Leggere libri non rende felici, tantomeno persone migliori
Camillo Langone
Tutto dipende "da cosa e come si legge". Senza dimenticare che intolleranza, rigidità e soprattutto pesantezza sono caratteri degli intellettuali impegnati. Un libro di Luigi Mascheroni
“Ha circa 20-25mila libri, ma ne ha letti pochissimi”. Il risvolto biografico anzi autobiografico di “Libri. Non danno la felicità (tanto meno a chi non li legge)” vale la spesa, peraltro modesta viste le dimensioni del volumetto. Della casa editrice Oligo mi piace che sia di Mantova. Di Luigi Mascheroni mi piace la sprezzatura, così necessaria in un ambiente culturale pullulante di pesanti. E di censori. Mascheroni osserva che “le rigidità più feroci si notano sempre negli intellettuali impegnati”. Ci informa che “Adolf Hitler leggeva un libro a notte, adorava i libri, li collezionava”, che “Mao Tse-Tung lavorò nella biblioteca dell’Università di Pechino”…Ci segnala, venendo all’oggi, che “i peggiori bibliocasti, silenziatori di opinioni sgradite e abbattitori di statue, sono studiosi, professori universitari, studenti, lettori forti, direttori di musei, critici, editorialisti”. Dunque leggere non rende automaticamente migliori e tolleranti, spesso è proprio il contrario. Davvero tutto “dipende da cosa e come si legge”. Davvero molti libri diffondono infelicità. Mascheroni mi ha ricordato che bisogna leggere e invitare a leggere l’Ecclesiaste: un libro grazie al quale nazista non lo diventi, comunista non lo diventi, pesante non lo diventi, censore non lo diventi. (Camillo Langone)
Commento
Concordo. Bisogna sfatare il mito secondo il quale la letteratura debba accollarsi il fardello morale di "migliorare" le persone. È una cosa abbastanza pericolosa: perché di conseguenza verrebbe letta soltanto un certo tipo di letteratura "moraleggiante" e gli altri testi sarebbero esclusi. La letteratura deve essere portatrice di storie, non veicolatrice di messaggi pedagogici..
Essere persone migliori non è qualcosa che si acquisisce dalla lettura di un libro né da altri elementi esterni. È una scelta morale e fondamentale che coinvolge la responsabilità personale di ciascuno di noi. Chi legge decine di migliaia di libri può essere buono o malvagio a prescindere dalla quantità dei libri letti.
E la felicità è anch’essa il modo con cui affrontiamo la vita e le sue sfide. C’è ancora chi confonde la dimensione intellettuale con la dimensione sapienziale. Anche chi non ha mai letto un libro può scegliere di diventare ogni giorno una persona migliore e anche la persona più illetterata di questo mondo può essere sapiente e trovare la felicità nelle cose più semplici della vita. I nostri nonni (e per i più giovani i bisnonni) insegnano. (P.B.)
Il libro è una scheggia di vetro sul viso beato, spavaldo, proteso verso il futuro della cultura italiana. Poco più di trenta pagine, stampate con dedizione da Oligo, che dovrebbero parlare dei Libri e del perché “non danno la felicità”, e che finiscono per essere un violento j’accuse – scritto, però, con l’eleganza di un pittore su seta – contro i vassalli, i valvassini e i mercenari della cultura. Ma anche contro i lettori, il boudoir dei letterati, il profumato letamaio degli editori. Il libello al veleno ribalta una serie di cliché, è una specie di opera al nero, il crogiolo di tutti i buonismi. Ecco una lista di salutari impertinenze: a) “I libri e la lettura non rendono migliori”; b) Guardatevi dagli intellettuali, “incrollabili conformisti nel loro sbandierato anticonformismo”, per lo più cinici, supponenti, narcisi, “impegnati” (a difendere se stessi); c) Guardatevi dai colti e dalla cultura in genere, dacché “furono uomini colti e intelligenti, ancorché fanatici, a ordinare i roghi di libri e le peggiori censure che hanno costellato i secoli più lontani così come i più recenti”; d) La letteratura non c’entra nulla con l’etica, con la pia morale: i buoni sentimenti sono inutili a fare un grande libro; e) “Leggere non è un dovere né una necessità né una virtù”; f) A volte è preferibile collezionare libri banalmente belli, dal punto di vista editoriale, senza avere l’obbligo di leggerli: altrimenti l’editoria (l’estetica del libro) che senso avrebbe? L’autore del pamphlet, Luigi Mascheroni, è esattamente come il libro che ha scritto: più caustico che snob, arguto, affilato, privo di affettazione, indossa una poetica del cinismo insieme a dei magnifici gilet, percorre il caos per evocare il vizio, il gusto di sognare. Ha scritto alcuni libri – Manuale della cultura italiana, Scegliere i libri è un’arte. Collezionarli una follia, Elogio del plagio –, insegna Giornalismo culturale alla ‘Cattolica’ di Milano, dal 2001 lavora per “il Giornale”. Pur giornalista, non ha poesie nel cassetto, non vuole diventare romanziere. Del suo libro, forse, si è già dimenticato.
