martedì 4 aprile 2023

LA STORIA INFINITA Marx, il liberalismo e la maledizione di Nietzsche Paolo Ercolani

 


LA STORIA INFINITA

Marx, il liberalismo

e la maledizione di Nietzsche

Paolo Ercolani



[....]La tesi di fondo che vogliamo avanzare, infatti, è che la nostra civiltà occidentale, ben lungi dall'essere figlia della lenta ma inesorabile vittoria del liberalismo sulle forze giacobino-socialiste, è in realtà il prodotto di uno scontro dialettico, nonché storico-fattuale (nella misura in cui la storia procede in maniera dialettica), tra queste due tradizioni. La teoria liberale, e ancor più quella liberista, è dovuta infatti scendere a molti compromessi e ha visto negati, nel corso del tempo, alcuni dei suoi precetti più forti sotto colpi della teoria avversaria, ma anche in seguito movimenti popolari e a veri propri rivolgimenti del corso dei fatti.[...]


UN'ALTRA STORIA

Che i conti non tornassero appariva chiaro fin da subito. Fin dal momento in cui ci siamo messi a raccogliere i materiali per comporre questo libro, l'idea diffusa per cui l'identità filosofica e politica della civiltà occidentale moderna è il frutto della vittoria netta e incontrastata della tradizione liberale su quella marxista, presentava non pochi problemi. Che le società democratiche in cui hanno la fortuna di vivere i cittadini degli stati industrializzati costituiscano il prodotto esclusivo del liberalismo e del suo trionfo sulla tradizione avversaria, appare comc un'esagerazione manichea agevolmente falsificabile. E sufficiente richiamare alcuni aneddoti significativi. In ambiente giornalistico T'episodio è conosciuto. Si narra che durante una riunione di governo piuttosto concitata, in cui i ministri litigavano su molte cose e non riuscivano a trovare i fondamenti per un'azione comune e condivisa, il Primo ministro di quello stesso governo, la <lady di ferro> Margaret 'Thatcher oltremodo spazientita avesse sbattuto sul tavolo un grosso volume, esprimendosi più o meno in questa maniera: <Basta, signori! Smettetela di litigare! La nostra azione di governo è chiara, i fondamenti cui dobbiamo ispirarci sono contenuti in questo libro..Esso sarà la nostra bibbia!>

I libro in questione era The Constitution of Liberty.di Friedrich Hayek, considerato dalla signora Thatcher e da molti liberali di fine Novecento alla stregua di un maestro assoluto del liberalismo. Eppure, proprio questo è il libro in cui Hayek non soltanto si scaglia contro il suffragio universale (cosa che aveva e avrebbe fatto anche in altri volumi), ma nella fattispecie si lancia in un accorata e nostalgica esaltazione della Svizzera in cui le donne non avevano il diritto di voto ed erano per giunta contente di questo fatto, Non avevano il diritto di voto né, ovviamente, il diritto di essere elette o di ricoprire cariche governative e politiche di alcun genere

Le possibilità sono due, non di più: o la signora T'hatcher, donna e primo ministro inglese, non aveve.letto quella che lei stessa considerava la bibbia del suo governo, oppure non si riteneva una donna e quindi accettava di conferire a quel libro un così grande valore malgrado vi si rimpiangesse una discriminazione così forte e anacronistica nei confronti delle esponenti del gentil sesso, In ogni caso, i conti non tornavano..

Un problema simile si pone se riflettiamo su un paio di aspetti del paese liberale per eccellenza, gli Stati Uniti, che per di più si è contrapposto frontalmente per tutto il Novecento all'Unione Sovietica comunista. Uscendone indubbiamente vincitore. A farci riflettere sono stati un paio di esempi, che ancora una volta ci hanno allontanato dalle letture della storia troppo nette e non prproblematiche.

Se prendiamo gli anni intorno al 1930, infatti periodo in cui era da poco scoppiata la Rivoluzione bolscevica e il comunismo sembrava come mai nella storia potersi affermare, vediamo che il paese portabandiera della libertà presentava aspetti che lo avvicinavano non certo agli ideali del liberalismo, ma a quelle che di li a breve sarebbero state le pratiche nientemeno che del nazismo: ancora più di trenta stati vietavano per legge le unioni miste; in Virginia bastava avere un solo bisnonno nero per essere con siderato legalmente <negro>; pullulavano le leggi che discriminavano pesantemente cinesi, giapponesi, coreani, filippini e originari dell'India. L'eugenetica godeva di una popolarità incredibile, tanto che oltre quaranta stati legiferarono in maniera tale che i malati di mente non potessero sposarsi, mentre quasi.trenta stati prevedevano la sterilizzazione coatta per alcune categorie di persone (nel 1933, nella sola Caifornia furono sterilizzate quasi duemila persone. Gli Stati Uniti erano a tutti gli effetti uno <stato razziale>, ossia l'obiettivo principale che Hitler portava avanti per la sua Germania nazista, tanto da trarre dall'esempio americano più di un elemento di ispirazione.

