Paul Lynch
Irlanda, pochi, pochissimi secondi nel futuro. Un nuovo partito ha vinto le elezioni, poi qualcosa succede, non sappiamo molto, si parla di un pacchetto di misure d’emergenza in risposta a un evento sconosciuto. In un quartiere suburbano di Dublino, Suv, buone scuole, giardini, la borghesia lontana dalla lista di Niemöller, arrivano agenti della neo istituita Garda con compiti di polizia politica: questa volta sono venuti per il marito di Eilish, un sindacalista della scuola.
“Il canto del profeta” non è una prospettiva distopica della contemporaneità, piuttosto la cronaca di un disastro sociale e politico replicatosi con abbondanza già in molti stati. Paradossalmente quello di Lynch è puro realismo, nonché un avvertimento politico.
Le profezie di cui parla il titolo non riguardano un dato sistema politico, ma una più generale condizione umana. Queste profezie apocalittiche di sangue e violenza non si riferiscono infatti a più o meno immediate fini del mondo, ma a violenze tanto insensate quanto quotidiane che sono giù successe, continueranno a succedere, e che succedono tutt’ora in vari angoli del mondo. Le nazioni da stabili discendono nel caos; una guerra che sembrava improbabile o indicibile diventa in breve tempo mero intrattenimento per il resto del mondo. Quello che il romanzo di Lynch ci ricorda è che it can happen here, può accadere anche qui, non tanto per ricordarci (come se ce ne fosse bisogno) quanto permeabili al male siano le nostre civiltà, ma per trasmettere la semplice verità racchiusa nel cuore dell’arte narrativa: le vite più straordinarie, così come quelle devastate dai più indicibili orrori, sono in primis vite umane, e in quanto tali banali, tipiche e semplici. Esattamente come la nostra.
IL CANTO DEL PROFETA
1.
La sera è scesa e lei non ha sentito bussare, in piedi davanti alla finestra a guardare in giardino. A guardare come l’oscurità avviluppa in silenzio i ciliegi, come raccoglie le ultime foglie che cedono al buio, accettandolo con un sussurro. Ora è stanca, la giornata ormai quasi alle spalle, tutte le faccende da sbrigare prima di andare a letto e i bambini tranquilli in soggiorno, questa sensazione di momentaneo riposo davanti al vetro. A guardare il giardino sempre più nero e a desiderare di essere tutt’uno con quel buio, di uscire fuori e adagiarsi in esso, adagiarsi insieme alle foglie cadute e lasciare che la notte le passi sopra, per poi svegliarsi all’alba come nuova allo spuntare del mattino. Ma hanno bussato. Li sente arrivare nel pensiero, quei colpi netti, insistenti, ognuno vibrato così intensamente da farle corrugare la fronte. Poi si accorge che anche Bailey sta picchiando sulla porta a vetri della cucina e grida, mamma, indicando l’ingresso senza staccare gli occhi dallo schermo. Eilish sente il suo corpo muoversi verso l’ingresso con il piccolo in braccio. Apre la porta e vede due uomini dietro il vetro della veranda, due forme senza volto nel buio. Accende la luce esterna e gli uomini si rivelano all’istante per come sono, lì in piedi, l’aria fredda della sera pare sospirare mentre lei fa scorrere la porta, il silenzio del quartiere, la pioggia che cade quasi senza rumore su St Laurence Street, sulla macchina nera parcheggiata davanti casa. Quegli uomini sembrano portarsi addosso gli umori della sera. Lei li osserva dall’interno del proprio nido, mentre quello più giovane, sulla sinistra, le chiede se suo marito è in casa, e c’è qualcosa nel modo in cui la fissa, in quello sguardo distante ma inquisitorio, che dà l’impressione di voler afferrare qualcosa dentro di lei. In un battito di ciglia Eilish ha controllato la via in entrambe le direzioni, ha visto una figura isolata passeggiare con il cane sotto un ombrello, i salici che annuiscono sotto la pioggia, il chiarore colorato dello schermo di un televisore nella casa degli Zajac dall’altra parte della strada. Allora si dà un contegno, quasi ridendo, per liberarsi di quel riflesso di colpevolezza universale che coglie chiunque quando la polizia bussa alla porta. Ben comincia ad agitarsi tra le sue braccia e l’uomo in borghese, quello più anziano, sulla destra, inizia a osservare il bambino; la sua espressione sembra ammorbidirsi, così Eilish decide di rivolgersi a lui. Sa che anche quell’uomo è un padre, certe cose si capiscono al volo, l’altro è troppo giovane, troppo ordinato, le ossa dure, e allora Eilish comincia a parlare, percependo l’improvvisa incertezza che le incrina la voce. Sarà a casa tra poco, tra un’oretta, volete che gli faccia uno squillo? No, non è necessario, signora Stack, quando arriva, le dispiacerebbe dirgli di chiamarci appena possibile? Ecco il mio biglietto. La prego, mi chiami Eilish, si tratta di qualcosa in cui posso esservi d’aiuto? No, temo proprio di no, signora Stack, la questione riguarda suo marito. L’uomo più anziano ora sorride apertamente al piccolo e lei gli osserva per un attimo le rughe attorno alla bocca, è un volto spento dalla solennità, un volto sbagliato per il mestiere che fa. Non c’è niente di cui preoccuparsi, signora Stack. Perché mai dovrei preoccuparmi? Infatti, signora Stack, beh, non vogliamo rubarle altro tempo e poi, mi creda, ne abbiamo abbastanza di prendere l’umidità stasera, ci vorrà un bel po’ per asciugarci con il riscaldamento dell’auto. Eilish fa scorrere indietro la porta della veranda tenendo il biglietto in mano, osservando i due che tornano in macchina, poi la macchina che si allontana lungo la strada, e quando frena all’incrocio le luci posteriori s’intensificano assumendo l’aspetto di due occhi accesi. Eilish lancia un’ultima occhiata alla strada, tornata alla tranquillità serale, poi rientra nel calore dell’ingresso, si ferma un attimo a leggere il biglietto da visita e si rende conto che stava trattenendo il fiato. È come se qualcosa fosse entrato in casa con lei, vorrebbe mettere giù il piccolo, rimanere in piedi a riflettere, perché quella sensazione era lì con i due uomini ed è entrata in casa di sua volontà, qualcosa di informe eppure chiaramente riconoscibile. La avverte ancora che le scivola di fianco quando lei entra in soggiorno e passa accanto ai bambini. Molly tiene il telecomando sopra la testa di Bailey, che agita le mani in aria e le rivolge un’occhiata implorante. Mamma, dille di rimettere il mio programma. Eilish si tira dietro la porta della cucina e sistema il piccolo nel dondolo, fa per togliere il portatile e l’agenda dal tavolo, ma poi si ferma e chiude un attimo gli occhi. Quella sensazione che è entrata in casa e l’ha seguita. Guarda il telefono e lo prende in mano, esitante, manda un messaggio a Larry, si ritrova un’altra volta a guardare fuori dalla finestra. Il giardino sempre più nero, ormai non più così desiderabile, perché qualcosa di quel buio è scivolato dentro casa.
