mercoledì 3 gennaio 2024

IL POTERE DELLE PAROLE Estratto da "Il monaco che amava i gatti" Corrado Debiasi

 IL POTERE DELLE PAROLE

Estratto da "Il monaco che amava i gatti" 

Corrado Debiasi

 
[...] «Ascoltare è già molto. Molti ascoltano ma non sentono. Da migliaia di fiori le api estraggono e secernono poche gocce di nettare reale, così da migliaia di parole la vera saggezza può essere concentrata in pochi versi. Il potere di alcuni insegnamenti, se compresi e messi in pratica, ha l’effetto di migliorare la nostra vita. Le parole hanno la capacità di modificare le vibrazioni attorno a te, se ne conosci la loro forza e il loro potere. Più le parole sono pregne di energia spirituale infusa da chi le pronuncia, più avranno un effetto trasformativo su chi le riceve.»
Riflettei. «Tutto sta nel sapere e capire questi brevi concetti o insegnamenti.»
«La saggezza può essere racchiusa in brevi formule. Nel linguaggio sanscrito si chiamano sutra. Non occorre avere la conoscenza di interi volumi per vantarsi ed elogiarsi con chiunque del nostro sapere, alimentando così il nostro ego. Saggio è colui che attraverso brevi e profondi concetti riesce a concentrare l’essenza spirituale e a farne buon uso.»
«Che cosa sono i sutra?»
«Anticamente erano versi spirituali cantati e ripetuti in continuazione, per dar loro potenza e fissarli nella memoria di chi li pronunciava, così che, di generazione in generazione, venissero correttamente tramandati. Sono brevi aforismi in cui è racchiusa un’antica saggezza. Ed è per questo che le parole, se ben utilizzate, possono migliorare le persone.»
«Ognuno di noi è un universo a sé, ha una percezione e una coscienza differenti a seconda della sua evoluzione spirituale. Creiamo il nostro mondo con tutti i tasselli che costituiscono la nostra realtà apparente. Il vero sforzo è riconoscere il nostro universo e trascenderlo. Ecco: è questa l’utilità delle poche parole di potere. Nascoste in esse, vi è la saggezza nella sua essenza.»
Rimasi, come sempre, qualche istante in silenzio per riflettere.
Tatanji mi lasciò tra i miei pensieri, poi, guardandomi dritto negli occhi, mi chiese: «Cosa ricordiamo alla fine di un libro, al di là della storia? Alcune frasi o brevi dialoghi, ciò che ha toccato il nostro interesse, la nostra sensibilità, la nostra umanità, il nostro cuore. Frasi che, se rievocate, ci danno conforto e spesso cambiano in meglio le nostre giornate. Piccole saggezze che rimangono per sempre nella nostra anima come tatuaggi interiori».
«È vero. Ricordo i detti di mia nonna e le citazioni di alcuni libri.»
«Come si riconosce un fiore dal suo profumo, così si riconosce la saggezza dalla profondità in cui penetra nella nostra anima. La verità è celata nella semplicità. Questa saggezza è nascosta nei testi sacri: testi religiosi o spirituali, oppure scritti di anime elevate, che attraverso la loro storia ci hanno lasciato gemme di una ricchezza infinita.»
«Ad esempio alcuni famosi santi mistici?» domandai.
«Sì. Le loro storie sono prese come esempio per intere generazioni, e lo saranno anche in futuro. Viviamo condividendo racconti fin dall’inizio della comparsa dell’uomo. Storie che spezzano o saldano i rapporti umani. Le parole creano il nostro mondo, il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro.» Tatanji si alzò, da un tavolo prese una brocca e ne versò il contenuto in una tazza. Nell’aria si propagò un lieve odore di tè. «Spesso le storie celano importanti insegnamenti, espressi in brevi nozioni. Il cambiamento nella nostra vita può avvenire anche attraverso pochi concetti ben appresi, ma solamente se li mettiamo in pratica. La pratica è ciò che fa la differenza tra un saggio e un erudito. Impara dalle grandi anime e da ciò che insegnano. Come un minatore scava nelle profondità della montagna per raggiungere le pietre più preziose, così il saggio penetra in se stesso per raggiungere l’essenza del suo cuore.»
