mercoledì 5 giugno 2019


IL CONSOLE ONORARIO 
Graham Green
Mondadori
Il romanzo, appena ripubblicato da Sellerio è un capolavoro di uno dei maggiori autori del Novecento, paragonato, nella prefazione di Alessandro Baricco,  ad Hemingway.


Prefazione (Edizione Mondadori)
In Argentina al principio degli anni Settanta, dittatura militare e guerriglia rivoluzionaria, ricchissimi e poverissimi, un mondo in fermento, pieno di laceranti contraddizioni: i residenti 
stranieri capiscono poco o niente di ciò che sta accadendo attorno a loro. Charley Fortnum è un inglese di mezza età, un uomo comune <eome 
tanti uomini comuni, battuto dal grigiore dell' esistenza, un po' stanco della vita, un po' infelice e un po' vile, eppure è un'anima capace di tenerezza e di comprensione per il prossimo. Fa il console onorario britannico, un incarico formale, di fittizio prestigio, beve parecchio, sua moglie lo tradisce e attende un figlio di un altro... 
La trama di questo singolarissimo romanzo di Graham Greene è imperniata su un eroe mediocre come Charley Fortnum. Una serie di avventurosi e tragici equivoci lo pongono al centro di una drammatica e sanguinosa vicenda, tra disperati guerriglieri, violentissime repressioni, assurdi e inutili delitti politici. Nella sua estrema debolezza, Charley Fortnum rivela un mite e invincibile coraggio, le tremende esperienze lo rivelano a se stesso e agli altri, soprattutto lo spingono a capire sua moglie, ad accettare quel figlio non suo come se fosse suo, convinto che in certe vicende della vita «mentire è di buon gusto». 
«Il console onorario» è una delle migliori prove di Graham Greene, uno dei maestri della narrativa contemporanea d'intrattenimento, lo scrittore che più d'ogni altro ha nobilitato con un'alta qualità letteraria e una profonda capacità di analisi psicologica il romanzo poliziesco, d'avventure e d'azione. 

CONSOLE ONORARIO 
Romanzo 
Traduzione di Gabriella Fiori
ARNOLDO MONDADORI EDITORE
© Graham Greene 1973
© Arnoldo Mondadori Editore 1973 Titolo dell'opera originale
The Honorary Consul
I edizione settembre 1973

Parte 1

I
Il dottor Eduardo Plarr se ne stava nel porticciolo sul Paraná fra le rotaie e le gru tinte di giallo, fissando lo sguardo là dove una piuma orizzontale di fumo si adagiava sul Chaco, posata fra le barre rosse del tramonto come una striscia su una bandiera nazionale. A quell'ora, il dottor Plarr si trovava solo, salvo per l'unico marinaio di guardia davanti all'edificio marittimo. Era una di quelle sere che, per qualche misteriosa combinazione di luce calante e l'odore di una pianta di cui non sai più dire il nome, riportano ad alcuni il senso dell'infanzia e della speranza nel futuro, mentre ad altri ridonano il senso di qualcosa di perduto e ormai quasi dimenticato per sempre.
Le rotaie, le gru, l'edificio marittimo: queste le cose della sua terra adottiva che il dottor Plarr aveva visto per primo. Gli anni non avevano cambiato nulla, salvo l'aggiunta di quella striscia di fumo che al suo primo arrivo qui non era ancora stata appesa sulla cresta dell'orizzonte sul lembo estremo del Paraná. La fabbrica che la produceva non era ancora stata costruita all'epoca in cui egli era disceso da una repubblica del nord insieme a sua madre, più di vent'anni prima, sul battello del servizio settimanale dal Paraguay. Ricordò suo padre, là in piedi sulla banchina di Asunción accanto alla breve passerella di sbarco del piccolo battello fluviale, suo padre alto e grigio, dal petto incavato, che prometteva con meccanico ottimismo di raggiungerli presto. Di lì a un mese, forse i mesi erano stati tre, la speranza gli si era sgretolata in gola come un pezzo di macchinario
mangiato dalla ruggine.
Il ragazzo di quattordici anni non aveva trovato per nulla strano, anche se forse un po' straniero, che suo padre baciasse la moglie sulla fronte con una specie di reverenza, come si farebbe con una madre piuttòsto che con una compagna di letto. A quell'epoca il dottor Plarr si considerava molto spagnolo, proprio nella stessa misura della madre, mentre suo padre aveva spiccate le caratteristiche dell'inglese di nascita. Suo padre apparteneva di diritto, e non semplicemente perché stava scritto su un passaporto, all'isola leggendaria della nebbia e della neve, la terra di Dickens e di Conan Doyle, anche se probabilmente aveva conservato solo ben pochi autentici ricordi di quel paese abbandonato all'età di dieci anni. Un libro illustrato, acquisto dell'ultimo momento prima dell'imbarco, regalo dei genitori di lui, era sopravvissuto: Panorama di Londra, ed Henry Plarr soleva spesso sfogliare agli occhi del figlio piccino Eduardo le pagine di piatte fotografie grigiastre che mostravano Buckingham Palace, la Torre di Londra, e uno scorcio di Oxford Street, gremita di hansoms   e di tassì a cavalli e di signore che si tenevan su in un ciuffo le lunghe gonne. Suo padre, come il dottor Plarr realizzò molto tempo dopo, era un esiliato, e questo era un continente di esiliati... di italiani, di cèchi, di polacchi, di gallesi, d'inglesi. Quando il dottor Plarr ragazzo aveva letto un romanzo di Dickens lo aveva letto come farebbe uno straniero, prendendo tutti ì particolari come quelli di una realtà contemporanea, per mancanza di altre verifiche, come un russo il quale crede fermamente che il magistrato e il fabbricante di bare continuino a seguire le loro immutate vocazioni in un mondo in cui Oliver Twist sta prigioniero nel fondo di una qualche cantina inglese chiedendo "ancora" da mangiare.
A quattordici anni non aveva potuto capire i motivi che avevano trattenuto il padre sulla banchina dell'antica capitale lungo il fiume. Gli occorse un certo numero di anni di vita in Buenos Aires per cominciare a rendersi conto che l'esistenza di un esiliato non è fatta per la semplicità: documenti, così tanti, e così tante visite agli uffici del governo. La semplicità apparteneva di diritto ai nativi, coloro che potevano dare per scontata la loro condizione di vita, per bizzarra che fosse. La lingua spagnola era romana di origine, e i romani erano stati gente semplice. Il machismo, il senso dell'onore maschile, era l'equivalente spagnolo della virtus. Aveva poco a che vedere con il coraggio o il fiero serrare i denti degli inglesi. Forse, nel suo modo straniero, il padre aveva tentato una imitazione di machismo quando aveva scelto di affrontare solitario i pericoli di giorno in giorno
crescenti sull'altro lato della frontiera paraguayana; ma laggiù, sulla banchina, di quel tentativo non traspariva se non la rigidezza della mascella serrata.
Il giovane Plarr e la madre raggiunsero il porto sul fiume quasi alla stessa ora della sera nel loro viaggio alla volta della grande, chiassosa capitale della repubblica nel sud (la loro partenza era stata ritardata di alcune ore da una dimostrazione politica), e qualcosa nella scena, le antiche case coloniali, detriti di stucco sulla strada lungofiume, due amanti abbracciati su una panchina, la statua bianca di luna di una donna nuda e il busto di un ammiraglio dal familiare nome irlandese, i globi di luce elettrica simili a grossi frutti maturi sopra una bancarella di bibite, si annidarono nella mente del giovane Plarr come un simbolo di pace in-
consueta. Al punto che, dopo lungo tempo, quando sentì il bisogno pressante di fuggire in qualche luogo, lontano dai
grattacieli, dagl'imbottigliamenti del traffico, dalle sirene dei furgoni di polizia e delle ambulanze, e dalle eroiche statue equestri di liberatori, scelse di far ritorno a questa piccola
città settentrionale per lavorarvi da medico con tutto il prestigio conferitogli da una laurea presa a Buenos Aires. Non uno dei suoi amici della capitale, non una delle sue conoscenze di caffè fu mai vicina a capire il suo motivo: nel nord lo aspettava un malsano clima caldo-umido, e una città dove non succedeva mai nulla, nemmeno un episodio di violenza: questo gli assicurarono tutti.
« Forse è malsano quanto basta perché io mi faccia una migliore clientela » aveva risposto lui con un sorriso che
era altrettanto anodino, o falso, quanto l'espressione di speranza del padre.
A Buenos Aires, nel corso dei lunghi anni di separazione, avevano ricevuto dal padre una sola lettera, indirizzata a
entrambi: Señora e hijo stava scritto sulla busta. La lettera non era arrivata per posta. L'avevano trovata sotto la
porta del loro appartamento al ritorno dal cinema una domenica sera, quattro anni dopo il loro arrivo alla città. Il film era Via col vento, e lo avevano visto per la terza volta. Sua madre non mancava mai una riedizione, forse perché il vecchio film e i vecchi attori facevano apparire per qualche ora la guerra civile come una cosa statica e scevra di pericoli. Attraverso gli anni Clark Gable e Vivien Leigh tornavano ad affacciarsi in scena a dispetto di bombe e di revolverate.
La busta, molto sporca e gualcita, portava la dicitura "A mano", ma quale mano fosse stata a consegnarla non seppero mai. Non era stata scritta nella loro antica carta da lettere che aveva portato elegantemente inciso in caratteri gotici il nome della estancia, ma sulle pagine rigate di un blocco da pochi soldi. Era una lettera piena di finta speranza, come la voce sulla banchina. "Le cose" scriveva il padre, avrebbero finito per sistemarsi ben presto; mancava la data; così, forse, la speranza si era già spenta ormai da lungo tempo. Non ebbero più notizie di suo padre; non un resoconto, nemmeno anzi una vaga voce li raggiunse mai sulla sua incarcerazione o sulla sua morte. Aveva concluso la lettera con formalismo spagnolo: "È mio grande conforto sapere che le due creature che più amo al mondo si trovano al sicuro; il vostro affezionato marito e padre, Henry Plarr".
Il dottor Plarr non riusciva più a computare esattamente in quale misura era stato influenzato al ritorno verso il
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porticciolo sul fiume dal senso che vivere qui avrebbe significato star più vicino al confine della terra dove era nato e dove suo padre stava sepolto, in una prigione o sotto un fazzoletto di terra, ciò che probabilmente non avrebbe mai saputo. Gli bastava spingersi con la macchina pochi chilometri a nord-est e guardare di là dall'ansa del fiume. Gli bastava far come i contrabbandieri, prendere una canoa... Talvolta si sentiva come di guardia, solo in attesa di un segnale. Esisteva naturalmente un motivo più immediato. Una volta aveva detto a una sua amante: « Ho lasciato Buenos Aires per allontanarmi il più possibile da mia madre ». Era vero che sua madre aveva smarrito ogni bellezza e che si era fatta lamentosa sulla sua perduta estancia, nell'avanzare verso la sua mezza età nella grande città proliferante in confusa-esuberanza, con la fantàstica arquìtectura di grattacieli che spuntavano a caso in strade anguste, coperti di reclame della Pepsi-Cola fino a venti piani di altezza.
Il dottor Plarr volse la schiena al porto e continuò la sua passeggiata della sera lungo la riva del fiume. Il cielo ormai buio non gli permetteva più di distinguere la piuma di fumo, o di vedere il profilo della riva opposta. I lumi del traghetto che collegava la città al Chaco si avvicinavano come un lapis luminoso che indugi nel' disegno di una vacillante diagonale, nel suo combattuto procedere contro la corrente diretta pesantemente al sud. Le Tre Marie stavano appese in cielo come i brandelli di un rosario spezzato... la croce giacendo altrove, nel luogo dove era caduta. Il dottor Plarr che ogni dieci anni, senza sapere bene perché, rinnovava il proprio passaporto inglese, sentì improvvisamente il desiderio di una compagnia che non fosse spagnola.
Per quanto ne sapeva, c'erano solamente altri due inglesi in città, un vecchio insegnante inglese che aveva adottato il titolo di dottore senza aver mai messo piede in una università, e Charley Fortnum, il console onorario. Fin dalla mattina in cui mesi addietro aveva incominciato ad andare a letto con la moglie di Charley Fortnum, il dottor Plarr aveva scoperto di trovarsi a disagio in compagnia del console;

forse lo tormentavano primitivi sensi di colpa; forse lo irritava la compiacenza di Charley Fortnum, che appariva così umilmente fiducioso nella fedeltà della moglie. E dimostrava fierezza piuttosto che preoccupazione nel parlare dei disturbi della moglie nel primo periodo della sua gravidan-
za, come se quei disturbi fossero quasi una forma di elogio alla prodezza sua, di lui, al punto che il dottor Plarr stava quasi per sbottare: "Ma il padre, chi crede che sia?".
Restava il dottor Humphries... ma era troppo presto per andare a scovare il vecchio laddove abitava, all'Hotel Boli var.
Il dottor Plarr trovò da sedersi sotto uno dei bianchi fanali a forma di globo che illuminavano il lungofiume e tirò fuori un libro di tasca. Dal suo posto, aveva modo di tener d'occhio la macchina parcheggiata vicino alla bancarella della Coca-Cola, Il libro che il dottor Plarr si era portato dietro era un romanzo; autore, uno dei suoi pazienti, Jorge Julio Saavedra. Anche Saavedra si fregiava del titolo di dottore, ma questo era titolo autentico, che gli proveniva da
una laurea ad honorem conferitagli vent'anni prima nella capitale. Il romanzo, il primo del dottor Saavedra, e di maggior successo, si chiamava II cuore taciturno ed era scritto in uno stile sovraccarico e melanconico, denso di machismo.
Il dottor Plarr durava fatica a leggerlo, e non poteva sostenere che poche pagine alla volta. Questi personaggi della letteratura latino-americana, con la loro nobiltà e così privi di comunicativa, gli sembravano troppo semplici e troppo eroici per corrispondere a dei modelli realmente vissuti. Nel Sud America, Rousseau e Chateaubriand avevano più influenza di Freud; c'era perfino una città in Brasile che portava il nome di Benjamin Constant. Lesse: "Julio Moreno soleva sedere per ore in silenzio, in quelle giornate in cui il vento soffiava in continuazione dal mare, cospargendo di sale i pochi ettari della loro arida terra e strinando le rade piante che erano sopravvissute all'ultimo vento; il mento fra le mani, teneva gli occhi chiusi come se avesse voluto vivere unicamente in qualche celato corridoio della propria
natura, dal quale sua moglie era esclusa. Non si lamentava mai. Ella soleva mettersi in piedi accanto a lui e lunghi minuti rimaneva lì, con la zucca del matè nella mano sinistra, e quando apriva gli occhi Julio Moreno gliela prendeva di mano, senza dire una parola. Solo un rilassarsi dei muscoli intorno alla bocca dura e indomita dava alla moglie il senso di un grazie".
Il dottor Plarr, che era statù allevato dal padre coi romanzi di Dickens e di Conan Doylè, trovava di ardua lettura i romanzi del dottor Jorge Julio Saavedra, ma considerava la fatica come parte dei suoi doveri di medico. Fra pochi giorni, avrebbe dovuto condividere con il dottor Saavedra una delle loro cene regolamentari all'Hotel Nacional e doveva prepararsi a qualche considerazione sul libro che Saavedra gli aveva dedicato caldamente così: "Al mio amico e consigliere dottor Eduardo Plarr, quésto mio primo libro per mostrargli che non sono sempre stato un autore di romanzi politici, e per rivelargli, come potrei fare solo con un amico intimo, il primo frutto della mia ispirazione". Il dottor Saavedra era in realtà tutt'altro che taciturno, ma il dottor Plarr aveva il sospetto che egli si considerasse un Moreno mancato. Forse era significativo il fatto che egli avesse dato a Moreno uno dei suoi due nomi...
In tutta la città quant'era grande, il dottor Plarr non aveva mai sorpreso nessuno a leggere. Quando cenava all'a-
perto, vedeva solamente libri imprigionati sotto vetro, per preservarli dall'umidità. Non aveva mai incontrato nessuno assorto nella lettura di un libro presso il fiume, o anche in una delle piazzette alberate della città, salvo di quando in quando con "E1 Litoral", il giornale locale. A volte sulle panchine c'erano due innamorati, o donne stanche con la borsa della spesa, o vagabondi, ma un lettore mai. Un vagabondo poteva occupare altezzosamente una panchina intera. Nessuno ci teneva a dividerla con lui, così, a differenzadegli altri mortali, il vagabondo poteva sdraiarvisi quant'era
lungo.
Forse leggere all'aperto era un'abitudine ereditata da suo
padre, il quale sempre si portava dietro un libro quando andava nei campi, a lavorare, e nell'aria profumata di aranci della sua campagna abbandonata il dottor Plarr aveva percorso tutti i romanzi di Dickens, salvo i Racconti di Natale. Le prime volte che la gente lo aveva visto seduto su una panchina, un libro aperto fra le mani, lo aveva osservato con curiosità pungente. Avevano pensato che forse quella era un'abitudine dei medici stranieri. Non che fosse cosa non troppo da uomini, ma certo era cosa da stranieri. Gli uomi-
ni di qui preferivano starsene sull'angolo della strada, a chiacchierare, oppure seduti a bere il caffè e a chiacchierare, oppure affacciati a una finestra e a chiacchierare. E, tutto il tempo delle loro conversazioni, si toccavano l'un l'altro per sottolineare un argomento, o solo così, per amicizia. In pubblico, il dottor Plarr non toccava nessuno, salvo il suo libro. Come il suo passaporto inglese, questo era un altro segno che egli sarebbe sempre rimasto uno straniero: mai avrebbe potuto veramente venire assimilato.
Ricominciò a leggere. "In quanto a lei, anch'ella lavorava in un silenzio mai interrotto, accettando la dura fatica allo stesso modo dell'inclemenza delle stagioni, come una legge
di natura."
Il dottor Saavedra aveva goduto di un'epoca di successo fra i critici e anche di una popolarità diffusa nella capitale. Quando aveva incominciato a sentirsi trascurato dai critici letterari e, quel ch'era peggio dalle padrone di casa e dai recensori dei quotidiani, se n'era venuto su al nord, dove il suo bisnonno era stato governatore e a lui si mostrava l'adeguato rispetto che si deve a un famoso romanziere della capitale, anche se probabilmente ben poche erano le persone che leggevano davvero i suoi libri. Assai stranamente, la geografia mentale dei suoi romanzi rimaneva invariata. Dovunque potesse ormai scegliere di vivere, egli aveva trovato la sua regione mitica una volta per sempre da giovanotto, come risultato di una vacanza che si era presa in una piccola città di mare nell'estremo sud, vicino a Trelew. Non aveva mai conosciuto un Moreno, ma lo aveva visto molto

vividamente nella sua immaginazione una sera, nel bar di un alberghetto, dove un uomo se ne stava in silenziosa malinconia davanti al suo bicchiere.
Il dottor Plarr aveva avuto tutte queste notizie alla capitale da un vecchio amico del romanziere e suo invido nemico, e aveva trovato la conoscenza dello sfondo ambientale di Saavedra di una certa utilità, quando doveva curarlo come paziente afflitto da crisi maniaco-depressive espresse con grande volubilità di linguaggio. Lo stesso personaggio ritornava e ritornava in tutti i suoi libri; mutavano lievemente i particolari della sua storia, ma mai il suo forte silenzio triste. L'amico, e nemico, che aveva accompagnato il Saavedra giovane in quel suo viaggio di scoperta, aveva esclamato con sprezzo: « E lo sa lei chi era, quell'uomo? Era un gallese, un g-al-le-se. Ha mai sentito, lei, parlare di un gallese con il machismoì Ce ne sono un sacco di gallesi, da quelle parti. Era ubriaco, ecco tutto. La sua sbronza settimanale di quando veniva in città dalla campagna ».
Un traghetto partì verso l'invisibile riva di macchie e di acquitrini; più tardi, lo stesso traghetto fece ritorno. Il dottor Plarr trovava difficile il concentrarsi sulla taciturnità del cuore di Julio Moreno. La moglie alla fine lo abbandonava con un bracciante di passaggio sulle loro terre, provvisto di gioventù e di bell'aspetto e con una certa facilità di parola, ma poi era infelice nella città presso il mare in cui il suo amante non trovava lavoro. Ben presto si ubriacava normalmente nei bar e diventava garrulo a letto, tanto-che lei sentiva nostalgia dei lunghi silenzi e della arida terra rovi-
nata dal sale. Così se ne ritornava da Moreno che, senza una parola, le faceva posto alla mensa dove stava la parca cena da lui preparata; dopo di che egli sedeva muto nella
poltrona consueta, il mento fra le mani, mentre lei, in piedi al suo fianco, teneva la sua ciotola di zucca col matè. Mancava ancora un altro centinaio di pagine, anche se la storia, almeno così sembrava al dottor Plarr, avrebbe potuto
benissimo finire a quel punto. Tuttavia, il machismo di Julio Moreno non aveva ancora trovato espressione in tutta
la sua pienezza, per cui, quando Moreno indicò alla moglie, col minimo indispensabile di parole, la propria decisione di visitare la città di Trelew, il dottor Plarr ebbe praticamente la certezza di cosa sarebbe accaduto laggiù. Julio Moreno avrebbe incontrato il bracciante in un bar della città e sa-
rebbe seguita una lotta coi coltelli, vincitore naturalmente
il più giovane uomo. Non aveva forse la moglie di Moreno colto negli occhi di lui che lasciava la casa "l'espressione del nuotatore esausto che si arrende alla buia marea del pro-
prio ineluttabile destino"?
Non si poteva dire che il dottor Saavedra scrivesse male. Nel suo stile c'era una musica densa, grave, i rulli di tamburo del destino non rullavano mai troppo lontani, ma a volte il dottor Plarr aveva una gran voglia di gridare al suo melanconico paziente: "La vita non è così. La vita non è nobile né dignitosa. Nemmeno la vita latino-americana. Nulla è ineluttabile. La vita offre sorprese. La vita è assurda. E perché è assurda c'è sempre speranza. Evvia, un giorno può darsi che si scopra anche la cura del cancro e del raffreddore comune". Svoltò sull'ultima pagina. Ma certo, la vita di Julio Moreno gocciolava via in un rivolo di sangue fra gli interstizi del pavimento incrinato del bar di Trelew e la moglie di Moreno (ma come aveva fatto a trovarsi lì così presto?) stava in piedi al suo fianco, anche se una volta tanto non teneva in mano una ciotola di mate. "Un rilassarsi dei muscoli intorno alla dura indomita bocca le dissero, prima che gli occhi si chiudessero sull'immenso tedio
dell'esistenza, che egli trovava gradita la sua presenza."