Larry Stack passeggia per il soggiorno con il biglietto da visita in mano. Lo fissa accigliato, poi lo poggia sul tavolino e scuote la testa, si lascia cadere sulla poltrona, si afferra la barba con una mano mentre lei lo guarda in silenzio, giudicandolo come al solito con tenerezza. Dopo una certa età un uomo si lascia crescere la barba non tanto per sentirsi adulto quanto per alzare una barriera contro la propria giovinezza, lei non se lo ricorda neanche più com’era col viso rasato. Lo osserva mentre cerca le pantofole coi piedi, il volto rilassato, mentre riposa in poltrona, pare stia pensando a qualcos’altro, finché a un tratto la fronte si irrigidisce e sul viso compare un’espressione torva. Si china in avanti e riprende in mano il biglietto. Magari non è niente, dice. Lei si culla il piccolo in grembo ma osserva Larry con attenzione. Spiegami un po’ come fa a non essere niente? Lui sospira, passandosi il dorso della mano sulla bocca, si alza dalla poltrona e comincia a frugare sul tavolino. Dove hai messo il giornale? Gira per la stanza cercando senza vedere, forse si è già dimenticato del giornale, cerca qualcosa all’ombra dei propri pensieri e non riesce a trovarlo. Si volta a guardare la moglie che sta allattando il piccolo al seno, e quella vista lo conforta, il senso della vita concentrato in un’immagine così opposta alla malvagità che la sua mente comincia a rasserenarsi. Le si avvicina e allunga una mano, ma la ritrae quando gli occhi di lei gli si appuntano addosso. L’Ufficio Servizi Nazionali della Garda, dice lei, l’USNG, non si tratta del solito ispettore che bussa alla porta. Cosa vogliono da te? Larry indica il soffitto, vuoi abbassare la voce una buona volta? Entra in cucina arrotando i denti, toglie un bicchiere dallo scolapiatti e apre il rubinetto, guardando fuori l’oscurità oltre il suo riflesso, i ciliegi vecchi che ben presto marciranno, magari in primavera bisognerà tagliarli. Beve un lungo sorso, poi torna in soggiorno. Stammi bene a sentire, dice, controllando la voce fino a ridurla a poco più di un sussurro. Vedrai che non è niente, ne sono abbastanza sicuro. Ma si rende conto di non credere neanche lui alle proprie parole, che scivolano via come acqua sulle mani. Lei lo osserva abbandonarsi di nuovo sulla poltrona, il corpo molle, la mano che passa automaticamente da un canale all’altro. Larry si volta e si trova intrappolato nello sguardo della moglie, allora si china in avanti con un sospiro, si tormenta la barba come se volesse strapparsela via. Ascolta, Eilish, lo sai bene come la pensano, cosa cercano, raccolgono informazioni, lo fanno in maniera discreta e immagino che bisogna dargliele, in un modo o nell’altro, stanno senz’altro montando un caso contro un insegnante e perciò ha senso che vogliano parlare con me, magari per avvertirci, prima dell’arresto, senti, domani o dopodomani li chiamo e cerco di capire cosa vogliono. Lei lo guarda, si rende conto di avere un vuoto al centro del proprio essere, la mente e il corpo vorrebbero cedere al sonno, tra un attimo salirà di sopra e si preparerà per andare a letto, contando le ore che mancano prima che il piccolo si svegli per la poppata. Larry, dice, e lo vede ritrarsi come se gli avesse trasmesso una scossa elettrica con la mano. Hanno detto di chiamare appena possibile, chiamali subito, il numero è sul biglietto da visita, dimostragli che non hai niente da nascondere. Lui l’ascolta corrucciato, inspira lentamente come per prendere le misure di qualcosa che gli incombe sopra, poi si gira e la guarda dritto in faccia, gli occhi socchiusi per la rabbia. Come sarebbe a dire, dimostragli che non ho niente da nascondere? Sai benissimo cosa voglio dire. No che non lo so cosa vuoi dire. Senti, è solo una frase fatta, Larry, fa’ il favore e chiamali subito. Perché devi essere sempre così difficile, cazzo, senti, a quest’ora non li chiamo proprio. Larry, per favore, chiamali ora, non voglio più vedere l’ombra dell’USNG davanti alla nostra porta, sai benissimo quello che si dice, le cose che raccontano, tutto quello che succede negli ultimi tempi. Larry si china in avanti sulla poltrona, pare non riesca ad alzarsi, si fa serio ma poi eccolo che si avvicina a lei, le toglie il piccolo dalle braccia. Eilish, per piacere, stammi a sentire un momento, il rispetto è una cosa che deve esserci da entrambe le parti, sanno benissimo che sono un uomo pieno di impegni, sono il vicesegretario generale del Sindacato insegnanti irlandese. Non è che devo scattare all’istante a ogni loro ordine. Va bene, Larry, ma perché ti sono venuti a cercare a casa a quest’ora e non in ufficio durante il giorno, spiegamelo un po’. Senti, tesoro, li richiamerò domani o dopodomani, ora vogliamo dormirci sopra? Lui rimane in piedi davanti a lei, ma con gli occhi girati verso lo schermo della tv. Sono le nove, dice, voglio sentire il telegiornale, e come mai Mark non è ancora tornato a casa? Lei guarda la porta, la mano del sonno le avvolge la vita, si avvicina a Larry e gli sfila il piccolo dalle braccia. Non lo so, risponde, ho rinunciato a stargli dietro, stasera aveva gli allenamenti di calcio e probabilmente ha cenato a casa di un compagno, o magari è andato da Samantha, ultimamente sembrano inseparabili, anche se non capisco proprio cosa ci veda in lei.
