UN UOMO CHE DORME
Estratto da "Dalla parte di Swann"
Marcello Proust
Leggendo il passo riprodotto sotto, da "Dalla parte di Swann", mi sembra evidente che a Proust interessa mostrare quanto siano fragili le nostre reazioni, e quale sia l'enorme distanza fra i sogni e la realtà, quali siano i giochi dell'immaginazine e l'inganno che da essi derivano. Proust fa una operazione contraria rispetto a quella di Zola che, messaggero della realtà, alla fine decide di passare al sogno e alla esaltazione delle cose immaginate: paradossalmente, ma non così tanto, è Proust, a mostrarci la realtà com'è, pur non credendo in essa. P.B.
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Ecco il brano: "Un uomo che dorme tiene in cerchio intorno a sé il filo delle ore, l'ordine degli anni e dei mondi . Svegliandosi li consulta d'istinto e vi legge in un attimo il punto che occupa sulla terra, il tempo che è trascorso fino al suo risveglio; ma i loro ranghi possono spezzarsi, confondersi. Mettiamo che il sonno l'abbia colto verso il mattino, dopo un'insonnia, mentre stava leggendo, in una positura troppo diversa da quella in cui dorme abitualmente. Basterà il suo braccio sollevato per fermare e far indietreggiare il sole, e nel primo istante del risveglio egli non saprà più che ora sia, sarà convinto di essersi appena coricato. O che si sia assopito in una posizione ancora più irregolare e divergente, per esempio seduto dopo pranzo in una poltrona, e allora il disorientamento sarà completo in quei mondi usciti dalla propria orbita.
La poltrona magica lo farà viaggiare a tutta velocità nel tempo e nello spazio, e al momento d'aprire gli occhi egli crederà di trovarsi a letto alcuni mesi prima e in un altro paese. Ma era sufficiente che, nel mio stesso letto, il mio sonno fosse profondo e tale da distendere completamente il mio spirito, ed ecco che questo abbandonava la mappa del luogo dove mi ero addormentato e, svegliandomi nel pieno della notte, io non sapevo più dove mi trovassi e, in un primissimo momento, nemmeno chi fossi; avevo nella sua semplicità primaria soltanto il sentimento dell'esistenza così come può fremere nella profondità di un animale; ero più privo di tutto dell'uomo delle caverne; ma a quel punto il ricordo - non ancora del luogo dove mi trovavo, ma di alcuni dei luoghi dove avevo abitato e avrei potuto essere - veniva a me come un soccorso dall'alto per strapparmi dal nulla al quale da solo non sarei riuscito a sfuggire; in un secondo scavalcavo secoli di civiltà e le immagini, confusamente intraviste, di qualche lampada a petrolio, poi di alcune camicie col collo piegato, ricomponevano a poco a poco i tratti originali del mio io. Forse l'immobilità delle cose che ci circondano è imposta loro dalla nostra certezza che si tratta proprio di quelle cose e non di altre, dall'immobilità del nostro pensiero nei loro confronti"