Né le cose andavano meglio se ci si concentrave. sulla politica estera, in particolar modo in quella che, dalla <dottina Monroe> in poi, era considerata la zona di influenza degli Stati Uniti, ossia il Sudamerica. I casi sono molteplici, ma ci basti considerare in questa sede cio che è accaduto in Guatemala fra il 1962 e gli anni Ottanta. In questa splendida terra che aveva ospitato la straordinaria civiltà dei Maya, la politica americana di intervento attraverso la CIA e i <berretti verdi> si rivelò particolarmente brutale. In nome dell' opposizione alla <minaccia comunista>, infatti, i vari governi degli Stati Uniti instaurarono veri e propri regimi di terrore guidati da dittatori senza scrupoli. Lultimo governo riformista guatemalteco, regolarmente eletto, risaliva al 1954, anno in cui fu destituito con la forza dalla CIA. Nel decennio 1966-1976 Amnesty International stimava che i guatemaltechi uccisi dall'esercito addestrato dagli americani superasse abbondantemente le ventimila unità, Sindacalisti, riformatori, semplici critici del regime, coloro che a vario titolo cercavano di migliorare le condizioni terribili di vita della classe contadina venivano arrestati, torturati nella maniera peggiore peggiore e infine i loro corpi gettati nel fiume o nell'Oceano.Nell'area di Gualán nessuno pescava più perché i cadaveri erano talmente tanti che il più delle volte si impigliavano nelle reti dei pescatori. Tutto questo, ovviamente con l'appoggio e l'intervento diretto del governo degli Stati Uniti, che si era adoperato anche per modificare alcuni caccia F-51 per combattere la guerriglia, Così, negli stessi anni in cui dall'altra parte dell'oceano (in Vietnam) venivano individuate le zone off limits in cui questi aerei distruggevano ogni cosa e ogni forma vivente, in Guatemala ciò aveniva con le zonas libres. Un massacro studiato a tavolino e condotto con ferocia e brutalità pari soltanto all'evoluzione tecnologica. La gente veniva invitata a denunciare coloro che  potevano essere comunisti (<Vedi un comunista, uccidi un comunista!>, questo lo slogan) e i malcapitati venivano ritrovati cadaveri, con gli occhi strappati, i testicoli in bocca, senza mani e senza lingua. Lasciamo all'immaginazione del lettore ciò che accadeva alle donne, quasi certi che la realtà fosse ben più atroce dell'immaginazione stessa, Le associazioni filogovernative distribuivano volantini in cui si invitava a contrassegnare i portoni dei simpatizzanti di sinistra con una croce nera, Il governo americano, fra le altre cose, interveniva quando il governo in carica veniva ritenuto troppo morbido, per sostituirlo prontamente manu militari. Il culmine del terrore anticomunista si raggiunsc con l'elezione a Presidente degli Stati uniti di Ronald Reagan. Il suo Ministro degli esteri, infatti, comunicò a una commissione parlamentare che i sovietici stavano per impegnarsi nella conquista dell'America centrale. Da qui partì tutta una serie di nuove politiche di terrore, tanto che le forze di sicurezza guatemalteche, con l'appoggio economico e di armi degli Stati Uniti, massacrarono più di duemila contadini distrussero interi villaggi, uccisero esponenti dell'opposizione di sinistra ma anche cattolica (fra cui sei sacerdoti).

Ancora negli anni Novanta il governo degli Stati Uniti continuò a finanziare i militari guatemaltechi anche se da più parti venivano accusati di violare i diritti dell'uomo e di gestire il mercato della droga, Alcune fonti sostengono che finanziamenti fra i cinque e i sette milioni di dollari l'anno andarono a beneficio di questi militari sanguinari e malviventi ancora sotto il governo di Bill Clinton, quando per inciso il comunismo sovietico era crollato da alcuni anni. La situazione della popolazione di quelle terre è ancora drammatica, frutto di un bilancio di violenze e soprusi che hanno portato lo storico William Blum, dimessosi dal dipartimento di stato Usa nel 1967 in polemica per la gestione della guerra in Vietnam, a parlare di una <soluzione finales meno conosciuta.