Mentre attraversa la città in macchina, Larry prova una crescente irritazione per come la mente gli vaga di qua e di là, spingendolo verso qualcosa che cerca, ma da cui allo stesso tempo sente il bisogno di tenersi alla larga. La voce al telefono era così normale, quasi cortese, mi scuso per l’ora tarda, signor Stack, non le ruberemo troppo tempo. Parcheggia in una stradina dietro la stazione della Garda di Kevin Street, pensando all’aspetto che aveva una volta la via principale di sera, di certo c’era più traffico, la città adesso è diventata fin troppo tranquilla. Scopre di star stringendo i denti mentre si avvicina al banco informazioni, e cerca di sbloccare la bocca per sorridere, pensando ai figli, Bailey si sarà accorto senz’altro che lui è uscito, quel ragazzino è sempre tutt’orecchi. Osserva la mano pallida e lentigginosa di un agente di servizio che parla sottovoce al telefono. Gli viene incontro un giovane investigatore ossuto dai modi spicci, in maniche di camicia ma con la cravatta, il volto cereo e composto, proprio come la voce che gli ha risposto poco prima. La ringrazio per essere venuto, signor Stack, la prego di seguirmi, faremo del nostro meglio per congedarla al più presto. Larry lo segue su per una scala di metallo e poi lungo un corridoio di porte chiuse prima di entrare in una stanzetta per gli interrogatori, con sedie e pannelli grigi, tutto nuovo di zecca, poi la porta si chiude e lui rimane solo. Si siede e si guarda le mani. Controlla il telefono, si alza e passeggia su e giù per la stanza, pensando a come lo abbiano messo in una posizione di svantaggio, mancandogli di rispetto, visto che sono le dieci di sera passate. Quando entrano nella stanza, Larry scioglie le braccia conserte, sposta lentamente una sedia e si accomoda, osservando l’agente magro di prima e un altro della sua stessa età, piuttosto robusto, con in mano una tazza sporcata da qualche schizzo di caffè. L’uomo guarda Larry con un accenno di sorriso, o forse le pieghe della bocca tradiscono soltanto una giovialità innata. Buonasera, signor Stack, sono l’ispettore Stamp e questo è l’agente Burke, posso offrirle un tè o un caffè? Larry guarda la tazza macchiata e fa segno di no con la mano, mentre si ritrova a osservare l’espressione dell’uomo in cerca di un’immagine che gli sembra di conoscere. Ci siamo già incontrati, dice, in una partita di calcio a Dublino, vero? Lei era il mediano della squadra dell’Ucd, mi avrà visto quando avete giocato contro i Gaels, eravamo forti, allora, dev’essere stato l’anno che vi abbiamo travolto. L’ispettore lo fissa, le rughe intorno alla bocca sono crollate, lo sguardo si è fatto opaco, un inscrutabile silenzio è sceso nella stanza. L’uomo parla senza scuotere la testa. Non so di cosa sta parlando. Larry è diventato tutt’a un tratto sensibile alla propria voce, la sente quando prende la parola come se fosse anche lui spettatore del colloquio in quella stanza, si vede dall’altra parte del tavolo, si vede mentre osserva l’interno dallo spioncino della porta, non c’è altro modo di guardare dentro, non ci sono nemmeno gli specchi unidirezionali che a volte si vedono in tv. Sente che la sua voce suona sempre più falsa, un po’ troppo chiacchierina, forse. Sono sicuro che fosse lei, giocava come mediano nella squadra dell’Ucd, non mi dimentico mai di un avversario. L’agente prende un sorso dalla tazza e muove il caffè in mezzo ai denti, poi fissa di nuovo Larry finché questi si ritrova ad abbassare lo sguardo sulla superficie del tavolo e a scorrere un dito su un graffio della vernice, per poi rialzare gli occhi sull’ispettore. Ha l’impressione che le ossa del viso di quell’uomo si siano inspessite, davvero, come se tutta la struttura si fosse fatta più squadrata, ma ciò che gli occhi rivelano non cambia mai. Senta, gli dice, vorrei chiudere presto questa storia, a quest’ora dovrei essere a casa con la mia famiglia e prepararmi per andare a letto, mi dica, come posso esservi di aiuto? L’agente Burke fa un gesto con la mano aperta. Signor Stack, sappiamo che ha molto da fare, perciò ci fa piacere avere l’opportunità di parlarle, abbiamo ricevuto una segnalazione di una certa gravità ed è una segnalazione che la riguarda direttamente. Larry Stack osserva gli sguardi dei due uomini e si sente la bocca secca. C’è qualcosa che si muove nella stanza, lo avverte d’un tratto, e per un attimo rimane raggelato, poi alza lo sguardo e vede la plafoniera in cui è rimasta imprigionata una falena, che batte furiosamente contro il vetro, la cupola ambrata sporca e piena di resti di falene precedenti. L’agente Burke ha aperto una cartellina e Larry Stack vede davanti a sé le mani esangui di un prete, vede un foglio di carta stampata messo sul tavolo in mezzo a loro. Larry comincia a leggere il foglio, batte lentamente le palpebre, poi serra i denti. Sente dei passi che percorrono il lungo corridoio fuori, cancellati poi da una porta che si chiude. Sente i colpi attutiti della falena e per un attimo si rende conto che qualcosa in lui ha cominciato ad appassire. Alza di nuovo lo sguardo e vede l’agente Burke che lo osserva dall’altra parte del tavolo, due occhi che lo scrutano come se avessero la facoltà di vagare liberamente tra i suoi pensieri per estrargli da dentro qualcosa che in realtà non c’è. Larry sposta lo sguardo sull’ispettore, che ora lo fissa con espressione aperta. Larry si schiarisce la gola e cerca di sorridere ai due uomini. Signori, ma mi state prendendo in giro? Li osserva e sente il sorriso scivolargli via dalla bocca, si ritrova con il foglio in mano e lo agita in aria. Ma questa è follia pura, dice, aspettate che lo venga a sapere la segretaria generale, andrà dritta dal ministro, ve lo assicuro. L’agente più giovane si tossisce secco nel pugno, poi guarda l’ispettore che sorride e prende la parola. Come si renderà certamente conto, signor Stack, lo Stato sta attraversando un periodo molto difficile e a noi sono state date precise istruzioni, per cui dobbiamo prendere sul serio tutte le segnalazioni che ci arrivano— Ma di che diamine sta parlando?, fa Larry, questa non è una segnalazione, non ha alcun senso, state distorcendo la realtà, prendete una cosa e la trasformate in un’altra, sembra proprio che questa ve la siate scritta da soli. Signor Stack, sarà senz’altro a conoscenza della legge sui Poteri di Emergenza che è entrata in vigore a settembre per rispondere alla crisi che stiamo affrontando, una legge che prevede poteri e doveri supplementari per l’USNG al fine di mantenere l’ordine pubblico, perciò capirà senz’altro il nostro punto di vista: il suo comportamento sembra incitare all’odio contro lo Stato, sembra seminare discordia e disordine; e quando le conseguenze di un’azione mettono in pericolo la stabilità dello Stato per noi si aprono due possibilità. Una è che l’autore vada di proposito contro gli interessi dello Stato, l’altra è che non si renda conto delle proprie azioni e quindi agisca senza intenzione di andare contro gli interessi dello Stato, ma in entrambi i casi, signor Stack, il risultato non cambia: la persona in questione aiuta i nemici dello Stato e perciò, signor Stack, la esortiamo a fare un esame di coscienza e ad assicurarsi che le cose non stiano così. Larry Stack rimane a lungo in silenzio, guarda il foglio davanti a sé senza vederlo, poi si schiarisce la gola e si torce le mani. Mi faccia capire bene, dice, lei mi sta chiedendo di dimostrare che il mio comportamento non è sedizioso? Proprio così, signor Stack. Ma come faccio a dimostrare che il mio comportamento non è sedizioso quando sto semplicemente facendo il mio mestiere di sindacalista, esercitando un diritto sancito dalla Costituzione? Dipende da lei, signor Stack, a meno che noi non decidiamo che c’è bisogno di ulteriori indagini, nel qual caso non dipenderà più da lei e la decisione spetterà a noi. Larry si ritrova in piedi accanto alla sedia, le nocche premute contro il tavolo. Quello che legge sul volto del suo interlocutore è la sua forza di volontà, e capisce di essere stato portato lì per essere spezzato proprio da quella forza, che non è altro che la conferma di un assoluto che ha il potere di trasformare un sì in un no e un no in un sì. Voglio mettere ben in chiaro una cosa, dice, il ministro verrà informato in proposito e ci saranno delle conseguenze: non potete minacciare un sindacalista di lungo corso per fargli smettere di fare il suo mestiere, gli insegnanti di questo paese hanno il diritto di negoziare migliori condizioni di lavoro e di impegnarsi in azioni pacifiche che non hanno niente a che vedere con questa cosiddetta crisi che lo Stato starebbe affrontando, e ora, se non vi dispiace, me ne torno a casa. L’altro agente fa per parlare e Larry per un attimo è quasi sicuro di averlo visto sul serio. Continua a ripensarci anche mentre si avvia alla macchina e se ne sta nell’abitacolo a guardarsi le mani che gli tremano in grembo. Gli era sembrato che la falena fosse uscita fuori dalla bocca dell’agente.
