lunedì 20 febbraio 2023

LA FABBRICA DEL CIOCCOLATO Roald Dahl

 


libri di Roald Dahl modificati per renderli più inclusivi.

I libri di Roald Dahl modificati per renderli più inclusivi: sarà la soluzione giusta? Credo che questo sia il problema da porsi  leggendo quanto riportato dal Telegraph sull’analisi delle ristampe di dieci libri dell’autore.
L’inclusività, va detto, è un obiettivo lodevole e degno di ottenimento.
Il metodo mi sembra molto sbagliato
Dobbiamo rinunciare all’inclusività? Non è la soluzione adatta.
Ricordo però che diverse antologie scolastiche e case editrici offrono edizioni ridotte dei grandi classici per uso educativo e dell’infanzia.
Sarebbe corretto preservare la storia avendo più edizioni: un’edizione integrale, annotata però per spiegare scelte che oggi sono criticabili, fornendo il contesto storico e sociale dell’epoca, scelta già fatta per alcuni film in streaming e un’edizione per bambini.


LA FABBRICA DEL CIOCCOLATO


Soltanto per il suo compleanno Charlie riceve una tavoletta di cioccolato. Per tutto il resto dell’anno la famiglia mangia cavolo a pranzo e a cena. Che tortura quindi per lui passare ogni giorno davanti alla grandiosa Fabbrica di Cioccolato Wonka! Ma un giorno viene diramato un avviso: chi troverà una delle cinque tavolette di cioccolato avvolte in carta d’oro riceverà una provvista di dolciumi bastante per tutto il resto della sua vita. I fortunati saranno un grasso ghiottone, la detentrice del record di masticatrice di gomme, la viziatissima Veruca, il teledipendente Mike Tivù e... Charlie. Uno di essi rimarrà padrone della fabbrica e potrà brucare a sazietà i prati di zucchero, pattinare sulla granatina di limone e fare il bagno sotto una schiumante cascata di cioccolato.

 

Roald Dahl era altissimo, quasi un gigante: i suoi genitori venivano dalla Norvegia, la patria dei giganti e degli gnomi. Era nato nel Galles, aveva passato infanzia e giovinezza in Inghilterra e a diciotto anni era andato in Africa, dove aveva lavorato per una compagnia petrolifera. Durante la seconda guerra mondiale era stato pilota della Raf. Questo è il suo secondo romanzo per bambini. Per scriverlo si era valso di un suo ricordo, quando accanto al suo collegio sorgeva una fabbrica di cioccolato che si serviva degli alunni come «assaggiatori». Trentacinque anni più tardi Dahl divenne Charlie.

Per Theo

Vi presentiamo Charlie Bucket

 


Queste due persone molto anziane sono il padre e la madre del signor Bucket. Si chiamano Nonno Joe e Nonna Josephine.

Invece queste altre due persone molto anziane sono il padre e la madre della signora Bucket. Si chiamano Nonno George e Nonna Georgina.
 

Questo è il signor Bucket. E questa è la signora Bucket. Il signor Bucket e sua moglie hanno un figlio che si chiama Charlie Bucket.




Questo qui è Charlie. Piacere. Molto piacere. Molto, molto piacere. É molto lieto di conoscervi. Tutta la famiglia - i sei adulti (contateli pure) e il piccolo Charlie Bucket - viveva in una casetta di legno alla periferia di una grande città.
Le dimensioni della casa non erano neanche lontanamente sufficienti per tante persone e la vita era molto scomoda per tutti. C’erano soltanto due camere da letto e un solo letto. Il letto era stato ceduto ai quattro nonni perché erano così vecchi e stanchi. Figuratevi che erano tanto stanchi che non ne uscivano mai.

Ecco Nonno Joe e Nonna Josephine da un capo e Nonno George e Nonna Georgina dall’altro capo del letto.

Il signor Bucket, la signora Bucket e il piccolo Charlie dormivano nell’altra camera, su dei materassi poggiati sul pavimento.

D’estate le cose non andavano poi tanto male, ma d’inverno spifferi gelati spazzavano il pavimento tutta la notte ed era terribile dormire lì.

