domenica 2 aprile 2023

LA STORIA DEL WESTERN IN 10 FILM



 LA STORIA DEL WESTERN IN 10 FILM

Commento

Sono d’accordo con tutto tranne che per l’ultimo film che non reputo affatto che sia un Western, in quanto più che altro un dramma d’epoca e di un punto di vista dell’autrice che vuole sottolineare come anche nel West c’erano i gay!

DAL MITO DELLA FRONTIERA ALLA DECOSTRUZIONE DEL GENERE: LA STORIA DEL WESTERN IN 10 FILM

27 Mar 2023 

Darkside Cinema

A cura di Emanuele Colombo


Se c’è un genere che più di altri si sia legato in maniera simbolica al Cinema, quel genere è il Western, quasi a diventare autoctono e connaturato al Cinema stesso.

Non passano infatti molti anni dell’invenzione dei fratelli Lumière prima che un uomo con cappello e revolver venga impresso per sempre su pellicola. Il cinema western nasce sulla scorta di una tradizione precedente: il grande bagaglio di storie e leggende sulla conquista delle terre selvagge dell’Ovest che la cultura americana raccoglie e mette in forma dalla letteratura agli spettacoli del Wild West Show di Buffalo Build, dalle ballate folk sugli eroi di frontiera ai quadri di Frederic Remington.

Si dice che il “primo” western sia stato La grande rapina al treno (1903) di Edwin S. Porter; in realtà agli inizi del ‘900 il genere non esiste ancora e il pubblico vede la pellicola come un film sui criminali affine a pellicole ambientate nell’universo della malavita delle grandi città della costa est o dell’Europa.

Da quel primo piano del bandito di Poter che spara al pubblico rompendo la quarta parete sono passati ormai 120 anni e con la seguente lista vogliamo in qualche modo cercare di tracciare una storia del western attraverso i film più iconici che ne hanno caratterizzato le fasi storiche rendendo importante questo genere.



1) LA GRANDE RAPINA AL TRENO (The Great Train Robbery, 1903)

Il genere western, per quanto iconico e con un grande bacino di appassionati, può risultare un genere ostile a molto pubblico; trovare, dunque, un film western muto che possa catturare la curiosità di molti è cosa ardua. Nonostante esistano esempi lodevoli nel periodo del muto come Il cavallo d’acciaio, è bene che al primo posto di questa lista ci sia il film che non solo ha dato indirettamente il via al genere ma che ha anche una sua rilevanza per la storia del cinema nel suo complesso

La grande rapina al treno di Edwin S. Porter ha avuto un’influenza fondamentale all’interno della storia del cinema. All’interno della pellicola di Porter, infatti, oltre ad esserci una delle prime panoramiche sull’asse, si ha per la prima volta un uso complesso e interconnesso del montaggio in cui due linee narrative si sviluppano parallele: la rapina dei banditi e la stanza da ballo. Primo regista a eseguire un montaggio interno alla vicenda proprio con La grande rapina al treno, Poter non getta solo le basi di quello che sarà uno dei più iconici e prolifici generi della settima arte, ma ne rivoluziona anche lo specifico del mezzo: il montaggio. Iconico, infine, il primo piano del bandito che spara direttamente in macchina, citato direttamente persino da Scorsese in Quei Bravi Ragazzi.

2) OMBRE ROSSE (Stagecoach, 1939)

Che questa lista potesse contenere un film di John Ford era quasi scontato. D’altronde Ford sta al western americano come Bava al gotico italiano: dietro la camera sin dal muto, ha diretto ogni singola sfaccettatura di questo genere

Ombre Rosse (Stagecoach), ispirato al classico della narrativa western La diligenza per Lordsburg, segue il viaggio di una diligenza da Tonto a Lordsburg attraverso il pericoloso territorio degli apache, capitanati da Geronimo. Grande spaccato della società attraverso i suoi passeggeri: Dallas, una prostituta cacciata dalla città dalla “lega della moralità”, l’alcolizzato dottor Josiah Boone, Lucia Mallory, incinta, in viaggio per unirsi al marito ufficiale di cavalleria, e il venditore di superalcolici Samuel Peacock; il giocatore d’azzardo Hatfield e il banchiere Raffaello Gatewood, in fuga con il denaro sottratto alla banca.

Primo dei film di Ford ad essere girati nella Monument Valley, Ombre Rosse riesce a fermare l’involuzione che il western aveva subito con l’arrivo del sonoro dieci anni prima; successo incredibile di critica e di pubblico riporta i film coi cowboy a un genere di prima grandezza. Perfetta dimostrazione della maestria di Ford nel fare del western un genere capace di rappresentare contemporaneamente lo spirito della frontiera ed essere terreno di discussioni ideologiche.