Ancora una volta, siamo ben più vicini alle pratiche dei regimi cosiddetti totalitari che non a quelle di governi che dovrebbero ispirarsi ai nobili valori liberali. 'Tanto che se si considera nel suo complesso la  politica statunitenee  nel suo complesso verso i paesi del Sudamerica, con tutte le differenze del caso si fa fatica a non pensare all'influenza dell'Unione Sovietica nei confronti.degli stati caduti sotto la sua influenza.

Né le cose appaiono così chiare e definite, come vorrebbe il senso comune dominante, se ci volgiamo sull'altra sponda, quella che si richiama a Marx. Lo storico Niall Ferguson ammette infatti che <nessun'altra rivoluzione si è mai cibata dei propri figli con un appetito insaziabile quanto quello della rivoluzione russa>, Negli anni Trenta il gruppo umano e sociale largamente più perseguitato dal regime staliniano era quello composto dai vecchi bolscevichi che avevano affiancato Lenin e Stalin nel dare vita alla Rivoluzione d'Ottobre, Con l'accusa di essere <trockisti> in combutta col grande nemico di Stalin, o più genericamente bollate come servi <ostruzionisti> deipaesi imperialisti e capitalisti, fra il 1935 e il 1941 furono arrestate circa venti milioni di persone, di cui almeno sette milioni uccise. Fra questi, con cadenza periodica, tutta la dirigenza del partito comunista (emblematica I'uccisione del capo di partito di Leningrado, Sergej Kirov) e tutti i cosiddetti <nemicidel popolo>. Una furia inspiegabile, un <terrore> irrazionale surrettizio, capace di creare un regime di drammatica incertezza in cui ogni persona, in qualsiasi momento e senza alcuna spiegazione, poteva essere colpita nella propria identità di cittadino per ritrovarsi relegato in qualche campo di prigionia con le accuse più infamanti. Accuse per le quali egli stesso era costretto a dichiararsi colpevole

Un clima surreale e tragico al tempo stesso, mirabilmente rappresentato in forma metaforica da Michail Bulgakov nel romanzo Il maestro e margberita, in cui nientemeno che il Diavolo fa la sua apparizione Mosca creando, sotto mentite spoglie, un regime di denunce, sparizioni, morti improvvise e sospette, denunce reciproche. Un vero e proprio regime del terrore <disordinato> ma implacabile. O forse implacabile proprio perché privo di un metodo, per parafrasare Shakespeare. Uno dei pochi, se non forse T'unico, elemento logico in questa operazione distruttiva da parte del regime sovietico, sembrava proprio T'attenzione rivolta contro i comunisti e i rivoluzionari. Dei 394 membri che nel 1936 facevano parte del comitato esecutivo dell'internazionale comunista, 223 erano caduti vittime del regime sovietico. Stessa sorte toccò ai due terzi dei dirigenti comunisti fuggiti dalla Germania nazista ed emigrati in Unione Sovietica dopo il 1933.

Senza contare l'impegno profuso dal regime staliniano per colpire vecchi dirigenti che, spesso in esiio, davano vita a movimenti rivoluzionari all'estero come mirabilmente descritto da Arthur Koestler in Buio a mezzogiomo e dal regista Ken Loach nel belissimo film del 1995 Terrà e libertà, in cui si documenta il ruolo attivo del potere sovietico nel boicottare il movimento rivoluzionario spagnolo durante la guerra civile.. Un altro bellissimo film di Loach, figlio di operai ed impegnato a portare avanti, in maniera critica, la causa dei più deboli, è Bread and Roses (Pane e libertà), il cui titolo è ripreso da una frase di Marx che vale la pena citare per intero: <Il comunismo è pane e rose, il necessario e il superfluo, una società dove si mangia meglio e di più (non solo pane), dove si lavora meglio e di meno, ma anche una società dove si è più felici, realizzati, liberi>, Rispetto a questo ideale marxiano emerge con nettezza il contrasto con quanto veniva messo all'opera da coloro che in Unione Sovietica pur si richiamavano al filosofo di ' Treviri