Il dottor Plarr chiuse il libro con uno scatto di irritazione. La Croce del Sud si adagiava sulla sua traversa in una notte piena di stelle. Non profilo di città, né antenna televisiva, né finestra illuminata interrompevano la piattezza del nero orizzonte. Se andava a casa subito, ci sarebbe stato ancora rischio di una chiamata telefonica?
Quando era venuto il momento di lasciare la sua ultima paziente, la moglie del segretario delle finanze affetta da lieve forma febbrile, aveva deciso di non fare ritorno a casa
fino alle ore piccole dell'indomani. Voleva tenersi lontano dal telefono fino a quando l'ora troppo tarda potesse scoraggiare qualunque telefonata non professionale. Esisteva per lui una sola particolare possibilità di essere disturbato, in questa determinata ora di questo stesso giorno. Charley Fortnum, lo sapeva, stava cenando con il governatore, bisognoso di un interprete per il suo ospite d'onore, l'am-
basciatore statunitense. Clara, superata ormai ogni paura di usare il telefono, poteva con tutta facilità chiamarlo e, senza il marito d'impiccio, esigere la compagnia di lui, Eduardo, che questo martedì notte fra tutte le notti, non aveva nessuna voglia di vederla. La sua sensibilità sessuale era anestetiz-
zata dall'ansia. Sapeva bene che esistevano molte probabilità che Charley rincasasse presto in maniera imprevedibile; giacché la cena, sicuramente, avrebbe finito prima o poi per venire disdetta per motivi che egli non aveva il diritto di conoscere ih anticipo.
Il dottor Plarr decise che era meglio rimanere fuori tiro fino alla mezzanotte; per quell'ora il ricevimento del governatore si sarebbe ormai disperso, e Charley Fortnum si troverebbe ormai un pezzo avanti sulla via di casa. Non sono un uomo da machismo, io, si disse il dottor Plarr tristemente, benché gli fosse difficile figurarsi Charley Fortnum che avanzava verso di lui con il coltello. Si alzò dalla panchina. L'ora era abbastanza tarda per il professore d'inglese.
Come si aspettava, non trovò il dottor Humphries all'Hotel Bolívar. Il dottor Humphries aveva una camera piccola
con la doccia al piano terreno; una finestra della camera dava su un patio arredato con un'unica palma polverosa e una fontana morta. Il dottore non aveva chiuso la sua porta a chiave, cosa che forse dimostrava la sua fiducia nella stabilità. Il dottor Plarr ricordò che nel Paraguay, tutte le sere, suo padre era solito chiudere a chiave perfino le porte interne della Casa, le camere, i gabinetti, le stanze per gli ospiti deserte, non a difesa dai ladri, ma dalla polizia, dagli assassini ufficiali e militari, anche se delle porte serrate non li avrebbero certo tenuti lontano a lungo.
Nella stanza del dottor Humphries c'era a malapena spazio per un letto, una toletta, due sedie, un lavandino e la doccia. Bisognava farsi strada a fatica fra quegli oggetti co-
me fra i pedoni di un sottopassaggio affollato. Plarr notò che il dottor Humphries aveva appiccicato alla parete una figura nuova, una pagina illustrata dell'edizione spagnola di "Life", con la Regina appollaiata a cavallo per una rassegna militare. La scelta non era necessariamente un segno di patriottismo o di nostalgia: sull'intonaco della stanza appari-
vano in continuazione le macchie d'umido e il dottor Hum-, phries le copriva con la prima figura che gli capitava sottomano. Forse, tuttavia, la scelta mostrava senz'altro una qualche preferenza per svegliarsi con la faccia della Regina negli occhi, piuttosto che con quella del signor Nixon (un volto che sicuramente era comparso su una qualche altra pagina dello stesso numero di "Life"). All'interno della piccola stanza c'era fresco, ma anche la frescura era umida. La doccia dietro la tenda di plastica aveva un rubinetto difettoso e gocciolava sulle piastrelle. Il letto angusto era messo
insieme, piuttosto che rifatto: il lenzuolo a bozze pareva essére stato frettolosamente tirato a coprire una salma, e una
zanzariera si accestava in alto come una nuvola grigia minacciosa di pioggia. Il dottor Plarr provò un senso di pena per l'autodefinitosi dottore in lettere: non era questo il tipo di ambiente che un uomo con libertà di volere (se un tale uomo esiste) avrebbe scelto per aspettare la morte. Pensò con inquietudine, anche mio padre a quest'ora deve avere la stessa età di Humphries e forse sopravvive in un ambiente ancora più squallido.
Nella cornice dello specchio di Humphries stava inserito un pezzetto di carta: "Vado al Club Italiano". Forse aveva aspettato un allievo e questa era la ragione della porta non chiusa. Il Club Italiano si trovava in un edificio coloniale di aspetto un tempo maestoso, sul lato opposto della strada. C'era il busto di qualcuno, Cavour forse, o Mazzini, ma la pietra era butterata e l'iscrizione non si leggeva più; esso
si ergeva fra la casa, adorna di una ghirlanda di pietra su ognuna delle alte finestre, e la strada. Un tempo vi erano stati molti italiani a vivere, nella città, ma oggi tutto quello che rimaneva del club erano il nome, il busto, e l'imponente facciata con impressa una data dell'Ottocento in numeri romani. Vi erano alcuni tavolini e vi si poteva mangiare con poca spesa senza iscriversi; e un unico italiano rimaneva, il solitario cameriere napoletano di nascita. Il cuoco era di origine ungherese e serviva poco altro a parte il goulash,
pietanza in cui aveva modo di mascherare facilmente la qualità degli ingredienti, iniziativa saggia, dato che la miglior carne di manzo discendeva il fiume fino alla capitale per oltre ottocento miglia.
Il dottor Humphries era seduto a un tavolo vicino a una finestra aperta, un tovagliolo pigiato per la cocca nel colletto sfrangiato. Per quanto caldo potesse fare, egli stava sempre vestito con un completo a giacca, cravatta e panciotto, come un letterato vittoriano che vivesse a Firenze. Portava occhiali cerchiati di metallo; probabilmente la prescrizione dell'oculista risaliva intatta a molti anni addietro, perché egli si curvava molto sul suo goulash per vedere cosa stava mangiando. I suoi capelli bianchi erano striati del colore della giovinezza a opera della nicotina, e il goulash aveva lasciato tracce di un colore quasi identico sul tovagliolo.
Il dottor Plarr disse: « Buonasera, dottor Humphries ».
« Ah, ha trovato il mio biglietto? »
« Avrei dato un'occhiata in ogni modo. Come faceva a saperlo, che sarei venuto all'albergo? »
« Non lo sapevo, dottor Plarr. Ma pensavo che forse qualcuno si sarebbe affacciato, qualcuno... »
« Avevo avuto l'idea di una cena insieme al Nacional » spiegò il dottor Plarr. Si guardò intorno nella sala in cerca del cameriere, senza nessun senso di piacevole aspettativa.
Erano gli unici clienti.
« Molto gentile da parte sua » rispose il dottor Humphries. « Un'altra volta, se mi lascerà il tempo di ricevete

quello che gli americani chiamano un "rain-check" mi pare. Il goulash qui non è poi tanto cattivo, viene un po' a
noia è vero, ma almeno sazia. » Era un vecchio molto magro. Dava l'impressione di uno che si è affaticato lungamente a mangiare, nella disperata speranza di riempire un vuoto incolmabile.
In mancanza di meglio, il dottor Plarr ordinò anch'egli un goulash. Il dottor Humphries disse: « Sono sorpreso di vederla qui. Avevo pensato che il governatore avrebbe invitato lei... deve aver bisogno di uno che parli inglese, per la
sua cena di stasera ».
Il dottor Plarr capì il motivo del messaggio su quel pezzo di carta infilato nello specchio. Sarebbe potuto capitare un disguido dell'ultimo minuto nei progetti del governatore. Una volta era andata così, e il dottor Humphries era stato richiesto... Dopo tutto gli inglesi disponibili erano soltanto tre. Disse: « Ha invitato Charley Fortnum ».
« Ah, naturalmente; il nostro console onorario. » Il dottor Humphries sottolineò l'aggettivo con una sfumatura di amareggiata denigrazione. « È un pranzo diplomatico. Presumo che la moglie del console onorario non sia potuta intervenire per ragioni di salute, non è così? »
« L'ambasciatore americano non è sposato, dottor Humphries. Non è una cosa formale... riunione da uomini soli. »
« Occasione adattissima per invitare la signora Fortnum a intrattenere gli ospiti, direi. Dev'esserci abituata, alle riunioni da uomini soli. Ma perché il governatore non invita lei 0 me? »
« Sia giusto, dottore. Né io né lei abbiamo una posizione ufficiale, qui. »
« Ma sulle rovine dei Gesuiti ne sappiamo ben di più di Charley Fortnum. Secondo "E1 Litoral", l'ambasciatore è venuto quaggiù a vedere le rovine, non i raccolti di tè o di matè, anche se la cosa non sembra troppo credibile. Di so-
lito, gli ambasciatori americani sono uomini d'affari. »
1 Alla lettera, assegno della pioggia soldi piovuti dal cielo. (N-d.T.)
« Il nuovo ambasciatore vuole creare una buona impressione » disse il dottor Plarr. « Arte e storia. Non può suscitare il sospetto di una iniziativa d'affari. Vuole mostrare un interesse di studioso per la nostra provincia, al di fuori di ogni briga commerciale. Il segretario delle finanze non è stato invitato, anche se sa un po' d'inglese. Altrimenti poteva sorgere il sospetto di un prestito. »
« E l'ambasciatore, non sa abbastanza spagnolo per un brindisi di cortesia e quattro banalità? »
« Dicono che stia facendo rapidi progressi. »
« Plarr, sembra che lei sappia sempre un mucchio di cose su tutto. Io non so altro che quello che leggo su "El Literal". Domani è in gita alle rovine, non è vero? »
« No, ci è andato oggi. Stanotte ritorna a B.A,1 via aerea. »
« Il giornale è inesatto allora? »
« Il programma ufficiale è stato lievemente impreciso.
Suppongo che il governatore non volesse incidenti. »
« Incidenti quaggiù? Che idea! Non ho mai visto incidenti in questa provincia in venti anni. Gli incidenti accadono solo a Cordoba. Mica poi tanto cattivo questo gou-
lash, vero? » chiese speranzoso.
« Ne ho mangiati di peggiori » rispose il dottor Plarr senza tentare di ricordare la circostanza in cui ciò fosse avvenuto.
« Vedo che stava leggendo un libro di Saavedra. Che ne pensa? »
« Un buon talento » rispose il dottor Plarr. Come il governatore, nemmeno lui voleva incidenti, e sapeva riconoscere la malizia che ancor viva guizzava nel vecchio quan-
do la discrezione era ormai morta, negletta nel logorio di
una lunga vita.
« Ce la fa davvero a leggere quella roba? Ci crede, lei, in tutto quel machismo? »
" B . A . = Buenos Aires. (N.d.T.)
« Questi argentini sono tutti convinti che i loro nonni cavalcavano insieme ai gaucho. Saavedra ha all'incirca tanto machismo quanto Charley Fortnum. È vero che la moglie
di Charley aspetta un bambino? »
« Sì. »
« Chi è il padre felice? »
« Perché non Charley? »
« Un vecchio, e un ubriacone. È lei il medico, Plarr. Mi dica appena un briciolo di verità. Mi contento di un boc-
concino. »
« Perché vuole sempre la verità? »
« Contrariamente alla convinzione comune, la verità è quasi sempre allegra, buffa. La tragedia è solo quello che la
gente si dà la pena di immaginare o di inventare. Se sapesse davvero cosa ci hanno messo in questo goulash, si metterebbe a ridere. »
« Lei lo sa? »
« No. Tutti cospirano per tenermi lontana la verità. Perfino lei, Plarr, mi mente. »
« Io? »
« Lei mi mente sul romanzo di Saavedra e sul bambino di Charley Fortnum. Almeno, per lui, speriamo che sia una
bambina. »
« Perché? »
« È tanto più difficile riconoscere il padre dai lineamenti. » Il dottor Humphries cominciò a ripulire accuratamente il piatto con un pezzetto di pane. « Mi può dire perché ho sempre fame, dottore? Non mangio bene, però mangio quantità tremende di quello che chiamano cibo nutriente. »
« Se volesse davvero la verità, dovrei visitarla, farle una radiografìa... »
« No, no. Io voglio solamente la verità sugli altri. Sono sempre gli altri che sono buffi. »
« Allora perché quella domanda? »
« Una mossa di conversazione » disse il vecchio « per nascondere il mio imbarazzo mentre finisco l'ultimo pezzetto di pane. »
« Ma che, ci lesinano il pane qui? » Il dottor Plarr levò la voce su un deserto di tavoli vuoti. « Cameriere, ancora
pane. »
L'unico italiano venne ciabattando verso di loro. Portò un cestino con tre pezzi di pane e rimase a osservare con cupa ansia finché il loro numero si ridusse a uno. Pareva un membro della Mafia che avesse disobbedito all'ordine del suo capo.
« Ha visto che gesto ha fatto? » chiese il dottor Humphries.
« No. »
« Due dita in fuori: le corna. Contro il malocchio. Crede che io dia il malocchio. »
« Perché? »
« Una volta feci un'osservazione irrispettosa sulla Madonna di Pompei. »
« Che cosa ne direbbe di una partita a scacchi quando avrà finito? » chiese il dottor Plarr. Doveva pur passare il tempo in qualche modo, lontano dal suo appartamento e dal telefono sul comodino.
« Ho già finito. »
Ritornarono alla piccola stanza troppo satura di lunghi anni di vita all'Hotel Bolívar. Il direttore stava leggendo "El Litoral" nel patio, con i pantaloni aperti sul davanti per lasciare entrare il fresco. Disse: « L'hanno cercata, dottore ».
« Me? » esclamò Humphries, eccitato. « Chi era? Che cosa gli ha detto? »
« No, era per il dottor Plarr, professore. Una donna. Pensava che il dottore fosse con lei. »
« Se telefonasse di nuovo » disse Plarr « le dica che non ci sono. »
« Non è curioso? » chiese il dottor Humphries.
« Oh, immagino chi è. »
« Non una paziente, eh? »
« Sì, invece. Ma non c'è urgenza. Nulla da preoccuparsi. »
Il dottor Plarr si trovò vinto; scacco matto in meno di
i
venti mosse, e ricominciò con impazienza a disporre i pezzi sulla scacchiera.
« Ha voglia di dire, ma lei ha qualche pensiero » disse i] vecchio.
« È quella maledetta doccia. Tlic, tlic, tlic. Perché non la fa riparare? »
« Che male fa? È riposante. Mi canta la ninna-nanna. »
Il dottor Humphries aprì con il pedone di re. « Pedone di re E 4. Perfino il grande Capablanca cominciava a volte
con una mossa semplice come questa. Charley Fortnum » aggiunse « si è comprato una Cadillac nuova. »
« Sì. »
« Quanti anni ha la sua Fiat allevata in casa? »
« Quattro... cinque. »
« Rende bene fare il console, eh? Permesso di importare una macchina ogni due anni. Suppongo abbia un generale sugli attenti alla capitale, pronto a comprargliela non appena
la vede. »
« Probabilmente. Mossa sua. »
« Se riuscisse a far diventare console anche la moglie, potrebbero importare un'auto l'anno, fra tutti e due. Una fortuna. Esistono discriminazioni sessuali per il servizio consolare? »
« Non conosco le leggi. »
« Quanto avrà pagato per la nomina, all'incirca? » « Questa è una balla, Humphries. Non ha pagato niente. Non è nelle abitudini del Foreign Office. Certi visitatori d'importanza volevano visitare le rovine e non sapevano un'acca di spagnolo. Charley Fortnum li ha fatti divertire. Tutto qui: molto semplice, e una fortuna per lui. Non andava un gran che col suo raccolto di matè, ma una Cadillac ogni due anni cambia molto le cose. »
« Sì, si potrebbe dire che si è sposato per la Cadillac. Ma mi meraviglia che per quella sua donna ci volesse il prezzo di una Cadillac. Sicuramente sarebbe bastata una Morris Minor. »
« Non sono stato giusto » precisò il dottor Plarr. « Non
è soltanto perché andava a caccia di profitti. C'erano moltissimi inglesi nella regione a quell'epoca, lo sa meglio di me, Humphries. E ce n'era uno che si era messo nei pasticci alla frontiera, all'epoca in cui i guerriglieri attraversavano il confine, e Fortnum sapeva molte cose. Risparmiò un sacco di guai all'ambasciatore. Comunque, ebbe fortuna lo stesso: ci
sono ambasciatori più riconoscenti di altri. »
« E così, ora, se siamo in un guaio dovremo affidarci a
Charley Fortnum. Scacco. »
Il dottor Plarr dovette scambiare la sua regina con un alfiere. Disse: « C'è gente peggiore di Charley Fortnum ».
« Lei è in un brutto guaio ora e Charley Fortnum non può salvarla. »
Il dottor Plarr levò rapido lo sguardo dalla scacchiera, ma il vecchio voleva unicamente riferirsi al gioco. « Scacco di nuovo » disse. « E matto. » Soggiunse: « Quella doccia è guasta da sei mesi. Non le succede sempre di perdere così
facilmente con me ».
« È diventato più bravo. »

II
Dopo aver rifiutato la terza partita, il dottor Plarr diresse la macchina verso casa. Viveva all'ultimo piano di un edificio giallo con vista sul Paraná. Il caseggiato era uno dei pugni nell'occhio dell'antica città coloniale, ma il giallo sbiadiva un poco ogni anno e, d'altra parte, Plarr non poteva permettersi una casa isolata finché restava in vita la madre. Era straordinario quanto denaro potesse spendere una donna in pasticcini nei negozi della capitale.
Mentre il dottor Plarr chiudeva le persiane, l'ultimo traghetto si stava avvicinando attraverso il fiume e, una volta a letto, lo colpì il rombare grave di un aeroplano che stava descrivendo un lento giro sulla sua testa: un suono basso, come se l'aereo avesse decollato solo da pochi minuti. Sicuramente non si trattava di un jet da lunghi percorsi in volo sulla città alla volta di Buenos Aires o di Asunción... in ogni caso l'ora era troppo tarda per un volo mercantile. Plarr si disse che forse era l'aereo dell'ambasciatore americano, ma mai si sarebbe aspettato di sentirlo. Spense la luce e, nel buio, si mise a pensare a tutte le cose che potevano con tanta facilità essere andate male, via via che il rombo del motore svaniva pulsando verso sud, portando chi? Gli venne voglia di sollevare il ricevitore e formare il numero di Charley Fortnum, ma non riusciva a trovare pretesti adeguati per disturbarlo a quell'ora. Gli sono piaciute le rovine, all'ambasciatore? È andata bene la cena? Le bistecche del governatore erano certo decorose, non è vero? Domande po-
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co plausibili. E poi non era sua abitudine spettegolare con Charley Fortnum a un'ora simile: Charley era un uomo dominato dalla moglie.
Riaccese la luce; meglio leggere che stare a preoccuparsi e, dato che ormai sapeva senza possibilità di equivoci come sarebbe andato a finire, il libro del dottor Saavedra si dimostrò un buon sedativo. Sul lungofiume il traffico era rado; si udì una volta l'auto della polizia passare a sirene spiegate, ma ben presto Plarr si addormentò con la luce ancora accesa.
Lo risvegliò il telefono. Il suo orologio segnava esattamente le due del mattino. Non c'erano pazienti che dovessero chiamarlo a quell'ora.
« Sì, chi parla? » chiese.
Una voce che non riconobbe rispose, con studiata cautela: « Il nostro spettacolo è stato un successo ».
« Chi è lei? Perché dirmi questo. Quale spettacolo? La cosa non mi interessa. » Plarr parlava con l'irritazione della paura.
« Siamo preoccupati per uno della compagnia. Si è sentito male. »
« Non so di cosa stia parlando. »
« Temiamo che la tensione della parte sia stata troppo forte per lui. »
Mai prima d'ora gli avevano telefonato così apertamente e ad un'ora tanto sospetta. Non c'era ragione di supporre che la sua linea fosse sotto controllo, ma non avevano diritto di correre il minimo rischio. I profughi dal nord venivano spesso tenuti sotto una certa blanda sorveglianza in quella regione di confine, fin dai giorni degli scontri di guerriglia, per la loro stessa protezione: vi erano stati casi di uomini trascinati lungo il Paraná fino alla loro casa nel Paraguay, per morire. Per esempio, un medico esiliato, a Posadas... Dato che faceva la sua stessa professione, il caso dei-dottore era tornato più volte alla mente di Plarr dalla prima volta in cui gli avevano rivelato i progetti dello spettacolo. Questa chiamata telefonica al suo appartamento non poteva essere giustificata che in caso di grande urgenza. Una morte fra gli interpreti (secondo le regole che si erano dati) era cosa prevedibile e non giustificava nulla.
Disse: « Non so di cosa stia parlando. Lei sbaglia numero ». Posò il ricevitore e si distese, continuando a fissare il telefono, quasi fosse stato un oggetto buio e velenoso che sicuramente avrebbe infierito di nuovo contro di lui. Fu così di lì a due minuti, ed egli fu costretto ad ascoltare: poteva trattarsi di un paziente comune.
« Sì... chi è lei? »
La stessa voce disse: « Deve venire. Rischia la morte ».
Il dottor Plarr domandò, rassegnato: « Che cosa volete che faccia? ».
« Verremo a prenderla giù nella strada fra cinque minuti precisi. Se non ci saremo, allora fra dieci minuti. Dopo di che, si tenga pronto ogni cinque minuti. »
« Che ora fa.il suo orologio? »
« Le due e sei minuti. »
Il dottore s'infilò pantaloni e camicia; poi, preparò una borsa con il necessario (la più forte probabilità sembrava una ferita da proiettile) e corse giù per le scale a passi leggeri, in calzini. Sapeva che il rumore dell'ascensore passava facilmente le pareti sottili di ogni appartamento. Per le due e dieci, egli si trovava all'esterno dell'edificio e alle due e dodici vi rientrava, chiudendo il portone. Alle due e sedici vigilava una seconda volta sulla strada, e alle due e diciotto era di nuovo nell'interno. La paura lo rendeva furioso. La sua libertà, forse la sua vita stessa, sembravano trovarsi disperatamente alla mercé di esseri incompetenti. Conosceva due soli membri del gruppo (erano stati con lui a scuola, ad Asunción) e coloro con cui dividi l'infanzia sembra non debbano mai diventare adulti. Non credeva nella loro efficienza
più di quanto non ci avesse creduto allora, quando erano stati studenti; l'organizzazione della quale aveva fatto parte un tempo, nel Paraguay, la Juventud Febrerista, aveva cambiato poco le cose, salvo per la morte della maggioranza degli  altri membri in un'azione di guerriglia mal progettata e mal condotta.
