IL PAPA E GLI IMMIGRATI
Per Papa Francesco respingere in mare gli immigrati è un atto di guerra. Lo ha affermato il 7 agosto nel dialogo a braccio con i ragazzi del Movimento Eucaristico Giovanile, prendendo spunto dal dramma che si sta consumando in Asia dove i «boat people» in fuga dal Myanmar sono respinti nell’Oceano.Mi domando quale sia il senso che debba essere attribuito a questo duro pronunciamento del Papa? Mi chiedo cosa significhi dire che ”i respingimenti sono veri e propri atti di guerra”? il Papa ci sta chiedendo di aprire le nostre case e lasciarci investire da tutte queste masse disperate?. Ciò che mi sembra di capire è che Papa Francesco faccia innanzitutto un collegamento fra flussi migratori e il tema antropologico della conflittualità, intesa come situazione di tensione ricorrente a cui dobbiamo necessariamente far fronte. Ma una interpretazione buonista delle sue parole mi sembra fuorviante. Non credo che il Papa sostenga uno spirito di accoglienza irresponsabile. Il richiamo mi sembra sia duplice: il primo si riferisce al concetto che un uomo dotato di buon senso non può pensare che sia meglio stare in guerra piuttosto che in pace con gli altri; il secondo è che tale punto di arrivo non possa essere raggiunto senza lottare, senza battersi e senza impegnarsi direttamente. Per questo interpreto il discorso del Papa ben diverso dal buonismo pacifista che nasconde falsità e sbocchi ben più disastrosi. La strada indicata credo sia quella di non rassegnarsi al male e di non fermarsi a soluzioni apparentemente più comode, in quanto è il conflitto che costituisce l’essenza del percorso di tutti noi, incluso quello dell'accoglienza e della ricerca della convivenza con i diversi. Purchè, io credo, non ci nascondiamo che tutto questo assume caratteristiche problematiche e conflittuali molto difficili da gestire.