Titolo dell'opera originale:
Shetehi Li Hasakin.
RecensioneVale Flip
Questo è un autore che ho amato molto fin dai suoi primi libri, li ho letti tutti, ma questo no, non ero riuscita ad andare avanti. Non leggo (solo qualche volta) storie che raccontano di strazi e tormenti interiori e di emozioni laceranti.
Libro non facile, anche se il protagonista proclama di volersi del tutto offrire, spogliarsi; è proprio questo spogliarsi, questo eccesso di parole, di confidenza, di intimità che colpisce, stordisce noi e lei, la destinataria delle lettere inviate da qualcuno che le è sconosciuto. È una lunga esposizione per entrambi; con un obiettivo ed una scadenza prefissati da parte di lui, con totale coinvolgimento da parte di lei che comprende, raccoglie, accoglie.
È solo un mondo di parole, Yair non ammette presenza; lui vuole solo liberarsi con emozioni di parole, da qualcosa che ha dentro e che gli è greve, scorie che il vivere gli ha lasciato addosso. E ha bisogno di qualcuno che lo accolga.
Lei, che appare come la più fragile, viene coinvolta, investita dal tornado e mentre chi legge già si prepara a vederla distrutta,
allora lei rialza la testa recupera sé stessa, quel sé che è diverso da com'era prima perché è più forte, più maturo, più completo.
È quindi una lunga corrispondenza fra i due.
Non dirò il finale, solo due battute.
"Ma cosa ti ho dato, poi? Solo parole, e cosa possono le parole
Probabilmente talvolta possono. E forse ci sono dei momenti di grazia in cui il cielo si apre anche sulla terra."
Recensione
Paolo Bolzani
Un libro interessante, e senza dubbio profondo. Ha una struttura epistolare molto particolare. Non c'è una trama vera e propria ma più un percorso tumultuoso nell'anima dei personaggi. Tutto questo ha come prezzo una lettura non facile.
"Svelare a una persona qualcosa che non sa di sé stessa è un grande dono d'amore. Il più grande." Un uomo vede una donna. Succede che si imprima nella sua mente ed il cuore gridi di volerla incontrare. Sarà un incontro solo di parole che darà il via ad uno scambio epistolare. Lettere nelle quali il futuro perfetto si mescola ad un passato dimenticato e ad un presente pieno di crepe. Noi leggiamo soltanto le lettere di Yair a Myriam ma sappiamo che lei gli risponde. Un romanzo molto particolare che richiede lentezza e pazienza. Non è stato facile districarsi tra reale e immaginato. La potenza della scrittura però emerge in tutta la verità. So che a molti non è piaciuto, altri lo detestano. Il romanzo è ispirato alle lettere tra Kafka e Milena, di cui il titolo è una citazione diretta. A mio avviso questo romanzo toccando livelli di grande profondità, ci costringe a scavare nei nostri sentimenti tirandoli fuori con forza fino a far male. L'attenzione ai dialoghi e ai dettagli fanno sembrare di essere presente nella loro storia e di vivere il tentativo dei due personaggi di capire se stessi, di trovare se stessi e di farsi capire dall'altro.
PARTE PRIMA
Quando la parola si farà corpo e il corpo aprirà la bocca, e pronuncerà la parola che l'ha creato, abbraccerò questo corpo e lo adagerò al mio fianco.Hezi Leskli,("Quinta lezione d'ebraico", da I topi e Leah Goldberg)
YAIR.
3 aprile Myriam, tu non mi conosci e, quando ti scrivo, sembra anche a me di non conoscermi. A dire il vero ho cercato di non scrivere, sono già due giorni che ci provo, ma adesso mi sono arreso.
Ti ho vista l'altro ieri al raduno del liceo. Tu non mi hai notato, stavo in disparte, forse non potevi vedermi. Qualcuno ha pronunciato il tuo nome e alcuni ragazzi ti hanno chiamato "professoressa". Eri con un uomo alto, probabilmente tuo marito. E' tutto quello che so di te, ed è forse già troppo. Non spaventarti, non voglio incontrarti e interferire nella tua vita. Vorrei piuttosto che tu accettassi di ricevere delle lettere da me. Insomma, vorrei poterti raccontare di me (ogni tanto) scrivendo. Non che la mia vita sia così interessante (non lo è, e non mi lamento), ma mi piacerebbe darti qualcosa che altrimenti non saprei a chi dare. Intendo qualcosa che non immaginavo si potesse dare a un estraneo. Inutile dire che questo non comporta obblighi da parte tua, non devi far nulla (sono quasi certo che non mi risponderai). Ma se, malgrado tutto, un giorno vorrai farmi sapere che leggi le mie lettere, troverai sulla busta il numero della casella postale che ho affittato questa mattina e che è destinata solo a te.
Se mi devo spiegare, allora è tutto inutile: non sentirti in dovere di rispondere, probabilmente mi sono sbagliato sul tuo conto. Ma se sei tu quella che ho visto stringersi nelle braccia con un cauto sorriso, credo che capirai.
Yair W'
7 aprile
Ciao Myriam, da quando ho ricevuto la tua lettera non combino più niente, non ne sono capace. Non lavoro, non vivo, non faccio che pensare a te. Lascio ruggire nel mio cuore il tuo nome e se tu fossi qui, adesso, ti abbraccerei con tutte le mie forze fino a spezzarci entrambi nell'impeto di quel che provo per te (non temere, non sono particolarmente forte). E prometto di rispondere a tutte le tue domande, ti meriti le risposte più oneste possibili. Per avermi scritto. Per aver accettato! Per non esserti lasciata intimorire dalla pacata lettera di suicidio che ti ho scritto (e che mi ha lasciato il segno dei denti all'interno delle guance). Prima di tutto, però, devo raccontarti come ci siamo veramente incontrati (mi hai risposto! In un giorno! Non hai riso di questo pazzo che all'improvviso ti è comparso davanti). Non mi riferisco all'incontro a scuola la settimana scorsa, quello appartiene alla realtà. E cosa c'entriamo noi con la realtà? Che spazio sarebbe disposta a lasciarci?
Da dove iniziare? Se fosse possibile, inizierei contemporaneamente da ogni parte. All'improvviso ho la sensazione che ogni parola sia un grumo di lettere inutili, non trovi anche tu? Che qualcuno, sulla punta della penna, traduca l'ebraico in francese... Non avrei mai immaginato quanto potesse essere difficile spiegare, sbriciolare questa sensazione in parole. Hai scritto che ti ho ricordato il ragazzo con gli stivali a molle. Magari potessi saltare la fase delle spiegazioni e della logica, come se tu sapessi già tutto, subito, e mi accettassi nella mia totalità. Come se fossi già racchiuso in te, al punto che, quando aprirò gli occhi, ti vedrò sorridere e dire: "Va bene, possiamo cominciare". (Mi fermo qui. Ho la sensazione che ogni
altra parola sarebbe superflua. Adesso tocca a te.) Yair
7 aprile
Solo qualche altra riga. Ho spedito la lettera, sono tornato a casa e non sono riuscito a calmarmi. Ma chi vuole calmarsi, Myriam? Non far caso a quello stupido che da stamattina si aggira con un sorriso incontrollabile e che per la gioia vorrebbe ora, subito, spogliarsi, denudarsi completamente e rimanere di fronte a te, così com'è, nudo, al punto da mostrare il nocciolo bianco dell'anima. Se solo potessi disegnare per te, ruggire per te, nitrire, abbaiare, anche fischiare per te tutto quello che mi si muove dentro tumultuosamente. (Ricordo che a vent'anni cercavo il modo per diventare uno dei famosi trentasei giusti (1) e che feci il proposito di sedermi sull'autobus, almeno una volta la settimana, dietro una donna sola, preferibilmente vestita di nero come una vedova. Senza farmi notare, a quel punto le avrei fischiato piano nell'orecchio una struggente melodia d'amore che avrebbe raggiunto il punto più profondo del suo padiglione auricolare, risvegliando tutto ciò che vi dormiva, raggrumato e sconsolato...)
No, non temo l'estraneità che c'è fra noi, al contrario - ovvio che è il contrario. Dimmi cosa c'è di più bello ed entusiasmante della possibilità di dare qualcosa che ti è molto caro, quello che hai di più caro - un segreto o una debolezza, o una richiesta assurda come la mia - a una persona totalmente estranea (volutamente estranea!). Di metterlo nelle sue mani mentre io mi tormento per la vergogna e l'imbarazzo di essermi lasciato tentare da un'illusione così meschina, e aver sentito dentro di me questo desiderio di elemosinare. Ho provato questo tormento per tre giorni e tre notti, sentendomi a ogni istante come in cella d'isolamento, o in trappola. Poi, quando ormai ero sul punto di rinunciare, con un godimento perverso, torbido e grigio, allora, d'un tratto, la tua mano bianca...
Forse nemmeno tu capisci cosa sia a emozionarmi tanto, ma la tua lettera piena di calore e di luce - soprattutto il postscriptum finale, solo una riga, in fondo - mi è sembrata come un passaggio dall'ombra alla luce. Come se tu mi avessi teso una mano, facendomi superare il confine oltre il quale si trova la luce. Gentilmente, come se fosse del tutto naturale con un estraneo.
(Ed ecco un brivido di freddo. Proprio ora. Proprio in questo momento. Perché? Perché sto bene? Un'ondata di freddo che sale dalle viscere, come un pugno gelido che mi stringe il cuore. E' per te.) Vorrei che tu capissi, io parlo solo di lettere, davvero. Non di incontri. Niente corpo, né carne. Non con te. Mi è parso talmente chiaro dopo la tua lettera. Solo parole. Perché tutto si rovinerebbe a tu per tu, scivolerebbe subito su strade note, già percorse. Ovviamente il nostro rapporto dovrà mantenersi nella più completa segretezza, non dovrà essere svelato a nessuno, perché ciò che diciamo non venga rivolto contro di noi. Solo le mie parole che incontrano le tue, il ritmo lento dei nostri respiri che si uniscono. Provo una tale stanchezza nello scriverti. Non quella solita, però. Dopo qualche riga devo proprio fermarmi per respirare e ritrovare la calma.
E' già sera. Ho fatto una pausa e mi sono un po' ripreso. Dieci ore esatte da quando ho trovato la tua busta bianca nella casella postale con il mio nome da una parte e il tuo dall'altra (forse come inizio potrebbe bastare). E dentro, su una metà del foglio (non avevi tempo?), la tua risposta. All'inizio non riuscivo a capire cosa stessi leggendo. Come se ogni parola, persino la più semplice, mandasse un bagliore accecante, come quello che emana la parola "io" se la si considera attentamente. Un istante di chiarezza seguito da una sorta di cupo oscuramento che si diffonde dentro di me, aspirandomi al suo interno. Ma quando sono arrivato al postscriptum, al ringraziamento per il mio regalo inatteso (e mi ringrazi anche!), al tuo cuore che ha provato nostalgia di quando eri bambina... Vero che non c'è più niente da dire in questo momento? Che l'essenziale è già stato detto?
Tuttavia, senti: ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all'estremità della spina dorsale. Si chiama luz in ebraico, e non si decompone dopo la morte né brucia nel fuoco. Da lì, da quell'ossicino, l'uomo verrà ricreato al momento della resurrezione dei morti. Così per un certo periodo ho fatto un piccolo gioco: cercavo di indovinare quale fosse il luz delle persone che conoscevo. Voglio dire, quale fosse l'ultima cosa che sarebbe rimasta di loro, impossibile da distruggere e dalla quale sarebbero stati ricreati. Ovviamente ho cercato anche il mio, ma nessuna parte soddisfaceva tutte le condizioni. Allora ho smesso di cercarlo. L'ho dichiarato disperso finché l'ho visto nel cortile della scuola. Subito quell'idea si è risvegliata in me e con lei è sorto il pensiero, folle e dolce, che forse il mio luz non si trova dentro di me, bensì in un'altra persona.
7 aprile
Io, malgrado tutto. Un attimo prima di mezzanotte. E' la terza lettera oggi, ma non spaventarti. Non hai idea di quante altre te ne abbia risparmiate. Ma è il nostro primo giorno insieme, il giorno in cui è arrivata una tua lettera e io ti ho risposto; finché non ne arriverà un'altra, potrò credere che tu mi legga esattamente come io ti scrivo: in dormiveglia, trasognato (oggi al lavoro ho letteralmente ballato invece di camminare), e in questo stato posso sussurrarti: "acqua, acqua". La voce mi si assottiglia quando ti penso. Acqua, gorgoglio d'acqua. Non so perché. Forse perché c'è dell'acqua nel tuo nome (senza quella "erre" un po' dura, come un ostacolo al flusso (2)), e forse perché non c'è fecondazione senza liquidi. Ma io sento, lo sento nel mio corpo, che abbiamo bisogno di tantissima acqua intorno a noi. Di cascate e di fiumi, solo per cominciare a essere.
Sto esagerando? Mi lascio trasportare? Ho sentito che ti ritraevi (davvero, il tuo corpo ha avuto una contrazione). Ho detto qualcosa che ti ha fatto male? Devi guidarmi, Myriam, spiegarmi dove fa male e dove occorre procedere con cautela. O forse oggi ti ho sommersa e sei già stanca?
Perché a me stanca scriverti, te l'ho detto. Non mi sono mai sentito così debole dopo aver scritto cinque, dieci righe. Provo davvero un senso di vertigine. Ma è anche piacevole. Mi ricorda la sensazione che provavo da bambino quando uscivo di casa dopo una lunga malattia. Senti, e se stabilissimo fin d'ora che non sarà una corrispondenza troppo lunga? Per esempio, solo un anno? O finché il piacere non la renderà insopportabile? Perché se il mio corpo ora dice la verità, e il corpo, come sai, non mente...
Non mente? Ma quante volte ho mentito con il corpo? Quante volte ho abbracciato e baciato, quante volte ho chiuso gli occhi con un sospiro e sono venuto ruggendo, ma senza intenzione?
E quante volte tu?
Myriam, se è vero quello che sento adesso per te, allora anche un anno sarebbe troppo per noi. Non resisteremmo più a lungo, seminando distruzione in tutto ciò che ci circonda. E credo che entrambi
abbiamo qualcosa da perdere, là fuori. Allora ho pensato - un'idea stupida, ma tant'è - che forse dovremmo decidere fin d'ora. Che sarebbe meglio fissare una data, o attendere che accada qualcosa di particolare nel mondo, qualcosa al di fuori di noi e che ci è assolutamente indifferente, ma che sarà già annotato sul nostro calendario. Cosa ne dici? Ti fa sentire un po' più tranquilla (benché ci ponga dei limiti)? Così sapremo fin dall'inizio che la separazione non dipenderà da noi e che dovremo fare tutto prima che giunga quel momento. Essere tutto o niente, cosa ne pensi?
Ti sei di nuovo allontanata, ti sei di colpo ritratta. Be', lo so di avere scritto un'idiozia, di avere dato un calcio al secchio prima che cominciasse a riempirsi, ma aspetta, non prendere decisioni contro di me! Senti, la cosa più facile è che io strappi questa pagina e la riscriva senza quelle disgraziate parole, purché non ti perda.
Vedi? L'ho lasciata esattamente com'era. Senza cancellature. Perché, dal momento in cui mi hai risposto, ho deciso che tutto quello che mi succede a causa tua ti apparterrà.
E'-scritto-in-me-ed-è-scritto-in-te. Ogni pensiero, desiderio, passione, timore; ogni creatura, feto o aborto che concepirò a causa tua. E' questo il fulcro del mio contratto con te, e solo con te, in virtù del quale rinuncio a ogni tentativo di corteggiamento, rinuncio a censurarmi e, più in generale, al diritto di difendermi...
(Che sollievo scrivere queste parole.)
Ma ecco, ho riletto quello che ho appena scritto.
Come mi piacerebbe scriverti diversamente. Come mi piacerebbe essere uno che scrive in un altro modo. Le mie parole sono così pesanti. In fondo avrebbe potuto anche essere semplicissimo, no? Come quando si chiede: "Dimmi, piccino, dove ti fa male?". Allora chiuderei gli occhi e scriverei in fretta: volesse il cielo che due estranei vincessero l'estraneità. Il principio stesso dell'estraneità, carico di prescrizioni e conseguenze - il vertice del Cremlino, soddisfatto e sazio, che ci si è assestato nelle profondità dell'anima. Come vorrei pensare a noi come a due persone che si sono fatte un'iniezione di verità per dirla, finalmente, la verità. Sarei felice di poter dire a me stesso: "Con lei ho stillato verità". Sì, è questo quello che voglio. Voglio che tu sia per me il coltello, e anch'io lo sarò per te, prometto. Un coltello affilato ma misericordioso - parola tua. Non ricordavo nemmeno che fosse lecita. Un suono così delicato e ovattato. Una parola senza pelle (se la si ripete più volte a voce alta ci si può sentire come terra riarsa, e non è facile il momento in cui l'acqua s'infiltra fra le crepe). Sei stanca, mi obbligo a dirti buonanotte. Yair
12 aprile Myriam.
Lo sapevo, non dirmi che non lo sapevo e che non mi sono messo in guardia.
E' veramente quello che hai provato? A tal punto?
Be', puoi immaginare se non sia stato un colpo anche per me. Do con una mano, prendo con due. Sherazade e l'idiota sultano legati e aggrovigliati insieme... Questa mattina non ce l'ho più fatta e mi sono rispedito, per espresso, la tua prima lettera.
Ma tu capisci, vero, che nasce tutto dalla paura? Che dopo essere riuscito a prenderti per la manica, e a bloccarti per un attimo accanto a me, il mio fascino già appassito sarebbe completamente svanito e non avrei mai avuto una seconda occasione. Tu devi, devi credermi. Io mi rivelo solo al secondo sguardo, o al terzo, mai a quello che effettivamente mi osserva.
Malgrado questo, Myriam (hai un nome caldo, esuberante, duro e morbido allo stesso tempo), resta con me ancora un po', finché cesseranno questi spasimi involontari. Nel frattempo potrai annotare sulla tua agenda qualche piccola e disperata considerazione sul mio conto. Permettimi però di assistere a quelle conversazioni trasognate con te stessa, con Ana (una tua amica?), con la tua gatta e i cani, e forse avrò ancora qualche possibilità con te. Dopotutto, nella tua lettera hai chiesto - con sincera preoccupazione, mi pare - che cosa mi spaventi tanto. E com'è possibile che chi ha osato esprimere un desiderio così grande alla vita provi anche tanta paura nei suoi confronti?
Spiegamelo, ti prego.
Raccontarti quante volte ho letto le tue due lettere? Vuoi ridere? A ogni ora del giorno e della notte, ad alta e a bassa voce, nella vasca da bagno, accanto alla fiamma del gas in cucina e nel bel mezzo di una riunione di lavoro, corrugando la fronte con sussiego di fronte a dieci persone. I miei ridicoli tentativi di essere con te a ogni costo, in qualsiasi momento, nei vari stadi della materia. Anche nei cessi della stazione centrale degli autobus di Gerusalemme. Ci sono andato oggi pomeriggio, proprio per trovarmi di fronte ai graffiti pornografici e alle scritte oscene, perché si contorcessero dalla vergogna udendo le tue parole. Come scrivi! Davvero, anche quando sei delusa. Senza trucchi né finzioni. Perfino senza curarti di te stessa. Ti dai con semplicità e mi accordi la tua fiducia senza nemmeno conoscermi.
Raccontarti ancora di me? Cosa c'è da raccontare?
Il tuo modo di scrivere mi ha fatto venire in mente che una volta pensavo di insegnare a mio figlio un lessico privato. Per isolarlo di proposito dalle parole del mondo e mentirgli fin dalla nascita, così che credesse solo ed esclusivamente a ciò che gli avrei insegnato io. Doveva essere un lessico misericordioso. Intendo dire che avrei camminato con lui, mano nella mano, chiamando tutto ciò che vedeva con nomi che non gli avrebbero procurato dolore. Così, per esempio, non avrebbe capito che esiste la guerra, che la gente uccide e che quella cosa rossa è sangue. Un'idea un po' sfruttata, lo so, ma mi piaceva immaginare che avrebbe attraversato la vita con un sorriso innocente e fiducioso. Il primo bambino illuminato.
Naturalmente non ho bisogno di dirti la mia felicità quando iniziò a parlare. Di sicuro ricordi il momento meraviglioso in cui un bambino comincia a chiamare le cose per nome. Eppure, ogni volta che imparava una parola nuova, una parola che è anche un po' "loro", di tutti, persino la sua prima parola, una parola bella come "luce", io provavo una stretta al cuore, perché pensavo: chissà cosa sta perdendo in questo momento. Chissà quanti tipi di chiarore ha visto e assaggiato e odorato prima di stiparli tutti in quella piccola scatola chiamata "luce", con quella "c" nel mezzo, come un interruttore per spegnerla. Capisci, vero?
Sì, certo. Di strette al cuore tu ne sai qualcosa. Forse sei addirittura un'esperta, a modo tuo. L'ho capito guardandoti. E anch'io, evidentemente, sono già riuscito a far soffrire il tuo cuore, a fargli provare qualche stretta.
Ma fino a questo punto? Davvero? Come se tu avessi perso qualcosa di prezioso, di agognato, un attimo prima di averlo ottenuto? Almeno dimmi cos'era questo qualcosa di prezioso (perché mi renda conto di cosa può esserci in me). Yair
16 aprile
Naturalmente hai ragione, mi merito il rimprovero (ma non ho pensato nemmeno per un istante che tu fossi fatta di parole). Chi mai avrebbe potuto immaginare che in te ci fosse anche del sarcasmo, amaro e così tagliente. Ne ho visto un accenno nelle tue spalle, nella schiena. C'era qualcosa di contratto, perfino di rassegnato, come se si stessero preparando al colpo successivo. Ma forse mi sto sbagliando.
E se invece fosse a causa mia? Senti, sono io che ti faccio contrarre così? E' una cosa che conosco così bene. Spero che per te...
Sai, oggi, davanti al mio ufficio nella zona industriale, a metà mattina, in piena luce, c'era un cieco seduto alla fermata dell'autobus con la testa china e il bastone tra le ginocchia. E' arrivato un autobus e ne è sceso un altro cieco. Quando quest'ultimo è passato davanti al primo, ancora seduto alla fermata, di colpo si sono entrambi raddrizzati e le loro teste si sono girate contemporaneamente. Sono rimasto a guardarli, senza muovermi. Hanno annaspato con le mani, si sono scoperti e per un attimo si sono abbracciati, rimanendo immobili. E' durato un secondo, non di più, nel silenzio totale. Dopo un attimo si sono separati, e a me si è accapponata la pelle, come quando urlo il tuo nome. E in cuor mio ho pensato: così!
Allora vieni, avvicinati, voglio darti qualcosa di molto personale. Non scappare, non ripiegarti su te stessa. Qualcosa di molto personale, opposto a quell'"anonimo" di cui mi hai accusato mentre, come una corte marziale, sedevi sulla tua veranda (un petalo viola è rimasto un po' schiacciato, imprigionato tra il foglio e la busta, proprio su quell'"intimità anonima", cancellandola leggermente). Resisti, Myriam, abbiamo detto: o tutto o niente.
Quando io e mia moglie cominciammo a frequentarci, un sabato mattina andammo a fare una gita sul monte Carmelo, arrivando a un piccolo bosco. Era molto presto, poco dopo l'alba, parlavamo e ridevamo. In genere detesto ciò che viene definito "la bellezza del creato", eppure lì, all'improvviso, non fui più in grado di contenere lo splendore che mi circondava e mi spogliai completamente, mettendomi a correre tra gli alberi, nudo, urlando e ballando. Maya (la chiameremo Maya tra noi; e ti prego di scegliere per i tuoi cari i nomi che più ti aggradano) rimase allibita e si fermò, forse spaventata dalla mia nudità - la vedeva per la prima volta all'aperto (e anche al buio non è particolarmente eccitante). Sentii che mi chiamava sottovoce, supplicandomi di smettere, ma io ero già ubriaco e le giravo intorno in una sorta di danza di corteggiamento che doveva sembrare piuttosto ridicola. La invitai a unirsi a me, e per un momento forse lo desiderò. Cerca di capire: prima di quel momento io non avevo mai voluto ballare con lei, né alle feste né in pubblico. Nudo, invece, improvvisamente, potevo farlo, me n'era venuta voglia. Pensa: ballavo nudo, raggiante di felicità. Forse è impossibile non essere belli quando si è felici e Maya parve quasi sul punto di lasciarsi andare. Sentii che il desiderio cresceva in lei e per un momento sembrò come sradicarsi da se stessa. Ma poi non lo fece. Perché il poliziotto nel tuo sogno pretendeva che tu sporgessi denuncia contro di me? Per averti scritto delle lettere minatorie?
(Come mi sono sentito rinascere, all'improvviso, quando hai detto a quell'idiota ficcanaso che ti sembravano piuttosto lettere minatorie nei miei confronti - forse è proprio per questo che non mi lasci.) Ballavo nella foresta. Magari potessi ballare così ora, in questi anni. Ballavo perché, inaspettatamente, non aveva cominciato a rodermi il solito dubbio, il brivido di freddo. O meglio: stava per arrivare, naturalmente. E' un meccanismo che in me funziona sempre, appena il cuore mi si allarga per qualche motivo, la vescichetta piena di veleno si svuota subito nell'apparato circolatorio. Ma quella volta mi provocò una reazione contraria. Mi scatenai ancora di più, non so perché. Forse sentivo che stavo finalmente facendo lo sbaglio giusto e, anche se Maya mi aveva già girato le spalle tornandosene in macchina, non riuscivo a smettere di correre tra gli alberi e di ballare, così, nudo. L'odore dei pini si fece pungente fin quasi a farmi piangere, e intorno era pieno di voci: uccelli, cani, il ronzio degli insetti. Annusai la terra, le fenditure delle grotte, la cenere dei falò estivi, e mi sentii come se una cataratta enorme mi si staccasse di dosso. Solo dopo essere crollato per la stanchezza raccolsi i vestiti e tornai alla macchina. Maya era pallida. Non mi guardò, chiese che mi rivestissi - sarebbe potuto arrivare qualcuno - dicendo che era meglio tornare subito a casa, perché i suoi genitori ci aspettavano per la colazione. Ma all'improvviso la sua voce si spezzò e lei scoppiò a piangere. Io feci lo stesso. Capii che era la fine del nostro giovane amore e pensai che non avrei potuto sopportare di separarmi da lei, perché non avevo mai amato nessuno in quel modo: con la gioia, la semplicità e la freschezza con cui avevo amato lei. Ecco, come al solito, già all'inizio avevo rovinato tutto e mi ero rivelato per quel che ero. Stavamo seduti in macchina, ognuno immerso nei propri pensieri, piangendo, lei vestita e io nudo. Ma in quel pianto ci sentimmo ancora più vicini e ci lasciammo andare. Ridemmo. Io cominciai a rivestirmi e lei mi aiutò, un indumento dopo l'altro. Mi allacciò i bottoni e mi piegò le maniche, e per tutto quel tempo io continuai a baciare e a leccare le sue lacrime, perché intuivo che sì, piangeva, ma non mi avrebbe lasciato. Piangeva, ma sarebbe rimasta. E sentii il cuore scoppiare di gratitudine perché sapevo che mai, in vita mia, le avrei più fatto una cosa simile. Decisi che da quel momento in poi l'avrei protetta da me stesso, perché non poteva rimanere indifesa nel mondo in cui io mi aggiravo libero. Lei sorrise fra le lacrime e disse pressappoco la stessa cosa: per proteggerla da me, d'ora in avanti avrei dovuto semplicemente rimanere con lei, per sempre. Lo disse quasi per scherzo, ma era anche una verità profonda e il logico destino di due persone, di una coppia. Tu sai che queste, a volte, si rivelano solo dopo una vita trascorsa insieme (ho visto l'uomo con cui eri, o a cui stavi vicina). Noi, chissà perché, la intuimmo fin dal primo momento.
Vedi?, per anni non ho più ripensato a quell'episodio. Eravamo solo due bambini spaventati, ma nella frazione di un secondo riuscimmo, malgrado tutto, a stipulare un difficile patto per la vita. Un patto secondo le regole, e mi sorprende ora ripensare che, per un istante, volgemmo i nostri sguardi lontano, come a garantire che da quel momento il nostro amore avrebbe trionfato, sempre e a qualunque costo. Un costo che stabilimmo, anche. Poi non ne parlammo più, mai più. Perché, senti, com'è possibile parlare improvvisamente di queste cose a metà della vita?
Dimmelo.
Non avrei dovuto raccontartelo, vero? Cosa c'entri tu con il matrimonio di un uomo che non hai nemmeno visto? Già sento il gelo dell'errore - un altro errore da buffone, così di certo ti sembrerà. Quest'uomo getta in aria tutto quello che ha e, naturalmente, tutto ricade a terra intorno a lui. Non fa niente, la gente ama i buffoni, così mi hanno insegnato un paio dei miei grandi maestri (ma in un angolo della tua mente pensami anche, diciamo, come un uomo dal viso ustionato che decide di entrare in una stanza piena di gente). Credi che avrei dovuto aspettare un po' prima di raccontarti questa storia? Aspettare che ci conoscessimo meglio? Lo credo anch'io. Ma con te non mi comporto in modo logico: solo in modo follemente logico. E non voglio nemmeno aspettare, perché il tempo con te è diverso. E' circolare, e ogni momento si trova esattamente alla stessa distanza dal centro. Non mi scuso neppure se ti ho messo in imbarazzo. La nostra non è una conversazione da salotto. Con te, ritrarsi è un delitto.
16-17 aprile
Non riesco a dormire. Magari potessi sapere cosa proverai nel ricevere la lettera di questa mattina, e se continuerai a scrivermi dopo averla letta. Sono quasi sicuro di no. Penserai che sia volgare da parte mia raccontarti certi fatti della mia vita. Comunque sono felice di avertela mandata. Anche se poi mi sono tormentato per tutto il giorno. Avevi ragione: in fondo, sto cercando un compagno per un viaggio immaginario. Ma hai sbagliato nel dire che forse non ho bisogno di un compagno reale. E' esattamente il contrario: ho bisogno di un compagno reale per il mio viaggio immaginario. Quando scrivo queste parole sento battere il cuore. Mi succede sempre più spesso quando fantastico. Ecco, batte di nuovo. Sai che esiste un uccello chiamato "batticuore"?
Se appena gli si tocca il petto, il suo cuore smette di battere e lui muore. Quando si trova nei paraggi è proibito fare una mossa falsa perché il minimo errore gli procura un colpo al cuore. Se solo potessi comprare un "batticuore" così. Anzi, due. No, uno stormo di "batticuore". Li lascerei liberi di svolazzare su tutto quello che ti scrivo, perché facciano da rivelatori di menzogne come i canarini che segnalavano le fughe di gas in miniera. Prova a immaginarlo: una sola parola falsa, inesatta o volgare, o anche solo indifferente, e un uccello cade morto sul foglio. Vedresti allora come ti scriverei! A proposito, mi sono dimenticato di dirti che mi sono offeso quando hai scritto di aver pensato che potessi averti scambiata per un'altra, quella sera. E mi ha offeso ancora di più che tu abbia fatto tanta fatica a decidere se preferivi che mi fossi sbagliato oppure no. Sai invece quando ho veramente provato una stretta al cuore? Quando hai descritto te stessa per eliminare qualsiasi dubbio e, chissà perché, ti sei riassunta in una sola frase, oltretutto tra parentesi ("piuttosto alta, capelli lunghi, ricci e ribelli, occhiali..."). Se è davvero così, se ti senti tra parentesi, permettimi allora di infilarmici dentro, e che tutto il mondo ne rimanga fuori, che sia solo l'esponente al di fuori della parentesi e ci moltiplichi al suo interno. Y'
P'S' Comunque, anche se non tutto fila liscio e le cose sono già complicate fin dall'inizio, sento il bisogno di dirti una cosa. Devo raccontarti come le pupille mi si dilatano quando vedo una tua parola da qualche parte, persino quando mi ci imbatto nel giornale, o nella pubblicità... Ci sono parole che ti appartengono a tal punto! Impronte della tua anima che in bocca ad altri appaiono solo come strumenti discorsivi o articolazioni linguistiche, nient'altro. Non avevo mai immaginato che conoscere il linguaggio di un estraneo potesse essere eccitante come il primo contatto con il suo corpo, il suo profumo, la sua pelle, i capelli e i nei. E' così anche per te?
21 aprile
Ma come farò a farci incontrare? E' arrivata una tua lettera. E' lì sul tavolo, pallida come una morta. Il bianco respinge la luce, no? La aprirò fra un minuto. Lasciami godere il dubbio. Lascia che sparga un po' di colore ottimista... Te l'ho già detto che vedo noi due sempre immersi nel verde? Mi balena davanti il verde, quando penso a te. Un'ampia distesa di verde. Forse il ventre infinito del mare, forse un'antica foresta europea, forse solo un grande prato (avrei dovuto metterti in guardia, di solito i miei sogni finiscono
all'altezza del prato). Tu sei seduta sull'erba, leggi un libro, e io un giornale. Tra noi c'è una distanza enorme. Un prato gigantesco e due estranei. Come portarli in un solo secondo ad abbracciarsi senza passare attraverso gli stadi intermedi e senza declamare le frasi che milioni di uomini e di donne hanno già rese insipide prima di noi? A giudicare dallo spessore della busta, un foglio solo, non di più. Pensavo di provare a indovinarne il contenuto, ma mi hai vietato di decidere per te cosa pensi e cosa provi. Magari mi annoto un'immagine di noi due che ho già da qualche giorno. Chissà cosa ne penserai. Un'immagine così, un po' stupida, di me e di te immersi nella lettura su un prato. Siccome siamo soli, avvertiamo una certa tensione e siamo entrambi consapevoli della presenza dell'altro. Io, come al solito, indosso dei jeans, tu un vestito nero, piuttosto leggero e aderente, punteggiato di stelle e lune chiare. Se non sbaglio hai anche una sciarpa verde, sottile e vaporosa, che ti copre le spalle. Così ti ho vista al raduno del liceo (una sciarpa o un lungo foulard di seta? Ogni particolare è importante per me, ora). "L'unica cosa che mi è rimasta impressa è stato il mantello verde che ella portava." Così, per la prima volta, il protagonista incontra Cordelia nel Diario del seduttore. Che il verde sia esploso proprio dalla sciarpa?
Il verde che di colpo si è spento sotto l'enorme maglione grigio che tuo marito ti ha gettato sulle spalle quando hai avuto un brivido. Ricordi? Perché io ricordo chiaramente un suo gesto, veloce e aggressivo, che mi ha stupito mentre ti guardavo, quando ancora non avevo capito fino a che punto ti stessi guardando. Improvvisamente lui - lo stesso "lui" al quale non hai intenzione di nascondere il nostro legame, proprio perché non si sognerebbe mai di indagare su cosa tu faccia e con chi - lui, dall'alto della sua statura titanica, ha gettato su di te il maglione come si lancia un lazo su un puledro in fuga.
Ma perché sei rabbrividita, tu "piuttosto alta, capelli lunghi, ricci e ribelli, occhiali..."? Se non fosse per quella parentesi irritante, avrei riso. E' così che ti vedi? Solo così? Perché non hai scritto del tuo meraviglioso portamento, solenne e morbido a un tempo, o delle guance splendenti? Come mai non hai detto che il tuo viso tradisce una specie di chiara e lentigginosa ingenuità, un po' anacronistica, non offenderti, come di una persona anni Cinquanta...?
E perché non ho scritto subito parole come oro, grano e burro? Non ho detto del tuo viso che, a un primo sguardo indifferente o superficiale, sembra quasi passare in secondo piano rispetto al corpo stupendo ed espressivo? Spero di non offenderti: un viso da bambina perbene, un viso bello e responsabile da capoclasse. Ma all'improvviso l'occhio cade su qualcosa di imprevisto, un neo scuro sotto le labbra, o la bocca stessa, larga, vibrante e inquieta. Hai una bocca affamata, Myriam - dimmi se qualcuno te l'ha già detto e troverò subito un'altra parola. Non sono disposto a infangarmi nelle parole degli altri.
Ho divorato il tuo viso, quella sera. Ti ho visto forse per cinque minuti, ma quei cinque, lunghi minuti ti hanno impressa in me, e già ti conosco a memoria. Adesso devi decidere se il tuo "strano sospiro" è veramente nato dal dubbio che ti avessi scambiata per un'altra donna, o dal fatto che sei tu, malgrado tutto, tu la prescelta dal mio destino... Non darò spazio ai tuoi dubbi. Sono già passate tre settimane da allora e il mio sguardo sfiora appena ogni donna che vedo, proiettando subito il tuo ritratto nella mia mente. Come mi ha commosso il tuo viso. Io, che parto sempre dal corpo. Ma non ho trascurato nemmeno quello. Mi sembra che tu abbia cercato di nasconderlo nella lettera ("piuttosto alta..."). La penna mi trema in mano al pensiero che fra poco descriverò il tuo corpo, la sua bellezza, la sua generosità celata dagli abiti. E non dimentico la rotondità un po' curva delle spalle, come se qualcuno cercasse rifugio dentro di te e tu lo difendessi.
O il modo in cui hai piegato la testa e hai tremato un po' sotto il vestito. E come, con un gesto lento e quasi trasognato, ti sei stretta nelle braccia, quasi provassi dolore per lui. Sembra strano, ma mi è parso che fosse proprio così, che tu provassi dolore e pietà per lui. E con un solo sguardo ho saputo qualcosa di te. Forse ti sto facendo di nuovo arrabbiare, pretendo di descriverti senza alcuna incertezza, ma sono sicuro di aver capito. Il tuo viso era senza veli, in quel momento, non avevo mai visto un adulto così nudo sotto la pelle. Si vedeva come ogni emozione ti si rispecchi subito sul volto. Era evidente fino a che punto sei incapace di nascondere, e quanto tutto ciò sia pericoloso. Ma dov'eri quando la vita ce l'ha insegnato?
(Basta, non riesco più a controllarmi. Vieni, vieni messaggero dall'aria severa. Vieni, lettera di congedo laconica e amara, sentiamo cos'hai da dirci.)
22 aprile Myriam.