In realtà era stato proprio quel senso di dilettantismo che lo aveva persuaso a impegnarsi. Non aveva creduto nei loro piani, e l'ascoltarli era stato unicamente un segno di amicizia. Ogni volta che li aveva interrogati su cosa avrebbero deciso di fare in certe circostanze, l'impietosa lucidità delle loro risposte gli era apparsa come una forma di recitazione. (Avevano tutti e tre assunto ruoli minori in una edizione scolastica del Macbeth: la traduzione in prosa non rendeva più plausibile l'interpretazione.)
Ora, mentre in piedi nell'atrio deserto osservava intensamente il quadrante luminoso del suo orologio, si rese conto che non aveva mai, nemmeno per un momento solo, creduto che sarebbero venuti al punto dell'azione. Perfino quan-
do aveva dato loro le precise informazioni che richiedevano sui movimenti dell'ambasciatore americano (ne aveva appreso i particolari da Charley Fortnum; fra due bicchieri di Long John) rifornendoli del narcotico che occorreva, aveva continuato a credere che in realtà nulla sarebbe accaduto. Soltanto stamattina, risvegliato dalla voce di Leon con quelle parole "Lo spettacolo continua", gli era venuto in mente che forse, dopo tutto, quei dilettanti potevano essere pericolosi. Chi stava morendo ora? Leon Rivas o Aquino?
Erano le due e ventidue quando tornò a uscire per la terza volta. Un'auto svoltò rapidamente l'angolo dell'isolato e si fermò; il motore rimase acceso. Una mano gli fece segno.
Per quanto riusciva a distinguere alla luce del quadro, non conosceva l'uomo al volante, ma il compagno di lui, nel buio, riusciva a individuarlo per l'orlo rado di barba che gli profilava la guancia. Era stato nella cella di un posto di polizia che Aquino si era fatto crescere la barba e aveva incominciato a scrivere versi, come pure in cella aveva coltivato un'avida passione per i chipà, quei soffici panini di mandioca che sei in grado di apprezzare nel giusto modo solo dopo un'epoca di pre-inedia.
« Cos'è che ha fatto cilecca, Aquino? »
« La macchina non voleva saperne di partire. Polvere nel carburatore. È così, vero, Diego? E poi, un controllo della
polizia. »
« Volevo dire, chi sta morendo? »
« Nessuno, speriamo. »
« Leon? »
« Sta bene. »
« Perché avete telefonato? Avevate promesso di non coinvolgermi. Leon lo aveva promesso. »
Non avrebbe mai acconsentito ad aiutarli non fosse stato per Leon Rivas. Leon, del quale Plarr aveva sentito la mancanza quasi con la stessa acutezza che per suo padre, al momento in cui si era trovato con sua madre lontano dalla riva sul battello fluviale. Leon era un uomo alla cui parola egli credeva in qualsiasi circostanza, anche se quella parola in seguito gli era sembrata come tradita, quando Plarr aveva saputo che Leon si era fatto prete invece di diventare l'intrepido abogado difensore dei poveri e degli innocenti, come Perry Mason. Ai tempi della scuola, Leon aveva posseduto una enorme collezione dei gialli con Perry Mason, tradotti rigidamente in prosa spagnola classica. Soleva prestarli prudentemente, uno per volta, ad amici selezionati. Della, la segretaria di Perry Mason, era stata la prima donna che aveva destato gli appetiti sessuali di Plarr.
« Padre Rivas ci ha detto di venirla a prendere » spiegò l'uomo chiamato Diego.
Il dottor Plarr notò che continuavano a chiamare Leon padre, anche se egli aveva infranto un secondo voto nel lasciare la Chiesa per sposarsi, ma questa particolare infedeltà non era tale da inquietare Plarr, che non andava mai alla Messa se non per accompagnarvi la madre in occasione delle sue rare visite alla capitale. Leon, gli sembrava, stava lottando per tornare sui suoi passi dopo una serie di fallimenti, alla volta della promessa originaria al povero, quella che non aveva mai inteso infrangere. Avrebbe finito in ogni modo per diventare un abogado.
Svoltarono in Tucuman, e in San Martin; poi, il dottor Plarr evitò di guardare oltre. Meglio non sapere dove stavano andando; se fosse capitato il peggio, egli voleva tradirsi nella minore misura possibile sotto un interrogatorio.
Guidavano a una velocità sostenuta abbastanza da richiamare l'attenzione. Chiese: « Non temete le pattuglie? ».
« León le ha individuate tutte. Ci ha studiato un mese. »
« Ma stanotte... certo vi è qualche extra. »
« Avranno trovato l'auto dell'ambasciatore nell'alto Paraná. Frugheranno ogni casa sul confine, e avranno avvisato quelli di Encarnación di là dal fiume. Sulla strada per Rosario ci saranno blocchi di controllo. Le pattuglie di qui devono essere rimaste tagliate fuori; hanno bisogno degli uomini altrove. E questo è l'ultimo posto in cui lo cercheranno, con il governatore che lo aspetta a casa per accompagnarlo all'aeroporto. »
« Spero che ci vediate giusto. »
Per un momento, senza intenzione, il dottor Plarr levò lo sguardo in una virata brusca della macchina a una svolta, e vide sul marciapiede una poltrona a sdraio che accoglieva una grossa donna anziana: la conosceva, come conosceva la piccola entratura dall'uscio aperto dietro di lei. Era la Señora Sánchez e non si coricava mai prima che l'ultimo cliente se ne fosse andato. Era la donna più ricca della città, o almeno così si credeva.
Il dottor Plarr disse: « Cosa ne è stato della cena del governatore? Quanto tempo hanno aspettato? ». Immaginava benissimo lo stato di confusione. Non si può telefonare a un mucchio di rovine.
« Non lo so. »
« Certo avrete avuto qualcuno di guardia? »
« Ne avevamo abbastanza a cui pensare. »
Eccolo di nuovo fra i dilettanti; il dottor Plarr pensò che l'intrigo sarebbe venuto meglio se lo avesse scritto Saavedra. Qui, se non il machhmo, mancava nettamente l'ingegnosità.
« Ho sentito un aereo. Era quello dell'ambasciatore? »
« Se era quello, dev'essere tornato a vuoto. »
« Sembra che ne sappiate ben poco » ribatté Plarr. « Chi si è fatto male? »
La macchina frenò bruscamente, e malamente, sul margine di una sudicia pista. « Scendiamo qui » disse Aquino. Una volta lasciata la macchina, Plarr sentì che la facevano indietreggiare di pochi metri. Rimaneva immobile, lasciando che la sua vista si abituasse all'oscurità, fino a quando al lume delle stelle riuscì a vedere il luogo dove lo avevano portato. Era una parte della bidonville che si estendeva fra la città e l'ansa del fiume. La pista era larga quasi quanto una via cittadina ed egli riusciva appena a distinguere una baracca di mota seccata e di vecchie latte di benzina nascosta fra le piante di avocado. Via via che la vista gli si acuiva, prese a discernere altre capanne celate fra gli alberi, come uomini in agguato. Aquino gli fece strada. I piedi del dottore af-
fondarono nella mota fin sopra la caviglia. Anche una jeep avrebbe dovuto procedere lenta in questo luogo. E ci sarebbe stato tutto il tempo di passarsi la voce in caso di incursione della polizia. Forse, dopo tutto, erano dilettanti di una certa, intelligenza.
« È qui, lui? » chiese ad Aquino.
« Chi lui? »
« In nome di Dio, gli alberi non hanno microfoni. L'ambasciatore, naturalmente. »
« Sì, è qua di tutto punto; ma non si è ancora riavuto dall'iniezione. »
Avanzavano più svelti che potevano lungo la pista fangosa, sorpassando diverse baracche avvolte nel buio. Il silenzio pareva innaturale: nemmeno il pianto di un bambino. Il dot-
tor Plarr si arrestò per riprendere fiato. « Questa gente » sussurrò « deve aver sentito la vostra macchina. »
« Non parleranno. Ci credono dei ladri. Ad ogni modo, se lo può immaginare: amici della polizia non sono. »
Diego fece strada giù per una svolta laterale dove il fango della strada si faceva ancora più alto. Non pioveva da due giorni, ma in questo barrio di poveri il fango formava uno strato permanente fino a che là stagione asciutta non era addirittura inoltrata. Non esisteva una sola fognatura, eppure, come il dottor Plarr ben sapeva, gli abitanti dovevano camminare per un buon miglio prima di trovare un rubinetto che desse acqua da bere. I bambini (ne aveva curati parecchi) avevano il ventre gonfio per carenza di proteine. Forse già molte volte aveva percorso proprio questa pista, irriconoscibile da quanto uguale alle altre; gli era occorsa sempre una guida per le visite ai pazienti del luogo. Per un qualche misterioso motivo gli tornò in mente II cuore taciturno. Fare a coltellate per il proprio onore in nome di una donna: ciò apparteneva a un altro mondo, assurdamente fuori moda, un mondo che non esisteva più se non nell'immaginazione romantica di scrittori come Saavedra. L'onore non aveva significato per chi moriva di fame. A questi apparteneva la più grave battaglia per la sopravvivenza.
« Sei tu, Eduardo? » chiese una voce.
« Sì; sei tu, Leon? »
Qualcuno reggeva una candela alta abbastanza per illuminargli il passo della soglia. Poi, la porta venne chiusa rapidamente alle sue spalle.
Alla luce della candela, vide l'uomo che continuavano a chiamare padre Rivas; nei suoi jeans e maglietta aperta a V, Leon aveva la stessa aria immatura e sottile del ragazzo che aveva conosciuto nella terra di là dal confine. Gli occhi bruni erano troppo grandi per la faccia, i grandi orecchi innestati quasi ad angolo retto nel cranio lo facevano rassomigliare ad uno di quei cagnucci bastardi che pullulano nel barrio dei poveri. C'era la medesima morbida fedeltà nello sguardo e una vulnerabilità negli orecchi sporgenti. Malgrado l'età, lo avrebbero potuto prendere per un seminarista timido. « Ci hai messo un secolo, Eduardo » si lamentò piano.
« Per questo, domanda al tuo Diego autista. »
« L'ambasciatore è sempre in coma. Abbiamo dovuto fargli una seconda iniezione. Si agitava troppo. »
« Te l'avevo detto che una seconda iniezione può essere pericolosa. »
« Tutto è pericoloso » disse padre Rivas con dolcezza, come ammonendo nell'ombra del confessionale contro la tentazione della prossima volta.
Mentre il dottor Plarr toglieva il necessario dalla sua borsa, padre Rivas proseguì: « Ha il respiro molto grosso ».
« Che cosa farai se smette di respirare del tutto? »
« Dovremo cambiare tattica. »
« In che modo? »
« Saremo costretti ad annunciare che è stato giustiziato. Giustizia rivoluzionaria » aggiunse con un sorriso infelice.
« Ti prego, fa' il possibile. »
« Naturale. »
« Non vogliamo che muoia » disse padre Rivas. « Il nostro mestiere è salvarle, le vite. »
Andarono nell'altra unica stanza, dove stava un letto improvvisato con una lunga cassa di legno (non riusciva a distinguere il tipo di cassa) e alcune coperte. Il dottor Plarr
udì il respiro profondo e ineguale dell'uomo drogato, il respiro di chi sta lottando per risvegliarsi da un incubo. Disse: « Avvicinate la luce ». Si chinò a osservare bene la fac-
cia arrossata. Per un lungo momento non riuscì a credere ai propri occhi. Poi, traumatizzato da quello che aveva visto,
scoppiò a ridere. « Oh, Leon, hai preso la professione sbagliata. »
« Che vuoi dire? »
« Faresti meglio a ritornare alla Chiesa. Non sei fatto per i rapimenti. »
« Non capisco. Sta morendo? »
Il dottor Plarr disse: « Non devi preoccuparti, Leon, non morirà; però, non è l'ambasciatore americano ».
« Non... »
« È Charley Fortnum. »
« Chi è Charley Fortnum? »
« Il nostro console onorario » rispose il dottor Plarr nel medesimo tono di ironia che il dottor Humphries aveva usato.
« Ma questo è impossibile » esclamò padre Rivas.
« Le vene di Charley Fortnum camminano ad alcool, non
a sangue. La morfina che vi ho data avrebbe agito più delicatamente sull'ambasciatore, il quale teme l'alcool. Stanotte, hanno dovuto procurarsi Coca-Cola per la cena. Così mi ha detto Charley. Starà bene fra non molto. Lasciatelo dormire; ci penserà il sonno a smaltire tutto » ma non ebbe tempo di lasciare la stanza che l'uomo sulla cassa aprì gli occhi. Fissò il dottor Plarr, che a sua volta lo fissò. Meglio rendersi conto con sicurezza se lo riconosceva.
« Portatemi a casa, » disse Fortnum « a casa » e il suo corpo oscillò di lato affondando ancor più nel sonno.
« Ti ha riconosciuto? » chiese padre Rivas.
« Come faccio a saperlo? »
« Se ti avesse riconosciuto, questo complicherebbe le cose. »
Accesero una candela nella stanza più esterna, ma nessuno parlò; era come se ognuno di loro aspettasse di cogliere nello sguardo dell'altro un suggerimento sul da farsi, ora. Alla fine Aquino disse: « Questo non piacerà a El Tigre ».
« In realtà è una cosa piuttosto comica, se ci si pensa » disse il dottor Plarr. « Doveva essere l'aereo dell'ambasciatore quello che ho sentito, e con l'ambasciatore dentro. Sulla via del ritorno per Buenos Aires. Mi domando come avranno fatto alla cena del governatore, senza un interprete. » Sfiorò con lo sguardo tutti quei volti, ma nessuno gli rinviò un sorriso.
Nella stanza c'erano altri due uomini sconosciuti e, per la prima volta, notò una donna addormentata per terra, in un angolo buio... l'aveva scambiata per un poncho lasciato cadere lì per caso. Uno degli uomini era un negro con la faccia butterata, l'altro un indiano che stava parlando. Plarr non riusciva a capire le sue parole; non parlava spagnolo.
« Cosa sta dicendo, Leon? »
« Miguel pensa che sarebbe bene buttarlo nel fiume. »
« E tu cosa hai detto? »
« Ho detto che la polizia si metterebbe sull'avviso, a trovare un corpo a trecento chilometri dalla macchina. »
« L'idea è assurda » disse Plarr. « Non potete assassinare Charley Fortnum. »
« Cerco di non pensarci in questi termini, Eduardo. »
« Ammazzare è diventato questione di semantica per te, Leon? Mi ricordo che sei sempre stato forte in semantica.
Mi spiegavi sempre la Trinità ai vecchi tempi, ma eri più complicato del libro di catechismo. »
« Noi non vogliamo ucciderlo » disse padre Rivas. « Ma cos'altro possiamo fare? Ha visto te. »
« Non se ne ricorderà più al risveglio. Dimentica sempre tutto nel modo più completo quando è ubriaco. » Il dottor Plarr soggiunse: « Come avete mai fatto a commettere un simile sbaglio? ».
« È questo che devo appurare » rispose padre Rivas, e ricominciò a parlare in guarani.
Il dottor Plarr prese una delle candele e ritornò nell'altra stanza. Rimase sulla soglia. Charley Fortnum appariva assai placidamente immerso nel sonno sulla cassa, proprio come se fosse stato nel suo grande letto di ottone a casa, il letto dove sempre occupava il Iato destro vicino alla finestra. Un senso di disagio e di delicatezza faceva infatti scegliere al dottore il lato sinistro, vicino alla porta, quando era lui a dormirci insieme a Clara.
La faccia di Charley Fortnum era stata sempre un poco arrossata, da quando lo aveva conosciuto per la prima volta. Aveva la pressione alta e un debole eccessivo per il whisky. Oltre i sessanta ormai, conservava sui capelli fini un morbido color topo da ragazzo e il suo colorito dava all'occhio profano una falsa impressione di salute. Sembrava uno che vive all'aperto, un agricoltore. E possedeva veramente un campo a circa cinquanta chilometri dalla città; vi coltivava un po' di frumento e del ma tè. Gli piaceva scorazzare per i campi con una vecchia Land Rover che egli chiamava l'Orgoglio di Fortnum. « Via per una galoppata » soleva dire
facendo stridere gl'ingranaggi, « i-uuh! ».
Ora d'improvviso Charley sollevava una mano e l'agitava in segno di saluto. Aveva gli occhi chiusi. Stava sognan-
do. Forse credeva di salutare la moglie e il dottore, insieme sulla veranda dove li lasciava a una monotona conversazione medica. « Il dentro delle donne » aveva detto Char-
ley Fortnum una volta. « Mai capite, dentro. Un giorno o l'altro devi farmi un diagramma. »
Il dottor Plarr si sbrigò a tornare nella stanza più esterna. « Sta bene, sai Leon. Lo puoi scaricare sano e salvo da qualche parte lungo la strada, pronto per le ricerche della polizia. »
« Non possiamo fare questo. Ti ha riconosciuto, probabilmente. »
« Dorme della grossa. In ogni modo non direbbe nulla che mi potesse danneggiare. Siamo vecchi amici. »
« Credo di sapere cosa può essere accaduto » disse padre Rivas. « L'informazione che ci hai dato: era assai esatta fino a un certo punto. L'ambasciatore è venuto da Buenos Aires in macchina, ha passato tre notti sulla strada perché voleva vedere la regione, dopo di che l'ambasciata gli ha mandato un aereo da Buenos Aires per riportarlo a casa dopo la cena dal governatore. Tutti particolari esatti, ma non ci hai fatto parola della sua intenzione di visitare le rovine con il vostro console. »
« Non lo sapevo. Mi aveva detto solamente della cena: era tutto. »
« Non ha preso nemmeno la macchina dell'ambasciatore. Almeno avremmo potuto catturarli tutti e due. No, deve aver preso la sua macchina per poi andarsene, mentre l'ambasciatore continuava a indugiare nei paraggi. I nostri uomini erano in attesa di una sola macchina; ci hanno segnalato il suo passaggio, all'avamposto. Avevano visto la bandiera. »
« L'Union Jack, non la stellata. Non aveva nemmeno il diritto di issarla. »
« Al buio non si distingue bene e gli avevano detto della targa diplomatica. »
« Era CC, non CD. »
« Le lettere hanno un aspetto molto simile al buio, su
una macchina in moto. Non si può dar la colpa alla sentinella. Un uomo solo nel buio... spaventato con ogni probabilità. Poteva succedere a me, a te. Una fatalità. »
« La polizia forse non sa ancora quello che è successo a
Fortnum. Se fate presto a rilasciarlo... »
Di fronte al loro silenzio pieno di attenzione, il dottor
Plarr si sentiva come chi sta perorando una causa dinanzi a un tribunale. Disse: « Charley Fortnum non vi serve a nulla come ostaggio ».
« È sempre un membro del corpo diplomatico » osservò Aquino.
« No, non lo è. Un console onorario non è un vero console. »
« Dovrà intervenire l'ambasciatore britannico. »
« Naturale. E riferire la faccenda in patria. Esattamente come farebbe per qualunque suddito inglese. Se rapiste me o il vecchio Humphries sarebbe in gran parte lo stesso. »
« Gli inglesi chiederanno agli americani di far pressione sul generale ad Asunción. »
« Potete star tranquilli, gli americani non faranno niente del genere. Non hanno nessuna voglia di irritare il loro amico generale per i begli occhi di Charley Fortnum. »
« Ma è sempre un console britannico. »
Il dottor Plarr cominciò a disperare di riuscire a convincerli della poca importanza del personaggio Charley Fortnum. Disse: « Non aveva nemmeno il diritto di mettere il CC sulla sua macchina. Ha passato dei guai per farlo ».
« Lo conoscevi bene, vero? » disse padre Rivas. « Sì. »
« E ti piaceva? »
« Sì, in certo senso sì. » Non era buon segno che Leon parlasse già di Fortnum al passato.
« Mi dispiace. Capisco quello che devi provare. È sempre più facile avere a che fare con degli estranei. Come nel confessionale. Detestavo di riconoscere una voce, ricordo. È tanto più facile essere duri con un estraneo. »
« Ma che cosa ci guadagni a trattenerlo, Leon? »
« Abbiamo passato il confine per fare un lavoro. Molti dei nostri uomini si scoraggerebbero a sapere che non è successo niente. Nella nostra situazione, deve sempre succedere qualche cosa. Anche il rapimento di un console è qualche cosa. »
« Un console onorario » corresse il dottor Plarr.
« Servirà di avvertimento a personaggi più importanti. Forse prenderanno più sul serio la nostra prossima minaccia. Ecco un piccolo punto tattico a nostro vantaggio in una
lunga guerra. »
Il dottor Plarr disse: « E cosi, suppongo tu sia pronto a udire la confessione dell'estraneo e a dargli l'assoluzione prima di ammazzarlo, vero? Charley Fortnum è cattolico, sai. Apprezzerà il fatto di avere un prete al suo letto di
morte ».
Padre Rivas si rivolse al negro. « Pablo, dammi una sigaretta. »
« Anche un prete sposato come te gli andrà bene, Leon » aggiunse Plarr.
