IL BELL'ANTONIO
Vitaliano Brancati
Nel suo commento al romanzo, Leonardo Sciascia
prospetta la possibilità di accostarlo ad Armance di
Stendhal, poiché in entrambe le vicende: «il tema è quello dell’impotenza sessuale; il sottotema è quello di una particolare società, in un particolare momento storico».
Vitaliano Brancati
Nel suo commento al romanzo, Leonardo Sciascia
prospetta la possibilità di accostarlo ad Armance di
Stendhal, poiché in entrambe le vicende: «il tema è quello dell’impotenza sessuale; il sottotema è quello di una particolare società, in un particolare momento storico».
[...]« Perdio, tu non t'interessi di politica, non te ne importa un fico secco!... Scommetto che non hai letto Carlo Marx? »
« No ! »
« E non lo leggere! Dato che non l'hai letto a trent'anni, non lo leggere più: lascialo stare dov'è! Ai nostri tempi, lo leggevamo. Cioè: non lo leggevamo nemmeno noi, ma ne parlavamo come se lo avessimo letto... Socialismo! abolizione della proprietà!... Cosa ne pensi? Sarà possibile abolire la proprietà? Io non ci credo. D'altro canto, siamo diventati schiavi di tutto quello che producono le masse: elettricità, radio, telefoni, ferrovie, tranvie. Essendo schiavi di queste cose, ne viene che siamo schiavi delle masse. E queste masse, per i loro diavoli, diventano buone buone e lavorano felici e contente solo col fascismo o col comunismo. Non appena gli dai la libertà, diventano infelici, cattive e turbolente, e tanto si dimenano che la fanno a pezzi e se la mettono sotto i piedi... Sei d'accordo? »
« Si, zio! »[...]
IL BELL'ANTONIO
Capitolo 1
« Il fallait effort pour cesser de le regarder. »
« And away to Saint Peter for the heavens; he shows me where the bachelors sit,
and there Uve we as merry as the day is long. »
Shakespeare
Dei siciliani scapoli che si stabilirono a Roma intorno al 1930, otto per lo meno, se la memoria non m'inganna, affittarono ciascuno una casa ammobiliata, in quartieri poco rumorosi e frequentati, e quasi tutti andarono a finire presso insigni monumenti, dei quali però non seppero mai la storia né osservarono la bellezza, e
talvolta addirittura non li videro. Che cosa non saltò il loro occhio ansioso di
scorgere la donna desiderata in mezzo alla folla che scendeva dal tram? Cupole,
portali, fontane... opere che, prima di essere attuate e compiute, tennero aggrottate
per anni la fronte di Michelangelo o del Borromini, non riuscirono a farsi minimamente notare dall'occhio mobile e nero dell'ospite meridionale! Antiche campane, dalla voce grave e delicata, che si erano meritate i versi di Shelley e di
Goethe, si guadagnarono un « Chi camurria, 'sta campana! Che seccatura, questa
campana! » per aver fatto tremare all'alba, coi loro rintocchi, la parete su cui il
giovanotto poggiava la fronte da poco addormentata e ancora rosseggiante del disegno di una bocca.
Per il rispetto che il mio mestiere di cronista deve alla verità, dirò che questi scapoli
siciliani erano piuttosto brutti, fuorché uno, Antonio Magnano, che era bellissimo.
Con questo non voglio però affermare che i brutti riuscissero sgraditi alle donne: al contrario molti di essi, nonostante la bassa statura, e i nasi ebraici, e l'unghia del
mignolo lasciata crescere per pulire l'interno dell'orecchio, parevano legati da una
grave complicità a tutto il genere femminile; si sarebbe detto che fra loro e
qualunque donna ci fosse una cattiva azione compiuta insieme chissà dove e
quando : non v'era sconosciuta che, al primo vederli, non sembrasse riconoscerli impallidendo e rivelarsi subito legata a loro da vecchi e inconfessabili trascorsi. Per questo, i loro successi avevano sempre un'aria esosa di ricatto, sebbene, posso giurarlo, questi uomini di venticinque e trent'anni fossero di una cortesia e una tenerezza senza pari nei riguardi dell'altro sesso. Ma sulla terra piena di misteri, il
vivente più misterioso è forse l'uomo brutto.