Per concludere, il problema emerge sotto una duplice vestem Da una parte ci sembra che dovrebbe essere più cauto, e certamente più complesso, il giudizio storico che si ritiene di dare sul marxismo, soprattutto se si finisce con l'appiattirlo esclusivamente su quanto accaduto in Unione Sovietica e nei regimi comunisti che ad essa si sono ispirati. Fermo restando che il giudizio storico sull'Unione Sovietica dovrebbe essere più critico e articolato di quanto non viene fatto ai giorni nostri dall'ideologia dominante, rimane il dubbio pesantissimo sulla linea di continuità che è lecitc tracciare rispetto a quanto scritto da Marx, le cui teorie non erano certo aliene da responsabilità per quanto sarebbe accaduto in futuro, ma che altrettanto certamente non aveva mai previsto dei campi di concentramento in cui rinchiudere alcuno. Meno che mai compagni dello stesso partito e della stessa causa. Dall'altra parte emerge tutta l'ingenuità, quando  non l'opportunismo, di coloro che, in nome dell'ideale comunista, si sono appiattiti in maniera acritica, e spesso univocamente entusiasta, sul regime sovietico che del resto costituiva l'unico <esempio>> concreto cui fare appiglio, nell' assenza quasi totale di indicazioni lasciata da Marx su come avrebbe dovuto essere organizzata la società comunista del futuro. 

Anche qui, come nel campo liberale, non si è prestata attenzione alle molteplici contraddizioni. Anche qui la storia, con la sua ironia, si è divertita in molti modi a sfatare quella galassia di armonie di cui gli uomini amano ammantarsi per trovare conforto rispetto a un mondo così avaro di certezze tranquillizzanti.


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L'OCCIDENTE ANFIBIO

Per comprendere l'evoluzione storica in genere ma in particolare quella degli ultimi secoli della tradizione filosofica e politica occidentale, è nostra opinione che non si possa ricorrere a una lettura lettura impostata sulla linearità della <logica formale> (se A è uguale ad A, A non può essere diverso da A), ma sia necessario fare riferimento alle vie indubbiamente più tortuose e complesse della <logica dialettica>: A è uguale ad A, ma in tempi e condizioni mutate può anche essere diverso e, pure nella diversità o forse proprio in essa, queste due varianti di un'entità comune possono comunque contribuire a dare vita a un terzo soggetto che è la risultante di questo conflitto dialettico.

La logica formale è certamente la più adatta nel campo delle scienze naturali, dove per esempio due particelle di idrogeno e una di ossigeno rappresentano la formula dell'acqua (h20) e non possono essere nient`altro che questa. Ma nel campo delle scienze umane e sociali, più articolate, complesse, e partecipi di quella contraddittorietà che caratterizza il mondo umano in quanto tale, la logica formale risulta al quanto rigida e schematica, insufficiente a cogliere integralmente quella complessità. Applicando la logica formale, per esempio, si può giungere alla conclusione netta che l'Occidente è <liberale> e non può essere qualcosa di diverso, ma ripercorrendo la storia con maggiore elasticità vediamo e vedremo che la civiltà occidentale è stata anche giacobina e socialista, per esempio, ha lasciato che in più occasioni le istanze portate avanti da queste tradizioni contribuissero a formare e modellare la propria identità. Identità spesso controversa e contraddittoria. La duplice caratteristica fondante della <dialettica>, secondo I'insegnamento di Hegel, il suo consistere in un metodo di comprensione della <realtà> e, nel medesimo tempo, di costituire la modalità precipua attraverso la quale si evolve (e muta costantemente) la <realtà> stessa (l'identità di razionale e reale trova in questo ambito la sua massima espressione, tanto che non può esistere un concetto stesso di realtà se non inteso nella sua dimensione continuamente cangiante, né peraltro di razionalità se non intesa nel suo continuo riferirsi ad una realtà concreta anche se momentanea), può essere proficuamente analizzata (e quindi esemplificata) se ci impegniamo nel non facile esercizio di comprensione dell'evoluzione politico-sociale dell'Occidente negli ultimi due secoli (1789-1989).

Le contraddizioni oggettive, cioè effettive e influenti sul piano storico-sociale, che si sono presentate nell arco di questo periodo, ben lungi dal limitarsi a costituire delle contraddizioni reali e valide sul piano esclusivamente logico-epistemologico, quindi teorico (individualismo-olismo, particolarismo/universalismo,  riformismo/gradualismo-rivoluzionarismo/ totalitarismo ecc ), sono al tempo stesso centrali per comprendere I'evoluzione politico-sociale delle società occidentali e per identificare I"<essenza> stessa.dell'Occidente, in quanto prodotto risultante da contraddizioni storiche e ancora oggi contraddittorio.