« Eppure eri disposto ad aiutarci, Eduardo. »
« Nel caso dell'ambasciatore, sì. La sua vita non sarebbe stata affatto in pericolo. Avrebbero ceduto. In ogni modo, un americano... è uno che combatte. Ne hanno uccisi di uomini in Sud America, gli americani. »
« Anche tuo padre è fra quelli che vogliamo aiutare... se è ancora vivo. »
« Non so se il vostro metodo gli sarebbe piaciuto. »
« Non è un metodo di nostra scelta. Ci hanno ridotto loro a questo metodo. »
« Che cosa mai potrete chiedere in cambio di Charley
Fortnum? Una cassa di vero scotch, forse? »
« Per l'ambasciatore americano avremmo domandato il rilascio di venti prigionieri. Per un console britannico credo
che dovremo dimezzare il conto. Spetta a E1 Tigre decidere. »
« Dove diavolo è il tuo Tigre? »

« Solo quelli di Rosario sono in contatto con lui, fino a operazione compiuta. »
« Suppongo che il suo piano non ammettesse sbagli. O non contemplasse la natura umana. Il generale può sempre uccidere gli uomini che nominerai e dire che sono morti da anni. »
« Abbiamo discusso questo problema mille volte. Se li uccidono, la prossima volta esigeremo ancora di più. »
« Leon, ascoltami. Se tu fossi sicuro che Charley Fortnum non ricorderà nulla, certo tu...? »
« Come potremo averne la sicurezza? Non hai medicine che cancellano la memoria. Significa tanto quest'uomo per te,
Eduardo? »
« È una voce che ho riconosciuto, nel confessionale. »
« Ted » chiamò una voce familiare dalla stanza più interna « Ted. »
« Lo vedi, ti riconosce » disse padre Rivas.
Il dottor Plarr volse le spalle al tribunale e andò nella stanza. « Sì, Charley, eccomi. Come ti senti? »
« Dio, orribilmente, Ted. Cosa è successo? Dove sono? »
« Hai avuto un incidente con la macchina. Nulla di grave. »
« Mi porterai a casa? »
« Non ancora. Devi rimanertene quieto per un po'. Al buio. Hai avuto una leggera commozione. »
« Clara starà in pensiero. »
« Non ti preoccupare; parlerò io a Clara. »
« Non devi spaventarla, Ted. Il bambino... »
« Sono io il suo medico, Charley. »
« Ma certo, vecchio mio, sono un cretino. Potrà venire a trovarmi? »
« Fra pochi giorni tornerai a casa. »
« Pochi giornil Ted, ce l'hai qualcosa da bere? » « No. Ti voglio dare qualcosa di meglio, ti farò dormire. » « Sei un buon amico, Ted. Chi sono quegli uomini di là?
Perché devi usare una candela? »
« Una valvola saltata. Quando ti sveglierai sarà giorno. »
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« Mi verrai a trovare? »
« Naturalmente. »
Charley Fortnum rimase calmo per un momento, poi, con voce che si poteva udire chiaramente anche nell'altra stanza, chiese: « Non è stato un veto e proprio incidente, non
è così, Ted? ».
« Ma certo che è stato un incidente. »
« Gli occhiali da sole... dove sono andati a finire gli occhiali da sole? »
« Quali? »
« Erano di Clara. Le piacevano tanto. Non avrei dovuto prenderli. Non trovavo più i miei. » Si rannicchiò su un fianco con un lungo sospiro. « È la dose che conta » disse, e rimase lì quieto come un embrione invecchiato che ab-
bia mancato di nascere.
Nella stanza accanto padre Rivas sedeva col mento sulle dita intrecciate, gli occhi chiusi. Forse prega, si disse il dottor Plarr rientrando nella stanza, o forse stava semplicemente ascoltando con grande attenzione le parole di Charley Fortnum, come un tempo, nel confessionale, aveva teso l'orecchio alla voce di un estraneo per decidere poi quale penitenza...
« Che pasticcioni siete » lo accusò il dottor Plarr. « Che dilettanti! »
« Dalla nostra parte siamo tutti dei dilettanti. I professionisti sono i soldati e la polizia. »
« Un console onorario, alcolizzato per di più, al posto di un ambasciatore. »
« Sì. E il Che faceva fotografie come un turista, lasciandole in giro. Almeno qui nessuno ha la macchina fotografica. O tiene un diario. Si impara dai nostri sbagli. »
« Il vostro autista mi dovrà riportare a casa » disse il dottor Plarr.
« Sì. »
« Ritornerò domani... »
« Non ci sarà più bisogno di te, Eduardo. »
« Forse tu non avrai più bisogno, ma... »
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« È meglio che non ti riveda più prima della decisione... »
« Leon, non puoi fare sul serio. Il vecchio Charley Fortnum... »
Padre Rivas disse: « Non è nelle nostre mani, Eduardo. È nelle mani del governo. E anche nelle mani di Dio, naturalmente. Non dimentico mai il mio discorsino d'occàsione, come vedi, ma non ho ancora visto da nessun segno che Egli intervenga nelle nostre guerre o nelle nostre faccende politiche ».
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Parte seconda


I
Era facile per il dottor Plarr ricordare la prima volta in cui aveva conosciuto Charley Fortnum. L'incontro aveva avuto luogo poche settimane dopo il suo arrivo nella città da Buenos Aires. Il console onorario, in stato di ubriachezza estrema, aveva perduto l'uso delle gambe. Il dottor Plarr stava risalendo la Bolivar quando un anziano signore si affacciò dalla finestra del Club Italiano e lo chiamò in aiuto. « Quel fottuto d'un cameriere se n'è andato » spiegò, in inglese.
Quando il dottor Plarr mise piede nel club, trovò un ubriaco che sembrava perfettamente felice: unica noia, non riusciva a reggersi in piedi, ma la cosa non lo preoccupava minimamente. Disse che sul pavimento ci si stava a meraviglia. « Sono stato a sedere su cose peggiori » spiegò « com-
presi i cavalli. »
« Se lei lo prende per un braccio, ci penso io all'altro » disse l'anziano signore.
« Chi è? »
« Il signore che lei vede qui seduto esprimere il rifiuto di alzarsi è il signor Charley Fortnum, il nostro console onorario. Lei è il dottor Plarr, non è vero? Lieto di conoscerla. Io sono il dottor Humphries. Dottore in lettere, non medico. In tre, si può dire, siamo le colonne della colonia inglese, ma una delle tre colonne è caduta. »
Fortnum disse: « Sbaglio di dose ». Aggiunse qualcosa su uno sbaglio nella scelta del bicchiere. « Bisogna avere il giusto tipo di bicchiere, altrimenti perdi la testa. »
« Voleva festeggiare un anniversario? » chiese il dottor Plarr.
« La sua nuova Cadillac arrivata sana e salva la settimana scorsa, e oggi ha trovato l'acquirente. »
« Avete mangiato qui? »
« Voleva portarmi al Nacional, ma si ubriaca troppo per il Nacional... perfino per il mio albergo si ubriaca troppo. E ora bisogna riportarlo a casa in qualche modo, ma lui insiste per andare a trovare la Señora Sánchez. »
« Una sua amica? »
« Amica di metà degli uomini di questa città. Dirige l'unico bordello che valga qualcosa, almeno così dicono. Io non sono buon giudice in questo campo. »
« Certo è una cosa illegale » osservò il dottor Plarr.
« Non in questa città. Siamo un avamposto militare, non dimenticatelo. I militari non permettono a nessuno di B.A.
di dettar loro legge. »
« Perché non lasciarlo andare? »
« Lo vede bene da sé il perché: non si regge in piedi. »
« Ma il punto, in un bordello, non è quello di stare sdraiati? »
« C'è qualcosa che deve star ritto » disse il dottor Humphries con volgarità inaspettata e un'espressione di disgusto.
Alla fine, fra tutti e due, ce la fecero a trascinare Charley Fortnum dall'altra parte della strada fino alla piccola stanza che il dottor Humphries occupava nell'Hotel Bolívar. Le illustrazioni alle pareti erano meno a quell'epoca, perché meno le macchie d'umido, e la doccia non aveva ancora cominciato a gocciolare.
Gli oggetti inanimati mutano a un ritmo più veloce degli esseri umani. Il dottor Humphries e il Charley Fortnum
di oggi non erano troppo marcatamente diversi dagli uomini di quella notte; l'incrinatura nell'intonaco di una casa trascurata si approfondisce più rapidamente di una ruga su un volto umano, la tinta di una parete cambia colore più presto dei capelli, e il decadimento di una stanza è continuo; non giunge mai a una sosta temporanea sull'elevato
altipiano della vecchiaia sul quale un uomo può vivere a lungo senza trasformazioni palesi. Il dottor Humphries si era stabilito sull'altipiano da molti anni, e Charley Fortnum, pur trovandosi ancora sui pendii più bassi, aveva trovato una fida arma nella battaglia contro la senilità: l'alcool, dal quale piluccava furtivamente un poco dell'euforia e della freschezza di anni più verdi. Man mano che passavano gli anni, il dottor Plarr non riusciva a distinguere che alterazioni. minime in quei suoi conoscenti del primo periodo: forse Humphries percorreva a passi più lenti il tratto di strada fra il Bolívar e il Club Italiano, e talvolta egli cre-
deva di cogliere in Charley Fortnum più larghe chiazze di malinconia, come una muffa nella sua bonarietà ben conservata in bottiglia.
Il dottor Plarr lasciò Fortnum con Humphries all'Hotel Bolívar e andò a prendere la macchina. Viveva nello stesso appartamento del medesimo edificio di oggi. Nel porto brillavano ancora luci, laddove operai lavoravano per tutta la notte. Su una chiatta nel Paraná avevano montato una torre metallica dalla quale un'asta di ferro scendeva a pestare il letto del fiume. Tump, tump, tump, il rumore echeggiava come rullo di tamburi tribali. Da una seconda chiatta
venivano tese sezioni di tubi, collegate a un qualche macchinario sott'acqua che risucchiava la ghiaia del fondo per mandarla in un rotolio di sonagli giù per la banchina fino ad una piccola insenatura a mezzo miglio di distanza. Il governatore, nominato dal presidente nuovo di zecca dopo il colpo di statò dell'anno in corso, stava progettando di scavare il porto, per metterlo in grado di accogliere traghetti di maggior pescaggio dalla costa del Chaco e ricevere navi passeggeri più importanti dalla capitale. Quando, dopo un secondo colpo dei militari, questa volta a Cordoba, il governatore fu esonerato dalla sua carica, il progetto fu abbandonato, a beneficio dei sonni di Plarr. Il governatore del Chaco, si diceva, non era stato preparato a spendere la somma necessaria per scavare la propria zona di fiume, e le navi passeggeri dalla capitale erano già troppo grandi nella sta-
gione asciutta per risalire oltre la città, dove d'altronde i passeggeri avevano in ogni modo da essere trasferiti su imbarcazioni più piccole per il viaggio alla repubblica paraguayana del nord. Era difficile giudicare chi fosse stato a commettere lo sbaglio iniziale, se sbaglio era. La domanda Cui bono? non voleva indicare nessun individuo preciso, dato che tutti i contraenti avevano ricavato il loro beneficio e condiviso quel beneficio con altri. Prima di venire abbandonati, i lavori del porto avevano fatto il più gran bene; era a loro che si dovevano il pianoforte maestoso di una casa, il frigorifero nuovo di una qualche cucina, e forse quelle dodici o ventiquattro casse di scotch riposte nella cantina di un qualche piccolo sub-contraente senza importanza, fin allora poco colto in materia di alcoolici.
Quando il dottor Plarr fece ritorno all'Hotel Bolívar, trovò Charley Fortnum che beveva una tazzina di caffè nero forte; il caffè era stato preparato su un fornelletto a spirito che si trovava su una piccola mensola di marmo da la-
vandino, fra il porta-sapone e il bicchiere per lavarsi i denti del dottor Humphries. Fortnum era diventato di gran lunga più coordinato e proporzionalmente più difficile era dissuaderlo da una visita alla Señora Sánchez. « C'è una ragazza là » diceva. « Una ragazza vera. Non il tipo che credete voi, per niente. Devo rivederla. L'ultima volta non ero
nelle condizioni adatte... »
« Nemmeno ora ci sei » ribadì Humphries.
« Ma non mi volete capire. Voglio solo parlare con lei. Non pensiamo tutti solamente a fottere, Humphries. E Maria, ha qualcosa di speciale, una qualità. Non appartiene... »
« Una puttana come tutte le altre, immagino » disse il dottor Humphries, schiarendosi la gola. Il dottor Plarr doveva ben presto apprendere come, ogni volta che il dottor Humphries concepiva disapprovazione per un argomento, la gola gli si chiudeva di flemma.
« Ecco dove vi sbagliate tutti e due, maledettamente » disse Charley Fortnum, anche se il dottor Plarr non aveva espresso il suo parere. « È diversa dalle altre. Ha una speeie di raffinatezza sua. La sua famiglia viene da Cordoba. In lei c'è sangue fine, o io non mi chiamo Charley Fortnum. Mi crederete pazzo, ma c'è qualche cosa in lei... qualcosa come di vergine in lei. »
« E per di più sei il console qui, onorario o altro. Non è roba da te farti trovare in una tana come quella. »
« Io la rispetto quella ragazza, la rispetto, sì » aggiunse
Charley Fortnum « anche quando dormo con lei. »
« Non sarai buono di farci altro, stanotte. »
Dopo un'altra piccola dose di burbera persuasione, Fortnum si lasciò assistere fino all'auto del dottor Plarr.
In macchina, rimase un certo tempo a meditare silenzioso, il mento che gli tremava alle vibrazioni del motore. « Si diventa vecchi, penso » disse all'improvviso. « Lei è giovane. Lei non soffre di ricordi, di rimpianti... È sposato? » chiese bruscamente, mentre salivano per San Martin. « No. »
« Io sì, sono stato sposato; venticinque anni fa... sembra un secolo. Non è andata bene. Vede, era un'intellettuale; non capiva la natura umana. » Con un'associazione di idee che il dottor Plarr non riuscì assolutamente a seguire, virò di scatto sulla sua condizione presente. « Io mi sento sem-
pre tanto, tanto più umano, quando ho bevuto giusto una buona mezza bottiglia. Un po' meno di mezza, non serve, ma appena un po' di più... Naturalmente l'effetto non dura, ma una mezz'ora di benessere vero, vale bene un poco
di tristezza dopo, »
« Sta parlando di vino? » chiese il dottor Plarr incredulo. Non riusciva a credere che Fortnum fosse stato così moderato.
« Vino, whisky, gin, l'uno vale l'altro. È la dose che conta. C'è qualcosa di psicologico nella misura. Meno di una
mezza bottiglia e Charley Fortnum è un povero bastardo solo solo con l'Orgoglio di Fortnum per unica compagnia. » « L'Orgoglio di Fortnum? »
« Il mio cavallo di battaglia, fiero e ben lustro. Ma, un bicchiere di più oltre la mezza bottiglia, qualunque bicchiere, anche di liquore, è la dose che conta, ed ecco Charley Fortnum di nuovo nei suoi cenci. Pronto per i reali. Lo sa che una volta andai a fare un picnic fra le rovine con gente di sangue reale. Avevamo due bottiglie in tre, fu un gran giorno, glielo dico io; ma questa è un'altra storia. Come
il capitan Izquierdo. Me lo ricordi di raccontargliela un giorno, quella del capitan Izquierdo. » Era molto difficile per un estraneo seguire le associazioni di Charley Fortnum. « Dov'è il consolato? La prossima svolta a sinistra? »
« Sì, ma potremmo prendere anche la seconda o la terza e fare un giretto. La sua compagnia mi piace, dottore. Come ha detto che si chiama? »
« Plarr. »
« Lei sa il mio nome? »
« Sì. »
« Mason. »
« Ma io credevo... »
« Questo è il nome che mi davano a scuola. Mason. Fortnum e Mason, i gemelli inseparabili. Era la migliore scuola inglese per le lettere. Anche se la mia carriera era delle meno brillanti. Una buona parola per uscirne distinto... oh, tanto benino. La giusta misura, come vede. Né troppo né troppo poco. Non fui mai prefetto, e l'unica squadra che ho formato è stata quella per giocare a palline. Non riconosciuta ufficialmente. Eravamo una scuola snob. Comunque, il preside, non quello che conoscevo io, Arden (lo chiamavano Smells), bene, questo nuovo mi scrisse una lettera di rallegramenti quando divenni console onorario. Ero stato io il primo a scrivergli, naturalmente, io a dargli la lieta novella, così penso che non potesse ignorarmi del tutto. »
« Me lo dice lei quando arriviamo al consolato? »
« Lo abbiamo già passato il consolato, vecchio mio. Ho la testa lucida. Lei mi faccia fare un altro giretto, e non si
preoccupi. Prima a destra, poi di nuovo a sinistra. Mi sento di andare in giro in macchina così, per tutta la notte. In simpatica compagnia. Non ha bisogno di stare attento ai sensi unici. Privilegio diplomatico: il CC sulla macchina. Con lei, dottore, posso parlare come con nessun altro in città. Spagnoli. Gente fiera, ma priva di sentimento. Non come lo intendiamo noi inglesi. Nessun senso di Casa: pantofole morbide, i piedi sul tavolo, il bicchiere amico, la porta sempre aperta. Humphries non è cattivo, inglese quanto lei o me, oppure scozzese?... ma ha l'anima... didattica. Ecco un'altra parola azzeccata. Cerca sempre di correggere la mia morale, eppure non faccio gran che di male, di veramente male. Stanotte, se sono un po' sbronzo, è stata tutta colpa dei bicchieri. Qual è l'altro suo nome, dottore? »
« Eduardo. »
« Ma io la credevo un inglese. »
« Mia madre è paraguayana. »
« Mi chiami Charley. Le dispiace se la chiamo Ted? »
« Mi chiami come vuole, ma -in nome di Dio mi dica dov'è il consolato. »
« La prossima svolta. Ma non si aspetti gran cose. Non atrii di marmo, né candelieri, né palme in vaso. È solo la camera mobiliata di uno scapolo: il posto per scrivere, un letto; in più i soliti uffici, naturalmente. Il meglio che quei buchi a casa son disposti a concedere. Nessun senso di or-
goglio nazionale. Avari nel poco, spreconi nel molto. Deve venire dalle parti del mio campo, quella è la mia vera casa. Quasi mille acri. Ottocento sicuramente. Uno dei migliori matè della zona. Potremmo andarci anche subito: appena tre quarti d'ora di strada. Una buona nottata di sonno e
poi, un altro po' d'alcool per ammazzar la sbornia. Le pos-
so dare scotch, di quello vero. »
« Non stanotte. Domattina ho delle visite da fare. »
Si fermarono davanti a una vecchia casa coloniale dalle colonne corinzie; lo stucco bianco scintillava al lume di luna. Al primo piano sporgeva l'asta di una bandiera e uno scudo recava le insegne reali. Charley Fortnum vacillò leg-
germente sul marciapiede, nel levare lo sguardo in alto. « E vero? » chiese.
« Vero cosa? »
« La bandiera. Non sta un po' troppo inclinata in avanti? »
« A me sembra vada bene. »
« Vorrei avessimo una bandiera più semplice della Union Jack. Una volta, per il compleanno della Regina, la issai alla rovescia. Io non ci vedevo nulla di storto, nella fottuta bandiera, invece Humphries si arrabbiò da morire... disse che voleva scrivere all'ambasciatore. Salga a bere qualcosa. »
« Devo essere a casa... se lei ce la fa a salire da sé. »
« Le giuro, vero scotch. Ho il Long John direttamente dall'ambasciata; qua tutti preferiscono lo Haig. Ma con il Long John si ha un bicchiere gratis per ogni bottiglia, E ottimi bicchieri per di più, con le dosi segnate sopra. Uomini, Donne, e il Padrone del Vapore. Io mi considero il Padrone del Vapore, naturalmente. Laggiù, al campo, ne ho a dozzine di bicchieri Long John. Mi piace quel nome: Padrone del Vapore; meglio di Capitano che potrebbe essere semplicemente un termine militare. »
Incontrò la difficoltà d'uso con la chiave, ma al terzo tentativo riuscì a infilarla nella serratura. Oscillando sugli sca-
lini, fece un discorso sotto il portico corinzio, rivolgendosi al dottor Plarr che, giù sul marciapiede, ne aspettava impaziente la fine.
« È stata una piacevolissima serata, Ted, anche se il goulash era una solenne porcheria. È bello parlare di quando in quando nella lingua natia (ci si arrugginisce), la lingua di Shakespeare. Non deve pensare che sono sempre così felice; è la dose che conta. E ci scappano anche momenti di malinconia quando sto bene in compagnia di un amico. E se lo ricordi, ogni volta avrà bisogno di un console, Charley Fortnum sarà anche troppo contento di renderle servigio. A lei, e a qualsiasi inglese. O anche scozzese, o gallese, per questo. Abbiamo tutti qualcosa in comune. Tutti apparteniamo all'un tempo Unito fottuto Regno. La nazionalità non è acqua, è più fitta, come il sangue. Anche se a pensarci, quest'idea fa un po' schifo: rammenta cose che è meglio dimenticare e perdonare. Le hanno mai dato sciroppo
di fichi da bambino? Non le resta che salir su, a diritto. Porta di mezzo al primo piano, e poi non può sbagliare: c'è la grande targa d'ottone. Ha bisogno di tanto lavoro per lustrarla, ore; incredibile. Tener lustro l'Orgoglio di Fortnum non è nulla in confronto. » Scivolò a ritroso nel cupo andito alle sue spalle, sparendo alla vista.
Il dottor Plarr si diresse in macchina verso casa sua nel nuovo isolato giallo, tornando al rotolare della ghiaia lungo i tubi e all'uggiolìo delle gru arrugginite. A letto, mentre cercava il sonno, gli sembrò poco probabile che negli anni a venire avrebbe trovato molte cose in comune con il console onorario.
Benché il dottor Plarr non sentisse nessuna fretta di riprendere il filo della propria conoscenza con Charley Fortnum, un mese o due dopo il loro primo incontro, ricevette alcuni documenti che avevano bisogno dell'autentificazione di un console britannico.
Il suo primo tentativo di vedere il console rimase infruttuoso. Arrivò al consolato intorno alle undici della mattina. La Union Jack ondeggiava appesa alla dubbia asta nel vento caldo e asciutto che soffiava dal Chaco. Si chiese perché mai la bandiera fosse appesa, fin quando non ricordò che quel giorno era l'anniversario dell'armistizio di una guerra mondiale precedente l'ultima. Suonò il campanello e di lì a poco ebbe la certezza di essere osservato da un occhio applicato allo spioncino della porta. Si ritrasse decisamente nel sole per subire l'ispezione e, subito, una donna piccina e nera dal gran naso aprì la porta con uno strattone impetuoso. Lo fissò con lo sguardo intenso e preoccupato di un uccello da preda abituato a osservare di lontano i punti di riferimento per le carogne. Forse provava un senso di stupore di fronte a una carogna così vicina e ancora viva. Disse che, no, il console non era in casa. Che no, non lo aspettava di ritor-
no. Domani?... Forse. Ma non era sicura. Al dottor Plarr questo non sembrava veramente il modo più adatto per dirigere un consolato.