Di ben altra qualità erano invece i « successi » di Antonio Magnano. Nel 1932, egli aveva ventisei anni, e le sue fotografie, esposte in Piazza di Spagna, arrestavano perfino la signora di mezza età, carica di pacchetti e traente, con la stessa mano che l'aveva picchiato, un marmocchio tutto in lacrime. Un'istantanea dolcezza si partiva dal suo volto olivastro, affumicato potentemente dalla barba, ma delicatissimo e quasi unto di lacrime al di sotto degli occhi, nel primo contorno delle guance su cui le lunghe ciglia trattenevano a volte la loro ombra. La donna più inquieta e isterica, accanto a lui taciturno, veniva presa da quello sbadiglio che scarica i nervi e spinge ad alzarsi dalla sedia per sdraiarsi sul divano, ad alzarsi dal divano per sdraiarsi sul letto. Un osservatore superficiale e invidioso avrebbe potuto consolare se stesso dicendo che le donne si annoiavano stando insieme ad Antonio. Quale inganno grossolano! Le donne si sentivano dominate e, insieme, a loro agio completo e perfetto: accanto a lui, bruciavano dolcissimamente, e soffrivano, e impazzivano con una soavità si profonda da far pensare che una grave anomalia si fosse impadronita di esse confondendo il piacere e il dolore in quella totale mancanza di discernimento, che è il solo stato in cui una persona osa dire a voce alta: io mi sento felice!
Gli amici brutti rispettavano Antonio, e lo avrebbero anche invidiato, e forse odiato, se, indotti e contagiati dalle donne che frequentavano, anch'essi, senza saperlo, non
fossero stati innamorati di lui. Il segreto di quei successi, così diversi dai loro, anzi del tutto opposti, perché mentre le loro vittorie sulle donne parevano strappate in seguito a una mala azione, quelle di Antonio al contrario parevano derivare da uno strano conforto ch'egli comunicava alle sue vittime; il segreto di quei successi li attirava a tal punto che essi caricavano la sveglia per le cinque per uscire di buon mattino e sorprendere Antonio nel momento in cui prendeva la doccia. Qui li aspettava ogni genere di amarezze. Davanti a quelle membra di atleta, addolcite da un pallore di malinconia e mansuetudine, come se, ovunque si trovasse quel corpo, una luce misteriosa venisse a piovergli dall'alto, gli amici, specialmente Luigi
d'Agata e Carlo Fischetti, erano assaliti da un malessere nel quale torbidamente si
nascondeva la nausea per se stessi.
« Sai che cosa pari ? » gli dicevano per usare subito la voce che, conservata in quei
petti angosciati, minacciava di diventare cattiva: « un biscotto appena sfornato! »
E si davano ad assestargli manate sulle spalle nude, e a tirargli i peli del petto, e a sollevargli un piede afferrandolo per la caviglia, con l'effetto però di esser penetrati e turbati dalle sensazioni di quel corpo, infinitamente strane e di una qualità innegabilmente superiore.
D'altro canto, questi turbamenti, Antonio li aveva emanati fin da ragazzo; era il 5 aprile del 1922 quando la madre e il padre furono costretti a rendersene conto. Quella mattina, la cameriera, una giovane di campagna, entrò nella camera dei genitori di Antonio, il signor Alfio e la signora Rosaria, con la faccia graffiata e coperta di lacrime. « Madonna benedetta, che hai fatto? » esclamò la signora, togliendole il vassoio dalle mani tremanti, « che hai fatto? parla! »
La ragazza abbassò la testa, guardando storta come una capra. Alla fine disse: « Non sono stata io! »
« E chi è stato dunque? » fece la signora, più angosciata che mai.
« Suo figlio! » mugolò la ragazza. « Antonio? » gridò il padre, tirando fuori dal
letto le gambe a cui aveva già infilate, armeggiando sotto le coperte, le mutande di
lana.
« Ora lo aggiusto per le feste! »
Ci fu un minuto di silenzio. D'un tratto la ragazza piombò sul pavimento e
cominciò a storcersi con la schiuma alla bocca, afferrandosi alle gambe del signor Alfio come se volesse trattenerlo dal compiere un delitto. In quel punto entrò nella camera Antonio con l'aria più dolce e candida clic si potesse immaginare. Subito la giovane lasciò le gambe del signor Alfio e, rotolando sul pavimento, andò ad
afferrare le caviglie di Antonio che si mostrava sinceramente stupito e chiedeva con gli occhi ai genitori la causa di quella sfuriata. La giovane, intanto, calcava la faccia
sui piedi di Antonio, dopo averne però, particolare questo che colpì sgradevolmente i genitori e quasi li indignò, strappato e gettato via le pantofole in modo da potergli piangere, e strofinare le guance e il muso, sulla pelle nuda. « Perdono! » gridava, « bugiarda sono, bugiarda e porca! »
Fu con molta fatica che il padre strappò Antonio dalle mani e dal mento serrato contro la spalla di quella ventenne fuori di sé.
