martedì 23 settembre 2014





ANCORA ART. 18 



22-23 Settembre, 2014
L'articolo 18 è solo un simbolo, un totem, si dice, ma di che cosa? È il simbolo della forza lavoro che non è solo una variabile dipendente del capitale che valorizza se stesso. Questo simbolo non può più esistere, perché l'unico orizzonte dell'economia globale è esattamente il capitale che valorizza se stesso, col lavoro come sua variabile dipendente. Naturalmente questo non risolve automaticamente il problema di tutti gli altri fattori di valorizzazione del capitale che mancano in Italia, in assenza dei quali il paese sarà comunque condannato al declino. La cancellazione del simbolo è la questione più semplice, non ha costi e può assicurare un consenso immediato, agitando la bandiera propagandistica che contrappone garantiti e non garantiti, strano che nessuno abbia ancora parlato di aristocrazia operaia, un bel boccone per la politica.
  • Testori Gian Pietro s........ ti prego,non dar suggerimenti che già di cazzate si riempion le stolte bocche

  • Simona Convenga Qualcuno, prima o poi, dovrebbe pubblicare una statistica dei licenziamenti illegittimi, i soli, regolati dall'art. 18: sarà sorprendente vedere quanto pochi essi siano. La questione è inautentica. La sola cosa che si intende eliminare con questa polemica è che un giudice intervenga nella relazione industriale. Diciamolo e facciamola finita.
  • Paolo Bolzani Ma io so una cosa soltanto, che il ragionamento di Landini e Camusso, e della "minoranza" Pd (quest'ultima che quando era al governo non ha fatto un cavolo) non porta da nessuna parte. Nella legislazione sul lavoro e negli ammortizzatori ci sono molte cose che non vanno. L'art. 18 e' l'argomento al 99% politico. Il sindacato che non ha una proposta di riforma da contrapporre, affinche' la discussione si sposti su temi rilevanti, usa il no all'art. 18 per combattere il destino di irrilevanza. I Bersani i Fassina i Civati e (oddio) persino la Bindi, a cui non frega niente 

    dei "diritti", vogliono far fuori Renzi. Renzi, che usa il tema e i toni per affermare che lui vuole fare e non farsi ingabbiare, come tutti i governi precedenti, nelle sabbie mobili della solita politica... Ma Renzi ha fatto con il famoso emendamento una proposta vera...ispirata dal progetto Ichino, che sara' criticabile, ma tocca molti punti rilevanti della riforma del lavoro, e fornisce una risposta che puo' essere diretta nella giusta direzione, da forze riformiste che lo sono a parole, ma nei fatti nei momenti cruciali se la squagliano, per gridare slogan.