Dopo una siesta di un'ora nel pomeriggio, il dottor Plarr ritornò al consolato sul suo cammino alla volta di certi pa-
zienti costretti a letto nel barrio popular, se davvero letto si poteva chiamare il loro. Fu gradevolmente sorpreso di vedersi aprire da Fortnum in persona. Al loro primo incontro il console aveva parlato di momenti di malinconia. Forse viveva ora uno di quei momenti. Guardò il medico con un lieve cipiglio di difesa, perplesso come se un qualche ricordo sgradevole gli si agitasse in una zona dell'inconscio. « Sì? »
« Sono il dottor Plarr. »
« Plarr? »
« Ci siamo conosciuti una sera da Humphries. »
« Ah sì, davvero? Ma certo. Entri. »
Tre porte si aprivano lungo un vestibolo oscuro. Da una di esse filtrava odore di piatti sporchi. Forse un'altra indicava una camera da letto. La terza era spalancata e Fortnum lo guidò nell'interno. Una scrivania, due sedie, uno schedario, una cassaforte, la riproduzione a colori del ritratto della Regina, opera di Annigoni, con un'incrinatura
nel vetro: questo era praticamente tutto. E la scrivania era assai spoglia, salvo per un calendario a supporto che reclamizzava un tè argentino.
« Mi scuso di disturbarla » disse il dottor Plarr. « Sono passato stamattina... »
« Non posso trovarmi sempre qui. Non ho aiutanti; ci sono un sacco di doveri ufficiali. Stamattina... sì, ero con il governatore. Cosa posso fare per lei? »
« Ho portato alcuni documenti da autenticare. »
« Me li mostri. »
Fortnum sedette con stanchezza, pesante, e cominciò ad aprire una serie di cassetti. Tolse da un cassetto un blocco di carta assorbente, da un altro carta e buste, da un terzo un timbro e una penna a sfera. Prese a distribuirli sulla scrivania come i pezzi di una scacchiera. Invertì la posizione del timbro e della penna; forse, inavvertitamente, avevano collocato la regina sul lato sbagliato del re. Lesse i docu-
menti con attenzione apparente, ma lo sguardo lo tradiva (quelle parole palesemente non avevano significato per lui); poi attese che il dottor Plarr firmasse. Dopo di che timbrò le carte e aggiunse la propria firma: "Charles Q. Fortnum". « Mille pesos » disse. « Non mi faccia domande sul Q. Lo lascio all'oscuro. » Non offrì ricevuta, ma il dottor Plarr pagò -senza discutere.
Il console disse: « Ho un mal di testa atroce. Sa com'è: il caldo, l'umidità. Che clima maledetto. Dio solo sa per-
ché mio padre abbia scelto di venirvi a vivere e a morire. Perché non si era stabilito nel sud. In qualsiasi altro posto, fuori che qui ».
« Se la pensa così, perché non chiude bottega e se ne va? »
« Troppo tardi. Ne avrò sessantuno, un altr'anno. A che fare qualcosa a sessantun anni? Ha per caso un'aspirina in quella sua borsa, Plarf? »
« Sì. Ha un po' d'acqua? »
« Me la dia così com'è. Le mastico. Funzionano prima così. » Masticò la pasticca e ne chiese un'altra.
« Non le trova di sapore sgradevole? »
« Ci si abitua. E poi, il sapore dell'acqua di qui non mi piace. Dio mio, come mi sento da cani oggi. »
« Forse dovrei misurarle la pressione. »
« Perché? Pensa ci sia qualcosa che non va? »
« No, ma alla sua età un controllo fa sempre bene. »
« Non è la mia pressione che non funziona. È la vita. »
« Troppo lavoro? »
« Non direi del tutto così. Ma c'è un ambasciatore nuovo. Mi scoccia. »
« E per cosa? »
« Vuole una relazione sulla industria del matè in questa provincia. Perché mai? Nessuno beve matè nel vecchio paese. Non ne hanno nemmeno sentito parlare probabilmente, ma mi toccherà lavorare per una settimana, sbattermi su e giù lungo strade orribili, e poi quei tipi dell'ambasciata si meravigliano che debba importare un'auto nuova ogni due anni. È il mio puro diritto, averne una. Diritto diplomatico. La pago di tasca mia e se scelgo di rivenderla son fatti miei, non dell'ambasciatore. L'Orgoglio di Fortnum è qualcosa su cui far maggior conto, da queste parti. Non la metto in conto per nulla, eppure la logoro in servizio, per loro. Che branco di bastardi sono, Plarr, quelli dell'ambasciata. Mi lesinano anche l'affitto che pago per quest'ufficio. » Il dottor Plarr stava aprendo la valigetta.
« Che sciocchezze son queste? »
« Credevo avessimo stabilito di misurarle la pressione. »
« Allora, sarà meglio andare in camera mia » disse il console. « Se la donna entrasse, non farebbe buona impressio-
ne. In un lampo, in tutta la città si spargerebbe la notizia che sono in fin di vita. E giù, pioverebbero i conti. »
La camera era quasi altrettanto spoglia. Il letto era stato scomposto per il sonnellino pomeridiano e un guanciale giaceva sul pavimento accanto a un bicchiere vuoto. La fotografia di un uomo dai grossi baffi, in costume da cavallerizzo, stava a capo del letto come surrogato della Regina. Il console sedette sul copriletto gualcito e denudò il braccio. Il dottor Plarr cominciò a gonfiare la fascia di gomma.
« Crede che qualcosa non vada in questi mal di testa? »
Il dottor Plarr osservava il quadrante. Disse: « Credo che qualcosa non vada nel bere troppo alla sua età ». Lasciò fuo-
riuscire l'aria.
« Il mal di testa è ereditario in casa mia. Mio padre aveva mal di testa terribili. Morì all'improvviso: un colpo. È lui,
nella foto. Cavalcava benissimo. Cercò di fare un bravo cavaliere anche di me, ma io non riuscivo a sopportare quelle stupide bestie brute. »
« Mi pareva mi aveste detto di possedere un cavallo.
L'Orgoglio di Fortnum, non è così? »
« Oh, non si tratta di un cavallo; è la mia Land Rover.
Mi dica il peggio, Plarr. »
« Queste contrazioni non dicono mai il peggio... o il meglio. Comunque, la sua pressione è un tantino alta. Le darò delle pillole, ma non potrebbe tagliare un poco sul bere? » « Ecco cosa dicevano sempre i medici a mio padre. Una volta mi disse che avrebbe potuto pagare una schiera di pappagalli per farsi gracchiare la stessa cosa. Probabilmente ho ripreso dal vecchio bastardo, con l'eccezione dei cavalli. Mi paralizzano dalla paura, quelli. Lui ci si arrabbiava sempre. Diceva: "Charley, bisogna vincere la paura, o sarà lei a vincere te". Qual è l'altro nome, Plarr? »
« Eduardo. »
« Io sono Charley per gli amici. Le dispiace se la chiamo
Ted? »
« Se lo trova necessario. »
Il Charley Fortnum sobrio era arrivato al medesimo stadio di intimità raggiunto nella precedente occasione, anche se per una via più lunga. Il dottor Plarr si chiese quante volte ancora, se avessero continuato a incontrarsi, sarebbe stato necessario percorrere lo stesso sentiero prima di arrivare all'ultimo balzo su Charley e Ted.
« Lo sa che esiste un unico altro inglese in città. Un tipo di nome Humphries, professore di inglese. Conosce? »
« Eravamo tutti insieme una sera. Non ricorda? Fui io ad accompagnarla a casa. »
Il console onorario lo guardò quasi con paura. « No, non ricordo. Minimamente. È brutto segno? »
« Oh, succede a chiunque; basta avere bevuto un po' troppo. »
« Quando l'ho vista là, fuori della porta, ho pensato per un momento che ricordavo il suo viso. È per questo che le ho chiesto come si chiamava. Ho creduto di avere comprato qualcosa da lei, scordando di pagare. Bisogna che ci vada
più piano, vero? Per un po' di tempo, voglio dire. »
« Non le farebbe certo male. »
« Certe cose le ricordo molto bene, ma sono come il vecchio... anche lui si scordava di tutto. Lo sa che una volta (ero caduto da cavallo, la bestia si era drizzata a un tratto sulle zampe anteriori, tanto per mettermi alla prova, la bestia) avevo soltanto sei anni, proprio vicino a casa, e mio padre stava seduto là, sulla veranda. Avevo una gran paura

che fosse arrabbiato, ma quello che mi fece'più paura ancora fu di vedere che quando mi guardò, che stavo lì per terra, palesemente non riusciva nemmeno a ricordare chi ero. Non era per niente incollerito, era solamente perplesso e preoccupato, e se ne ritornò alla sua poltrona e riprese in mano il bicchiere. Così feci il giro da dietro la casa fino alla
cucina (la cuoca era una buona amica) e lasciai il fottuto cavallo. Naturalmente, ora posso capire. Avevamo questo fatto in comune. Anche lui dimenticava le cose quando era
ubriaco. Lei è sposato, Ted? »
« No. »
« Io lo sono stato, una volta. »
« Sì, me lo ha già detto. »
« Fui contento quando la cosa andò a rotoli, ma comunque sarei stato contento di un bambino, prima. Quando non ci sono bambini, generalmente la colpa è dell'uomo, non è così? »
« No. Credo che le probabilità siano press'a poco le stesse. »
« Comunque, ormai sarei del tutto sterile, non è così? »
« Niente affatto. Non è l'età che rende sterili. »
« Se avessi un figlio, non tenterei di fargli vincere la paura come mio padre con me. La paura fa parte della natura umana, non è vero? Se vinci la paura, vinci anche la tua natura umana. E un po' come la bilancia della natura. Una volta lessi in un libro che, se uccidessimo tutti i ragni del mondo, finiremmo soffocati sotto il peso delle mosche. Lei
ha un figlio, Ted? »
Quel nome Ted aveva un effetto irritante sul dottor Eduardo Plarr. Disse: « No. Se vuole chiamarmi per nome,
preferirei mi chiamasse Eduardo ».
« Ma lei è inglese quanto me. »
« Lo sono solamente per metà e quella metà è in prigione o morta. »
« Suo padre? »
« Sì. »
« E sua madre? »
'64'
« Sta a Buenos Aires. »
« Fortunato. Ha qualcuno per cui metter da parte i soldi. Mia madre è morta alla mia nascita. »
« Non è una buona ragione per ammazzarsi col bere. »
« Non è questa la ragione, Ted. Ho rammentato mia madre solo di passaggio, ecco tutto. A che serve un amico, se non ci puoi parlare? »
« Gli amici non sono buoni psichiatri. »
« Dalle sue parole, sembra un uomo duro lei, Ted. Ha mai amato nessuno? »
« Dipende da cosa lei intende per amore. »
« Analizza troppo le cose » disse Charley Fortnum. « È una colpa da giovani. Non sollevare troppe pietre, ecco cosa dico sempre io. Non si sa mai cosa ci puoi trovare sotto. »
« È il mio mestiere, sollevare pietre. Giocare agli indovinelli non serve a molto quando vuoi fare una diagnosi. »
« E qual è la sua diagnosi? »•
« Le darò una cura, ma non le servirà a nulla se non taglia sul bere. »
Ritornò nell'ufficio del console. Lo irritava una sensazione di tempo perduto. Quel tempo, che aveva trascorso ad ascoltare i gemiti di autocommiserazione del console onorario, lo avrebbe potuto usare per le visite a tre o quattro pazienti nel quartiere povero della città. Uscì dalla camera, sedette alla scrivania e scrisse la sua ricetta. Provava la stessa sensazione di tempo perduto che aveva nelle visite alla madre, gemebonda sulle sue emicranie e la sua solitudine davanti a un piatto dove si ammonticchiavano i bignè alla cioccolata nella migliore sala da tè di Buenos Aires. Il pensiero implicito nelle sue parole era che il marito l'aveva abbandonata, poiché il dovere primo di un marito è verso moglie e figli ed egli avrebbe dovuto fuggire insieme a loro due.
Charley Fortnum si stava mettendo la giacca nella stanza accanto. « Non se ne va mica, eh? » chiamò.
« Sì. Ho lasciato la ricetta sulla scrivania. »
« Che fretta ha? Rimanga a bere qualcosa. »
« Ho da fare delle visite. »
« Bene, sono un paziente anch'io, no? »
« Lei non è il più grave » disse il dottor Plarr. « La ricetta non è rinnovabile. Questa dose le basterà per un mese, poi vedremo. »
Il dottor Plarr si chiuse alle spalle la porta del consolato con un senso di sollievo, quel sollievo che immancabilmente provava ogni volta che finalmente lasciava l'appartamento della madre dopo una visita alla capitale. Non aveva abbastanza tempo per sprecarne anche una minima parte in visite agli incurabili.
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II
Ci vollero quasi due anni prima che il dottor Plarr mettesse piede nell'azienda tanto abilmente condotta dalla Señora Sánchez; e non fu in compagnia del console onorario. Vi si recò insieme al suo amico e paziente, il dottor Jorge Julio Saavedra. Saavedra era, come egli stesso spiegò su un piatto di durissima carne di manzo al Nacional, un uomo che credeva in una vita inquadrata da una disciplina molto severa. E questo, un osservatore avrebbe potuto indovinarlo subito dal suo aspetto esterno, così nitido e di un grigio uniforme, grigi i capelli, grigio il vestito, e la cravatta grigia. Perfino nel caldo delle province settentrionali egli indossava lo stesso completo a doppio petto con gilè di buon taglio che era solito portare nei caffè della capitale. Il suo sarto di laggiù era inglese, raccontò egli al dottor Plarr. « Lei non ci crederà, ma non ho più avuto bisogno di un vestito nuovo, da dieci anni a questa parte. » In quanto alla disciplina del lavoro: « Scrivo cinquecento parole al giorno dopo la prima colazione. Non una di più, non una di meno » disse, non per la prima volta.
Il dottor Plarr era un buon ascoltatore. Aveva imparato ad ascoltare. La maggioranza dei suoi pazienti della media borghesia soleva impiegare almeno dieci minuti nella descrizione di un semplice attacco di influenza. Era solamente
nel barrio dei poveri che egli si incontrava con la sofferenza silenziosa, la sofferenza che non ha un suo lessico per spiegare il dolore fisico, la sua misura, la sua localizzazione,
la sua natura. In quelle capanne di fango o di latta dove il malato spesso giace senza coperte sul pavimento sudicio egli era costretto a fabbricarsela da sé, la sua interpretazione, da un tremito della pelle o da un guizzo nervoso dello sguardo.
« La disciplina » andava ripetendo Jorge Julio Saavedra « è per me una necessità più che per altri scrittori, più facondi. Vede, io ho un demone, loro hanno un talento. E si ricordi che io gl'invidio quel talento. Un talento è cosa amica. Un demone è distruttivo. Lei non può nemmeno immaginare quello che soffro io quando scrivo. Giorno dopo giorno devo impormi di mettermi a quel tavolino, con la
penna in mano, e lotto alla ricerca dell'espressione... Ricorderà, nel mio ultimo libro, quel personaggio, Castillo, il pescatore che ingaggia una battaglia senza fine con il mare per una ricompensa tanto piccola. In certo senso, si potrebbe dire che Castillo raffigura l'artista. Una simile agonia quotidiana, e il risultato... cinquecento parole. Una preda molto esigua. »
« Mi sembra di ricordare che Castillo muore per un colpo di rivoltella in un bar dove difendeva la sua figliola orba da minaccia di stupro. »
« Già, sono lieto che abbia notato il simbolo del Ciclope. Un simbolo dell'arte del romanziere. Arte con un occhio solo perché un solo occhio concentra la visione. Lo scrittore verboso ha sempre due occhi. Abbraccia troppo: come uno schermo cinematografico. E lo stupratore? Forse egli rappresenta questa mia malinconia che mi cala addosso per settimane di fila, quando per ore lotto per compiere il mio lavoro quotidiano. »
« Spero che le mie pillole le abbiano giovato. »
« Oh, sì, sì, naturalmente un poco giovano, ma talvolta penso che unicamente la disciplina quotidiana mi salva dal suicidio. » La forchetta sospesa lungo la strada verso la boc-
ca, il dottor Saavedra ripete: « Suicidio ».
« Via su, certo la sua fede non le permetterebbe di... »
« In quei cupi momenti, dottore, io non ho fedo, nessu-
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na fede. En una noche oscura. Apriamo un'altra bottiglia? Questo vino di Mendoza non è del tutto malvagio. »
Dopo la seconda bottiglia, il romanziere rivelò un'altra regola della propria auto-costruita disciplina: la visita settimanale alla casa della Señora Sánchez. Spiegò che non si trattava semplicemente di tener quieto il corpo, in modo da impedire l'insorgere di desideri importuni nel corso del suo lavoro; da quella visita settimanale egli traeva grandi insegnamenti sulla natura umana. Nella vita sociale della città non esistevano contatti fra le varie classi. Come poteva un pranzo dalla Señora Escobar o dalla Señora Vallejo fornirgli una qualche possibilità di indagine sulla vita dei poveri? Il personaggio di Cariota, la figlia di Castillo il pescatore eroico, si era basato su una ragazza da lui conosciuta nel-
l'azienda della Señora Sánchez. Naturalmente quella ragazza lì aveva due occhi. Era anzi notevolmente bellina, ma quando era venuto al punto di scrivere il suo romanzo, egli aveva pensato che quella bellezza avrebbe conferito alla storia un tono falso e banale. Anche lo stupratore ne diveniva convenzionale. Le belle ragazze vengono violate dappertutto a ogni momento, e in particolare nei libri dei suoi contemporanei, quei facondi scrittori di indubbio talento.
A cena finita, il dottor Plarr si lasciò agevolmente persuadere a farsi compagno del romanziere nella sua visita disciplinare, anche se a tentarlo era piuttosto la curiosità che
non la voglia sessuale. Lasciarono il tavolo a mezzanotte e si avviarono a piedi. Anche se la Señora Sánchez era protetta dalle autorità, meglio non lasciare un'auto davanti alla sua porta e farne segnare il numero di targa dalla curiosità di un agente. Una simile aggiunta alla propria fedina penale poteva risultare indesiderabile, un giorno o l'altro. Il dottor Saavedra aveva scarpe a punta eminentemente lustre e dava l'impressione di zampettare mentre camminava, perché aveva un poco il piede varo. Ci si aspettava quasi di vedergli lasciare tutta una scia di orme d'uccello, sul marciapiede
polveroso.
La Señora Sánchez stava su una sedia a sdraio davanti al-

la casa, e faceva la calza. Era una donna molto robusta, dal viso grasso picchiettato di fossette, con un sorriso accogliente, bizzarramente spoglio tuttavia di gentilezza: un sorriso dimenticato per caso un momento prima, come si dimentica
un paio d'occhiali. Il romanziere presentò il dottor Plarr.
« Sono sempre lieta di ricevere un signor medico » disse la Señora Sánchez. « Avrà modo di apprezzare come sono ben sorvegliate le mie ragazze. Io mi servo del suo collega, il dottor Benevento, un uomo molto comprensivo. »
«Così ho sentito dire. Personalmente non lo conosco » disse il dottor Plarr.
« Viene qua tutti i giovedì pomeriggio e le mie ragazze gli sono molto affezionate. »
Passarono nell'angusto vestibolo illuminato. Salvo per la Señora Sánchez nella sua poltrona a sdraio, nulla nell'aspetto esterno della casa la distingueva dalle altre rispettabili abitazioni della strada. Il buon vino, pensò il dottor Plarr,
non ha bisogno d'insegna.
Era una casa molto diversa di tono dai bordelli clandestini che gli era capitato di vedere occasionalmente alla capitale, con le loro piccole camere incupite dalle persiane chiuse e stipate di mobilio borghese. Questa casa aveva una piacevole aria campagnola. Un patio arioso quasi delle dimensioni di un campo da tennis era circondato da piccole celle. Quando si fu seduto, guardò le due porte che gli si aprivano davanti e si disse che le celle apparivano più allegre, più pulite e arredate con miglior gusto che non la camera del dottor Humphries all'Hotel Bolívar. Ognuna possedeva un suo piccolo altare con una candela accesa, e questo dava ai nitidi interni l'atmosfera di una casa piuttosto che di una bottega dove si facevano affari. Un gruppo di ragazze sedeva a un tavolo appartato, mentre altre due chiacchieravano con dei giovanotti, addossandosi alle colonne della veranda che circondava il patio. Non vi era traccia di affannosità: era palese la rigorosità della Señora Sánchez in questo senso: qui un uomo poteva prendere il suo tempo. Un uomo sedeva solo davanti ad un bicchiere, e un altro, in vesti da peón, stava presso una colonna osservando le ragazze con aria vogliosa, infelice (forse non poteva permettersi nemmeno una bibita).
Una ragazza di nome Teresa si presentò immediatamente a prendere l'ordinazione del romanziere (« Whisky, » consigliò questi « il cognac non dà affidamento »), e poi sedette in loro compagnia, senza aspettare inviti. « Teresa viene da Salta » spiegò il dottor Saavedra, affidando la propria mano alle cure della ragazza come se avesse lasciato un guanto al guardaroba. Ella prese a rovesciargliela in un senso e nell'altro, esaminando le dita come alla ricerca di buchi. « Sto
progettando di ambientare il mio prossimo romanzo a Salta. »
« Spero che il suo demone non insista col voler dare anche a lei un occhio solo » osservò Plarr.
« Lei ride di me » disse il romanziere « perché non ha idea di come funzioni la fantasia di uno scrittore. Egli deve trasformare la realtà. La guardi: i grandi occhi marroni, i seni piccoli e pieni, bellina vero (la ragazza sfavillò in un sorriso compiaciuto e prese a grattargli il palmo con l'unghia), ma che cosa rappresenta? Non scrivo storie d'amore per riviste femminili. I miei personaggi devono simboleggiare qualcosa di più oltre se stessi. Mi viene in mente proprio ora che forse, con una gamba sola... »
« Una ragazza con una gamba sola si viola più facilmente. »
« Non c'è stupro questa volta. Ma una bellezza con una gamba sola, non lo vede il significato? Pensi alla sua andatura spezzata, ai suoi momenti di disperazione, agli amanti che sentono di farle un favore se passano una notte con lei. La sua ostinata fede in un futuro che in qualche modo dovrà essere più roseo dell'oggi. Per la prima volta, » concluse il dottor Saavedra « mi propongo di scrivere un roman-
zo politico. »
« Politico? » chiese il dottor Plarr con una certa sorpresa. La porta di una cella si aprì per lasciare uscire un uomo.