La madre, rimasta sola con lei, apprese finalmente la verità: da cinque notti, la brava ragazza di campagna si alzava dal letto e andava a stracciarsi il petto e la faccia dietro la porta di Antonio, fra il desiderio di aprirla e la riluttanza a compiere un atto disonesto. « Chi mi mise questo fuoco grande nelle vene? » mugolava col dorso della mano fra i denti, « chi mi mise questo fuoco grande nelle vene? »
La signora rimase colpita da questo pietoso racconto e si recò subito dal proprio confessore, nella chiesetta della Madonna in via Sant' Euplio. Dopo avergli narrato l'accaduto, domandò quasi piangendo: « Padre Giovanni, non è meglio che io prenda un bambino per i servizi di casa e mandi via la ragazza? »
Il vecchio sacerdote batté due volte la punta delle dita sulla tabacchiera, e sporse il muso: « Se vostro figlio ha cattive intenzioni, troverà sempre da far male alle donne!»
(Padre Giovanni non voleva ammettere che Antonio fosse del tutto incolpevole). « E non si potrebbe raccomandare alle donne di?... »
« Di ?... » fece il prete irritato.
« Di comportarsi più seriamente con lui! »
« Conoscete voi tutte le donne che conoscerà vostro figlio? Dio potrà mandare ogni volta un angelo ad avvertirvi che a vostro figlio sta... sta... e via si: sta per salire il sangue negli occhi? »
« Ma allora cosa devo fare? »
Il sacerdote sapeva bene di nutrire nei riguardi di Antonio sentimenti non perfettamente cristiani, ma purtroppo, quando prendeva la china della collera, non riusciva a resistere a quella piacevole sensazione che dà il vuoto spalancato sotto i piedi e che tira giù inesorabilmente.
« Voi », disse alla madre, « dovete pregare Dio che se lo raccolga presto! »
La signora svenne quasi dalla paura, e l'angelo di legno colorato, al cui zoccolo ella aveva poggiato la testa, cominciò a sussultare dei singhiozzi di lei.
« Quando io predico », disse il sacerdote, « e vostro figlio si trova seduto in fondo alla chiesa, le donne stanno sempre a collo torto per guardare lui... È uno scandalo! »
In verità non appena Antonio, ai piedi della prima colonna, smuoveva la sedia o solamente tossicchiava, subito il pulpito si svestiva degli sguardi più belli.
« La morte », continuò il prete, « non è un male per un vero cristiano; anzi, quando ci coglie nel fiore della giovinezza, è un dono del cielo... Ma non siamo noi che
dobbiamo suggerire a Dio il modo migliore per mettere un giovane come Antonio nella condizione di non peccare più e... » aggiunse alzando la voce, « ... di non spingere gli altri al peccato. Perché la peggiore cosa che possiamo fare non è dannarci, cara signora: è spingere alla dannazione un'altra creatura sulla quale non abbiamo alcun diritto! Pregate Dio, signora: nella Sua infinita sapienza, Egli troverà il mezzo per mitigare la diabolica bellezza di vostro figlio senza trasformarla in pulvis et umbra »
La signora si alzò, non senza essersi segnata nel momento in cui il sacerdote pronunziava la parola diabolica. Se la chiesa non avesse rigurgitato di ori e di luci gialle, il viso di quella povera donna avrebbe intenerito il prete per il suo estremo pallore.
« In che modo credete » disse faticosamente, « che il mio Antonio possa venir cambiato da Dio? »
Il sacerdote non rispose nulla, ed essa camminò accanto a lui ascoltandone il rumore del passo col rapimento di chi è stata completamente sopraffatta. Giunti vicino al portale della chiesa, il prete alzò la mano ancora stillante di acqua benedetta, e mormorò : « Potrebbe anche perdere la vista ! »
La signora portò un braccio alla bocca per non gridare.
« Venite qui » disse il sacerdote, ripreso dal cipiglio della collera. E condotta la
signora sul sagrato, dopo aver masticato tre volte una parola incomprensibile,
stirando indietro le labbra si da alterarsi anche la forma del naso, scoppiò in queste
parole: « Ma lo sapete voi, lo sapete voi che su venti ragazze di buona famiglia che
si confessano con me, dieci... si, dieci, hanno offeso Dio perché hanno pensato a vostro figlio troppe volte e in un modo non troppo conforme alla loro educazione?