In quel momento, un uomo di mezza età entrò nella sala. Rivolse un saluto a Tatanji, che ricambiò, chiedendomi poi di lasciarlo solo con il suo ospite, con il quale aveva concordato un incontro importante già alcuni giorni prima. L’uomo attendeva in un angolo della stanza.
«Va’ da Shanti, ti mostrerà l’ashram e la zona qui accanto», mi consigliò. «Ricordati che lei è collegata a te.»
L’ultima frase mi stupì. «In che senso?» chiesi, mentre mi alzavo per dirigermi all’uscita.
«Ci sono miliardi di persone che vivono su questa terra, ma ne incontriamo solo alcune: quelle che faranno parte del nostro destino. Alcune per breve tempo, altre per molto, altre per sempre.»
«Vi è un numero prestabilito di persone che conosceremo?» chiesi incuriosito.
«Quelle con cui hai creato un legame indissolubile e che si ripresentano vita dopo vita. Shanti è una di queste. Ascoltala e fai tesoro dei suoi consigli per tutto il tempo che rimarrai qui.»
«Certamente, Tatanji, ne sarò felice», dissi.
Feci per uscire, ma mi fermò.
«Prima che tu esca, vorrei ricordarti una piccola e semplice usanza che pratichiamo nel nostro ashram. È la ripetizione di un breve sutra che viene recitato ogni giorno: di mattina appena svegli, la sera prima di addormentarsi e ogni volta che si entra in sala di meditazione. È un sutra d’amore, un ricordo verso l’Infinita Coscienza Suprema che permea ogni cosa. Trova il tempo per impararlo e comprenderlo con il tuo cuore e con la tua mente.»
«Ne sarò onorato, Tatanji.»
Mi consegnò in mano un piccolo foglio che lessi mentalmente mentre uscivo.
A quella Coscienza Suprema che tutto avvolge, che non ha né inizio né fine, dove il tempo è un Suo pensiero e lo spazio un Suo respiro, io mi abbandono e rendo omaggio.
Rimasi meravigliato da tanta semplicità e profondità. Lo ripetei più volte, cercando ogni volta di entrare in connessione con il mio cuore.
Mi chinai per raccogliere i sandali riposti dietro l’ingresso. In quell’istante, con la coda dell’occhio, notai Shanti entrare in ashram. Mi passò accanto senza vedermi. Il suo volto dai lineamenti delicati esprimeva dolcezza e sensualità e il suo profumo d’incenso speziato mi avvolse i sensi. D’improvviso, forse per intuito o altro, si girò verso di me accorgendosi del mio sguardo. E in quel mentre avvenne la cosa più bella che potesse accadere: sorrise.
Presi i sandali e uscii in giardino, attendendo che tornasse. Arrivò poco dopo, mi mise in mano un mango maturo, sbucciato e tagliato, e mi indicò gli scalini accanto alla veranda. Ci sedemmo. Il mango era dolcissimo, e la ringraziai.
Le raccontai la condivisione avvenuta con Tatanji, informandola che eravamo stati interrotti mentre discutevamo di un argomento che trovavo molto interessante.
«Qualcosa ti posso accennare anch’io», mi disse, «grazie ai miei studi e a quello che ho appreso vivendo qui in ashram.»
La ringraziai e mi predisposi all’ascolto.
«Come hai capito, le parole hanno un potere enorme sul nostro modo di pensare. Non solo creano un forte impatto in noi, ma anche sulle persone
che le ascoltano. Hanno un effetto visibile e invisibile su tutto ciò che vive. Possono influenzare la natura dei liquidi, delle piante, il nostro umore, i nostri geni e anche la nostra essenza. Tutto dipende da cosa si dice, come lo si dice e dal potere personale di chi le pronuncia.»