Prima Ben al nido e poi i bambini a scuola, Molly scende con le cuffie dal sedile davanti della Touran e Bailey sbatte la portiera di dietro, Eilish voltandosi lo osserva mentre si staglia puntinato attraverso il vetro e si tira su il cappuccio della giacca a vento. Sta per immettersi di nuovo nel traffico quando una mano bussa al finestrino e Molly le grida di fermarsi, la portiera si apre e la ragazza afferra al volo la borsa da ginnastica dal pavimento, poi sparisce. Questa luce invernale, una macchia fredda novembrina, Eilish si muove nel traffico avvertendo la propria stanchezza emotiva, con gesti automatici, riposando quando il semaforo è rosso, non vede la giornata davanti a sé, ma il fatto che passerà senza lasciare traccia, un’altra giornata dimenticata e assorbita nel silenzioso computo dei giorni, vede sé stessa al lavoro e il fatto che non pensa più al proprio lavoro come a una carriera – il vero lavoro di una microbiologa è quello di stare in piedi a lungo davanti al bancone in cerca di prove, confrontando tra loro ipotesi e realtà, contro qualsiasi cosa un individuo possa credere, perché le risposte, vere o false, stanno nei risultati. Ormai invece passa le sue giornate al telefono e scrivendo email, specialista diventata generalista senza camice bianco, a gestire il personale, a distrarsi nelle riunioni, a fare le domande sbagliate. Siede alla scrivania, controlla la posta e riprogramma una call per le 17.30. Prende il cellulare e chiama Larry. Hai riempito i moduli per il passaporto come t’ho chiesto?, dice. Senti, tesoro, sono ancora un po’ scosso, non riesco a togliermi questa cosa dalla testa. Parla come se il fiato gli fosse sfuggito durante il sonno, si fosse svegliato sgonfio e fosse rimasto seduto sul bordo del letto a fissare il pavimento. L’hai raccontato in ufficio?, chiede lei. Lo sente parlare un attimo con un collega, coprendo il microfono con la mano. Li ho lasciati di sopra, sulla scrivania. Cos’è che hai lasciato di sopra sulla scrivania? I moduli per il passaporto. Larry, secondo me dovresti dare un colpo di telefono a Sean Wallace e parlargliene, poteri d’emergenza o no, ci sono ancora dei diritti costituzionali in questo paese. Voglio portare questa cosa direttamente alla segretaria generale, ma oggi è a casa con un virus. Dimmi un po’, Sean va ancora in giro con quella ragazzina? Sean Wallace in questo momento ne ha fin sopra i coglioni per quel processo Fitzgerald, non voglio disturbarlo oltre, ma dimmi un po’, chi prepara la cena stasera? Secondo me, gli dovresti dare un colpo di telefono lo stesso, tocca a te cucinare. Magnifico, ho una riunione prevista per le 18.30 ma la sposterò, non ne ho voglia. Larry. Che c’è, tesoro? Oh, niente, ieri ho preso della carne macinata, puoi sempre fare degli hamburger, senti, ora devo andare. Chiude la telefonata ma rimane un attimo seduta con il cellulare in mano in preda a una brutta sensazione. Guarda l’apparecchio e cerca di recuperare la chiamata, seguendo la propria voce fino al telefono di Larry, il segnale deve essere ritrasmesso per raggiungere il cellulare di suo marito, viene captato e reindirizzato attraverso un ripetitore di rete. D’un tratto sente la propria voce come se ascoltasse sé stessa in un’altra stanza. Parlagliene, poteri d’emergenza o no, ci sono ancora dei diritti costituzionali in questo paese. Sente improvvisamente freddo, si alza di colpo dalla sedia e si sposta verso la cucinetta dell’ufficio, pensando, in altri paesi, sì, ma da noi certe cose non succedono, la Garda, lo Stato, non possono mica intercettare le telefonate, scoppierebbe un casino. Ripensa alla macchina parcheggiata davanti casa la sera prima, all’USNG e alle voci che ha sentito a proposito di quello che pare stia succedendo, e mentre sta per entrare in cucina per un attimo ha l’impressione di non riconoscere più la stanza. Paul Felsner, il nuovo responsabile delle relazioni esterne, è in piedi davanti alla macchina del caffè e si sta sistemando i polsini della camicia. Quando la macchina smette di ronzare con un debole schiocco lui si volta e le sorride, ma il sorriso non gli arriva fino agli occhi. Oh, Eilish, speravo di incontrarti, non hai risposto al vocale che ti ho mandato, hanno dovuto spostare la videoconferenza con Asakuki alle 18. C’è una nota falsa nella sua espressione, pensa lei, i suoi occhi dovrebbero essere scuri e invece sono verdi e scopre il proprio sguardo attirato dal distintivo cerchiato del National Alliance Party che lui porta sul bavero della giacca, il Nap, il nuovo emblema dello Stato. Abbassa di nuovo lo sguardo sulle mani dell’uomo e si accorge che sono un po’ troppo piccole. Oh, non l’ho visto, dice, temo di non potercela fare a quell’ora, ma grazie per avermi avvertita.