Monsignor Cavallaro, tre giorni dopo aver confessato mia nipote, mi ha detto :
« Fratello, fa' in modo che Rita non veda spesso il giovane Magnano ! « Amico ho detto io, preoccupato, — sai tu qualche cosa?
« Io non so nulla di nulla — ha risposto monsignore. — E come potrei sapere io, povero sacerdote? Ma il Signore mi ha ispirato queste parole, e io te le ho dette... — Degnissima persona, monsignor Cavallaro che uscisse dai sotterranei dei palazzi ad annunziare che incominciava il riscaldamento per il nuovo inverno.
« Perdio » diceva, « quest'anno, eh quest'anno!...» E si stropicciava con forza le
mani, poi vi alitava dentro, e infine andava a guardarsi nello specchio di un negozio
scoprendo immancabilmente che accanto a lui una donna stava a guardarlo con
tenerezza. Antonio socchiudeva gli occhi beato e balbettava : « Facciamo colpo,
eh ? »
Ma nell'autunno del 1934, una subitanea quanto strana malinconia s'era impossessata di lui. Questa malinconia, sulla fine di novembre, prese tutti i caratteri della tetraggine.
« Fai cascare il pane di bocca! » gli diceva, mangiando insieme a lui, l'amico d'Agata. « Che hai? Cosa ti manca? Tuo padre non ti manda più i soldi? »
« Poveretto! » mormorava Antonio, « farebbe carte false per mandarmeli! » « Hai avuto brutte notizie sulla faccenda del posto? »
« Non me ne importa niente, del posto ! »
D'Agata a bruciapelo : « Prendesti qualche malattia? »
Antonio : « No, sto bene ». Lunga pausa. « Sto bene ».
« E allora, santo Dio, finiscila di farci scurare il cuore con quel muso! » « Finitela voi, piuttosto! Lasciatemi perdere! »
« Non ti dirò più nulla... Oh, guarda un po' : non ho figli e devo piangermi i nipoti! »
Cosi gli amici stabilirono di non rivolgergli più domande.
Il due dicembre, la signorina Luisa Dreher, figlia di un diplomatico, la più bella
ragazza straniera che si trovasse a quel tempo in Italia, andò a trovare Antonio alle
dieci del mattino. La visita non era stata sollecitata da chi la riceveva né annunziata
da colei che la faceva. Nelle sue passeggiate con Luisa Dreher, Antonio non si era
nemmeno sognato d'invitarla a casa, talmente un invito simile gli sarebbe parso una
sconvenienza verso quelli che dovevano procurargli un impiego immeritato.
E frattanto eccola li, questa ragazza mirabile, seduta su uno sgabello, torcendo un fazzoletto di velo fra le mani piccole e ancora colorate di sole estivo!
Antonio non dice nulla.
La ragazza, piegato il volto a destra, si guarda la punta del piedino che nervosamente picchia sul tappeto.
Antonio continua a tacere.
D'un tratto, squilla il telefono nell'altra stanza.
Antonio corre a rispondere, dopo avere richiuso dietro di sé la porta del salotto :
« Pronto ? »
«Sono io, d'Agata. Luisa Dreher è a casa tua ? » « Come lo sai ? »
« Ah, dunque è vero : è a casa tua ! » « E per ciò ? »
« Guarda che ieri l'altro hanno dato un ricevimento nella sede dell'Ambasciata. Le ragazze si sono ubriacate e hanno fatto pipì nei vasi da fiori! »
« E per ciò ? »
« Perciò, non fare il minchione! »
Antonio chiude rudemente il telefono e torna in salotto.
Luisa si sta passando la punta di un dito vicino alla bocca per deviare una lacrima che era in procinto di penetrarvi.
« Perché piange? » fa Antonio.
Luisa si alza di scatto, gli butta le braccia al collo e, appoggiandogli una guancia sul petto, « Ti voglio bene! » singhiozza, « Ti voglio bene!.. »
Antonio le accarezza i capelli guardando pigramente, al di fuori della finestra, l'intensa luce verde che Villa Borghese riverbera dentro il cielo.
« Non voglio nulla da te! » continua Luisa, fra i singhiozzi, « non voglio essere sposata!... Hai dimenticato a casa mia una lettera di tuo padre: l'ho letta ».
« Quale lettera? » esclama Antonio.
« Una lettera in cui tuo padre ti dice che devi subito recarti a Catania per conoscere la signorina che ti vogliono dare in moglie ».