Innanzitutto: al supermercato, oggi, verso sera, un bambino che non conosco mi ha chiesto di prendergli tre tavolette di cioccolato da uno scaffale troppo alto per lui. Ho teso la mano e il piccolo si è di colpo trasformato in un bambino affetto da una malattia sconosciuta, in cura già da qualche mese. Tutti si preoccupano per la sua salute, ma sembra che le cose vadano già meglio e sia ormai in via di guarigione quando, improvvisamente, comincia a mangiare cioccolato, ad abbuffarsi di cioccolato. Si alza come un sonnambulo di notte per divorarlo, ed è impossibile impedirglielo, nessuno se la sente di negargli quel piacere proprio perché deve sopportare tutte quelle terapie dolorose. Il fatto è, però, che il bambino ha intuito qualcosa che gli altri, genitori e medici, ancora non sanno, e forse nemmeno lui stesso sa. E' una sorta di consapevolezza interiore, e lui si rifornisce di cioccolato in preparazione al lungo e gelido viaggio che lo attende. Gli ho preso le tavolette e lui è corso via felice.
Ho avuto questa sorta di intuizione mentre tendevo la mano verso lo scaffale e ho giurato di ricordarmela per raccontartela. L'ho addirittura annotata su un biglietto. E allora? Ho una decina d'intuizioni come queste in un giorno e una decina vanno perdute per sempre. Ma non è un fatto particolarmente degno di nota. Però, se non te l'avessi scritto, l'avrei dimenticato, e sarebbe stato un peccato. Peccato che morisse ancor prima di nascere, perché è una briciola viva dell'anima. Certo, tutti hanno centinaia di briciole come questa, ma a nessun altro sarebbe venuta in mente questa idea così stupida. E anche se qualcuno l'avesse avuta, chi avrebbe avuto il coraggio di raccontare una cosa del genere a un'altra persona? Hai mai sentito di qualcuno che lo fa?
Credo che all'improvviso tu l'abbia capito: se smetti di scrivermi, solo perché ci sono momenti in cui ti faccio impazzire, forse non te lo perdonerai per tutta la vita.
Vedi, Myriam, continuo a rileggere la tua lettera. Forse non oso capire fino in fondo ma mi sembra che ci sia scritto, con la tua minuscola scrittura, che di sicuro, se tu mi voltassi le spalle prima di avermi veramente incontrato, sentiresti di aver rinnegato il tuo vero io.
E io so, non c'era bisogno di spiegarlo, che questo tuo "vero io" non ha nulla a che vedere con me, è qualcosa di completamente tuo, e forse addirittura, come hai detto, la "Cosa" più importante per te. Ma io leggo anche quello che hai aggiunto sotto, con una strana grafia: a volte provi un brivido scoprendo come un estraneo riesca a notare, con un solo sguardo, questa "Cosa" e, senza conoscerti, a chiamarla con il suo vero nome. Yair
(Già domani)
Quello che intendo dire è che, se solo potessi raccogliere un po' di quelle briciole dell'anima, forse potrei comporle in un mosaico completo e capirei finalmente qualcosa, il principio che mi mantiene unito, non credi?
Sto parlando di cose che non hanno nome, cose che nel corso della vita si accumulano sul fondo dell'anima, sedimenti e strati di terriccio. Se mi chiedessi di descriverteli, non saprei da che parte cominciare, non avrei le parole adatte. Solo una stretta al cuore, un'ombra passeggera, un sospiro. Qualcuno si stringe nelle braccia in un gruppo di persone e improvvisamente ti senti sommerso dalla nostalgia. Qualcuno scrive: "Ti sei presentato come "uno sconosciuto", ma uno sconosciuto non potrebbe scrivermi in questo modo..." e subito senti un groppo in gola, una goccia stilla dalla ghiandola della solitudine, nient'altro. Cosa c'è di più importante? Se considerata in profondità, mi spiegò una volta Rilke durante un turno di guardia nel Sinai, in ogni cosa si può sempre trovare una legge che la governa. Molto bene, gli dissi, è davvero tranquillizzante pensare che tutto ha un significato. Ma questa consapevolezza ormai non mi soddisfa più, Rainer Maria. Il mio tempo scorre in fretta e, anche se dovessi vivere altri trent'anni, vedrò soltanto i primi trenta colchici, cioè un mazzetto piuttosto striminzito, mentre io, per una volta, voglio vedere con i miei occhi il testo di quella legge, capisci? La costituzione. Voglio una visita guidata a quelle "profondità" misteriose, e pretendo di conoscere tutti gli strati sedimentati, per chiamarli almeno una volta per nome e avere da loro una risposta. Che siano finalmente miei, senza il solito, eterno silenzio (che in questo momento, per esempio, senza motivo apparente, nella calca del quotidiano, mi fa esplodere il cuore).
Y'
A proposito, non darti tanta pena di individuarmi tra la gente che ti stava attorno quella sera. Non ha davvero nessuna importanza, evidentemente non mi hai notato. Ma se insisti: non alto (forse persino più basso di te, spero non t'importi, in una relazione fatta solo di parole non dà fastidio), e piuttosto magro. Non hanno utilizzato molto materiale nel costruirmi, forse non hanno nemmeno dovuto fare un grande sforzo mentale. Non proprio un Adone, se vuoi saperlo, anzi, magari bruttino. Ora ricordi? Una faccia un po' malinconica, con una barba-spelacchiata-e-chiara, che vagava incessantemente tra i vari gruppi senza unirsi a nessuno. Ricordi qualcuno del genere? Una specie di incrocio tra un marabù corrucciato e un giudeo? Insomma: peccato perdere tempo, non potresti ricordare, perché non c'è niente da dimenticare.
28 aprile Non hai pietà, sai.
E niente sconti.
Ma cosa c'è di tanto terribile se sono un po' adolescente quando ti scrivo? Sono adolescente, bambino, vecchio, neonato. Ho tante età diverse quando ti scrivo. E non mi dispiacerebbe se anche tu lasciassi intravedere un po' di quella fiamma che a tratti (solo a tratti? Davvero?) ti sei permessa di mostrare quando eri nell'età terribile dell'adolescenza. Come sarebbe possibile attraversare il tunnel di quegli anni bui senza un po' di "auto-esaltazione"? E perché anche oggi limiti così le tue vampate, passate e presenti? Yair è disposto a comprare tutto, tutto il tuo assortimento termico. Perché, capisci, il punto a cui voglio arrivare con te non è ancora abbastanza vivo e se mi allontano, osservandolo a distanza, si raffredda anche per me, e quando tu lo metti in dubbio, anche con un semplice commento, si raggela immediatamente. Credi che sia facile creare qualcosa "da due"?
Da ieri cerco di capire cosa ti è successo tra l'ultima lettera e quella che ho davanti. A che voce, a noi estranea, hai prestato orecchio? (E' Ana, vero? Hai parlato con lei, gliel'hai raccontato. Sono sicuro che non hai nessuno che ti sia vicino quanto lei. Ha già fatto di me una barzelletta, vero?)
Altrimenti come spieghi l'improvvisa ritrosia e la pretesa - avanzata con una freddezza che non ti è naturale, nervosamente, a denti stretti - che io ti racconti finalmente di me, del me visibile?
Speravo di avere già superato questa fase, speravo tu avessi capito che quell'io non è importante in questo caso. A chi potrebbe interessare? E cosa importa se Yair Wind non compare nell'elenco telefonico? Non è in questo elenco! "Visibile"? Te l'ho detto, non mi hai nemmeno visto quella sera. Stavo in un angolo in cui non potevi vedermi. Scrivi a quell'angolo, guarda attentamente e mi vedrai agitare le mani in saluto dalla pupilla di quell'angolo nascosto.
Myriam, ti prego...
Avrai notato che non cerco mai di sminuire le tue sensazioni. Fino a che non ho cominciato a scriverti, è stato vero, hai dato un'esatta descrizione di me: tutti i sintomi della malattia. Persino la "furia nello scrivere", che ai tuoi occhi è sempre un po' sospetta, viscida. Credo di sapere di cosa stai parlando. E credo di capire anche il tuo sospetto nei miei confronti per aver affidato così, senza troppo riflettere, le mie più intime debolezze a una sconosciuta. Un espediente strano e imbarazzante per affascinare, dici tu, come se non si trattasse veramente di una questione di vita o di morte. Leggo queste frasi taglienti e penso: mi viviseziona come se non le avessi suscitato alcuna emozione e si emoziona come se non avesse nessuna capacità di analisi. Chi è veramente?
Non ho intenzione di telefonarti a casa, grazie. Mi ha alquanto sorpreso che tu ti sia tanto arrabbiata per l'innocente proposta, la settimana scorsa, di chiamare i tuoi cari con dei nomi fittizi. Hanno dei nomi veri (lo so) e non hai intenzione di inventargliene di nuovi per me (certamente). Ma perché non posso credere nella possibilità di un legame semplice e naturale, alla luce del sole, fra due persone? Ero sicuro che alla fine di questo sfogo mi avresti scaraventato le mie lettere in faccia per sempre, per l'eternità, e ora, invece, mi dài il numero di casa!
Non ti telefonerò, per un motivo di "sicurezza nei contatti" (qualcuno potrebbe essere in casa e sentire), ma soprattutto perché anche la voce potrebbe essere troppo reale per l'illusione che voglio creare fra noi, fatta solo di parole scritte. La voce potrebbe trafiggere quest'illusione e a quel punto vi fluirebbe dentro la realtà con i suoi dettagli, i numeri, le sue molecole piccole e sudate. La realtà ci incatenerebbe. In un attimo tutta questa accozzaglia irromperebbe come un'ondata gigantesca, spegnendo ogni fiammella. Perché non vuoi capire?
In ogni caso, non sei capace di fingere nemmeno per cinque righe, barricandoti dietro riserve e argomentazioni molto logiche: se continuerò con questi giochi clandestini o con l'idea della "ghigliottina" che calerà su di noi tra qualche mese, non potrai credere con tutto il cuore nemmeno alle cose "oneste ed emozionanti" che ti racconto. D'altra parte, non sopporti nemmeno di stare nell'angolo in cui vieni sospinta dai miei illusionismi, l'angolo di un uomo chiuso, critico e freddo. E via di seguito. Mi hai rinfacciato altri tre rigidi "nemmeno" con un tono da maestra con lo chignon. Poi, improvvisamente, le tue labbra hanno tremato e ti è sfuggito un "non" piccolo e impudente ("avrai già notato, credo, che non mi spaventa la passione vera nei rapporti e nei sentimenti. Tutt'altro, tutt'altro...")
Ogni volta che arrivo a questo "non" impulsivo il cuore mi si
stringe per il piacere (come se ti fossi tolta una calza di seta davanti a me).
No, senti, onestamente: ho sbagliato? Ho sbagliato riguardo a te? Ora, per esempio, un'onda grigia sale di nuovo a riempirmi le viscere. Forse ho davvero sbagliato e non faccio che torturarti perché è chiaro che chi non è accordato sulla nota acuta che ti ho suonato sentirà solo lo stridore, il cigolio di lamiera della mia casella postale, o l'accenno di tradimento che ho fatto balenare ai tuoi occhi poco fa, quel riferimento alla "sicurezza nei contatti" che ti ha fatto venire la nausea.
E' ovvio che mi sono chiesto se eliminarlo, o almeno ingentilirlo un po', ma l'ho lasciato, ormai lo sai, perché voglio che tu sappia tutto di me, voglio che tu mi conosca nella mia nudità, nei miei piccoli calcoli e nelle mie ansie meschine, nella mia stupidità, nelle mie vergogne e nella mia infamia. Perché no? In me c'è anche "infamia". Anche lei vuole donarsi a te, come il mio orgoglio. Lo vuole con la stessa intensità, ne sente il bisogno.
Sai, a volte, mentre ti scrivo, provo una strana sensazione, totalmente fisica, come se prima di poterti parlare fossi costretto a vedere le parole che mi abbandonano in una lunga fila per giungere fino a te, per consegnarsi nelle tue mani.
Quella parola, "infamia", non l'ho mai scritta prima d'ora. Adesso è qui, odora di pantofole vecchie e logore (a dire la verità, odora di casa).
Mi fa impazzire il fatto che ti aggrappi di nuovo alla logica, che è senz'altro utile nella vita: ma noi non siamo nella vita, Myriam! E' il segreto che ti sussurro all'orecchio già da un mese: noi due non siamo vivi! Voglio dire, non in un luogo in cui vigono le leggi ordinarie che regolano i rapporti tra le persone, tantomeno i rapporti tra uomo e donna. Dove siamo, allora? Non m'interessa sapere dove, perché dargli un nome? Sarebbero comunque nomi "loro", nomi tradotti, e con te voglio una costituzione diversa di cui saremo noi a fissare le leggi. Parleremo una nostra lingua e racconteremo le nostre storie, e ci crederemo con tutte le nostre forze, perché in mancanza di un luogo privato come questo - dove quello in cui crediamo si realizzerà, anche se solo per iscritto - la nostra vita non sarà tale; o peggio ancora: la nostra vita sarà solo una vita...
Sei d'accordo?
Y' W'
7 maggio
Finalmente.
Ero già disperato, mi ero quasi dato per vinto.
Peccato solo che abbiamo sprecato più di un mese - no, hai ragione tu, non l'abbiamo "sprecato". Non dobbiamo rinunciare a niente né pentirci. Ora (un po' in ritardo, naturalmente) inorridisco per il mio egocentrismo: non mi ha nemmeno sfiorato il pensiero di tutto quello a cui devi rinunciare per avvicinarti a me e avere fiducia in me alle condizioni che ti pongo. Ero così entusiasta di te che ero certo di poter fondere tutto: la logica, le circostanze della vita, perfino le nostre personalità... E' davvero sorprendente, Myriam, solo ora mi rendo conto di quanto sia sorprendente la tua decisione (una decisione perentoria, ti immagino con le labbra e il mento in fuori!) di gettare le motivazioni logiche nel pozzo più profondo di Beit-Zeit (3) e di porre la tua anima nel palmo della mia mano. La mia mano che non conosci, e che ora trema un poco per la grande responsabilità che si è assunta.
Come potrò ringraziare l'amico misterioso che con poche parole ha indirizzato il tuo cuore verso di me? Cosa ti dice esattamente di me? E chi è? Un uomo senza palpebre, di più non hai detto, non hai spiegato nulla. Va bene, piano, col tempo. Mi sto abituando al tono trasognato che hai quando sei sicura che capisco - oppure non t'importa che io capisca e ti senti libera di parlare. Allora io so che la tua anima è distesa e che parli a te stessa come in sogno, in dormiveglia...
In ogni caso non dimenticarti di ringraziare quel signore a nome mio. Anche se mi sconcerta sapere che hai un "amico" così vicino, con cui parli in maniera tanto esplicita e aperta. Mi verrebbe da chiederti che bisogno hai di me quando hai qualcuno con cui puoi sempre parlare, di qualunque umore tu sia, uno che ti sta vicino quando cadi nel tuo pozzo di Giuseppe, abbandonata da tutti. Credi che un giorno potrai raccontare anche a me cosa si prova a stare lì?
E chi ti getta laggiù con tanta facilità? (Ancora e ancora e ancora.) E chi ti nega una mano per farti uscire? E cosa ti succede nei giorni "maledetti" (hai usato intenzionalmente questa parola?) in cui ti senti come il pozzo dopo che anche Giuseppe l'ha lasciato?
Strano, vero? Non so proprio a cosa tu ti riferisca, forse chiamiamo "Giuseppe" e "pozzo" cose completamente diverse. Ciononostante, a volte, ripeto ad alta voce una tua frase, o solo una sequenza di parole, e sento sfilacciarsi una cucitura interna, l'imbastitura dell'anima.
Scrivi, racconta, ogni giorno sprecato è un delitto. Yair
8 maggio
Ieri ti ho mandato una lettera (l'hai già ricevuta?). Ma oggi, in qualche modo, la conversazione è proseguita. Qualcuno ha telefonato e mi ha fissato un appuntamento. Non voleva saperne di venire nel mio ufficio e ha insistito perché ci incontrassimo sulla spianata davanti ai Grandi Magazzini (mi imbatto in non pochi pazzi del genere, ma a volte sono proprio loro ad avere il materiale più interessante). Gli ho chiesto come avrei potuto riconoscerlo e lui mi ha detto che avrebbe indossato dei pantaloni di velluto nero, una camicia a scacchi e, ha persino aggiunto, delle scarpe di camoscio... Sono rimasto là per quasi un'ora ma non ho visto nessuno che corrispondesse a quella descrizione. Poi, quando avevo ormai perso la pazienza e stavo per andarmene, ho scorto in fondo alla spianata, vicino alle cabine telefoniche, un nano. Il nano più piccolo che avessi mai visto in vita mia. Totalmente deforme. Aveva il corpo sciancato e un viso che incuteva paura. Si reggeva con due piccoli bastoni ed era vestito esattamente come nella descrizione (non sono stato capace di avvicinarmi a lui).
Poi ho pensato alla tua lettera nella mia tasca, con quella frase che a una prima lettura mi era sembrata un po' ermetica e astratta, quella a proposito del dolore che è impossibile dividere con qualcuno, che è sufficiente per una sola persona.
11 maggio
Sì, certo mia cara, splendida, con tutto il cuore, cosa credi... Improvvisamente siamo più a nostro agio, vero? Ti ho proprio sentita tirare un sospiro di sollievo al di là del foglio. Le spalle ti si sono rilassate un po'.
Anche grazie ai colori, alla fioritura e agli odori che si sono riversati come una cascata nelle tue pagine; finora hai scritto quasi sempre in bianco e nero. Finalmente in questa lettera ci sono due fogli (hai ragione: con due ali si può spiccare il volo). E' meraviglioso che tu abbia scelto di farmi arrivare a casa tua non dalla via principale, da dove arrivano tutti, ma partendo dalla lontana diga di Ein-Kerem, attraverso la valle - e attraverso ogni fiore, albero e rovo (lucertole, cavallette e aironi compresi). Erano anni che non venivo condotto così, come un animale al pascolo, ma chi può resistere al tuo fascino quando ti risvegli all'improvviso, e ridi e corri davanti a me, accarezzando ogni gigaro e altea e tronco di ulivo? Guarda com'è fiorita e rigogliosa la salvia, senti com'è profumata... Per non parlare delle diverse specie di briza e di tordylium. Senti, chi ti ha insegnato tutti quei nomi, il loro profumo, chi ti ha insegnato a riconoscere i cecidi e le fritillarie, e a sgranare i chicchi?
Per fortuna leggo in fretta. Anche così riuscivo appena a starti dietro mentre ti arrampicavi, aggrappandoti ai massi. Perché corri? Non immaginavo che il tuo corpo grande e morbido potesse muoversi così. Hai scritto come una leonessa, muscolosa, sorprendente... E le tue parole emanavano un odore pungente, vivo. Un odore di terra, di polline e di sudore. Sei splendida quando gioisci, quando ti rotoli nei campi di papaveri o mi getti addosso le spighe dell'avena (te le ributto, sai! Anche voi giocavate a "Quanti figli avrai?"). Un'antemide bianca e gialla ti si è impigliata fra i capelli e per un momento ho provato una fitta di infelicità perché non potevo togliertela e nemmeno farti da "scaletta" con le mani perché potessi arrampicarti sulle terrazze. E i graffi che non mi sono fatto, le punture che non mi sono preso, il tuo sudore che non ho leccato. Ti scrivo soltanto e ne ho già nostalgia.
E' un bene che tu ti sia fermata nel moshav a chiacchierare con i bambini dell'asilo, così ho potuto riposare un momento. Ho notato che ti sei ben guardata dal rivelarmi se uno di loro è tuo (a giudicare dalla descrizione, si potrebbe pensare che siano tutti tuoi). Ho l'impressione che nelle ultime due lettere giochi un po' agli indovinelli: ti riveli e ti nascondi, sorridendo in cuor tuo. Stupendo, sono con te, respiro appena, ma ti seguo nei passaggi segreti fra le case e i recinti, fino al cancello di casa tua, blu con macchie di ruggine. Perché ruggine? Qualcuno ne trascura la manutenzione? Fa' come se non l'avessi detto. Ma chi se ne importa quando ti volti verso di me facendo ondeggiare il vestito e per un attimo (non so se te ne sei accorta) ti sveli in tutte le tue età? I tuoi occhi scuri hanno brillato (che voglia di metafora!) come due noccioli in una nespola che si schiude, quando mi hai sussurrato: ti va di entrare?
Sì, certo, mia cara, stupenda, con tutto il cuore, cosa credi?
(mattino)
Stanotte, mentre dormivo profondamente, ho pensato che potrebbe trattarsi di quello stesso amico di cui, ogni due o tre giorni, leggi i diari per sapere cosa gli è successo in quel medesimo giorno decine di anni fa. Quello che, già nella seconda lettera, mi hai detto essere la tua preghiera del mattino.
Non arrabbiarti se ho cercato di intrufolarmi in una tua conversazione privata. Ho solo giocato un po' a fare l'investigatore e in piena notte sono balzato dal letto, ho controllato qualche data, ho sfogliato qua e là ed ecco, esattamente lo stesso giorno in cui sei tornata a me, il 4 maggio, nel diario del 1915 ho trovato che aveva scritto: "Considero i rapporti degli altri con me. Per quanto poco sia, qui non c'è nessuno che abbia comprensione di me nel mio complesso. Oh, possedere qualcuno che abbia questa comprensione, non so, una donna, vorrebbe dire essere sostenuto da ogni parte, avere Dio".
Se per caso ho intuito male, se ho toccato un punto troppo personale, vorrei ricompensarti con qualcosa dello stesso giorno e della stessa persona: "...Talvolta pensai che mi capisse senza saperlo, per esempio quando, provando un'insopportabile nostalgia di lei, trovai che mi aspettava alla fermata della metropolitana e io, nel desiderio di raggiungerla possibilmente presto e supponendo che fosse di sopra, stavo per passar oltre di corsa ed ella mi prese
tranquillamente per mano." (4)
Y'
16 maggio Sei un tale enigma.
Non è obbligatorio risolverlo, dici tu, stai solo con me. OK, sono con te. Attraverso il vostro giardino. Vi siete creati un piccolo paradiso (quando sono salito sulle scale verso la veranda con la bougainvillea ho riconosciuto finalmente il petalo viola dell'"intimità anonima"). Tu volteggi verso l'interno, mentre io sono ancora stordito da ciò che sta accadendo, mi sento sommerso, letteralmente sommerso, dalla luce e dal calore, dalla profusione di colori e dalla giungla di piante. E poi i tappeti di lana, gli arazzi, il pianoforte e le pareti coperte di scaffali zeppi di libri, dal pavimento fino al soffitto. Mi sento subito al sicuro. Persino la confusione mi sembra familiare.
Allora ci siamo, che dici? Sono in casa tua. Una casa generosa, non solo: traboccante. Straripante davvero. E un po', come hai detto tu stessa, "una casa da rigattiere". L'ho imparata a memoria, ne ho persino fatto uno schizzo su un foglio, e così so dov'è la parete con le foto, so in quale finestra c'è la vetrata arancione e dove sono le anfore di vetro blu di Hebron, e so come i raggi del sole al mattino si infrangono su di esse riflettendosi sul ricamo di filigrana (com'è esattamente?). Ma soprattutto ho visto te, le tue parole, improvvisamente hai scritto come... l'hai notato?
Capisci di cosa sto parlando?
Non è una critica nei tuoi confronti, me ne guardo bene. E' solo una domanda o, diciamo, un involontario inarcare le sopracciglia. Perché anche lungo la strada di ritorno dalla diga eri molto felice, ma là gioivi e io non potevo che entusiasmarmi con te. Mentre in casa, come spiegare?, mi è sembrato per un attimo che ti sia lasciata prendere un po' dalla frenesia...
In fretta, in fretta, da una camera all'altra, quasi senza respiro, in maniera convulsa, non secondo il tuo ritmo. E, ora che ci penso, nemmeno in armonia con il tuo tono, con la tensione muscolare delle tue parole. Come se ti fossi spaventata di te stessa per avermi repentinamente introdotto nella vostra intimità. O forse volevi soltanto dimostrarmi che anche tu puoi fare così, come me? Sono un tale idiota. Guarda di cosa mi sto lamentando. Vorrei anch'io rallegrarmi come un bambino, come la prima volta, davanti al quadro appeso da anni in salone, o di fronte a un barattolo di cetrioli sottaceto. Provare stupore davanti a un'anfora di ceramica "grande e panciuta"...
Sono felice di potermi finalmente rilassare e dirti che all'inizio mi sono sentito un po' intimidito da te, mi trovavo esuberante (e prolisso, eccessivo, ecc' ecc'.) Forse perché quella sera mi sei sembrata così introversa e chiusa in te stessa. C'era in te qualcosa di limpido, di cristallino e monacale, quasi sdegnoso, con una sfumatura di biasimo, forse mi rimproveravi senza nemmeno conoscermi.
E adesso, all'improvviso, questa casa chiassosa.
D'altra parte, non fraintendermi, mi tranquillizza anche, e mi prova che abbiamo qualcosa in comune. Forse niente di particolarmente significativo, forse non ti farà felice, neanch'io ne sono molto orgoglioso, ma improvvisamente, proprio perché l'ho scoperto anche in te...
Spero che tu non ti offenda, non è davvero una critica ai tuoi gusti. Spero tu capisca che non è il "gusto" o la "mancanza di gusto" a importarmi ora, bensì le tracce di una somiglianza tra noi, in qualunque cosa, grande o piccola, anche in questa faccenda delicata e misteriosa che si chiama "giusta misura". Voglio dire: la somiglianza che esiste, poniamo, tra due tazze rotte esattamente nello stesso punto.
Yair
20 maggio
Annotare tutti quei momenti nel corso della giornata sarebbe impossibile, naturalmente, ma mi è piaciuto che tu abbia usato la parola "incontri" per descriverli. I nostri incontri.
Stamattina, per esempio, nel solito ingorgo prima dello svincolo di Ganot avevo davanti una grossa Volvo con un bambino sul sedile posteriore che agitava la mano per salutare. Dei cinque guidatori nelle macchine attorno non uno ha mosso un muscolo o ha fatto cenno di notarlo. Il bambino ha sorriso ancora un po', speranzoso. C'era qualcosa di timido e di fragile nel suo sorriso.
Ecco il mio dilemma: se avessi risposto al suo saluto avrebbe capito immediatamente che stavo solo fingendo di essere adulto. Che ero io l'anello debole della catena. Da quel momento avrebbe potuto farmi dei gestacci, trasformandomi all'istante nello zimbello dell'ingorgo. Proprio per quel sorriso che rivelava la sua vulnerabilità non avrebbe potuto sprecare un'occasione simile per sentirsi più forte.
Ho chiesto consiglio a te (in altre parole: ci siamo incontrati). Ho accettato il tuo suggerimento e gli ho sorriso. L'ho salutato. Ho visto la sua bocca allargarsi in un sorriso di felicità, quasi incredulo che gli fosse capitata una cosa simile... L'ha raccontato subito a suo padre e quello mi ha guardato nello specchietto retrovisore. Ho gettato un'occhiata di lato e ho visto cosa pensavano di me gli altri automobilisti.
Ho anche pensato che, se ci fosse stata una donna, sarebbe stata lei a sorridergli, esonerandomi da quell'incombenza. Allora, di nuovo, per la seconda volta oggi: buongiorno a te. Mi diverte il tuo modo di non rispondere subito alle domande dirette (per esempio, riguardo a quanto ti ho scritto della tua casa). Ormai so che dopo un paio di lettere avrò una risposta, magari anche indiretta, e che, se non l'avrò, è perché questo è il tuo modo di dare ritmo e direzione alla nostra corrispondenza, impedendomi di assumerne il controllo... Ma mi hai fatto una domanda e, contrariamente ai timori che l'hanno preceduta, posso rispondere con sincerità: voglio senz'altro un altro bambino. Altri tre persino, perché no? Passeggiare nella via con un codazzo pigolante, non ci sarebbe niente di più bello. Ma nella situazione attuale, visto che me lo chiedi, già uno mi basterebbe.
Mi basterebbe a cosa? Difficile dirlo esattamente.
Forse a farci diventare una famiglia. Perché non lo siamo ancora. Be', ha stupito un po' anche me. Ti manderò comunque questa lettera. Y'
Non è che viviamo male, noi tre (voglio assolutamente che tu capisca). Però, per il momento, siamo solo tre persone che vivono insieme senza problemi, con amore, certo, e con grande amicizia (ma, com'è noto, un triangolo è una figura geometrica instabile).
(quasi mezzanotte)
Magari avessi una bambina! Non c'è niente che desideri più di una bambina piccola e morbida, come un minuscolo favo di miele. Mi piacerebbe proprio vedere che razza di bambina verrà fuori da me, la mia versione femminile, e come si armonizzeranno in lei tutte le parti, gomiti e seni. In qualche modo, forse, per il solo fatto di esistere saprà risolvere un conflitto del quale non abbiamo ancora parlato.
C'è, naturalmente, anche il desiderio di scoprire, attraverso una bambina, la metà della vita di Maya che non ho conosciuto. Maya - si chiama così. Amarla dal principio, dal suo inizio, e vederla crescere e diventare adulta. Ti sembra strano? Se avessi una figlia la chiamerei Ya'arà, piccola Ya'arà. Vedi, la mia ghiandola ninfatica comincia già a gocciolare. Una bambina con i capelli neri e soffici che le ricadono sulle tempie, con gli occhi verdi, come quelli di Maya, e le labbra rosse, e un'allegria prorompente - perché lei sarà felice, vedi, quasi tutto al mondo sarà per lei motivo di gioia.
Ma come saprò crescerla senza trasmetterle quello che ho in me, quello che ha già reso opaco e stanco il viso ingenuo e aperto di Maya? E che ha già inaridito un bambino che un tempo era come un raggio di sole? Ecco, l'ho scritto.
Allora sì, se proprio vuoi saperlo, mi fa morire il pensiero che forse non avrò altri figli, per il momento Maya non ne vuole. Avrà certamente le sue ragioni per esitare, così devo accontentarmi di gettare sguardi loschi e poco rassicuranti sulle bambine per la strada. Un tempo desideravo le mamme e ora... Ahi, non pensavo che saremmo arrivati a parlare di queste cose! Ero sicuro che a questo punto ci saremmo lasciati trascinare in visioni appassionate, scrivendoti, per esempio, che l'odore del mio sudore diventa acre quando penso che tra poco le tue dita reggeranno questo foglio e che persino il tuo numero di telefono mi eccita, con quella conca tra i seni che si intravede nell'868. Invece è bello poter parlare con te anche di tutto il resto. Descriverti le gambe grassocce che avrà la mia bambina (quando indosserà il suo vestitino giallo!), descriverti il suo corpo nudo e liscio come una pesca quando giocherà con l'acqua in giardino...
A cuccia, cuore, a cuccia!
Y'
25 maggio Funambolo?
Pensavo buffone, ma evidentemente ci sono altre attrazioni in un circo. Davvero hai questa impressione? Che io sia arrivato improvvisamente, di corsa, ti abbia ficcato in mano l'estremità di una fune e abbia detto: reggila?
C'è un solo, piccolo errore: dici che non sei sicura di come sia riuscito a convincerti, o perlomeno a far nascere dentro di te il dubbio che, se mollerai quella fune, io cadrò. Ma non è una fune, Myriam: è a malapena uno spago, una ragnatela di parole (e, se mollerai, io cadrò).
Innanzitutto devi capire che non ho nessun desiderio di raccontare
le mie storie ad altre persone. Voglio scrivere solo a te, solo in tuo onore si è risvegliato in me questo impulso. Così, senza preavviso, nel bel mezzo della vita, perché prima di vederti non avevo mai conosciuto questo tipo di desiderio. Forse da bambino, con i temi a scuola. Comunque, l'appassionata teoria che hai formulato nel cuore della notte e che ti ha impedito di dormire (finalmente!) non è proprio adatta al mio caso. Ho troppo rispetto per i libri e non avrò mai la sfrontatezza di scriverne uno. Quindi non temere: quello che ti sei immaginata di me, e mi hai persino augurato, non può essere il sale sulla ferita: non c'è alcuna ferita - e, se c'è, non si è ancora aperta.
Solo riguardo al nostro legame sono pronto a usare, con molta cautela, quella parola - fatale anche ai miei occhi, sì: come vorrei essere un vero artista nei miei rapporti con te. Più di questo non oso chiedere.
Poco tempo fa hai detto che il mio sforzo per inventarti potrebbe anche impedirmi di trovarti. Be', mi sembra che tu abbia già capito come io, per trovare, debba anche inventare un po...'
Ecco, senti, è andata così: eravamo su quel prato enorme e tutto intorno era verde. Sto pensando al grande prato del kibbutz Ramat-Rachel, alla periferia di Gerusalemme, ai margini del deserto. Lo conosci? Potresti andare a vederlo, fare uno sforzo per me - che ci sarebbe di male? Io ci sono andato ieri, dopo aver ricevuto la tua lettera. L'ho letta davanti al deserto, ad alta voce. Ho cercato di sentire la tua voce, la sua melodia. Ho l'impressione che tu parli lentamente. Nelle lettere sento che ti soffermi (un verbo che ami!) su ogni parola. C'è qualcosa di pieno e di maturo nel tuo modo di parlare, e io sento come riesci a mettermi a fuoco, come se incidessi qualcosa dentro di me. Magari sapessi cosa. Talvolta ho l'impressione che tu lo sappia esattamente, molto meglio di me. Cosa intendi quando dici, per esempio, di intuire in me una sorta di "quinta colonna", a cui io, chissà perché, insisto nell'essere fedele...?
O quello che hai mormorato verso la fine della lettera, quando eri già quasi assopita, un sussurro non molto significativo, ma pieno di dolcezza: "Che strano, ti scrivo improvvisamente come se già da vent'anni mi fossi abituata a stare in cucina, di notte, a chiacchierare con te". Capisci ora da cosa ti creo?
Dopo una dolce carezza come questa ieri mi sono lasciato trasportare sul prato davanti al deserto, e lì ho visto davvero me e te, incapaci di continuare a concentrarci sul testo. Spirava una brezza leggera, il mio giornale frusciava e le pagine del tuo libro si sono messe a scorrere da sole, velocemente. Erano le cinque di sera, il sole brillava ancora e ci siamo sentiti così chiari nella luce, quasi trasparenti. Se fosse passato qualcuno la magia sarebbe svanita, ma eravamo soli, e ancor prima di scambiarci una parola ci siamo trovati avviluppati nella ragnatela delle nostre storie. Tu hai la tua e io la mia, ed era incredibile sentire come si intrecciassero, rapidamente. Perché a volte, nei momenti più impensati, per strada, puoi sentire l'anima lacerarsi, catturata nella storia di qualcuno che ti è appena passato accanto. La maggior parte delle volte, però, quelle storie vengono sradicate e muoiono subito, senza che gli interessati si rendano conto di ciò che hanno perso. Rimane solo un leggero dolore che svanisce immediatamente, anche se in me a volte può durare ancora qualche ora, come se avessi avuto un piccolo aborto spirituale. E rimane una sorta di angoscia, la morte della storia.
(Mi segui? Per un momento mi è sembrato di perderti, proprio quando ti ho sentita più vicina ti sei contratta e sei indietreggiata. Forse ho di nuovo esagerato? Oppure ho detto qualcosa di sbagliato?) Senti, hai messo veramente il disco di Zorba e hai ballato il sirtaki in salotto, con me e con Anthony Quinn? E perché me l'hai raccontato solo ora? Perché non me l'hai rivelato subito, dopo il racconto della mia danza nel bosco?
Per fortuna hai detto che ti è caduto un "batticuore" morto sul foglio quando me l'hai nascosto. Concediti a me, lasciati andare, apri un po' i pugni dalle nocche bianche. Peccato che tu non mi abbia mandato qualche foto di quelle bambine con i pugni chiusi (di sicuro tu eri quella alta che stava sempre in terza fila) e più ancora peccato che io non mi trovi vicino a te ogni mattina quando ti svegli, per scioglierti le dita e accarezzarti le nocche. Cosa vi custodisci tanto gelosamente?
E cosa significa che eri "la reginetta buona della classe" (esisteva anche una reginetta cattiva)?
Ma basta con questo senso di oppressione, vieni, incontriamoci: improvvisamente, alle cinque in punto, quando eravamo ancora molto lontani l'una dall'altro, si è sentito un rumore insolito e terrificante. Prova a immaginare una cerniera arrugginita che si apre velocemente nel ventre della terra, lungo il prato. I nostri sguardi terrorizzati si sono rivolti a destra e a sinistra. I tuoi occhi, grandi, scuri e belli, per un istante si sono aggrappati ai miei e insieme ci siamo raddrizzati e rialzati, grazie quasi alla sola forza dello sguardo (è chiaro? Ti è chiara l'immagine? Voglio che tu veda ciò che vedo io!). Ti ho vista piegare e stendere le lunghe gambe sotto il vestito con un movimento che mi ha fatto impazzire. Le tue caviglie tornite. Ti sei fermata un attimo, disorientata, fragile come una cerbiatta. Una cerbiatta inquieta. Cosa ti ha tanto sconvolto quando ti ho scritto che noi due non siamo vivi? E cosa si nasconde in questo "Ahi, da dove cominciare, Yair"? Comincia e il resto verrà da sé (nelle ultime lettere sospiri moltissimo, te ne sei accorta?), sei così viva ai miei occhi. L'abbondanza che prorompe dal tuo corpo rigoglioso, la tua pienezza, la pienezza del tuo tocco, e il modo in cui mi ricami in silenzio, un filo dopo l'altro, nel tuo quotidiano. Ma cosa dici? Sei così viva!
Io, ai margini del grande prato, come un cervo non proprio aitante. Quasi scornato, gracile. Un cervo con le mezze maniche, con il torace stretto e un principio di calvizie. Com'è umiliante questa progressiva calvizie. Sorpreso, anch'io ho cercato l'origine del rumore che ha disturbato la pace di cui prima godevo, mentre ti guardavo di sottecchi. Ma ti interessa ancora continuare la storia, dopo che mi sono descritto? Di' la verità: se proprio devi complicarti la vita con un assurdo legame romantico, non sarebbe meglio un cervo come si deve?