Sulla riva c’è un cavallo azzurro che le si avvicina, e ora lei lo cavalca accanto all’acqua e si sente senza età, cavalca nella luce, il telefono squilla al piano di sotto e lei esce cavalcando dal sogno fino a trovarsi di nuovo in camera. Larry è seduto sul bordo del letto, si strofina gli occhi. Per l’amor del cielo, sussurra lei, è l’una e un quarto, chi è che telefona a quest’ora? Sarà meglio che non sia tua sorella, dice lui. Poi si china in avanti e si avvicina alla porta allungando una mano verso un’ombra che si allarga in una vestaglia. Scende le scale a passo felpato mentre lei rimane ad ascoltare il respiro di Ben nella culla, un colpo di tosse soffocato nella stanza dei ragazzi. Le parole attutite di Larry arrivano di sopra ed entrano informi nella stanza, lei si chiede chi possa essere, pensando a sua sorella Áine che vive a Toronto, era già successo una volta anni fa, oddio mio, mi dispiace tanto, sorellina, ho letto i fusi orari al contrario, ho bevuto un po’. Eilish chiude gli occhi e cerca il cavallo azzurro sulla spiaggia, lo cerca nei suoi ricordi, quanti anni avevi? È inverno, il cielo basso sul mare, i fianchi del cavallo contro i talloni, quella vitalità fremente sotto di lei, il peso di Larry che preme su un lato del materasso. Stavo per riaddormentarmi, dice. Lui non parla, ma fissa la parete e sembra rigido, il respiro affannato, Eilish tende una mano per stringergli il braccio. Che c’è, Larry? Accende la lampada sul comodino e si tira su a sedere, lo vede trasformato in un bambino dalla carezza della luce, un’espressione accigliata e perplessa mentre si volta e si schiarisce la gola. Era Carole Sexton, la moglie di Jim, era quasi isterica al telefono, Jim è uscito dall’ufficio ieri sera e non è tornato a casa. Tutto qui, Larry? Per un attimo ho temuto che avresti detto che è morto qualcuno. Senti, Eilish, lei sostiene che l’abbiano messo dentro. Chi l’ha messo dentro? Chi altri se non l’USNG. L’USNG? Sì, così ha detto. Ma è una cosa assurda, Larry, e cosa vuol dire messo dentro? Arrestato, suppongo, detenuto, a quanto pare qualcuno lo ha visto mentre lo facevano salire sul sedile posteriore di una macchina, ma non ha pensato di informare nessuno, lo ha scoperto lei più tardi dopo un giro di telefonate. Jim Sexton, quel fanfarone, cosa avrà mai combinato? Il fatto, Eilish, è che da allora nessuno l’ha più sentito. Non ha chiamato l’avvocato del sindacato, comesichiama? Michael Given, no, niente, non ha neanche telefonato alla moglie. Ma non si può mica arrestare qualcuno così, senza assistenza legale, ci sono delle regole. Carole dice che Michael adesso è andato a Kevin Street, ma lo fanno girare da un ufficio a un altro, perciò sta tornando a casa a dormire, pare non sia neanche possibile telefonare all’USNG, non hanno un numero diretto. Non capisco perché nessuno del sindacato mi abbia telefonato, sembra un bel casino. Ma non è vero. Cosa non è vero? C’è un numero sul biglietto da visita di quell’ispettore che è venuto qui l’altra sera, un numero di cellulare, l’hai chiamato tu stesso, Larry, dimmi la verità: cosa sta succedendo? Non lo so, tesoro, a quanto pare lui è su tutte le furie. Chi è su tutte le furie? Michael Given. Fagli avere quel biglietto da visita. Certo, non ci avevo pensato, adesso lo ritrovo, dove l’hai messo? L’ho appoggiato sulla mensola del camino in soggiorno, poi l’ho messo sotto l’orologio. Eilish, sta’ a sentire, Carole ha detto che la settimana scorsa lo hanno convocato, che lo hanno informato di aver ricevuto una segnalazione nei suoi confronti, lui gli ha riso in faccia, sai come è fatto Jim, a quanto pare quando ha chiesto se era in stato di arresto gli hanno risposto di no e allora lui gli ha recitato tutto l’Articolo 40.6.1, sezione tre, quello sul diritto dei cittadini a unirsi in associazioni e sindacati, lo conosci, no? Ha detto che avrebbe fatto venire in città con i pullman la metà degli insegnanti delle scuole superiori del Leinster, se lo sciopero viene confermato. La mano di Eilish cerca sul piano del comodino, afferra un bicchiere d’acqua senza neanche guardare e manda giù un sorso. Larry, quanti dei nostri diritti costituzionali possono sospendere sotto questi poteri d’emergenza? Non lo so, non fino a questo punto, non così, il potere di arresto è ancora soggetto alla legge, ma cosa è la legge se succedono certe cose? Senti, per adesso, non parlarne con nessuno, neanche con i bambini. Larry, non c’è niente che tu possa fare a quest’ora, per favore, rimettiti a letto.
Eilish rimane in piedi a guardare il giardino di suo padre. Vecchi ricordi si stampano sulle foglie bagnate, dondolano da una corda, si affollano nei cespugli, voci che gridano dal passato, pronti o no, io vengo. Guarda il frassino che il padre aveva piantato per il suo decimo compleanno e che ora troneggia sul piccolo appezzamento. Bailey solca l’erba alta e prende a calci le foglie morte mentre Molly fotografa le piante ibernate. Eilish si gira al tavolino dove è seduto il padre, immerso nel giornale, Ben dorme nel seggiolino ai suoi piedi. Lei solleva due tazze e ne scruta l’interno, fa scivolare un dito lungo il bordo. Papà, guarda queste tazze, perché non usi la lavastoviglie, davvero, devi metterti gli occhiali quando rigoverni. Simon non alza gli occhi dal giornale. Beh, gli occhiali ce li ho anche ora, ribatte. Sì, ma te li devi mettere anche quando rigoverni, le tazze hanno ancora i cerchi del tè. La colpa è di quella inutile signora delle pulizie, in questa casa non c’è mai stata una tazza sporca finché era viva tua madre. Osservandolo, ora, lei rientra in una sensazione infantile, rivede il padre com’era, il naso da falco e gli occhi svelti che esaminavano tutto, la sua stazza che ora sembra ritirarsi nella sedia, la schiena curva fasciata dal maglione di lana, le ossa fini delle dita che si esprimono attraverso una pelle simile a carta. Lui ripiega il giornale e si versa altro tè, poi tamburella con le dita sul tavolo. Non lo so mica perché insisto a leggere questo coso, dice, non riporta altro che la grande menzogna. Eilish prende il giornale e comincia a intaccare le parole crociate con la penna. Le dita del padre hanno smesso di tamburellare, senza guardarlo lei avverte che la sta osservando, ma quando solleva gli occhi lo vede accigliato. Chi è quel tizio in giardino con Eilish?, chiede lui. Per un attimo lei guarda in giardino, poi si gira verso il padre e gli prende la mano. Papà, quello là fuori è Bailey e sta con Molly, io sono seduta qui. Un’ombra di confusione gli attraversa il volto, poi sbatte le palpebre e, con un gesto di rinuncia della mano, spinge indietro la sedia. Naturalmente, dice, ma gira per il giardino imbronciata come facevi tu, non è mai solare come tua sorella. Ora lei lo guarda con un sorriso addolorato. E così noi due siamo proprio come te, gli dice. Osserva Molly, fuori, vedendo sé stessa nello stesso corpo, l’orologio in corridoio che si prepara a rintoccare