Infatti, il nostro mondo contemporaneo, almeno. nell'ambito dell'Occidente, è ben lungi dal rappresentare un risultato pacificato e univoco, quale tendono a delinearlo i sostenitori della teoria liberale in quanto apologeti di un modello unico e vincente, che dominerebbe oggi incontrastato le società occidentali dopo aver storicamente sconfitto, e quindi nullificato, le istanze della tradizione giacobino-socialista.

Analizzando l'evoluzione politico-sociale degli ultimi due secoli, vedremo come il nostro Occidente non solo si è sviluppato attraverso istanze contraddittorie che hanno tutte contribuito a permearlo in misura va-riabile a seconda dell'epoca e delle circostanze, ma anche che esso, ancora oggi, è un <luogo> in cui nuove contraddizioni (a un livello più alto ma in tutto e per tutto connesse a quelle delle epoche precedenti) contribuiscono a delinearlo come un'entità anfibia', figlia principalmente di due istanze teorico-pratiche, sicuramente contrapposte, ma <cospiranti> ed entrambe ben vive nel suo codice genetico

(Per un approfondimento del concetto di <anfibietà> del mondo occidentale contemporaneo (nella sua dimensione politico-sociale), in quanto prodotto della tradizione giacobino-socialista come di quella liberale, mi permetto di rinviare ad Ercolani (2004).)


Insomma, questa è la questione nodale, non aliena da una certa semplificazione finalizzata a a una una maggiore comprensione: si può pensare I'Occidente contemporaneo come il risultato di uno scontro tra due grandi tradizioni (quella liberale e quella giacobino-socialista), scontro dal quale, seppur fra enormi difficoltà e rischi per l'esito finale, è uscita vincente una soltanto delle due, annullando completamente le istanze e le rivendicazioni dell'altra e assicurando alla nostra civiltà quella libertà di cui godiamo oggi? Libertà, per di più, che non sarebbe stata per nulla possibile se il socialismo fosse riuscito in qualche modo a instillare qualcuna delle sue prerogative nella nostra società?

Secondo noi una tale lettura della storia degli ultimi due secoli, peraltro sempre pitl in voga, è fallace e semplificatoria, oltre a non rendere giustizia al vero corso degli eventi, così da ostruire, in ultima analisi e anzitutto, la comprensione. Quello che in questa sede vogliamo utilizzare è un metodo più articolato, alieno dalle dicotomie semplificatorie e più pronto ad accettare la contraddittorietà e complessità del reale, gramscianamente consapevoli che <scissa dalla teoria della storia e della politica, la filosofia non può essere che metafisica, mentre la grande conquista nella storia del pensiero moderno, rappresentata dalla filosofia della praxis è appunto la storicizzazione concreta della filosofia e la sua identificazione con la storia>?

Gramsci (19772), p. 1426.

Non voler scindere la filosofia dalla storia, nel nostro intendimento, non vuol dire proporre quella forma di storicismo criticata, non senza ambiguità da Popper (per cui lo storicista, una volta individuate le leggi dello sviluppo storico, pretenderebbe di prevedere il corso futuro degli eventi)', bensi vuol dire manifestare la concezione secondo la quale ogni idea, ogni teoria o critica delle idee (presenti e passate), se scissa dallo sviluppo del contesto storico dall'analisi comparativa e dalle relazioni con le altre teorie (e loro applicazioni nella realtà), finisce col rivelarsi alla stregua di un puro esercizio intellettuale, un virtuosismo fine a se stesso e totalmente sterile rispetto alla comprensione del corso delle vicende umane.


2. Due secoli in questione

Sulla base del precetto gramsciano che abbiamc deciso di fare nostro, intendiamo criticare (mostrandone l'incompletezza quando non proprio l'assenza di fondamento) quelle interpretazioni della storia contemporanea che, a nostro avviso, si limitano alla teorizzazione filosofica priva della <storicizzazione concreta della filosofia>, lontana dal confronto con i dati storici concreti, con quella <categoria del mutam ertte concreti, con quella del mutamento> che per ogni avvenimento storico, ineluttabilmente, ci presenta <il lato negativo> del tramonto, della fine, cui è però inscindibilmente connesso anche l'altro motivo, <che dalla morte nasce la vita>"Cfr. Popper (1957)

Queste interpretazioni della storia che si limitano a una <filosofia senza storia>, che obliano la categoria del mutamento e la conseguente storicità di ogni topos interpretativo, ipostatizzando il corso almeno - degli ultimi due secoli (dal 1789 al 1989) all'interno di un mero conflitto tra una tradizione vincente (quella liberale) e una perdente tout court (quella giacobino-socialista), non appartengono certo ad autori minori né si riferiscono ad avvenimenti storici limitati nel tempo o di rilievo inferiore.