Partiamo dalla nota biografica. “Ha circa 20-25mila libri, ma ne ha letti pochissimi”. Cos’è, una asserzione snob? E quei 5mila libri di scarto (una enormità) è tutta carta straccia? Insomma, pare che la sua biblioteca sia un rogo: collezionandoli, i libri, li elimina…
È dagli anni dell’università che raccolgo, accumulo, compro e rubo libri. E non necessariamente per leggerli. Ma perché amo un autore, o la collana in cui uscì quel libro, o l’editore, o il grafico che disegnò la copertina. Perché mi interessa l’argomento, o mi piace il titolo, o chi l’ha tradotto, o chi l’ha introdotto… Chissenefrega del motivo. Stamattina in una libreria che vende solo libri fuori catalogo ho trovato un saggio critico pubblicato dalle Edizione Gentile Fabriano nel 1935 su Carlo Dossi, esemplare intonso, con le pagine da tagliare, cosa che non farò mai… L’ho comprato solo perché mi piace Dossi… Poi un plaquette di poesie di un poeta portoghese che uscì da Scheiwiller, e tendo a comprare tutto ciò che pubblicava Scheiwiller, indipendentemente dal testo… E poi un libretto Laterza del 1994 di Luciano Canfora su Libro e libertà, di cui mi basta leggere la quarta di copertina e l’indice per poterne parlare una serata intera… L’importante è possedere i libri, sfogliarli, leggere un capitolo, un’introduzione, un risvolto, o anche niente, basta ricordare titolo e autore, per citarlo domani in un articolo, o in una cena. I miei libri? Non so se ne ho 20 o 25 mila, calcolando il numero di pareti e scaffali di casa mia, più o meno sono su quella cifra… Basta fare un altro calcolo: tra libri che mi arrivano dalle case editrici, libri che mi regalano e libri che compro in libreria, o sulle bancarelle o online, sono in media tre volumi al giorno, in un anno fanno mille, ho cominciato a fare il giornalista 25 anni fa, e i conti tornano… Poi, è vero: accumulare libri senza leggerli o è un gesto stupido o snob. Propendo per la seconda. Ed è vero: una volta infilato nello scaffale per me il libro è come se fosse sparito. È quasi impossibile che lo riprenda in mano. In fondo è come averlo eliminato. Ma ho goduto nel momento che l’ho posseduto.
“In senso assoluto la lettura – e la Letteratura – non insegnano a essere più buoni”. Tanto vero l’assunto che la Letteratura dovrebbe portarci al cospetto del mostruoso, e farci leggere proprio ciò che non vorremmo, per quieto vivere. Eppure, imperano i buonismi. Che c’entra l’etica con l’estetica?
Nell’arte, nulla. Personaggi abietti possono scrivere pagine angeliche, e santi o filantropi lasciarci libri noiosissimi. Anzi: spesso l’abiezione produce gioielli (dico una cosa scorrettissima: nei Diari di guerra delle SS che curarono per Mondadori Fruttero&Lucentini negli anni Sessanta ci sono pagine meravigliose, se per meraviglioso intendo la capacità di raccontare un mondo, per quanto distorto) mentre anche la più alta delle tensioni morali, se manca di forma e di nerbo, ci lascia libri scontati, morti. Per quanto riguarda la letteratura, la discussione si protrae da qualche millennio. Di solito i classici – dalla Bibbia a Cormac McCarthy – sono intrisi di violenza, sangue, stupri, fratricidi, omicidi, tradimenti, stragi, apocalissi… I buoni sentimenti sono importanti nella vita quotidiana. Non così essenziali in letteratura. Ma su questo Walter Siti ha da pochissimo pubblicato un pamphlet in cui spiega tutto molto bene, molto meglio di me: Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura(Rizzoli). Buonismo, moralismo, perbenismo, conformismo sono ottimi per andare ospiti in un talk show. Non per entrare nella storia della letteratura. La letteratura non deve coltivare i buoni sentimenti, ma il dubbio, l’ambivalenza, l’ambiguità, la contraddizione. Deve parlare male, anzi malissimo (anche se formalmente in modo impeccabile). Deve flirtare col diavolo. Deve svegliarti, non assopirti. Per questo ci sono già i gialli. Pensaci: se uno oggi scrivesse un romanzo sull’elogio della diversità, il rispetto reciproco, l’accoglienza, la famiglia felice transgender… quante possibilità ci sono che esca un buon romanzo, che resta nei secoli? Nessuna. Molto più facile invece che, scritto nel modo giusto dalla persona giusta, un violentissimo romanzo contro tutto questo sia – alla fine – un capolavoro. E ciò non c’entra nulla con quello che io, o te, o l’autore o il lettore pensiamo del Ddl Zan.