3) IL TESORO DELLA SIERRA MADRE (The Treasure of the Sierra Madre, 1948)

Dieci anni dopo che il lavoro di Ford aveva reso il western un prodotto valido, commerciale e di successo, la Hollywood classica continuava a produrre film sui cowboy di tutti i tipi: Alba Fatale, I cavalieri del nord ovest, Sfida Infernale, Il Massacro di Fort Apache e Duello al Sole. Tutti film incredibili e assolutamente in linea con quelli che erano gli standard delle produzioni hollywoodiane dell’epoca. Ma a dirigere il western più iconico di questo periodo e anche quello più lontano dagli standard produttivi è John Huston: Il tesoro della Sierra Madre si distingue dagli altri film western dell’epoca per la poca e quasi assente azione, l’enorme quantità di dialoghi e una durata assolutamente anomala per quelli che erano considerati prodotti altamente validi ma allo stesso tempo altamente commerciali. In 2 ore e 6 minuti, infatti, Houston riesce a portare sul grande schermo un western quasi teatrale in cui tre cercatori d’oro scavano per ritrovare la leggendaria vena di metallo prezioso presente nella Sierra Madre.

Il film si distingue dai suoi contemporanei per un’impostazione veramente teatrale: moltissimi i campi larghi in cui i tre uomini parlano, discutono e si scontrano verbalmente tra di loro. Houston dimostra con Il tesoro della Sierra Madre che il western può essere un genere perfetto anche per affrontare tematiche profonde come l’avidità, la rabbia e contemporaneamente elevare il genere da semplice intrattenimento a un prodotto più autoriale, più ricercato nella forma e nella scrittura.

4) MEZZOGIORNO DI FUOCO (High Noon, 1952) / UN DOLLARO D’ONORE (Rio Bravo, 1959)

Se il film di Houston aveva fatto da apripista a un genere che poteva presentarsi come più complesso, articolato e che potesse ospitare tematiche forti, negli anni ‘50 i film coi cowboy iniziano ad essere terreno fertile per complesse discussioni ideologiche in grado di incapsulare i conflitti e i sentimenti della nazione. Parlare di Mezzogiorno di Fuoco di Fred Zinnemann senza parlare di Un dollaro d’onore di Howard Hawks è impossibile, il film di Hawks è infatti la diretta reazione dell’autore e di John Wayne alla visione del film di Zinnemann ritenuto da loro come “anti-americano”.

Mezzogiorno di fuoco racconta di uno sceriffo abbandonato dalla sua città nel momento del bisogno, nessuno è disposto ad aiutarlo contro l’arrivo di Frank Miller, bandito mandato al patibolo da Kane ma scagionato. L’abbandono e l’ostracizzazione che Kane subisce sono una trasposizione diretta del vissuto dello sceneggiatore della pellicola Carl Foreman, al tempo inserito nella lista nera di Hollywood perché iscritto al partito comunista. Di contro Hawks e Wayne realizzano Un dollaro d’onore, film che si contrappone ideologicamente al senso di abbandono che vive Kane portando in scena un senso di cameratismo e dovere collettivo di ogni singolo cittadino, che vanno a contrapporsi al senso di solitudine e abbandono di Mezzogiorno di Fuoco.

Due film ideologicamente opposti, due capolavori del cinema che riescono a dimostrare come il western non sia solo un film di cowboy e nativi ma pellicole su cosa significhi essere un eroe americano.

5) SENTIERI SELVAGGI (The Searchers, 1956)

Il western vive il suo periodo d’oro tra gli anni ‘40 e la prima metà degli anni ‘50. Man mano che gli anni ‘60 si avvicinano, il genere ha prodotto centinaia di pellicola di qualità e di serie b, ha stabilito uno standard culturale e definito un immaginario preciso: la frontiera americana è diventata per Hollywood il campo di gioco per risolvere i propri conflitti ideologici, raccontare il passato e glorificare gli ideali americani. Ma la società avanza e con lei i suoi valori, i vecchi eroi e la loro giustizia di frontiera non sono più compatibile con l’America di quegli anni e Ford, da sempre in sella al genere, lo intuisce più di chiunque altro e con Sentieri Selvaggi nel ‘56 inizia a dettare la morte del western classico, da lui stesso sancita abbastanza magistralmente con il successivo L’uomo che uccise Liberty Valance.