Va bene, va bene, so che non dovrei fare domande del genere. Come ti sei infuriata quando mi sono descritto "magari bruttino"! Non fai sconti su cose come queste, vero? Nemmeno per scherzo. Davvero non conosci nessuno che si possa definire con la sola parola "brutto"? Davvero? Be', può darsi. Però ti rifiuti anche di accettare l'esistenza di qualcosa come un insieme-di-leggi-che-regolano-i-rapporti-tra-uomo-e-donna... Senti, quanti anni dovranno passare prima che io riesca ad aprirti gli occhi?
E quell'altra cosa, quella che hai definito "sicurezza nelle menzogne"...
Meglio che taccia, vero?
Vieni, guarda laggiù, resta con noi. Siamo completamente circondati dal sibilante mormorio della terra. Entrambi pensiamo al veleno, a un giardino maledetto. Non so se conosci questa sensazione - qualcosa di estraneo ma anche di molto familiare che si propaga in un attimo nei tessuti. Ascolta con me, ascolta bene, sussurri e fruscii da tutte le parti, come il fermentare di un pettegolezzo volgare, ignorante (srsrsrsrsrs)... Forse per questo il cuore ci si è stretto, per la paura improvvisa e per un senso di colpa. Persino il tuo cuore, Myriam, il tuo cuore puro a cui nessuno chiederà mai cosa fai e con chi. Ammetti, riconosci con che rapidità ci mordono i serpenti interiori. Ci puniscono persino per i desideri del cuore, per le visioni più dolci. Per un attimo sento lo schiocco delle labbra di mio padre che racconta a mia madre di aver colto in flagrante il maresciallo, suo superiore, mentre bacia una soldatessa nel suo ufficio...
Basta. Sono stanco. L'ispirazione mi ha abbandonato. Mi è difficile immaginare persino l'inizio. Troppe pietre e troppo fango ostruiscono i canali. (Continuerò dopo.)
Y'
(notte)
Finalmente, in questo momento, si è risolto l'enigma racchiuso nella terra, e mille getti d'acqua si sono sprigionati da irrigatori nascosti (cosa non sono capace di inventare). Entrambi abbiamo gridato per la sorpresa e ci siamo messi a correre qua e là, ma non nella direzione logica, fuori dal prato. Cosa ci aspettava là fuori? Abbiamo sorriso, sbagliando di proposito, e ci siamo sentiti attratti l'uno verso l'altra, sforzandoci di raggiungere il punto più inondato, dove confluivano tutti i getti d'acqua. Là, finalmente, ci siamo scontrati, sbigottiti. Ci siamo abbracciati, poveri profughi dell'alluvione, gridando molto più forte del necessario: "Sarebbe meglio cercare un modo per andarsene da qui!", "Dammi almeno il tuo libro, perché non si bagni!", "Ma ci stiamo bagnando tutti e due!". Facevamo un gran chiasso, ma senza più muoverci. A poco a poco ci siamo calmati e ci siamo guardati sotto il getto d'acqua che ci
illividiva le labbra. Schegge di luce si riflettevano nei tuoi capelli splendidi: castani, folti, ribelli, screziati da sottili fili d'argento (non tingerli mai! E' l'ultimo desiderio del tuo condannato: lascia che diventino bianchi lentamente!). Ansimavamo in maniera esagerata ridendo della nostra stupidità, di come ci eravamo lasciati sorprendere proprio come due bambini. Gorgogliavamo con l'acqua che ci riempiva la bocca, e le parole ci nuotavano dentro. Guardaci sotto l'acqua, lavati e lucidi come due bottiglie. Due bottiglie di naufraghi che ancora conservano i loro messaggi. Ma nel frattempo, dall'esterno, cosa si vede? Che tu sei più anziana di me, per esempio. Non di molto, però. Mi pare che la differenza d'età ti disturbi un po', comunque io non sono mai stato un tuo alunno. Improvvisamente mi sento dire senza criterio, solo perché provo l'urgenza di farlo, che sempre, con chiunque, a volte persino con mio figlio, ho l'impressione di essere io il più giovane, il più inesperto, l'ingenuo. Chissà perché? Tu mi ascolti e capisci subito, come se fosse ovvio che un uomo dica questo a una donna incontrandola sotto un getto d'acqua.
Senti, non ho mai scritto niente di tanto strano, il mio corpo è teso e trema...
Dove eravamo? Non smettere ora, non perdere questo tremito interiore. Il nostro respiro si è calmato ma non ci siamo allontanati. Ci siamo toccati ancora, guardandoci negli occhi. Uno sguardo diretto e tranquillo, molto semplice, tenendo conto dell'imbarazzo che di solito si crea in situazioni simili. Semplice come il bacio che si dà a un bambino quando viene a mostrarti una ferita. Il cuore si spezza al pensiero che si possa guardare così un adulto.
Non ridiamo più. C'è un silenzio prolungato, quasi terrificante. Vorremmo staccarci ma non ne siamo capaci, e negli occhi di entrambi si aprono altri schermi in profondità. Penso a come un attimo simile ricordi il momento della tragedia, dopo la quale niente sarà più come prima. E noi, debolissimi, ci aggrappiamo l'una all'altro per non cadere e vediamo, con strana e triste lucidità, la nostra storia. Le parole non sono più importanti ormai, e nemmeno la lingua. Che sia scritta pure in sanscrito, in ideogrammi, nel geroglifico dei cromosomi: mi vedrai bambino, mi vedrai ragazzo, vedrai l'uomo che sono. Guarda cosa mi è successo mentre arrivavo qui, come si è sbiadita la mia storia. Da dove cominciare, Myriam? Penso sempre che in me non ci sia neanche una molecola d'innocenza, e ciononostante mi rivolgo a te con candore. Dal momento in cui ho cominciato a scriverti le parole sono sgorgate da un punto assolutamente nuovo, come se un seme fosse stato tenuto in serbo solo per un'amata particolare. Ma tu vorrai forse dormire. Anch'io. Per quanto ormai non ne abbia più molte probabilità, questa notte. Ancora un momento. Aiutami a calmarmi. Tendimi la mano, anche un dito mi basterebbe adesso. Ho bisogno che ora, proprio ora, tu mi faccia da parafulmine. (E' chiedere troppo? Resta almeno finché cade la cenere dalla sigaretta.)
Senti, ho letto bene? Un triangolo non è necessariamente una figura instabile? Anzi, "in un determinato contesto" può essere addirittura stabile e appagante? Può addirittura arricchire? Ed è anche conforme alla natura umana? "Almeno alla mia" hai scritto, suscitando un'enorme curiosità nel ristretto pubblico dei tuoi lettori... A patto che sia equilatero, hai aggiunto subito, e che tutti i suoi lati siano consapevoli di far parte di un triangolo (Vorrebbe essere un rimprovero? Cos'hai sentito sul mio conto?)
Ora è troppo tardi per approfondire l'argomento, e anche la cenere trema all'estremità della sigaretta. Aspetterò con pazienza la tua risposta. Sappi solo che mi sono divertito a vedere come, con due tocchi, hai creato una disciplina scientifica molto personale: la geometria poetica. Peccato solo che tu non mi abbia spiegato come funziona nella vita, questa agognata merav... (la cenere è caduta)
30 maggio
Non mi stanco di guardare. La foto dell'ombra delle colline di fronte, i getti d'acqua degli irrigatori-delle-cinque con le gocce sfavillanti e soprattutto la bottiglia (che immagine!), la bottiglia rotta sulla roccia...
E il fatto che tu ti sia bagnata, Myriam, entrando e uscendo come niente fosse dal gelido zampillo. Ci sei pure rimasta sotto così a lungo (io non ne sarei stato capace, in pochi secondi l'acqua gelida mi avrebbe intirizzito). E cosa hai raccontato, dopo, a casa? Come l'hai spiegato? Avevi con te dei vestiti asciutti o ti sei messa sotto l'acqua senza pensarci?
Non smetto di rivedere quell'attimo, il balzo dalle mie parole all'acqua viva. Non mi è rimasta pelle sul corpo a furia di docce negli ultimi giorni. Ti chiedo solo di non lasciarmi la mano, di continuare a immergerci insieme, sempre più profondamente, per arrivare là dove ci colmeremo dell'intensa emozione della nudità. Perché l'acqua ci ha incollato i vestiti addosso rivelando la forma del corpo: il tuo seno pieno e rotondo, spuntato improvvisamente sotto la maglietta bianca e bagnata, e i nostri volti, lavati e ripuliti dalla stanchezza, l'estraneità, l'indifferenza e il rifiuto di ciò che è importante. Tutta la crosta-da-adulti accumulatasi nel corso della vita. Ho capito quello che hai voluto dirmi, ballando il sirtaki in salotto: che non ti saresti affrettata a rivestirmi nel bosco sul Carmelo, e che, se solo avessi intravisto la bellezza che vedevo io, forse ti saresti persino unita a me, facendo esattamente quello che facevo io. Lo so! Dal momento che ti ho vista, ho sentito quanto è forte in te questo desiderio. Non fraintendermi, non sto parlando di una nudità erotica, ma di altro tipo, di fronte alla quale è quasi impossibile non rimanere turbato e cercare rifugio negli abiti. Una nudità senza pelle, questo è ciò che sto cercando e che mi diventa sempre più chiaro, lettera dopo lettera (una nudità come quella delle parole che hai scritto dietro la foto della bottiglia).
Non puoi saperlo ma io, già da anni, da quando ero ragazzo, sono ossessionato dall'idea di correre nudo per strada. Spogliarmi non tanto per scandalizzare, quanto per essere il primo a farlo, per il bene di tutti. Immagina un po': togliermi improvvisamente tutti gli abiti e lanciarmi tra la gente a pelle nuda (io, che mi vergogno a spogliarmi sulla spiaggia, che non sopporto quando mi vedono introdurre una lettera nella buca - un uomo che spedisce una lettera rivela sempre qualcosa di molto intimo, no?). Ebbene, quello stesso "io" desidera con tutte le sue forze essere, anche solo per un momento, lo sfavillio di un'anima sotto la fuliggine dell'indifferenza e dell'estraneità degli altri, lanciare un grido chiaro senza parole, "a corpo aperto".
Magari, dopo tre o quattro scorribande del genere in punti diversi della città, qualcuno potrebbe unirsi a me. Mi segui? Qualcuno che sentirà di dovere, in qualche modo, assorbire nel suo corpo la mia eccitazione. Immagino che il primo a essere contagiato sarà un pazzo; ma poi ne seguiranno altri, sono sicuro, e fra questi la prima sarà una donna. Si strapperà improvvisamente gli abiti di dosso e sorriderà di sollievo e di felicità. La gente la segnerà a dito, ridendo, ma lei, con calma, si toglierà l'armatura di stoffa, e vedendo quel corpo gli altri taceranno e capiranno qualcosa. Poi ci sarà un lungo silenzio e all'improvviso, di colpo, la tensione accumulata nello sforzo di occultamento, di copertura, di mimetizzazione, si scaricherà con un'esplosione assordante sopra le loro teste e scoppierà una tempesta. Una donna e un'altra ancora, e poi un uomo e dei bambini. Una tempesta con lampi di corpi nudi (mi piace sempre immaginare questo momento). Naturalmente interverranno subito i reparti della buoncostume: poliziotti speciali con occhiali protettivi che correranno tra i diversi focolai di depravazione, equipaggiati di tele cerate e guanti di amianto perché è ripugnante toccare una persona nuda (penso sempre che un uomo nudo potrebbe fendere la folla come un coltello. Tutti si ritrarrebbero da lui come da una malattia infettiva o da una ferita aperta). Immagina, gente senza alcun indumento. Allora non ci sarebbe più ragione di fingere, perché com'è possibile odiare una persona nuda? (Prova a combattere contro un soldato nudo.) E tu hai scritto una parola: "carità". E' quello che di te mi allarga il cuore: improvvisamente, nel bel mezzo di discorsi semplici e quotidiani, puoi illuminare con una parola come questa. Allora sì, Myriam, la carità sarebbe così facile, diretta e naturale, nella nudità.
(Un momento, sento la chiave nella porta. Devo smettere.)
(Falso allarme. La donna delle pulizie.)
Dove eravamo? A cosa valgono tutti i miei nobili pensieri? Nel frattempo il mondo si è vestito e corazzato, solo noi due rimaniamo abbracciati, bagnati e tremanti di freddo - o di qualsiasi cosa possa suscitarci un tremito. I miei occhi nei tuoi e il peso di un corpo femminile contro il mio. Un'anima estranea che svolazza libera dentro la mia e io non mi rinchiudo in me stesso, non la sputo fuori come un nocciolo conficcato in gola. Al contrario, la inspiro ancor di più e lei si aggrappa al mio corpo, dall'interno...
Più tardi (sono un po' ubriaco di pensieri, ti dispiace?) ci siamo avviati verso la macchina mano nella mano. Abbiamo riso un po', ma solo all'apparenza, perché in cuor nostro stavamo già riprendendo coscienza - coscienza fredda e vendicativa - di tutto quel che stava al di fuori dell'isola-di-acqua in cui c'eravamo trovati per un momento (anche questa è una fotografia stupenda: il tronco bluastro formato dall'unione di tutti i getti d'acqua. E' difficile credere che in sette anni non hai mai preso in mano una macchina fotografica). Vicino alla mia Subaru ammaccata, banale e anonima, mi hai permesso di asciugarti i capelli, belli e folti, con il vecchio asciugamano che tengo in macchina, dopo averlo scosso da tutto ciò che gli è rimasto appiccicato nel tempo: granelli di sabbia di gite con la famiglia, ramoscelli del falò della festa dell'Indipendenza, macchie di budino al cioccolato ripulite da una bocca piccolissima, di quasi cinque anni - se proprio insisti nel voler affondare i denti in una fetta di pettegolezzo reale e succoso. Quell'asciugamano ormai logoro che conserva la sporcizia-decisamente-buona della mia vita, una vita che io amo molto ma nella quale, spero ti sia ora comprensibile, la mia anima aspira a qualcosa, sempre. Aiuto, un esemplare padre di famiglia capace di scrivere lettere come questa. Che enigma è? A chi saprà risolverlo è garantita la pace eterna dell'anima (ma basterebbe anche una pace momentanea). Ho scostato i tuoi folti capelli e ho scoperto la fronte e gli occhi scuri, sgranati, seri, inquisitori. I tuoi occhi così tristi - magari sapessi il motivo - che tuttavia, in ogni lettera, sento pronti a illuminarsi, a spalancarsi. I tuoi occhi alla Giulietta Masina (alla fine di Le notti di Cabiria, ricordi?). E con quello sguardo mi chiedi ancora: chi sei? Non so, vorrei essere chiunque il tuo sguardo vede in me. Sì, se solo non avrai paura di vedere - forse sarò.
Con delicatezza ho tenuto il tuo viso fra le mani. Ho già detto che sei un po' più alta di me, ma stiamo bene insieme, non sembriamo ridicoli. Ho sentito fra le mani il tuo viso caldo e ho pensato che quasi tutti i volti che incontro ogni giorno hanno espressioni che ricordano sempre un po' quelle di altri; ma il tuo viso... Allora ti ho stretta a me e per la prima volta ho baciato la tua bocca affamata e assetata. Ho posato le mie labbra esattamente sulle tue, anima contro anima, e la tua bocca era morbida e calda. Tu hai alzato leggermente il labbro superiore - hai questo vezzo, l'ho notato - e io, naturalmente, per un attimo mi sono chiesto se sarei riuscito a far l'amore con te prima di scoprire il tuo nome. Non dimenticare che sono un uomo e ho questi sogni da conquistatore (peraltro mai avveratisi). Ma allora, proprio in quel momento, a dispetto delle mie intenzioni e della mia stupidità, ho chiesto in fretta come ti chiamavi. Tu hai detto: Myriam, e io ho risposto: Yair. Poi, con un sorriso tremante di freddo, hai mormorato che la tua pelle è molto delicata, e io ho ascoltato ciò che intendevi dirmi con quel sorriso: vuoi che ti tratti con delicatezza, non con rudezza e indifferenza, non con le cinque dita che, probabilmente, più di una volta ti sono state riservate. Temo sempre più che lui ti tratti in questo modo e la mia anima si è commossa alle tue parole. Anche adesso, mentre scrivo, la mia anima si strugge quando ridi, quando tremi, quando ti stringi a me, perché, come nessuna delle donne che mi hanno abbracciato, so che tu ti stringerai a me completamente, nella tua interezza, perché sei viva. Ho annotato dentro di me questo piccolo particolare che ha sempre attirato la mia attenzione. Perché le donne, capisci, mi hanno sempre abbracciato, all'inizio, solo con metà corpo, metà del loro corpo contro il mio corpo affamato. Solo un seno, per essere precisi (anche se non so come abbraccino gli altri uomini). Mentre tu hai violato questa legge femminile proclamando con il tuo corpo che sei fedele e hai degli obblighi esclusivamente verso l'uomo che sono, non verso la totalità delle donne che sta dietro di te.
E so già esattamente come mi sentirò quando accadrà, è scritto in ogni mia cellula. In quel momento una sensazione nuova e calda comincerà a diffondersi dolcemente nel mio cuore: l'aspetto da così tanto tempo. Ma cosa accadrà a te? Scrivimi, cosa accadrà al tuo cuore che ha provato nostalgia di quando eri piccola? Mi stringerai ancora più forte e mi bacerai con tutta l'anima, come se, così facendo, riversassi in me tutto quello che è racchiuso e celato in te, che si aprirà e si svelerà nel mio corpo, piano piano, finché tutto si scioglierà. Tutto quello che è fra te e te, ma ora è anche un po' fra te e me. Si scioglierà nella mia bocca, nella lingua, nel naso. Verrà assorbito. Solo allora, forse, riusciremo a staccarci e a guardarci con occhi languidi, mentre io sussurrerò senza respiro: "Oh, Myriam, guarda, sei tutta bagnata, non puoi tornare a casa in queste condizioni".
(Come vorrei sognarti stanotte e gridare il tuo nome nel sonno, così che il segreto venga svelato e io non ti nasconda al mondo! Sei
una donna che deve essere svelata!) Yair
5 giugno Ciao, Myriam.
Circa sei giorni fa ti ho mandato una lettera a scuola, come al solito, e non ho ancora ricevuto risposta.
Immagino che sia solo questione di tempo, forse sei impegnata con la fine della scuola e le schede di valutazione (di già?). Comunque, pensavo di controllare se per caso mi avessi risposto. Mi trovo in una situazione un po' stupida perché c'è sempre la possibilità che, per qualche motivo, tu abbia deciso di non rispondermi e sparire. Forse a causa della mia ultima lettera, forse perché qualcosa nella tua vita è improvvisamente cambiato. Ma anche in questo caso sono sicuro che avresti scritto, vero? Ho semplicemente cominciato a preoccuparmi un po' - porto personalmente le mie lettere alla cassetta postale della scuola (avrai forse notato che non hanno un timbro), magari c'è stato un disguido nella distribuzione e la mia lettera non ti è arrivata.
Se è così, chi l'ha ricevuta?
O forse nella lettera c'era qualcosa che ti ha fatto arrabbiare
(cerco di pensare a voce alta). Forse di nuovo il fatto che, come
sostieni, a poco a poco io scompongo la realtà in parole e mi accontento solo di queste? Ti disfo laggiù per ricamarti qui? Vedi, mi sto già ingarbugliando. Allora, ti prego, fammi almeno sapere qual è l'attuale stato dei tuoi sentimenti nei miei confronti. E non esitare a scrivere tutta la verità. Voglio dire, se quella lettera disgraziata ti è arrivata, posso capire la tua decisione di non voler avere niente a che fare con un uomo del genere. Ecco, ti ho persino scritto una frase adeguata così da risparmiarti garbati giri di parole. Non devi preoccuparti e nemmeno aver compassione di me - sono molto più forte di quel che potrebbe sembrarti (davvero, è difficile piegarmi).
Ti sto chiedendo di raccontarmi cosa hai provato vedendo come mi sono permesso di spogliarmi così, davanti a te, senza sapere quasi niente sul tuo conto e senza che nulla ci unisca nella realtà. Improvvisamente ti compaio davanti e scopro la spalla della mia anima, in uno spettacolo di strip-tease. Vero che è andata così? Vero? Ammettilo. Che c'è di male? Ammetti qualcosa per una volta! Insomma, te ne stavi là, distante, con le braccia conserte, esaminandomi con stupore e sospetto, un po' intimorita e un po' divertita dalla sinfonia di un uomo che si è avventato su di te dopo aver perso la testa per la tua ultima lettera, quella con le fotografie di Ramat-Rachel. Forse hai dimenticato il grado di intimità che vi hai raggiunto. Anche il fatto insignificante che per la prima volta hai scritto "noi due" - "noi due siamo gente che vive di parole". Sì, e improvvisamente hai avuto una sorta di illuminazione, sostenendo che forse io sono uno che soffoca nelle parole, ricordi? (Io ricordo tutto.) Insomma, hai detto che probabilmente provo una sorta di "claustrofobia nelle loro parole" e per questo senso di soffocamento a volte ansimo, rantolo... Ho provato un tale sollievo, Myriam, come se tu mi avessi concesso di respirare in modo diverso e allora, dopo quella gioia esagerata e criminale, senza alcuna vergogna né controllo, entusiasta ed ebbro di te, di noi...
Senti, peccato sprecare inchiostro. Ti lascio libera.
6 giugno
Una piccola aggiunta, nonostante tutto. Solo per farti sapere che, se mi hai visto così, non eri sola. Forse non l'hai notato, ma anch'io ero lì, vicino a te, con le braccia incrociate in alto sul petto. Sempre, dalla prima lettera che ti ho scritto. Cosa credi? Anch'io me ne stavo in disparte a esaminare, esattamente come te, quella mia esplosione di follia - mi preme dirtelo, per ogni evenienza. Tutto il resto è superfluo, vero? Allora perché non sono capace di smettere?
Scrivi tutto quello che ti passa per la testa, ma non lasciarmi così. Sono andato ancora, per la quarta volta oggi, alla posta. Dài, almeno questo me lo devi. Stare un momento insieme, fianco a fianco, a guardarlo, a disprezzarlo per l'ultima volta insieme, quel mio organo interno che all'improvviso si è scatenato ed è uscito di testa - la milza si è data alla danza...
Stop! Due battiti di mano del regista e cambio di scena: facciamo finta per un momento di essere due cammelli. Mi va di essere un cammello, perché no? Ho avuto un'illuminazione - arguto e originale anche nei momenti difficili. Siamo due cammelli con il muso lungo e privi di senso dell'umorismo. Una coppia di cammelli adulti, maschio e femmina, disillusi e che ruminano desolazione, consapevoli del loro posto nella carovana, come da copione. Finché, improvvisamente, salta fuori uno strano somarello, o qualcosa che sembra un somarello. Forse è un incrocio tra un cammello e un cappello da clown. Una specie di scherzo della natura, con orecchie d'asino e una gobba da cammello. Insomma, questo piccolo strampalato si scatena in una danza delirante. Allontanati, Myriam, perché da tutti i suoi pori fuoriescono schizzi ributtanti. Prendi un impermeabile, metti un maglione, perché i sedimenti della sua anima non ti insudicino troppo. Per carità!
Esattamente così vedo lo "spettacolo" umiliante che ho rappresentato davanti a te in quella lettera, e in fondo in tutte. Dall'inizio. Non so cosa mi sia successo. Per un momento il cuore si è gonfiato e il sangue ha inondato vaste zone del cervello. Cos'è successo veramente? Ricordo di averti visto. C'era della gente intorno a te, la conversazione era animata, ma tu non vi partecipavi. Improvvisamente le tue labbra si sono piegate in un sorriso strano, lacrimoso, no, peggio ancora, il sorriso di una persona che ha appena saputo di aver perso anche l'ultima speranza, l'ultimo desiderio, nientemeno. Pur sapendo fin dall'inizio che sarebbe finita così e che avrebbe dovuto continuare a vivere con quella perdita... In quel momento io sono entrato nella tua vita. Un momento un po' strano e non felice, ma non ho avuto nemmeno il tempo di esitare perché ho visto il mio nome in fondo al tuo sorriso e mi sono tuffato. D'altra parte, forse non era nemmeno il mio nome. Forse ero ansioso di dimostrarti che avevo capito, che non eri sola, e mi sono tuffato troppo in fretta. Anche questo non sarebbe nuovo per me, sappilo. Ho alle spalle una lunga e triste storia di tuffi prematuri - nel lavoro, nella vita, in famiglia. Già ai tempi della scuola e anche durante il servizio militare. Nelle lettere ai direttori dei giornali o dovunque senta che qualcosa viene ostacolato o frenato, non importa per quale motivo: ottusità, paura, stupidità, o semplicemente così, perché "non si fanno cose del genere". In momenti come quelli io mi tuffo di proposito. Giusto per provocare (come dice mio padre). Non è vero: per salvare. Pensavo che tu l'avessi capito. Tu, che hai osato scrivere per prima la parola "desiderio"... In momenti come quelli sento qualcosa montarmi dentro, l'hai visto, e al diavolo le leggi della natura e della società, che impongono a un'anima di accontentarsi della propria esistenza, racchiusa nella propria pelle.
O sepolta nel proprio pozzo.
E' stupido cercare di spiegare (e tuttavia non riesco a smettere), ma è sempre così per me. In qualche punto, molto vicino, si accumula qualcosa - o qualcuno - che implora di esplodere, soffocherà non trovando uno sfogo e, anche se non mi è assolutamente chiaro cosa - o chi - sia, capisco perfettamente il suo bisogno di erompere, sento chiaramente il suo grido soffocato. Hai chiesto che musica ascolto quando sono a casa, al lavoro e soprattutto quando ti scrivo. L'hai chiesto come se fosse naturale che la musica mi accompagni sempre. Mi spiace deluderti, non sono molto musicale, anzi, mi definirei una persona "smusicale" (ciononostante sono andato a comperare Children's Corner di Debussy e lo ascolto continuamente in macchina. E, naturalmente, anche Emma Kirkby che canta Monteverdi: forse un giorno capirò quello che hai detto). Ma quell'urlo, lo sento sempre, e lo capisco subito. Non nelle orecchie ma nello stomaco, nel battito del cuore, nell'utero. Anche tu lo senti, hai sentito così anche me.
Allora come mai, d'un tratto, non mi senti più?
Be', non c'è motivo di continuare. Decidi quello che vuoi. Per me è importante farti capire che so esattamente cosa mi sta accadendo in questo momento e cosa tu pensi di me. E' la solita tortura, Myriam, io sono sempre entrambi, quello che se ne sta con la faccia paonazza e le braccia conserte, e quello che d'un tratto compie un balzo oltre se stesso e cade sempre più in basso. E, mentre cade, ha ancora la faccia tosta di discutere con il paonazzo, urlandogli mentre precipita verso la perdizione: "Lascia vivere, lascia sentire, lascia sbagliare".
Però, ecco, sono anche l'altro. Che ci posso fare? Quello che sibila con disprezzo che la fine è ben nota: tornerai da me strisciando, dice con tono secco (ha il difetto di avere le mucose aride), mentre il somarello continua a strillare che non gli importa, perché forse un giorno ce la farà. Per sbaglio naturalmente, perché secondo lo statuto imperiale questi atti di carità possono accadere solo per sbaglio. Forse un giorno, finalmente, colpirà il bersaglio; no: toccherà il bersaglio, lo toccherà. Toccherà un'anima sconosciuta. La toccherà proprio, anima contro anima, mucosa contro mucosa, una sola anima fra i sei miliardi di cinesi che ci sono al mondo (in una situazione come questa, all'improvviso sembrano tutti cinesi). Quell'anima si schiuderà davanti a lui e gli donerà i suoi frutti...
Così continua a cadere e a gridare con la sua voce rotta e stridula, perennemente infantile.
Ma a questo punto si chiarisce - come avrebbe potuto essere altrimenti? - che intorno a ogni grido si radunano dieci saggi, intelligenti, pacati e posati, che si consultano per verificare se, in questo modo, non si stia anticipando qualcosa. Forse è un'altra delle tue folli idee (mi dicono con labbra riarse), di quelle che prosperano solo nell'oscurità della notte e svaniscono alla luce del giorno; insomma, un'altra creatura ibrida e difettosa che potrebbe nascere storpia e deforme...
Dovresti vedermi allora. Anche se in fondo mi hai visto. E' probabilmente quello che ti ha fatto ribrezzo. So bene come sono in momenti simili, come se implorassi pietà per me stesso, nientemeno. Perché poi mentire, Myriam? Dentro di me so che, se dipendesse da loro, non "approverebbero" nemmeno me ("non è conforme alle norme" decreterebbero). E io corro dall'uno all'altro, isterico, supplicando che facciano uno sforzo per vedere quello che vedo io, basta che uno
di loro lo veda perché venga redento. Allora anche in me qualcosa sarà "approvato". Ma va a spiegare a loro una cosa del genere. A quel punto io non ce la faccio più (ti descrivo tutto il processo). Arriva il momento in cui li mando al diavolo, il momento in cui penso, per esempio, cosa valgo se non ti mando una lettera? La mia anima si proietta in avanti e io volo, proprio come sono volato da te. Ecco, persino in questo momento, sono io che volo laggiù. Continuo ancora a planare verso di te, verso chi accetterà di credere con me. Guarda, ridi: sono io l'anello debole della catena - di ogni catena, di ogni legame, contatto, connessione, congiunzione o possibile combinazione con loro, con quelli; e ora anche con te. Vedo dissolversi quello che c'è tra noi, ma ti chiedo ancora di crederci. Forse, per caso, troveremo un filone d'oro - ecco, l'avevamo quasi toccato. Ci sono stati dei momenti di luce e mi sono abituato a te, alla tua irritante onestà da Corte Suprema (e ai buffi garbugli di parole quando ti emozioni). Dove troverò un'altra donna così infantile? Una donna capace di sprofondare in pensieri sul primo amplesso fra Adamo ed Eva compiacendosi di come abbiano scoperto quello che è bene fare in modo naturale; e quanto sia bello e doni felicità scoprire solo in modo naturale...
Vedi?, ricordo tutto. Forse distruggo le prove della tua esistenza, "sicurezza nei contatti" ecc', ma dentro di me esisti in un modo che mi atterrisce. Cosa ne farò ora di questa nuova esistenza che non mi vuole?!
Eccomi davanti a te: io sono il somarello, o il varco nella recinzione; sono la fenditura attraverso cui l'errore e il tradimento - o anche solo il ridicolo - si infiltrano dentro casa. E' così fin dall'infanzia, da che mi ricordo. Sono il buco - quanto poco virile! A chi altri avrei potuto dire una cosa simile? Ma credimi, almeno nel momento del volo sono me stesso, l'"io" che dovrei essere. Ed è un momento colmo di felicità - un momento ricco, completo. Come vorrei saper prolungare per tutta la vita un momento simile. Poi, naturalmente, c'è il tonfo dell'atterraggio. Un polverone intorno e un silenzio tremendo. Mi riscuoto da tutto ciò che ero fino a un minuto prima e mi guardo in giro con cautela; comincio a gelare per il freddo che mi avvolge dentro e fuori, un freddo che solo i buffoni e gli stupidi conoscono.
E' vero che nella vita mi è anche successo di essere seme vivo, di avere un'idea brillante, ma la maggior parte delle volte si è rivelata non più di uno sputo. E' a causa di un'idea simile, per esempio, che sono bloccato in questo stadio della mia esistenza come Heine nella sua tomba di materassi, con circa quarantamila libri e fascicoli che mi si ammucchiano intorno. Ho avuto un'idea, capisci?
Una grande idea...
Ecco. A volte si esce da un tuffo stupendo come Nachshon (5) e si viene citati nella Bibbia per poi scoprire che la piscina sotto è vuota. Inevitabilmente, anche se ce l'hai fatta, sei sempre molto solo quando ritorni alla tua vita di prima, ai loro sguardi di disapprovazione che ti sembrano improvvisamente solo un roteare d'occhi. Mio padre era solito dire: "Tutto il corpo sente il bisogno di pisciare, ma tu sai cosa si tira fuori per farlo".
Adesso mi sento così e sono distrutto, perché non sopporterei uno sguardo del genere dai tuoi occhi. Perché a causa di un altro tuo sguardo ho deciso di buttarmi a corpo morto, completamente, per la vita o per la morte, e not less than everything, conforme alle norme di produzione di T'S' Eliot. Ora non faccio che tormentarmi per non essere stato più prudente.
Avrei potuto scriverti una cauta lettera di approccio, mascherare le mie intenzioni, sedurti piano piano, flirtare con te con leggerezza, incontrarti a tu per tu, secondo le leggi del tradimento in vigore nella comunità degli adulti. Quando penso alle cose che ti ho scritto, le cose che ti ho detto sulla mia famiglia, o le cose che, a causa tua, ho detto a me della mia famiglia. Quella frase terribile su tre persone che vivono insieme... Avrei voglia di castrarmi, di strapparmi la lingua!
7 giugno
Basta, non ce la faccio più. Una notte insopportabile (e pensare che forse non immagini nemmeno cosa sto passando!). Non ti ho ancora raccontato come è iniziato esattamente. Voglio dire, ho raccontato parecchio, direi che ci sono già tornato sopra una trentina di volte, ma a dire il vero ho parlato solo di te, cos'ho visto in te, e non sono capace di lasciarti andare senza che tu sappia cos'è successo a me in quei momenti.
Ecco allora, in breve, così la facciamo finita. Una sera, circa due mesi fa, ti ho vista. Stavi in un gruppo piuttosto folto di persone raccolte intorno a te e, soprattutto, a tuo marito. Uno sciame d'insegnanti e educatori rispettabili che si lamentavano di quanto è difficile ottenere buoni risultati nell'insegnamento e quanto tempo deve trascorrere prima di vederne i frutti. Qualcuno, com'è ovvio, ha citato Honi ha-meaggel (6) e il vecchio che piantò un carrubo per i nipoti, e tuo marito, cioè il "tuo compagno", ha parlato di un esperimento genetico complicato a cui lavora ormai da dieci anni. Non ho capito esattamente di cosa si trattasse perché non stavo attento a quello che diceva, porgigli le mie scuse. La triste verità è che la sua storia era lunga e noiosa, piena di fatti. Qualcosa a proposito della fertilità dei conigli, mi pare, e della disposizione dell'utero a riassorbire gli embrioni nei periodi di difficoltà. Non importa. Comunque tutti lo ascoltavano perché ha un piglio sicuro che conquista e un particolare modo di parlare, molto lento e autoritario. Un uomo come lui sa che nel momento in cui apre la bocca tutti taceranno e lo ascolteranno. Anche il suo viso esprimeva la serietà del maschio adulto, con quelle guance allungate, la mascella prominente, le sopracciglia folte... Credimi se ti dico che sei fortunata, Myriam. Ti sei accaparrata il maschio più dotato del gregge. Darwin ti porge i suoi complimenti dalla tomba. E poi voi due state benissimo insieme, vi elevate reciprocamente. Ma io ero ancora libero, cioè libero di sbagliare.
Tuo marito ha riso all'improvviso. Ecco: ricordo di essere rimasto sorpreso da quella risata forte, virile, spumeggiante. Ricordo di essermi contratto come se mi avesse sorpreso in un atteggiamento imbarazzante. Non so nemmeno per cosa abbia riso, o di chi, ma tutti si sono uniti a lui, forse solo per sguazzare un istante nella luce autoritaria del suo viso. Io ho guardato te, forse perché eri l'unica donna presente. Cercavo comprensione, o difesa, e ho notato che tu non ridevi. Al contrario, hai avuto un brivido e ti sei stretta nelle braccia. Forse il suo riso, che di certo ami, ha risvegliato un ricordo penoso, o forse ti ha spaventata, come è successo a me. In ogni caso quelli hanno continuato a parlare, a intrattenersi nella conversazione, come tutti sanno fare molto bene, ma tu non eri già più lì, e la cosa incredibile è che ho visto come fuggivi senza muoverti dal tuo posto, sfruttando quella momentanea distrazione per sparire. Ho anche visto dove sparivi. Qualcosa nei tuoi occhi si è aperto e chiuso, una porta segreta ha sbattuto e d'un tratto solo il tuo corpo era presente, triste e abbandonato (ormai non posso più descriverlo il tuo corpo chiaro, morbido, burro e miele). Tenevi la testa un po' china e ti stringevi nelle braccia, come se stessi cullando te stessa-bambina, te stessa-neonata. Sulla fronte ti si sono disegnate delle rughe di stupore, come quelle di una bambina intenta ad ascoltare una storia lunga, complicata e triste. Sì, il tuo viso si è staccato da se stesso e ha cominciato a librarsi nell'aria. Senza capire, ho sentito il mio cuore balzare verso di te nella danza del somarello. Evidentemente c'era una breccia lì, dove mi manca una costola. Tutto si è confuso, e anch'io.
(Non preoccuparti, ne esco già sorridente, gli ultimi spasimi...) Ora mi torna in mente che, subito dopo, ti è piombato addosso un folto gruppo di studenti, ricordi?
E' strano che non ci abbia pensato finora: ti hanno letteralmente rapita agli adulti per una foto ricordo, ti hanno quasi portata in braccio. E nel momento in cui mi passavi davanti ho visto che stavi ancora sognando, benché già ti sforzassi di sorridere. Un sorriso pubblico e fluorescente. Vedi, me l'ero quasi dimenticato.
Ma forse no. Forse, proprio grazie a quell'incredibile sbirciatina, ho saputo subito che avresti capito...
Perché è stato un momento di "infamia" per te. Probabilmente l'ho riconosciuto anche senza capire. Un sorriso così, un po' come una smorfia. Per un momento hai avuto un sorriso da campagna elettorale... Ma di cosa sto parlando? Di te? Di campagna elettorale? Sì, sì, certo, non mi sbaglio su queste cose. Allora anche tu, eh? Farsi eleggere, ancora e ancora e ancora. Affascinare, sì, incantare gli estranei (e mi spiace sempre più che non continueremo). E i ragazzi? Non so se te ne sei accorta, forse non eri ancora completamente tornata in te: una mandria di adolescenti imponenti e goffi, con le teste rapate. Ognuno lottava per il privilegio di esserti vicino, di toccarti, di strapparti uno sguardo o un sorriso, di gridarti la cosa tremendamente-importante che gli premeva dire proprio in quel momento. Era piuttosto buffo da vedere... "Buffo" non è la parola giusta. Peccato per il "batticuore". Perché persino nel ragazzo che in quel momento stava in disparte si è risvegliata un'urgenza strana e inattesa - è proprio imbarazzante ricordarlo ora - il bisogno selvaggio di spalancare la bocca da
uccellino in un accesso di fame improvvisa e impellente: "Io, io, prof, me, me...".