Esemplare è il caso di Jacob 'Talmon, autore liberale che vede <gli ultimi due secoli> caratterizzat da una netta divisione tra due scuole di pensiero sociale ed economico, che si sono divise (e combattute) sulla base di un problema di fondo: <Se la sfera economica debba essere considerata u n campa aperto al gioco della libera iniziativa [..] in cui lo stato interviene solo occasionalmente per stabilire le regole più generali e più liberali del gioco>, oppure se debba costituire un terreno pianificabile dal governo statale in vista del bene della collettività. Quest'ultima concezione, denominata dall'autore <<democrazia totalitaria» (totalitarian democracy), nel piano originario dell'opera di Talmon era caratterizzata da un filo continuo che da Rousseau conduceva dritto a Stalin'.


¹ Hegel (1837), vol. I, pp. 14-15; a queste pagine, seppure in una prospettiva critico concettuale antipodica rispetto alla nostra

e che vuole far risaltare l'impianto teologico-escatologico della filosofia della storia di Hegel, conferisce notevole rilievo anche

K. Löwith (1949), cap. III.


Ma anche lo storico francese Furet, in un'opera più recente dedicata all'idea comunista nel XX secolo, individua una marcata linea di continuità tra idee e metodi dei giacobini e quelli della rivoluzione bolscevica del 1917 (anche in relazione all'intervento dello Stato nell'economia), idee e metodi che, naturalmente hanno visto il loro fallimento nel corso del Novecento.di fronte ai principi e alle pratiche del liberalismo. Una tale concezione, ben lungi dall' affermarsi soltanto al livello dei due estremi (quello del senso comune popolare e quello accademico), la ritroviamo espressa in uno dei più importanti, e significativi documenti di politica internazionale dei nostri giorni. Ci riferiamo a The National Security Strategy of the J.S.A, il documento sulla strategia di sicurezza nazionale composto dall' Amministrazione del Presidente americano George W. Bush, in piena campagna militare contro le forze del terrorismo internazionale che hanno colpito al cuore gli Stati Uniti con l'attentato del'11 settembre 2001 alle Twin Towers e

al Pentagono.

In questa Carta, che restringe di un secolo lo spazio temporale del conflitto tra le forze del bene e del male (limitandolo al '900), dopo l'esordio in cui si fa riferimento ai grandi scontri del XX secolo tra libertà e totalitarismo, terminati con la nodale vittoria delle forze della libertà e di un solo decisivo modello per il successo nazionale: quello fondato su <libertà democrazia e libera iniziativa> (freedom, democracy and free enterprise)', lo stesso George W. Bush riteneva di poter dedurre da cio quanto segue, con estrema sicurezza: <Le lezioni della storia sono chiare: le economie di mercato e non quelle comandate e controllate dalla mano pesante dello stato (not command and control economies with beavy band of government) costituiscono la maniera migliore di promuovere la prosperità e ridurre la povertà.

Di esempi ulteriori ne potremmo avanzare a dismisura, tanto che chi ha dedicato un libro specifico all' argomento dell'interpretazione della storia dal 1789 al 1989, ha deciso di intitolare un intero capito-

lo, appunto, <due secoli in discussione>. Ad essc

rimandiamo chi volesse approfondire tali questioni e

le varie letture degli autori più diversi

Ciò che ci interessa in questa sede, piuttosto, non

è tanto di capire se sia possibile leggere gli ultimi due

secoli di storia all'insegna di uno scontro schematicc

e costante tra due concezioni politico-sociali conflig-

genti (da una parte la tradizione giacobino-socialista,

dall'altra quella liberale-liberista), quanto di mettere

in questione il fatto che una sola di esse (il Bene piut-

tosto che il Male, il Vero piuttosto che il Falso, secon-

do una logica formale rigidamente imperniata sul

principio di non contraddizione) abbia potuto effettivamente trionfare, immune da contaminazioni, im-

permeabile alle influenze e alle istanze dell'altra. In-

somma, questo è il punto che ci preme investigare:

come è possibile immaginare le due concezioni l'una

di fronte all'altra armate, dalla Rivoluzione francese

fino al 1989, concepite entrambe una volta per tutte

all'inizio dei tempi e mai più soggette alla hegeliana

categoria del mutamento? Soprattutto incomunican-

ti come due monadi e sottoposte ad una sorta di

armonia (prestabilita?) che le ha viste scontrarsi sul

erreno della storia umana fino a che una sola, quel

la liberale-liberista, rimasta invariata e legata ai suoi

assunti originari, non ha trionfato spazzando comple-

tamente quell'altra, senza che quest'ultima potesse

far valere storicamente alcuna delle sue istanze? Non

si cade in questo modo in una filosofia che non fa i

conti con la storia, che non accetta le ibridazioni, le

contraddizioni, i mutamenti cui la storia stessa sotto-

pone ogni cosa? Non ci si imbatte, soprattutto, in

un'epistemologia astorica che, rifiutando la compara-

zione e la contestualizzazione, scade nella metafisica

più astratta? Secondo noi oviamente queste doman-

de sono retoriche, la risposta affermativa è contenu-

ta nello stesso quesito

La tesi di fondo che vogliamo avanzare, infatti,è che la nostra civiltà occidentale, ben lungi dall'essere figlia della lenta ma inesorabile vittoria del liberalismo sulle forze giacobino-socialiste, è in realtà il prodotto di uno scontro dialettico, nonché storico-fattuale (nella misura in cui la storia procede in maniera dialettica), tra queste due tradizioni. La teoria liberale, e ancor più quella liberista, è dovuta infatti scendere a molti compromessi e ha visto negati, nel corso del tempo, alcuni dei suoi precetti più forti sotto colpi della teoria avversaria, ma anche in seguito movimenti popolari e a veri propri rivolgimenti del corso dei fatti. Né Ciò Può essere visto esclusivamente alla stregua di un'evoluzione tutta interna al liberalismo, poiché anzi, molte delle conquiste democratiche della nostra civiltà, avvenute soltanto dopo notevoli conflitti (in sede teorica ma anche pratica), sono state ottenute malgrado la decisa resistenza frapposta dagli stessi teorici liberali e dalle forze economico-sociali dell alta borghesia

Ľ'Occidente, inteso come idealtipo storico-cultu-

rale, assai lontano dall'essere una realtà monolitica, a

una lettura della storia onesta e aperta alla comples-

sità, risulta essere in realtà un organismo anfibio, che

è stato capace di vivere in (e di trarre linfa da) due

condizioni ideologico-politiche diverse e confliggen-

ti, che hanno contribuito entrambe alla sua evoluzio-

ne e a plasmarlo cosi come si presenta oggi.Se cosi

non fosse, se dovessimo appiattirci sulla lettura mani-

chea dell'Occidente figlio del liberal-liberismo, non

capiremmo come sono stati possibili, storicamente, i

diritti dell'uomo affermati universalmente, il suffra-

gio universale, il superamento delle discriminazioni

censitarie, razziali e sessuali, le legislazioni sociali a

favore dei proletari e delle classi più deboli, il welfa-

re state, la fine del mercato autoregolantesi e la sco-

perta della necessarietà dell'intervento statale nelle

questioni economiche (soprattutto dopo la grande

crisi del 1929), tutte questioni rispetto alle quali, in

diversa misura, i maggiori teorici liberali avevano fatto valere la loro più determinata opposizione. So-

sia possibile che, mentre da una parte capirem- il

prattutto, per quanto concerne l'oggi, non

mo come Presidente americano Gorge W. Bush dichiara che la nostra civiltà ha vinto la lotta contro il totalitarismo grazie all'affermazione del libero mercato e dell'impresa individuale liberata dalla mano pesante dello stato, dall' altra i paesi ricchi tengano soggiogati, e impediscano la loro evoluzione economico-sociale, i pa-

esi emergenti grazie a delle legislazioni ferree che vie-

tano agli stessi di esportare liberamente i propri pro-

dotti', Non è forse questo un pesante intervento de-

gli stati sull'economia? Non è soprattutto una palese

sconfessione degli ideali liberali e liberisti cosi enfati-

camente promossi dal Presidente Bush e dagli apolo-

geti dell'Occidente liberale?