  • Franco Cazzaniga  Che cosa vuol dire “il capitale che valorizza se stesso”? E “il lavoro è una variabile dipendente”?  Io non credo che che le relazioni sociali si comprendano attraverso il ricorso ad astrazioni. Il lavoro è semplicemente ciò che facciamo di utile per gli altri, scambiandolo con qualcosa di utile per noi. Senza utilità reciproca il lavoro non esiste: esiste la schiavitù. E il mercato è dove si incontrano le persone, non un luogo astratto di rapporti fra capitali.
    • Gianfranco Giudice Nell'economia capitalistica il capitale deve realizzare profitti, in tal senso deve valorizzare se stesso indefinitamente, il lavoro è un fattore dipendente di questa valorizzazione. La concretezza dello scambio di utilità reciproca sul mercato, ha dietro di sé dei rapporti astratti, come una concretissima pietra che cade ha dietro di sé la astratta legge di gravità.
    • Franco Cazzaniga I profitti provengono dal surplus materiale prodotto, e sono semplicemente il risultante in varie forme del lavoro e dei fattori materiali immessi nel processo di produzione. 
      Il surplus assume la forma di profitto perché l’economia è un gioco cooperat
      ivo (nel senso della Teoria dei Giochi) che deve remunerare i suoi partecipanti. Però il surplus prodotto non viene assegnato alla sola parte di capitale, ma a tutti i partecipanti, ivi compresi quelli che vi apportano solo lavoro. Il mercato è il meccanismo che permette di distribuire il surplus ottenuto ottimizzando gli incentivi. Senza questi non ci sarebbe l’economia, e la controprova sono i lavoratori che viaggiano in auto, vanno in vacanza, risparmiano, eccetera. Per non parlare dei dipendenti milionari dei media, anch’essi protetti dall’art. 18. 
      Quanto alla gravità (e non la sua “legge”, che è ne è l’espressione matematica), è cosa altrettanto reale e materiale della concretissima pietra che ci cade su un piede. Sono entrambe espressioni della stessa “sostanza” fatta di spazio, tempo e materia-energia.
  • Gianfranco Giudice Il lavoro può essere anche solo retribuito col minimo necessario, spesso anche meno, alla sopravvivenza, la logica del profitto non lo vieta, anzi lo impone se questo serve a garantire il profitto stesso. In tal senso il lavoro è una variabile dipendente dal profitto, poi certo molti lavori vengono retribuiti con un quota assai più elevata della sopravvivenza, ma questo dipende sempre dalla possibilità di valorizzare il capitale investito. Per questo oggi, in mancanza di altri fattori che garantiscano profitti, la compressione dei salari è l'unica strada che si percorre, oppure quella dei diritti, così da rendere ancora più flessibile il lavoro, pura variabile dipendente del capitale. Anche queste dinamiche sono concretissime come la gravità espressa dalla legge matematica, talmente concrete che oggi in Italia un giovane può dichiararsi fortunato se lavora ogni tanto e per poche centinaia di euro al mese parecchie ore al giorno. Il mio non vuole essere un discorso morale, bensì di osservazione della realtà.
  • Paolo Bolzani Comprimere i salari, unica strada possibile, dici Gianfranco. Schematizzo troppo, e mi scuso, per dissentire, sulla spinta a comprimere il salario, come soluzione per l'Italia. Non contesto la validita' in generale della tua analisi di ispirazione "marxiana". Ma nel nostro italico concreto, i 23mila euro lordi medi annui a testa, in Italia, sono quasi la metà rispetto alla cifra che si registra in Germania (41.800 euro) e molto meno rispetto a quella di Francia e Gran Bretagna (34-35mila euro). La situazione non cambia per gli stipendi di un addetto del terziario, che sono mediamente pari a 24.800 euro all'anno nel nostro paese, contro i 38.800 euro di quelli tedeschi e i 31-33mila euro degli inglesi e dei francesi. Ma questo svantaggio per il lavoratore italiano nei confronti degli altri paesi, diventa un enorme svantaggio per l'impresa in termini di costo del lavoro, perche' tasse e contributi lo fanno diventare quasi il 200% rispetto al netto in tasca. 
    Abbiamo salari netti vergognosamente bassi, e costo del lavoro alto...CUNEO FISCALE CUNEO FISCALE. ALLORA, GIANFRANCO, LA COMPRESSIONE SALARIALE SERVE A POCO. Quindi la combinazione di due svantaggi. Va detto anche che comunque il costo del lavoro, grazie alla composizione a forte presenza delle tecnologie, ha una incidenza, sul totale costo, molto ridotta e sempre piu' ridotta. Se ragioniamo sul recupero della competivita' e quindi sulla legittima piu' alta valorizzazione del capitale, nelle nostre condizioni concrete, il ribasso dei salari, vale, secondo me, ben poca cosa. Anche se comunque il costo del lavoro, per quello che incide, agisce in termini di svantaggio competitivo.