Basta, basta. A ogni mia parola mi umilio ancora di più. Per favore, prendi un foglio di carta e scrivi: sì o no. Non ho la forza ora per una lettera di spiegazioni dettagliata. Scrivi: mi dispiace, ho provato ad abituarmi a te, ci ho provato sul serio, ma non sono riuscita a superare i tuoi tumulti, i tuoi illusionismi. Ecco, bene, siamo d'accordo. Sapremo perlomeno qual è la situazione. Per un po' forse continuerò a urlare il tuo nome a me stesso, nel cuore. Ma alla fine la ferita si cicatrizzerà. Magari andrò di nuovo a Ramat-Rachel o da qualche altra parte fuori città, in un posto dove non c'è gente e che è un po' nostro, per gridare con tutte le forze: Myriam, Myriam, Myriam! Yair
Non preoccuparti. Ancora un giorno, ancora due. A poco a poco le parole si sfalderanno e rimarrà solo il mio solito grido per te: yih ah! yih ah!
10 giugno
La tua lettera è arrivata quando ero allo stremo delle forze. Ho aperto la cassetta solo per abitudine, come decine di volte nell'ultima settimana, e c'era una busta bianca. Sono rimasto lì a guardarla, non ho provato niente, solo stanchezza. Forse anche spavento. Perché pensavo di essermi abituato all'idea che fosse finita, ibernata per sempre. E dove troverò le forze per sopportare i dolori del disgelo?
L'ho letta, naturalmente. Una volta e un'altra ancora, e ancora. Proprio non capisco come abbia potuto andare in pezzi così rapidamente per una pausa di una settimana. Ci credi? Mi sentivo come se tu fossi sparita almeno da un mese. Come se non aspettassi altro che un pretesto per tormentarmi.
Non ho niente da aggiungere oggi. Sono contento che tu sia tornata, che siamo tornati. Che non ti sia nemmeno passata per la testa l'idea di sparire. Al contrario.
Tuttavia sono arrabbiato con te. Come hai potuto non immaginare che avrei sofferto così? Come potevi non saperlo? Proprio tu? Avresti almeno potuto mandare un biglietto prima di partire. O una cartolina dalla stazione degli autobus di Rosh-Pina. (7) Avresti perso dieci minuti, non di più, e mi avresti risparmiato moltissimo dolore. Ma intuisco che forse non mi avresti causato una tale sofferenza se solo ti fosse stato possibile.
Allora ecco, una nota ottimista con cui terminare questa lettera incolore: fino a tal punto, probabilmente, non ti è stato possibile.
10-11 giugno
Ancora una non-risposta, non la risposta che meriteresti a quella lettera che più leggo e più ne capisco la profondità. Il fatto è che, sai, mi hai liberato dalla trappola in cui ero caduto senza farmi provare nemmeno un briciolo di imbarazzo.
(Ti lasciano una tale libertà d'iniziativa a scuola? Due settimane prima della fine dell'anno? E cosa dicono a casa di questo?
Non è affar mio.)
Ogni volta, di nuovo, mi colpisce il contrasto tra la serietà, l'equilibrio, la tranquillità materna che manifesti, e la tua insospettabile leggerezza di movimenti: quei sussulti e il balzo inatteso, inatteso persino per te. Ti vedo camminare da un capo all'altro del bosco di querce sopra il lago di Galilea, ritta, con un'espressione severa, mentre ti stringi nelle braccia in cerca di una tranquillità perduta, respingendomi con forza, ancora e ancora...
Questo? E' solo un sorriso. Mi sono ricordato che nelle prime lettere ripetevi in continuazione quant'era strano che uno sguardo distratto avesse provocato in me una simile bufera ("forse il mio viso non nasconde nulla? Forse ti sei solo ritagliato nella notte una figura di donna?"). Poi, a poco a poco, hai cominciato a spiegare a te stessa che, in fondo, comincia sempre così, dallo sguardo di uno sconosciuto. E ora quello che hai scritto laggiù, inciso nella pietra: solo uno sguardo "prosaico e di strette vedute" potrebbe considerarci due estranei...
Prima, quando mi sono svegliato (adesso sono le tre e mezzo), sono rimasto seduto in sala al buio, rannicchiato sulla poltrona, pensando a te e a me, a quello che ci succede all'improvviso a metà della vita, ed ero felice dell'occasione di essere un po' solo in casa, nel silenzio assoluto. Ti ho invitata a stare con me, e tu hai accettato. Di solito, nel quotidiano, mi sforzo di non pensare a te quando sono
qui, attento a rispettare il principio di separazione delle istituzioni. Non so se dirti in quali momenti mi ricordo di te, immancabilmente: quando faccio la doccia, o, che vuoi farci, quando vado a pisciare. Sì, quando lo vedo.
Ho provato a chiedermi se potrei essere un parafulmine per qualcuno. Ho capito che questa è una domanda che ti tormenta, ma mi è difficile darti una chiara risposta. Una risposta davvero onesta. Non mi hanno mai chiesto una cosa del genere. Nessuno me l'ha mai chiesto così direttamente, come hai fatto tu, così bruscamente, senza mezzi termini, quasi implorando.
Forse mi hanno subito letto in faccia la risposta.
Ti ho scritto, ricordi?, che quando ti ho vista per la prima volta ho sentito il desiderio, forte e chiaro, che ci fosse un altro dentro di me. Può darsi che questa sia una risposta indiretta alla tua domanda. Mi sono chiesto se provo ancora questo desiderio e mi sono detto di sì, persino più forte.
Senti, com'è che non mi spaventa volere una cosa simile? Come può qualcuno permettere a un altro di penetrare dentro di sé? Sul serio, Myriam - questa notte ho improvvisamente capito che cosa straordinaria ed emozionante, generosa e altruista, è lasciare che un altro penetri nel tuo corpo! Improvvisamente mi sembra quasi anomalo, tanto naturale da far paura! E la gente lo fa senza nemmeno pensarci (così mi dicono), penetra e si lascia penetrare. Persino una scopata a volte diventa un cliché. O forse dobbiamo proprio non capire perché un'incursione del genere possa avere luogo?
Immagina che per un momento ho avuto paura di non poterli più fare, quei movimenti da nuotatore. Farli in modo abituale, intendo dire. Probabilmente, colto da un timore, mi sono immerso in uno dei miei passatempi preferiti: a occhi chiusi ho ripensato a una scopata della mia collezione privata - tu sei la prima a cui racconto queste cose (forse perché mi hai raccontato della prima volta di Adamo ed Eva). Mi ricordo che da bambino cercavo di ricostruire nella mente intere partite di calcio mentre oggi, cosa vuoi farci, sono le scopate, i miei piccoli tradimenti, il modo più comune per elevarci al di sopra delle convenzioni, come mi ha rivelato Nabokov una volta, durante un lungo viaggio verso una base militare nel Sinai.
Non tutte, naturalmente, non ne sarei capace - sei o sette al massimo (è già da qualche anno che non ne aggiungo una nuova alla collezione). Quelle speciali, quelle in cui mi trovavo nella condizione di consapevolezza più agognata e anche più rara, trasognato e cosciente al tempo stesso, sonnambulo ma conscio di tutto: ogni gesto della mano e ogni movimento del suo corpo, ogni sua parola e ogni suo respiro. Potrei descrivere la curva del fianco e dire dove c'era un neo (dove ne hai tu? Conosco quello sotto le labbra; secondo me, è solo un microfilm che stai cercando di trafugare sul tuo viso ingenuo. Ma dove ne hai altri?). Niente va perso in questa ricostruzione silenziosa, e non chiedermi come - non ne ho la più pallida idea: sono come quei geni degli scacchi che ricordano a memoria centinaia di partite con tutte le loro mosse. Sai, Myriam, forse è questa la mia genialità nascosta, la mia eccelsa vocazione (la mia arte...)
Ora chiudo la busta e comincia il piacere dell'attesa. Yair
(mattino)
Nonostante tutto voglio che tu sappia con chi hai a che fare. Credo di essermi fatto qualche sconto, stanotte, riguardo al "parafulmine".
Perché io ho bisogno di tutte le mie forze per mantenermi equilibrato, per conservare un equilibrio totale e preciso che non sgarri nemmeno di un millimetro. Non sono particolarmente orgoglioso nello scrivertelo, ma la mia capacità di autocontrollo ha la grandezza di una nocciolina e la perdo facilmente, hai visto cos'è successo solo una settimana fa. E' incredibile quanto mi sia facile perderlo, crollare in pochissimo tempo. Ed è facile anche voler non essere, rinunciare a tutto.
E mi chiedi se posso essere un parafulmine per qualcuno. Io? Ma se tutti quelli che mi stanno attorno devono essere sempre in ottima forma, in piena salute e assolutamente normali. Certo, hai indovinato quando hai scritto che Maya rappresenta per me una sorta di "casamadre". Sì, è così, senza possibilità di appello. E quanto mi piace che tutti quelli che mi stanno attorno si impegnino a rispettare questo vincolo di ammissione nel mio ristretto circolo.
Ecco, l'ho detto. Quello che c'è di più meschino in me. Meschino, vizioso e fiacco, ma è importante che tu lo sappia. A volte mi stupisce come tutti obbediscano a questa direttiva e, senza pensarci, eseguano i miei ordini nascendo sani e sviluppandosi a dovere, senza lasciarsi tentare da tumori e malformazioni. E non muoiono nemmeno: non esiste la morte per me! Nemmeno a un'età veneranda, solo dopo di me! Persino i miei genitori saranno probabilmente costretti a rimanere in vita finché io sarò nel fiore degli anni. Per non parlare di mio padre che, già da qualche tempo, a causa di questa mia legge draconiana è bloccato all'estremità dell'intestino dell'esistenza. Devi sapere, però, che non solo la morte mi deve obbedienza. E' proibita ogni eccezione, ogni violazione a questa regola sacra. Se Maya, per esempio, osasse solo pensare di abbandonarmi o di innamorarsi di un altro, lasciandomi in pasto ai cani sanguinari della gelosia, quella sarà la mia fine, niente di meno. Un martello di cinque chili sulla testa del "batticuore". E' una legge non scritta: chi vuole starmi vicino deve assumersi la responsabilità della mia anima. Perché qualunque idiota può capire come sia facile uccidermi. Uno sguardo ben mirato basterebbe. Non sto scherzando. Sono convinto che da qualche parte, dentro di me, c'è un punto vulnerabile che chiunque, anche uno sconosciuto, può vedere e colpire. Eliminarmi con una parola. Ma, a quanto pare, tutti quelli che mi circondano evitano di farlo, per qualche motivo. Non mi danno il colpo di grazia. E io non riesco a capirne la ragione. Sono persino un po' sospettoso su cosa stiano tramando. E anche tu, sì, tu laggiù, l'invisibile, colei che scrive, vigila su noi due, proteggi entrambi. Anche nei momenti in cui sono così meschino, nei momenti in cui sono solo uomo a metà. Sii doppiamente forte. Tu ne sei capace, sento che ne hai la forza. Sii tu la nostra guardia del corpo.
Non sono sicuro di spedire questo scarabocchio. Da dove è saltato fuori? Non so perché, dopo essermi sentito così vicino a te questa notte, debbano percorrermi correnti torbide come queste. Penso a ciò che hai detto nell'ultima lettera, che a volte provo lo strano impulso di abbrutirmi in tuo onore. A quel tuo sogno del fruttivendolo bislacco che metteva in bella vista i pomodori marci. Allora tieni presente anche questo perché, malgrado tutto, sento di averti rivelato qualcosa che non ho mai osato rivelare a me stesso. E' ora di spedire la lettera, vero?
11 giugno
(Non ho dovuto aspettare nemmeno quattro ore. Forse le lettere si sono incrociate. Quando leggerai la mia vedrai che, stranamente, rispondi a cose che ancora non hai letto.)
Myriam, penso che la storia del nostro incontro tra gli irrigatori non sia giusta. Non voglio incontrarti così.
Non solo perché hai riso del fatto che io non credo a una banalità meravigliosa come il normale incontro di due persone - su un autobus, in banca, a un raduno di ex liceali, o anche semplicemente in un negozio di verdure - ma perché, d'un tratto, non so, due estranei che siedono su un prato e si ritrovano abbracciati sotto un getto d'acqua... Chissà perché, dopo la lettera in cui hai detto che mi sforzo di truccare la realtà... non so, di colpo quella visione mi appare goffa e forzata, un esercizio di pirotecnica acquatica che non ti si addice. Non si addice alla tenerezza con la quale voglio arrivare a te, non si addice alla tranquillità che ti circonda, e soprattutto non si addice alle cose che hai scritto nelle ultime righe, quello sfogo inatteso, che non so ancora come interpretare.
Tuttavia è molto importante per me che tu sia d'accordo sul fatto che anche l'immagine degli "irrigatori" e, in generale, tutto sia possibile tra noi: avremo un sacco di primi incontri come quello e ogni volta ci scopriremo in modo nuovo. Perché rinunciare a qualcosa? Perché rinunciare a tutto? Voglio tutto con te, perché solo con te posso volere tutto. Perché, forse, solo attraverso questo prodigo "tutto" ci verrà svelata, a poco a poco, l'essenza particolare che può crearsi tra te e me, ma mai tra altre due persone. Certo, hai ragione nel sostenere che la realtà è qualcosa di stupefacente e miracoloso ma, scusa, anch'io potrei dire cose belle come queste in modo tenero e suadente. Non bisogna però dimenticare che anche la "realtà" è, in fin dei conti, solo una coincidenza momentanea su un globo enorme, brulicante di possibilità che non si realizzeranno mai. Ognuna di loro potrebbe raccontarci una storia completamente diversa di noi, interpretarci in modo differente. Perché allora non incontrarci nei luoghi più impensati, scaturiti dalla parte oscura della mente?
Voglio avere con te dieci tipi diversi di rapporto, perché no? E voglio che ognuno di loro faccia parlare e gridare in me qualcuno di totalmente nuovo, un essere sconosciuto. Per questo la gente stringe amicizia, no? E' esattamente come la domanda che mi hai fatto: se avrò mai davvero il coraggio di guardarti negli occhi e leggere in te quello che tu stessa non sei in grado di vedere. Come vorrei poterti rispondere con sicurezza! Non so (ma forse, proprio per questo, già dal primo momento stavo in un punto dove non potevi vedermi). Chiedo troppo? Forse, ma perché accontentarsi di poco? Per tutta la vita ci "accontentiamo", e con te voglio toccare tutto, con gesti ampi e generosi, come se questa fosse l'ultima volta che tocco in vita mia. E come fai tu a fermarti nel momento in cui hai cominciato a svelare qualcosa di profondo? "Le mie infamie", hai detto, come se scherzassi o mi misurassi addosso una delle mie parole. Eppure d'un tratto la cosa si è fatta seria, no? "Forse dovresti smetterla una volta per tutte di definire "infamie" le offese che hai subito in passato!" Sei sbottata senza preavviso. Ma ho sentito che proprio quella parola si è aggrappata a te, ti si è appiccicata addosso, come se tu fossi obbligata a ripeterla continuamente per scrollartela di dosso - e per toccarla ancora. "Qual è il nesso tra offese, ferite e infamie?" "Perché sento sempre in te uno strano piacere nel confondere continuamente ferite e infamie?" Più la ripetevi e più sembrava incollartisi addosso, e allora tu...
Spiegami, Myriam, cos'è questa guerra che a volte devi combattere per finire una giornata con la ferma volontà di alzarti il giorno
dopo? Di cosa parli esattamente? E da dove arriva questa sensazione, assurda e folle, che a te sia vietato creare qualcosa di nuovo nel mondo? Sono io l'incostante e il distruttore, non dimenticare! (O forse, ci sto pensando adesso, è una sorta di visione. Forse è la storia che hai scelto di raccontarmi? Ma è proprio una storia tanto tremenda?)
Capisci in che situazione mi hai lasciato? Non hai spiegato niente. "A volte, la sensazione che ogni cosa viva, persino i due gattini che Nilly ha partorito ieri e che, come è solita fare, mi ha affidato perché li allattassi, persino loro, in certi momenti, sono nelle mie mani come del fuoco rubato", e subito ti sei zittita. Hai lasciato sulla pagina non poche righe bianche e io non sapevo come riempirle. Le immagini si rincorrevano e, quando sei riapparsa davanti a me, il tuo viso era già ricomposto e hai raccontato qualcosa di non molto rilevante. Scusa questa mia osservazione da insegnante, ma sembrava che tu volessi solo terminare la lettera in maniera educata. E' una cosa molto bella che tuo figlio sia impegnato nell'eroica impresa di contare fino a un milione (un modo non peggiore di altri per sprecare la vita) - anche perché hai finalmente rivelato di avere un figlio. Avevo già cominciato a preoccuparmi. Ma come hai potuto lasciarmi così, dopo ciò che hai detto?
Basta, basta stringere i pugni. I nostri segreti sono sempre più piccoli di quanto crediamo. Allora lasciati andare, concediti senza freni, scrivimi, per esempio, in un'altra lettera - una lettera di una sola frase - qual è la prima cosa, il primo pensiero, la fiamma che balena in te quando leggerai questa lettera (sì, sì! Ora! In questo preciso momento. Scrivila, metti il foglio in una busta e mandamelo, ancor prima della lettera di risposta "ufficiale"...).
14 giugno Bum!
Allora adesso tocca a me?
Dopo aver fatto l'amore, dormiremo abbracciati. La tua schiena contro il mio ventre. E io stringerò le dita dei piedi intorno alle tue caviglie, come delle mollette, perché tu non possa volar via la notte. Saremo come un'immagine su un libro di scienze: un frutto tagliato a metà, tu la buccia e io il torsolo. Yair
P'S' Non credevo che avresti osato tanto.
17 giugno
E quando faremo l'amore voglio chiudere gli occhi e sfiorare con delicatezza i tuoi peli, laggiù, sotto l'ombelico, per sentire sotto le dita quel punto, uno dei punti, delicato e setoso, in cui da bambina ti sei trasformata in donna.
Y'
giugno
Una lettera che non rispetta l'ordine: ieri sera, nel vicolo Regina Elena, davanti a me camminava un bambino di nove o dieci anni. Eravamo soli. Il vicolo era buio e lui, ogni tanto, mi gettava un'occhiata allungando il passo. Ma io, quando cammino piano, vado comunque piuttosto veloce. Ho sentito la sua paura, una sensazione che ricordo bene. Stavo considerando come avrei potuto tranquillizzarlo senza creargli imbarazzo, ma proprio in quel momento lui ha cominciato a zoppicare. Ha storto la gamba e si è messo a trascinarla, sospirando. Siamo andati avanti così fino alla fine del vicolo, adagio, mantenendo sempre la stessa distanza. Lui zoppicando fuori e io dentro. Y'
Il difetto di queste sveltine è che dopo un'ora ti ritorna l'appetito (anche se "a volte tocchi contemporaneamente il punto dove provo dolore e piacere" mi basterà almeno per una settimana).
giugno
Hai già scritto? L'hai mandata? Quand'è che da voi ritirano la posta dalla cassetta delle lettere?
(Sto solo riscaldando un po' i muscoli dell'eccitazione, perché non si atrofizzino. E perché tu possa sempre riconoscermi.) Per quanto riguarda le ultime supposizioni, hai sbagliato, triplo sbaglio: non ti scrivo da una prigione, non sono affetto da un male incurabile e inchiodato in un letto, e non sono nemmeno una spia israeliana a Damasco o a Mosca attualmente in patria per un periodo di vacanza. Sono tutt'e tre le cose insieme.
E cos'altro? Non molto.
Tantissimo: il tremito della tua mano quando prendi le mie lettere dalla casella in sala professori.
Anch'io sono così, cosa credi: prima di tutto controllo, tasto lo spessore della nuova lettera per capire quanto cibo avrò da digerire nei prossimi giorni e nelle prossime notti.
Per quanto riguarda la tua domanda (inattesa): con le lancette e digitale insieme (ma in fondo che importanza ha?).
Ah, mi sono ricordato di qualcosa che dovevo chiederti: c'è un qualche legame - è un po' stupido, lo so, ma tant'è - hai per caso a che fare con un giornale cinese (scritto completamente in cinese)? Un settimanale che viene pubblicato a Shangai e che ho cominciato a ricevere ultimamente, senza che io l'abbia chiesto? Se non è così, dimentica la domanda.
Non è una vera lettera, solo una specie di borbottio notturno, un fischio nella notte finché ti rifarai viva.
(Non smetto di stupirmi per come quest'arida vita abbia improvvisamente deciso di mostrarmi il suo seno prosperoso.) Yair
21 giugno
Una bocca spalancata o un buco nel tronco di un albero? Difficile decidere. Ma mi sono sentito pieno di gioia perché finalmente non c'erano parole!
Non immaginavo che tu sapessi anche disegnare. La linea, il carboncino, la forza del tratto.
Sul serio: un giorno ballerò per te. Anche se ci sarà altra gente intorno. Non m'importa. Ti guarderò negli occhi e ballerò solo per te.
Ma nel frattempo bisogna scrivere, no? Allora ecco, per via del carboncino: uno scimmione nero, per esempio, segaligno, corre su e giù sul ventre di una donna.
Ti dice qualcosa? Non importa. Abbiamo detto: facoltà di parlare liberamente. A me suggerisce che il consorte della gentildonna l'abbia comprato per lei in una delle fiere che ha visitato nel corso dei suoi viaggi. Il signore è sempre in viaggio - il viaggio del signore. Lo scimmione è ammaestrato. E' stato acquistato per procurare piacere alla signora, un piacere che a lui è negato. Ci mancherebbe, capisci? Lui non deve mai dimenticare il proprio ruolo, quello del vice, finché il signore tornerà (e forse non esiste nemmeno un signore).
Y'
Io so che tu sai a cosa sto pensando ora. Alla lettera in cui hai scritto quanto strano ti sembra che io ricordi ogni gesto, sospiro o neo della donna che era con me, senza però che io compaia mai in quei ricordi.
22 giugno
Quando sono con altra gente (mi è venuto in mente stasera, mentre facevo il bagno a mio figlio) - non importa se estranei o molto vicini - c'è un pensiero che non mi abbandona: sanno tutti fare con naturalezza ciò di cui io mi sento assolutamente incapace: mettere radici.
Domanda: senti, idiota, perché le racconti scempiaggini come quelle? Le tue vuote riflessioni e la tua filosofia da quattro soldi? E perché non c'è in te una briciola di nobiltà o di delicatezza a insegnarti che non si deve dire tutto?!
Risposta: è il somarello che c'è in me ed è l'impulso che provo soprattutto con lei, più che con chiunque altro, a raccontare tutto, anche la mia filosofia spicciola. Non si tratta nemmeno di raccontare. A volte è solo farle giungere un bagliore, come quando si porta un parente privo di sensi al pronto soccorso e lo si getta nelle braccia del medico, pregando poi che riesca a salvarlo.
Raccontale del nastro di Moebius.
Domanda: sei impazzito? Di già?
Risposta: cosa significa "di già"? Tra voi non esiste un prima e un dopo, il tempo è circolare, ricordi? Lei ha detto che questo tempo è stato creato apposta per lei...
Vieni, dammi la mano. Ecco, ti racconto una cosa che faccio ogni
tanto: pensare a lui da vecchio. Parlo di mio figlio, del mio-chiamiamolo-Yidò. Del mio Yidò.
Magari lo faccio per immunizzarmi (immunizzarmi da cosa? Dall'amore eccessivo che ho per lui?). Continuo a immaginarmelo vecchio. E aiuta. In un attimo ogni slancio d'amore e ogni ansia nei suoi confronti si spengono. Nota bene: vecchio, non morto. Naturalmente mi sono specializzato anche in questa fantasticheria, e morto sarebbe qualcosa di troppo definitivo per la tortura di cui ho bisogno. Mio figlio: un vecchio curvo che fissa il televisore in un ospizio, sbavando. E' morto, perché la scintilla nei suoi occhi è spenta. Non è facile concentrarsi su un pensiero come questo. Provaci. Ci vogliono muscoli dell'anima particolarmente forti, muscoli dorsali. Perché l'anima si tende in un gran rifiuto e ci vuole molta forza per piegarla, per vincere la sua resistenza... Dove eravamo? Eravamo a mio figlio, al bambino che era, tanto tempo fa. Mio figlio vecchio, raggrinzito, sciancato, con le mani coperte di macchie scure, afflitto da una di quelle malattie della sua età, intento a ricordare qualcosa che ha dimenticato, forse me? I miraggi della memoria gli stanno forse restituendo la mia immagine? Io e lui in un momento tranquillo? Come quando, stamattina, gli è entrato un bruscolino nell'occhio e io gliel'ho tolto con la lingua? Oppure quando ho ricoperto di spugna gli spigoli delle mensole, il giorno in cui ha cominciato a sbatterci contro la testa? Oppure, semplicemente, quando ho provato per lui un amore intenso - almeno quello di cui sono capace?
Forse, invece, si sta confondendo, e pensa di essere mio padre. Magari fosse così. Vorrei che nell'universo infinito, nel luogo in cui i destini e le persone vengono assegnati l'uno all'altro e per un attimo si ha la possibilità di essere altro, vorrei che esistesse un momento come questo. Un momento in cui lui fosse mio padre (ci pensi? L'impenetrabile e gravosa arbitrarietà per cui io sono suo padre e non il contrario). Vorrei soprattutto che fosse già finita per rifugiarmi sotto la sua ala protettrice e marcire nella sua carne, polvere nella polvere. Come vorrei poter vivere il momento in cui vedrà in me soltanto un altro uomo, un uomo come lui, uno che ha tentato, ha fatto la sua comparsa nel mondo...
Allora, forse, proprio in quel momento - il momento della riconciliazione e dell'indifferenza che la vecchiaia porta con sé - e grazie alla saggezza accumulata nel corso dei suoi anni di paternità, potrà scegliermi di nuovo. Pensi che mi sceglierà?
Parlami.
A volte è difficile aspettare due o tre giorni per la risposta.
Perché ora fa male.
Dopo aver fantasticato della piccola Ya'arà hai detto di avere la certezza che io do moltissimo anche a Yidò, forse più di quello che molti genitori sono in grado di dare a un figlio, e che di certo non mi limito a "inaridirlo". Ti ringrazio per aver cercato di liberarmi da questa sensazione. Ma ho paura a dirti quanto io sia capace di inaridire. Sono Yair l'inariditore. E' una cosa che faccio inconsapevolmente, basta la mia presenza. Ma allora, nell'anno duemilasessantacinque, lui mi sorriderà con gengive sdentate e occhi opachi, dicendo di non preoccuparmi perché ha capito la bizzarra punizione del nostro campo di internamento - che un giorno sei Franz Kafka e un giorno sei suo padre, Hermann...
A volte me lo immagino nei minimi particolari. Vedo come lui mi riporterà dall'oltretomba. Mi prenderà fra le dita, esaminandomi alla luce giallognola del pomeriggio come si tiene in mano un oggetto-senza-più-desiderio, un oggetto che non rappresenta più alcun pericolo. Allora passerò con cautela le dita sul suo corpo e sul mio come lungo il nastro di Moebius, dove il dito che lo sfiora non può capire quando passa dall'esterno all'interno. Credo che sia il momento della pubblicità.
24 giugno
Mi diverte che le mie "storie cittadine" ti piacciano tanto. Penso che, grazie a te, oggi mi capitino molti più "momenti" come quelli (davvero: la città mi parla come non aveva mai fatto prima).
Eccotene una, freschissima. Stamattina, nell'isola pedonale di Ben-Yehuda, vicino al caffè Atara, c'era un clown che è anche prestigiatore. Forse ti è capitato di vederlo: un uomo gigantesco, "rasputiniano", che fa uno spettacolo macabro, ma divertente, con una ghigliottina. Ormai lo conosco e da molto tempo non mi fermo a guardarlo. Ma oggi l'ho fatto. Forse per via della parola "ghigliottina", riapparsa nella lunga lettera che hai scritto di recente, quando ti sei fatta seria e hai avuto quello sfogo. Il prestigiatore cercava un volontario. Un ragazzo nel pubblico, un turista americano, si è fatto avanti e ha appoggiato la testa sul patibolo. Il prestigiatore gli ha misurato il collo con molta teatralità, ha tagliato un capello sulla lama per provare quanto fosse affilata e gli ha messo un cesto di paglia davanti. Poi, quando il prestigiatore ha sollevato la lama, il ragazzo improvvisamente ha teso le mani attraverso i ceppi e senza proprio pensarci, con un gesto istintivo e toccante, si è tirato il cesto vicino, in modo che la testa "cadesse" esattamente al suo interno. Tutti hanno riso, ma io mi sono commosso, come se tu fossi stata lì con me e io ti avessi mostrato qualcosa di mio, che non so spiegare a parole.
28 giugno
Ti mando una fotografia che forse ti farà felice.
Stamattina ho trovato (non per caso) su un vecchio settimanale la foto di tuo cugino Alexander. Scusami sai, ma ho potuto capire l'inquietudine dei tuoi genitori: non solo perché aveva sei anni più di te, ma anche per qualcosa nel suo aspetto, quell'espressione "da lupo"... Guarda come sta sul podio, per esempio. Quel sorriso. (Devo ammettere che anche con quello stupido cappellino e la medaglia fa una gran bella figura. Un maschio-alfa perfetto. Quelle spalle, quei pettorali e quei bicipiti!)
Terribile, vero? Vedere quella forza e quell'orgoglio sapendo che cinque anni dopo sarebbe stato steso morto sulle rotaie di un tram. Cerco di scoprire cosa fosse rimasto di te in lui - la foto è stata scattata esattamente quella settimana - ma non trovo nulla. Cosa significa? Che tua madre aveva ragione? Comunque mi sembra di notare una sorprendente dolcezza intorno alla bocca, sul labbro inferiore. Allora, forse, anche un casanova esperto come lui si è lasciato intenerire dal tuo primo bacio, l'unico che tu gli abbia dato. Ma c'è un'altra cosa strana: sono andato a vedere sui giornali l'edizione successiva della Maccabia, (8) tre anni dopo, e ho scoperto che lui vi partecipò ancora come membro della squadra belga (ma senza vincere nessuna medaglia). Secondo i miei calcoli, a quell'epoca tu avresti dovuto già avere sedici anni e mezzo. Voglio dire, non proprio un'età in cui ti si può chiudere in casa e proibirti di incontrare qualcuno (e di certo lui venne a trovarvi per portare i saluti della famiglia...). Allora mi chiedo: com'è che dopo la tempesta che hai descritto, le settimane di passione in cui ti promettesti a lui, e i sogni di un anno intero, le lettere profumate eccetera, com'è che rinunciasti a un nuovo incontro con lui? Io la vedo così: probabilmente, con tre anni di più sulle spalle, capisti di essere stata solo un passatempo per lui e ti fu chiaro che non era lui l'uomo dei tuoi sogni. Eppure, mi chiedo, non c'era in te un po' di curiosità? O il desiderio di incontrarlo e dirgli: "Guardami ora. Guarda come sono cresciuta, non sono più la tua cuginetta...".
(Non so perché il pensiero della sua ultima visita mi rattristi tanto.) A proposito di baci: saluta calorosamente il neo da cui ti sei separata quando su di lui sono cominciati a crescere... Non dimenticherò quella sveltina incredibile. Una volta, forse in un'altra vita, bacerò anche quello.
30 giugno
"Che tempo magnifico, Louise, che sole splendente! Tutte le persiane sono chiuse; ti scrivo in penombra."
Così Flaubert a Louise Colet. Mi ci sono imbattuto oggi e, malgrado la tua stoccatina (davvero faccio sempre delle citazioni?), ho visto in quella frase un nostro segno di riconoscimento.
Negli ultimi due giorni ho pensato spesso alla tua proposta. La tua strana richiesta di propormi a te, bambina, come "fidanzato" con decine d'anni di ritardo. Mi hai costretto a tornare con la memoria a un periodo che non ho amato molto. Non sono nemmeno sicuro di avere trovato la storia che potrebbe "fare coppia" con la tua - di certo non con la ragazza che eri, disillusa e lucida, capace di prendere una decisione e di metterla in atto, così mi sembra, con determinazione e senza ripensamenti... A essere sinceri, Myriam, non sono sicuro che la ragazza che eri avrebbe voluto "quel" bambino come "fidanzato".
Avevo tredici anni, più o meno, ma non starò a descriverti il mio aspetto d'allora - ti irriterebbe; e perché dovrei sfidare forze più grandi delle mie? Probabilmente, però, suscitavo un certo interesse perché un'adolescente handicappata del mio quartiere mi rapì e mi sottopose a un intervento chirurgico senza anestesia. Ora dirai che, come al solito, descrivo tutto in maniera drammatica ed esagerata, ma è esattamente quello che accadde.
Non so quanti anni avesse, non era nemmeno in grado di parlare. Mugolava. Una ragazza ossuta, mascolina, rigida. Una povera handicappata che io prendevo in giro tendendo agguati a lei e a suo padre, che l'accompagnava nella passeggiata quotidiana (lui camminava con un bastone per difendersi da lei nel caso l'avesse attaccato, pensa un po'). Per qualche anno, nel quartiere, avevo condotto una campagna di derisione nei suoi confronti, inventando le cose più feroci per tormentare lei e il suo povero papà: scritte in gesso sul marciapiede, caricature...
Giustamente mi chiederai: perché la prendevi in giro? Perché la mia mente spaventata si sforzava di puntare l'attenzione di tutti su di lei e solo su di lei? Come potevo ridere di una povera minorata? E quanto sarcasmo e veleno investivo in quegli sforzi? Meglio lasciar perdere. Insomma, un giorno lei riuscì a scappare di casa. Suo padre svenne sulle scale, e tutti i vicini e i bambini del circondario si mobilitarono per cercarla. Arrivò la polizia e ci fu un gran casino. Io mi allontanai in silenzio da tutti e andai in fondo alla via, in una spianata dove oggi sorge un grande albergo. Lì, in uno degli angoli più squallidi, c'era un mucchio di rottami accumulati negli anni: vecchi materassi, fornelli, un frigorifero scassato. Insomma, tutto il ciarpame e le schifezze del quartiere. Dietro la discarica, vicino alla recinzione, c'era una siepe in cui si era formato un nascondiglio, piccolo e buio, che pensavo di essere l'unico a conoscere e dove mi piaceva appartarmi.
Avevo la sensazione che si fosse recata lì, che il suo istinto animale l'avrebbe condotta in quel posto, dove nessuna persona normale sarebbe mai entrata. Infatti, quando valicai la linea della penombra, lei si gettò su di me, e in quel momento capii, con una sorta di strana rassegnazione, che mi stava aspettando. Sai, non ricordo quando tu mi abbia chiesto - forse parlando del parafulmine - se in vita mia ho mai gridato "aiuto" sul serio; a squarciagola, cioè, con la gola che ti si lacera e gli occhi strabuzzati per la disperazione e lo sgomento (perché poi me l'hai chiesto?). Forse quella volta, quando lei mi trascinò nel nascondiglio, avrei dovuto urlare così. Invece rimasi zitto. Questa è la storia, Myriam.
Lei mi buttò a terra, si stese su di me e senza perdere un secondo, con una forza tremenda, cominciò a strusciare il suo corpo contro il mio, come se fossimo due pietre focaie. Non potevo muovermi, era come se avessi perso conoscenza. Però vidi e sentii tutto. Lei era seria e come presa da una folle idea che le palpitava dentro. Un'idea assurda che io solo al mondo potevo capire esattamente. Non si trattava di qualcosa di sessuale. Voglio dire, non sessuale nel senso corrente del termine. Era qualcosa di molto più complesso e occulto. Come spiegare? Era come se lei volesse frantumare i materiali di cui entrambi eravamo fatti...
Devo entrare nei dettagli?
Tutti i materiali, intendo, tutte le polveri, sue e mie. Perché? Non so (lo so, lo so). Per poterci ricreare migliori. Per riequilibrare, se questo è il termine. Riequilibrare o "compensare" tutto quello che forse eccedeva o difettava in lei, e anche in me, nel corpo e nell'anima (ma è possibile capire una frase del genere? Ha senso anche al di fuori di me?). Lei avrebbe voluto semplicemente ricrearci entrambi, in maniera più equa e forse più sopportabile ai nostri occhi, senza gli eccessi e le mancanze... E' una storia strana, una ragazza handicappata voleva ricrearmi. Ti giuro, era questa l'idea fissa che frullava nella sua mente contorta. Solo io l'avevo capito e per questo non gridai "aiuto". Era una cosa tra me e lei e non riesco a credere che te lo stia raccontando. Che ne dici? Quel bambino avrebbe potuto essere, a modo suo, un "fidanzatino" per la ragazza che eri, filosofica e istruita?
Ricordo che lei prese la mia mano sinistra e che per dieci, venti, cinquanta volte spinse le sue dita ruvide tra le mie. Quindi fece lo stesso con la mano destra, poi spalla contro spalla, petto contro petto, ventre contro ventre. Sistematicamente, con puntiglio, mentre i suoi occhi spenti brillavano per quell'idea grandiosa, senza badare a me. Quella fu la cosa incredibile che mi ipnotizzò completamente. Aveva una questione da risolvere ma non con me, bensì con quello che rappresentavo. Nel mondo illuminato non avrebbe avuto alcuna logica ma nel buio sapevo, e sentivo, chissà perché, che lei desiderava anche il mio bene. Come se cercasse di mescolare con cura le carte dei nostri mazzi per ridistribuirle in maniera più giusta per entrambi. Capisci? Lei sola aveva intuito, con i suoi sensi genio-animaleschi, quanto soffrissi per ciò che mi aveva riservato la lotteria della vita e quanto, anche in me, tutto avesse disperatamente bisogno di restauro. Riesci ancora a seguirmi, Myriam? Dimmi solo se è possibile raccontare una cosa del genere a qualcuno e sperare che capisca davvero. Dimmi se un uomo può raccontare questo a una donna che sta corteggiando, o se un marito può raccontarlo alla moglie mentre prendono il caffè.
