QUALE CRITICA ALL'OCCIDENTE?
Una discussione
Gianfranco Giudice
C'è qualcosa che mi è totalmente incomprensibile, ovvero la vicinanza, il sostegno, comunque la non opposizione di tanti "compagni" o sedicenti tali al regime di Putin con cui in ogni caso la Russia e i russi non si identificano affatto, come gli ebrei con il governo di Israele e ogni popolo con quello del proprio paese. Sono abbastanza vecchio da avere fatto in tempo a credere e vedere nell'Unione sovietica il sogno, il mito del comunismo, nato e cresciuto come sono in una famiglia comunista. Mosca ha incarnato un'idea/ideologia universale, poi rivelatasi non un sogno, quello dell'uomo nuovo, del paradiso terrestre alternativo al capitalismo, bensì un tragico, terribile incubo. Di calcio non mi interessa nulla, da ragazzino però mi piaceva, guardavo le partite e se giocava una squadra di un paese comunista tenevo ad essa, anche se giocava contro una squadra italiana, perché l'internazionalismo veniva prima di tutto. Mi viene da ridere pensandoci, ma è testimonianza di come l'infatuazione ideologica sia una malattia seria, con un senso preciso. Eppure il comunismo, il socialismo, il marxismo sono un prodotto dell'Occidente proposto come visione universale, l'Unione sovietica non era ideologicamente in guerra con l'Occidente di cui era figlia la sua ideologia fondante, bensì era in conflitto con il mondo capitalista, quel capitalismo prodotto anch'esso dell'Occidente di valenza altrettanto universale. Cosa c'entra tutto ciò con l'ideologia slavofila, euroasiatica, nazionalista grande russa impastata di ortodossia religiosa del regime di Putin che guarda all'Europa come luogo di degenerazione e decadenza morale di cui l'Ucraina, in mano ai nazisti, sarebbe la povera vittima da salvare? Urss e Russia, per quanto legate tra loro, sono realtà storicamente assai diverse, lo sono in particolare dal punto di vista ideologico che qui mi interessa evidenziare particolarmente perché decisivo nell'influenzare l'opinione pubblica. Mi chiedo: può un "compagno" o sedicente tale innamorarsi di Putin, vedere nel suo regime un punto di riferimento? Riferimento per che cosa? Per la critica all'Occidente? L'Occidente, l'Europa che ne rappresenta il cuore pur non esaurendolo, hanno certamente molto per cui essere criticati e sono sempre criticabili, del resto l'idea stessa di "critica" e "autocritica" nasce e appartiene al DNA stesso della cultura occidentale, costituisce il fondamento della sua autorappresentazione. La domanda tuttavia che rivolgo ai "compagni" o sedicenti tali è: come una necessaria critica e autocritica dell'Occidente, dell'Europa, possa trovare nella Russia di Putin la propria ispirazione teorica, ideale, ideologica? Il fatto mi risulta del tutto incomprensibile, anzi assurdo ricordando anche la mia piccola storia con la grande storia che per età ho fatto in tempo a conoscere.
Paolo Bolzani
Gianfranco Arriviamo al cuore della tua domanda: Può una critica necessaria e interna all’Occidente (quella che tu consideri parte del DNA europeo: l’autocritica, la ragione dialettica, l’idea che la verità si raggiunge anche attraverso il conflitto con se stessi) trasformarsi in una critica esterna, eterodiretta, strumentale che finisce per legittimare un sistema autoritario, nazionalista, e imperialista?
Quando la critica smette di essere autocritica e diventa strumento di legittimazione di un altro potere, che cosa resta della sua natura originaria?
Infine, una domanda forse scomoda ma che credo valga la pena porsi:
se guardiamo ai decenni passati, in che momento preciso la critica radicale all’Occidente ha iniziato a perdere sempre più il riferimento a un progetto alternativo credibile (socialista, comunista, ecologista, femminista globale, ecc.) e si è trasformata sempre di più in una reazione di rigetto, in un «qualunque cosa ma non questo»?
Non credo che ci sia una risposta netta.
Ma forse proprio qui, nel passaggio da «critica come progetto» a «critica come rifiuto», si nasconde una parte della spiegazione di quel fenomeno che ti appare assurdo. Lo è anche per me.
Gianfranco Giudice
Paolo sono totalmente d'accordo con te, la critica come rufiuto, sterile, puramente negativa, nasce a mio parere dal non avere mai fatto i conti da parte di molti con un radicale e drammatico fallimento dei progetti di trasformazione del passato, tesi a costruire un uomo nuovo, molti hanno semplicemente rimosso quel fallimento, non ci hanno mai fatto i conti teorici davvero. Sulla rimozione si costruisce solo qualcosa di patologico, e patologici a mio avviso sono tanti radicalismi attuali, oltre gli aspetti specificamente politici, e la dimensione storica.