Lei critica tutto un sistema culturale: i brutti libri, troppi, stampati da editori-transatlantico che hanno, comunque, l’avallo di intellettuali, giornalisti, amici. Direbbe Lenin – ripetendo un romanzo di Cernysevski – Che fare?
Nulla. Va bene così. Gli editori fanno benissimo a pubblicare libri di politici, calciatori, piloti, chef, attori, magistrati, pornostar, giornalisti (tanti giornalisti), professorini di liceo e maestrine che manifestano per la pace nel mondo, l’integrazione, l’antirazzismo, un mondo più verde e più buono. Se sono libri che hanno un pubblico e un mercato, se servono a mettere a posto i conti della casa editrice, perché non farlo? Anche La nave di Teseo pubblica libri di Fabrizio Corona, Cruciani, Lapo Elkann o Roberto Napoletano. Che non sono propriamente gli autori cui pensava Umberto Eco quando fondò la casa editrice, probabilmente. Ma se questo serve dal punto di vista economico, e così l’editore può permettersi di pubblicare l’opera omnia di Aldo Buzzi, va benissimo. Il lettore poi sceglierà se acquistare i primi, o il secondo.
Politicamente corretto e cancel culture: li definisce “movimenti ferocemente censori che provengono dall’alta accademia”. Come vincerli?
Come vincerli non lo so. Probabilmente un buon modo sarebbe leggere i Diari di guerra delle SS o la biografia dell’ayatollah Khomeini invece dei romanzi di D’Avenia, non so… Quello che però noto, a proposito della “cancel culture”, è che ancora una volta dimostra come lo studio, le letture e la scuola, non garantiscono – anzi, spesso è il contrario – una predisposizione alla bontà, all’equilibrio, alla sensibilità, alla pluralità e alla larghezza di vedute. È la tesi del mio pamphlet: i libri non rendono migliori e più buoni. Spesso il contrario. La Storia dimostra come dittature, violenze, roghi e censure siano figlie di gente coltissima che viveva in mezzo ai libri, li collezionava, li leggeva e li studiava. Dittatori come Hitler e Pol Pot, uno accanito lettore l’altro laureatosi alla Sorbona, ad esempio. Stalin, che usò scrittori e professori per organizzare la più potente macchina di disinformazione e censura che ha conosciuto l’umanità. Gli inquisitori, che erano le menti più brillanti e sottili della loro epoca. Gli ideologi e gli intellettuali “impegnati” che hanno armato la mano a un’intera generazione di terroristi. E ora i professori delle università anglosassoni e i giornalisti dei fogli liberal che chiedono di vietare libri scorretti, portano gli studenti ad abbattere statue, vogliono riscrivere la Storia, giudicare gli scrittori di ieri usando la morale dell’oggi, cambiare le parole, modificare il linguaggio… Ecco la riprova: a causare i peggiori orrori non sono ignoranti analfabeti delle periferie povere del mondo. Ma impegnati e autorevoli intellettuali benestanti occidentali.
Le chiedo: l’ultimo libro letto con gusto; il libro che verrebbe avere ma non leggere; quello che vorrebbe leggere e ripubblicare.
Ultimo libro letto: Le letture tendenziose di Franco Antonicelli, il testo di una conferenza pronunciata a Livorno, nel 1967, per l’inaugurazione della Biblioteca dei Portuali, e che oggi viene ripubblicato dall’editore e/o. Franco Antonicelli, nato nel 1902 e morto nel ‘74, torinese salito dalla Puglia, vicino a Gobetti, antifascista e poi presidente del Cln e tra i dirigenti del Partito d’azione, spiega ai portuali, cioè alla gente comune, a coloro che vogliono farsi una cultura, come si diceva una volta, quali sono i libri “giusti” da leggere. Un bellissimo testo, e non tanto per i libri che consiglia – molti sono ormai superati – ma perché ci fa capire quanto sia necessario, soprattutto oggi che siamo sommersi da libri effimeri e distraenti, scegliere i libri. Perché l’importante non è leggere. Ma cosa leggere. Per ogni mille libri inutili ce n’è uno che (forse) può aiutarti a capire o a cambiare. Il libro invece che vorrei avere ma non per forza leggere è un abecedario, ormai rarissimo, che Munari disegnò per Einaudi nel ’42. Ma anche tutta la collana “I Cento libri” che pubblicò la Longanesi negli anni ’50-60-70… Ma anche tutta la collana teatro dell’Einaudi… Cose così. E poi cosa mi ha chiesto? Ah: il libro che vorrei leggere e ripubblicare. Uhmmmmm… Dal mio terrazzo di Giuseppe Prezzolini, il diario americano degli anni ’40 e ’50… Perché? Non lo so. Però la copertina dell’edizioni Vallecchi del 1960 è splendida.