Y'
5 luglio
Sono andato, ho comprato, sono tornato.
Una capatina di tre giorni ad Amsterdam-Parigi-Svizzera. Affari. Un buon acquisto di due pezzi rari, richiestissimi a Zurigo. Uomo di mondo bum-bum.
Quando l'aereo è decollato, ho provato una fitta inaspettata e ho scoperto che tra me e te c'è un cordone ombelicale che fa male quando viene teso.
Cosa ti ho portato dalla spumeggiante Parigi? Un profumo che fa perdere la testa? Un gioiello? Degli slip sexy?
Il mio incubo, quando mi trovo nelle grandi città europee, sono i figli delle mendicanti. Sai di cosa sto parlando? Di quelle donne indiane o turche, sedute per strada o nelle stazioni della metropolitana, che hanno sempre un neonato o un bambino sulle ginocchia.
Già da un po' ho notato che quasi sempre i bambini dormono. A
Londra, a Berlino, a Roma. Ho il sospetto che le madri li
anestetizzino di proposito, li droghino, perché un bambino addormentato fa ancora più pena e "aiuta gli affari"... A Parigi, di fronte al mio solito albergo, c'era una donna turca con un neonato e il giorno dopo ho cambiato albergo.
Non è solo la crudeltà a deprimermi, ma l'idea che quei bambini passino la loro vita dormendo. Pensare che c'è un bambino (e ce ne sono centinaia così) che per anni, forse per tutta l'infanzia, vive a Londra, o in un luogo magnifico come Firenze, senza quasi vedere la città, sentendo solo, nel sonno, i passi della gente, il rumore delle macchine, il battito del cuore della metropoli, e che, svegliandosi, si ritrova nella misera topaia in cui vive...
Quando mi imbatto in una donna così per strada le do sempre qualcosa, e nel farlo fischietto anche una bella canzone, allegra, con tutte le mie forze. Sono tornato.
7 luglio
Buongiorno! Oggi sono arrivate due lettere!
Da tempo aspettavo il momento in cui, non riuscendo a trattenerti, dopo aver chiuso una busta avresti sentito il bisogno di scrivermi subito un'altra lettera. La prima è arrivata questa mattina, l'altra con la posta del pomeriggio (i piaceri dell'intestatario di una casella postale!), e sono entrambe allegre ed entusiaste. La prima scritta a casa e l'altra, quando hai cominciato ad avere caldo e a sentirti soffocare, nella tua valle segreta vicino a Ein-Kerem. E' stato stupendo incontrarti finalmente con parole del tutto nuove (e una nuova gonna, perdipiù!). Come respirare una ventata d'aria fresca. Ed è stato stupendo sentire il tuo tono di meraviglia quando dici di essere felice ultimamente. E' la prima volta che questa parola compare nelle tue lettere. L'ho subito mandata ad analizzare in laboratorio e mi hanno confermato che si tratta proprio di felicità (sto solo cercando di capire come mai la tua felicità mi appaia ancora tanto triste). Ma oggi questa parola ha degli effetti anche su di me. Un'effervescenza interiore, non so. Forse perché sono finalmente riuscito a rallegrarti?
Perché, grazie a questo, improvvisamente l'estate è esplosa anche per me, capisci? Come se solo ora, in virtù del tuo "apriti, Sesamo", fossi uscito anch'io dalla galleria scura e tortuosa che abbiamo scavato insieme, con le nostre complicazioni e il senso di oppressione. "Sono felice" hai detto, ed è stato come se tu mi avessi concesso qualcosa; la bella stagione è iniziata anche per me. Già luglio, immaginati un po', e solo ora mi risveglio all'estate accecante, con le sue forze vitali, la sua volgarità naturale, la sua voglia di vivere e tutto quello che hai descritto (mi sorprende che tu abbia ancora paura di tornare a dipingere con i colori. Una persona che scrive così...). Anch'io, toccami, di colpo sono così vivo, ardente. Mi amalgamo con il corpo dell'estate, come se fossi una delle sue "arterie pulsanti"; ma sono anche puntato su di te come un laser. Attenta, non sono responsabile delle mie azioni, non so cosa mi stia succedendo, hai qualche idea?
Cosa ne dici? Magari smetterò di lavorare e di vivere nel mondo, nella cosiddetta vita, per limitarmi a scrivere, a descrivere te in ogni situazione e a raccontare come mi sento mentre ti guardo, a riversarmi dentro di te; finché, semplicemente, i miei succhi si esauriranno. Quando impiccano un uomo, nell'istante supremo, ha un'eiaculazione. L'ho letto una volta, e da allora questa cosa non mi dà pace. Quasi fosse il testamento del corpo e dell'anima. Esattamente così vorrei che fosse il dialogo tra noi, perché tra qualche mese moriremo l'uno per l'altra, anche se tu non ne vuoi sentir parlare. L'idea di quella "ghigliottina" ti fa rivoltare lo stomaco. Ai miei occhi, però, è il fulcro del nostro legame perché forse, nella vita di una coppia normale, non può accadere quello che accade tra noi - qualcosa che al tempo stesso ha il sapore dell'ambrosia e del sangue. Tu già lo senti, io lo sapevo fin dall'inizio.
Pensavo che la storia della ragazza handicappata ti avrebbe disgustato e invece tu, come al solito, vieni e mi tocchi a mani nude. E allora? Davvero non vorresti ridistribuire le nostre carte? Davvero ad attrarti sono le mie carte mescolate alla rinfusa? Ma solo per iscritto, lascia che rimanga così. Con la speranza di avere entrambi la forza di combattere ancora le seduzioni della realtà. Il sesso, non la religione, è l'oppio dei popoli. E quando ci incontreremo, perché alla fine ci arrenderemo... Sono un po' fragile oggi, il caldo scioglie i propositi più fermi. Spero che non accada... Ma forse, tra due o tre settimane, se non già stasera, in questo accesso feroce che mi sta facendo perdere la testa... E' colpa della gonna che hai comprato. Improvvisamente hai un corpo. Il tuo corpo, che ero quasi riuscito a dimenticare, d'un tratto è risorto davanti a me. Le tue gambe si sono mosse, giovani e belle, sotto la gonna - e non dire nemmeno per scherzo "non sapevo di avere delle gambe"... Mi sono tornate in mente le tue caviglie affusolate e ho afferrato il nesso tra la forma delle caviglie e la nuca...
Ci arrenderemo, ti è chiaro, vero? Quando nel cuore si sarà accumulata una dolcezza triste, pastosa e pesante, nettare d'autunno. Yair si è fatto poetico - è il nettare dell'estate. Bene, per quanto tempo riusciremo ancora a trasformare questo sperma in inchiostro? E' colpa dei tuoi occhiali dalla montatura nera se evito di scriverti cosa mi sta passando per la testa e dove esattamente ti immagino: con i vestiti, senza vestiti, con quella gonna arancione che ha uno spacco laterale, con la maglietta morbida e aderente. In piedi, distesa, un po' selvaggia, con l'aria dolce, in auto. Le tue caviglie sottili avvinte intorno alla mia schiena. Muoio dalla voglia che avvenga un miracolo e che tu mi compaia davanti per caso, in strada...
Dove eravamo?
Non ho la più pallida idea di come farò ad alzarmi da questa scrivania davanti alla mia segretaria, diplomata a "Beit-Ya'akov". (9) Di certo ti chiederai cosa voglio da te, tutt'a un tratto. Perché faccio impazzire entrambi in questo modo. Non lo so. So solo che ora ti desidero disperatamente. Ma sono anche sicuro che ci è proibito persino osare di porre un piede nella realtà. Tutto si scioglierebbe, perderebbe vigore, ricadrebbe nei soliti cliché. I mille fili sottili e trasparenti con cui abbiamo ricamato noi stessi - di colpo quest'astratta bellezza si materializzerebbe nella carne e andrebbe perduta in un istante. Credimi, so quello che dico e ripeto:
esisteremo solo per noi, anche se pensi che non abbiamo niente da nascondere, nemmeno al tuo amato marito. Ecco, questo non potrò mai capirlo: perché fargli del male? Perché umiliarlo? In base alla legge di compensazione della felicità, è già tradito, ingannato e inconsapevolmente depredato di quello che c'è tra noi...
Ancora una volta devo interrompermi. E' arrivato un pacco. La vita continua a metterci il becco. Andrò avanti stasera, voglio continuare a parlare di questo...
10 luglio
Non ci credo. Rifiuto di credere che tu mi abbia fatto questo. Cosa sei, una veggente? Hai degli occhi a raggi x? O era la lettera più bella che avessi scritto? Non c'è in te un briciolo di curiosità, semplice curiosità femminile? Come hai potuto resistere alla tentazione? (Forse non sono una tentazione per te.) Mi sforzo di capire cos'è successo, come funzioni questo tuo meccanismo: tre giorni fa hai ricevuto quella lettera, scritta sull'onda dell'entusiasmo per l'estate e per la tua nuova felicità. L'hai letta. Ma quella successiva, spedita più tardi, la sera, e molto buffa, hai deciso, per qualche motivo, di restituirla, chiusa e sigillata. Per quale motivo? Per il calore dei fogli che filtrava dalla busta? Per il modo in cui avevo scritto l'indirizzo? E se ci fosse stata la mia anima ripiegata là dentro?
A volte la tua arroganza mi fa davvero impazzire. Sei così rigida, te l'ho già detto? E in modo sgradevole, non femminile. In verità me n'ero già accorto dalle tue prime lettere, ma a quel tempo la serietà, l'attenzione che mostravi per tutto quel che dicevo mi erano piaciute. Ora, invece, è come se le acque si fossero ritirate e fosse affiorato lo scoglio.
E che intransigenza! "Ogni dissidio su quel punto mi fa male, mi fa male come un tradimento e io devo difendermi..." Tradimento, nientemeno! Viene da pensare che abbiamo sottoscritto un contratto per la vita, non che abbiamo semplicemente deciso di scambiarci delle lettere!
Senti... Non è così semplice quello che hai fatto. E più ci penso, più mi sembra che tu abbia tradito me. Per qualche mese ti sei divertita con quell'innocuo pagliaccio che ti faceva delle smorfie, concedendoti qualche piccola eccitazione borghese. Il flirt segreto di una casalinga perbene. Poi, quando ha cominciato a farsi troppo intenso, quando improvvisamente hai sentito dentro di te un fremito autentico e vivo, ti sei spaventata e hai cominciato a gridare "aiuto"! Leggo la letterina spermicida che hai accluso alla mia busta ancora chiusa e stento a crederci: adesso, dopo tre mesi, ti viene in mente di accusarmi dicendo che flirteggio non con te, ma con una
"perpetua tentazione d'infedeltà" dentro di me. Un auto-corteggiamento interiore?! A volte usi delle espressioni anacronistiche e puritane che mi fanno morire... E con quanta sicurezza ti permetti di stabilire che, pur desiderando di liberarmene, è proprio questa tentazione (incontrollata, automatica!) a non volermi abbandonare, così che provo un godimento perverso nell'umiliare e imbruttire tutto quello che è veramente prezioso e puro...
E' per ciò che ho scritto in fondo all'altra lettera, vero? Per quell'osservazione a proposito di tuo marito. Me l'immaginavo. E' stata quella a farti trasalire. Ho sentito che stavo toccando un punto delicato. OK mi dispiace. Chiedo scusa. Prendi atto di una confessione: non è umiliato, tuo marito, né tradito, depredato o ferito in virtù della legge di compensazione della felicità. Ecco, lo sottoscrivo con la mia impronta da criminale.
Certo, che ne so di lui? E che ne so di voi due insieme? Hai ragione (hai sempre ragione, Myriam), che ne so dei rapporti non solo improntati alle leggi di guerra e di conquista dell'anima altrui?
Basati su altro che il gusto di sottomettere o di arrendersi?
Ma cosa ne sai tu di cavalli alati, di sirene e dell'unicorno?
No, lo devo sentire da te: che t'importa di incontrare questo dongiovanni dilettante? Non è una delle "carte mescolate alla rinfusa"? Non ha bisogno di "misericordia" o di "restauro"? A volte penso... che forse avresti dovuto incontrare solo lui. Forse lui sarebbe stato in grado di farti morire dalle risate e dal piacere, di fare a pezzi questa tua intransigenza.
O forse fai fatica ad accettare il fatto che non ti ho mai proposto un'avventura secondo lo stereotipo, nemmeno, vorrai scusarmi, una scopata. Forse è stato questo a offendere la bambina-modello, la reginetta buona della classe che non si è mai lasciata andare, impedendo così che la sua fiamma divampasse.
Si è offesa terribilmente perché (come allora?) un "maschio" apparso all'improvviso si interessa a lei solo come "amica" con cui parlare e confidarsi, non per sussurrarle nell'orecchio il suo amore e il suo desiderio... Questo lo fa con qualcun'altra, con la biondina sfrontata della classe. Con la reginetta cattiva.
Cosa ne sai, Myriam? Forse questo maschio, a distanza di oltre vent'anni, comincia a sospettare che tu non sia tanto sincera quando affermi che no, non hai paura della passione, tutt'altro, la passione è il sale della tua vita.
Ma chi vuoi ingannare?
NOTE:
Secondo una tradizione ebraica il mondo continua a esisteregrazie alla presenza, in ogni generazione, di trentasei giusti che credono in Dio, lo servono e rispettano i suoi precetti con umiltà e semplicità. [N'd'T']
Il nome Myriam in ebraico si scrive come "acqua" (maim) con lasemplice aggiunta di una "r". [N'd'T']
Moshav (villaggio agricolo di tipo cooperativistico) appena
fuori Gerusalemme. [N'd'T'] (4) Franz Kafka, Diari. [N'd'T']
Nachshon Ben Aminadav, personaggio biblico. Secondo laleggenda, fu il primo a gettarsi nel Mar Rosso prima che questo si aprisse per lasciar passare il popolo di Israele in fuga dall'Egitto.
[N'd'T']
Saggio vissuto nel I secolo d'C'. Secondo una leggenda, erasolito disegnare un cerchio e non uscirne finché la grazia che aveva chiesto in preghiera non si fosse realizzata. Per questo motivo viene spesso citato come esempio e simbolo di caparbietà e perseveranza.
[N'd'T']
Caratteristico villaggio nel nord della Galilea. [N'd'T'] (8) Giochi olimpici per la gioventù ebrea di tutto il mondo.
[N'd'T']
(9) Scuola per ragazze ultraortodosse. [N'd'T']
Yair
(continuazione) 11-12 luglio
E' forse l'ultima lettera. Leggi bene: le tre e mezzo di notte. Sono in macchina ed è tutto finito. Non chiedermi cos'ho fatto. Se non aiuterà a sciogliere il tuo duro cuore mi arrenderò, rinuncerò a te; e anche a me, lo so. Peccato, peccato!!!
Hai sentito l'urlo? Non hai idea di quanto ti sia vicino ora, vicinissimo. Intendo fisicamente, fuori da casa tua, a venti metri da te. Ci sono stato tutta la notte, avvicinandomi e allontanandomi come la tigre che, nel tuo sogno, ti girava attorno in ampi cerchi. Ma io sono una tigre che impazzisce nell'impossibilità di divorarti. Perché non capisci?
Myriam, questa notte ho corso intorno a te.
Ecco. Sette volte ho fatto il giro di casa tua, lungo la stradina che costeggia l'isolato.
Com'è che riesci a farmi impazzire in questo modo? (Tra poco lo saprai.)
Una sigaretta. Ho la testa come un vespaio. L'aria ristagna, in macchina, il fumo si incolla al parabrezza in mille arabeschi. E pensare che sono così vicino alla stanza da cui mi scrivi, con la lampada al neon tremolante e il gufo di legno a cui appendi la lista delle cose da fare, e che poi subito dimentichi. Vicino al tuo geco, Bruria, che esce a mezzanotte in punto per andare a lavorare. Sono qui. Il mondo dorme in silenzio. Dormono l'assassino e lo stupratore, solo io sto qui, vicino a te - ci sono stato tutta la notte. Ho paura a raccontarti cos'altro ho fatto. Dimmi solo se cominci a sentire qualcosa. Ti rigiri nel sonno e non sei capace di capire cosa ti stia sommergendo. Sono io. E' la mia follia che comincia a fare effetto su di te, che solleva onde schiumose verso di te. Questa notte ho compiuto un autentico rito religioso, ho girato sette volte intorno a Gerico. Come hai potuto non sentirmi ansimare? Erano anni che non correvo così, dal periodo del servizio militare.
Questo corpo mingherlino e atrofizzato ha già capito che non otterrà grandi piaceri dal legame con te, e volevo che soffrisse. Senti, ho corso intorno a te, ho visto la tua casa da tutti i lati, e anche il cancello arrugginito, la bicicletta appoggiata all'albero in giardino e il pergolato con la bougainvillea. La vostra casa è molto piccola, sembra un capanno rivestito di pietra. Ed è un po' trascurata. Il giardino è quasi vuoto, Myriam, e c'è una finestra rotta sul retro. E' tutto molto diverso dalla descrizione che ne hai fatto, e improvvisamente penso a quello che hai detto: la vostra famigliola probabilmente non aumenterà più.
A un certo punto, in casa si è perfino accesa una luce e sono quasi morto di paura, e di speranza. Ho desiderato che fossi tu, davanti alla finestra, mentre guardavi fuori, nel buio. Chi è là? Chi corre così? Mio Dio, non posso crederci, di certo sto sognando. Di colpo avresti capito. Con uno sguardo avresti visto tutto quello che sono: il dongiovanni, lo sconosciuto, il funambolo e l'uomo confuso che ti scrive. Avresti guardato dentro di me e avresti detto: "Vieni, rospetto. Venite tutti".
Per fortuna non sei uscita, saresti svenuta nel vedermi così, in questo stato. Avresti pensato che si trattava di un maniaco, il solito, infelice maniaco che paga, rassegnato, il tributo alla burocrazia delle sue ghiandole. Avresti chiamato la polizia o, peggio, tuo marito, che mi avrebbe fatto a pezzi. Lui, di tipi come me, ne mangia tre a colazione.
Temo che non sarai in grado di decifrare la mia grafia. E' peggiore del solito. A proposito, ho chiesto a mia madre: avevi ragione. Mi hanno davvero costretto a passare dalla sinistra alla destra. Come facevi a saperlo? Come fai a conoscermi meglio di quanto mi conosca io stesso? Guarda. Sono seduto in macchina e tremo, consapevole di non aver mai fatto per nessuno una cosa come questa, e non so che altro fare perché tu creda che non ho mai proposto a nessuno - a nessuno, capisci? - quello che ho proposto a te. Fin dal primo momento ho saputo di non cercare un'avventura con te, ma una vera storia. Forse tu sai come viene definito in psicologia questo desiderio, o questa strana perversione - il bisogno che un uomo sente di raccontare le proprie vicende a una determinata persona e solo a lei. Io lo sento così forte nei tuoi confronti. Un punto della mia mente è ritornato in vita grazie a te. A sinistra, dietro l'orecchio. Si tende e si schiude quando penso a te, Myriam, ed è il punto delle visioni e dei sogni che avevo da bambino. Lì ho passato la maggior parte della mia infanzia, sotto il ghiaccio. E per anni non ci sono tornato, avevo perfino dimenticato la strada per arrivarci. Come hai detto tu? "Il tritarifiuti della memoria"? Proprio così. Ricordo solo una cosa: che in quel punto era vietato l'ingresso agli estranei e che nessuno doveva conoscerne l'esistenza. Non dimenticare che sono nato da genitori normali e che fino a diciott'anni ho vissuto in famiglia. La famiglia come fondamento e campo di sterminio...
Sto divagando. Non volevo parlare di questo.
Ho freddo. Anche se è luglio, ho freddo. Mentre correvo mi è venuta la pelle d'oca. A proposito, è stato completamente diverso dalla danza nel bosco sul monte Carmelo. Là tutto era luce e calore, mentre qui sentivo di sprofondare in un'oscurità totale, e la pelle non riusciva a contenere tutto quello che mi si agitava dentro. Ho sentito che questa notte stavo superando ogni limite. So cosa ti sta passando per la testa: oltre quel limite c'è il buio. E' vero, cominciamo ad avere un nostro lessico privato. E' bello. Vedi come il sentimento che provo nei tuoi confronti mi porta a lasciarmi andare? L'opposto di quello che mi succede con Maya. Ma che bisogno ne ho, dopotutto?
Mi sono lasciato andare soprattutto negli ultimi tre giri, quando ho capito all'improvviso quello che dovevo fare e per quale motivo mi trovavo lì. Non pensare che non abbia avuto un attimo di esitazione. Ma non più di un attimo, perché subito mi sono detto: al diavolo, cosa vali se non lo fai per lei? In fondo hai deciso di darle tutto quello che si crea in te per merito suo. Ho provato a discutere per salvarmi la faccia - cosa succede se passa qualcuno e mi vede così? Chiamerà la polizia, mi arresteranno. Poi sono scoppiato a ridere - sono prigioniero da una vita e devo cominciare ad avere paura proprio ora? Così, seduto in macchina, mi sono svestito, togliendo anche le scarpe e i calzini. A quel punto ero già un altro uomo. E' successo in pochi secondi. Un confine talmente labile. Un attimo prima sei vestito e un attimo dopo sei carne, animale. Meno di un animale. Come
se la pelle ti si levasse di dosso insieme ai vestiti. Proprio l'epidermide, con tutti i suoi strati. Sono sceso dall'auto e ho sentito, di colpo, che la notte mi veniva incontro. Mi fiutava dall'estremità della valle come una preda, che non occorre nemmeno scuoiare. Mi avvolgeva completamente, si attaccava con prepotenza a ogni mia cellula. Non ho mai provato una sensazione simile in vita mia. Una specie di paura mista a piacere. E ho provato anche un po' di imbarazzo, perché la notte impudica s'intrufolava in ogni mio orifizio, mi mordeva e mi strappava brandelli di carne. Poi si è allontanata, nel buio. All'improvviso sono apparsi dei cani. Tre, enormi. Sembravano usciti da una ballata popolare scozzese. Pensavo che mi sarebbe venuto un infarto. Tre cani come quelli per i ciechi, credo, che abbaiavano ferocemente, come se mi rimproverassero. E io mi sono vergognato, figurati un po'. Mi sono vergognato non come uomo ma come animale, come un cane inferiore a loro. Riesci a capire? Come si può raccontare a qualcuno una cosa del genere? Poi, quando ho cominciato a correre, hanno smesso di abbaiare. No, peggio ancora: hanno cominciato a indietreggiare latrando piano e sono spariti nel buio. Sono rimasto solo, solo con me stesso, e non era una bella compagnia. Ero più solo di quanto lo fossi mai stato in vita mia. Sai cos'ho fatto allora? Mi sono annusato l'ascella e ho ritrovato l'odore che ho quando ti scrivo. Allora ho pensato che forse stavo facendo l'errore giusto e ho cominciato a correre.
Ecco, scrivo, racconto tutto. Ho corso piano, in modo che chiunque potesse raggiungermi. Ma sentivo, in qualche modo, di essere ormai imprendibile: se qualcuno fosse riuscito ad afferrare il mio corpo, sarei rimasto libero. Ho corso così, intorno a te, per tre volte. Ho scoperto che, quando si corre nudi, i punti più sensibili al freddo sono dietro le orecchie, sul collo, lungo i fianchi e dietro le ginocchia. Mentre correvo pensavo in cuor mio: eccomi qui davanti a te, Myriam, eccomi qui. Forse hai sentito qualcosa in sogno - la mia nudità che gridava, il mio corpo che strillava spaventato per come lo stavo maltrattando. Se tu fossi uscita, avresti visto che me lo stavo tirando dietro. Avresti visto che l'anima, improvvisamente proiettata al di fuori, se lo trascinava dietro. E lo portava davanti alla tua finestra, mostrandoti come sia ridicolo, inutile e senza importanza nella nostra storia. Quanto sia volgare, e come io non voglia usarlo per insudiciarti.
Già ai primi passi ho sentito cosa stava accadendo. Di colpo mi liberavo, ero solo un'anima che si librava, leggera e illuminata. E ho visto il mio corpo, sgraziato, goffo, estraneo, che correva dietro di me. Correva e cadeva, sbuffando per la rabbia, e ogni tanto si allungava per afferrarmi e riportarmi dentro. Ma questa notte ero davvero irraggiungibile, e a ogni passo mi si chiariva chi sono io e chi è lui: solo uno schiavo, uno scimmione, una zolla di terra, niente di più. Una zolla di terra, pallida e informe, che si è raddrizzata sulle gambe con un grugnito. L'ho umiliato davanti alla tua finestra, l'ho mortificato. Questo ho fatto. L'ho mortificato per tutte le volte che ha mentito e per il fango di cui talvolta imbratto anche te: quell'onda torbida che erompe ogni volta. Ho un sacchetto pieno di un liquido amaro in fondo alla gola e ogni volta che ti mostri buona con me si lacera, non so perché. Vorrei tanto che non ci fossero più altre lettere come quella, ma non posso ancora prometterlo. Già quando l'ho scritta sapevo che non era una buona lettera, che avrebbe ferito la tua parte sensibile. Per fortuna non l'hai aperta, per fortuna hai un sesto senso nei miei confronti. Ma sappi che l'ho scritta di proposito in quel modo. Per farti male, per ferirti, per sguazzare nella mia meschinità sotto i tuoi occhi e provarti - è questo il punto, Myriam, è questo il nocciolo amaro e disgustoso - per provarti, ad esempio, che sono ancora libero da te. Sì, che sono in grado, in ogni momento, di tornare a essere quello che ero prima di conoscerti, prima che una tua goccia si fosse diluita in me. Per vendicarmi un po' di te, per il mio tradimento. E anche per questa sensazione folle che tu, in qualche modo, mi sei più fedele di quanto lo sia io verso me stesso.
Comincia a schiarire. Sono vicino a casa (non preoccuparti, sono vestito) e resto in macchina a scrivere. Non riesco a smettere. Fra un attimo entrerò in casa e preparerò per tutti una colazione grandiosa con frittata, cornflakes e insalata che taglierò dai resti della mia coscienza. Non hai idea di che storia abbia dovuto inventare per rimanere fuori tutta la notte.
Non riesco a credere di averlo fatto...
Spero di non dare l'impressione di esultare o di esserne orgoglioso. Non so cosa sento. So solo che in questo momento la cosa migliore è non sapere. Non pensare di avere corso in quel modo. Di avere corso così, di essere io quello che correva, di notte, laggiù, quella macchia. Yair
Un'ultima cosa. Ieri, prima di uscire, ho letto a Yidò un racconto
da un libro intitolato La valle degli animali bizzarri. Non so se lo conosci. Ho letto il brano in cui Momintrol, una delle creature, si nasconde sotto un grande cappello che lo trasfigura. Tutti i compagni fuggono spaventati, ma a quel punto entra nella stanza la mamma di Momintrol, che lo guarda e domanda: "Chi sei?". Lui la fissa con sguardo supplichevole, perché lo riconosca. Se lei non lo riconosce, come potrà continuare a vivere? La mamma guarda questa creatura che non assomiglia neppure al suo bambino e dice tranquillamente: "Sei il mio Momintrol". Ed ecco il miracolo: Momintrol muta d'aspetto, lo sconosciuto sparisce e lui torna a essere se stesso. Ora è davvero tutto nelle tue mani.
16 luglio Myriam, all'inizio non ho capito cosa stessi leggendo: cercavo, ovviamente, una reazione alla mia corsa notturna (segni di punteggiatura dopo parole come "basta", "pazzo", "esci dalla mia vita"), ma gli occhi hanno cominciato a impigliarsi in asole, bottoni, uncinetti, ricami, orli e altri accessori di riti femminili di cui, in parte, non conoscevo nemmeno l'esistenza (cos'è l'organza? Cos'è un volant?). E subito ho cominciato a mormorare dopo di te, con rassegnazione: pullover di cashmere, camicia viola con campanelline, camicia bianca con bottoni di legno quadrati...
Ti puoi immaginare cos'ho pensato mentre leggevo: non è possibile. Una donna non farebbe mai una cosa del genere, nessuna che io conosca. Ma questo lo sai, vero?
Gli abiti semplici e quelli eleganti, quelli che nascondono e quelli che rivelano (mi sto semplicemente infervorando, rumino di piacere). Quello classico con la schiena scoperta, quello da femme fatale, quello viola con il colletto tondo - mi sembra di capire che il viola è il tuo colore. Apparentemente di seta, vaporoso, attillato sul petto mentre il resto ricade morbidamente (non disturbare, sto facendo progressi!). E l'altro viola, con la scollatura a barchetta da una spalla all'altra, che scivola sui fianchi e sul sedere... Leggo e rido. Per me gli abiti non sono che il modo più pratico per nascondersi mentre per te, mi sembra di capire, rappresentano uno strato vivo. Anche se non sei capace di evitare un tono frivolo, un po' artificiale, mi pare. Sembra che ci siano ancora delle convenzioni da rispettare: i sospiri un po' affettati per i "cosciottoni", la ricerca dell'abito perfetto che metta in risalto il seno e nasconda i fianchi (non ho la più pallida idea di cosa si stia lamentando, signora mia. Il suo sedere mi sembra splendido, due mezze lune morbide e luminose. Fammi un favore, lascia queste faccende agli esperti).
Posso continuare ancora un po' con queste smancerie? Per un attimo ho pensato che tu mi stessi prendendo in giro, è una possibilità che considero sempre. Ma questa volta mi sono lasciato irretire e sono tornato a immergermi nella magia di quell'elenco. Chi ti ha svelato che la pignoleria mi smonta? Stralunato, con un sorriso da imbecille, mi sono lasciato avvolgere nelle ragnatele che ti fasciano la pelle: la seta, il cotone, la lana, i merletti, i ricami, il satin, la mussola. Oppure quell'abito confezionato per la festa di fine anno al liceo, quello con l'orlo traslucido cucito con filo D'M'Z' (come fai a ricordare una cosa simile? Io non ricordo cosa indossavo ieri!). Non è possibile, te lo ripeto. Tutto questo contraddice le leggi. Nessuna donna normale rivelerebbe così, in una fase ancora embrionale, i suoi piccoli segreti. Non mostrerebbe, con divertita naturalezza, i suoi reggiseni (metti da parte per me, per la mia prossima vita, gli ultimi due, quelli con il pizzo in alto che, detto fra noi, hanno risvegliato il mio interesse proprio per la loro semplicità, un po' anacronistica rispetto alle moderne lusinghe del mercato). Una ragazza con il viso anni Cinquanta, ecco quello che sei.
La cosa che mi è piaciuta di più è stato il sorriso che avevi scrivendo, l'hai notato? Un sorriso nuovo fra noi, il sorriso di una donna intenta a un'occupazione femminile, privata e intima, che non le procura una particolare emozione ma le anticipa il piacere che proverà con il suo uomo grazie a questo piccolo sforzo. Una sorta di rito privato.
Mi coglie all'improvviso l'idea che tu mi abbia scritto questa lettera mentre eri completamente nuda. Yair
16 luglio (sera)
"Eccomi qui, davanti a te" hai scritto.
Sì.
Sai, a volte sono un po' lento nel capire. A una prima lettura ho pensato che mi stessi offrendo i tuoi abiti per nascondere la mia nudità. Ma un'idea del genere non ti si addice, al contrario. Poi mi è sembrato un gesto di seduzione, originale, bizzarro, un po' ridicolo, e goffo: uno strip-tease verbale. E a poco a poco il tono della tua voce è cambiato.
Ecco una nudità, dici (o perlomeno, così lo interpreto ora), che non è come un coltello e non è come una ferita. Una nudità svelata e vulnerabile, un po' imbarazzata e pietosa. Esattamente come la tua. Una nudità non perfetta, di una donna della mia età. Guarda, dici, è un po' timorosa e cerca di celare i suoi difetti con tanti piccoli trucchi, a cui però è disposta a rinunciare, per chi vorrà guardarla con occhi indulgenti.
E fa uso di abiti (dici così?), di camicie, vestiti, reggiseni, cinture, così come gli esseri umani usano le parole, le "loro". Ma tu vieni, tocca, senti; è una nudità che può anche guarire. Myriam, venti volte al giorno mi ripeto: lei vuole aiutarti, davvero. Ed è meraviglioso ai miei occhi, perché ancora non capisco cosa trovi in me e mi riesce difficile credere che mi stia accadendo una cosa simile. Dimmi, per una volta, cosa posso darti io? E cosa ti do? E cosa ti attira verso di me? A volte mi rimprovero: cerca di darle una mano, rivelati per quel che sei, senza nasconderti. Cosa temi ancora?
Leggi quello che scrive, è talmente ovvio...
Ma c'è dell'altro. Oggi, se penso a quel punto della mia mente senza di te, immediatamente sparisce subito, si congela, si atrofizza. E' esattamente quello che è successo quando ho ricevuto la lettera respinta senza che tu l'avessi letta. Sono rimasto congelato. Ho pensato: ecco, sei finito. Qualche tempo fa hai scritto che, se qualcuno rifiuta di riconoscere un tuo sentimento particolarmente intenso, ti senti come se quella persona ti stritolasse, ti uccidesse. Quando l'ho letto mi è sembrato un po' eccessivo e arrogante, ma nel momento in cui mi hai rimandato la lettera e ho pensato che non mi volessi più, che tu rifiutassi il sentimento-che-provo-per-te, ho capito esattamente cosa intendevi con "stritolare". Ho vagato per ore nel vuoto della mia testa, senza ritrovare quel punto, né la strada per arrivarci. Sapevo che tra poco avrebbe ricominciato a morire e ho avuto paura, perché senza di te non potrò mai più ritrovarlo.
Lo so che sto farfugliando, ma sono certo che tu mi capisci. Chi, se non tu? Hai raccontato un po' dei tuoi anni bui, anni di Siberia interiore, il tuo primo matrimonio. Non so cosa sia avvenuto esattamente, ma quando hai descritto quella tua "cosa particolare" che inaridiva perché nessuno al mondo la voleva e nessuno sapeva che era possibile chiedertela... Tre, quattro frasi come questa e poi, di colpo, mi hai chiamato per nome. Hai chiamato per nome la materia prima che mi compone. A un tuo semplice tocco ha subito un rapido processo di mutazione, cambiando colore, temperatura, consistenza, modificando la struttura molecolare delle sue componenti nobili rispetto a quelle più vili. Cos'altro posso dire?
Hai scritto che, se non fossi certa che alla fine verrò da te, allo scoperto e con coraggio, mi avresti già lasciato perdere. Lo so. Ma dentro di me nutro anche il timore che non riuscirai nel tuo intento. Vorrei aiutarti, lo vorrei davvero, ma ne sono assolutamente incapace. Cerca di capire. Lo sono per legge, la mia legge insensata. C'è qualcosa di inanimato laggiù, nel punto bianco e vuoto al centro dell'essere. Qualcuno è steso là, morto. Io posso solo guardare i tuoi eroici sforzi di rianimazione come uno spettatore impotente, niente di più. E pregare che non ti dia per vinta.
17 luglio
Solo un biglietto scritto sul tavolino di un bar. Soprattutto per il piacere di mandarti qualcosa da Tel Aviv. Avevo una faccenda da sbrigare qui, oggi, nei dintorni di Beit-Lessin. Ho finito presto e invece di tornare subito a casa sono andato un po' in giro, pensando che sarebbe stato bello se tu fossi stata con me.
Niente di particolarmente audace, solo camminare con te, mano nella mano. Sedere insieme in un bar. Ho persino ordinato due caffè. E' bello stare così con te, serenamente. A volte ti lamenti, dici che io ti sprono, come se ci fosse una "meta" che mi sono prefisso di raggiungere con te ("Sei teso, rincorri sempre qualcosa"). Torta di mele? Con panna - e al diavolo la dieta? Bene, un piattino e due forchette. La cameriera sorride e la gente guarda. Che guardino pure. Metti la mano sulla mia e parliamo di frivolezze. Sollevi un
po' il vestito e mi mostri, sotto il tavolo, le scarpe, domandandomi se sia il caso di comprarne un altro paio così, sportive, ma arancioni. Mi va di fare follie con le scarpe, dici. Io divoro con gli occhi le tue gambe lunghe e bianche e dico, perché no? Ti starebbero bene, permetti che te le compri io? Mi sorridi, chiedendomi se disapprovo ancora i tuoi occhiali e io li osservo con attenzione. Un momento...
(Il cuore mi si è semplicemente carbonizzato ora, rendendomi conto del trabocchetto che mi attende sul tuo viso, tra quegli occhiali e quelle labbra. In ogni caso sono troppo grandi e severi...) Tu mi lasci dire, accarezzandomi la mano. Ti faccio una domanda e tu rispondi di no, la ripeto e tu dici di avermelo già raccontato due volte. Raccontato cosa? chiedo con finta ingenuità, e tu sospiri, ripetendo per l'ennesima volta come sei riuscita a rintracciare la ragazza cinese che avevi conosciuto anni prima all'università, e come lei ti ha poi aiutato a trovare l'indirizzo del giornale di Shangai. Io ti osservo e bevo ogni parola pronunciata dalle tue belle labbra. Come mai non è venuta in mente a me un'idea del genere? Io avrei dovuto pensare a una cosa simile!
Mi è piaciuta così tanto l'idea, spieghi, che solo noi, tra un miliardo di israeliani, riceveremo quel giornale una volta alla settimana. E io ripeto quello che hai detto senza voce, muovendo solo le labbra: anche l'affermazione "quattro miliardi di cinesi" merita di essere verificata, e ridiamo entrambi, di te e di me. My-riam e Ya-ir.
Senti, una bambina, qui, ha chiesto a suo padre, un momento fa, di farle sentire il suo tono di voce più basso. Lui ha emesso una specie di "muhhhh" forte, da bue, e immediatamente, da ogni angolo del bar, si sono alzate voci molto simili: tutti gli uomini hanno tentato di fare lo stesso... Anch'io, cosa credi?
