piombarono a sirene spiegate sul ciglio della strada 
e parcheggiarono di traverso sull'erba umida. I poliziotti scesero uno dopo 
l'altro con i manganelli in mano e cominciarono subito a spingere indietro 
la folla. Franklin mantenne la sua posizione mentre gli si avvicinavano e 
cominciò a dire: «Agente, io conosco quell'uomo...», ma il poliziotto lo 
colpì sul petto con la mano aperta. Sbilanciato, arretrò fra le macchine, e si 
appoggiò  indifeso  a  un  parafango  mentre  gli  agenti  cominciavano  a 
rompere i parabrezza tra le proteste furibonde dei poveri automobilisti, e 
chi aveva parcheggiato più lontano si affrettava verso il proprio veicolo.
Il  frastuono  si  interruppe  quando  da  uno  dei  mitra  partì  una  rapida 
scarica,  poi  riprese  trasformandosi  in  un  rantolo  collettivo  quando 
Hathaway, le braccia stese, lanciò un grido di trionfo e dolore, e saltò giù.

«Ma Robert, credi davvero che sia tanto importante?» chiese Judith la 
mattina dopo, mentre Franklin sedeva inerte in soggiorno. «Certo, per sua 
moglie e sua figlia è stata una tragedia, ma Hathaway soffriva di una vera e 
propria ossessione. Se odiava tanto i cartelloni pubblicitari, perché non ha
fatto  saltare  in  aria  quelli  che  tutti  noi  possiamo  vedere,  invece  di preoccuparsi tanto di quelli invisibili?»
Franklin  guardava  lo  schermo  del  televisore,  nella  speranza  che  il programma riuscisse a distrarlo.
«Hathaway aveva ragione» disse.
«Credi davvero? Ormai la pubblicità è un fatto acquisito. Non abbiamo nessuna  libertà  di  scelta.  Non  possiamo  spendere  più  di  quanto  è  alla nostra portata, o i creditori ci faranno a pezzi.»
«E tu accetti tutto questo?» Franklin andò alla finestra. A cinquecento 
metri  da  lui,  al  centro  esatto  del  quartiere,  stavano  tirando  su  un  altro 
cartellone. Era a est rispetto a casa loro, e nella luce del primo mattino 
l'ombra  della  sua  struttura  rettangolare  passava  attraverso  il  giardino, 
arrivando quasi ai gradini della porta finestra. A mo' di concessione per gli 
abitanti, e forse per allontanare i sospetti durante la costruzione facendo 
appello al loro snobismo, la base dell'insegna era stata coperta da pannelli 
in stile Tudor.
Franklin guardò il cartellone, contando i poliziotti che sostavano accanto alle  loro  auto  di  pattuglia  mentre  la  squadra  di  operai  scaricava  da  un camion le griglie prefabbricate. Guardò l'insegna accanto al supermercato, tentando di togliersi dalla mente il ricordo di Hathaway e dei suoi patetici tentativi di convincerlo e assicurarsi il suo aiuto.
Ed era ancora lì in piedi un'ora dopo, quando Judith entrò, mettendosi il 
cappellino e il cappotto, pronta per andare al supermercato. 
Franklin la seguì alla porta. «Ti accompagno, Judith. Devo prenotare una 
macchina nuova. I prossimi modelli usciranno alla fine del mese. Con un 
po' di fortuna, potremo approfittare delle prime consegne.» 
Si  incamminarono  lungo  il  vialetto  ben  curato,  mentre  le  ombre  dei 
cartelloni ondeggiavano su tutto il quartiere man mano che il giorno 
avanzava, oscillando sulle teste della gente diretta al supermercato come le 
lame di gigantesche falci.