Il problema dell’acquisto di una casa migliore o anche soltanto di un altro letto non si poneva neppure: erano veramente troppo poveri per permettersi certe cose.

Il signor Bucket era l’unica persona della famiglia che lavorava. Era operaio in una fabbrica di dentifricio, e se ne stava tutto il giorno davanti a un bancone ad avvitare i tappi sui tubetti che erano stati appena riempiti di dentifricio. Ma il mestiere di avvitatore di tappi di tubetti di dentifricio non rende poi molto e il povero signor Bucket, per quanto lavorasse sodo e fosse lesto ad avvitare tappi, non era mai in grado di guadagnare abbastanza da comprare neanche la metà delle cose di cui c’era bisogno in una famiglia così numerosa. I soldi non bastavano nemmeno a comperare cibo decente per tutti. Gli unici pasti che potevano permettersi erano pane e margarina a colazione, patate lesse e cavolo a pranzo e zuppa di cavolo a cena. La domenica andava un po’ meglio. Non vedevano l’ora che arrivasse la domenica perché allora, sebbene mangiassero esattamente le stesse cose, a ognuno era concessa una seconda razione.

Naturalmente non è che la famiglia Bucket morisse proprio di fame, ma ognuno di loro - i due vecchi nonni, le due vecchie nonne, il padre di Charlie, la madre di Charlie e soprattutto il piccolo Charlie avvertiva da mattina a sera un tremendo senso di vuoto nello stomaco.

Charlie lo sentiva più intensamente di tutti. E anche se a volte il padre e la madre rinunciavano alla loro parte di pranzo o di cena per darla a lui, quel che mangiava non era tuttavia neanche lontanamente sufficiente per un ragazzo che cresce. Charlie desiderava tanto mangiare qualcosa che riempisse di più e fosse un po’ più soddisfacente delle foglie e della minestra di cavolo. La cosa che Charlie desiderava al di là di qualsiasi altra al mondo era il... CIOCCOLATO.

Ogni mattina, quando andava a scuola, Charlie scorgeva le grandi pile di tavolette di cioccolato accatastate nelle vetrine dei negozi, si fermava e le fissava col naso schiacciato contro il vetro e l’acquolina in bocca. Molte volte al giorno vedeva altri bambini sfilarsi di tasca delle belle stecche di cioccolato cremoso e sgranocchiarsele avidamente e questo, per lui, era un vero e proprio tormento.

Solo una volta all’anno, in occasione del suo compleanno, a Charlie Bucket era dato assaggiare un po’ di cioccolato. Tutta la famiglia metteva da parte i soldi per quella speciale occasione e quando il grande giorno finalmente arrivava, gli regalavano sempre una tavoletta di cioccolato che Charlie poteva mangiare tutto da solo. Ogni volta che ne riceveva una, nel meraviglioso giorno del suo compleanno, la riponeva con cura in una scatolina di legno e ne faceva tesoro come se si trattasse di un lingotto di oro fino; nei giorni seguenti si permetteva soltanto di guardarla, senza neanche sfiorarla. Infine, quando proprio non ce la faceva più, ne scartava un angolino, scopriva una porzione piccola piccola di cioccolato e ne addentava un minuscolo pezzetto - appena appena abbastanza da permettere al dolce sapore del cioccolato di spandersi deliziosamente su tutta la lingua. Il giorno dopo dava un altro piccolo morso e così via, giorno dopo giorno. E così Charlie faceva in modo che una tavoletta di cioccolato da pochi soldi gli durasse più di un mese.

Ma ancora non vi ho detto qual era la tortura tremenda che tormentava il povero Charlie, così amante del cioccolato, più di qualsiasi altra cosa al mondo. Molto, ma molto peggiore che vedere mucchi di tavolette di cioccolato nelle vetrine dei negozi o guardare gli altri bambini sgranocchiarsi le loro belle stecche proprio davanti a lui. Insomma, era la più terribile tortura che si possa immaginare.

Si trattava di questo: nella sua stessa città, addirittura in vista della casa in cui abitava Charlie, c’era... pensate un po’... un’ENORME FABBRICA DI CIOCCOLATO! Provate a immaginare una cosa del genere!