Sentieri Selvaggi non è solo il western per eccellenza e la summa del lavoro di Ford, ma è anche una prima decostruzione dei topoi narrativi: Ethan è l’eroe di frontiera che agisce in quelle zone grigie della legge per salvare la nipote rapita dai Comanche. L’odio che Ethan, sudista, prova per i nativi americani è questa volta più che mai esplicitato e non sedato, riflesso di un’America ormai pacifista e progressista che ha da tempo abbandonato il cowboy come figura di riferimento. Raffigurazione massima di questo abbandono è l’iconica inquadratura finale, John Wayne sulla soglia della porta, titubante; con una carrellata all’indietro la macchina si allontana e la porta si chiude separando Ethan dal buio della sala: non c’è spazio per il cowboy nella nuova America.

6) C’ERA UNA VOLTA IL WEST (1968)

Se dieci anni prima Sentieri Selvaggi segnava la fine del western classico e delle tematiche che rappresentava, nel resto del mondo il western continuava ad avere un fortissimo successo commerciale e di pubblico. In Italia, nella fattispecie, il genere aveva trovato fortuna non solo negli originali hollywoodiani ma anche in una serie di rip-off del genere, film low budget girati nel deserto della Spagna o in Abruzzo. A cambiare completamente l’asset e la visione degli Spaghetti western sarà Per un pugno di dollari del ‘64 di Sergio Leone, primo film della Trilogia del dollaro e primo approccio col genere del regista romano; un rifacimento non molto velato di Yojimbo di Kurosawa che ebbe tanto successo in patria quanto negli Stati Uniti.

Il successo di Leone, infatti, sarà fondamentale per ampliare a livello internazionale il bacino del western all’italiana che vive di pellicole incredibili oltre a quelle dirette da Leone, come: Navajo Joe, Vamos a matar compañeros, Il grande Silenzio, La strada per Fort Alamo e, ovviamente, il cult Django.

Tra tutti i capolavori diretti da Leone, però, il più importante rimane senza dubbio C’era una volta il west del 1968, scritto da Leone assieme a Dario Argento e Bernardo Bertolucci ispirandosi ai loro western preferiti. Qui Leone fa allo spaghetti western quello che Ford fece con Sentieri Selvaggi al western hollywoodiano classico. Armonica, nella sua lotta contro la costruzione della ferrovia e nel suo tentativo di proteggere la vedova, è un chiaro riflesso di Ethan e della ricerca di sua nipote. Meno carico di azione e, nonostante ciò, più brutale e violento dei precedenti film, C’era una volta il West è un’opera tanto nostalgica ed elegiaca quanto metacinematografica nella sua capacità di metabolizzare la fine di un genere, di un ciclo di narrazioni. Una lettera d’amore al cinema dei cowboy che, a sua volta, sta scrivendo la Storia del Cinema.

7) IL MUCCHIO SELVAGGIO (The Wild Bunch, 1969)

Gli anni ‘60 sono cruciali nella storia del cinema, l’ondata francese della Nouvelle Vague investe tutto il mondo: il Cinema Novo in Brasile, il Cinema Parallelo in India e il Nuovo Cinema Tedesco in Germania. A restare marginalmente toccati dall’influenza dei francesi saranno solo gli Italiani e Hollywood. Il cinema della modernità e le sue influenze non andranno a intaccare troppo il metodo di rappresentazione e produzione americana, ma l’ondata politica e il senso di contestazione giovanile di quegli anni si rifletteranno nella nuova generazione di cineasti americani: nasce la New Hollywood, dei “giovani turchi” del cinema americano che rompono le convenzioni sociali e morali dell’impero cinematografico statunitense lavorando ai margini dell’industria.

Il western non è esente da questo processo e, in un contesto in cui il vecchio west non rappresenta più l’America a lui contemporanea, nasce in un clima di contestazioni il Western revisionista. Capace di incapsulare ancora una volta lo spirito e l’idea del suo tempo, il Western revisionista riscrive e rimodella gli archetipi del western classico in chiave critica: la conquista del west non è stata una conquista ma un massacro e la frontiera non è più luogo di opportunità e speranze ma di violenza e carneficina. Film fondante di questo nuovo circolo di storie è Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah, che segue le vicende di un gruppo di banditi che si prepara a eseguire l’ultimo grande colpo prima che il loro capo, Pike Bishop, si ritiri.

Il malinconico, controverso e ultra violento western di Peckinpah, nel mettere i banditi di fronte alla realizzazione che il mondo va avanti anche senza di loro, si pone come canto del cigno nei confronti del genere e nel suo dipingere la brutalità regala allo spettatore un ultimo quarto d’ora che è da Storia del Cinema.