Sai come si chiamano quegli alberi con i fiori rossi? Dimmi, Yair, perché Beit-Lessin si chiama così? Racconta prima tu di quando suonavi con Ana, da ragazza. Ma anche questo te l'ho già raccontato. Che importa? Raccontamelo di nuovo. A dire il vero non ricordo se ti ho parlato dei nostri viaggi a Haifa, al negozio di spartiti Bayer in via Hertzl, a Beit HaKranot. (Me ne hai parlato ma taccio.) Però ti ho scritto di quello spartito che abbiamo comprato laggiù, con l'Impromptu di Chopin e la marcia militare di Schubert. Non ricordo se poi ho suonato la melodia o l'accompagnamento. Ma basta, basta. Ti ho già raccontato tutto questo! E' vero, ma mai a Tel Aviv, e mai con questo abito viola (che ha il corpetto quasi trasparente e un volant, aiuto!, sulla gonna).
Magari a un certo punto passerà Ana, con uno dei suoi cappelli di paglia che fanno girare la testa, e la inviteremo a sedere con noi. Lei si accomoderà, con le gambe che arrivano a malapena al pavimento, poi ci guarderà con il suo sguardo malizioso e capirà tutto. Non dirà una parola ma saprà tutto quello che c'è da sapere, e io mi sentirò come se venissi ammesso in un club riservato ed esclusivo. Forse non avrò nemmeno paura che qualcuno sappia il nostro segreto perché di Ana - come ripeti continuamente - ci si può fidare (però aspetta a raccontarglielo).
Ti invidio un'amica così, un'amica del cuore.
Io? Un amico come Ana? Magari! Ho solo una serie di surrogati: nell'esercito, al lavoro. A metterli tutti insieme, forse ne verrebbe fuori qualcosa.
Una volta l'avevo. E' finita. Peccato.
(Che sole, Myriam, un sole stupendo. Chiudo gli occhi, cerco di vederti.)
19 luglio
Ancora nessuna lettera. Ho fatto di nuovo un salto alla casella, di ritorno a casa, ma non c'era nulla. Provo una sensazione strana, oggi. Da questa mattina mi sento inquieto. Come se una parte di me, un mio organo interno, si aggirasse solo per il mondo e io non avessi la più pallida idea di cosa gli stia succedendo.
E' notte fonda e sono sveglio. Già da qualche settimana soffro di una leggera insonnia. Maya mi ha comprato dei sonniferi e io li butto nel water, dicendo a tutti che non mi fanno niente. Voglio dormire. Non voglio dormire. Come hai detto tu, una volta? La notte è il momento in cui siamo insieme.
(Tutti mi chiedono perché resto sveglio di notte. E cosa scrivo di continuo. Ho una spiegazione che forse non è lontana dalla verità. Dico che provo, per la prima volta, a scrivere una storia.) L'altro ieri, in quel bar di Tel Aviv, sotto un sole splendente, ha preso forma nella mia mente un'idea oscura, appena abbozzata, che mi frullava in testa già da tempo: che io sia una sorta di "gemello nero". Voglio dire (capisci? Hai bisogno di spiegazioni?) un bambino che nell'utero ha ucciso il suo gemello. So che questa idea non ti diverte, ma mi accompagna da sempre, come un'ombra, fin dalla prima infanzia. Mi vedo come un relitto umano, rimasto irrimediabilmente ferito e contuso nel corso della lotta sostenuta contro il gemello nell'utero. Chi era costui? Non so. Perché avrei dovuto ucciderlo? Non so nemmeno questo. Anche l'idea è rimasta a uno stadio embrionale. Era un esserino piccolo e luminoso. Lo vedo circondato da un alone giallo, o dorato. Un essere uterino celestiale e raggiante. Emanava una luce calma, costante, non discontinua, radiosa. E io l'ho ucciso.
Adesso, mentre lo scrivo, la cosa mi intristisce.
A volte mi dispiace di non averti incontrata in un altro modo, più semplice. Di non avere cominciato con te una relazione appassionata e solo dopo, a poco a poco, essere arrivato a scoprire tutto il resto.
Immagina un po'.
Come vorrei poter stare con te, ora, in un luogo qualsiasi, non importa dove. Un posto dove la gente si incontra così, per caso. Ai giardini pubblici, in ufficio, per strada, dove vuoi tu. Dove la tua anima si sente appagata solo per il fatto di trovarsi lì. Senza dire nemmeno una parola. Magari anche in un negozio di verdura, come ho detto una volta e tu ne hai riso.
Sai cosa faccio ogni tanto? Stringo forte i pugni contro gli occhi e vedo una miriade di puntini luminosi. Mi hai raccontato che tu ti consolavi così, da bambina, quando cadevi nel tuo pozzo di Giuseppe. Sprigionavi luce da te stessa. Be', ora io non mi sento abbandonato, per niente. Ma sento la mancanza di qualcosa.
Ecco il negozio. Lo vedi? Un negozietto di frutta e verdura, come quelli di una volta. Scatole di cartone e cassette di legno. Bilance antiche e stadere di ferro. Ed eccoti, è bello vederti qui. Mi volti le spalle, con la testa un po' reclinata, e io vedo la tua nuca chiara, la treccia delle vertebre, lunga e sottile. Sei in piedi accanto a una cassetta di patate. La cosa più semplice e banale, no? Tieni qualcosa fra le mani. Cos'è? Una patata molto grossa con un po' di terra incrostata. La guardi come ipnotizzata. Cosa accadrà ora? Non ne ho la più pallida idea. Quello che la penna scriverà. Passo dietro di te. Una volta e un'altra ancora. Mi avvicino e mi allontano. Mi avvicino di nuovo. Sono attratto da te. Non capisco cosa trovi di tanto emozionante in una patata.
Sei al centro del negozio, non vedi gli altri clienti, non senti gli autobus che passano in strada, sbuffando fumo nero. Sei sola, completamente immersa in te stessa. Cos'hai là dentro? Portami con te per favore, nascondi anche me laggiù. Non lasciarmi qui fuori, a invidiare quella patata. Sbircio con impudenza fra le tue mani e vedo che la patata somiglia a un volto.
Cosa accadrà ora? Non so. Fluttuo verso di te.
Tu noti il mio sguardo e sorridi imbarazzata, con quel tuo sorriso triste. E' così anche quando parli. Sempre. Come se ogni volta dovessi riaprirti un varco nella tristezza.
Sorridi e alzi le spalle, a mo' di scusa, con l'espressione di chi è stato colto in flagrante, dimenticando che tutto quello che è al di fuori di te è flagranza. Con un gesto della mano mostri le altre patate nella cassetta, come per invitarmi a sceglierne una. Mi chino e mi ritrovo davanti un mucchio di facce strane, brutte, deformi, che senza motivo mi spezzano il cuore.
Improvvisamente tutte le croste di sporcizia cominciano a staccarmisi di dosso. Croste spesse e raggrumate. Che bestia sono diventato, Myriam. Come mi sono insudiciato.
Rimaniamo in silenzio, non ci siamo ancora detti una parola. Intorno a noi la gente preme, stiamo bloccando il passaggio. Si arrabbiano. Non importa, ne abbiamo il diritto. L'hai detto tu, fin da principio: tutto quello che c'è tra noi ha il diritto di esistere. Mi ha veramente commosso il fatto che tu conceda a te stessa piena libertà di sentimenti nei miei confronti.
Mi guardi. Sei stupita che io non mi affretti a scegliere una patata dal mucchio. Io ti osservo. E allora, come se avessi improvvisamente riconosciuto qualcosa nel mio sguardo, qualcosa che io stesso non vedo, mi tendi la patata che tieni in mano. Io la sfioro appena, niente di più. E' calda, tenendola in mano le hai trasmesso un po' del tuo calore. E' calda come un essere umano. Fisso il suo viso d'angelo mongoloide, con le guance larghe e macchiate, gli occhi scuri, immersi in un sogno cieco. E' angosciante.
Perché hai scelto quella? Perché me la porgi? Voglio svegliarmi ma non separarmi da te. E se mi sveglierò, non sarò con te come lo sono ora. Guardo diritto nel palmo della tua mano. Vedo.
E' strano, Myriam, ma questo la mia penna ha scritto per te. Non mi è chiaro da dove salti fuori né perché, improvvisamente, mi senta tanto triste. Come se avessi ricevuto una cattiva notizia. E' del tutto illogico. Penso a come avrei voluto farti ridere e, alla fine, guarda cosa mi succede.
Non sono sicuro che ti piacerà questa legge dei vasi comunicanti. Cominciamo a scriverci?
24 luglio Mia cara, solo per dirti che sono qui, con il tuo foglio, nel silenzio più assoluto. Ti ascolto, non mi sei mai di peso, non mi infastidisci. E non oltrepassi la misura.
Sono già dentro di te, Myriam, finalmente dentro la tua storia. Fin dal primo momento hai avuto più ragione di me: quella è la tua vita, sono i fatti e le piccole cose quotidiane, non "un'accozzaglia sudata".
Non faccio che pensare a quello che hai detto allora: per tutta la vita hai cercato di trasformare quello che io chiamo "accozzaglia sudata" in qualcosa di più. Perché se tu dovessi rinunciare, anche solo per un'ora, a questa battaglia, tu stessa ti trasformeresti subito in "un'accozzaglia".
Come ci riesci?
Ho la netta sensazione che anche tu sia sveglia, ora. Forse i tuoi cani ti girano intorno, nervosi, chiedendosi: "Perché è sveglia? Le donne perbene dormono a quest'ora, non si aggirano in piena notte tra la cucina e la veranda".
Gli hai davvero annusato il pelo per cercare i resti del mio odore?
Te l'ho detto. Mi hanno fatto quasi morire di paura. Non fare caso a me. Farfuglio, mi assopisco sulla tua spalla, trasognato. Dopo quei giorni folli ho diritto a un borbottio sconclusionato.
Chiudo gli occhi e vedo una donna intenta a scrivere. E' notte. La lampada al neon della cucina emette un ronzio. Lei la spegne e accende un piccolo lume. Il suo viso è immerso in quella luce. Vedo solo la linea netta della mandibola, la bocca fragile e vivace; la bocca che desidero. E i capelli ribelli che cerca di domare con elastici, pettinini e forcine mentre loro non ne vogliono sapere. Sul tavolo c'è una lettera aperta. Lei le lancia un'occhiata di tanto in tanto, poi torna a scrivere velocemente, commossa. La commozione sembra proprio vibrare intorno a lei, aumenta d'intensità e per un attimo sembra spaventarla. E lei cerca di scherzare, di salvare la sua anima - senti, dove pensi di trovare al giorno d'oggi una donna che abbia il tempo di fermarsi a rimirare una patata in un negozio di verdura!?
Ma le sue labbra cominciano a tremare. Scrive qualcosa e lo
cancella con violenza. Non ha mai cancellato in maniera tanto energica. Si alza, si risiede, dice di sentire il bisogno di uscire a fare quattro passi, ma non si muove. Cerca di accumulare ancora un po' di rabbia per staccarsi dal foglio, vuole fomentare la propria collera - "e sappi, è molto importante che tu lo sappia: una donna in un negozio di verdura, almeno questa donna, prova sempre un pizzico di rabbia!".
Mentre scrive queste parole, sgorgano le lacrime e bagnano il foglio. Mi scrive la sua storia, quindici pagine, quasi senza staccare la penna dal foglio, e solo alla fine può tornare a respirare, e persino a ridere un po', evidenziando con un tratto di penna la macchia lasciata da una lacrima: "Guarda, come in un romanzo dell'Ottocento...".
Ehi, Myriam, ricordi che già all'inizio, in un momento di esasperazione, hai chiesto: "Ma tu sei sempre così? Fiamma di spada guizzante? (10) Anche nella vita quotidiana? Con tutti?". E hai chiesto com'è possibile vivere in questo modo in famiglia, e se anche Maya abbia dei ritmi del genere o se, piuttosto, io abbia bisogno di qualcuno che sia l'esatto opposto di me, che mi calmi.
E' quello che vorrei domandarti io, adesso. Ma tu sei sempre così? E come fa un'esuberanza del genere a trovare posto nella vostra casetta? E come hai potuto trattenerti fino a oggi?
Penso alla donna che ho visto quella sera nel cortile del liceo e a quella che mi strapazza ormai da quattro mesi, e posso solo ridere di me e della mia stupidità.
Non ho niente da aggiungere adesso. Volevo solo farti sapere che ho ricevuto la tua lettera e che provo qualcosa che non credevo esistesse: piacere e dolore a un tempo, proprio nello stesso punto, come avevi promesso. Mi chiedi cosa veda in te, ora. Ora che so. Dovrei scrivere dieci lettere per spiegare tutto quello che vedo. Probabilmente le scriverò, nel tempo, ma ora, cioè alle due meno sedici minuti, vedo solo una donna che, dopo avere scritto per una notte intera, posa la fronte sulla mia, esausta. Una spossatezza di anni, probabilmente, e guardandomi negli occhi dice che con quella patata ho toccato il punto esatto in cui lei è muta.
Anch'io tacerò adesso. Buonanotte. Yair
25 luglio
Continuo a ripetermi: che fortuna non avere mai fatto domande a nessuno sul tuo conto!
Perché, quando all'inizio hai chiesto che prestassi orecchio solo a quello che tu avevi da raccontare, così che nessuna storia si trasformasse in "pettegolezzo", ho riso un po' in cuor mio (ma che turpi storie avrà mai da nascondere, questa qui?).
E non mi pento di averti convinto a non incontrarci faccia a faccia e ashes to ashes. Perché non ho dubbi che, se ci fossimo incontrati di persona, non saremmo riusciti a conoscerci nel modo in cui ci conosciamo. Io mi sarei subito sentito obbligato a sedurti, a scoprirti in quel mio modo rozzo, come se tu fossi merce in vendita. Pensa cosa ci saremmo persi, quante cose non avremmo mai saputo. Non parlo dei fatti. Quelli, i fatti reali e quotidiani, li avrei scoperti anche con una breve-ma-intensa relazione. Me li avresti raccontati, avresti dovuto farlo, come succede in tutti i tradimenti. Ma allora non avrei conosciuto la tristezza che già da qualche giorno mi tengo stretta (con una sorta d'incomprensibile nostalgia). E non solo la tristezza. Tutto quello che è legato a te, ogni sentimento che susciti in me e che mi rimane aggrappato giorno e notte, senza stancarsi. Mi preme addosso il viso e il seno. Quando ti ho detto del lessico privato che volevo creare con Yidò, hai scritto che a te sarebbe sempre piaciuto che ogni granello di sabbia, ogni goccia di mare o favilla di candela avesse un nome proprio. In quel momento mi sei piaciuta moltissimo. Forse perché, per la prima volta, ho capito che sapevi lasciarti trasportare dall'immaginazione: a un certo punto ti sei messa a fantasticare di un luogo in cui gli uomini saranno occupati a dare un nome a tutto ciò che appartiene al mondo animale-vegetale-minerale, sarà quello il loro scopo primario. Mi hai trascinato per mano nel tuo giardino, passando da un filo d'erba a un granello di terra, da una goccia d'acqua a una coccinella, chiamando ogni cosa con un nome buffo. Ma allora non capivo cosa intendessi dirmi con questo (cosa capivo, allora?). Solo ora, sapendo qualcosa degli anni in cui pregavi che ogni albero si chiamasse solo: "albero", e ogni fiore: "fiore", anni in cui "sentire" era per te "vivere al di là delle tue capacità", solo ora comincio a capire che, in fondo, intendevi dirmi di avere finalmente iniziato a guarire.
Non so cosa io abbia a che fare con tutto questo, se abbia contribuito in qualche modo alla tua guarigione. Però mi commuove il pensiero di esserti vicino in questo momento, perché mi sembra che da tempo, da molto tempo, non sia successa a qualcuno una cosa tanto bella mentre io sono nei paraggi. Y'
Ho dimenticato la cosa più importante. In nome di tutti quelli su cui mi hai fatto giurare (con la solennità che si trova, credo, solo negli accordi fra Stati, o nei patti-tra-bambini); in nome delle scarpe arancioni che hai poi acquistato; in nome di Ti manderò una cerbiatta di Amir Gilboa, che ti sei comprata come regalo da parte mia; e soprattutto in nome del fatto che hai ordinato una nuova montatura di occhiali - giuro di proteggerti come un amico.
26 luglio
Ho pensato che...
No, il tono è troppo ufficiale.
Questa mattina, dal meccanico, pensavo che... Forse perché tu usi spesso questa parola, comunque mi è venuto in mente che in ebraico "maternità" suona esattamente come "mancanza di essenza". Non poche madri, immagino, hanno la sensazione che il figlio le svuoti, prosciughi la loro linfa vitale. Ma tra te e Yochai...
Ehi... è la prima volta che scrivo il suo nome. Mi si scioglie in bocca e nella mente come miele (ma anche con una punta di amaro, sì).
Potevo proprio vederlo. Tu eri con lui. Che meraviglia! E' così pieno di gioia di vivere, e ovunque vada la gente gli si affeziona. Leggo quello che racconti e posso sentire nel mio corpo la tua maternità come una sorgente tiepida che sgorga dentro di me e scorre verso di lui. Una sorgente lattiginosa e abbondante. Sento come lo circondi e lo avvolgi d'infinito amore. Sul serio, ho cercato con la lente d'ingrandimento ma non ho trovato dentro di te nemmeno una goccia di amarezza o di rabbia nei suoi confronti per quello che è successo.
Quando giocavamo a quel ping-pong di sveltine hai chiesto a un certo punto se è possibile che qualcuno possa ricominciare ogni volta la propria vita solo per rispondere al richiamo di un altro. E l'altro ieri, leggendo la tua lettera, ho capito questa domanda. Non solo "ho capito": qualcosa nel mio corpo si è un po' agitato, in profondità, ha palpitato per te (e allora, naturalmente, mi sono ricordato di quello che ha detto Ana: che durante la gravidanza il suo cuore batteva nell'utero).
Aspetto una tua lettera.
Yair
30 luglio
Sì. E' quello che ho scritto. Scusa, non stavo riflettendo (ma se dovessi spiegare, potrei farti molto più male).
Prima di tutto, hai ragione. E stupisce veramente pensare che quella frase mi sia sfuggita, come qualcosa che non deve essere verificato, o spiegato. Come fosse una legge della natura: "rabbia nei suoi confronti".
Forse perché io posso facilmente immaginare dei genitori capaci di prendersela con i figli anche in casi molto meno gravi. Con chi prendersela, altrimenti? Chi potrebbero incolpare? (No, non potrei nemmeno biasimarli.)
Scrivi che più di ogni altra cosa ti è difficile vedere un bambino in quello stato, un bambino che non sa quello a cui dovrà rinunciare, che non avrà mai una famiglia sua, che non amerà, non darà amore. Io, però, lo so, in un angolo del mio cuore, avrei provato anche risentimento nei suoi confronti.
Oppure no? Esiste forse in me un lato nobile che si rivelerà solo nel momento del bisogno? Temo di no. E allora? Non so. Come si fa a saperlo? Tu stessa hai detto che non avresti mai immaginato quanto potesse essere difficile assistere impotenti al suo estraniamento, senza nessuna speranza; e quanta forza hai trovato dentro di te, che non sapevi di avere.
Quello che dico ti ferisce e probabilmente mi disprezzerai. Parafulmine... Ma abbiamo un accordo, vero? Tutto. Altrimenti a che serve? Alla fine, forse, capirò qualcosa. E forse, finalmente, potrò respirare...
Poco fa ho fatto un piccolo esperimento con la tua lettera. L'ho copiata, sostituendo i pronomi femminili con pronomi maschili. Capisci? Come se la tua storia fosse la mia. Ho provato a raccontarti di mio figlio, Yochai.
Dopo un foglio e mezzo non ce l'ho più fatta. Per via dei suoi accessi di rabbia. A quel punto sono crollato. Quando diventa un altro e fa paura, quando d'un tratto si scatena in lui il bambino folle e selvaggio, capace di rompere e distruggere tutto quello che c'è in casa. So che non ce l'avrei fatta a sopportare il suo distacco, quando è impossibile arrivare a lui. Quando è solo furia cieca. C'è anche bisogno di una gran forza fisica per afferrarlo e calmarlo quando è in questo stato, vero? Dove nascondi i muscoli necessari?
Se potessi, ti comprerei una casa grande, enorme, capace di contenere la tua anima, e la riempirei con tutti i tuoi sogni, grandi e piccoli. Tappeti, quadri, libri e tantissimi soprammobili di ogni dimensione. Te li porterei da tutto il mondo: statuette di uccelli, grosse anfore di Hebron, barattoli enormi per i cetrioli sottaceto, specchi decorati e lampade cinesi, pizzi e merletti. E costruirei la casa con un sacco di finestre, ampie, luminose, senza grate, con vetrate multicolori.
Perché è terribile pensare a te in quella casa vuota.
Lentamente ripenso a tutto quello che hai raccontato. Dalla prima lettera. Ci metterò un po' a capire tutta la storia. Senti, ti ho letto troppo in fretta, con precipitazione, in segreto. Ho paura di aver perso troppe cose per strada. Mi riferisco alle allusioni esplicite a cui io, ottuso, indifferente, superficiale, non ho nemmeno fatto caso. Alla "realtà" che si infiltrava in ogni tua cellula, realtà che non potevi sfuggire, nemmeno con la fantasia, nemmeno nei sogni, la notte...
Niente fantasie, niente sogni. E se qualche volta ti sei lasciata andare, è stato solo per mezzo di opere d'arte, pittura, canto, musica naturalmente. Ma sempre giungeva la "realtà" a sollecitarti. Come si fa con uno schiavo che cerca di fuggire (o col fuoco rubato?). Allora, cosa ti è rimasto? Dove hai vissuto? Yair
Ha già contato fino a tre?
Una torta di panna con l'uvetta ogni due, un massaggio rilassante ogni tre?
(Quando lecchi senza sosta il suo polso, finché si calma... Come hai scoperto che lo tranquillizza? Anche questo si scopre in modo naturale?)
Salutami i tuoi tre labrador tristi. Salutami la palma. Il gelsomino. La bougainvillea. Il grande cipresso al quale è appoggiata la bicicletta di tuo marito, Amos. Salutami tutti i nomi propri.
1o agosto
A dire la verità, una volta ho incontrato Yochai. Adesso ricordo.
All'incirca un anno fa. Accompagnavo i bambini dell'asilo di Yidò in gita al kibbutz Tzuba. Abbiamo visitato il pollaio e mentre camminavamo tra file di polli, per caso, una gallina ha deposto un uovo senza guscio. La responsabile del pollaio l'ha raccolto e - non so proprio per quale motivo - l'ha messo in mano a me. Proprio a me. Non so se tu abbia mai tenuto in mano un uovo come quello. Era ancora caldo e morbido, pieno di movimento nella membrana che lo avvolgeva. Non osavo fiatare. Stavo lì, con il braccio teso e la mano socchiusa, come se mi fosse stato appena rivelato il segreto della vita. E non sapevo che quello fosse un riferimento a Yochai.
2 agosto
C'è una cosa che mi tormenta. Non ti ho ancora scritto quel che ho provato quando, la settimana scorsa, ho capito il significato della lettera in cui, per la prima volta, hai descritto la tua casa traboccante - che ora, di colpo, hai cancellato.
Io non conservo le lettere, ma ricordo bene quella casa. Non puoi immaginare quante volte ti ci ho vista, e ho camminato con te. Quelle, per me, non erano solo parole (improvvisamente mi sembra che tu non abbia capito una cosa importante) - là, quasi ogni parola scritta aveva corpo, colore, odore e suono. Io prendo molto sul serio ciò che scrivi. Pensavi forse che per me fosse solo una specie di divertimento? Un gioco di parole?
Dico sul serio, non è un caso che il quadro della donna con la mucca di Abraham Ofek sia improvvisamente sparito dalla parete vicino alla libreria. Perché, dal momento in cui me ne hai parlato, quel quadro è entrato a far parte della mia vita (non sto scherzando). L'ho cercato, l'ho trovato in un libro, mi ci sono immerso, ho lasciato che mi assorbisse e non mi sono dato per vinto finché non ho capito il motivo per cui l'avevi appeso di fronte a Tristezza di David Hirsch. Non sono un grande esperto d'arte figurativa ma c'è una corrispondenza tra quei due quadri che mi pareva di aver cominciato a capire. E adesso entrambi sono spariti. E sono spariti anche il piccolo Anello rosso di Kandinskij e la Finestra aperta di Matisse, di cui eri così entusiasta. Immagino che anche le fotografie in corridoio abbiano fatto la stessa fine, perché erano ricoperte da un vetro. Il ritratto di Virginia Woolf, per esempio. E cosa ne è stato dell'uomo di Stieglitz che scopa la strada sotto la pioggia? (Tempo fa ho trovato anche quello nel catalogo di una mostra di Parigi.) O della fotografia della mezza barba di Man Ray? Hai inventato tutto?
Anche il pianoforte che suoni ogni sera?
Almeno in cucina hai lasciato le piastrelle decorate. Vedi, forse sono ridicolo ai tuoi occhi: tu vivi in una casa difficile e arida e io mi lamento perché ti sei ripresa delle parole che mi avevi donato. Sono solo parole, dopotutto, e io sto qui a elemosinarle, come un mendicante.
Ma c'è dell'altro.
Penso alla sinfonia di colori che hai composto. Tu, che per anni non hai osato disegnare, e tantomeno dipingere, l'hai fatto per me con colori che, prima di conoscerti, non ero sicuro che esistessero.
Hai parlato di indaco, di ocra e di blu cobalto, e le parole
assumevano mille tonalità. Hai scritto di tende di bisso e di lana d'angora, hai detto proprio lana d'astrakan. Ecco, quando l'hai scritto, per un attimo ho pensato che mi stessi prendendo in giro; che stessi disegnando un palazzo immaginario. Non sono capace di resistere a una donna che sa dire "lana d'astrakan". Non so nemmeno come sia fatta una lana del genere, ma non hai idea di cosa abbiano suscitato in me quelle parole... E non solo quelle... Ogni tua frase mi stimolava, era come un viaggio di studio in cui imparavo con il tatto e l'olfatto. Ridi pure, ma questo è il mio modo, stupido e limitato, di sentire il tuo entusiasmo, la smania che traspare in te e che allora non comprendevo. Pensavo che si trattasse di esaltazione, mi sono perfino compiaciuto di questa parziale somiglianza fra noi...
Ma c'è dell'altro, qualcosa di molto diverso che mi amareggia, qualcosa fra me e te.
Ho provato una fitta di dolore e di delusione, proprio così, quando ho capito che dentro di te esiste anche la capacità di fingere. Capisci? La sorprendente disinvoltura con cui ti destreggi tra realtà e invenzione... A ripensarci, mi fa effetto scoprire che sei capace di immaginare qualcosa con tanta forza di autoconvincimento (che è fatta del materiale di cui sono fatte le menzogne). Ma non mi sento ingannato (è assurdo che tu mi abbia chiesto scusa). Non hai fatto niente di proibito, al contrario. Era la storia che volevi raccontarmi in quel momento, e probabilmente volevi anche crederci, vederla scritta, viva nelle parole. Magari ti piaceva l'idea che esistesse anche nei miei pensieri, che a modo suo fosse presente in questo mondo. E io ci ho creduto perché è il primo articolo della nostra costituzione, ricordi?
A volte provochi in me dolori simili a quelli che si provano durante la crescita - nelle articolazioni dell'anima, però. E' una sensazione strana. In ogni tua lettera imparo su di te qualcosa di nuovo e d'inatteso, ma mi separo anche da qualcos'altro che pensavo o immaginavo di te. Certi giorni sento che sono ancora molto lontano dal conoscerti come vorrei. Ed è già agosto. Yair
In ogni caso, devi sapere che anche ciò che hai descritto in quella lettera piena di cose è rimasto vivo e presente per me. Non mi è chiaro come, ma il pianoforte, i libri che tappezzano le pareti, l'anfora panciuta, i campanelli che hai portato da Venezia... Devo solo chiudere gli occhi per vedere contemporaneamente quello che c'è e quello che non c'è.
A proposito, hai portato davvero le sculture degli uccelli dal Kalahari o hai solo desiderato farlo quando ti trovavi là? Sei veramente stata nel Kalahari? Voglio dire, ci sei andata davvero con Ana, vent'anni fa, nel vostro primo viaggio all'estero (prima ancora di aver visto La Gioconda, la Tour Eiffel e il Big Ben) per osservare le "grandi piante di velvetia" di cui avevate letto nell'enciclopedia per ragazzi?
E Ana esiste?
5 agosto
Senza preamboli, una richiesta urgentissima: prosegui senza indugi, né pietà...
Non immagini nemmeno cos'hai fatto scrivendogli. Ignorandomi e rivolgendoti direttamente a lui. Nessuno mai gli aveva parlato così.
Non è solo quello che hai scritto, ma il modo in cui l'hai fatto. Perché questo bambino è stato oggetto di attenzioni, ha avuto anche cure materne e tenerezza in grande quantità, talvolta in modo perfino esagerato. Ma solo di rado ha provato questo piacere: essere capito. Che sollievo. Il sollievo dell'armatura che scopre dentro di sé un cavaliere ancora vivo.
Sì, hai visto giusto: un bambino piccolo e magrissimo, con il volto amareggiato. Un bambino sempre teso, insofferente come un vecchio, e irrequieto, terribilmente agitato. Come se dovesse sempre dimostrare qualcosa e lottare per la vita. Come facevi a saperlo? Come può una persona conoscerne un'altra? Un cospiratore, hai scritto. Ma uno di quelli che agiscono in casa, in famiglia. Sì, sì! Persino la cosa tremenda che hai detto a proposito della sua solitudine, diversa da quella degli altri bambini. Ogni tua parola è caduta esattamente dove era attesa da anni. Non la solitudine di un bambino, ma quella che prova una persona affetta da una malattia infamante (come mai non hai avuto paura di pronunciare questa parola?). E' vero, è vero, un bambino che sta attento a non indebolirsi, a non cullarsi nell'illusione che sia possibile concedersi, che esiste, da qualche parte, la possibilità di lasciarsi andare...
E' stato come se tu avessi messo un cartellino con il mio nome sul golem che sono. Ero come un recipiente fragile, una piccola cornamusa che chiunque poteva suonare. Mi basta scrivere queste parole per sentire la voglia di spaccare la faccia a qualcuno. Il mondo mi sommergeva come un oceano e si ritirava, a ondate, per poi tornare a sommergermi. Era questa la sensazione dell'essere bambino: un moto ondulatorio, morbido, infinito. E burrascoso. Hai mai provato un tale tumulto dentro di te? Forse quando eri incinta, forse durante il parto, mentre io sono sempre stato così - un maremoto. Rido ora (una risata da iena): com'è terribile che tutto questo sia finito. E com'è terribile che possa anche rallegrarmene... Perché la vita è molto più sopportabile ora. E' più facile oggi passare da un momento all'altro. E col tempo si dimentica perfino la paura di calpestare le righe fra le piastrelle. Non ci sono più coccodrilli in agguato.
Capisci, vero? Sai interpretare questo borbottio interiore? Sei tu ad aver scritto "bimbo-incandescente", sei tu ad aver intravisto la fiamma che avvampava sotto la pelle trasparente. E sai anche molto bene, forse per esperienza quotidiana, come una "fiamma strana e clandestina" possa essere di peso a un bambino. Sì, pesa e si fa beffe di lui. Lo fa impazzire e risveglia un istinto omicida che lo spinge a soffiarci sopra, per spegnerla definitivamente. Ma non come hai fatto tu nelle ultime righe... tu ci soffi sopra con cautela, e quasi con speranza, per vedere cosa succederà se, per una volta, le sarà permesso di trasformarsi in fuoco.
Non fermarti proprio ora, in piena rianimazione. Yair
6 agosto
Guarda questa fotografia. Ci ho messo un giorno intero per trovarla (l'ho cercata per via di qualcosa che era scritto nella tua lettera). L'ho scattata a Londra cinque anni fa e racchiude una piccola storia: mi trovavo lì per lavoro e una sera, mentre tornavo in albergo, ho visto un corvo piccolissimo che sembrava molto malato (un corvo piccolo e con le penne rizzate). Stava sul marciapiede, all'interno di una linea tracciata con il gesso, ormai sbiadita, probabilmente quello che restava di un gioco di bambini. Apriva e chiudeva il becco, come se parlasse. Non solo, avresti dovuto vederlo... pareva quasi perorare una causa con grande foga, come offeso, o sostenere un'accusa davanti a un giudice invisibile...
Avrebbe anche potuto sembrare divertente. Io però mi sono allontanato dal viavai dei passanti e, appoggiato a un muro in disparte, mi sono messo a guardarlo, incapace di proseguire. Ero stanco e mi girava un po' la testa, forse per la fame, ma non riuscivo a staccarmi da lui. Ho pensato di comprare del pane, per nutrirlo, ma temevo di suscitare la curiosità della gente. Mi sono allontanato di qualche passo ma ho sentito che mi chiamava, colpendomi alla schiena, e sono tornato. Mi sono detto che era pericoloso guardarlo, perché a poco a poco mi avrebbe aspirato dentro di sé e sarei rimasto lì prigioniero. Avrei cessato di esistere. Non ho idea di quanto tempo sia passato, forse solo qualche attimo. Se ne stava tra i passanti, in mezzo al marciapiede, gonfiando le piume contro il freddo, con l'aria triste e il capino - lo vedi? - piegato di lato, in segno di protesta... La gente lo scansava indifferente, con quel passo inglese misurato. Molti non lo guardavano neppure, e io, appoggiato al muro, intuivo, con una strana rassegnazione, che di lì a poco sarei crollato. Mi sarei seduto per terra e sarei rimasto così.
Ho dimenticato di dire che ero reduce da un incontro importante, avevo appena concluso un grosso affare, roba da molti soldi, uomo di mondo - bum bum, e indossavo il mio abito elegante. Niente avrebbe potuto venire in mio soccorso perché ciò che in quel momento mi aveva sopraffatto era molto più forte e più adatto a me, al gemello nero. Alla fine, con le poche forze rimaste (questa volta non esagero), ho infilato una mano nella borsa, ho estratto la macchina fotografica e ho scattato. E' stato proprio un impulso istintivo che ancora oggi non mi spiego, ma che probabilmente mi ha salvato, senza che io sapessi come. E' stato come ricevere una scarica elettrica nel punto in cui, all'improvviso, questo mio "io" traditore aveva scoperto una fenditura attraverso cui volatilizzarsi. Non ne ho una copia. E' tua.
8 agosto
Vuoi ridere? Ieri, dopo aver finito di leggere (per la quinta volta, forse) la tua lettera, ho chiuso a chiave la porta di casa per la notte e in quel momento mi è parso che in una delle siepi del giardino fosse nascosto qualcosa o qualcuno. Piccolo e nitido, anche al buio. In un primo momento mi sono spaventato, pensavo fosse Yidò. Cosa faceva lì, invece di essere a letto? Ho avuto un attimo di sbandamento, ma un istante dopo mi sono sentito come un baccello che qualcuno, con gesto rapido, apre in tutta la sua lunghezza. Perché sapevo che era lui, capisci? Il bambino che hai visto nella tua fantasia. Il bambino-incandescente...
Il bambino che una volta... Non te l'ho raccontato, vieni, mettiti comoda. Il bambino che a otto anni cercò di uccidersi in cantina - suicidarsi, lo chiamano - con la cinghia sottile e "multiuso" di suo padre. Siccome nessuno gli aveva spiegato come si fa a morire, si strinse la cinghia con forza intorno al cuore, ah, ah, si stese sul pavimento e attese la morte, in silenzio. Tutto questo perché aveva visto un vicino, un certo Surkis, che in canottiera, con la schiena pelosa e una sigaretta in bocca, affogava due gattini in un secchio di latta. Così, tanto per fare. E mentre parlava con il padre del bambino, le bolle salivano. Dopo essere rimasto a lungo sdraiato sul pavimento della cantina, un tempo infinito come non gli era mai successo, vedendo che non era morto, il bambino si alzò e fece ritorno a casa. Si sedette in silenzio, stremato, a cenare con sua sorella e i genitori. Li sentì conversare, fece tutti i gesti di un bambino di otto anni e capì - vagamente, ma capì - che, anche se fosse morto, loro non l'avrebbero mai scoperto.
E' lo stesso bambino che a dieci anni lesse Zorba il greco perché un'insegnante che amava aveva parlato del libro con entusiasmo e con le lacrime agli occhi. Lui non aveva mai visto lacrime come quelle, né in un bambino né, tantomeno, in un adulto. Erano lacrime di struggimento, una parola che non conosceva e che non avrebbe mai osato scrivere se non l'avessi scritta prima tu. A casa sua non c'erano libri. I libri sono un ricettacolo di polvere, sono sporcizia. Il loro posto è nella biblioteca della scuola. Allora rubò dei soldi dal portafoglio di suo padre, il portafoglio sacro, e per la prima volta in vita sua andò a comprarsi un libro. Lo lesse e non capì molto. Non capì nulla, a dire il vero, se non che era più bello di quello che conteneva, perché ruggiva di vita e lo chiamava per nome. Nel suo grande entusiasmo lo divorò per intero. Ci mise quasi un anno, lo terminò esattamente il giorno del suo undicesimo compleanno, come segreto regalo a se stesso.
Non è piacevole, sai. Di nascosto, a prezzo di tremendi mal di pancia che nessuna medicina poteva sconfiggere, finiva una pagina e la tagliava in pezzi piccoli e uguali, che masticava con pazienza e poi ingoiava. Una pagina al giorno, con intervalli di tre ore tra un pezzo e l'altro. Un rito preciso e meticoloso. Ricordi il libro pubblicato da Am Oved e venduto con lo sconto ai dipendenti civili dell'esercito? Quello con la copertina color senape e i bordi rossi? Un po' amara? Trecento e più pagine si masticò, per soddisfare il suo bisogno carnale di parole. Ti dirò, Myriam, ho sempre avuto anche qualche leggero sospetto su di lui. Perché già allora le sue azioni nascondevano altri motivi e dietro ogni nobile idea si intravedeva la coda di un toporagno. Quindi, forse, mangiò Zorba perché le autorità preposte alla sicurezza domestica non scoprissero, nelle loro perquisizioni in fondo al cassetto, un libro nuovo che non aveva alcuna ragione di trovarsi lì. Un libro privo del timbro della biblioteca scolastica.