« Non sai leggere la calligrafia di mio padre ! » balbetta Antonio. « Io stesso non riesco mai a decifrarla... »
« Ma non è per questo che piango... Non ti voglio sposare, te l'ho detto, io basto a me stessa e non voglio sposare nessuno ».
« E allora ? » chiede Antonio con la voce alterata.
« Ti voglio bene, ti voglio bene! Capiscimi, santo Dio: ti voglio bene! »
Antonio si fa pallido come un morto, e siede, casca quasi, su un divano.
La ragazza gli scivola accanto, col profumo tenero dei suoi golfetti d'angora e del collo incipriato. Scossa dai singhiozzi, gl'insinua fra il mento e il collo la bellissima
fronte, sulla quale, nei ricevimenti delle Ambasciate, brilla sempre una crocetta di
diamanti; con la manina spaventata gli cerca il cuore sotto la vestaglia come a
sentire se sia capace di battere.
Il cuore di Antonio galoppa come un cavallo. Altro che battere ! In groppa a questo cavallo sfrenato, egli vola verso l'angoscia più nera.
Luisa non sa più quello che fa, ha perduto ogni capacità di comandare a se stessa, sente che la sua mano vergognata e spaurita erra dissennatamente sotto la vestaglia di Antonio.
« Non ti chiederò niente! » singhiozza. « Sta' sicuro, sta' tranquillo! Non avrai da me nessun fastìdio ! Sono una donna seria ! Non sono come le altre ! »
« Eppure » dice egli, appigliandosi al partito disperato di fare il forte e il cattivo, e stringendola per i polsi in modo da scostarla un poco da sé e guardarla nel viso, « tu sei come le altre! »
Luisa aggrotta le ciglia, disseminando di amabili rughe giovanili l'orlo degli occhi e il naso : « Cosa vuoi dire? Non sai quello che dici! » E poi precipitosamente: « Io sono ragazza, cosa credi? sono ragazza, sono ragazza! »
Antonio si sforza di sorridere ironicamente, cosa che gli riesce molto sgradita e
fastidiosa, perché è un bravo giovane e sa distinguere un parlare sincero da uno falso.
« Il più gretto e ridicolo dei tuoi compaesani » continua Luisa con voce più lenta e sorda, « se sposasse me non avrebbe nulla da ridire. So che le donne della tua Isola, quando vanno a passare la prima notte di matrimonio negli alberghi di Taormina, strillano come galline a cui si tiri il collo. Io non strillerei nemmeno se tu mi ammazzassi, ma insomma... avrei il diritto... Perché impallidisci? cos'hai? aspetti qualcuno? chi c'è dietro quella porta? »
Il volto di Antonio si colora un poco : dalla porta, che dà nella camera da letto, è venuto un leggero rumore, come di una persona che vi si fosse appoggiata dall'altra parte.
« C'è una donna, di là ? » chiede Luisa, abbassando la voce. « Si! » fa lui, e china il capo.
Luisa ridiventa padrona di sé. Si alza dal divano, prende la borsetta da un tavolo, ne cava uno specchio, vi mira gli occhi diventati color ferro, asciuga e cancella le lacrime con due colpi di piumino.
« Addio » dice, « addio, scusami ».
Ed esce.
Antonio si precipita alla porta della camera da letto, la spalanca, e riceve quasi sulla bocca un bacio del can barbone che, impaziente di rivederlo, ha spiccato un salto verso di lui con un guaito strozzato nella gola.
Antonio lo afferra per le orecchie, e cerca di fermare e calmare, dopo averla scossa,
quella testa impazzita dalla gioia, che lo saetta, di mezzo al pelo ricciuto, con
sguardi di adorazione; poi si allunga sul divano e si colloca il cane sul petto e la pancia facendolo sdraiare in modo che dal muso, affondato fra le zampe anteriori, ogni tanto, con un colpo di lingua, cerchi di lambirgli il mento che egli scansa destramente alzandolo in aria.
Cosi passano alcune ore. Il cielo di Villa Borghese si fa sempre più cupo, e un
corvo entra ed esce dalle nuvole gettando, a ogni curva del suo volo, una molle
gracchiata.
Antonio solleva piano piano il cane appesantito dal sonno, lo depone sul tappeto e, dopo essersi stiracchiato due volte, finalmente si alza. Manda uno sguardo alla
finestra: al di là del Pincio la nebbia è più fitta come se il Tevere offuscasse il cielo col vapore del suo fiato; gli edifici, che s'intravedono fra gli alberi di villa Borghese, paiono più gialli del consueto; giù in istrada, il solito questurino, vestito .da giovanotto che aspetta la ragazza, impalato sotto lo spigolo di via Pinciana con via Sgambati, sta a capo scoperto leggendo, dentro il cappello che tiene in mano, il
solito romanzo d'amore che lo consola della lunga noia di vegliare sulla vita di un
uomo che passa velocissimo con la sua macchina una volta ogni due mesi.