tre volte nella sua infanzia. Non c’è niente che non va in quella ragazza, dice lei, ha quattordici anni, tutto qui, è un’età difficile, me la ricordo anche troppo bene. Poi torna alle parole crociate. Distintivo, dice, verticale, dodici lettere e la decima è una G. Simon si lascia sfuggire la parola contrassegno come se l’avesse sempre avuta sulla punta della lingua. Lei lo guarda compiaciuta, vede la pelle lenta sul collo del padre tendersi, gli occhi che si ritraggono sotto le palpebre, eppure la mente ripiega le ali. Eilish si versa il tè pensando, non dirgli ancora niente, osserva Bailey, così bello con la sua struttura slanciata, mentre Mark è tarchiato come il padre. Solleva lo sguardo e dice, Larry sta avendo qualche problema al sindacato, il governo non vuole che gli insegnanti entrino in sciopero, la polizia l’ha convocato, papà, e in pratica l’ha minacciato, incredibile, no? Chi l’ha convocato? L’USNG. Simon si gira e la guarda senza dire una parola, poi scuote la testa e si osserva le dita. Larry dovrebbe andarci cauto con quelli lì, l’USNG, la National Alliance li ha messi al posto dell’Unità Investigativa Speciale poco dopo aver preso il potere, c’è stato un po’ di scompiglio all’inizio, ma poi tutto tranquillo, dopo una settimana, tutto messo a tacere, naturalmente, non abbiamo mai avuto una polizia segreta statale fino a ora. Papà, si sono portati via il responsabile territoriale del Leinster, senza concedergli una telefonata, senza avvocato, lo tengono dentro, il sindacato sta facendo un casino, ma l’USNG non parla. Quando è successo? Martedì sera… Fuori Molly lancia un grido. Si voltano e la vedono agitarsi e mulinare le braccia mentre Bailey, appeso a una vecchia corda, cerca di tenerla ferma circondandole il collo con le gambe. Il padre le lancia un’occhiata improvvisa. Dimmi una cosa, dice, tu ci credi nella realtà? Papà, come sarebbe a dire? È una semplice domanda, sei laureata, sai benissimo cosa vuol dire. Se la metti in questi termini, certo, so cosa vuoi dire, ma risparmiami la predica. Lui distoglie per un attimo lo sguardo, spostandolo sulla credenza su cui sono ammucchiati giornali ingialliti, riviste di attualità spiegazzate, il suo vecchio sorriso mette in mostra i denti. Eilish, siamo entrambi scienziati, apparteniamo a una tradizione, ma la tradizione non è altro che ciò su cui tutti concordano – gli scienziati, gli insegnanti, le istituzioni, se si riesce a cambiare la proprietà delle istituzioni, allora si riesce a cambiare anche la proprietà dei fatti, si può alterare la struttura dell’opinione, di quello che si stabilisce di credere tutti, ed è esattamente quello che stanno facendo, Eilish, in realtà è abbastanza semplice, il Nap sta cercando di cambiare quello che noi due chiamiamo la realtà, la vogliono intorbidire come l’acqua, se dici che una cosa è un’altra cosa e lo ripeti abbastanza spesso, allora dev’essere così, e se continui a ripeterlo tante volte, la gente crederà che sia vero – naturalmente è un’idea molto vecchia, niente di nuovo, in verità, solo che ora la vedi in azione nella tua quotidianità, non in un libro. Lei lo guarda inseguire un pensiero remoto con gli occhi, cerca di leggergli nella testa, la mano piena di macchie sulla pelle che tira fuori un fazzoletto sgualcito da una tasca dei pantaloni, lui che ci si soffia il naso e lo rimette in tasca. Naturalmente, prima o poi, la realtà si rivela per quello che è, dice, puoi prendere in prestito un’altra realtà, ma la realtà vera rimane sempre in agguato, con pazienza, in silenzio, per esigere il prezzo e riequilibrare la bilancia… Ben si sveglia sputacchiando e si guarda attorno. Poi comincia a piangere, così Eilish spinge indietro la sedia e cerca di calmarlo, lo prende in braccio e se lo attacca al seno sotto la sciarpa. Sente una gran voglia delle vecchie consolazioni, vuole richiamare in casa i ragazzi e riunirli attorno a lei, però si scontra con una sensazione di oscurità, una zona d’ombra che cerca di espandersi. Fa un respiro profondo, poi sospira e cerca di sorridere. Abbiamo appena prenotato le vacanze di Pasqua, andremo a stare con Áine e la sua banda e poi ci faremo un giro di una settimana, le cascate del Niagara, se ci riusciamo, e qualche altro posto intorno a Toronto, i ragazzi si divertiranno un sacco. Lo sguardo di Simon sembra vagare davanti a lei e non è sicura che abbia sentito. Lui solleva le mani dal tavolo e se le esamina, poi le rimette giù e alza gli occhi. Magari, dice, dovreste riflettere se rimanerci in Canada. Lei si sorprende a staccare il piccolo dal seno, ora è in piedi e lo guarda dall’alto in basso. E con questo che vuoi dire, papà? Voglio dire che ormai sono troppo vecchio per fare alcunché, ma i ragazzi sono ancora giovani, si possono ambientare ovunque con facilità, hanno ancora tempo per ricominciare da capo, si adatteranno al nuovo accento in un lampo. Per l’amor del cielo, papà, ma ti senti? Non ti sembra di esagerare? Non ci pensi al mio lavoro, a quello di Larry e alla scuola dei ragazzi, e poi c’è la squadra di hockey di Molly, quest’anno vincerà il torneo giovanile del Leinster, sono già avanti di nove punti in classifica, Mark ha appena cominciato il liceo e chi terrà d’occhio te quando non riuscirai neanche più a lavare le tazze? La signora Taft viene solo una volta a settimana, e se cadi e ti rompi un femore, dimmi un po’, che si fa?
La pioggia invernale scende fredda e generosa, i giorni intorpiditi dentro la pioggia sembrano mascherare il tempo che scorre, ogni giorno cede il passo a un altro giorno senza volto finché l’inverno raggiunge la sua piena maturità. Un’aria strana e inquieta ha riempito la casa. È arrivata con i due uomini che hanno bussato alla porta e si è insinuata ovunque, questa sensazione che l’unità della famiglia abbia cominciato a smagliarsi. Larry lavora fino a tardi e la mattina dopo è irritabile e introverso, pare muoversi all’interno di una ferocia silenziosa, le mani tese, il corpo che sembra contrarsi come sotto l’influenza di una pressione sempre più stringente. Sono ormai troppe sere che arriva a casa tardi, con Eilish che guarda attraverso le stecche della veneziana e poi le richiude per non farsi vedere, come una vecchia zitella, pensa, una strizza-tende, che lo aspetta all’ingresso quando finalmente arriva. Dovevi portare Molly agli allenamenti, Larry, ho dovuto cancellare un’altra videoconferenza con i nostri soci, sono appena tornata dal congedo di maternità, come pensi la prendano? Lui rimane in piedi accanto alla porta con una scarpa mezza levata, poi abbassa lo sguardo come un cane pentito e picchiato, scuote il capo e la guarda negli occhi, e lei vede che in lui è avvenuto un cambiamento, la sua voce è diventata un sussurro irritato. Stanno cercando di darci fastidio, Eilish, diffondono menzogne all’interno del sindacato, non crederai mai a quello che ho sentito dire oggi… Poi la voce perde vigore sotto lo sguardo concentrato di lei e gli occhi