E non si trattava nemmeno di un’enorme fabbrica di cioccolato qualsiasi. Era la più grande e la più famosa fabbrica di cioccolato del mondo! Era la FABBRICA WONKA, di proprietà del signor Willy Wonka, il più grande inventore e fabbricante di dolciumi e cioccolatini che sia mai esistito. E che formidabile e meravigliosa fabbrica era quella! L’ingresso era sbarrato da enormi cancelli di ferro e tutta la fabbrica era circondata da un altissimo muro di cinta; dalle ciminiere sgorgava fumo e dalle profondità della fabbrica provenivano strani sibili e ronzii. E tutt’intorno, nel raggio di almeno mezzo miglio, l’aria era intrisa del forte e ricco aroma del cioccolato fondente!

Due volte al giorno, quando andava e quando tornava da scuola, il piccolo Charlie Bucket doveva passare proprio davanti ai cancelli della fabbrica. E ogni volta che passava di lì cominciava a camminare sempre più piano e, volgendo il naso in alto, inspirava profondamente il profumo di cioccolato che lo circondava.

Oh, quanto gli piaceva quel profumo!

E, oh, come desiderava poter entrare in quella fabbrica e vedere com’era fatta!

 La fabbrica del signor Willy Wonka
 
Tutte le sere, appena finita la cena a base di zuppa di cavolo allungata, Charlie andava nella stanza dei suoi quattro nonni per ascoltare le loro storie e augurare loro la buona notte.

Ognuno di questi cari vecchietti aveva passato la novantina. Erano tutti raggrinziti come prugne secche e ossuti come scheletri; per l’intera giornata, fino all’arrivo di Charlie, se ne stavano raggomitolati nel loro letto, due da capo e due da piedi, con le cuffie fino agli occhi per tenere calda la testa e, siccome non avevano nulla da fare, passavano il tempo sonnecchiando. Ma appena sentivano aprirsi la porta e udivano la voce di Charlie che li salutava con un: «Buonasera, Nonno Joe e Nonna Josephine; buonasera, Nonno George e Nonna Georgina», tutti e quattro saltavano su a sedere e i loro volti rugosi s’illuminavano di sorrisi di gioia - dopodiché cominciavano a chiacchierare. Volevano molto bene al ragazzo. Era l’unica cosa allegra della loro vita, e per tutto il giorno non vedevano l’ora che lui venisse a visitarli. Spesso anche il padre e la madre di Charlie entravano nella stanza e, in piedi vicino la porta, rimanevano ad ascoltare le storie che i vecchi raccontavano; e così, per circa mezz’ora ogni sera, quella stanza diventava un posto felice e tutta la famiglia dimenticava di essere povera e affamata.

Una sera, quando Charlie entrò a salutare i nonni chiese loro:

«La Fabbrica di Cioccolato Wonka è davvero la più grande del mondo?»

«Se è vero?» esclamarono tutti e quattro all’unisono.

«Ma certo che è vero! Santo cielo, possibile che non lo sapessi? É all’incirca cinquanta volte più grande di qualsiasi altra fabbrica al mondo!»

«Ed è proprio vero che il signor Willy Wonka è il più abile produttore di cioccolato del mondo?»

«Mio caro ragazzo» disse Nonno Joe, tirandosi su a sedere e appoggiando la schiena al cuscino, «il signor Willy Wonka è il più sorprendente, il più fantastico, il più straordinario produttore di cioccolato che il mondo abbia mai visto! Credevo che ormai lo sapessero tutti!»

«Sapevo che era famoso, Nonno Joe, e sapevo anche che era molto abile...».

«Abile!» esclamò il vecchio.

«Altro che abile! É un mago del cioccolato! Riesce a farci tutto - assolutamente tutto quello che vuole! Non è vero, miei cari?»

Gli altri tre vecchietti assentirono muovendo solennemente il capo e dissero in coro: «Assolutamente vero. Più vero di così non si può».

Poi Nonno Joe aggiunse: «Intendi dire che non ti ho mai raccontato di Willy Wonka e della sua fabbrica?».