« Dio, com'è triste Roma! » pensa Antonio, e indossato il soprabito, e rimenata un poco la pancia del cane che, aspettando quella carezza, stava già rovesciato sul dorso con le gambe in aria, esce di casa.
In questo modo ebbe termine la prima parte di una giornata che Antonio avrebbe ricordato per molti anni.
Non so se quel giorno stesso, ma probabilmente l'indomani, Antonio si recò dallo zio Ermenegildo Fasanaro, fratello della madre, che abitava nei quartieri nuovi
della città.
Lo zio camminava su e giù per il salotto, con la camicia di seta fuori dei pantaloni e la cravatta, non ancora annodata, pendente in due liste sul petto arrotondato dai cinquant'anni.
« È' meglio che tu ritorni a Catania! » diceva lo zio, fermandosi ogni tanto contro la finestra e coprendo con la propria persona ora il gomito che fa il Tevere nei pressi .di Villa Glori, ora il pendìo di Villa Glori. « Cosa fai a Roma? vuoi scoprire se quella cosa ha un fondo? Non ne ha fondo, te lo assicuro. Ci stai giorno e notte sopra, e ti consumi come una candela! hai la faccettina stretta e caschi sempre dal .sonno come un gatto ch'è stato fuori tutta la notte!... Che diavolo! con le donne bisogna sapersi risparmiare! dargliela a intendere! È facile ingannarle, a uno che abbia un po' di giudizio! Sono sicuro che sei di quelli che darebbero un patrimonio pur di raggiungere ogni notte una cifra alta... È cosi o mi sbaglio? »
« Ma io in verità... »
« Per un verso, badiamo, hai ragione tu. Le donne, con una mano ti accarezzano e con l'altra contano. Ma è cosi facile, santo diavolone, dargliela a bere! Ci vuole
soltanto un po' di abilità! Non che non ci siano anche le furbe, che stanno attente alle minuzie, ma è la furberia della sciocca, perché la donna intelligente sa che bisogna badare a ben altro. Devi saperti fermare : ecco tutto... Il contrario di quello che dice il Porco che ci governa... A proposito, è vero che ha un'ulcera allo stomaco? »
« Non lo so, zio! »
« Dicono che abbia un'ulcera allo stomaco... Anzi, ieri, mentre sedevo in un caffè, ho sentito, a un tavolo accanto al mio, un ufficiale di Marina che diceva a bassa voce a un suo collega: — Siamo a cavallo: è cancro, non ulcera! — Sono sicuro che parlavano di lui... No? dici di no? »
« Non ho detto niente! »
« Perdio, tu non t'interessi di politica, non te ne importa un fico secco!... Scommetto che non hai letto Carlo Marx? »
« No ! »
« E non lo leggere! Dato che non l'hai letto a trent'anni, non lo leggere più: lascialo stare dov'è! Ai nostri tempi, lo leggevamo. Cioè: non lo leggevamo nemmeno noi, ma ne parlavamo come se lo avessimo letto... Socialismo! abolizione della proprietà!... Cosa ne pensi? Sarà possibile abolire la proprietà? Io non ci credo. D'altro canto, siamo diventati schiavi di tutto quello che producono le masse: elettricità, radio, telefoni, ferrovie, tranvie. Essendo schiavi di queste cose, ne viene che siamo schiavi delle masse. E queste masse, per i loro diavoli, diventano buone buone e lavorano felici e contente solo col fascismo o col comunismo. Non appena gli dai la libertà, diventano infelici, cattive e turbolente, e tanto si dimenano che la fanno a pezzi e se la mettono sotto i piedi... Sei d'accordo? »
« Si, zio! »
« D'altro canto, se la maggior parte degli uomini vuole il socialismo, è inevitabile che il monde divenga socialista ».
« Può darsi ».
« Può darsi e non può darsi. Non è la prima volta che la maggior parte degli uomini desidera una cosa, e la storia ne fa un'altra ».
« Può darsi anche questo ».
« Che cosa può darsi ? »
« Che la storia faccia un'altra cosa ». « E che cosa? »
« Io non lo so ».