Questi accese una sigaretta e bevve da un bicchiere sulla fine. Nel bagliore della candela sull'altarino del santo, il dottor Plarr vide una ragazza sottile che rassettava il letto; dopo aver lisciato con cura la sovraccoperta, uscì dalla stanza
e venne ad unirsi alle compagne intorno al tavolo comune. Un bicchiere di aranciata da finire l'aspettava. Il peón vicino alla colonna la osservò con voglia affamata.
« Non vi dà noia quell'uomo? » chiese il dottor Plarr a Teresa.
« Quale uomo? »
« Quello che sta là in piedi, a fissarvi senza far nulla. »
« Lo lasci fissare, non fa male a nessuno, poveraccio. E non ha un soldo. »
« Le stavo parlando del mio romanzo politico » intervenne Saavedra, stizzito. Tolse la mano dalla stretta di Teresa. « Ma vede, non capisco il senso di una gamba sola. »
« Un simbolo di questa povera terra storpia, dove noi continuiamo a sperare... »
« Ma i lettori capiranno? Avrei pensato a qualcosa di più diretto. Quegli studenti dell'anno scorso a Rosario... »
« Se hai da scrivere un romanzo politico destinato a durare, devi prescindere da tutte le minuzie che possono datarlo. Assassini, rapimenti, la tortura dei prigionieri, sono... cose che appartengono alla nostra decade. Ma io non voglio scrivere unicamente per gli anni settanta. »
« Gli spagnoli torturavano i loro prigionieri trecento anni fa » mormorò il dottor Plarr, e, per qualche ignoto motivo, tornò a guardare la ragazza seduta al tavolo comune.
« Non vieni con me stanotte? » chiese Teresa al dottor Saavedra.
« Ma sì, certo, tutto a suo tempo. Ora sto parlando a questo mio amico su un argomento di grande importanza. »
Il dottor Plarr notò sulla fronte dell'altra ragazza, un poco al disotto dell'attaccatura dei capelli una piccola voglia grigia, laddove le indiane recano il segno scarlatto della casta.
Jorge Julio Saavedra disse: « Un poeta, e il vero romanziere ha sempre da essere a suo modo un poeta..., un poeta si muove fra gli assoluti. Shakespeare evitò la politica del suo tempo, le minuzie degli eventi politici. Non si occupava di Filippo di Spagna, né di pirati come Drake. Egli si serviva della storia del passato per esprimere quella che io chiamo l'astrazione della politica. Il romanziere che oggi voglia rappresentare la tirannide non dovrà descrivere le attività del generale Stroessner nel Paraguay: questo è giornalismo, non letteratura. Tiberio sarà un esempio migliore, per un poeta ».
Il dottor Plarr pensava a quanto gli sarebbe piaciuto portare la ragazza nella sua stanza. Non era più andato a letto con una donna da un mese, e come basta poco a suscitare l'attenzione sessuale: un niente, una cosa superficiale come una piccola voglia in un posto inconsueto.
« Certo lei capisce quello che intendo dire? » lo interrogò severamente Saavedra.
« Sì, sì. Naturalmente. »
Tratteneva il dottor Plarr un certo fastidio all'idea di ripercorrere troppo presto il sentiero tracciato da un altr'uomo. Quale intervallo, chiese a se stesso, sono disposto ad accettare? Mezz'ora, un'ora, o forse, semplicemente, l'assenza fisica del predecessore, che già si era ordinato un altro bicchiere?
« Vedo bene che l'argomento non la interessa affatto » osservò Saavedra con disappunto.
« L'argomento... mi perdoni... ho bevuto un po' troppo stasera. »
« Stavo parlando di politica. »
« Ma certo che la politica mi interessa. Sono io stesso una specie di profugo della politica. E mio padre... non so nemmeno se mio padre è ancora vivo. Forse è morto; forse è stato assassinato. Forse si trova rinchiuso in un posto di polizia in qualche zona oltre confine. Il generale non ha fede nella prigionia per le infrazioni politiche: preferisce lasciar marcire gl'importuni ognuno per conto suo nei posti di polizia di tutto il territorio. »
« Questo è esattamente il mio punto della questione, dot-
tore. Naturalmente la capisco, ma come posso fare arte con un uomo rinchiuso in un posto di polizia? »
« Perché no? »
« Perché è un caso speciale. È una situazione che appartiene agli anni settanta. E io spero che i miei libri verran-
no ancora letti, magari da lettori raffinati, nel ventunesimo
secolo. Ho tentato di fare del mio pescatore Castillo il pescatore senza tempo. »
Il dottor Plarr ricordò che pensava molto raramente a suo padre e forse ora ne traeva irritazione per un senso di colpa nei riguardi della propria comodità e sicurezza di vita. Disse: « Il suo pescatore è senza tempo perché non è mai esistito ». Immediatamente rimpianse le sue parole. « Mi scusi. Non crede che sarebbe bene bere ancora qualcosa? E la sua deliziosa compagna... la stiamo trascurando. »
« Esistono cose più importanti di Teresa » disse Saavedra, ma le abbandonò nuovamente la mano. « Lei non trova ragazze di suo gusto? »
« Sì, una; ma ha già trovato un altro cliente. »
La ragazza con la voglia sulla fronte era andata al bevitore solitario e ora si dirigevano insieme verso la celletta di lei. Passò davanti al suo precedente compagno senza uno sguardo ed egli non ebbe nemmeno la curiosità di guardare il proprio successore. Quel non so che di clinico che c'è in
un bordello attirava il dottor Plarr. Gli pareva di osservare un chirurgo intento ad accompagnare la sua nuova paziente in sala operatoria; l'operazione precedente, riuscita, non esisteva già più per lui. Solo nei drammi televisivi le emozioni dell'amore, dell'ansia e della paura s'infiltrano nelle corsie. I suoi primi anni a Buenos Aires, nell'ascoltare sua madre che gemeva, drammatizzava e piangeva sul fato del padre assente, e questi ultimi anni in cui ella si espandeva contenta in volubili chiacchiere a opera di torte e di gelati al cioccolato, lo avevano reso dubbioso su ogni emozione che si dimostrava guaribile a opera di mezzi così semplici come un orgasmo o un bignè. Gli ritornò alla mente il ricordo di una conversazione (se così si poteva chiamarla) con Charley Fortnum. Domandò a Teresa se conosceva una ragazza di nome Maria.
« Ci sono diverse Marie » disse Teresa.
« Questa viene da Cordoba. »
« Ah, lei. È morta un anno fa. Stava davvero male, quella. L'ha ammazzata uno a coltellate. È finito in prigione, poveraccio. »
« Probabilmente è meglio che vada con la ragazza » disse Saavedra. « Mi scuso, ma non ho spesso l'occasione di parlare di letteratura con un uomo colto. In certo senso preferirei bere ancora e continuare la conversazione insieme a lei, dottore. » Guardò la sua mano prigioniera come se fosse un oggetto altrui, che egli non aveva il diritto di sottrarre.
« Vi saranno altre occasioni » lo confortò Plarr, e il romanziere si arrese. « Vieni, chica » disse, e si alzò. « Mi
aspetta, dottore? Non starò molto, stanotte. »
« Forse imparerà molte cose su Salta. »
« Sì; ma viene sempre il momento in cui lo scrittore deve dire "Basta". Non bisogna sapere troppo. » Il dottor Plarr aveva l'impressione che, sotto l'influsso dell'alcool, Saavedra andasse ritrovando nella memoria una qualche conferenza da lui pronunciata anni fa in un circolo femminile della capitale.
Teresa lo tirava per mano. Con riluttanza, egli si lasciò guidare dà lei laddove la candela brillava ai piedi della santa d'Avila. La porta si richiuse alle loro spalle. Il lavoro di un romanziere, così egli aveva detto una volta malinconicamente a Plarr, non è mai finito.
Era una serata tranquilla nell'azienda della Señora Sánchez. Tutte le porte rimanevano aperte, salvo le due che celavano Teresa e la ragazza con la voglia sulla fronte. Il dottor Plarr finì il suo bicchiere e lasciò il patio. Era certo che
il romanziere, malgrado ogni promessa, avrebbe finito per prendersi il suo tempo. Dopo tutto, aveva una decisione da maturare: se la ragazza avrebbe dovuto perdere la gamba al ginocchio, o al femore.
La Señora Sánchez continuava a scalzettare alacremente.
Un'amica si era unita a lei, seduta in un'altra sedia a sdraio, scalzettava a sua volta. « Trovato nessuna ragazza? » chiese la Señora.
« Il mio amico sì. »
« A lei non ne piaceva nessuna? »
« Oh, non per questo; ho bevuto troppo a cena. »
« Può chiedere delle mie ragazze al dottor Benevento. Sono molto pulite. »
« Sono certo di questo. E tornerò sicuramente, Señora
Sánchez. »
Invece, in realtà trascorse più di un anno prima che egli ritornasse. E allora vanamente si guardò intorno alla ricerca della ragazza con la voglia sulla fronte. Non ne provò né stupore né disappunto. Forse era nel periodo delle regole; in ogni modo, in simili aziende, le ragazze cambiano spesso. Teresa fu l'unica che riconobbe. Rimase insieme a lei per un'ora, e parlarono di Salta.

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La professione del dottor Plarr procedeva prospera. Egli non rimpianse mai di avere abbandonato l'aspra competizione della capitale dove troppi erano i medici provvisti di lauree tedesche, francesi e inglesi; inoltre si era sempre più affezionato alla piccola città presso il grande fiume Paraná. Esisteva una leggenda locale per cui bastava visitarla una volta sola, la città, per essere costretti a farvi ritorno, e nel suo caso era certamente avvenuto così. Una rapida visione del porticciolo con il suo sfondo di case coloniali, che per un'ora sola lo aveva colpito in una buia notte, era bastata ad attirarlo nel ritorno. Perfino il clima non gli dispiaceva; il caldo era meno umido di quello che dominava i ricordi della
regione della sua infanzia e, quando finalmente l'estate esplodeva in un'enorme eruzione di tuoni, gli piaceva osservare dalle finestre del suo appartamento i lampi forcuti incunearsi fra le pieghe costiere del Chaco. Quasi ogni mese egli invitava a cena il dottor Humphries e, talvolta, ora, era solito consumare un pasto insieme a Charley Fortnum, invariabilmente sobrio, laconico e malinconico, oppure ubriaco, ciarliero e, come egli amava definirsi "elevato". Una volta erano andati a visitare il campo di Charley Fortnum, ma Plarr non era buon giudice in materia di raccolti di matè e aveva trovato il sobbalzare dell'Orgoglio di Fortnum così sgradevole nel procedere ettaro per ettaro {arare, così chiamava Charley quella scarrozzata) che rifiutò l'invito successivo. Preferiva una serata al Nacional, ad ascoltare Charley che parlava senza forza di convinzione di una ragazza che aveva scovato.
Ogni tre mesi il dottor Plarr prendeva l'aereo giù fino a Buenos Aires e trascorreva un fine settimana con la madre, progressivamente più grassa per la sua dieta quotidiana di dolci alla panna e di alfajores ripieni di dulce de leche. Non riusciva a ricordare i lineamenti della splendida donna sulla trentina che aveva detto addio a suo padre sul lungofiume,
piangendo l'amore perduto lungo tutti i tre giorni di viaggio per mare verso la capitale. Dato che non aveva vecchie fotografie di lei giovane per ritrovare il passato, egli se la figurava sempre come la donna che era diventata oggi, con il suo triplo mento e la pappagorgia e un ventre che, sottolineato di seta nera, imitava la gravidanza. Sugli scaffali del suo appartamento i libri del dottor Jorge Julio Saavedra aumentavano di un volume ogni anno e, fra tutti, Plarr riteneva suo preferito la storia della ragazza storpia di Salta. Dopo quella prima visita, egli si era giaciuto con Teresa varie volte alla casa Sánchez, divertendosi ad osservare in quale estrema misura la finzione deviasse dalla realtà. Plarr non aveva amici intimi, pur mantenendo buoni rapporti con due ex amanti conosciute dapprima come pazienti; pure stava in amicizia con l'ultimo governatore e si godeva le visite alla grande piantagione di matè che il governatore possedeva
nell'est, volando laggiù con l'aereo privato di Sua Eccellenza, un aereo che atterrava sul prato fra due aiuole fiorite in tempo per un ottimo pranzo. Era inoltre ospite occasionale alla fabbrica di arance in scatola di Bergman, più vicina alla città, e talvolta andava a pescare in un tributario del Paraná insieme al direttore dell'aeroporto.
Due volte si erano verificati tentativi d'insurrezione rivoluzionaria nella capitale, notizia che aveva procurato grandi titoli su "El Litoral", ma in entrambe le occasioni, telefonando alla madre, l'aveva trovata ignara dei tumulti; non leggeva giornali, lei, né ascoltava mai la radio, e in quanto ad Harrods e alla sua sala da tè preferita, quelli rimanevano aperti in mezzo a tutte le tormente. Una volta gli aveva
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detto che la politica l'aveva saturata per sempre all'epoca della sua vita nel Paraguay. « Tuo padre non sapeva parlar d'altro. Venivano certi tipi indesiderabili a casa; a volte capitavano in piena notte, vestiti di vecchi stracci. E sai bene com'è andato a finire tuo padre. » Bizzarro giro di frase questo dato che né l'uno né l'altra sapevano: se fosse stato ucciso nella guerra civile, o morto di malattia, o divenuto
prigioniero politico sotto la dittatura del generale. Mai avevano identificato il suo corpo fra i cadaveri che talvolta veni-
vano gettati a riva sul lato argentino del fiume, mani e piedi legati col filo metallico, ma egli poteva anch'essere uno dei tanti scheletri che per anni restavano ignorati dopo essere stati sperduti dagli aerei nelle solitudini del Chaco.
Circa tre anni dopo il suo primo incontro con Charley Fortnum, il dottor Plarr fu trascinato in una conversazione su di lui da Sir Henry Belfrage, l'ambasciatore britannico, il successore dell'uomo che tante pene aveva procurato al console onorario con la storia della relazione sul matè. Si trattava di uno dei cocktail-party periodicamente organizzati per la colonia britannica, e il dottor Plarr, che si trovava nella capitale casualmente per la sua visita alla madre, vi assistè insieme a lei. Non conosceva nessuno nell'ambiente, se non di vista, al massimo, di saluto con un cenno del capo. C'era Buller, il direttore della Bank of London and South America, Fisher, il segretario della Anglo Argentinian Society, e un vecchio signore di nome Forage che spendeva tutti i suoi giorni allo Hurlingham Club. Era presente anche, è naturale, il rappresentante del British Council, ma, per una qualche ragione freudiana, Plarr non ne ricordava mai il nome: un uomo pallido, piccoletto e spaurito dalla testa calva, che si trovava alla festa come guida a un poeta in visita. Il poeta aveva là voce stridula e un'aria di spostato consapevole
sotto i grandi lampadari antichi. « Fra quanto minimo tempo sarà lecito svignarsela? » fu udito squittire. E di nuovo: « Troppa acqua con questo whisky ». Era l'unica voce che nella stanza riuscisse a farsi distinguere a una qualche distanza, al disopra del brusio continuo simile al ronzio di un
motore di aereo; con la massima naturalezza ci si sarebbe aspettati di udir quella voce gridare qualche frase di maggior rilievo, sul tipo di « Allacciate le cinture di sicurezza ». Il dottor Plarr credette che Belfrage non pensasse ad altro che a una conversazione di cortesia, fino a quando non si trovarono soli insieme fra un divano dalle zampe dorate e una poltrona Luigi XV, lontani quanto bastava dal brusio intorno al buffet per ascoltarsi. Plarr riusciva a scorgere la madre solidamente sistemata in gesticolante colloquio con un prete; gli agitava in faccia una tartina. Sapendola felice, come sempre con i preti, si sentì sollevato da ogni responsabilità.
« Probabilmente lei conosce il nostro console di lassù? » disse Sir Henry Belfrage. Egli si riferiva sempre alla pro-
vincia settentrionale con quel "lassù", come ad accentuare la smisurata lunghezza del Paraná che lentamente discendeva con il suo letto serpeggiante giù da quelle remote frontiere, tanto lontane dalla civiltà meridionale del Rio de la Piata. « Charley Fortnum? Sì, ci vediamo di quando in quando. Ma da mesi non ho avuto questa occasione. Un gran daffare: molti malati. »
« Lei saprà... in un mestiere come il nostro... si ereditano sempre le difficoltà installandosi in una nuova sede. Detto fra noi, il console di lassù è una di tali difficoltà. »
« Davvero? » rispose con cautela il dottor Plarr. « E io che credevo invece... » benché non avesse idea di come concludere il discorso se l'altro glielo avesse chiesto.
« Non ha nulla da fare lassù, intendo, per quello che riguarda noi, almeno. Di quando in quando gli chiedo una relazione su qualcosa, tanto per salvare le apparenze. Non voglio si creda un dimenticato. Un tempo è stato utile ai miei predecessori. Non so più che giovane tèsta calda si era trovata coinvolta nella guerriglia e voleva recitare la parte del Castro contro il generale nel Paraguay. Da quanto posso verificare sullo schedario, da allora stiamo pagando metà delle sue bollette telefoniche e la maggioranza dei suoi bisogni di cartoleria. »
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« Ma una volta ha aiutato anche con dei reali, mi pare. 
Gli ha fatto da guida alle rovine, no? » 
« Sì, roba del genere » annuì Sir Henry Belfrage. « Figure molto minori di reali, a quanto ricordo. Non dovrei essere io a dirlo, naturalmente, ma la monarchia ci causa spesso un mucchio di guai. Una volta ci è toccato imbarcare un pony da polo... Lei non ha idea delle complicazioni... e per di più successe all'epoca dell'embargo sulla carne. » Rimase un poco meditabondo. « Per lo meno Fortnum potrebbe cercare di adoprarsi un po' di più per restare in buoni rapporti con la colonia inglese, lassù. » 
« Per quel che ne so io, siamo solamente in tre nel giro di cinquanta miglia; gli amici con le terre vengono di rado in città. » 
« Ancor meno difficile per lui, in questo caso. Lo conosce il Jeffries? » 
• « Vuol dire Humphries? Se sta pensando all'episodio dell'Union Jack (che sventolava alla rovescia)... majei lo sa il verso giusto? » 
« No, ma grazie a Dio ho dei soci che lo sanno. Non stavo pensando a quello; successe all'epoca di Callow. Il guaio di oggi è che Fortnum pare abbia fatto un matrimonio dei più inadatti... secondo quell'Humphries. Vorrei che la smettesse di mandarci lettere. Chi è? » 
« Non ho saputo del matrimonio di Fortnum. E un po' troppo in là con gli anni per sposarsi. Chi è la donna? » 
« Humphries non lo ha detto. In realtà si è dimostrato un poco ambiguo su tutta la faccenda. Pare che Fortnum abbia tenuto le cose segrete al massimo. Naturalmente, non do peso alla faccenda. Non comporta nessun problema di sicu-
rezza. Fortnum è semplicemente un console onorario. Non occorre che ci mettiamo a indagare su di lei. Solamente pensavo... se le capita di sapere qualcosa... In certo senso, è più 
difficile liberarsi di un console onorario che di un uomo nella carriera. Non lo puoi trasferire. Quel termine onorario... suona falso, a pensarci bene. Fortnum importa una macchina nuova ogni due anni e la rivende. Non ne ha il diritto, 
non è in servizio, lui, ma suppongo sia in buoni rapporti con le autorità locali. Non mi meraviglierebbe che se la passasse meglio del mio console di quaggiù. Povero vecchio Martin, gli tocca stare a stecchetto. Non ce la fa sicuramente a comprarsi macchine su macchine sullo stipendio, e nemmeno io, ce la faccio. A differenza dell'ambasciatore del Panama. Dio mio, la mia povera moglie è legata mani e piedi con quel poeta, come si chiama? » 
« Non lo so. » 
« Appunto, volevo dire, Plarr, lei, non è così?... Dato che vive lassù... Io non ho mai conosciuto quel tale Hum-
phries... oh, ne mandano a branchi. » 
« Di Humphries? » 
« No, no: di poeti. Se poeti sono. Il British Council dice sempre che è così, ma io non li ho mai sentiti nominare. Al suo ritorno lassù, Plarr, faccia il possibile. Mi fido di lei come di uno che sa dire la parola giusta al momento giusto... niente scandali, lei capisce dove voglio arrivare... Quel tipo, Humphries, ci sento l'uomo che finisce per scrivere a casa: al Foreign Office. Dopo tutto, a noi non ci riguarda chi sposa Fortnum. Se in qualche modo, con delicatezza, riuscisse a dire a quell'Humphries di pensare ai fatti suoi senza seccarci oltre. Grazie a Dio, sta invecchiando: Fortnum, intendo. Lo metteremo a riposo alla prima occasione. Santo cielo, guardi la mia infelice moglie. È in trappola. » 
« Andrò a salvarla, se le fa piacere. » 
« Lo farebbe davvero, carissimo? Io non oso. Questi poeti, una banda di bruti permalosi. E finisco sempre per con-
fondere i loro nomi. Sono come il nostro tipo, Humphries, scrivono a casa, allo Arts Council. Non dimenticherò quello che fa per me, Plarr. Qualunque cosa possa aver bisogno... lassù... » 
Al suo ritorno al nord, il dottore si trovò con più lavoro del solito sulle braccia. Non aveva tempo per Humphries, quel vecchio mettimale, e il matrimonio di Charley Fortnum, felice o infausto che fosse, non lo interessava per nulla. Una volta, quando una osservazione qualunque gli richiamava alla 
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memoria le parole dell'ambasciatore, si chiedeva se per caso Charley non avesse sposato la governante, quella donnina dalla faccia grifagna che gli aveva aperto la prima volta che si era recato al consolato. Non sembrava un matrimonio del tutto improbabile. I vecchi, come i preti dissidenti, sposano spesso le loro governanti, si sente dire, talvolta per una misura di falsa economia, talaltra per il timore di una 
morte solitaria. Agli occhi del dottor Plarr, ancora nella prima trentina, la morte appariva sotto le spoglie di un fortuito incidente stradale o di un imprevedibile cancro, ma nella mente del vecchio essa era la inevitabile conclusione di una lunga e incurabile malattia. Forse l'alcoolismo di Charley Fortnum altro non era che un sintomo della sua paura. 
