IL GENIO E LA DEA
Aldous Huxley
Recensione
"...la natura del linguaggio è tale che non possiamo fare a meno di giudicare...." Estratto da "Il genio e la dea", un romanzo scomparso dal panorama della letteratura.
L'incipit: "Il guaio con la narrativa è che ha troppo senso. La realtà non ha mai senso”. Huxley in questo breve romanzo ci conduce a mettere in discussione le nostre convinzioni sul mondo. Ci fa riflettere sui nostri pregiudizi riguardo alla vita , alla morte e alla morale. Ci porta quindi a metterci in gioco, sia che, leggendolo, lo seguiamo sia che lo contestiamo e rifiutiamo.
"La nostra filosofia della vita è l'inevitabile sottoprodotto di un linguaggio che separa nell'idea ciò che nella realtà effettiva è sempre inseparabile. Separa e al tempo stesso valuta . Una delle astrazioni è il "bene " , e l'altra è il " male ". Non giudicare e non sarai giudicato. Ma la natura del linguaggio è tale che non possiamo fare a meno di giudicare ".
Romanzo filosofico, pieno di interrogativi morali, The Genius and the Goddess è stato tradotto da Paolo Cioni.
Non si vedevano da tempo, sono vecchi amici: due sessantenni– il narratore e John Rivers – passano insieme la notte di Natale del 1951. Entrambi furono innamorati della stessa donna, Helen, che disse di no allo scrittore e sposò John. Helen è morta, John ha tre figlie e vari nipoti. Figlio di un pastore luterano, morto troppo presto, e di una madre bigotta, a ventotto anni John non aveva ancora fatto sesso, convinto dalla madre vedova, che arrivare vergine al matrimonio fosse il regalo più bello che potesse fare alla sposa. L’amico stenta a crederci, John era atletico e bellissimo, con lineamenti da statua greca. Dopo la laurea e la specializzazione, con il massimo dei voti, venne invitato a fare da assistente a un genio della Fisica, il Premio Nobel Henry Maartens.
Fra l’autunno 1921 e la primavera del 1923, John visse nella casa del professore, insieme alla “più bella donna che avessi mai visto”, Katy, e ai due figli, la quattordicenne Ruth, e il piccolo Timmy. Asmatico, con i capelli bianchi, molto più anziano della moglie, il professore sarebbe morto a ottantasette anni, e a scatenare i ricordo di John è un pretesto: la pubblicazione della sua autobiografia. “Le Muse sono figlie della Memoria”, dice lo scrittore all’amico. “Il guaio con la narrativa è che ha troppo senso. La realtà non ha mai senso”, ribatte John.
Le vicende che riferisce risalgono a quasi trent’anni prima, può permettersi di rivelarle. “Tutti sono morti eccetto me, e io vivo un tempo in prestito. Se rimetto a posto i ricordi, sono un fantasma che parla di fantasmi. E comunque, è la vigilia di Natale: una storia di fantasmi è piuttosto appropriata… Oltre a questo, tu sei un vecchio amico e anche se tu mettessi tutto in un romanzo, cambierebbe qualcosa?”.
John si descrive così: nel 1921 “ero uno zoticone erudito, ero un atleta che non sapeva aprire bocca con una ragazza, ero un fariseo con un complesso di inferiorità, ero un moralista che segretamente invidiava la gente che disapprovava”. Il tempo passato a casa Maartens fu meraviglioso, di irripetibile intensità.
A trentasei anni, Katy aveva “il volto di una dea travestita da florida contadina”. Aveva conosciuto il professore diciassette anni prima, quando stava per sposare un altro. Dopo aver divorziato, Henry Maartens era alla affannosa ricerca “di una donna capace di soddisfare le esigenze di un rapporto simbiotico, in cui tutto il dare fosse dalla parte di lei, e tutto un rapace e infantile prendere dalla parte di lui”. John si innamorò di lei; “l’amavo metafisicamente” come Dante amò Beatrice, come Petrarca amò Laura. Ma una serie di vicende li portò a una relazione segreta, di estrema sensualità, vissuta con atteggiamenti antitetici.
Ruth era innamorata di John, gli dedicava lunghe poesie d’amore e cercò invano di sedurlo. Arrivò a sospettare che si stesse concretizzando un doppio, imperdonabile tradimento: della moglie verso il marito, dell’allievo verso il maestro.
Dopo aver descritto la natura del rapporto “simbiotico” fra Katy e l’anziano genio, ormai anziano, John si è convinto che due cose determino la nostra esistenza: la Predestinazione e la Grazia. E per quanto la trama sia ambientata nell’America profonda – la campagna intorno a Saint-Louis – si respira l’aria della tragedia greca, con tanto di catarsi, nell’enorme sproporzione fra la punizione e la colpa, fra il piacere e il rimorso.