Terminai di gustare il mango. «Come fanno a influenzare la realtà?»
«Hai mai alimentato la tua mente con le parole come fai con il cibo per il corpo?»
«Cosa intendi?»
«Assimiliamo alimenti salutari per darci una buona energia e migliorare la nostra salute. La stessa cosa dovrebbe avvenire quando parliamo di noi stessi: dovremmo utilizzare le parole per darci forza, coraggio, fiducia e amore. Cosa che la maggior parte delle persone non fa. Il modo in cui ti riferisci a te stesso dice molto su come nutri la tua mente. Dovremmo far entrare in noi parole di guarigione, di elevazione interiore, di stimolo per la nostra anima.»
Allargai le braccia. «È vero, penso sia un bellissimo modo di migliorarci e aumentare la nostra autostima.»
«Che linguaggio usi quando sei solo: è come la seta o come la lama? Delicato o tagliente? D’amore o di paura? Tutto ciò che ti racconti è spesso concretizzato. Fai in modo che la tua mente non sia un secchio, riversandovi parole negative e di disprezzo. Nutrila con parole d’amore, di stima e di forza. Ricorda: ogni singola cellula ti ascolta.»
«Hai detto che le parole hanno il potere di trasformare: com’è possibile?»
«Tutto nell’universo è vibrazione divina. Anche le parole vibrano. Creano o distruggono. Personaggi malvagi le hanno usate per sopprimere vite umane o intere nazioni. Le grandi anime, invece, per aiutare le persone e i popoli a evolversi. Ecco perché alcuni termini che utilizziamo sono chiavi di accesso a piani superiori o inferiori della nostra esistenza e coscienza. Osserva sempre come una persona si riferisce a se stessa: capirai molto di chi hai davanti. Prova a immaginare le parole come esseri viventi che hanno vita propria. Pensale mentre si evolvono, mutano, si difendono o attaccano. Le parole entrano in noi, nella nostra mente, possono diventare amici o nemici di noi stessi, trasformandoci. È importante comprendere la loro influenza. Secondo un antico sapere, i pensieri negativi sono sempre stati più potenti rispetto a quelli positivi. Questo accade perché essi si radicano in noi con più forza, rimangono aggrappati al nostro inconscio come i molluschi sugli scogli. Ed è per questo che occorrono diversi pensieri positivi per contrastarne solo uno negativo.»
«Come possiamo ostacolare i pensieri negativi che talvolta ci perseguitano?»
«Attraverso l’evocazione di pensieri opposti. Fa’ in modo che la tua volontà sia focalizzata nel creare pensieri salutari. Tutto sta nella volontà del fare. Come dice Tatanji: lo sforzo è necessario, sempre. Ecco perché nelle varie tradizioni spirituali si utilizzano le parole sacre per purificare la mente e trascenderla. È un linguaggio che penetra nell’anima.»
Shanti si prese una pausa per finire di mangiare il mango.
«In sanscrito queste parole spirituali vengono chiamate mantra», continuò. «Sono espressioni dense di energia spirituale che nel corso dei millenni hanno continuato a caricarsi e diffondersi in tutto il mondo, grazie anche a milioni di persone che durante i secoli le pronunciavano e le cantavano. Vengono recitate da qualsiasi persona che senta il desiderio di evolversi. Chi ripete i mantra, con sincerità e regolarità, ha la certezza di purificare la mente e il cuore.»
«Io li ho sentiti e recitati. Credo che…»
Shanti mi interruppe: «Io, io. Utilizziamo sempre la parola ‘io’. Lo sai che è quella che usiamo di più?»