  • Franco Cazzaniga “Il lavoro può essere anche solo retribuito col minimo necessario, spesso anche meno, alla sopravvivenza, la logica del profitto non lo vieta,”
    Anche il capitale. Infatti c’è anche chi ce lo rimette, qualche volta tutto. 
    Quella che tu chiami “valorizz
    azione” non è una faccenda del solo capitale, ma dell'intero processo produttivo. 
    Non puoi lamentare il fatto che, se la torta si riduce, il conflitto fra i partecipanti per la divisione del surplus si inasprisca. È nella logica delle cose. Ma pretendere che chi mette il capitale ce lo rimetta pure (fosse anche lo Stato) è economicamente assurdo. 
    Quelli che vengono - a mio avviso spesso erroneamente - chiamati “diritti” e che verrebbero ridotti dalle riforme sono solo il prodotto di condizioni di mercato che oggi non ci sono più. In parte perché alcuni lavori sono stati resi superflui dall’informatizzazione, in parte perché i consumatori oggi sono più esigenti e volubili di una volta proprio perché più ricchi e sofisticati.
    La mia critica di fondo è rivolta proprio a una concezione del lavoro distinta da quella di capitale. Il capitale non è solo denaro, ma anche conoscenza, e il mercato del lavoro è molto meno omogeneo oggi di un tempo, quando anche chi non era qualificato poteva trovare lavoro. 
    In Italia il declino non è dovuto alle caratteristiche “perverse” del capitale, ma a una serie di fattori sia esterni sia interni. All’interno scontiamo l’invecchiamento della popolazione (i pensionati, comunque la si rigiri, vivono di rendita, e questa rendita viene sottratta al lavoro di qualcun altro); un eccesso di giovani mal qualificati per colpa (anche) di una scuola troppo orientata verso discipline con poco mercato o con specializzazioni obsolete; una iperregolamentazione burocratica di troppe attività, con conseguente esplosione dei costi, si veda, a mo’ di esempio, la 626 (e il fatto che questa iperregolamentazione abbia creato nuovi lavori nel privato aggiunge solo la beffa al danno provocato a noi tutti come consumatori); e molte altre cose di cui si dibatte ad libitum.
    Se a tutto questo aggiungi una cultura di fondo pervicacemente anti-impresa a me pare che il dibattito sul job act sia davvero di retroguardia.
    Come scrisse Paul Èluard, l’homme entre dans le futur à reculons. Sarebbe il caso di fare un mezzo giro su di noi.
  • Franco Cazzaniga Come fa notare giustamente Paolo, nella dinamica salari-profitti siede un convitato di pietra, ovvero lo Stato tramite il fisco e la previdenza. Se non si affronta questo nodo non si va da nessuna parte.
  • Gianfranco Giudice Paolo io non ho detto che l'unica strada possibile deve essere la compressione dei salari, ho detto che di fatto è, in mancanza di politiche industriali, investimenti nella ricerca e nella formazione ecc. ecc. ovvero in altri fattori che possono con più qualità e prospettiva valorizzare il capitale e dunque anche il lavoro, perchè certo, capitale e lavoro si implicano reciprocamente Franco, lo so bene. Io proprio da marxista non vorrei che il capitale, sic rebus stantibus, si valorizzasse al meglio dei suoi fattori, e certo che anche il capitale, qualora fosse di Stato, dovrebbe valorizzarsi, URSS docet... Il caso italiano non è dovuto alla perversione del capitale, ma semmai alla perversione del capitalismo italiano. Da un punto di vista strutturale certo non esiste una misura giusta o morale nella ripartizione tra capitale e lavoro, in linea di principio, fatto salvo ciò che consente la riproduzione di ciascuno, la sopravvivenza appunto, tutto il resto è dal punto di vista di cisacuno dei due fattori (capitale e lavoro) una sottrazione, il punto è incrementare appunto la torta e dunque ciò che c'è da suddividere. Oggi questo è più complesso rispetto all'epoca keynesiana contraddistinta dalle politiche socialdemocratiche. Il punto è che fino a che si insiste su temi come l'articolo 18, proprio da un punto di vista capitalistico, non si fa ciò che sarebbe meglio fare e che anche un marxista auspicherebbe, perchè il marxista non è un pauperista.