Un pomeriggio, mentre il dottore stava facendo un'ora di siesta, suonarono il campanello. Aprì la porta e si trovò davanti la donna simile a un falco, tutta ispida e vigile sempre nella speranza predace della sua carogna. Fu sul punto di tirare a indovinare e chiamarla Señora Fortnum. 
Si sarebbe sbagliato. Il Señor Fortnum, disse la donna, le aveva telefonato dal campo. Sua moglie stava male; voleva il dottor Plarr, che andasse subito laggiù, a visitarla. 
« Ha detto cosa ha? » 
« La Señora Fortnum ha mal di pancia » rispose la donna con sprezzo. Evidentemente il matrimonio non era andato giù nemmeno a lei, oltre che al dottor Humphries. 
Il dottor Plarr prese la macchina e guidò fino al campo nella frescura della sera. I piccoli stagni sui due lati della strada maestra sembravano chiazze di piombo liquefatto nell'indugiare dell'ultima luce. L'Orgoglio di Fortnum stava in fondo a una stradetta fangosa all'ombra di un folto di avocado, i cui frutti bruni e pesanti avevano la forma e la grossezza di palle di cannone. Sulla veranda del bungalow sgan-
gherato Charley Fortnum sedeva di fronte a una bottiglia di whisky, un sifone e due bicchieri miracolosamente vuoti. « L'ho aspettata » disse con aria di rimprovero. 
« Non ho potuto fare più presto. Cosa c'è che non va? » 
« Clara ha avuto dei dolori molto forti. » 
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« Vado a vederla. » 
« Prenda un whisky prima. Mi sono affacciato ora da lei; dorme. » 
« Grazie allora, con piacere. Ho sete. La strada è molto polverosa. » 
« Soda? Faccia segno quando basta. » 
« Proprio fino all'orlo. » 
« Volevo prima parlare con lei, in ogni modo... Ha saputo del mio matrimonio, probabilmente? » 
« E stato l'ambasciatore a dirmelo. » 
« Probabilmente ha fatto dei commenti. » 
« No. Perché? » 
« Ci sono state chiacchiere su chiacchiere. E Humphries mi evita. » 
« Una fortuna, questa. » 
« Vede... » Fortnum esitava. « Beh, è molto giovane, mia moglie » disse. Non era chiaro se egli stesse giustificando i suoi critici o volesse parlare in sua discolpa. 
Il dottor Plarr ripetè: « Un'altra fortuna ». 
« Non ha ancora vent'anni e io, come lei sa, non rivedrò più i sessanta. » 
Il dottor Plarr si chiese se non lo avessero chiamato per consigliare Fortnum su qualche problema di meno facile soluzione che non il mal di pancia della moglie. Riempi un silenzio che gli pareva potesse sembrare imbarazzante, vuotando il suo bicchiere. 
« Non è questo il problema » disse Charley Fortnum. (Il dottor Plarr fu sorpreso da tanta perspicacia.) « Per ora ce la faccio abbastanza bene... e poi... c'è sempre la bottiglia, non è vero? Una vecchia amica di famiglia; questa bottiglia, intendo. Aiutava sempre anche mio padre, il vecchio bastardo. Volevo semplicemente spiegarle chi è lei; altrimenti potrebbe meravigliarsi a vederla. È tanto giovane; timidissima, poi. Non è abituata a questo genere di vita. Una casa così, e i servi. E la campagna. C'è un silenzio terribile 
in campagna, quando cala la notte. » 
« Di dov'è? » 
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« Di Tucumán. Vero sangue indiano. Di lontana discendenza, naturalmente. Devo avvertirla: non le vanno troppo, 
i medici. Ha dei cattivi ricordi di loro. » 
« Tenterò di conquistare la sua fiducia » disse il dottor Plarr. 
« Questi dolori, vede, » disse Charley Fortnum « mi è venuto in mente che poteva essere un bambino, o altro del genere. » 
« Non prende la pillola? » 
« Lei sa bene come sono questi spagnoli cattolici. Superstizioni, naturalmente: come il fatto di camminare sotto una scala. Clara ignora tutto di Shakespeare, ma sa ogni cosa sul Papa come-si-chiama... Comunque dovrò procurarmi le pillole tramite l'ambasciata, in un modo o nell'altro. Se lo immagina cosa diranno? Qui, non si possono comprare nemmeno sottobanco. Naturalmente ho sempre messo il preservativo fino a quando non abbiamo vissuto veramente insieme. » 
« Così, lei si è portato tutto il peso del peccato per sua moglie? » lo stuzzicò Plarr. 
« Beh, la mia coscienza è diventata piuttosto insensibile con gli anni. Una piccola cosa in più non le farà gran male. E se lei è più contenta così... Quando avrà finito il suo whisky... » 
Guidò il dottor Plarr lungo un corridoio adorno di stampe vittoriane con immagini di vita sportiva: cavalieri in procinto di cadere in un ruscello, che si voltano attratti da un ciuffolotto in volo, rimbrottati dal maestro. Fortnum camminava leggero sulla punta dei piedi. In fondo al corridoio schiuse una porta, appena di una fessura, e si affacciò all'interno. « Mi pare sveglia » disse. « Mi troverà sulla veranda, Ted, insieme al whisky. Non ci metta troppo. » 
Una candelina elettrica stava accesa ai piedi di una statuetta di santa, una santa che il dottor Plarr non riconobbe e che gli fece pensare per un attimo alle cellette che si distribuivano attorno al patio della Señora Sánchez, ognuna con la sua candela votiva. « Buona sera » disse, rivolgendosi 
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alla testa sul guanciale. Il volto era così celato dai capelli scuri che se ne vedevano soltanto gli occhi, occhi che gli restituirono uno sguardo ammiccante, come quello di un gatto da un cespuglio. 
« Non voglio essere visitata » disse la ragazza. « Non voglio essere visitata. » 
« Non voglio visitarla. Desidero solo alcune notizie sul suo mal di pancia, ecco tutto. » 
« Va meglio ora. » 
« Bene. Farò presto allora. Posso accendere la luce? » 
« Se proprio deve » disse lei, e si scostò i capelli dal viso. Sotto la scriminatura il dottor Plarr vide una piccola voglia grigia, nel punto dove le indù... 
Disse: « Dov'è all'incirca il dolore? Mi faccia vedere ». Ella scostò il lenzuolo e indicò un punto del corpo nudo. Egli protese la mano a toccarla, ma lei distolse la persona. 
Il dottor Plarr disse: « Non abbia paura. Non la visiterò al modo del dottor Benevento » e la sentì trattenere il respiro. 
Gli permise comunque di premerle il ventre con le dita. 
« Qua? » 
« Sì. » 
« Niente di cui preoccuparsi » spiegò egli. « Una lieve infiammazione all'intestino. » 
« Intestino? » La parola doveva apparirle estranea, e tale da incutere spavento. 
« Lascio a suo marito della polvere di bismuto. La prenda sciolta nell'acqua; con un po' di zucchero, non è male. E non berrei whisky, se fossi lei. E più abituata al succo d'arancia, non è così? » 
La ragazza lo guardò con espressione sconcertata e in un sussurro chiese: « Come si chiama, lei? ». 
« Plarr » disse. E aggiunse: « Eduardo Plarr ». Si chiese se lei conoscesse altri cognomi d'uomo, salvo Fortnum. 
« Eduardo » ripetè lei, e questa volta lo guardò più arditamente. Chiese: « Io non la conosco mica, vero? ». 
« No. » 
« Ma lei conosce il dottor Benevento. » 
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« L'ho incontrato una volta o due. » Si alzò in piedi. « Non credo che quelle visite del giovedì pomeriggio fossero troppo piacevoli. » E, prima che la ragazza riuscisse a dire qualcosa: « Lei non è malata. Non deve rimanere a letto ». 
« Charley » (pronunciava il nome con un accento sull'ultima sillaba, dicendo Charlì) « mi ha detto che dovevo rimanerci, a letto, fino alla visita del dottore. » 
« Beh, il dottore è venuto, ora, no? Per questo, non c'è più bisogno di... » 
Quando si volse a guardarla dalla soglia, vide che lo stava osservando. Si era scordata di coprirsi nuovamente con il lenzuolo. Plarr disse: « Non le ho chiesto come si chiama ». 
« Clara. » 
« L'unica ragazza che ho mai conosciuto laggiù è Teresa. » 
Ritornando lungo il corridoio, pensò alla statuetta di Santa Teresa d'Avila che aveva presieduto ai suoi esercizi e a 
quelli, più letterari, del dottor Saavedra. Probabilmente quella che oggi posava lo sguardo protettivo sul letto di Charley Fortnum era l'amica di San Francesco. Ricordò il modo in cui la ragazza gli era apparsa la prima volta, china a rassettare le lenzuola nella sua cella; stava piegata come le ne-
gre, direttamente dalla vita. Ormai si era abituato a troppi corpi di donna. La prima volta che era diventato l'amante di una delle pazienti, a eccitare il suo desiderio non era stato il corpo, ma una leggera balbuzie e un odore incerto, che 
non riusciva a definire. Il corpo di Clara non aveva nulla di particolare, salvo una magrezza non troppo alla moda, la piccolezza dei seni, le cosce acerbe, il quasi impercettibile monte di Venere. Forse si avvicinava ai vent'anni, ma non ne dimostrava più di sedici; Mamma Sanchez le reclutava 
per tempo. 
Si arrestò dinanzi alla stampa di un uomo in giubba scarlatta issato su un cavallo impetuoso che aveva sorpassato i segugi; rosso in faccia, il maestro agitava il pugno contro il colpevole, mentre al di là dei cani si estendeva un paesaggio di campi e di siepi, con un piccolo ruscello bordato da quelli che egli concepì come salici: un inconsueto paesaggio 
campestre, straniero. Con un senso di stupore, si disse: non ho mai visto un ruscello piccolo come questo. Nel continente dove viveva perfino i più piccoli tributari dei grandi fiumi superavano in ampiezza quel Tamigi che si vedeva nel li-
bro di fotografie di suo padre. Provò nuovamente a dirsi la parola "ruscello", sulla lingua: un ruscello deve avere un suo strano fascino poetico. Non si poteva chiamare ruscello l'insenatura d'acque basse dove talvolta andava a pescare e dove non si poteva fare il bagno a causa delle razze. Un 
ruscello ha da essere placido, di corrente gentile, ombreggiato dai salici, senza pericoli. Questa terra, pensò, è davvero troppo vasta per gli esseri umani. 
Charley Fortnum lo stava aspettando con i bicchieri di nuovo pieni. Con disagio mascherato di giocosità, disse: 
« Ebbene, qual è il verdetto? ». 
« Niente. Una leggera infiammazione. Non c'è ragione che stia a letto. Le darò qualcosa da prendere, sciolta in acqua; prima dei pasti. Non le farei bere whisky. » 
« Non volevo che corresse alcun rischio, Ted. Non ci capisco gran che nelle donne: il dentro delle donne e compagnia. La mia prima moglie non era mai malata. Era della Christian Science. » 
« Prima di farmi fare tutta la scarrozzata fin qua, un'altra volta mi dica due parole al telefono. Ho un gran daffare in questo periodo dell'anno. » 
« Probabilmente lei penserà che sono un idiota, ma Clara ha tanto bisogno di protezione. » 
« Con quel genere di vita... direi che avrebbe dovuto imparare a badarsi da sé. » 
« Che cosa intende? » 
« Lavorava con Mamma Sanchez, non è così? » 
Charley Fortnum strinse il pugno. Una bollicina di whisky gli tremolava a un angolo delle labbra. Il dottor Plarr ebbe la sensazione precisa di vedere materialmente il salire 
della sua pressione sanguigna. « Che cosa sa di lei? » 
« Non sono mai andato con lei, se è questo che teme. » 
« Credevo che fosse uno di quei bastardi... » 
« Lei certamente lo è stato, uno di quelli. Mi sembra di ricordare il nome di una ragazza, Maria di Cordoba; fu lei a citarmelo. » 
« Era tutt'altra cosa: una cosa fisica, quella. Lo sa che non ho toccato Clara per mesi? Mai, fino a quando non ho avuto la certezza che almeno un poco mi amava. Parlavamo insieme, ecco tutto. Naturalmente andavo nella sua stanza, altrimenti avrebbe passato dei guai con la Señora. Ted, non mi crederà, ma io non ho mai parlato a nessuno come quella ragazza. Lei si interessa a tutto quello che le racconto. L'Orgoglio di Fortnum. Il raccolto di matè. Il cinema. S'intende un sacco di cinema. Io, prima, non me ne occupavo gran che, ma lei sa sempre l'ultima novità su una donna di nome Elizabeth Taylor. L'ha sentita nominare, lei?... e di un certo Burton, sa qualcosa? Avevo sempre pensato che Burton fosse una marca di birra. Abbiamo perfino parlato di Evelyn, ...la mia prima moglie. Glielo dico io, ero molto solo davvero prima di conoscere Clara. Dirà che son stupidaggini, ma l'ho amata dal primo momento che l'ho vista. Chissà come, fin dal principio non ho desiderato nulla, nulla fino a quando non lo ha desiderato anche lei. Lei, questo non lo capiva; pensava che io non funzionassi. Invece era vero amore, non amore da bordello quello che volevo io. Immagino che anche lei, questo, non lo possa capire. » 
« Non so bene cosa significhi esattamente la parola amore. 
Mia madre ama il dulce de leche. Così mi racconta. » 
« Non è mai stato amato da nessuna donna, Ted? » indagò Fortnum. Una sorta di ansietà paterna nella sua voce irritò Plarr. 
« Due o tre mi hanno detto così, ma non hanno avuto grandi difficoltà a rimpiazzarmi dopo il mio addio. Solo l'amore di mia madre per i pasticcini non mostra di cambia-
re. Li amerà in salute e malattia, fino a che morte non li 
separi. Forse è quello il vero amore. » 
« Lei è troppo giovane per essere cinico. » 
« Non sono cinico. Sono curioso, ecco tutto. Mi piace ca-
pire il significato che la gente dà alle sue parole. La semantica ha un peso enorme nelle cose. Ecco perché noi, in me-
dicina, preferiamo spesso servirci di una lingua morta. Non rimangono spazi per gli equivoci, con una lingua morta. Come ha fatto a portar via la ragazza a Mamma Sánchez? » 
« Ho pagato. » 
« E lei, com'era, felice di andarsene? » 
« Da principio un poco sconcertata, e impaurita anche. La Señora Sánchez era una furia. Non le andava affatto di perderla. Le disse che non l'avrebbe più ripresa, se mi fossi 
stancato di lei. Come se questo potesse succedere. » 
« La vita è lunga. » 
« La mia no. Sia sincero, Ted. Mi darebbe ancora dieci anni di tempo? Anche se ho un po' tagliato con il bere da che conosco Clara. » 
« E cosa ne sarà di Clara, dopo? » 
« Questa proprietà non è da buttar via. Potrà venderla e andarsene a Buenos Aires. Ci puoi cavare un interesse del quindici per cento già ora senza rischi. Perfino il diciotto, se 
hai fortuna. E lei sa che io posso importare un'auto ogni due anni... Forse mi rimangono altre cinque macchine, prima di tirare il calzino. Ho calcolato che questo forse vuol dire altre cinquecento sterline l'anno. » 
« Potrebbe sgranocchiare pasticcini al Richmond insieme a mia madre. » 
« Scherzi a parte, sua madre accetterebbe di conoscere 
Clara un giorno? » 
« Perché no? » 
« Lei non sa fino a che punto Clara mi ha cambiato la vita. » 
« Anche lei, Fortnum, deve averla notevolmente cambiata a Clara » disse il dottor Plarr. 
« Quando si arriva alla mia età si accumulano molti rimpianti. È una cosa buona sentire che si è resa felice, almeno una persona, anche se solo un poco. » 
Era questo il genere di affermazione semplice, sentimentale e convinta che faceva sentire il dottor Plarr imbarazzato, senza parole per una risposta impossibile. Sarebbe stato un gesto di durezza metterla in dubbio, ma era impossibile 
confermarla. Si scusò di doversi congedare, e prese la via del ritorno. 
Lungo tutta la buia strada di campagna, non fece che pensare alla giovane donna nel grande letto vittoriano, letto che, insieme alle stampe di scene sportive, era apparte-
nuto al padre del console onorario. La ragazza era come un uccello che, comprato al mercato nella sua gabbietta di fortuna, era stato trasferito in un'altra gabbia a casa, voliera più spaziosa e di lusso, attrezzata di trespoli e ciotole per il becchime e con un'altalena per dondolarsi. 
Considerava con stupore il fatto di dedicare per così lungo tempo i pensieri a una ragazza che in fondo altro non era che una giovane prostituta, notata una volta nell'azienda della Señora Sánchez a causa della sua bizzarra piccola voglia. Ma Charley, l'aveva realmente sposata? Forse il dottor Humphries, nel parlare di matrimonio, aveva equivocato, dando false preoccupazioni all'ambasciatore. Probabilmente Charley Fortnum si era preso una nuova governante: tutto qui. Se la cosa stava così, egli sarebbe stato in grado di rassicurare l'ambasciatore. Una moglie fornisce materia più grave di scandalo che non un'amante. 
Ma i suoi pensieri erano come le parole scritte con deliberata banalità in una lettera clandestina in cui le frasi importanti sono da aggiungere fra le righe, in inchiostro segreto, per venir poi sviluppate privatamente. Le frasi nascoste descrivevano una ragazza in una cella, china a rassettare 
il suo letto, una ragazza che ritornava al suo tavolo e riprendeva in mano il suo bicchiere di aranciata, quasi fosse stata un attimo semplicemente interrotta da un venditore alla porta di casa; un corpo sottile, disteso nel letto matri-
moniale di Charley Fortnum, un corpo dai seni immaturi che non avevano mai allattato un bambino. Le tre amanti del dottor Plarr erano state tutte donne sposate, donne mature orgogliose dei loro corpi in piena fioritura, profumati di costosi olii da bagno. Doveva esser stata una brava put-
tana, perché due uomini se la prendessero uno dopo l'altro, malgrado quel suo corpicino; ma questa non era una ragione perché lui pensasse a lei per tutta la strada fino a casa. Tentò di mutare direzione ai pensieri. C'erano due casi disperati di denutrizione nel barrio dei poveri, un ufficiale di polizia che aveva in cura presto sarebbe morto di cancro alla gola, c'erano la malinconia di Saavedra e la doccia gocciolante del dottor Humphries, eppure aveva un bel provare, ma la sua mente ritornava in continuazione alla piccola collina di Venere: monte non si poteva chiamare. 
Si chiese quanti uomini avesse conosciuto. L'ultima amante del dottor Plarr, sposata a un banchiere di nome Lopez, gli aveva raccontato con una certa fierezza dei quattro predecessori di lui, Plarr, forse nel tentativo di risvegliare il suo spirito di competizione. (Da altra fonte aveva saputo che uno di quegli amanti era stato l'autista di lei.) Il fragile corpo sul letto di Charley Fortnum doveva averne conosciuti a centinaia. Il suo ventre era come il luogo di un antico campo di battaglia nella campagna dove oggi spuntava un'erba tenera, che aveva cancellato le cicatrici della guerra, e un piccolo ruscello scorreva placido fra gli alberi di salice: egli era di nuovo là, nel corridoio, a osservare le stampe con scene sportive e tutto resistenza contro il desiderio di tornare. 
Nell'avvicinarsi alla strada di accesso della fabbrica di arance in scatola di Bergman, frenò bruscamente, e per un attimo contemplò la possibilità di voltare e ritornare al campo. Invece, si accese una sigaretta. Non sarò vittima di una ossessione, rifletté. L'attrattiva del bordello è la stessa che provo talvolta nel fare compere: mi capita di vedere una cravatta che mi colpisce, la metto una, due volte, poi l'abbandono in un cassetto ed eccola sepolta da altre cravatte via via più nuove. Perché non se l'era provata quando ne aveva avuto l'occasione? L'avessi comprata quella sera dalla Señora Sánchez, ora se ne starebbe al sicuro, dimenticata, in fondo al cassetto. È possibile, si chiese, che un uomo troppo razionale per innamorarsi abbia in serbo il destino peggiore dell'ossessione amorosa? Riprese rabbiosamente a guidare alla volta della città, laddove la striscia del riflesso delle luci si appiattiva lungo l'orizzonte e le Tre Marie stavan sospese alla loro catena spezzata nel cielo lassù. 
Di lì a poche settimane il dottor Plarr si svegliò presto. Era un sabato e aveva alcune ore libere. Decise di passarle all'aperto in compagnia di un libro, finché la mattina si manteneva fresca; preferiva un qualche luogo appartato, lonta-
no dalla vista della segretaria e dei suoi libri cosiddetti seri, quelli del dottor Saavedra fra gli altri. 
Scelse una raccolta di racconti di Jorge Luis Borges, uno scrittore che condivideva i gusti che egli stesso aveva ereditato dal padre: Conan Doyle, Stevenson, Chesterton. Finzioni si sarebbe rivelato variazione gradita dall'ultimo romanzo di Saavedra, un libro che era stato incapace di finire. Plarr era stanco di eroiche gesta sudamericane. E ora, seduto all'ombra del monumento a un eroico sergente (daccapo col machismo) che aveva salvato la vita di San Martin (forse un secolo e mezzo fa?) leggeva con enorme senso di riposo della Contessa di Bagnoregio, di Pittsburgh e di Monaco. Dopo un certo tempo gli venne sete. Per apprezzare Borges come si deve bisogna assaporarlo come un salatino al formaggio insieme a un aperitivo, ma con quel caldo il dottor Plarr desiderava una bevanda più diluita. Decise di far visita all'amico Gruber e chiedergli una birra tedesca. 