«Sì, e quello che ci aggiungiamo dopo è ancora più importante. La nostra realtà inizia dopo la parola ‘io’, è quello che ci definisce. Io sono quello. Io sono questo. Io desidero questa cosa e così via. È solo ego, ma è normale che lo sia. L’Io è sempre il nostro primo pensiero. Quello che sommiamo dopo crea il nostro universo. Un universo costruito da muri o da spazi infiniti. Spesso usiamo le parole per etichettare. In questo modo limitiamo la nostra visione e i nostri orizzonti. Ogni etichetta che incolli per definire qualcosa è in realtà una piccola prigione.»
La sua affermazione mi rese perplesso. «Perché?»
«Ci fa rimanere, talvolta, nella zona che abbiamo creato, ci confina impedendoci di osservare oltre. Spesso tutto ciò è causato dalla comodità, dalla cultura, dalla famiglia e dalla società. Soprattutto dalla nostra limitata capacità di comprendere una visione totale. Quando crei il tuo piccolo territorio, è difficile accettare la visione di persone che vogliono farti osservare panorami diversi dal tuo.»
«In pratica creiamo il nostro mondo», commentai. «Come possiamo andare oltre?»
«Se i nostri pensieri non sono come li vogliamo, la soluzione è rompere gli schemi della mente. Si inizia piano piano, trasformando il linguaggio che si usa abitualmente.»
«Chi mi insegnerà?» domandai.
«Lo farai tu stesso. E forse un po’ io.» Una piccola smorfia si disegnò sulle sue labbra, e scoppiammo in una fragorosa risata. «Nei prossimi giorni avrai modo di conoscere cosa apprendere e da chi.»
«Ti ringrazio», dissi. Attesi un attimo, guardandola. «Accanto a te non occorre parlare più di tanto. Mi capisci senza che dica nulla.»
Ricambiò a suo modo, con un sorriso. «Questo vale anche per me.»
La osservai come si guarda un fiore a primavera: con meraviglia e stupore. Possedeva uno spirito delicato ma forte come l’acciaio. In alcuni tratti ci assomigliavamo, quasi fossimo farfalle con gli stessi disegni dipinti sulle ali.
Uscimmo dall’ashram e ci avviammo lungo una via parallela per una breve passeggiata in città. Entrambi avevamo fame, così ci fermammo nei pressi di un chiosco.
«Mangia questo», mi consigliò Shanti indicandomi una foglia arrotolata. «Dimmi se ti piace.»
Presi l’involtino vegetale che mi aveva indicato. «L’ho visto esposto in vari chioschi della città nei primi giorni dopo il mio arrivo. La maggior parte delle persone in strada ne mangia.»
«È una foglia di betel avvolta e riempita con vari cibi locali. Cocco essiccato e speziato, chiodi di garofano, un tipo particolare di noce, e altro a seconda dei gusti dello chef. Spesso ci mettono tabacco che poi sputano a terra, anche se ora un’ordinanza vieta questo gesto. Una caratteristica della foglia è la sua forma a cuore, e pure il colore verde intenso e lucido, come puoi vedere.»
«È buonissima e speziata», osservai, anche se era un tantino forte per il mio palato delicato.
«Dopo che l’hai mangiata, la bocca diventa leggermente rossa. È un cibo conosciuto ovunque in India, benché questa ricetta sia una variante solo di Varanasi. Dicono che la foglia venga raccolta in zona, ma in realtà viene importata. È ottimo per rinfrescare la bocca. Pur trattandosi di un cibo tradizionale della cucina indiana, è mangiato e conosciuto in tutta l’Asia. A Varanasi lo trovi in ogni via, mercato o ristorante. Da diverse centinaia d’anni questo alimento è sempre stato presente nella cultura locale, non solo per gustarlo ma anche per offrirlo alle divinità durante le celebrazioni religiose; oppure alle feste importanti, tra cui i matrimoni. La tradizione dice che offrirlo alle divinità sia di buon auspicio per la propria longevità. Infatti è un cibo che rispetto ad altri dura a lungo, e grazie proprio alle sue foglie che rimangono verdi per molto tempo.»
