Franz Kafka al parco e la bambola viaggiatrice
"ogni cosa che ami è molto probabile che la perderai, però alla fine l’amore si muterà in una forma diversa"
Un anno prima della sua morte, Franz Kafka visse un’esperienza insolita. Passeggiando per il parco Steglitz a Berlino incontrò una bambina, Elsi, che piangeva sconsolata: aveva perduto la sua bambola preferita, Brigida. Kafka si offrì di aiutarla a cercare e le diede appuntamento per il giorno seguente nello stesso giardino. Non essendo riuscito a trovare la bambola, Kafka scrisse una lettera, fingendo che fosse per Elsi da parte di Brigida. “Per favore non piangere, sono partita in viaggio per vedere il mondo, ti riscriverò raccontandoti le mie avventure…”, così cominciava la lettera.
Café Kurfürst, Steglitz, Schlossstrasse 54, Fernsprecher No. 555.
Per molti giorni, Kafka e la bambina si incontrarono; egli le leggeva queste lettere attentamente descrittive di avventure immaginarie della bambola amata. La bimba ne fu consolata e quando i loro incontri arrivarono alla fine Kafka le regalò una bambola. Era ovviamente diversa dalla bambola perduta; in un biglietto accluso spiegò: “I miei viaggi mi hanno cambiata”. Molti anni più avanti la ragazza cresciuta trovò un biglietto nascosto dentro la bambola ricevuta in dono. Diceva: “ogni cosa che ami è molto probabile che la perderai, però alla fine l’amore si muterà in una forma diversa" (Da “Kafka e la bambola viaggiatrice” di Jordi Sierra i Fabra)
Dalle memorie di Dora…
“Quando eravamo a Berlino, Kafka andava spesso allo Steglitzer Park. Talvolta lo accompagnavo. Un giorno incontrammo una bambina, che piangeva e sembrava disperata. Le parlammo. Franz le chiese che cosa le fosse successo e venimmo a sapere che aveva perso la sua bambola. Subito lui si inventò una storia plausibile per spiegare la sparizione. “La tua bambola sta solo facendo un viaggio, io lo so, mi ha scritto una lettera”. La bambina era un po’ diffidente: “Ce l’hai con te?” “No, l’ho lasciata a casa, ma domani te la porto”. La bambina, incuriosita, aveva già quasi scordato le sue preoccupazioni, e Franz se ne tornò subito a casa, per scrivere la lettera.
Si mise al lavoro in tutta serietà, come si trattasse della creazione di un’opera. Era nella stessa condizione di tensione in cui si trovava non appena si sedeva alla scrivania o stava anche solo scrivendo a qualcuno. Tra l’altro, si trattava effettivamente di un vero lavoro, essenziale al pari degli altri, perché la bambina doveva assolutamente essere resa felice e preservata dalla delusione. La menzogna doveva dunque essere trasformata in verità attraverso la verità della finzione. Il giorno successivo portò la lettera alla bambina, che l’attendeva al parco. La bambola spiegava che ne aveva abbastanza di vivere sempre nella stessa famiglia ed esprimeva il desiderio di cambiare un po’ aria, in una parola, voleva separarsi per qualche tempo dalla bambina, cui per altro voleva molto bene. Prometteva tuttavia di scrivere ogni giorno – e Kafka scrisse effettivamente una lettera ogni giorno, raccontando di sempre nuove avventure, le quali, seguendo il particolare ritmo vitale delle bambole, si snodavano in modo rapidissimo. Dopo alcuni giorni la bimba aveva scordato la perdita reale del suo giocattolo e pensava solo e semplicemente alla finzione che le era stata offerta come sostituto. Franz scrisse ogni frase di quella sorta di romanzo in modo così accurato e pieno d’umorismo che la situazione della bambola risultava perfettamente comprensibile: era cresciuta, era andata a scuola, aveva conosciuto altre persone. Rassicurava sempre la bimba del suo amore, ma alludeva anche a complicazioni della sua vita, ad altri doveri e altri interessi che, al momento, non le permettevano di riprendere la vita in comune. La piccola veniva pregata di riflettere sulla cosa e veniva così preparata all’inevitabile rinuncia.
Il gioco durò come minimo tre settimane. Franz aveva una paura terribile al pensiero di come avrebbe potuto finire il tutto. Perché la fine doveva essere una vera fine, vale a dire che doveva consentire all’ordine di sostituire il disordine causato dalla perdita del giocattolo. Cercò a lungo e decise alla fine di far sposare la bambola. Descrisse dapprima il futuro marito, la festa di fidanzamento, i preparativi del matrimonio, poi in ogni dettaglio la casa dei giovani sposi: “Vedi tu stessa che dovremo rinunciare a rivederci in futuro”. Franz aveva risolto il piccolo conflitto di un bambino attraverso l’arte, attraverso il mezzo più efficace di cui disponeva personalmente per riportare ordine nel mondo”
Paul Auster nel libro Follie di Brooklyn racconta questo fatto così.
“Secondo la testimonianza di Dora scriveva ogni frase con una cura maniacale del dettaglio, e la sua prosa era precisa, spiritosa e avvincente. In parole povere, era la prosa di Kafka, e lui per tre settimane andò tutti i giorni al parco e scrisse ogni volta una nuova lettera alla bambina. La bambola diventa grande, va a scuola, conosce altre persone. Continua a ripetere alla bambina che le vuole bene, ma allude a certe complicazioni che le rendono impossibile il ritorno. A poco a poco Kafka prepara la bambina per il momento in cui la bambola sparirà dalla sua vita per sempre. Si spreme per creare un finale soddisfacente temendo che se non lo troverà si possa rompere l’incantesimo. Dopo aver vagliato alcune ipotesi, alla fine decise di far sposare la bambola. Descrive il giovanotto di cui lei si innamora, la festa di fidanzamento, le nozze in campagna, perfino la casa dove ora abitano la bambola e suo marito. E poi, nell’ultima riga, la bambola dice addio alla sua vecchia e affezionata amica.
Ma a questo punto naturalmente la bambina non sente più la mancanza della bambola. Kafka le ha dato in cambio qualcos’altro, e alla fine delle tre settimane le lettere l’hanno guarita dal suo cruccio. Lei ha la storia, e quando una persona è abbastanza fortunata da vivere all’interno di una storia, da vivere in un mondo immaginario, i dolori di questo mondo svaniscono. Perché fino a quando la storia continua, la realtà non esiste più”.