si abbassano di nuovo. Senti, riprende, capisco benissimo cosa vuoi dire e mi dispiace tanto. Le mostra un telefonino prepagato non registrato, un usa-e-getta, lo chiama. Anche se volessero intercettarlo, non conoscono il numero. Lei lo osserva pensando ai bambini che li ascoltano parlare a bassa voce nell’ingresso. Ti comporti come fossi un criminale, Larry, senti, a quanto pare Bailey s’è beccato un virus, ora è di sopra— Larry alza una mano e la interrompe. Non sono certo io il criminale quando sono loro che stanno cercando di distruggere il sindacato, arrestano senza motivo i membri della nostra organizzazione, ma non riusciranno a fermare la nostra manifestazione. La precede in soggiorno, poi entra in cucina e si chiude la porta alle spalle. Lei lo guarda attraverso il vetro e lo vede posare la borsa su una sedia, andare al lavello a lavarsi le mani, poi vi si appoggia e guarda fuori. Vuole andare da lui, scrutare la mente dentro quel corpo, quell’uomo buono, fiero che è dentro quella mente, quell’uomo impegnato, preso da un’urgenza morale, quella guerra che cresce in lui contro un qualcosa che non riescono a misurare. Pensa che ultimamente lui vuole restare solo, alla fin fine tutti gli uomini cercano lo stesso isolamento, una volta ha visto questa frase scritta su un muro. Apre la porta e si affaccia in cucina. Vuoi cenare?, chiede. No, sono a posto, ho pranzato tardi, magari mangio un boccone dopo. Entra Molly indossando una mascherina. È andata in giro a disinfettare le maniglie, i rubinetti e i comandi degli sciacquoni, ha creato un cordone di sicurezza intorno alla camera dei ragazzi usando del nastro adesivo e rifiuta di sedersi a tavola a mangiare. Non vuole ascoltare Eilish che le spiega che non riuscirà certo a fermare il virus, pensando a come invade le cellule e si riproduce, una fabbrica silenziosa all’interno del corpo, il virus che viaggia invisibile nel respiro. Il giorno dopo sia Molly che Mark sono a letto malati, poi s’ammala anche Larry, Eilish è contenta di averli tutti a casa, anche Larry sembra essere tornato quello di una volta, divertito dal fatto che lei e il piccolo siano immuni, prende in giro Mark che arriva con i capelli davanti agli occhi e soffiandosi il naso con un fazzoletto di carta. Con quella capigliatura, se ti passassi accanto per strada neanche ti riconoscerei. Qualcun altro vuole un caffè, a parte papà?, chiede Mark. Si riuniscono per vedere un film e Mark ritorna portando da bere a tutti, Eilish gli guarda il corpo solido, slanciato, a quasi diciassette anni è alto come il padre. Scansati, dice il ragazzo mentre le si siede accanto, le appoggia un braccio sulla spalla e lei non riesce a ricordare l’ultima occasione in cui sono stati tutti a casa così, Molly accoccolata addosso a lei, Bailey su un cuscino impegnato a mangiare il gelato, Larry davanti al televisore, Ben che le dorme in grembo. Ah, piantatela su, dice Mark, quante volte abbiamo già visto questa stronzata sentimentale? A me piace, dice Bailey. Anche a me, fa Molly, è molto dolce, mamma, ricordami un po’ com’è che vi siete conosciuti voi due? Larry ride, Mark geme e dice, ma quante volte l’abbiamo già sentita questa storia, non lo sai che papà è un romanticone e ha dovuto andare per mesi a caccia della mamma col suo retino? Ma non è vero, fa Eilish, sorridendo a Larry. Beh, in parte è vero, fa Larry, io sono di sicuro un romanticone e quanto al resto, in realtà ho usato un sacco da patate. Quando Ben le si sveglia in grembo, Eilish lo guarda per cercare di vedervi l’uomo che diventerà, anche se sia Mark che Bailey le hanno dimostrato che il suo modo di pensare è sbagliato, un’arancia può cadere da un melo e di sicuro anche Ben crescerà come meglio vorrà. Eppure lei insiste a cercare nel piccolo qualche somiglianza con Larry, nella speranza che sia un giorno all’altezza del padre, pur sapendo che ogni ragazzo cresce e si allontana da casa per disfare il mondo mentre cerca di costruirlo. È la natura che vuole così.
Il piccolo si sveglia di colpo con uno strillo, come fosse stupefatto di essersi svegliato, e lei si ritrova ad alzarsi nel sonno finché il suo sonno si sparge in frantumi nella stanza buia. Fa scivolare un piede verso Larry, ma il suo lato del letto è freddo. Tira su il bambino dalla culla e se lo attacca al seno, la boccuccia divora ansando, la manina artiglia la sua carne. Gli porge un dito e lui lo afferra con una tale minuscola forza che lei capisce l’innato terrore che ha dentro, il bambino resta attaccato come se la sua vita dipendesse da quello, come se non ci fosse altro a collegarlo alla vita se non la madre. Gli uccellini dell’alba sondano il silenzio quando lei indossa la vestaglia e scende di sotto con Ben. Larry se ne sta seduto al tavolo al buio, il volto illuminato dallo schermo del portatile. Non l’ha sentita arrivare perciò lei è libera di osservarlo, l’espressione triste e appesantita, la preoccupazione senza pausa. Allunga la mano verso la parete e accende la luce, allora lui guarda su e sospira, poi sorride, con un cenno chiede il piccolo, se lo sistema in piedi sulle gambe, lasciando che il bambino sostenga il proprio peso. Ha dormito tutta la notte?, chiede. Potrei farti la stessa domanda, Larry, hai la faccia di uno che a letto non ci è andato affatto. Larry si mette naso contro naso con il piccolo. Ma guardati un po’, ometto, prima ci prendi di sorpresa e ora tra un po’ ti svezzeremo. Eilish è davanti alla macchina del caffè con le braccia conserte, poi si volta e osserva il marito con tale intensità che il volto di lui gli diventa estraneo, gli occhi arrossati dalla mancanza di sonno, i capelli scomposti, la giacca a spina di pesce lisa sopra il maglione di lana merino; lei si paragona un attimo a Larry, è vero, lui ha cominciato a invecchiare più in fretta, la barba già screziata di grigio. Ed è a quel punto che si rende conto che non ricorda più che aspetto avesse prima, il rinnovamento delle cellule è sia lento che rapido, si comincia con un corpo e col passare del tempo esso si trasforma in un altro, lui è lo stesso e tuttavia diverso, solo gli occhi rimangono immutati. Gli toglie Ben dalle braccia e lo osserva. Non è troppo tardi, gli dice. Lui la guarda e comincia ad accigliarsi. Cos’è che non è troppo tardi? La partita che stai giocando con il governo, c’è ancora tempo per fermarla. Lui rimane un attimo in silenzio, poi sospira, chiude il portatile, lo infila in una borsa di cuoio e si alza. Per l’amor del cielo, Eilish, ormai la macchina si è messa in moto, non è che ci si può semplicemente sottrarre a un confronto del genere, sarebbe un enorme disonore per l’intera organizzazione, gli insegnanti ci abbandonerebbero in massa, la manifestazione si deve tenere. Sì, Larry, ma intanto Alison O’Reilly non è ancora tornata al lavoro, come mai, secondo te? Il marito dice che ha l’influenza. Un’influenza che dura da tre settimane. Sì, lo so, in effetti sembra un po’ strano, però, senti, stamattina