Paolo Bolzani
Gianfranco, Certo sono patologici tanti radicalismi attuali. Si è persa purtroppo la capacità di distinguere tra una critica genuina al capitalismo (radicata in un'analisi marxista) e una mera opposizione reattiva, che sta accogliendo narrazioni estranee come quelle nazionaliste o conservatrici. Mi chiedo come il rifiuto possa aprire la porta a "surrogati" ideologici, come quello che appoggia un regime che si presenta come anti-occidentale ma per ragioni del tutto diverse.
Gianfranco Giudice
Paolo certo, ma chi lo conosce più il marxismo realmente? Marxismo frutto della migliore cultura dell'occidente, altro che slavofilia e antioccidentalismo. Il marxismo per quanto superato per molti aspetti teorici, ma non tutti, è una cosa seria, nulla a che vedere con certa sinistra radicale in circolazione oggi, che per ignoranza molti considerano la vera sinistra.
Paolo Bolzani
Gianfranco, Parli del marxismo come "frutto della migliore cultura dell'Occidente"—un'idea potente, che lo lega alla tradizione razionale, dialettica e autocritica europea. Ma ti chiedo: se oggi pochi lo conoscono "realmente", quali aspetti del marxismo credi siano più fraintesi o dimenticati? Ad esempio, come la sua analisi del capitalismo (materialista, storica) si distingue da un'opposizione reattiva, e in che modo riscoprirlo potrebbe aiutare a distinguere una "vera" sinistra da certe forme radicali che lo scimmiottano senza sostanza?
Gianfranco Giudice
Paolo credo che ciò che è più vivo, e tanto misconosciuto, totalmente ignorato, sia il realismo e materialismo storico di Marx, depurato di ogni messianesimo e ideologia, o di utopismo astratto, peggio di moralismo predicatorio. La teoria del valore-lavoro marxiana non funziona, ma l'analisi economica di Marx può ancora insegnarci molto, la sua attenzione alla produzione come base materiale del processo storico, globale come scrive nel Manifesto. Il pensare dialettico come dici tu è altro elemento essenziale del marxismo, non le fumisterie di tanti sinistri. Penso che questi elementi fondamentali di Marx dovrebbero essere ancora oggi alla base di un sano riformismo socialista, vera alternativa ad ogni radicalismo ammantato di sinistra. Solo lo sviluppo pieno dell'economia più moderna può generare elementi di socialismo coniugati con la libertà e la democrazia. Altro che ideologie passatiste, da decrescita felice, et similia.
Paolo Bolzani
Gianfranco, Quando parli di "realismo e materialismo storico" di Marx, depurato da ogni messianesimo o moralismo, cosa immagini succeda se applichiamo questo approccio a un contesto contemporaneo, come la globalizzazione economica? Ad esempio, in che modo l'attenzione di Marx alla "produzione come base materiale del processo storico" potrebbe illuminare dibattiti attuali su automazione o intelligenza artificiale—potrebbe aiutarci a distinguere tra un progresso che genera libertà e uno che approfondisce disuguaglianze, senza cadere in astrazioni utopiche?
Gianfranco Giudice
Paolo penso che l'attenzione ai fattori della produzione, alla composizione organica del capitale nel linguaggio marxiano, alla sua analisi delle macchine e di come queste determinino la sostituzione del lavoro, potrebbe aiutare a capire come solo lo sviluppo della ricchezza, l'aumento della produttività, permetta di avere un compromesso tra capitale e lavoro in grado di redistribuire realmente la ricchezza, perché con la penuria non si redistribuisce nulla. L'anima della socialdemocrazia è questa, e oggi manca sia sul terreno politico che sindacale.
Paolo Bolzani
Gianfranco, Se l'"anima" della socialdemocrazia era proprio questo realismo materialista—sviluppo economico come base per riforme progressive, non moralismo o decrescita—cosa accadrebbe se un movimento o un partito tornasse a fare di questa analisi il proprio centro?
Potrebbe ridare forza a un riformismo non rinunciatario, capace di negoziare con il capitale su basi di forza (produttività alta = leva per redistribuzione), invece di difendersi solo su posizioni reattive? Oppure temi che le trasformazioni attuali (globalizzazione, finanziarizzazione) abbiano reso quel compromesso storicamente irripetibile?
Gianfranco Giudice
Paolo quel compromesso storicamente irripetibile? Forse, perché le socialdemocrazie sono nate e si sono sviluppate, ottenendo successi, su base nazionale. Globalizzazione e finanziarizzazione hanno oggettivamente eroso, pur non cancellandola, la base nazionale, per cui la tua domanda è legittima, così come il dubbio che sia ancora possibile un nuovo compromesso socialdemocratico. Occorrerebbe un governo mondiale, pura immaginazione, oggi ancora di più.