Dopo mangiato ci rimettemmo a camminare e le parlai del mio modo di vedere la città.
«Una delle cose che ho notato il primo giorno è il caos.»
«Varanasi è magica nel suo caos. Piena di colori, mucche che mangiano nella spazzatura e motorini che attraversano ogni via a gran velocità. Per i turisti, Varanasi è una vera contraddizione. La visitano soprattutto pellegrini. Acquistano per lo più fiori o legname, i primi per le offerte e le preghiere, chiamate puja. Il legname, invece, è per cremare i propri cari. Come puoi avvertire, l’aria è piena dell’odore di legna bruciata. Se fai attenzione, in lontananza si sentono i canti di mantra e i suoni dei gong posti all’entrata delle centinaia di templi.»
Tornammo in ashram. Quando arrivammo, Shanti mi disse di rientrare in sala di meditazione perché Tatanji era sicuramente libero: avrei potuto continuare la conversazione con lui. Ci salutammo, era ormai sera e lei si recò nella sua camera al piano superiore.
Come aveva predetto Shanti, trovai Tatanji in sala: era indaffarato a pulire e a prendersi cura del suo flauto. Lo salutai e mi sedetti accanto a lui.
«Hai avuto modo di chiacchierare con Shanti?» mi domandò continuando a lavorare.
«Sì, ed è stato piacevole. È preparata nei suoi studi. Mi ha aiutato a comprendere il potere dei pensieri negativi che spesso disturbano la nostra quiete.»
Tatanji interruppe la pulizia del flauto e si sedette accanto a me. «Quando impari qualcosa di nuovo, devi accogliere la nuova conoscenza mischiandola con cura con il tuo vecchio sapere. Devi poi avere la saggezza di saper scegliere cosa far rimanere e cosa lasciar andare. Riuscire a fare tutto ciò significa aver raggiunto un buon grado di saggia discriminazione.»
Non mi era granché chiaro. «Saper scegliere è importante, lo capisco, ma non sempre si prendono decisioni giuste.» Gli domandai spiegazioni.
«Una delle più grandi capacità dell’essere umano è distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è. Nelle scelte che fai è nascosto il seme del tuo destino. Qualsiasi azione prestabilisce una scelta, anche non far nulla lo è. Prendere una buona decisione è la miglior azione che tu possa compiere. Ecco perché dovremmo scegliere di avere il più possibile pensieri positivi.» Il suo volto si fece serio. «I pensieri negativi nascono da un nostro giudizio. Esplodono nella nostra mente creando una grande carica emotiva, che nutriamo ripensando in continuazione fino a estenuarci.»
«Come possiamo smettere di farci possedere dai pensieri negativi?»
«Un modo è non dar loro energia, non pensandoci.»
«E come?»
«Come ti avrà accennato Shanti, ponendo l’attenzione su pensieri opposti. Come l’artigiano plasma l’argilla a suo piacere trasformandola in un bellissimo manufatto, così noi possiamo consapevolmente trasformare la qualità dei nostri pensieri per nutrire il nostro essere. Per questo è importante elevare il nostro linguaggio, rendere più luminose ed elevate le parole che utilizziamo. Ad esempio, se ti chiedessi come stai, cosa mi risponderesti?»
«Sto bene.»
Sorrise. «Immaginavo. La prossima volta, prova a rispondere: ‘magnificamente’, ‘benissimo’. Eleva il tuo linguaggio, così eleverai le tue emozioni. Questo creerà una realtà più positiva che a sua volta influenzerà le tue vibrazioni. Un esempio pratico è l’entusiasmo. Dovremmo vivere d’entusiasmi. Tutti ne sono attratti. Le anime sono influenzate dall’entusiasmo. Sorge dal cuore e si sprigiona ovunque. Nell’entusiasmo si acquista coraggio e voglia di vivere. È un linguaggio universale che tutti conoscono.»