Cioè: provai a falsificarne uno, certo che ci provai (non mi sottovaluterai fino a questo punto!). Sulla pagina bianca in fondo al libro disegnai un grosso timbro, ma si vedeva che era una falsificazione mal riuscita. Strappai la pagina, ma non potevo gettarla nell'immondizia, e tantomeno nel water. Com'è possibile gettare una pagina di Zorba nel water? Così, quasi senza pensarci, la misi in bocca e cominciai a masticare (lo ricordo benissimo, ora: un sapore strano, sgradevole, di polvere. Carta piuttosto scadente). Tentai anche di scrivere la dedica di un amico, ma non riuscii a contraffare una scrittura sconosciuta e allora ingoiai anche quella pagina. Così, senza volerlo, prese il via quell'idea poeto-gastronomica...
(Ho cercato per un momento di leggere con i tuoi occhi quello che ho scritto.)
Quante energie investii in quello sforzo, e quanta paura, mentre leggevo, che scoprissero la bugia e il furto dal portafoglio. In fondo è sciocco pensare che avrebbero avuto il tempo di andare a fondo di quella questione, ma la consapevolezza che sarebbe stato possibile, che non era una cosa estranea al repertorio familiare... Per nessun motivo ti racconterò dei miei genitori. Non ho genitori. Anche tu non hai quasi mai nominato i tuoi, e a ragione: cosa c'entrano con noi? Già da tempo ci siamo liberati di loro. Io, perlomeno, me ne sono liberato (be', per quanti anni ci si può trascinare dietro quelle guerre?). A parte questo... non c'è quasi nulla da raccontare. I miei genitori sono la coppia di persone più normali e forse più cordiali che tu possa immaginare. Sono il riflesso della realtà. Il signor cintura marrone e la signora guanti di gomma. Non c'è in loro alcun mistero, le loro azioni e i loro pensieri sono assolutamente trasparenti. E poi, non hanno più alcuna importanza per me, te l'ho detto. Mio padre è ricoverato da due anni in una serra-per-quelli-come-lui a Ra'anana, e mia madre si prende cura di lui con energia. Lo va a trovare in autobus, con pentole piene di cibo, e ogni giorno passa con lui otto ore nel più assoluto silenzio. Lo lava senza sosta, gli fa la barba e gli taglia i capelli, lo massaggia e non smette di palparlo. E lì lei rifiorisce (forse anche lui, non ne ho la minima idea, non lo vedo da un anno e mezzo. Che motivo avrei di andarlo a trovare?). Con un sorriso timido e cospiratore, questa settimana mi ha annunciato che ha deciso di fargli crescere i baffi.
Naturalmente ti chiederai perché decisi di non affrontarli, gridando che avevo il diritto di possedere uno Zorba tutto mio visto che ne avevo bisogno come, che so?, dell'aria che si respira, o di una medicina. Ma cosa dici? Che pretese. Io? Agivo furtivamente, in ampi cerchi, mi avvicinavo e mi allontanavo con un piacere nuovo, che proprio allora ho cominciato a provare. Il piacere dell'ambiguità, ecco un'arguta definizione (come se fosse il nome di un nuovo tipo di tè, ricavato dal succo di mandorle della mia bile, non ti pare?). Parlo di quel dolore piacevole, dolce-amaro, che si infiltra nelle viscere mentre tu, e tutto quello che sei, ti contorci e ti aggrovigli, come una piaga nell'intestino che ti risucchia, provocando fitte di dolore e d'umiliazione. Fitte che diventano familiari e che sai presto ritrovare dentro di te, e poi anche riprodurre. E' ciò che di più misero possiedi, ma anche di più intimo, una sensazione a cui fai continuamente ritorno. E come potresti altrimenti? E' sapore di casa, odore di casa, eccolo di nuovo, pungente, disponibile. Sentilo, fai la sua conoscenza: sono io, sono il mio corpo e la mia anima che si riconoscono. Posso sentire il sussurro della loro parola d'ordine (srsrsrsrsr...). Forse è meglio che indossi dei guanti quando tieni in mano le mie lettere. E' così facile trasmettere questa infezione. Io ne sono rimasto subito contagiato. Conosci il rito di scomunica che si nasconde dietro le parole "un giorno proverai cosa significa avere dei figli come te"? Sì, lo conosci. Come dici tu? Certi sguardi, certe espressioni, certi silenzi che ti riducono in polvere e cenere. Ci vuole davvero poco a rovinare un essere umano per sempre... Mi sembra che tu lo conosca quanto me: "Myriam (ti chiamava con l'accento sulla prima sillaba?), (11) cerca solo di essere diversa da quello che si racconta di te...".
In fondo non mi sorprende. A volte penso che forse, all'inizio, è stata questa tua ferita ad attrarmi. Quel sorriso da "campagna elettorale". In quell'attimo, non te l'ho mai scritto, gli angoli della tua bocca sembravano due uccellini affamati che fremono nell'intravedere le ali della madre, appena ne indovinano l'ombra. Ma tu, non so come, ti sei salvata da tutto questo. In qualche modo ne sei venuta fuori, o ti sei reinventata e la cosa ti è riuscita. Per questo, forse, hai una paura folle di tornare laggiù anche solo per un momento, persino per una lettera, e persino per me.
8-9 agosto
Troppo a lungo mi sono concesso di non arrabbiarmi per come vennero di notte a strapparmi il cervello e a impiantare il loro meccanismo di controllo. Immaginati cosa significhi leggere Zorba nell'ansia e come si possa credere che un'ansia meschina come quella sia in grado di offuscare l'occhio di sole di Zorba. Ricordi di aver ballato il sirtaki con me e con Anthony Quinn in salotto? Ma dov'eri quand'ero bambino?
Non c'era nessuno.
Leggevo soltanto quando loro non erano in casa (è definitivo: non ti racconterò di loro; ho avuto un padre e una madre ma il bambino che ero non aveva genitori. Hai indovinato: sono nato orfano). Mi sorprende un po' quanto siano ancora vivi quei ricordi, ogni volta che mi riavvicino a essi. Sigaretta?
No, no, mi ricordo. Ma ho riso leggendo che, all'inizio, senza
nemmeno pensarci, hai collegato l'odore di fumo che emana dai miei fogli alla fiamma che brucia in me.
A volte rimango stupefatto nel vedere come sei disposta a credere nella fantasia che io sono.
E se invece di queste cose opprimenti parlassimo un po' della fantasia che sei tu?
Quando mi racconti qualche particolare nuovo su di te - che prima di Amos sei stata sposata con quel genio sadico per cinque anni (siberiani); che arrossisci sempre sulla guancia sinistra; che da anni ti rifiuti di guidare; che Amos ha un figlio da un altro matrimonio. Tutte cose che non sapevo, e non potevo immaginare - sento la mia anima fare un piccolo sforzo. Come se dovessi "spingere" questo particolare dentro la tua immagine, nel modo in cui si infila un libro in uno scaffale già zeppo. Ma nell'attimo in cui lo faccio, tutto ciò che so di te si ridispone intorno a quel particolare. E già che parliamo di cose nuove e sorprendenti, permettimi di levare in tuo onore il mio berretto da jolly. Non c'è nulla da dire, questa volta è stato un KO mortale ed elegante: non mi ero proprio immaginato che quello al tuo fianco, il sublime stronzo del maglione, non fosse tuo marito (ma allora chi è? Perché lui ti proteggeva come fosse la tua guardia del corpo. Come fanno i mariti). Mi hai completamente disorientato. La tranquillità con cui descrivi, uno dopo l'altro, tutti gli uomini della tua vita: quello con cui vai a nuotare, il pittore di Beit-Zeit che ho l'impressione sia perdutamente innamorato di te, e il ragazzo cieco con cui intrattieni una corrispondenza in alfabeto Braille (l'hai imparato apposta per lui?). Ma come fai a trovare il tempo per tutti con una settimana così intensa? E ti sei dimenticata di nominare i tre ragazzi della yeshiva (12) che studiano con te i testi sacri una volta la settimana, in segreto... Comunque, mandami almeno una descrizione fisica di tuo marito, così saprò da quale ombra con il coltello tra i denti dovrò guardarmi.
Va bene, va bene, non innervosirti. Solo una punzecchiatura per il fatto che il mio errore ti ha concesso "un istante di godimento teatrale e stuzzicante", al punto che non avevi neanche voglia di correggerlo...
Hai chiesto di nuovo se mi sento ingannato e ho cercato di capire cosa sento veramente nei tuoi confronti, con tutti questi colpi di scena e rivolgimenti. Non è una domanda semplice, Myriam, e la risposta cambia, si capovolge dentro di me. Non si è ancora cristallizzata in un'idea...
Però, visto che me lo chiedi, ho pensato che invece di aspettare una risposta, potresti guardare in Family of Man (che piace molto anche a me). Ci sono un paio di foto su due pagine, una a fronte dell'altra, che amo molto: da una parte si vedono degli studenti intenti ad ascoltare un professore che non appare nella foto. Il loro sguardo è focalizzato su di lui e si ha l'impressione che l'argomento di cui parla li interessi veramente. Nella pagina a fronte, invece, si vedono alcuni membri di una tribù africana intenti ad ascoltare un vecchio che racconta una storia. Fra loro ci sono adulti e bambini. Sono nudi, come lui. Le mani del vecchio si agitano di fronte a loro e tutti hanno la stessa espressione: sono ammaliati.
(Non esiste un'ora simile) Voglio fare un patto con te.
E' un patto strano, mi imbarazza persino parlarne, ma sei l'unica persona a cui posso dire una cosa del genere.
Riguarda Yochai e l'intervento chirurgico che dovrà subire a gennaio. Vorrei darti metà della mia fortuna in quell'occasione. Non ridere, non dire nulla! Lo so che sembra idiota e assurdo - per quel che mi riguarda, consideralo come un amuleto, una forma di superstizione - ma ti prego, ti prego, non rifiutare la mia offerta (se non proprio del bene, male comunque non può farne). Non che io sia eccezionalmente fortunato; però la mia vita scorre più o meno senza intoppi e, con tutto quello che mi succede nel lavoro (irritante, ma tant'è), mi sembra che negli ultimi anni la dea bendata mi osservi con un ghigno indulgente. Devo anche ammettere di aver già stretto questo "patto" un paio di volte in passato: la prima con una signora in procinto di subire un delicato intervento chirurgico, questione di vita o di morte; e la seconda con una ragazza che non riusciva a rimanere incinta. In entrambi i casi tutto si è risolto per il meglio. A proposito, quelle due donne non sapevano che io avessi stretto questo patto con loro. Mi erano molto vicine, in un certo senso, ma non abbastanza perché potessi rivelargli il mio segreto.
Questa transazione comporta una prassi particolare: devo conoscere in anticipo la data esatta in cui avrai bisogno della mia fortuna. Allora comincerò a incanalarla verso di te (o meglio, verso Yochai). Il giorno dell'intervento mi terrò libero da impegni e mi "spoglierò" della mia fortuna per "indirizzarla" intensamente verso di lui (devi solo scrivermi per quanto tempo, dopo l'operazione, avrà bisogno di questo mio sforzo).
Non ti devi preoccupare per me in quel periodo. E' vero che nel giorno in cui mi "spoglio" della fortuna, e nei due o tre giorni successivi, mi capitano alcuni inconvenienti (è incredibile come vengano calamitati da tutte le parti). Finora, però, la cosa si è risolta in uno pneumatico bucato o in un'ispezione improvvisa della guardia di finanza, e dopo pochissimo tempo la fortuna è tornata (lo giuro!). Anzi, a mio avviso, il fatto che ogni tanto le dia una spuntatina giova molto alla sua crescita.
Non rispondere. Non dire né sì né no. Questo volevo dirti e tu ne hai preso atto.
10 agosto
Solo per dirti che, probabilmente, il bambino è tornato per restare.
A causa dei miei incubi, forse, o della nostra corrispondenza, oppure per quella notte passata correndo intorno a casa tua. Comunque da allora qualcosa in me non riesce a placarsi. Ero persino in dubbio se raccontartelo, per non concedergli il diritto di esistere sulla carta. Ma quasi ogni notte mi sento invadere da una sensazione cupa, come se un telo squarciato sventolasse nell'oscurità. Ora lui è di nuovo qui, anche in questo momento. E' già la terza notte, o la quarta, che si ostina a rimanere tra i cespugli, tremando. Vedo proprio la sagoma di un bambino nel buio, laggiù. Ora ti racconterò una cosa. Non ti ho ancora scritto niente di così folle: abbiamo un rito, io e lui, prima di andare a letto (anche se, dopo la sua prima apparizione, come un censore sovietico ho potato la siepe in cui si era nascosto quella sera). Tuttavia, notte dopo notte, lui torna e si accuccia vicino alla porta. Peccato che tu non sia qui, te lo vorrei mostrare.
Un bimbo mingherlino e leggermente curvo, con la testa china, un po' timido e un po' ruffiano. Sono io l'unico a sapere quanto sia vulnerabile e come si tormenti in continuazione, senza pietà per se stesso. E' ansioso di darsi, vorrebbe lasciarsi andare se solo, come hai detto tu, riuscisse a credere che è possibile: che c'è qualcuno a cui concedersi.
Diciamolo francamente: è un bambino anche un po' effeminato e smidollato, chiacchierone e sbruffoncello. Lo guardo e ricordo immediatamente la sensazione di essere come lui. Quel continuo brusio, una sequenza veloce di pulsazioni e di palpiti. Hai ragione:
si può vedere sotto la pelle scorticata il suo fragile cuore che batte.
Mi suscita ribrezzo (ti stupisci?) e provo l'impulso fortissimo di consegnarlo ai responsabili dell'esclusivo istituto in cui ho studiato. Lo sai, vero, che ho avuto degli insegnanti privati bravissimi? Insegnanti che mi hanno spiegato come avere un portamento corretto e una giusta dizione, cosa è educato dire e cosa è bene non dire affinché nessuno ti prenda in giro. Come tenere sempre le spalle dritte per sembrare più imponente, e la bocca chiusa per non fare la figura dell'imbecille. Sono stato educato come il figlio di un re da due dei migliori pedagoghi: i miei genitori - sia benedetta la mia memoria - al cui occhio vigile non sfuggiva alcun difetto. Con infinita dedizione sono riusciti a migliorarmi e a plasmarmi affinché potessi comparire in società senza causare troppo imbarazzo - un evento che oggi non comporta quasi nessuno sforzo particolare da parte mia. So imitare abbastanza bene la maggior parte dei gesti di un maschio adulto e normale, e come tutti porto con disinvoltura la maschera di morte.
Finché, improvvisamente, proprio vicino alla porta di casa mia, una parte difettosa del mio organismo sembra essersi liberata, scatenandosi in una danza sfrenata, la danza del somarello.
E c'è un momento...
(perché no? mi sono già spinto abbastanza in là) c'è un momento in cui si avventa su di me, senza preavviso, e io mi costringo ad avere paura. Ti prego, non dirmi che è una fantasia infantile. Lo so già. E' la fantasia della mia infanzia che mi eccita e mi congela al tempo stesso, e mi fa scorrere il sangue velocissimo per qualche secondo. Io non posso combattere contro questa fantasia. Devo vederlo, immaginarlo che esce dal buio e si avvicina. E poi, di colpo, farlo correre verso di me, verso la porta di casa mia...
Un gioco così, privato.
Cosa faresti al mio posto? Be', tu sei molto più generosa di me. Hai accettato persino di farmi entrare dentro di te. Io non ho un animo così nobile, temo. Io gli sbatto la porta in faccia, ogni sera, la sbatto con tutte le mie forze. La chiudo a chiave e vado in fretta in camera da letto. E spero solo di trovarci Maya, per guardarla un attimo, per accertarmi, ancora una volta, della realtà del suo corpo, dell'esistenza inconfutabile dei suoi piccolissimi piedi. Li fisso e mi calmo, ma subito un pensiero mi atterrisce: così piccoli, come fanno a sostenere due adulti e un bambino?
Be', bisogna andare a dormire. Non devi reagire all'idiozia che ho appena scritto. A proposito, ho letto su un giornalino di Yidò che da voi, a Beit-Zeit, c'è un'impronta di dinosauro. Lo sapevi? Milioni di anni fa è passato da voi un dinosauro e ha lasciato un'impronta gigantesca. Interessante, no? Ho anche provato la tua ricetta alla mosca tse-tse prima di dormire, ma temo di avere messo troppo liquore (e poi mi basta ricevere una tua lettera il pomeriggio per non dormire più). Basta, buonanotte!
Y'
(Bene, sono rimasto coricato un'ora per delicatezza, ma temo di non essermi spiegato.) Anzi, sai cosa? Vorrei che una volta entrasse in casa, nella mia casa. Allora lo prenderei, lo trascinerei dentro a forza, lo porterei in giro tenendolo per l'orecchio, per mostrargli tutto senza pietà: ecco il frigorifero, la lavastoviglie, il salotto con le poltrone. Ecco la camera da letto, il letto matrimoniale. Ecco una donna intensa e morbida, con i seni rotondi e belli, che adesso si sta spogliando per me. A quel punto, mentre gli bruciano gli occhi
per le lacrime trattenute, per la solitudine e il senso di estraneità, gli darei il colpo di grazia. Lo trascinerei per l'orecchio nella stanzetta in fondo al corridoio e griderei: guarda cosa c'è qui! Sorpresa! Un bambino! L'ho messo al mondo io! Guarda bene e cerca di capire che la battaglia è persa, mio caro: ho un figlio! Sono riuscito a liberarmi di te e ho fatto qualcosa di vivo e reale! Controlla, c'è il mio marchio di fabbrica, è impresso nella forma delle dita, negli occhi, nei capelli! E tutto il resto... Non lo conosci! Non ti appartiene! Avrei voglia di ficcargli la testa dentro il letto di Yidò, come si affoga un gattino nell'acqua: guarda bene, puoi persino toccare, avanti! Tocca e senti: un bambino, fatto anche dei materiali di un'altra persona che non è né me né te! Perché io, grazie alle mie capacità, sono riuscito a sfuggire al destino che avevi programmato per me e a fondermi con un sistema di cromosomi diverso, libero da me stesso, e soprattutto da te. Ho creato qualcosa con materiali buoni, sani e forti, e con una garanzia che resiste ormai da quasi cinque anni! Capisci, dolcezza?
Ma che cazzate sto dicendo?
Come se Yidò fosse la prova inequivocabile di qualcosa di mio. Non ho pace. L'aria è calda e soffocante, come se stesse bruciando della gomma.
agosto
...e questa mattina, proprio mentre stavo andando a spedirti la lettera, ho ricevuto il biglietto che mi hai scritto nella biblioteca dell'università. Ti immagino, seduta nella sala di lettura del reparto sull'ebraismo, mentre scrivi quelle frasi entusiaste e impudenti, e appena un'insegnante ti passa vicino, con uno slalom vezzoso torni, come niente fosse, a copiare un brano dalla Storia del popolo ebraico nell'antichità. Ho pensato per la millesima volta a quanto sia bello esserci trovati in questo gigantesco mucchio di piselli, e che fortuna abbiamo a essere entrambi nati nello stesso paese, a parlare la stessa lingua e a essere cresciuti sugli stessi libri di testo... A proposito: per quanto riguarda la citazione che non sei riuscita a ricordare (quando ho tentato di "immedesimarmi" in te nella lettera in cui hai raccontato di Yochai)...
Ci ho messo un po' di tempo, lo ammetto, ma già domattina all'alba sguinzaglierò i miei segugi perché spulcino in tutti i libri e nel giro di sette giorni (non più di ventiquattr'ore d'orologio) la citazione completa sarà nelle mie mani con il riferimento preciso. Promesso.
Ieri, mentre scrivevo, ho di nuovo pensato quanto sono strane le lettere. Quando tu ricevi una mia lettera io sono già altrove. Quando io ne leggo una tua, mi trovo di fatto in un tuo momento passato. Sono con te in un tempo in cui ormai non sei più. Il risultato è che ognuno di noi vive momenti da cui l'altro è già uscito... Cosa ne pensi? Forse è questa l'origine della tristezza che quasi ogni tua lettera suscita in me, indipendentemente dal suo contenuto. Persino un biglietto piuttosto buffo come quello che mi hai scritto dall'università. La vita scorre.
11-12 agosto
Rimprovera subito i tuoi tre compagni di studi religiosi per la loro ignoranza: Rabbi Nachman di Brazlev è all'origine della citazione dimenticata.
Negli scritti di Rabbi Nachman - esattamente nei capitoli dedicati alle "Donne sterili" - si parla di "uomini che trascorrono i loro giorni dormendo" in quanto dediti a vili occupazioni, a passioni meschine o a cattive azioni, oppure perché nutriti di cibi spirituali che sprofondano la loro mente nel sonno...
Occorre dunque rianimare il cuore di quei dormienti, ma con cautela, come si desta un sonnambulo. Pertanto, quando uno di loro si risveglia, occorre "ricomporre il suo viso che si era allontanato durante il sonno". E come, secondo te, Rabbi Nachman suggerisce di far questo? "...come si cura un cieco. Occorre rinchiuderlo, affinché la luce non lo colpisca improvvisamente, e occorre che la luce sia tenue, affinché ciò che vedrà non gli procuri danno. Allo stesso modo, quando si vuole mostrare a colui che è rimasto per lungo tempo immerso nel sonno e nel buio il proprio viso, è necessario ricomporlo con un racconto..."
Sai che ore sono? E chi si alza domani alle sei e mezzo? Chi trascorrerà dodici ore filate immerso nel sonno di una vile occupazione?
Yair
Hai visto? Proprio mentre chiudevo la busta una stella cadente ha attraversato il cielo!
Allora in fretta, in fretta, cosa chiedere? (Non ho nessun desiderio pronto, hai qualche idea?)
Come hai scritto? "Per aiutarci l'un l'altro a essere tutto quello e tutti coloro che siamo."
13 agosto
Ops... sono così impegnato e teso - e stanco - in questi giorni, che ho quasi dimenticato il nostro appuntamento!
Me ne sono ricordato proprio un minuto fa (è oggi, vero? Mercoledì, hai detto, alle quattro e mezzo). Allora, scusa per le condizioni non proprio conformi al tuo programma - c'è da dire che, almeno, sono arrivato in tempo. Ho parcheggiato la macchina con una brusca frenata lungo la strada che da Tel Aviv porta a Gerusalemme (sì, nel punto in cui, a destra, si vede la foresta con tutte le sfumature di verde possibili). Le macchine sfrecciano accanto a me e fanno sussultare la mia, per questo la grafia è un po' traballante. Invece di un caffè e di una buona fetta di torta berrò una Coca-Cola calda dalla lattina e mangerò qualche briciola di patatine raccolta dal sedile posteriore. Che vuoi farci? Sono uno di quei tipi terribili, sai, che a dispetto di tutto ascoltano da un vecchio mangianastri il Requiem di Verdi che la loro amica del cuore gli ha mandato (grazie!).
Vieni, vieni, rubiamoci qualche attimo. Hai fatto un'osservazione interessante alla fine della lettera...
Mi riferisco a "ora mi travestirò un po' da donna" - il breve corso di trucco che mi hai tenuto, prima di uscire per la conferenza alla Casa del Popolo. La tua indecisione tra il rossetto rosa e quello, più provocante, con una sfumatura di marrone (si abbinava con l'angora?). Non avevo mai pensato che ti truccassi. Chissà perché pensavo che... non importa. Mi sono divertito, un po' come con i tuoi vestiti. Hai un fascino particolare e ironico quando ti servi delle parole di altre donne; donne sconosciute, parole sconosciute... L'ombretto, la matita per gli occhi, e io, disteso sul letto alle tue spalle, ti guardo con le braccia incrociate sotto la testa, nella tipica posizione del maschio arrogante (sì, sì, l'ho letto: l'uomo sicuro che sua moglie si sta spogliando solo ed esclusivamente per lui)...
Le mie pupille si dilatano quando dico "uomo"? Da quando l'hai notato ci faccio sempre caso (fino a quel momento non mi ero nemmeno accorto che preferisco usare il termine "persona"). Ma perché ho l'impressione sempre più netta che la parola "donna" ti riesca difficile?
E perché te lo chiedo?
Perché so esattamente che tipo di madre sei tu. Te l'ho detto, la tua maternità emana come vapore caldo ogni volta che nomini Yochai. O qualsiasi altro bambino. Ma quando, a volte, ti capita di dire -
spesso, in verità - "la donna che sono", quasi sempre le mie orecchie da pipistrello captano una risonanza lievissima, un minuscolo spazio vuoto tra te e la parola...
Basta, sto già esagerando per un incontro a metà giornata. Noi non saremo mai bravi nei quickies (solo nelle sveltine). Sai cosa mi piace veramente nelle tue lettere? Proprio le piccole cose. La macchia di caffè, per esempio, che hai deciso di lasciare. Una macchia della realtà, hai scritto. E così ho anche avuto la fortuna di sentirti raccontare il tuo rito del caffè, a cui non rinunci mai...
Bevi, bevi.
Pensare che in questo momento anche tu sei con me, seduta da qualche parte. Dove hai scelto di sederti?
E l'odore dei tuoi fogli, ancora non te ne ho parlato... Un sottile profumo di menta, sempre lo stesso. O la fotografia di Ana ripresa di spalle con quell'enorme cappello di paglia. Sento un pizzico di nostalgia (strano, per una donna che non conosco!) e continuo a girare la foto sull'altro lato per cercare il suo viso da uccello smaliziato, il guizzo negli occhi ridenti. Ogni tanto bacio persino, con delicatezza, le sue labbra da coniglietto.
Vedi, in ogni caso ce l'hai fatta (a condurmi nella tua realtà senza rompere l'illusione). Ma il momento più difficile, quello in cui a stento sono riuscito a trattenermi dal correre da te è stato quando hai chiesto: "Questo significa che non assaggerai mai la mia minestra?".
14 agosto
Allora, cosa ne dici? Quello che più mi sconvolge è che non me n'ero proprio accorto. Pensavo fosse solo il disegno sbiadito di un gioco di bambini inglesi...
Non so perché mi intristisca così. Forse mi avvilisce la mia scarsa capacità di osservazione. Dopotutto ero là, vero? Io ero là, non tu. Eppure ho sempre la sensazione di trascurare la cosa più importante. E ora, mentre scrivo, mi torna in mente la tua domanda, quella suscitata dall'immagine dello scimmione: perché mi accontento di raccogliere le briciole sotto il tavolo di un banchetto? ("Ti riservi il semplice ruolo di valletto d'un grande amore".) Ecco, adesso anche questo mi si è legato intorno all'anima.
E pensare che tu hai semplicemente guardato, come guardi ogni cosa.
Hai guardato e hai visto.
Non hai scritto se l'avevi notato nella foto originale o se l'hai visto solo dopo, nell'ingrandimento. Voglio dire, se quello che hai notato ti ha indotto a far ingrandire la foto.
A volte, dopo aver ricevuto una tua lettera, mi dico che d'ora in avanti comincerò una nuova vita: rallenterò il ritmo. Leggerò più lentamente, ascolterò con attenzione le cose che mi dicono, così da ricordarmele anche fra un anno; mi soffermerò. Non c'è bisogno di dirti quanto tempo resisterà questo proposito.
Ora devo raccontare a me stesso tutta la storia dall'inizio, vero?
Scrivere come sono crollato laggiù, vicino al muro, senza riuscire a muovermi, uomo di mondo bum-bum. Ero impietrito. Ma non solo per il corvo, bensì anche per quella linea di gesso che oggi, solo oggi - con un ritardo di cinque anni - riconosco come un disegno eseguito dalla polizia. Una sagoma d'uomo, probabilmente un bambino (è un bambino, vero? Ho paura di saperlo) con un braccio alzato e l'altro di fianco, tranquillo.
Be', i conti con me stesso per questa criminale disattenzione li farò a parte. Decisamente sussistono gli estremi per una commissione d'inchiesta. Ma ora vorrei darti qualcosa, un regalo di pari valore, per ricompensarti di questa scoperta. Ti sei lamentata che sono un corteggiatore avaro, che non si profonde in regali. Non te ne farò. Scusami, lo sai che, se potessi, ti darei tutto. Almeno una volta al giorno mi trattengo dal comprarti qualcosa. In ogni caso, chiedi pure. Cosa potrei fare per te? Cosa potrei darti?
16 agosto Posso disturbare?
Vorrei parlare.
Prima sono uscito (sono quasi le tre del mattino, tra un po' comincerò a planare in silenzio e a cacciare piccoli roditori). Fumavo. Lui non c'era più, forse si è stancato di me. Ho cercato di riprodurlo ma dentro di me si rincorrevano solo parole. Stritolato dalle parole con le quali l'ho descritto. Come hai detto a proposito di quella scelta crudele? Mantenere il silenzio vivo e vitale o trasformarlo in parole? Non dipende più da me, temo.
Pensavo a cosa sarebbe successo se, per qualche miracolo, il bambino avesse potuto conoscere Yidò. Mi sono anche chiesto se Yidò avrebbe potuto essergli amico e, con mia grande sorpresa, mi sono risposto di sì. Sarebbero stati adatti l'uno all'altro, forse non è possibile trovarne due così adatti, come Yidò e il bambino-che-ero (perché, allora, oggi siamo così poco compatibili?). Ehi, vuoi che parliamo di bambini? Iniziare una rubrica sull'educazione dei figli? L'angolo del bambino di dongiovanni? Sappi solo che io sono il miglior padre del mondo, davvero. Tutti quelli che mi conoscono la pensano così e fino all'anno scorso, prima che gli affari cominciassero ad andare così bene, passavo un sacco di tempo con Yidò, ogni momento libero. Ancora oggi mi occupo di lui con devozione materna: lo nutro, lo vesto, lo pulisco, e persino in questo momento mi vengono le lacrime agli occhi pensando a quanto bene gli voglio, a quanto sia bello e a come io lo distrugga in continuazione. Cosa ne sarà di lui, Myriam? La linea delicata e fragile del suo mento, la sua solitudine in un gruppo di bambini. Il sorriso incerto, insicuro, che io ho creato per infierirvi contro, senza pietà. Cosa ne sarà di lui, davvero? Una volta potevo indovinare quasi ogni suo pensiero e avevamo il nostro lessico privato. Naturalmente usavamo le loro parole, ma erano nostre, perché le avevo scelte per lui dentro di me. Quasi tutte le parole che ha imparato fino a tre anni gliele ho insegnate io. Gli dicevo: "Ecco un uccello. Ripeti: uccello". E lui mi guardava affascinato, dicendo: "uccello". Solo dopo averla ripetuta la parola diventava sua. Come se io l'avessi masticata e gliela avessi messa in bocca. Era questo il nostro rituale per ogni nuova parola. C'erano persino delle lettere che volevo pronunciasse in un certo modo - una "esse" piena e non leggermente sibilante come la mia, o una "erre" gutturale e virile (come quella di Moshe Dayan, ricordi?)... Non ridere di queste stupidaggini. Mi sentivo come se gli stessi porgendo i primi mattoncini di Lego per costruire il suo mondo, e così facendo penetravo ulteriormente in lui, gli lasciavo un'impronta, esistevo in lui come, forse, non esisto in nessun altro luogo della terra.
Capisci? Improvvisamente avevo affondato le radici. Cosa non ho fatto per esistere dentro di lui! Stavo chino sul suo letto quando dormiva, gli passavo una mano sul viso e gli disegnavo i sogni con le dita. Gli sussurravo parole allegre nell'orecchio perché giungessero fino alla fabbrica dei sogni e, all'occorrenza, li rendessero più dorati. Avrei fatto qualunque cosa per divertirlo. E lui rideva con me...
Ma ecco, è finita. Va' a combattere l'ignobile prepotenza della vita! Non mi lamento, è una cosa naturale, yes, sir! Anche se ultimamente si è irrigidito e si è chiuso nei miei confronti. Se avevo affondato in lui delle radici, sono state sradicate, come ci si toglie un pungiglione. Ora il mondo intero riversa in lui parole e nomi. Ha pensieri che non conosco ma non me ne cruccio: così vanno le cose e dovrei essere contento che tutto proceda secondo la norma. La mia mano, però, non si trattiene più sul suo viso la notte, e io sono di nuovo solo con me stesso. Ti dispiace che ti racconti tutto questo? Volevi la realtà, no? Eccotela, sono fatti. Lotta contro di me per ogni cosa. Mi viene quasi da pensare che sia questa guerra a dare gusto alla sua vita. E per cosa combatte? Per come vestirsi al mattino e per cosa mangiare a mezzogiorno, per stabilire a che ora andare a dormire e che programma televisivo guardare. Qualsiasi cosa io proponga, lui vuole il contrario, e non hai idea di quanto sia ostinato (pensare che, fino a circa sei anni fa, non esisteva ancora, suddiviso fra me e sua madre).
E più lui si intestardisce, più io divento irremovibile. Mi fa diventar matto il fatto che un bambino così piccolo stabilisca improvvisamente di sapere già tutto meglio dei suoi genitori, e allora mi scateno, grido e lo offendo. Come un rinoceronte impazzito mi avvento su questo bambino per sopraffarlo, calpestarlo, umiliarlo. Terribile, vero? Poi spiego a me stesso, con una logica di ferro, che dopotutto, con questo atto di sopraffazione/umiliazione, lo educo a riconoscere il principio fondamentale della vita bla bla, rendendolo consapevole dell'essenza dell'educazione: che alla fine devi arrenderti davanti alla forza, alla stupidità, all'arbitrio. Perché così va il mondo ed è importante che lui lo capisca fin dalla più tenera età, per evitare che questo mondo lo distrugga quando la cosa potrebbe fargli molto più male...
(Come dici tu? "Ora parli dal sacchetto pieno di liquido amaro che hai in fondo alla gola".)
Io vorrei insegnargli il contrario, istruirlo a volare alto, a spiegare le ali sopra di me, a infischiarsene delle ansie e della vergogna, a essere se stesso, a fare esattamente quello che il cuore gli comanda. Ma ho sempre una mano armata che mi punta alla gola, e mi trattiene: la mano di mia madre, il pugno di mio padre, il braccio armato della mia famiglia. Io stesso non credo a quello che dico in quei momenti. Cose che, da bambino, ho giurato di non ripetere. Ma non sono capace di trattenermi e recito, con tono gelido, quei copioni familiari. Potrei spaccarmi la faccia in quei momenti... Perché lotto contro mio figlio? Senti, perché non lasciare che un bambino, erede di questa spregevole dinastia, cresca così com'è, così come ero io, come ero quasi riuscito a essere: fragile, delicato, sognatore, senza pelle, poliedrico? Per quale motivo l'ho sgridato quella volta che piangeva perché avevamo buttato via la vecchia poltrona? Per quale motivo lo costringo a mangiare la carne, che gli fa schifo? Per quale motivo mi fa uscire dai gangheri il fatto che non accetti il suo ruolo nella catena alimentare? E gli ficco in bocca il pollo con le dita, proprio come mio padre faceva con me. Di' "uccello": "uccello"!
Forse è meglio che continui domani.
No, domani cadrà la pioggia e cancellerà tutto, mentre ora questa cosa sale e mi sommerge. Ti risparmio la maggior parte di quello che mi accade nel quotidiano, la mia scorza in qualche modo funziona - questa è una buona definizione. Ma il bambino che ho visto nelle ultime notti aveva un'aureola di calore che emanava dalla sua pelle sottile e mi atterrisce capire, adesso, che lui esisteva veramente, che non aveva scelta (l'hai detto tu: come una tazza di porcellana in una gabbia di elefanti) e che c'è ancora in lui il bisogno di aggrapparsi a qualcuno, di fondere la sua anima con quella di un altro, senza nascondere nulla. Di permettere a tutto ciò che balena laggiù, nel buio delle sue fantasie, di fluire, evitando così che i sentimenti più delicati finiscano nella fossa dei luoghi comuni. Non sai quante incomprensioni, quanta rabbia, quante infrazioni all'ordine pubblico causino atteggiamenti come quelli, violazioni della legge tribale...
Come sono stati meravigliosi i suoi primi anni (sto parlando di Yidò). Gli ho dato tutto me stesso. Ero un vulcano d'invenzioni, di storie e gioia di vivere. Mi svegliavo la notte e sentivo il mio cuore colmo d'amore per lui. Chi ricordava più quanto amore c'è laggiù, sotto l'involucro impermeabile della pelle? Chi ricordava più questa sensazione, quando l'anima si riempie e trabocca fino a raggiungere gli argini del corpo? Perché io ero un bambino pieno d'amore - che strano, non ci ho mai pensato con tanta semplicità. Non l'ho mai ammesso così, come un dono. Mi sono sempre considerato un bambino difficile, complicato e cattivo, come tutti dicevano con un sospiro profondo, affermando una verità incresciosa con la quale occorreva, in qualche modo, convivere. Un bambino un po' anomalo, certo non quello che i suoi genitori avevano sperato. Un bambino che ogni giorno doveva mostrarsi comprensivo con loro, costretti a crescere una creatura tanto strana di cui vergognarsi...
Basta.
Senti, anche questa lettera mi porta... voglio dire, non avrei mai pensato che saremmo arrivati a questo. Avrei voluto invece scrivere di te. Indovinarti, come tu hai indovinato me. Indovinarti donna, e più ancora: bambina (comincia a sembrare un incontro tra pedofili). Ma forse non ne sono ancora capace. Non ne sono capace!
17 agosto
Solo per riferire che questa mattina ho mantenuto il patto e ho letto il racconto, in un posto bello, come desideravi. Sono andato alla diga e ho trovato la tua sedia abituale, il vecchio sedile di una macchina. Ho riconosciuto il biancospino (o il corbezzolo?), l'ho chiamato per nome, ci siamo abbracciati con sentimento, ho sminuzzato la salvia, ho sussurrato cisto, o ginestra o cisestra.