devo arrivare presto, dobbiamo fare una riunione sull’atteggiamento da prendere nei confronti dei media prima di— Lei gli ha voltato la schiena e guarda fuori nel giardino bagnato e scuro, tutto sospeso in un umido equilibrio, gli alberi prostrati dal freddo. Non ha bisogno di voltarsi per poter misurare lo scontro tra le loro due volontà, intrecciate in una lotta silenziosa, che si girano intorno e si gettano l’una contro l’altra prima di ritirarsi doloranti e piene di lividi. Larry sta per entrare in soggiorno quando si ferma e dice, La madre di Mary O’Connor è morta ieri sera, ho ricevuto un messaggio poco prima di mezzanotte, aveva novantaquattro anni, l’ultima titana, se mai ce n’è stata una. Eilish scuote la testa e mette Ben nel seggiolino. Ai suoi tempi quella donna era una furia, quando si terranno i funerali? Sabato mattina, nella chiesa dei tre Patroni. Lei si avvicina al marito desiderando in cuor suo di essere in una mattinata diversa, gli mette la mano su un polso e glielo stringe. Larry, Alison O’Reilly non è malata e lo sai benissimo. Eilish, non ne hai le prove. Con l’USNG non si scherza, Larry, se apri quella porta, non puoi sapere cosa c’è dall’altra parte. Eilish, stammi a sentire, l’USNG non è mica la Stasi, stanno solo cercando di esercitare un po’ di pressione, tutto qui, un tentativo di disgregazione e di assillo per cercare di convincerci a fare un passo indietro, noi siamo più di quindicimila e il governo è nervoso, ma non possono mica bloccare una manifestazione democratica, aspetta e vedrai. Lei gli sta abbastanza vicina da vedere le screziature nella sua iride, le sfumature rosse e ambrate, nessun occhio ha un colore uniforme. Dimmi un po’ una cosa, Larry, dov’è Jim Sexton in questo momento? Lui sbatte le palpebre, si acciglia, si allontana. Eilish, davvero… Scuote la testa e prende la borsa, entra in soggiorno ma non si dirige verso la porta. Lei lo sente fermarsi e rimanere immobile, poi con un lungo sospiro, sedersi. Per un istante ha la sensazione di essere sopraffatta, guarda di nuovo fuori e vede gli alberi scintillare contro la giornata plumbea, pensa, come passa in fretta l’alba, la luce grigia che sfiora appena le foglie, le sagome ombrose sugli alberi dove le gazze fanno baccano. Questa frenesia che si sente nelle mani quando entra in soggiorno e vede Larry accasciato immobile nella poltrona, come se guardasse un pensiero che gli si è manifestato davanti. Poi lui solleva lo sguardo, scuote la testa e dice, magari hai ragione tu, Eilish, non è il momento adatto, è una follia andare avanti, adesso li chiamo e mi do malato. Lei gli si avvicina con una sensazione vittoriosa, abbassa lo sguardo su di lui. Fa per dire qualcosa ma sente un non so che scatenarsi dentro di sé, una gazza burlona spicca il volo e rimane in piedi davanti a lui scuotendo la testa. No, dice, bisogna farlo, non è più una cosa che riguarda me e te, il Nap sembra credere di essere al disopra della legge, lo sanno tutti che queste leggi emergenziali sono un tentativo di aggrapparsi al potere, chi altri difenderà i nostri diritti costituzionali se gli insegnanti non li sostengono? Eilish osserva il modo in cui è seduto Larry, con le ossa pesanti e abbandonate, come un ragazzo che tiene in mano un cervello adulto, e poi di colpo lui si alza e riprende la sua vecchia aria irremovibile. E va bene, tesoro, è una giornata dura per fare una manifestazione, magari alla fine vado con loro al pub, ma non berrò, posso ancora passare a riprendere Molly dopo l’allenamento. Lei si appoggia alla porta e lo osserva infilarsi gli scarponi verdi da escursione nell’ingresso. Larry prende l’impermeabile e cerca di infilarselo sopra la giacca, ma una manica è rovesciata e per un attimo rimane bloccato sulla soglia a cercare di sistemarla, così lei pensa che sia ancora incerto, finché lui non alza gli occhi e incrocia il suo sguardo. Vai, gli dice con un sorriso, vai e fa’ quello che devi fare.
Entra in ufficio dopo pranzo nutrendo un pensiero obliquo. Qualcosa di nascosto, ma esigente, la mente curiosa si posa altrove, il cambio di Ben per il nido che si è dimenticata di preparare, i moduli per il rinnovo del passaporto che doveva spedire. È allora che le viene in mente il cellulare che ha lasciato sulla scrivania. Lo recupera aspettandosi di trovarci qualche chiamata persa, ma non ce ne sono, capita che Larry non la chiami durante una manifestazione. Si sposta verso la cucina e lo sguardo di Rohit Singh intercetta il suo al di sopra dello schermo del computer, sta parlando al telefono e allo stesso tempo le sta comunicando qualcosa con gli occhi, ma è un messaggio che Eilish non riesce a decifrare, perciò alza le spalle e arriccia il labbro inferiore nella smorfia universale di rammarico scherzoso. Ma proprio in quel momento sente che qualcuno la chiama per nome e si volta per vedere Alice Dealy che esce dal suo ufficio con un’espressione esitante. Eilish, non stai guardando il telegiornale? No, ho appena finito di pranzare. Non fa in tempo a finire di rispondere che capisce cosa significa l’espressione di Alice, e mentre si dirige verso l’ufficio è colta per un attimo in un gesto rallentato di nuoto in verticale, è come se avanzasse guadando, ingoiando una boccata d’aria appena varca la soglia, e li vede tutti intorno al grande schermo di Alice. Nel servizio scorrono le immagini di un’improvvisa carica di cavalli in una strada che è ormai diventata un inferno scuro e fumante. Poliziotti armati di manganello picchiano manifestanti riducendoli a sagome ripiegate, li picchiano agli angoli della strada, mentre i gas lacrimogeni aleggiano al rallentatore tutt’intorno e all’esterno i manifestanti scappano in inquadrature insistite. Si ritirano impauriti sulle soglie delle case con i colletti tirati su a riparare il naso, mentre continua a ripetersi l’immagine di un insegnante trascinato da poliziotti in borghese verso un’automobile senza contrassegni. Eilish sbatte contro una sensazione di impotenza, si ritrova alla propria scrivania con il telefono all’orecchio che suona, una chiamata in uscita, Paul Felsner la osserva attraverso la veneziana dell’ufficio. Si siede davanti al computer cercando di immaginarsi Larry, ma vede solo lo sguardo lento e indagatore di Felsner, rivede sé stessa mezz’ora prima che mangia un sandwich mentre il tempo era già in marcia, era già oltre di lei. Deve assolutamente andare da lui, ora lo sente, insieme a un oscuro senso di colpa. Raccoglie in fretta il lasciapassare di sicurezza e le sue cose nella borsa, attraversa l’ufficio infilandosi il soprabito a metà, le scale riecheggiano di passi e si ritrova sul marciapiede con il telefono incollato all’orecchio, il numero di Larry non risponde e quando richiama il telefono risulta spento. È allora che lei alza lo sguardo e le sembra che la giornata sia finita sotto un cielo straniero, avverte un senso di disgregazione, mentre la pioggia le cade lentamente sul viso.