    • Franco Cazzaniga Il paradosso è che è vero che oggi l’art 18, con il lavoro in contrazione, non è molto importante. Però resta un ostacolo oggettivo (perché crea una soglia) alla auspicabile crescita occupazionale futura. E il danno che fa non è tanto causato dal diritto oggettivo che offre ai dipendenti, quanto dall’incertezza che crea nei rapporti di lavoro. Incertezza a sua volta dovuta all’intervento della magistratura in un’area che è squisitamente di rapporti sindacali. In termini più banali: se io, da imprenditore, dovessi passare da 14 a 15 dipendenti, non lo farei, a costo di perdere del lavoro. E se “io” qui sono solo un imprenditore ipotetico, so di imprese che in passato hanno preferito creare nuove società piuttosto di assumere. Un altro dei motivi per cui il nostro paese soffre di una deindustrializzazione più profonda di altri è la ridotta dimensione delle nostre imprese. Dovuta non solo e non tanto all’art. 18 (qui torni ad avere ragione), ma a motivi più generali di inefficienza delle leggi dello Stato e del mercato del credito. Però io credo che anche un piccolo passo avanti sia meglio di nulla. A costo di abbattere un totem che, in fin dei conti, viene chiamato in causa di rado.
  • Franco Cazzaniga Ti faccio un altro esempio, questa volta reale. Un imprenditore che conosco ha subito una condanna (penale) a 800€ di multa perché, per un disguido, era saltata una - una! - delle visite mediche fiscali. Il giudice ha capito la sua buona fede, e, infatti, ha comminato il minimo della pena, ma non ti pare il caso che per quella che è una sciocchezza si spenda tempo e denaro da parte dello Stato e si faccia perdere lo stesso all'impresa per sanzionare qualcosa che andrebbe semmai solo contato a futura memoria (in caso di reiterata recidiva)? E tutto questo a causa di leggi e regolamenti che il nostro Parlamento sforna allegramente senza mai soffermarsi sui loro effetti, visto che i parlamentari dedicano in altre faccende affaccendati.
  • Paolo Bolzani Ma e' il "di fatto e' " riferito alla compressione dei salari, che mi trova perplesso. Il tema per me prevalente e' , piu'che la spinta alla riduzione dei salari, la lotta per conquistare flessibilita' dell'impresa, nel governo di tutti i fattori oggi intralciati se non bloccati da mille confusionarie norme. Si pensi oltre al lavoro, alle autorizzazioni per fare qualsiasi cosa. Sul peso del salario nel composizione reale di oggi dobbiamo distinguere innanzitutto fra manifattura e servizi. Nel secondo, anche se la tecnologia sta operando in accelerazione a ridurre l'incidenza del lavoro, vi e' una alta incidenza del lavoro: i mini jobs alla tedesca e i contratti dei "precari" italiani anche, sono funzionali alla redditivita' dell'impresa. Ma l'art. 18 opera nella manifattura, soprattutto, dove vale la qualificazione del lavoro, e la efficienza ed efficacia di tutte le altre risorse ( intelligenza incorporata nelle macchine) e poco vale un contributo da parte della compressione dei salari. Allora il problema non e' tanto l'art. 18 in se', come chiave per attaccare i diritti, ma e' la battaglia perche', insieme all'art. 18, si modifichino le regole del vecchio Statuto, e le norme sul lavoro in generale, che ingabbiano in mille fili la necessita' di mobilita' dell'impresa. Per citare il sistema di contrattazione nazionale, che prevale sulle contrattazioni aziendali, il tema della negoziazione sulla organizzazione del lavoro ecc.
  • Gianfranco Giudice Concordo su tante cose che dite, a partire dalla necessità di disboscare la burocrazia, a patto però di non smantellare diritti reali, dopodiché se non si fanno politiche industrali serie, se non si investe sulla ricerca e la formazione a livelli che non sono quelli italiani attuali, non abbiamo futuro, perchè sul costo del lavoro la partita è persa con i nostri competitori globali. Il sindacato va coinvolto e sfidato su questo, non va preso a pugni in faccia ad ogni giro di valzer, perchè come ho già detto, la cultura riformista è della tradizione maggioritaria del sindacato italiano. Anche un comunista come me vorrebbe vedere affermarsi questa prospettiva. Paolo i salari italiani come tu hai riciordato, sono tra i più bassi d'Europa, e i nuovi assunti sono ancora più in basso, oltre che precari, dove vogliamo andare in questo modo? Come fai a dire che nei fatti da anni l'unica politica non sia quella della compressione salariale, anche causata dalla enorme pressione fiscale aggravata dalla inefficienza dello Stato? Questa è la realtà,anche se non è quella giusta.

  • Paolo Bolzani Hai ragione, Gianfranco, che la compressione salariale ha operato alla grande negli anni passati. Ma questa dinamica ha sempre meno peso e importanza, e non e' il fattore che muove lo scontro in atto. Sui salari bassi e precarizzazione in ogni caso ci batte la germania che con Schoerder ha inventato i mini job da 400-500 euro.

  • Gianfranco Giudice Inoltre comprimere i salari significa uccidere la domanda interna senza la quale l'economia è ferma, perchè tutto si tiene. Il mio stipendio da fortunato e garantito e fermo da otto anni e lo sarà almeno per altri due...