Spero che non ti arrabbierai per questa incursione nel tuo territorio. Mi hai "portato" qui tanto spesso, hai letto le mie lettere a voce alta, ti sei confidata con la diga e la valle deserta lì davanti... E siccome hai deciso di presentarmi "ufficialmente" a questi tuoi parenti, ho pensato che fosse venuto il momento di farmi vedere.
D'inverno questo posto è bellissimo, sembra un fiordo norvegese tra le colline di Gerusalemme. E' un po' difficile immaginarlo ora. La diga taglia la valle come una cicatrice dopo un intervento chirurgico. Ora, con questa siccità, i tuoi parenti hanno un aspetto piuttosto desolato (come hai detto una volta: si realizzano con la pioggia, in inverno).
Senti, ho letto tutto il racconto, addirittura a voce alta. Non mi stupisce che da anni tu non riesca a rileggerlo. L'unica consolazione che posso darti è che oggi ha fatto male anche a me, inaspettatamente.
Hai chiesto che ti riferisca tutto nei dettagli, senza commiserazione.
Ricordi il momento in cui la madre di Gregor lo vede per la prima volta (dopo che lui si è trasformato in insetto?). Si guardano, lei grida "Dio mio!" e indietreggia, finché inciampa nel tavolo e si siede (confusa, quasi svenendo).
La parte più difficile ai miei occhi è sempre stata la lunga agonia di Gregor. Ma questa mattina, quando sono giunto al ribrezzo della madre e al "Mamma, mamma, bisbigliò Gregor, alzando lo sguardo verso di lei"... Tu pensi che se lei non avesse provato un tale ribrezzo avrebbe potuto salvarlo dalla tragedia?
Be', io so che se l'avesse "riconosciuto" (o, per usare un tuo termine, "accettato") non sarebbe più stato un racconto di Kafka ma una storia per bambini. Come quella di Momintrol, per esempio. Un abbraccio. Ti ho lasciato un biglietto da qualche parte (qui intorno), nella zona della diga. Vedremo se riuscirai a trovarlo.
17 agosto
(12,15, vicino alla diga)
M'
Nella tua ultima lettera non hai sorriso nemmeno una volta. Mi è sembrato addirittura che ce l'avessi un po' con me. Forse perché, a causa mia, quella tua vecchia ferita, la ferita ancora aperta della tua infanzia, ha ripreso con prepotenza a farti male. Non so. Oppure è a causa di quello che hai detto una volta, all'inizio: che in me c'è qualcosa che tu sei sempre stata costretta a nascondere.
(Ma non hai detto cos'è.)
20 agosto
Perché ti ostini? Vuoi incontrarmi "nella mia interezza"? Un incontro come si deve? Senza decidere in anticipo cosa accadrà? Senza scartare a priori alcuna possibilità? "Nella mia interezza" - vuoi dire la mia anima e il mio corpo? Uaohhh! Un magnaccia turco dallo sguardo languido e con i baffi pendenti sguscia via come una donnola e fa balenare ai tuoi occhi un mazzetto di fotografie che mi ritraggono nudo, in pose provocanti. Ma non credergli, è solo un fotomontaggio ed è meglio controllare la merce. Forse è arrivato il momento che io metta in tavola le carte (mescolate alla rinfusa) affinché tu possa riconsiderare la tua proposta. Perché io ho un corpo e una faccia che non mi appartengono. Probabilmente c'è stato un errore - tremendo, ridicolo - nella beffarda lotteria della vita. Mi hanno trapiantato un corpo e una faccia, ma la mia anima li rifiuta già da anni...
Su, Myriam, allontanati e copriti le orecchie con le mani perché, per una volta, devo dirlo dal sacchetto in fondo alla gola: quand'ero bambino avevo l'anima di un vulcano - fuoco, lava e pietre incandescenti che si fondono. Picasso, il re Davide, Maciste e Zorba, tutti insieme. E avevo un corpo e una faccia. Be', tu sai già cosa penso di loro. E dentro di me, le mie nove anime guizzavano come lingue di fuoco, e questo solo contava. Laggiù era la felicità, perché ancora non sapevo che aspetto avessi, capisci? Non ero stato formulato e definito da ogni angolazione possibile (perché non obbligano la gente a ottenere una licenza per l'uso di determinate parole, così come è richiesto il porto d'armi?). Allora non c'era niente che potesse ostacolarmi e la questione era solo cosa scegliere: spionaggio, arte, corpi speciali, viaggi, crimine, amore. Certo, l'amore: è in me da che sono nato. Non puoi immaginare che figure abbia fatto fare ai miei genitori quando andavo ancora all'asilo. Un pupattolo di quattro anni che già allora riversava tutto il suo affetto su chiunque non fosse fuggito abbastanza in fretta. Ma non fraintendere: la maggior parte dei miei amori non si accorgeva nemmeno della mia esistenza. A tutt'oggi sono costretto a irrompere con prepotenza nel campo visivo di una donna se voglio che mi rivolga uno sguardo - come tu sai bene. Nei pensieri e nelle fantasie, però, non conoscevo limiti. E ho sempre avuto la certezza, immotivata, che tutto ciò che mi accadeva nel frattempo era solo un prologo, un esame in attesa del momento in cui la vita sarebbe finalmente cominciata, e allora sarei balzato fuori dal bozzolo, mi sarei liberato del piccolo giudeo pallido del ghetto e sarei stato Tarzan e leone a un tempo, avrei fatto brillare il fuoco che bruciava dentro di me... Ah, quelle visioni. Potrei urlare per la nostalgia che ne provo, lingue di fuoco grandi, rosse e gialle, che guizzavano, stuzzicandosi l'una con l'altra...
Nel frattempo, tuttavia, occorreva abbassare la testa e soffrire in silenzio. Ad esempio, quando papà, per mesi, si rivolgeva a me al femminile, Yaira vai e Yaira vieni. Perché? Così. Perché mi aveva visto fare a botte con un bambino del quartiere, sul marciapiede davanti a casa. A dire la verità, l'avevo atterrato subito; era successo un miracolo, il cielo aveva avuto pietà di me e mi aveva mandato un ragazzo più debole. Dopo averlo buttato a terra, mi ero subito rialzato e me n'ero andato, lasciandolo là steso a piagnucolare senza rompergli le ossa, come avrebbe fatto un vero uomo, senza strappargli le palle e senza fare tutte le altre cose che mio padre, intento a osservarci da una finestra, avrebbe voluto che facessi. Ricordo che, durante la lotta, alzai un momento la testa e vidi il suo viso, il viso di mio padre, oltre il vetro, che si contorceva, illividiva e s'increspava, come divorato dal fuoco. Senza rendersene conto si ficcò i pugni in bocca e io lo vidi affondarci i denti, con un misto di sete di sangue e di angoscia, l'angoscia del cucciolo abbandonato. Il mio povero papà.
Quando tornai a casa, mi aspettava reggendo la cintura marrone e sottile che sfilava dai passanti con un secco strappo, e mi frustò ciecamente. "La marrone fece gli straordinari quel giorno" - così ci divertiamo, in famiglia, a definire ancora oggi casi simili. Non importa. Mi frustò, e quando non gli bastò più, mi si scagliò addosso con i pugni che aveva morso fino a farli sanguinare, mentre il suo corpo, piccolo e debole, fremeva, si dimenava e si scatenava, e gli occhi erano iniettati di sangue... Un uomo che, in vita mia, non ho mai visto fare a botte con nessuno. Anzi, un uomo sempre accondiscendente, comprensivo e ossequioso se qualcuno si intrufolava davanti a noi nella fila fuori dal cinema, o se gli bloccavano la macchina parcheggiata. Avresti dovuto vedere come era umile con il suo capo, il brigadiere generale, e con il figlio di costui. Una volta, quando uno stronzo nostro vicino, quell'assassino di Surkis, mi diede una sberla in mezzo alla strada perché l'avevo disturbato durante le ore di riposo pomeridiano, mio padre si affrettò a rientrare dal balcone, facendo finta di non avere visto. Ma io, lui, l'avevo visto. Non importa. Mi picchiò e io mi rannicchiai, continuando a ripetere che era giusto così, che deve essere così, i padri picchiano i figli, che cosa pretendevo? Che fosse il contrario? Dopotutto, questa cosa faceva solo parte dell'esame. Così pensavo mentre mi colpiva. Ma di cosa stavamo parlando?
Di te che vuoi incontrarmi "nella mia interezza", e che hai chiesto di incontrare il bambino che ero per riconciliarmi con lui, perché io lo veda diversamente da come lo vedevano in casa dei miei genitori. Ricordo ogni parola di quella lettera. Su un lato hai annotato a matita che, in ogni caso, non ci incontreremo come due pedofili. "Sono di nuovo le loro parole, Yair, noi ci incontreremo come due bambini." Vedi, mi ricordo. Non puoi sapere quante tue parole io ricordo a memoria, parole e melodia. "Non ce la faccio più così - la lontananza da te, questa astrazione - perché non riesco a contenere tutto quello che sta succedendo: ho veramente bisogno di un contatto diretto. Di un contatto diretto con te. Basta, vieni con il tuo corpo, nella tua interezza, nella tua concretezza, completa o parziale, divisa o moltiplicata. Ma vieni a braccia aperte. E se per te è difficile, ripeti a te stesso che Myriam vuole incontrare il bambino che eri, vuole lodarlo, a dispetto delle tue calunnie. Sono sicura che è un bel bambino..."
Ancora una volta, Myriam, mi apri con chiavi segrete. Come fai a conoscermi così bene? Ascolta una storia.
(No. Dev'essere in un'altra lettera. In una busta diversa. Perché è una storia diversa.)
20 agosto
Una volta, una sera, quando aveva all'incirca dodici anni, quel bambino rientrò dopo aver visto un film con Shay - il suo migliore amico, fino a quando si arruolò. Si separarono vicino alla casa di Shay e il bambino proseguì da solo. A casa lo aspettavano, tu già sai chi. C'è da stupirsi che camminasse adagio?
Guardalo. Cammina da solo in una via secondaria, cercando di conservare la dolcezza del film che, sull'autobus, gli scherni e le risatine di tre teppistelli hanno un po' vanificato. Se la sono presa solo con lui, mentre Shay è rimasto seduto con le gambe che tremavano. E lì, come una bolla di chewingum che scoppia all'improvviso e ti si spiaccica in faccia, in un lampo è svanita la loro celebre arguzia, la prontezza con cui rispondevano ai compagni o agli insegnanti.
Il bambino camminava per la strada deserta sforzandosi di dimenticare la sensazione provata quando Shay si era girato dall'altra parte, cercando di non farsi notare. Sapeva che avrebbe fatto lo stesso al posto suo. E pianse, maledicendo la sua debolezza, facendo voto che, da quel giorno, non avrebbe più rubato i soldi dal portafoglio sacro per comprare dei libri. Da allora in poi avrebbe rubato per comprare un estensore, si sarebbe esercitato giorno e notte come una bestia per gonfiare i muscoli. Ma sapeva che anche questo non l'avrebbe aiutato, perché non aveva dentro di sé l'elemento che connette i sogni con i muscoli, trasformando il Tarzan interiore, che ti ruggisce in cuore, nel pugno in grado di spaccare la mandibola di un gradasso sull'autobus. Quel misterioso elemento che fa la differenza tra un individuo e un uomo. Anche se gli capiterà di picchiare qualcuno, sentirà subito che non gli è naturale. Mentre era immerso in queste riflessioni, vide due donne venirgli incontro, una giovane e una vecchia. Non proprio vecchia, anziana. Camminavano tranquillamente a braccetto, conversando tra loro sottovoce e irradiando un certo calore che lui sapeva subito percepire.
Quando passò accanto a loro (con i pantaloni di terital delle grandi occasioni che suo padre l'aveva obbligato a indossare, e ben pettinato con la riga di lato) gli parve che una, non riuscì a vedere quale, mormorasse all'altra: "Che bel bambino".
Be', ho cominciato, allora non ho scelta, vero? Il bambino fece ancora qualche passo prima di realizzare cos'avevano detto, poi si fermò. Ma siccome si vergognava di rimanere impalato in mezzo alla via, si trascinò fino a un portone e rimase là, al buio, tremando e assaporando quelle tre parole...
Naturalmente, dopo un secondo, cominciò a torturarlo il dubbio di non aver sentito bene - chissà se una delle signore aveva realmente pronunciato quella frase. Magari l'avesse detta la giovane! Sapeva che le donne anziane sono più indulgenti con i bambini, e se fosse stata la giovane, la bella, la moderna, allora, forse, la sua situazione non era disperata, perché lei era obiettiva. Non lo conosceva e non l'aveva mai visto. Eppure aveva sentito il bisogno di dire quella frase, senza nemmeno pensarci, e quindi ciò che aveva detto assumeva un valore quasi scientifico.
Ma l'aveva detto davvero? Il bambino non ne era affatto sicuro. Forse stavano parlando di un film che avevano visto e avevano fatto un commento in proposito. Oppure avevano solo detto: "Che bel giardino" o "Chissà se c'è un medico vicino". Forse stavano parlando di un altro bambino.
E' un po' stupido dilungarsi su questo episodio, vero? Ma questo è il punto, capisci: quelle parole non avevano mai visto la luce. Solo buio e ancora buio, in proiezioni ininterrotte.
Cosa fece allora il bambino? Rimase in quell'androne scuro, tremando. Stava male e si sentiva confuso, indeciso se rincorrere le due donne e dire loro, con voce pacata e adulta: "Scusatemi, ma prima, quando vi sono passato vicino, una di voi ha fatto un'osservazione riguardo a un certo bambino. Un'osservazione casuale, è vero, ma per una rara coincidenza ha una suprema importanza. Rappresenta una questione di vita o di morte che è difficile spiegare in questo momento. Qualcosa che ha a che vedere con la sicurezza. Allora, per favore, anche se vi sembra un po' strano, potreste ripetere quello che vi è sfuggito mentre vi passavo accanto?". Si mise a seguirle, adagio, e poi, di colpo, cominciò a correre. Si fermò, poi riprese la corsa, confuso e ansimante, per poi voltarsi di scatto e tornare velocemente nell'androne, immobile davanti al muro, fremendo come una preda che è appena scampata alla morte. Non gli importava più che qualcuno passasse e lo vedesse: quelle tre parole - che forse aveva sentito, che sperava di aver sentito - aleggiavano intorno a lui con folle gaiezza, come tre uccelli in un giardino ghiacciato...
Cosa avresti fatto al suo posto?
Lui sapeva che, se avesse ritrovato le due donne, non avrebbe osato chiedere nulla, perché chi chiede apertamente una cosa del genere si condanna al disonore per l'eternità. Se poi entrambe (anche la giovane) gli avessero detto che il bambino, il bel bambino, era proprio lui, non avrebbe comunque potuto crederlo, perché le donne avrebbero avuto il tempo di guardarlo e di capire tutto. Era impossibile guardarlo senza capire, e a quel punto gli avrebbero mentito, per pietà. Credi che oggi non le rincorrerei, supplicandole di dirmelo? Le rincorro ancora, non è trascorso nemmeno un giorno da allora.
Ehi, sei ancora lì, vero?
Di colpo mi sento tanto debole.
Mi rallegra il fatto che ti piaccia il mio nome. Non l'ho mai
pensato come un nome rivolto al futuro o come "una vera promessa". (13) E mi sento ancor più sollevato dal fatto che hai smesso di chiederti se Wind è il mio vero cognome. L'importante è che il mio nome ti illumini...
Mi ci sono voluti mesi per scoprire i fili invisibili del tuo umorismo. Un umorismo particolare, che si intrufola nelle tue lettere come fischiettando e con le mani in tasca...
Senti, ti sei accorta che da quasi un minuto cerco di nascondere una felicità improvvisa e assurda? Le lacrime hanno lo stesso sapore, ma è come se sgorgassero da punti diversi... Uno sbocco di felicità che non ha giustificazione nelle cose che ti ho raccontato - semmai nel fatto incredibile che te le ho raccontate. All'erta! Tutti i reparti, allarme generale! Fuga di felicità! Cercherò di individuare subito il guasto!
No invece, no. Niente allarme generale. Voglio che questa felicità fluisca e voglio farmi trasportare da lei. Non importa che alle mie spalle i cani digrignino i denti e che sulle recinzioni di filo spinato appaia la scritta "la famiglia rende liberi". Senti, forse, nonostante tutto, tenterò la fuga. Non so se ci riuscirò, ma questa volta ho un aiuto dall'esterno. Qualcuno mi aspetta dalla parte illuminata. Ecco i tuoi regali, non ho paura di nulla, sono disposto a gridare con tutte le mie forze che lo voglio, è possibile, io e te ci verremo incontro e ci troveremo a metà strada, è una cosa meravigliosa che può anche succedere.
Ho bisogno di rimanere solo con me stesso.
Shalom, Myriam.
Yair
(Adesso, veloce, da' un'occhiata all'interno e guarda un po' com'è dentro, quando il veleno del sacchetto si riversa nel sangue. Una ripresa in diretta del momento in cui si compie il crimine: è una stanza bianca, quattro muri senza finestre, non un quadro. Su ogni parete c'è un occhio piccolo e vigile: quattro occhi spalancati, privi di palpebre e di ciglia. Niente pause, le palpebre non si chiudono nemmeno per un istante, gli occhi hanno tutti lo stesso sguardo, fisso, immobile, congelato. Sul pavimento si aggira un toporagno cieco.)
21 agosto
Non spaventarti, non è un'altra epopea, solo il bacio della buonanotte.
Una volta hai riso dicendo che le mie lettere sono come una
matassa. Lo so, sono talmente aggrovigliato che ora, forse, non è più possibile districarmi. Non cerco nemmeno di convincerti a provare, ti chiedo solo di tenere in mano quella matassa per un attimo, un altro mese, quanto potrai. E' una richiesta non da poco, lo so. Ma ora ti trovi alla giusta distanza tra la mia infamia e il mio orgoglio (non sei più estranea, a questo punto), e non puoi sottrarmelo. Come potrei guardare Maya negli occhi se ti facessi entrare nella stanza del toporagno cieco? Lei è la mia donna, io sono il suo uomo. Quando sono con lei, non mi si dilatano le pupille nel dire "uomo". Yair
23 agosto
Grazie per avere risposto così in fretta. Hai certamente inteso come mi sono sentito dopo quella lettera. Oggi voglio solo accarezzarti, consolarti, consolarmi... Hai messo molto di te in ciò che hai scritto, mi hai raccontato di quando eri bambina, di tua madre, di tuo padre - finalmente qualcuno di tenero e affettuoso (mi ero proprio sbagliato sul suo conto. Me l'ero immaginato stizzoso, ficcanaso e acido, forse perché di lui conoscevo solo quella frase: "Perché non sei felice, Myriam?"). Non pensi che fosse solo troppo debole rispetto al compito che doveva assolvere, cioè proteggerti da lei?
Comunque, è meraviglioso: da me era molto diverso che da te, eppure entrambi "ci siamo sentiti a nostro agio" in casa dell'altro. E quando hai parlato della solitudine in mezzo alla gente, e di come dovevi lottare per un po' di intimità, ho pensato: che bello, dei milioni di persone che vivono in Israele, solo noi due sappiamo che aspetto avesse la vincitrice della gara di mungitura nello Chang-She...
Perché solo chi non è cresciuto in una casa simile può pensare che c'è una netta distinzione fra "solitudine" e "lotta per l'intimità", non credi? Mentre chi vi è cresciuto sa bene che sono collegate, perché vive quella contraddizione sulla sua pelle, ne subisce le lacerazioni. Annuisci soltanto.
Come hai fatto a resistere? (In verità vorrei gridare: cos'hai in comune con quella donna? E com'è possibile che tu, proprio tu, sia figlia sua?) Chissà che sforzi avrai fatto in quegli anni per cercare di avvicinarti a lei, per farti amare. E' davvero sorprendente che tu, così giovane, cercassi di rassicurarla, di farle capire che non doveva preoccuparsi per te... E la "restaurazione"? La restaurazione di cui parli sempre? Non c'è stata, in questo caso?
Capisco anche la sensazione di tradimento che provi quando mi parli di lei. Ohi, Myriam, ohi. The ohiness of life. Fai sempre le domande più difficili, sapendo già che non saprò risponderti. Posso solo sederti accanto e piangere con te, mentre ci domandiamo per l'ennesima volta: perché è così? Perché non riusciamo a produrre dentro di noi la materia prima di cui abbiamo maggiormente bisogno? Mi chiedo, però: com'è che sai dare, e così bene, ciò che non hai mai ricevuto?
Tra poco devo uscire (una riunione di genitori all'asilo, in preparazione dell'ultimo anno). Ci sono ancora un sacco di cose da dire. Forse hai ragione tu nel sostenere che un incontro "a metà strada", come ho proposto, non basta più, che il vero incontro avverrà solo se ciascuno di noi compirà tutto il cammino verso l'altro. Come vorrei poterlo dire con la stessa convinzione. Lo vorrei più di ogni altra cosa, ma credo di non avere mai percorso un tragitto così lungo. Adagio, adagio, va bene?
Leggo quello che scrivi e mi accorgo che la mia storia è più semplice e banale della tua (magari io racconto la mia in maniera un po' più drammatica...). Poi noto che al fondo, nel suo nocciolo amaro e disgustoso, somiglia un po' alla tua. Allora mi viene in mente che decine, forse centinaia di volte in vita mia, ho smerciato la mia storia, con le sue vicende commoventi, per far colpo su qualcuno (soprattutto su qualcuna). Negli ultimi anni ho persino smesso di provare nausea per questo. Ma non ho smesso di sentire che a quelle donne racconto la mia storia come una lucertola rinuncia alla coda, per salvare l'anima. Mentre a te vorrei darla, perché è il contratto che abbiamo stipulato: anima per anima. Forse un giorno, quando sarò cresciuto, potrò farti il dono che ti aspetti e ricomporrò il tuo viso con questa storia.
26 agosto
Scusa, scusa, scusa, hai ragione, non ho niente da dire a mia discolpa. Giornate frenetiche. Lavoro e sono impegnato dalla mattina alla sera. Non ho quasi il tempo di mangiare. Mi ricordo di noi e sono ancora con te (non preoccuparti). Tra poco scriverò una lettera come si deve. Ma in questo momento proprio non esisto. Reggi il ponte dalla tua sponda (ne sei molto più capace di me) e permettimi solo di ricordarti - poiché rimango un egocentrico anche nei momenti di maggiore modestia - che hai promesso di raccontarmi come ci siamo incontrati, tu, tua madre e io, mentre tornavo a casa dal cinema quella notte, ricordi? Y'
A proposito, per quanto riguarda la tua domanda alla fine, in caratteri cubitali (come mai ti è venuto in mente di chiederlo proprio adesso?), ho diverse risposte.
La prima (destinata al grande pubblico): ho cominciato così, senza motivo, solo perché mi era comoda, un inverno in cui ero riservista, e da allora è rimasta.
La seconda (che merita di essere pubblicata su "L'Eco del Pedagogo"): vedi, Myriam, è ovvio che da un punto di vista lo-gi-co io capisca perfettamente lo scopo del tuo discorso - breve, appassionato e pieno di buoni propositi. Vorrei davvero potermi riappacificare con me stesso, osservarmi con occhi indulgenti: dopotutto anch'io, come te, ho "una persona che mi osserva dall'esterno" con occhi amorevoli, che mi vedono persino bello. Sono anni che ci prova, con tutte le sue forze e con tutto l'amore di cui
il suo sguardo è capace. Eppure non ce la fa, è un dato di fatto. Neanche per un attimo riesce a far sì che io mi guardi con occhi diversi, facendomi vedere quello che lei (probabilmente) vede. Terza risposta (riservata a te): ma tu capisci, vero? Perché tu sei la bambina e la ragazza che "ridistribuiva le bruttezze" dentro di sé, spostandole dalla punta del naso alle cosce... Mi hai pure scritto di quel disagio fisico, che sembrava "gocciolare" da te in modo visibile a tutti. Anche quella è una sensazione che conosco - intendo la sensazione che dentro di te si annidi un'onta, come io la definisco. E quell'onta ha piena libertà di movimento. E' qualcosa di mio ma anche di estraneo. E' stata trapiantata in me e il trapianto è inaspettatamente riuscito. E proprio nel punto in cui sceglie di trovarsi in un determinato momento avviene l'incontro di cui ti ho parlato una volta - là il mio corpo e la mia anima si incontrano, sussurrando una loro parola d'ordine...
Pensi anche tu che in quel momento il resto del corpo non esista? Che di colpo i nervi si tendono e il sangue fluisce tutto verso il luogo di quell'incontro? (Come quando, da ragazza, ti sentivi troppo alta e ogni volta che entravi in una stanza piena di gente ti incurvavi un po' per sembrare più piccola.)
Bene, questo vale come risposta alla tua domanda (formulata con voce nasale, un po' censoria): "Come mai ti fai crescere la barba?". Y'
1o settembre
Ma ti sei resa conto di cosa hai fatto?
Le hai già telefonato?
Com'è potuta succedere una cosa del genere? La tensione per l'inizio dell'anno scolastico o cos'altro?
Ho persino paura di chiedere cosa contenesse la lettera destinata a me (le è già arrivata...?).
Da un lato, sai, è l'avverarsi di tutte le mie paure; dall'altro, in qualche modo, è persino divertente: in fondo, se abbiamo scelto di tornare indietro di cent'anni intrattenendo un rapporto epistolare, dovevamo anche aspettarci un errore come questo, tipicamente ottocentesco.
Però, considerando la cosa da un terzo punto di vista... chissà perché mi fa anche piacere. Come se all'improvviso potessimo esistere anche in un luogo "oggettivo", con una testimone esterna, viva e reale.
Muoio dalla curiosità di sapere cos'ha detto, come ha reagito.
Manterrà il segreto, vero? Di Ana ci si può fidare, lo so. Ma com'è che non mi hai detto che è partita? Solo pochi giorni fa hai citato la lunga conversazione che avete avuto a proposito del folle amore tra quelle due (Vita Sackville-West e Violette). Mi hai detto anche di averle letto interi brani del libro, e Ana ha confessato di cercare da sempre la forza dell'amour fou, parlando del coraggio di essere onesti fino in fondo, nei sentimenti. Ma nella lettera non hai nemmeno accennato al fatto che questa conversazione si è svolta nel corso di una telefonata intercontinentale. Sembrava anzi che vi trovaste nella stessa stanza!
E in che parte del mondo sta veleggiando? E quanto starà via? A giudicare dai tuoi sospiri, si direbbe che è partita per qualche anno! Mi chiedo come fa una donna sola a partire così, all'improvviso, per un lungo viaggio, e con un bambino piccolo oltretutto.
Che sorpresa comunque all'inizio, vedendo che mi parli al femminile, e chiedi se non mi sento sola laggiù, se non provo nostalgia per te, come tu la provi per me... Ho davvero tremato in quel momento, come se avessi toccato una corda proibita. Naturalmente mi ha divertito notare le differenze tra quello che racconti a me (a proposito di Yochai, per esempio) e quello che confidi a lei. A me non hai mai scritto quanto pesa, quanto è alto, il tipo di scarpe che gli hai comprato per l'inverno.
A me non hai mai mandato una sua fotografia (ti dispiace se la tengo?).
Mi sembra di capire che è anche molto legata ad Amos - un'amica del cuore, si direbbe. La tua lettera lascia intendere che lo conoscete allo stesso modo, con lo stesso grado di intimità, e che entrambe vi aggrappate a lui, letteralmente (l'hai notato?). Rileggiti la minuta e vedrai.
E' strano spiare così, in modo del tutto lecito, e scoprire che condividi una certa intimità anche con altri. E godere furtivamente del vostro umorismo privato. Credevo che fosse una tua prerogativa:
arguta, un po' triste, poi salta fuori che hai una complice - e si sente che risale all'infanzia, a quando tornavate insieme dall'asilo. Myriam grande e Ana piccolina... Siete accordate sulla stessa nota (di certo tu non te ne rendi più conto). La tua ultima visita ai suoi genitori, per esempio: suo padre che suonava il pianoforte e Yochai che è scoppiato a piangere. Mi sono ricordato di quando hai pianto durante un concerto di Rachmaninov eseguito da Bronfmann, tanti anni fa, seduta accanto ad Ana. E adesso leggo che, quando Ana ha partorito suo figlio, Amos le ha fatto ascoltare proprio quel concerto, e tutti hanno pianto - non ho capito perché: i medici, la puerpera, il bambino, tu e Amos. Pianto, riso e musica vanno di pari passo, per voi? Dimmi, sono geloso?
(Perché ho pensato che questa, in fondo, è la prima lettera d'amore che ricevo da te.) Yair
3 settembre
Per quanto riguarda Emma Kirkby e il fatto che la sua voce risveglia in te un "misto di felicità e di tristezza profondi, pieni", "la sofferenza che rende felici" alla quale hai accennato... Ecco, quando ho sentito come dialoghi con Ana... cioè, quando sono riuscito a isolare qualcosa nella tua voce scritta, ho pensato... ...che a volte, udendo la tua voce nelle parole, avverto dentro di me una specie di gemito che sale. E' un suono interiore, che non conoscevo prima di incontrarti.
E' la sofferenza che rende felici? Non so. A me sembra nocivo. Non è felice, è una sorta di lamento, un po' folle. Come il latrato di un cane che sente un flauto e impazzisce. E' un suono che mi viene strappato, quasi contro la mia volontà (come l'occhio viene attirato dalla tragedia), fino a diventare molesto e opprimente. Allora, talvolta, provo persino rabbia nei tuoi confronti. Come quando hai scritto al bambino che ero.
Aggiungi anche questo all'"accordo degli strumenti".
8 settembre
No, non so come mi sento ora. Mi irrita il tuo tono di commiserazione, preoccupato (e ipocrita), dopo un colpo del genere. Un po' come mi sono sentito quando hai descritto veramente la tua casa, cancellando d'un tratto tutto quello che mi avevi donato. Ma non c'è paragone, com'è ovvio.
Faccio fatica persino a scriverti, ora. Non ti capisco, Myriam, e in questo momento non voglio nemmeno farlo. Senti, perché mi sferri un pugno così, senza preavviso?
E' la prima volta che sento di non voler avere niente a che fare con te. Non per ciò che hai raccontato, quello mi sembra un brutto sogno. Può darsi che non ti scriverò per qualche giorno. Ho bisogno di un po' di tempo.
Anche tu, per favore, non scrivere.
9 settembre
Non posso tenermi tutto dentro.
Una volta, in caserma, durante un turno di guardia, lessi di nascosto, col terrore che mi sorprendessero, Al faro. Ricordo di avere gridato, un vero grido da ustionato, contrario a tutte le norme di prudenza che mi ero prefisso, quando arrivai all'inizio della seconda parte del libro. Per il dolore, naturalmente, ma anche per la rabbia nei confronti di Virginia Woolf che così, tra parentesi, mi annunciava che la splendida signora Ramsey, la mia amata, "era morta improvvisamente la notte prima".
Niente in confronto a quello che ho provato quando mi sono ritrovato la tua lettera fra le mani. Per fortuna ero solo, in macchina, in un parcheggio, quando l'ho letta.
Che vuoi che ti dica? Che mi hai lasciato, ancora una volta, a bocca aperta? Che mi sentivo furioso, perché sono cose che non si fanno (almeno non in faccende come questa)? Non so. D'altra parte, più passa il tempo e più mi accorgo che anche in questo caso sei stata più fedele di me al nostro folle patto, raccontandomi, in tutti questi mesi, il tuo sogno e credendoci, vivendolo intensamente, con lealtà e dedizione. Molto più di quanto ritenessi possibile, e lecito. Molto più di quanto io abbia osato fare giocando con gli irrigatori.
Ma fa male. Fa male come un pugno nello stomaco, e il dolore non passa. Ogni volta che leggo la lettera scambiata, apparentemente per errore...
Cos'altro mi racconterai con un mezzuccio simile?
10 settembre
Non faccio che pensare a come tu continui a conversare con lei, intimamente. L'hai nominata persino nella prima lettera che mi hai mandato. E ti accompagnava in quasi tutte le tue gite. E' morta da dieci anni e tu la fai rivivere ogni giorno.
Quanti anni avete passato insieme? Intendo da quel giorno in cui ti ha avvicinato all'asilo, promettendo che sareste state amiche per sempre - finché quel suo "per sempre" si è compiuto. Venti?
Venticinque?
E cosa ne è stato del bambino... E' nato? Lui, perlomeno, è uscito vivo dal parto (c'è anche un padre in questa storia?).
Non capisco la mia reazione, il mio sconcerto. La conosco solo dai tuoi racconti, niente più che una sequenza di parole. Una donna piccola, sagace e divertente, coraggiosa e sincera (e con un enorme cappello di paglia, le labbra da coniglietto, tutta fuoco e fiamme).
La paragoni quasi sempre a un uccello.
Adesso capisco quanto tu sia sola. Sì. Malgrado tutti quei tuoi amici e la scia di uomini al tuo seguito, le amiche nel moshav e a scuola. E Amos. Ma un'amicizia come quella che avevi con Ana, un'affinità simile, è un privilegio che capita forse una volta nella vita.
Sarebbe stupido, ora, cercare di consolarti. In verità, è come se fossi io ad aver bisogno di conforto, avendolo saputo solo ieri. Non mi sentivo così da anni. Come se fosse morta una persona molto cara.
Ti abbraccio.
Yair
10-11 settembre
Forse non ti capisco, forse sei completamente diversa da come ti immagino. Dopotutto io ti spio attraverso delle fessure e mi invento una storia che magari è soltanto immaginaria. (Sai cosa non è immaginario? Quello che il mio corpo ti sta dicendo in questo momento.)
Eppure ho la sensazione che ogni cosa che mi racconterai - persino ciò che a un primo sguardo potrà sembrarmi contraddittorio, e mi colpirà con inconsueta durezza - so già che in seguito la capirò. Capirò quanto sia giusta per te e radicata in te, nel tuo profondo, tanto da divenire legge.
Sono anch'io così per te? (Credo di no.)
Non allontanarti. Ho bisogno di te. Abbiamo ancora molto di cui parlare, siamo solo agli inizi. Lettera dopo lettera capisco che abbiamo appena cominciato. Non solo: anche se parleremo per trent'anni, mi sentirò sempre come se avessimo appena cominciato. A proposito, mi sono stupito che tu mi abbia invitato al caffè Ta'amon il giovedì sera per vedere Amos giocare a scacchi. Naturalmente non verrò. Mi accontenterò dei tuoi resoconti. A volte vedo per strada qualcuno che gli somiglia, né giovane né vecchio, né alto né basso, con un principio di pancetta, la barba, i capelli grigi e un po' radi scomposti sotto il berretto.
Ma non sono mai sicuro che sia lui. Perché non indossa la giacca grigia con le toppe sui gomiti (anche d'estate?), o perché non ha il berretto, o quegli occhi inconfondibili - i più azzurri e puri che adulto abbia mai avuto.
Parli così bene di lui. Con calore, tenerezza e amore. Ma sento anche una nota di malinconia nelle tue parole. Come fai a dire, con tanta sicurezza, che mi sembrereste una coppia un po' strana, che persino alcuni vostri amici non sempre capiscono come possiate stare insieme? Mentre tu godi del fatto che solo voi due lo sapete. Mi fa molta tristezza quando scrivi che probabilmente il suo periodo più felice è stato trent'anni fa, quando si guadagnava da vivere cantando ballate nei pub scozzesi.
Se gli anni più felici di Maya non fossero quelli passati con me proverei un grande senso di fallimento, mi parrebbe un'autentica disfatta.
Ma ecco, Maya non è felice in questo periodo. E' così da alcuni mesi. Dice che forse è per il lavoro, perché non si può essere ottimisti quando si eseguono ricerche sul sistema immunitario. Entrambi però sappiamo che non si tratta solo di questo. E' svagata, fluttua in una sfera di malinconia e io, in questo momento, non sono in grado di aiutarla. Non mi capisco. Abbi ancora un po' di pazienza, Maya.
Cos'è balenato all'improvviso, mentre...?
Ho otto anni, sono sull'autobus delle sette che mi porta a scuola. Alla radio stanno intervistando Arthur Rubinstein in occasione del suo compleanno (fino a quel giorno non avevo mai sentito parlare di lui, non sapevo chi fosse). Qualcuno gli chiede come giudica la sua vita e lui risponde: "Sono l'uomo più felice che io abbia mai conosciuto". Ricordo di essermi guardato intorno allibito, quasi spaventato. Tu sai che aspetto ha la gente sull'autobus delle sette.
E quella parola, pronunciata con tanta libertà...
Era quasi Rosh-ha-Shana e in quel periodo annunciano sempre il numero dei residenti in Israele. Ricordo di aver pensato: fra questi tre milioni deve esserci almeno una persona felice e voglio essere io! (Una settimana dopo ero disteso in cantina con una cinghia intorno al cuore...)
Sono andato a rileggermi Al faro. Un impulso confuso per tentare di fugare il nervosismo e, forse, consolarmi un po'. Non mi rincuora. Tutt'altro. La cosa più difficile è che non ho nessuno con cui condividere quello che provo. Ho comprato il concerto n' 2 di Rachmaninov e lo ascolto in continuazione. La musica mi fa bene. "Se avessero gridato forte, la signora Ramsay sarebbe tornata. "Signora Ramsay!" disse forte, "signora Ramsay". Le lacrime le scorrevano sul volto".
Y'
Ancora un momento, OK?
Anni fa pensavo di sottoporre ogni donna attraente a un particolare esame per stabilire se sarebbe stata la "donna della mia vita". Pensavo che l'avrei guardata profondamente negli occhi, avvicinandole il viso. Più vicino, sempre più vicino, finché il mio occhio avrebbe toccato il suo. Proprio toccato. Non solo le ciglia o le palpebre, ma i globi oculari, l'iride e i dotti lacrimali. Naturalmente sarebbero subito sgorgate le lacrime. Il corpo è fatto così. Ma noi non avremmo ceduto, non ci saremmo arresi ai riflessi condizionati e alla burocrazia del corpo finché non fossero emerse le immagini più offuscate e remote delle nostre anime. Questo voglio ora. Vedere l'oscurità che c'è nell'altro. Perché accontentarsi, Myriam? Perché non chiedere, per una volta, di poter piangere con le lacrime di un altro?
14 settembre