Lo stesso Adam Smith, nella sua onesta (e ottimi-

stica, oltre che riduttiva) convinzione nelle virtù del

libero mercato, aveva affermato che <se un paese

straniero può rifornirci di una merce a un prezzo

minore rispetto a quello cui noi stessi potremmo pro-

durla, è meglio che acquistiamo la merce suddetta da

quel paese>"

E chiaro che siamo di fronte a due possibilità: o

derubrichiamo Adam Smith dal novero dei padri del

liberalismo, oppure accettiamo di considerare T'evo-

luzione della storia (e delle idee, dei movimenti, dei

conflitti al suo interno) come un qualcosa di più

complesso, come un teatro in cui i canovacci non

sono scritti in forma aprioristica (e in maniera che

non si influenzino reciprocamente), in modo tale che

rimangano invariati per tutta la rappresentazione

fino a che un personaggio (il liberalismo) non ottiene

la vittoria finale e la completa eliminazione dell'av-

versario.

Facendo nostra la seconda delle due possibilità

giova operare un salto temporale e analizzare la tra-

vagliata evoluzione della teoria liberale, soprattutto

in quei punti in cui essa ha dovuto storicamente ac-

cogliere istanze del pensiero giacobino-socialista

senza mai staccare i contatti con gli avvenimenti sto-

rici principali. Certo consapevoli, per scardinare degli

assunti così radicati anche a livello di senso comune

che <la verità non giace alla superficie sensibile>, e

specialmente che <in tutto ciò che vuole essere scien-

tifico la ragione non può dormire, e la riflessione

occorre>, con l'obiettivo di raggiungere quel <unta

di vista della storia filosofica>, che non è uno fra mol-

ti punti di vista, astrattamente prescelto, in modo che

in esso si prescinda dagli altri, poiché <il suo princi

pio spirituale è la totalità di tutti i punti di vista>'.

Un'impresa complessa, che non riuscirà mai fino

n fondo, non almeno alle limitate possibilità di una

ragione singola.

In questo, però, confortati e guidati dalla lezione

di Gramsci: <Si dimentica spesso (e quando il critico

della storia in fieri dimentica questo, significa che

egli non è teorico, ma uomo politico in atto) che in

ogni attimo della storia in fieri c'è lotta tra razionale

e irrazionale, inteso per irrazionale cid che non trion-

ferà in ultima analisi, non diventerà mai storia effet-

tuale, ma che in realtà è razionale anch'esso perché è

necessariamente legato al razionale, ne è un momen-

to imprescindibile; che nella storia, se trionfa sempre

il generale, anche il "particulare" lotta per imporsi e

n ultima analisi si impone anch'esso in quanto deter

mina un certo sviluppo del generale e non un altro.

Ma nella storia moderna, "particulare" non ha più lo

stesso significato che aveva nel Machiavelli e nel

Guicciardini, non indica più il mero interesse indivi-

duale, perché nella storia moderna 1' "individuo" sto-

ico-politico non è l'individuo "biologico" DIOlOgIco" ma ma il il gruppo sociale.

Sarebbe certamente riduttivo, e storicamente insostenibile, conferire il certificato di <razionale> o <irrazionale> alla sola tradizione liberale o alla sola tradizione giacobino-socialista. Proptrio perché, con

Gramsci, abbiamo scelto come metro di giudizio del-

l'irrazionalità ciò che non ha trionfato in ultima ana-

lisi, vedremo che non poche delle istanze difese dai

liberali del '700 e 800 sono state sconfessate dalla

storia, così come sicuramente (ma questo non ve

certo dimostrato in questi tempi) molte istanze per

esempio del pensiero socialista sono state sconfitte o

semplicemente superate dal corso degli eventi (due

su tutte: il mito dell'estinzione dello stato e la sotto-

valutazione dell'importanza delle libertà formali),

Razionale non è stato di per sé il liberalismo, cosi

come non lo è stato di per sé il socialismo, Razionale

è soltanto la realtà nelle sue manifestazioni certa-

mente contraddittorie, ma proprio per ciò maggior-

mente complete rispetto ai punti di vista soggettivi a

alle ideologie precostituite (non contraddittorie, am-

messo che lo siano, soltanto in sede teorica, a tavoli-

no). Razionale è stata quella realtà, <anfibia> appun-

to, che ha formato al tempo stesso il terreno di incon-

tro e di scontro tra idee e istanze diverse e spesso

contrastanti, quella realtà che Oggi mette di fronte

a un mondo tutt'altro che pacificato e libero in segui-

to alla vittoria del liberalismo. CosÌ come irrazionali

si sono rivelate molte delle teorie e delle pratiche di

entrambe le tradizioni, ma non per questo non hanno

avuto parte e influenza rispetto al corso degli eventi

producendo vere e proprie tragedie storiche.