Gruber era stato uno dei suoi primi amici nella città. Da ragazzo, era fuggito dalla Germania del 1936, all'epoca in cui la persecuzione contro gli ebrei si intensificava. Benché 
figlio unico, i suoi genitori avevano ugualmente insistito per quella sua fuga all'estero, anche solo per salvare dall'estinzione il nome dei Gruber, e sua madre gli aveva confezionato una torta speciale per il viaggio, dove nascondere le poche cose di valore che erano riusciti a mandar via insieme al figlio: l'anello di fidanzamento della madre incastonato in diamantucci trascurabili e la fede d'oro del padre. Gli avevano detto di esser troppo vecchi per rifarsi una vita nuova lontano, in un continente straniero, e avevano finto di credere di essere troppo vecchi per essere considerati individui pericolosi in seno allo stato nazista. Naturalmente il figlio non ne aveva più avuto notizia; anch'essi avevano aggiunto le loro due crocette tremolanti alla formula matematica della Soluzione Finale. E così, anche Gruber, come il 
dottor Plarr, era un uomo senza padre. Non possedeva nemmeno una tomba di famiglia. Attualmente mandava avanti un negozio di articoli fotografici nella principale via commerciale della città, la quale, con il suo traboccare di insegne e di slogan pubblicitari che sporgevano al disopra dei marciapiedi, aveva un'aria cinese. Era anche ottico, il Gruber. « I tedeschi » aveva detto una volta al dottor Plarr « ispirano sempre fiducia come chimici, ottici e specialisti in articoli di fotografia. La gente ha sentito parlare più di Zeiss e di Bayer che non di Goebbels e di Goering, e ancora di più in questa città sono quelli che hanno sentito par-
lare di Gruber. » 
L'ottico lasciò che il suo cliente si installasse nella zona privata del negozio, mentre egli continuava a lavorare alle sue lenti. Da quella stanza il dottore poteva vedere senza essere visto tutto quello che succedeva, poiché Gruber (appassionato di apparecchi strani) vi aveva inserito una piccola televisione a circuito chiuso, sul cui schermo poteva seguire, miniaturizzati, come in un programma da cinema verità, i clienti là fuori, nel negozio. Per qualche oscuro motivo che Gruber non era mai riuscito a spiegarsi, quel negozio attirava le più belle ragazze della città (non esisteva boutique che potesse stargli a confronto), come se bellezza 
e gusto della fotografia fossero congiunte. Le ragazze entravano in frotta a ricevere le loro istantanee a colori e le esaminavano con gridolini di eccitazione, il loro chiacchierare era come un cinguettio. Il dottor Plarr le osservava mentre beveva la sua birra e intanto ascoltava dalle labbra di Gru-
ber i pettegolezzi della provincia. 
« Hai mai conosciuto la donna di Charley Fortnum? » chiese Plarr. 
« Vorrai dire sua moglie? » 
« Come fa a essere la moglie? Charley Fortnum è divorziato. E qui, non esistono secondi matrimoni. Va bene per gli scapoli come me. » 
« Non hai saputo che la sua prima moglie era morta? » 
« No. Sono stato via. E l'altro giorno, quando ci siamo rivisti, non ne ha fatto parola. » 
« Se n'è andato con questa seconda ragazza a Rosario e si è sposato con lei laggiù. Così dice la gente. Nessuno poi sa nulla, naturalmente. » 
« Ha fatto una cosa strana, in fondo. Che bisogno ne aveva? Lo sai dove ha trovato la ragazza? » 
« Sì, ma la ragazza è un amore » rispose Gruber. 
« Sì, questo sì, una delle migliori della compagnia di Mamma Sánchez. Ma non è obbligatorio sposarla, una ragazza, soltanto perché è bella. » 
« Le ragazze di quel genere spesso sono ottime mogli, specialmente per uomini vecchi. » 
« Perché vecchi? » 
« I vecchi non sono molto esigenti e le ragazze come quella sono contente di prendersi riposo. » 
La frase "come quella" irritò il dottor Plarr. Dopo una settimana continuava a essere ossessionato dall'insignificante corpo che Gruber aveva classificato con tanta disinvoltura. Ora, sul piccolo schermo televisivo, vedeva una ragazza piegarsi sul banco per comprare un rullo Kodak allo stesso modo in cui Clara si era piegata sul suo letto dalla Señora Sánchez. Era più bella della moglie di Charley Fortnum, eppure non sentiva nessun desiderio di lei. 
« Le ragazze come quella sono felicissime di essere lasciate in pace » ripete Gruber. « Lo sai che considerano una fortuna quando capita il visitatore impotente o troppo ubriaco per funzionare. Esiste un'espressione locale per dir questo, ...ho dimenticato il termine spagnolo, ma vuol dire "visitatore da quaresima". » 
« Ci sei andato spesso, dalla Sánchez? » 
« Perché dovrei? Guarda alle tentazioni vicinissime, con 
tutte queste deliziose clienti. Mi portano certe pellicole da sviluppare, assai intime, e quando porgo il pacchetto a qualcuna, vedo bene il suo sguardo divertito. Ha notato il momento in cui mi è scivolato di dosso il bikini, pensa ...ed è così, l'ho notato. A proposito, l'altro giorno sono passati due uomini che hanno chiesto di te. Volevano sapere se tu fossi per caso il medesimo Eduardo Plarr che avevano conosciuto anni fa, ad Asunción. Hanno visto il tuo nome sulle 
pellicole che ti mandai giovedì scorso. Naturalmente ho ri-
sposto che non ne avevo idea. » 
« Erano della polizia? » 
« Non ne avevano l'aria, ma naturalmente meglio non rischiare. Ne ho sentito uno chiamar l'altro padre; non pareva abbastanza vecchio per essere il padre vero, e non era vestito da prete, cosa che mi ha messo in sospetto. » 
« Sono in buoni rapporti con il commissario, qui in città. A volte chiama me, quando il dottor Benevento è in ferie. Pensi che quegli uomini vengano da oltre frontiera? Agenti del generale, forse? Ma perché dovrebbero interessarsi a me? Non ero che un ragazzo, quando venni via... » « Lupus in fabula » disse Gruber. 
Il dottor Plarr levò rapido lo sguardo allo schermo televisivo aspettandosi di vedervi riflessi i due stranieri; invece, non vide altro che una ragazza sottile con occhiali di dimensioni esagerate: avrebbero potuto servire a un pescatore su-
bacqueo. « Compra occhiali da sole » spiegò Gruber « come le altre donne si comprano gioielli antichi. Gliene ho venduti almeno quattro paia. » 
« Chi è? » 
« Dovresti saperlo; ne parlavi proprio adesso. La moglie di Charley Fortnum. O ragazza, se preferisci così. » 
Il dottor Plarr depose la birra e passò nel negozio. La ragazza stava esaminando un paio di occhiali ed era troppo assorbita per notarlo. Le lenti erano color lilla squillante, 
bordate di incandescente giallo, con le asticciole della montatura incrostate di schegge tipo ametista. Si tolse gli occhiali che aveva indosso e provò i nuovi; subito la invecchiaro-
no di dieci anni. Gli occhi non si vedevano praticamente più; tutto ciò che egli riusciva a vedere era la propria faccia tinta di lilla riflessa in uno specchio. 
La commessa diceva: « Li abbiamo appena ricevuti da Mar del Piata. Sono la gran moda, laggiù ». 
Il dottor Plarr sapeva che Gruber con ogni probabilità lo stava vedendo alla televisione, ma perché preoccuparsene? 
Domandò: « Le piacciono, Senora Fortnum? ». 
Ella disse: « Chi...? Oh, è lei, dottor, dottor...? ». 
« Plarr. La invecchiano moltissimo, ma naturalmente lei può permettersi di aggiungere qualche anno. » 
« Costano troppo. Me li provavo così, per divertimento. » 
« Li incarti » disse lui alla commessa. « E una custodia... » 
« Hanno già la loro custodia, dottore » rispose la commessa, e cominciò a lustrare le lenti. 
« No, non posso... » si opponeva Clara. 
« Ma sì. Sono amico di suo marito. » 
« Allora va bene, con questo? » 
« Sì. » 
La ragazza fece un piccolo salto; in seguito, avrebbe imparato che questo era il suo modo di esprimere la gioia di fronte a qualsiasi regalo, fosse anche un pasticcino. Non aveva mai visto una donna accettare i regali con tanta spontaneità, con meno storie. Clara disse alla commessa: « Per favore, li metto subito. Metta nella custodia i vecchi ». Con questi occhiali, pensò lui, sembra piuttosto la mia amante, 
ha meno l'aria della sorellina minore. 
« È stato veramente gentile » disse, col tono della scolara bene educata. 
« Venga sul lungofiume, dove si può parlare. » Vedendola esitare, aggiunse: « Nessuno potrebbe riconoscerla con questi occhiali. Nemmeno suo marito ». 
« Non le piacciono? » 
« No, affatto. » 
« Io ho pensato che avevano un'aria molto ricca, e molto elegante » disse lei un po' delusa. 
« Sono un buon travestimento. Ecco perché ho voluto che li avesse. Nessuno, ora, potrà riconoscere la giovane Señora 
Fortnum insieme a me. » 
« Chi potrebbe riconoscermi ? Io non conosco nessuno e Charley è a casa. Mi ha mandato con ih fattore. Gli avevo 
detto che volevo far spese. » 
« Comprare cosa? » 
« Oh, così. Non sapevo cosa. » 
Camminava contenta al suo fianco, seguendolo in qualsiasi direzione egli scegliesse di andare. Plarr era un poco infastidito dall'agevolezza con cui le cose stavano succedendo. Ricordò lo stupido conflitto che gli aveva agitato i pensieri quando aveva provato il desiderio di far marcia indietro verso il campo, e il numero di occasioni in cui, per tutta la settimana precedente, era rimasto sveglio nel buio a domandarsi quale sarebbe stata la mossa giusta da fare per rivederla ancora. Avrebbe dovuto saperlo bene che la cosa non era difficile, non certo più difficile del seguirla fino alla sua celletta da Mamma Sánchez. 
Clara disse: « Oggi non ho paura di lei ». 
« Forse perché le ho fatto un regalo. » 
« Sì, forse è anche questo. Un uomo non farebbe mai un regalo a una persona che non gli piace, non è così? Invece l'altro giorno ho pensato che non le piacevo. Pensavo che 
lei mi era nemico. » 
Giunsero alla riva del Paraná. Un piccolo bastione si protendeva nel fiume, frangiato di colonne bianche a formare 
un tempietto per una figura nuda, statua di classica innocenza che fronteggiava l'àcqua. Il brutto isolato giallo dove egli viveva rimaneva nascosto dagli alberi. Le foglie avevano la consistenza delle più leggere fra le -piume; davano un'illusione di frescura perché sembravano in perenne mobilità: un alito d'aria impercettibile alla pelle bastava a farle ondeggiare. Una pesante chiatta passò dinanzi a loro; risaliva il fiume, tossicchiando contro la corrente, e la consueta nera piuma di fumo si adagiava di traverso sul Chaco. 
Ella si sedette e si mise a fissare il Paraná; quando egli 
la guardò, non vide altro che il proprio viso riflesso .nella lente-specchio. « In nome di Dio, si levi quegli occhiali. 
Non ho voglia di radermi. » 
« Radersi? » 
«Guardo me stesso in questo modo due'volte al giorno; più che abbastanza. » 
Obbediente, li tolse ed egli vide i suoi occhi, marroni e senza espressione e senza nulla che li distinguesse dagli oc-
chi di tutte le donne spagnole che aveva conosciuto. Lei disse: « Non capisco ». 
« Oh, scordi le mie parole. È vero che siete sposati? » 
« Sì. » 
« Che effetto fa? » 
« Credo che sia come portare il vestito di un'altra ragazza; non me lo sento bene addosso » rispose lei. 
« Perché lo ha fatto? » 
« Voleva lui, sposarsi. Qualcosa a che fare con i suoi soldi, quando morirà. E se verrà un bambino... » 
« Ne avete messo in ponte uno? » 
« No. » 
« Beh, dev'essere miglior vita che da Mamma Sánchez. » 
« È una cosa diversa. Sento la nostalgia delle ragazze. » 
« E gli uomini? » 
« Oh, non m'importa di loro. » 
Erano soli sulla lunga passeggiata che costeggia il Paraná: per gli uomini era l'ora del lavoro, per le donne quella del mercato. Ogni cosa nella città aveva la sua ora adatta: l'ora del Paraná era la sera, e allora veniva il momento dei giovani innamorati veri, che si tengono la mano senza dir 
nulla. Plarr disse: « Quando deve essere a casa? ». 
« Il capataz mi viene a riprendere alle undici, all'ufficio di Charley. » 
« Sono le nove, ora. Come riempirà il tempo? » 
« Guarderò le vetrine, e prenderò un caffè. » 
« Non vede mai i suoi vecchi amici? » 
« Le ragazze dormono tutte a quest'ora. » 
« Li vede quegli appartamenti là, dietro gli alberi? » chiese il dottor Plarr. « Ci sto io. » 
« Sì? » 
« Se vuole un caffè, glielo posso fare. » 
« Sì? » 
« Oppure succo d'arancia » aggiunse. 
« Oh, il succo d'arancia non mi piace, in fondo. La Señora Sánchez diceva che non bisogna ubriacarsi, ecco tutto. » Egli chiese: « Viene da me? ». 
« Non va bene, vero? » chiese lei, come chiedendo consiglio a una persona amica in cui aveva fiducia. 
« Da Mamma Sánchez andava bene... » 
« Ma laggiù dovevo guadagnarmi da vivere. Mandavo i soldi a casa, a Tucumán. » 
« E ora, cosa succede? » 
« Mando soldi a Tucumán lo stesso. Me li dà Charley. » 
Egli fu in piedi e protese la mano. « Vieni. » Era pronto ad arrabbiarsi se ella avesse esitato, ma lei gli prese la mano con la stessa obbedienza vacua e lo seguì attraverso la strada, come se la distanza non fosse maggiore di quella che separava dal patio le celle di Mamma Sánchez. L'ascensore, tuttavia, la fece esitare. Gli disse di non esser mai salita in un ascensore; erano poche le case della città che superavano i due piani di altezza. Serrava la mano a pugno per l'eccitazione e la paura, e quando raggiunsero l'ultimo piano chiese: « Possiamo riprovare, per favore? ». 
« Quando te ne andrai. » 
La portò direttamente in camera sua e cominciò a spogliarla. Un gancio del vestito non si apriva e fu lei a pensarci. Tutto quello che disse, mentre giaceva nuda sul letto in attesa che egli la raggiungesse, fu: « Quegli occhiali da sole le sono costati molto di più che una visita dalla Señora Sánchez ». Plarr si chiese se lei pensasse a quegli occhiali come a un pagamento anticipato. Ricordò il modo in cui Teresa soleva contare i pesos per deporli poi su una mensola ai piedi della sua santa, quasi fossero stati, quei soldi, frutto di una colletta in chiesa. Sarebbero stati divisi successivamente, in giusta proporzione con la Señora Sánchez: il regalo personale veniva sempre e soltanto dopo. 
Mentre la raggiungeva pensò con sollievo: "Questa è la fine della mia ossessione", e quando Clara gridò, si disse: 
"Sono di nuovo un uomo libero; posso dir buonanotte alla Señora Sánchez che se ne sta seduta a sferruzzare nella sua sedia a sdraio e ritornarmene lungo il fiume con un senso 
di leggerezza nuovo e riconquistato". Sulla sua scrivania stava il "British Medicai Journal": per una settimana intera lo aveva lasciato intatto nell'involucro, eppure era nello stato d'animo di leggere cose in linguaggio ancor più preciso dello stile di Borges, e di più grande valore pratico di un romanzo di Jorge Julio Saavedra. Cominciò a leggere un articolo di originalità notevole (o almeno così gli apparve), sulla cura delle carenze calciche, scritto da un medico di nome Cesare Borgia. 
« Dormi? » chiese la ragazza. 
« No » ma fu comunque una sorpresa aprire gli occhi e vedere filtrare dalle fessure della tapparella la piena luce del sole. Aveva creduto fosse notte e di trovarsi solo. 
La ragazza gli carezzò l'interno della coscia, e percorse con le labbra il suo corpo. Non provava più che un interesse blando, la curiosità di vedere se fosse stata capace di eccitarlo una seconda volta. Forse era quello il segreto del suo successo da Mamma Sánchez: Clara dava a un uomo il dop-
pio del prezzo con cui veniva pagata. Gli si arrampicò lungo il corpo ed esalò una frase oscena, mordicchiandolo al-
l'orecchio, ma l'ossessione era morta insieme al desiderio, ed egli si sentiva depresso nel senso di vuoto che gli era rimasto dentro. Per una settimana aveva vissuto di quella unica idea ed ora sentiva la mancanza dell'idea, come una madre sente la mancanza del pianto di un suo bambino pur non desiderato. Non l'ho mai desiderata veramente, pensò, ho solo desiderato la mia idea di lei. Gli sarebbe piaciuto alzarsi e andare via, lasciandola sola a rassettare il letto, per trovare poi un altro cliente. 
« Dov'è il bagno? » chiese la ragazza. Non c'era nulla che 
la distinguesse dalle altre che aveva conosciuto, salvo il 
fatto che lei recitava la commedia con più spirito e invenzione. 
Si era già vestito quando lei ritornò, e rimase ad osservarla impaziente mentre ella si vestiva a sua volta. Temeva che volesse il caffè che le aveva proposto, rimanendo poi a indugiare sulla tazzina. Era la sua ora di visite al barrio popular. Le donne avevano ormai finito le prime fatiche e i bambini erano ritornati dalla fontana con il pieno dell'acqua. Chiese: « Vuoi che ti lasci al consolato? ». 
« No » rispose lei. « Preferisco camminare. Il capataz potrebbe aspettare là fuori. » 
« Non hai fatto grandi spese. » 
« Mostrerò a Charley gli occhiali. Non saprà mai quanto sono costati. » 
Prese di tasca un biglietto da diecimila pesos e glielo porse. La ragazza lo volse fra le mani per assicurarsi della cifra. Disse: « Nessuno mi dava mai più di cinquemila. Generalmente erano duemila. A Mamma Sánchez non andava che prendessimo di più. Temeva che volesse dire troppa fretta da parte nostra. Si sbagliava. Gli uomini sono buffi. Se non possono far nulla danno sempre di più ». 
« Come se a qualcuna di voi fosse importato » osservò 
Plarr. 
« Già, come se ci fosse importato. » 
« Un visitatore da quaresima. » 
La ragazza rise. Disse: « ,È bello poter parlare di nuovo liberamente. Con Charley non posso. Credo che Charley voglia dimenticare tutto della Señora Sánchez ». Gli restituì la banconota. « Non sarebbe giusto. Ora sono sposata; e non ne ho bisogno. Charley è generoso. E gli occhiali, sono costati un sacco. » Se li mise, e di nuovo egli vide la propria faccia che tornava a fissarlo, in miniatura, come un visino di bambola affacciato al davanzale della sua casa in miniatura. Ella chiese: « Ti rivedrò? ». 
Aveva voglia di risponderle: « No. È tutto finito ormai » ma la più banale educazione (con il sollievo all'idea che si era dimenticata il caffè) gli fece rispondere formalmente, al modo di un padrone di casa all'ospite che in realtà non desidera affatto incoraggiare a una nuova visita: « Naturale. Il giorno che ti capita di venire in città... Ti darò il mio numero di telefono ». 
« Non occorre che tu mi faccia un regalo tutte le volte » lo rassicurò lei. 
« E non occorre che tu reciti la commedia » replicò lui. 
« Commedia? » 
« Lo so che esistono uomini con una grande voglia di credere che anche tu stai provando lo stesso piacere che 
provano loro. Naturalmente da Mamma Sanchez dovevi recitare una parte per guadagnarti bene il tuo regalo personale, ma qui, vedi..-, non hai più bisogno di recita. Forse con Charley sì, ti ci vuole la recita, ma non con me. Non hai da fingere per niente, con me. » 
« Mi dispiace » fece lei, sommessa. « Ho fatto qualcosa che non va? » 
« Era una cosa che mi irritava sempre, in quella vostra casa » continuava Plarr. « Un uomo non è affatto così stupido come credete voi. Sa bene che è venuto per prendersi un piacere e non per darlo. » 
Clara osservò: « Però penso che fingevo molto bene, perché ricevevo sempre regali giù grossi delle altre ragazze ». Non era offesa. Plarr capì che era abituata alla tristezza dopo il coito. Nemmeno in questo egli differiva dagli altri uomini che Clara aveva conosciuto. E in quanto al vuoto, si disse, ha ragione lei, forse? Forse non è altro che la temporanea tristitia che gli uomini provano nel lasciarsi alle spalle il casino. 
« Per quanto tempo ci sei stata, là dentro? » 
« Due anni. Ne avevo quasi sedici quando entrai. Le ragazze mi offrirono una torta con le candeline per il mio compleanno. Non avevo mai visto una torta prima di allora. Fu molto bello. » 
« A Charley Fortnum piace vederti fingere in quel modo? » 
« A lui piace che io sia molto silenziosa, e molto tenera. È questo che avresti preferito anche tu? Scusami... Io credevo... Sei tanto più giovane di Charley, e così ho creduto... » 
« Io preferirei che tu fossi te stessa » disse Plarr. « Sii indifferente quanto ti pare. Quanti uomini hai conosciuto? » « Come potrei ricordarmene? » 
Le mostrò il modo in cui far funzionare l'ascensore, ma lei gli chiese di accompagnarla giù: anche se l'ascensore la divertiva, con un senso di eccitazione, pure ne era sempre un po' intimorita. Quando premette il bottone, e cominciarono a scendere, fece lo stesso piccolo salto come da Gruber. Sulla porta, gli confessò di aver paura anche del tele-
fono. « E il tuo nome. Ho dimenticato il tuo nome. » 
« Plarr. Eduardo Plarr. » Egli si provò a dire il nome di lei per la prima volta ad alta voce. « E tu sei Clara, ve-
ro? » Aggiunse: « Se hai paura a telefonare, dovrò essere io a chiamarti. Ma forse risponderà Charley ». 
« Di solito fa il giro del campo prima delle nove. E di mercoledì è quasi sempre in città...; anche se ha piacere che 
lo accompagni. » 
« Insomma, troveremo un modo » chiuse il dottor Plarr. Non si dette la pena di accompagnarla fino alla strada o di seguirla con lo sguardo mentre se ne andava. Il dottor Plarr era un uomo libero. 
Eppure, inesplicabilmente, quella stessa notte, mentre cercava il sonno, pensò con rimpianto che aveva ricordo più nitido di lei distesa nel letto di Charley Fortnum che non lì, nel suo. Un'ossessione può, sì, assopirsi un poco, ma non per questo necessariamente si spegne; così, prima che passasse una settimana, già voleva rivederla. Gli sarebbe piaciuto sentire la sua voce, per indifferente che potesse suonargli al telefono, ma il telefono non squillò mai per alcun messaggio importante. 
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Parte terza