«No, mai» rispose il piccolo Charlie.

«Santo cielo! Non capisco cosa mi abbia preso!»

«Ti prego, Nonno Joe, raccontamelo ora!»

«Senz’altro. Siediti qui accanto a me, tesoro, e stai bene a sentire».

Nonno Joe era il più vecchio dei quattro nonni. Aveva novantasei anni e mezzo ed era quindi giunto al massimo della vecchiaia. Come tutte le persone molto anziane, era debole e delicato e per tutta la giornata parlava molto poco. Ma la sera, quando il suo adorato nipotino Charlie entrava nella stanza, come per miracolo sembrava tornare di nuovo giovane. Tutta la sua stanchezza svaniva e diventava arzillo e vivace come un giovanotto.

«Oh, che uomo è questo signor Willy Wonka!» esclamò Nonno Joe. «Sapevi, per esempio, che ha personalmente inventato più di duecento nuovi tipi di tavolette di cioccolato, ognuna con un ripieno diverso e ognuna molto più dolce, più cremosa e più deliziosa di qualsiasi altra tavoletta di cioccolato mai prodotta da tutte le altre fabbriche del mondo?»

«Assolutamente vero!» intervenne Nonna Josephine. «E le spedisce ai quattro angoli della terra! Non è così, Nonno Joe?»

«Proprio così, cara, proprio così. Le manda pure a tutti i re e i presidenti del mondo. E non produce soltanto tavolette di cioccolato. Oh no, perbacco, neanche per sogno! Quell’uomo ha anche altri fantastici assi nella manica! Lo sapevi che ha inventato un sistema per fare un gelato al gusto di cioccolato che rimane freddo per ore e ore senza bisogno di metterlo in frigorifero? Si può anche lasciarlo al sole tutta una mattina quando fa caldo e non si squaglia mica!»

«Ma è impossibile!» disse il piccolo Charlie, spalancando gli occhi.

«Certo che è impossibile!» esclamò Nonno Joe. «Anzi, è assolutamente assurdo! Eppure il signor Willy Wonka ci è riuscito!»

«Proprio così!» assentirono gli altri, muovendo la testa tutti insieme. «Il signor Willy Wonka ci è riuscito».

«E non basta» riprese Nonno Joe, scandendo bene le parole in modo che Charlie non ne perdesse neanche una. «Willy Wonka sa fare le toffolette al gusto di violetta, succulente caramelle che cambiano colore ogni dieci secondi mentre le mangi, bon-bon leggeri come piume che si sciolgono deliziosamente non appena li metti in bocca. Sa fare gomma da masticare che non perde mai sapore, e palloncini di zucchero che si possono gonfiare fino a raggiungere dimensioni mostruose prima di farli scoppiare con uno spillo e mangiarteli in un boccone. Inoltre, attraverso uno dei suoi procedimenti più segreti, riesce a creare dei bellissimi ovetti azzurri punteggiati di nero che quando li metti in bocca diventano sempre più piccoli finché non rimane altro che un minuscolo uccellino di zucchero rosa appollaiato sulla punta della lingua».

Nonno Joe fece una pausa per leccarsi le labbra. «Mi viene l’acquolina in bocca solo a pensarci!»

«Anche a me» disse il piccolo Charlie. «Ma per favore, vai avanti».

Mentre parlavano, il signore e la signora Bucket, il padre e la madre di Charlie, erano entrati zitti zitti nella stanza ed erano rimasti ad ascoltare sulla porta. «Racconta un po’ a Charlie di quel principe indiano mezzo matto» disse Nonna Josephine. «Scommetto che è una storia che gli piacerà».

«Vuoi dire la storia del principe Pondicherry?» chiese Nonno Joe, cominciando a ridacchiare.

«Era matto del tutto, altro che mezzo!» intervenne Nonno George.

«Però era ricchissimo» aggiunse Nonna Georgina.

«Che cosa ha fatto?» chiese Charlie, impaziente di ascoltare la storia.

«Adesso te lo racconto» disse Nonno Joe. «Sta’ a sentire».