«In realtà, spesso, pensiamo male, giudichiamo molto e critichiamo», sentenziai.
«Non guardare ciò che non va, concentrati su quello che va bene. È importante andare oltre e comprendere perché giudichiamo. Fai questo esercizio, quando puoi.» Si concentrò un istante. «Non dare alcun giudizio per tre ore. Se riesci, aggiungi altre tre ore e poi ancora tre, fino ad arrivare a un’intera giornata. Continua per un giorno, due, tre. Prosegui per una settimana e oltre. Osserva cosa accade in te stesso. Osserva come la mente sia soggetta a moltissimi schemi.»
«È difficile riuscire a non criticare. Alcune volte è giusto.»
«Concordo, ed è per questo che attraverso tale esercizio capirai quando è utile e quando non lo è. Lo sforzo è necessario, senza sforzo e disciplina non si ottiene nulla, in ogni campo. Quando noti che la tua mente giudica o critica, osservala. Ti basta osservarla e domandare a te stesso cosa devi accogliere in te. Compreso ciò, prosegui e ricomincia l’esercizio. Il giudizio è spesso fonte di grandi contrasti: tendiamo a incolpare e criticare quasi inconsciamente. Sospendere questo rituale è difficile.»
«Vi è un metodo per arrivare pian piano a non giudicare? O quantomeno a farlo consapevolmente?»
Tatanji chiuse gli occhi e rimase in silenzio per qualche istante. «Quando sei messo in discussione, ascolta», rispose. «Quando ti criticano, ascolta. Quando vorresti rispondere di getto, ascolta. Ascoltando, dimostri di far attenzione alle opinioni altrui ma di non esserne influenzato. Qualsiasi critica è un punto di vista, non riflette la tua persona ma la realtà di chi l’ha pronunciata. La tua serenità d’animo è più importante di qualsiasi giudizio altrui.»
«Ho capito. Prima di ogni decisione o di una scelta, l’ascolto è fondamentale», riassunsi.
In quel mentre, accarezzò alcuni gattini che passavano accanto a lui, lo stesso feci io. Lasciammo passare un po’ di tempo, così, in serenità. Tatanji mi stava insegnando anche in questi momenti. Lo ringraziai mentalmente, capendo che durante la giornata mi era stata donata la consapevolezza del potere delle parole e del linguaggio.
Era la prima rivelazione.
Notai un piccolo quadretto appeso alla parete.
Nel vuoto, hai lo spazio per riempirti.
Nel non avere, hai te stesso per essere.
Om shanti.
Riflettei su quelle brevi parole e sul perché si trovassero appese al muro.
«Ricorda, Kripala», disse Tatanji interrompendo il silenzio, «abbiamo sempre la possibilità di cambiare le sorti, risollevarci e trovare qualcosa di positivo. Vi è qualcosa di positivo in tutto, l’importante è vederlo. La felicità è più una riscoperta che una conquista. È qualcosa che hai sempre dimenticato di avere; poi un giorno ti accorgi che era sempre stata con te», Tatanji si alzò, fissandomi negli occhi.
Ciò che cerchi dalla vita, diventalo. Se cerchi integrità, sii integro. Se cerchi amore, sii amore. Se cerchi gentilezza, sii gentile. Se cerchi te stesso, sii presenza. La felicità risiede in questo, ciò che cerchi è già in te. Devi solo esserne consapevole. Viviamo questa esperienza umana per apprendere lezioni, imparare ad amare e servire il creato. Siamo anime immortali piene d’amore e avvolte dalla luce. Eleva la tua coscienza a un piano superiore e realizza ciò che prima ti era celato. Il tuo cuore conosce ogni verità.»
Si era fatto tardi. Tatanji mi diede la buonanotte e mi ricordò di riempire d’acqua le ciotole dei gatti nel giardino e in sala, prima di andare a letto.