« D'altro canto, i ricchi, mi ci metto anch'io fra questi, siamo antipatici ». « Ma tu, zio... »
« Credi a me : siamo antipatici, siamo stupidi, siamo viziati, e ci annoiamo. Non si può continuare sino alla fine dei tempi coi ricchi da una parte e i poveri dall'altra! Io lo sento, perdio, che non si può continuare cosi! »
« Chi può dire nulla ? »
« D'altro canto, a chi affidi il capitale? allo Stato? Parliamoci chiaro: lo Stato sono gl'impiegati. Dio ne scampi e liberi! Gl'impiegati, a parte che in Italia sono tutti ladri... No, è inutile che fai cosi con la testa, sono tutti ladri! »
« Io non mi sono mosso, zio! »
« ...Gl'impiegati, in ogni parte del mondo, quando sono investiti di un'autorità assoluta diventano tali tiranni che al loro paragone gl'imperatori romani
fanno la figura dei bambini... No, il socialismo sarebbe il medioevo! » « Oh, certo! »
« D'altro canto, come il medioevo c'è stato una volta, può esserci anche due
volte...»
« Eh, sì! »
« D'altro canto, perché ci dev'essere di nuovo il medioevo? Chi l'ha stabilito? chi l'ha decretato?... Siamo noi stessi che ci mettiamo in testa certe cose e le scambiamo per verità, come quando gli uomini si misero in testa che la notte del Mille ci sarebbe stata la fine del mondo — che poi non ci fu... No, non credo che ci sarà di nuovo il medioevo ! »
« Non ci credo nemmeno io ».
D'altro canto, quello che abbiamo oggi in Italia non è una specie di medioevo? » « Non so... »
« Si, che lo è! Ninuzzo mio, solo il cancro può salvarci, se farà presto! » « Dicono che abbia un'ulcera sifilitica, non cancro! »
« E me lo dici ora?... Perdio, siamo rovinati! Una ulcera sifilitica scompare con due iniezioni... D'altro canto, se muore lui, che succede? chi prende il potere ? i quattro ladri che gli stanno attorno ? si ammazzano a vicenda nella spartizione del bottino. I comunisti che stanno in carcere? sarebbero peggio dei fascisti. Perché questi almeno sono dei cialtroni e le bestialità che hanno in testa le fanno male, mentre quelli sono onesti e rigorosi e le bestialità le fanno bene... »
« Già, è vero! »
« D'altro canto, io parlo del comunismo con troppa leggerezza. E se fosse una cosa seria e utile? »
« Dicono che... »
« Dicono che, un bel nulla ! Anche se il comunismo è utile — e ti assicuro che non lo è! — io mi ribello, perché è immorale, in quanto sopprime la libertà... »
« Volevo dire questo ».
« D'altro canto, chi altri può prendere il potere se muore lui ? I vecchi che ora se ne
stanno a casa e credono di non compromettersi solo perché non leggono né giornali
né libri e giocano a scopa tutto il giorno? sono vecchi e non sanno governare le masse... »
« Certo, senza dubbio ».
« D'altro canto, vadano al diavolo le masse! Se loro vogliono il capestro, io non lo
voglio! E io conterò qualche cosa, perbacco, almeno per me?... E d'altro canto,
quello che ho detto è forse tutto sbagliato perché nel '22, tu non te lo ricordi, gli
operai tornavano già a lavorare tranquillamente, e gli scioperi si facevano sempre
più rari, quando il Porco tolse la libertà sia agli operai che a noi. No, Antonio, gli operai italiani sono come i borghesi e amano la libertà. È lui, il Porco, che vuole farci credere che essi non l'amino! Di' a tua madre che preghi per la morte di lui, invece di pregare perché non ti vengano i geloni alle mani ! Che crepi al più presto, prima che crepi io di noia e di schifo ! Ieri me ne hanno detta una che, se è vera, non vale la pena più di campare. Nomineranno segretario federale di Catania Lorenzo Calderara. È' vero? »
« Credo di si ».
« Calderara, il figlio del Pintu (1), il nipote di Panciadicrusca, 'u frati d' 'u Sceccu ! ?
(2) Dio, Dio, Dio ! Una città che ha avuto De Felice, Macchi, Verga, Bellini, Angelo .Musco, Giovanni Grasso, Capuana, il mio amico De Roberto, si riduce cosi, sotto i piedi di Lorenzino Calderara, 'ntlsu 'U Zuccu (3), un gesuita, uno stomaco lento che non gli si può stare vicino, una bestia col pelo sul cervello al quale un giorno gli amici sono riusciti a far credere che nelle farmacie si vendevano i guanti di ferro? »
« Che guanti? »
« Andiamo, Antonio!... Ma d'altro canto, che doveva farsene lui? Un incapace che...»