8) I COMPARI (McCabe & Mrs. Miller, 1971)

Non tutti i film western della Nuova Hollywood scelgono la via del revisionismo violento per raccontare nuovi valori e criticare il cinema del passato. Un regista in particolare si è distinto per un utilizzo della satira come mezzo di stravolgimento interno al genere, l’approccio di Altman ai generi classici in chiave comica mira alla precisa decostruzione dei miti che questi raccontavano per portare alla coscienza una realtà differente.

Come con M*A*S*H e i film di guerra, con I compari Altman trasporta il genere in una nuova era dove il senso di eroismo e patriottismo post-guerra mondiale viene abbattuto dal pessimismo e dalla vergogna del periodo della guerra in Vietnam.

Definito dallo stesso regista come un “anti-western”, I compari prende strade completamente opposte da quelle che seguirebbe di norma il genere: l’arido deserto è sostituito dalla neve, l’eroismo viene ingoiato dalla paura e gli scontri a fuoco aperto vengono rimpiazzati da inseguimenti silenziosi. Nella piccola città di minatori in cui un giocatore d’azzardo e una prostituta cercano di fare affari assieme, Altman ci trasporta in un universo cupo in cui gli americani non sono mai stati chiaramente degli eroi.

9) NON È UN PAESE PER VECCHI (No Country For Old Men, 2007)

La morte del western classico viene perfettamente raccontata nel western revisionista a partire dalla fine degli anni ‘60, ma il genere non si è fermato a Peckinpah e ad Altman, il revisionismo critico e satirico ha dato vita un nuovo filone: il Post Western.

Invece della frontiera americana, nel Post Western le ambientazioni si spostano verso gli altri margini della società, ad abitare le inquadrature non sono più coraggiosi pistoleri ma uomini stanchi e obsoleti e i cavalli lasciano spazio ai pickup o a un lungo vagabondare nel deserto.

Film come El Topo, I segreti di Brokeback Mountain, Hell or High Water, Paris,Texas sono tutti grandi esempi di Post Western che rimangono però secondi al capolavoro dei fratelli Coen Non è un paese per vecchi, l’adattamento del romanzo di Cormac McCarthy riflette in pieno l’idea di una frontiera che non c’è più, una società in cui del vecchio west è rimasto solo lo spirito selvaggio e violento. Un Post Western in piena regola dove un magistrale Javier Bardem dà la caccia a Llewelyn Moss (Josh Brolin) che si è impossessato di 2 milioni di dollari appartenenti al cartello; sullo sfondo, lo sceriffo prossimo alla pensione interpretato da Tommy Lee Jones incapsula perfettamente il sentimento di una società postmoderna in cui neanche le critiche sociali e i revisionismi storici trovano spazio nel genere di cui rimangono, sotterrati dalla malinconia e la rassegnazione, solo i banditi, la sparatorie e la polvere della frontiera americana.

Un Post Western capace di riflettere su un paese in continua transizione, in grado di commentare i valori della società odierna e contemporaneamente decostruire l’archetipo della dicotomia bene/male da sempre presente nel genere.

10) IL POTERE DEL CANE (The Power of the Dog, 2021)

Con Non è un paese per vecchi il genere western tocca la sua punta massima nell’auto dichiararsi ormai obsoleto, tant’è che nell’ultimo decennio il genere non ha visto particolarissimi film se non qualche rifacimento goffo come I magnifici sette di Antoine Fuqua e Il grinta dei Coen. Ma per quel legame quasi indissolubile tra storia del cinema e western, negli ultimi anni alcune opere hanno saputo trasportare il genere nella contemporaneità, questa volta adattando gli archetipi classici ai nuovi valori non in più in una chiave revisionista ma in un’ondata di decostruzione del genere che dal genere stesso prende a piene mani.

Il western contemporaneo inizia con film come Django Unchained dove la natura postmoderna e citazionista di Tarantino sfruttano il genere per smontare l’ideologia del suprematismo; passa attraverso film come The Harder They Fall che unisce il classico western di banditi alla blaxploitation, fino ad arrivare a Il potere del cane di Jane Campion, uno dei più importanti trattati cinematografici sulla mascolinità.

Nel raccontare un dramma familiare, Il potere del cane riesce a cogliere perfettamente lo zeitgeist degli anni ‘20 di questo millennio e a combinarlo con il genere a cui si riferisce; il cinema contemporaneo non ha bisogno di uomini forti pronti a imbracciare un fucile. Il cinema contemporaneo ha bisogno di problematizzare quegli uomini, decostruire gli archetipi e mostrare un’altra faccia della mascolinità facendo comprendere la fragilità dell’uomo. Il film della Campion mostra come l’uomo contemporaneo non deve essere un macho attivo e violento ma può, e deve, essere un uomo sensibile capace di esprimere l’intero spettro emotivo.