 Il signor Wonka e il principe indiano
 
«Un giorno il principe Pondicherry scrisse una lettera al signor Willy Wonka» cominciò Nonno Joe, «per chiedergli di andare fino in India e costruirgli un colossale palazzo fatto tutto di cioccolato».

«E il signor Wonka riuscì a costruirlo, nonno?»

«Certo. E che palazzo! Aveva cento stanze ed era fatto tutto, ma proprio tutto di cioccolato al latte o fondente! I mattoni erano di cioccolato, la calce che li teneva insieme era di cioccolato, le finestre erano di cioccolato, le pareti e i soffitti di cioccolato come pure i tappeti, i quadri, i mobili e i letti; e quando si aprivano i rubinetti del bagno, ne usciva fuori cioccolata calda.

«Quando il palazzo fu pronto, il signor Wonka disse al principe Pondicherry: «Però vi avverto, maestà, non durerà a lungo, quindi vi consiglio di cominciarlo a mangiare subito».

«“Che sciocchezza!” esclamò il principe. “Non ho alcuna intenzione di mangiare il mio palazzo. Non voglio neanche sbocconcellare un po’ le scale o leccare le pareti! Io nel mio palazzo ci voglio andare a vivere!”

«Naturalmente, però, aveva ragione il signor Wonka: infatti, dopo qualche tempo arrivò una giornata particolarmente calda con un sole fortissimo e l’intero palazzo cominciò a sciogliersi e ad afflosciarsi lentamente; quel matto di un principe, che in quel momento stava schiacciando un pisolino in salotto, si svegliò e si ritrovò a nuotare in un immenso lago marrone di cioccolato appiccicoso».

Il piccolo Charlie se ne stava seduto immobile sul bordo del letto, tutto preso dal racconto del nonno. Aveva il volto come illuminato e gli occhi talmente sgranati che si poteva vedere il bianco tutt’intorno all’iride. «Ma questa storia è proprio vera?» chiese. «Non è che mi stai prendendo in giro?»

«Altro che se è vera!» esclamarono in coro i quattro vecchietti. «Sicuro che è vera! Chiedilo pure a chi ti pare!»

«Anzi ti dirò anche un’altra cosa che è vera» disse Nonno Joe, avvicinandosi ancor di più a Charlie e abbassando la voce in tono confidenziale come per sussurrargli un segreto: «Mai... nessuno... ne esce!».

«Esce da dove?» domandò Charlie.

«E mai... nessuno... ci entra!»

«Entra dove?» gridò Charlie.

«Ma nella fabbrica Wonka, no!»

«Di che cosa stai parlando, nonno?»

«Sto parlando degli operai, è chiaro».

«Gli operai?»

«Tutte le fabbriche» spiegò Nonno Joe, «hanno operai che entrano ed escono dai cancelli la mattina e la sera - tutte, tranne quella di Wonka! Di’ un po’, hai mai visto qualcuno che entrasse o uscisse da quel posto?»

Il piccolo Charlie si guardò lentamente attorno, fissando una dopo l’altra quelle quattro vecchie facce. Tutti ricambiarono lo sguardo. Erano facce sorridenti e benevole, ma erano anche molto serie. Non c’era alcun segno che stessero scherzando o tentando di prenderlo in giro.

«Allora, l’hai visto o no?» insisté Nonno Joe.

«Veramente io... non lo so, nonno» balbettò Charlie. «Ogni volta che passo davanti alla fabbrica, i cancelli sembrano chiusi».

«Esatto!» esclamò Nonno Joe.

«Ma ci deve pur essere qualcuno che ci lavora, là dentro...».

«Sì, ma non sono persone, Charlie. O perlomeno non sono persone nel senso comune della parola».

«E allora chi sono?» chiese Charlie.

«Ah-oh... Il segreto è tutto qui, capisci?... Questo è un altro segno della straordinaria abilità del signor Willy Wonka».

«Charlie, tesoro» disse la signora Bucket da dove era rimasta in piedi, vicino alla porta, «É ora di andare a letto. Per stasera basta».

«Ma mamma, devo sapere...».

«Domani, caro...».

«Proprio così» disse Nonno Joe. «Domani sera ti racconterò il resto».