Antonio divenne bianco come un cencio e poggiò il capo sullo schienale della poltrona, fissando in faccia allo zio due occhi miseramente affievoliti. « Che hai ? » disse lo zio, « che ti piglia ? »
Antonio serrò gli occhi con forza e, chinata la testa in avanti, appoggiò le palpebre al pollice e all'indice di una mano, intanto che con l'altra faceva cenno allo zio di stare zitto, che non c'era da preoccuparsi, che stava per passare.
« Tu, figlio mio » riprese a dire il gentiluomo, quando Antonio sollevò la testa e l'adagiò con gli occhi chiusi sulla spalliera, « devi metterti la strada fra le gambe e tornare diritto filato a Catania! Qui, se rimani ancora, le donne ti mangiano vivo con tutti i vestiti che hai addosso... A me, sì, che sono vecchio, non mi danno
abento: figurati a uno che ha i tuoi anni e la tua... sì, insomma, la tua simpatia!... La tua faccia, così spolpata com'è, se la leccano come una caramella... Ma lasciamo
stare! Parliamo di cose serie! Conosco Barbara Puglisi, la ragazza che ti vogliono dare in moglie : le ho sentito suonare il violino la sera che il suo zio monaco
festeggiò le nozze d'argento con la Chiesa. Non ti dirò che suoni superlativamente...
Ma d'altro canto, che te ne importa? È' ricca, possiede mezza Paternò. E' stata
educata in un collegio... Con questo non voglio dire che sia un genio... D'altro canto, la donna non deve essere mai un genio. Basta che non sia stupida. E se anche fosse stupida, che te ne importa? Questa è la vita ! Su, animo ! »
Tre giorni dopo, Antonio ripartiva per Catania pedinato da un cane alto, magro e cascante che, pur fra i colpi di valigia sul muso, e pedate di chi andava affannosamente nel senso opposto, e ombrellate di vecchie signore colleriche, continuò imperterrito a seguire il bianco barbone, col quale aveva fatto una fulminea amicizia nel vestibolo, e che, legato al guinzaglio, e tratto via velocemente da Antonio, non smetteva mai di voltarsi, lui cosi bello e ben pettinato, verso quel bruttissimo ma cortese amico.
Presso lo sportello del vagone, stava ad attendere Luigi d'Agata che abbracciò
Antonio con le lacrime agli occhi, e gli disse in tono di rimprovero : « Sia lodato
Dio, parti proprio ora che le cose si mettevano bene! Figurati che ieri, in casa del
generale, hanno fatto un giuoco nuovo, che se lo racconti a Catania non ti credono nemmeno se gli muori davanti! si chiama il giuoco della sincerità. Tu puoi fare qualunque domanda e gli altri devono rispondere con sincerità. Alla signora Pollini,
domandarono : Se qui entrassero dei briganti con la pistola in pugno, e la
costringessero ad andare a letto con uno dei presenti, ci dica, per favore, sinceramente, con chi andrebbe lei? »
« E la signora ? » fece Antonio, salendo nel vagone insieme al proprio cane e affacciandosi poi dal finestrino.
«La signora » continuò d'Agata, dalla banchina, « divenne rossa come un pomodoro, chissà a chi diavolo pensava nel suo intimo, ma per non dare scandalo e non far capire i suoi pensieri, rispose mogia mogia, con quel bocchino che uno glielo avrebbe mangiato a baci: — Col signor generale! — Si, raccontala a Tòfalo! col signor generale voleva andare a letto, lei!... Poi domandarono a me: — E lei, con quale delle signore presenti andrebbe a letto ? — »
« E tu ? » fece Antonio, prendendo in braccio il can barbone in modo da fargli
salutare l'altro cane che stava piantato sotto il finestrino, come avendo dimenticato
per quale ragione si fosse spinto fin li e non trovando alcuna ragione per tornare
indietro.
« Io » rispose d'Agata, e poiché il treno s'era mosso, si mise a trottare sotto il finestrino insieme al cane che gli galoppava stortamente al fianco, « io risposi: — Con la signora Bertini e con la signora Gallarati — ».
« Con tutt'e due in una volta ? » chiese Antonio.
« Sì, con tutt'e due! » gridò d'Agata, agitando da fermo un fazzoletto, ridendo con la bocca spalancata, e strizzando l'occhio destro poi il sinistro poi di nuovo il destro, velocissimamente, in modo che una almeno di quelle smorfie fosse colta dall'amico che già s'allontanava verso il Sud povero di avventure.