Estratto da "Un cuore intelligente"
Alain Finkielkraut
Nel suo saggio L'arte del romanzo, Kundera cita questo proverbio yiddish: <L'uomo pensa, Dio ride>.E commenta: < Prendendo spunto da questa massima, mi piace immaginare che François Rabelais abbia udito un giorno la risata di Dio, e che sia nata così l'idea del primo grande romanzo europeo. Mi diverte pensare che l'arte del romanzo sia venuta al mondo come eco della risata di Dio >. Questo è lo sbaglio di Kostka: Dio non parla, non lancia segnali, non manda messaggi, Dio non irrora la prosa dell'esistenza con i suoi imperativi e i suoi richiami - Dio ride in silenzio. E Kundera scrive Lo scherzo in un Paese consegnato a quelli che chiama, sulle orme di Rabelais e Laurence Sterne, "age-lasti". L'agelasta è colui che non ride o, più precisamente, colui che rimane insensibile al riso. Nulla, infatti. separa da Dio o dal suo avatar laico, la Storia. Non c'è separazione che regga, per l'agelasta; questi abita la verità, e la verità non si limita a unire tra loro gli uomini, ma unisce in loro l'anima al corpo, l'intenzione all'azione, l'essere all'apparire, il reale al razionale. Ogni distanza è abolita. In questo scenario fusionale non c'è spazio per nessun particolare banale, inopportuno, umile o frivolo. Il regno degli agelasti è indiviso: Dio e il mondo coincidono. Ma basta accendere la radio o guardare la televisione per accorgersi che non viviamo più nel regime dei volti chiusi in se stessi. Le bocche contemporanee sono spalancate, perché ora predomina l'irrisione, non il riguardo. All'epoca degli agelasti patibolari ha fatto seguito quella dei giullari irriverenti. Lo spirito farsesco ha ridotto in cenere lo spirito di serietà. Il pubblico che noi formiamo è invitato da mane a sera a divertirsi. La risata è diventata la colonna sonora deI mondo. Proprio quando ero immerso nella rilettura dello Scherzo, sono incappato in una trasmissione televisiva in cui un conduttore decisamente moderno (vale a dire disinvolto) chiedeva agli ospiti - attori, cantanti e giornalisti famosi - quale, fra le morti recenti, li avesse lasciati più indifferenti. Tra i cadaveri di quell`anno c'erano il giovane cantante di un varietà televisivo morto per una malattia neurodegenerativa, alcuni attori, un tenore e un cardinale. I presenti hanno emesso qualche gridolino ○, più precisamente, qualche soffocata risatina scandalizzata all'udire il macabro elenco (<oh, Thierry, stavolta esageri!>), ma poi hanno tutti docilmente accettato il questionario, hanno fatto tutti la propria parte, da bravi soldatini dell'impertinenza, e hanno votato all'unanimità per (o piuttosto contro) il cardinale. Qualche giorno dopo, il conduttore si è giustificato rivendicando con orgoglio il diritto alla blasfemia. Sarebbe egli dunque un Salman Rushdie o un Ludvík Jahn? E quanti hanno stigmatizzato quel momento di schietta allegria sarebbero lugubri ayatollah o temibili censori alla stregua di Pavel Zemánek? Il rispetto per i defunti puzzerebbe dunque di dittatura? Esaminiamo la questione più da vicino. Ludvík è stato gettato a terra e condannato perché ha scherzato apertamente sulla fraternità sorridente. Il cardinale è stato linciato a titolo postumo per opera della fraternità ridanciana. Riavutasi dall'illusione rivoluzionaria, ma violentemente egualitaria, la risata contemporanea sbandiera P'ideale della deidealizzazione. La possibilità che l'uomo sia infinitamente superiore all'uomo, che abbia una vocazione spirituale, che non si riduca alle sue sole funzioni fisiologiche: questo è quanto la risata si propone oggi di cancellare dal mondo, Essa si accanisce contro la trascendenza, non accetta alcun genere di primato, perseguita la grandezza in qualsiasi forma si manifesti, si innalza a vendicatrice della mediocrità oltraggiata dalla superiorità, riduce l'anima a un articolo da rigattieri, una cosa indecente, un motivo di gazzarra, c lavora indefessamente per rendere ogni uomo monolitico. Soprattutto, nessuna distinzione, nessuna dissonanza, nessun conflitto interiore, nessun rimorso. I giullari, in altri termini, non sono i nemici degli agelasti, ma i loro eredi,. I buffoni, un tempo ufficialmente deputati a tenere sulle spine i re, sono oggi i re adulati e temuti della democrazia radicale. E sopra le macerie della promessa comunista diffondono il vendicativo ardore della bassezza comune. Che il cardinale ne prenda atto, una buona volta: tutti noi siamo corpi che scopano, mangiano, bevono, ruttano, scoreggiano e si fanno quattro risate.
Kundera definisce l'umorismo lampo divino che rivela l'ambiguità morale del mondo. Mirabile scoperta, che fa vacillare il senso, ma è essa stessa vacillante, instabile, incerta, alla mercé dei giullari come degli agelasti. Mentre i secondi bandiscono l'umorismo, primi lo seppelliscono sotto il peso della loro perenne ilarità. La risata dell'umorismo scompagina le sacre unioni; quella dei giullari addita le vittime sacrificali, La prima sfida il branco, la seconda lo aizza. La prima è una forma di dubbio; la seconda sputa sentenze senza alcuna remora. La risata umoristica nutrita dalla fantasia scuote le solenni certezze dell'ideologia; la risata dei giullari decapita chi svetta e punisce con 1o sberleffo tutti gli arretrati, gli antiquati, i reazionari, tutti quelli che con il loro anacronismo non si adeguano alle derisorie certezze dello spirito dei tempi. "L'uomo Densa. Dio ride" dice l'umorismo, che, insinuandosi in questo intervallo, incrina l'autosufficienza del mondo; i giullari invece sguazzano nell'immanenza, e la loro trionfale gaiezza reca all'uomo democratico una duplice buona novella: il livellamento dell'essere e la morte della risata di Dio.