lunedì 14 settembre 2020

LA BREVE VITA FELICE DI FRANCIS MACOMBER Ernest Hemingway



LA BREVE VITA FELICE DI FRANCIS MACOMBER 

Ernest Hemingway 

Estratto da "49 Racconti"

Era quasi ora di pranzo e tutti sedevano sotto il doppio telo verde della tenda della mensa facendo finta di niente. 

«Cosa preferisce? Succo di Umetta o spremuta d'arancia?» chiese Macomber.

«Succo di Umetta con una spruzzata di seltz e un po' di gin» gli disse Robert Wilson.

«Anche per me. Ho bisogno di qualcosa» disse la moglie di Macomber.

«Mi sembra giusto» convenne Macomber. «Gli dica di farne tre.»

Il boy che si occupava della mensa si era già messo a prepararli, togliendo le bottiglie dalle sacche frigorifere di tela che trasudavano l'umidità nel vento che soffiava tra gli alberi che ombreggiavano le tende.

«Cos'avrei dovuto dare agli uomini?» chiese Macomber.

«Una sterlina sarebbe più che sufficiente» gli disse Wilson. «Non vorrà viziarli.»

«Penserà il capo a dividerla?»

«Assolutamente.»

Francis Macomber, mezz'ora prima, era stato portato in trionfo dai bordi del campo fino alla sua tenda sulle braccia e sulle spalle del cuoco, dei boys personali, del conciapelli

e dei portatori. I portatori di fucile non avevano partecipato alla manifestazione.

Quando gli indigeni lo avevano deposto davanti alla porta della tenda, lui aveva stretto

la mano a tutti, ricevuto le loro congratulazioni, e poi era entrato nella

tenda e si era seduto sul letto fino a quando era entrata sua moglie. Lei non gli aveva rivolto

la parola, quando era entrata, e lui aveva lasciato subito la tenda per lavarsi la faccia e le mani

nel lavabo portatile esterno e proseguire fino alla mensa, dove si era seduto, all'ombra e nella

brezza, in una poltroncina di tela.

«Ha preso il suo leone» gli disse Robert Wilson «e una gran bella bestia, per giunta.»

La signora Macomber gli scoccò un'occhiata fulminea. Era una donna molto bella e ben

conservata cui l'avvenenza e la posizione sociale avevano permesso, cinque anni prima, di

guadagnare cinquemila dollari solo per sponsorizzare, con le sue fotografie, un prodotto di

bellezza che non aveva mai usato. Da undici anni era la moglie di Francis Macomber.

«È un bel leone, no?» disse Macomber. Adesso sua moglie guardò lui. Guardava quegli

uomini, entrambi, come se non li avesse mai visti.

Uno, Wilson, il cacciatore bianco, sapeva di non averlo mai visto per davvero. Era un uomo

di statura media con i capelli biondicci, un paio di baffi corti e ispidi, una faccia molto rossa e due

freddissimi occhi celesti con agli angoli delle sottili rughe bianche che quando sorrideva

s'incidevano allegramente nella pelle del suo viso. Ora Wilson le sorrise e lei spostò lo sguardo

dal viso di lui al modo in cui le sue spalle spiovevano sotto la giubba troppo grande che

indossava, con le quattro grosse cartucce infilate negli occhielli dove avrebbe dovuto esserci il

taschino sinistro, alle sue manacce brune, ai calzoni vecchi, agli stivali sporchissimi e di nuovo

alla faccia rossa. Notò il punto in cui il rosso acceso del viso si fermava contro una riga bianca

che segnava il cerchio lasciato dal suo Stetson, ora appeso a uno dei pioli del palo della tenda.

«Be', al leone» disse Robert Wilson. Tornò a sorridere e, senza sorridere, lei guardò

incuriosita suo marito.

Francis Macomber era un uomo molto alto, e anche molto ben fatto se ti piacevano quelle

ossa troppo lunghe, era bruno, con i capelli corti come quelli di un canottiere e due labbra

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piuttosto sottili, ed era considerato un bell'uomo. Portava indumenti da safari dello stesso tipo

di quelli indossati da

Wilson, solo che i suoi erano nuovi, lui aveva trentacinque anni, si teneva in forma, era un

buon giocatore di tennis, aveva vinto un mucchio di gare di pesca d'altura, e aveva appena

dimostrato, davanti a tutti, di essere un codardo.

«Al leone» disse. «Non potrò mai ringraziarla per quello che ha fatto.»

Margaret, sua moglie, distolse lo sguardo dal marito per riportarlo su Wilson.

«Non parliamo del leone» disse.

Wilson la guardò senza sorridere, e allora a sorridergli fu lei.

«È stata una giornata molto strana» disse. «Non avrebbe dovuto mettersi il cappello anche

sotto la tenda, a mezzogiorno? Me l'ha detto lei, sa.»

«Me lo potrei mettere» disse Wilson.

«Sa che è molto rosso in faccia, signor Wilson?» gli disse lei, e sorrise di nuovo.

«Il bere» disse Wilson.

«Non credo» disse lei. «Francis beve come una spugna, eppure non è mai rosso in faccia.»

«Oggi sì» tentò di scherzare Macomber.

«No» disse Margaret. «Oggi rossa in faccia sono io. Ma il signor Wilson è sempre rosso in

faccia.»

«Sarà un fatto di costituzione» disse Wilson. «Le dispiacerebbe lasciar perdere? La mia

bellezza, insomma, non è un grande argomento, eh?»

«Ho appena cominciato.»

«Be', finiamola» disse Wilson.

«Sarà difficile fare conversazione» disse Margaret.

«Non essere sciocca, Margot» disse suo marito.

«Perché difficile?» disse Wilson. «Abbiamo preso un bellissimo leone.»

Margot li guardò entrambi ed entrambi si accorsero che stava per piangere. Wilson se lo

aspettava da un pezzo e lo temeva. Macomber non era più in grado di temerlo.

«Vorrei che non fosse accaduto. Oh, vorrei che non fosse accaduto» disse lei, e si avviò

verso la sua tenda. Piangendo non faceva il minimo rumore, ma si vedevano le sue spalle

sussultare sotto la stoffa della camicia che indossava, che era rosa e resistente ai raggi del

sole.

«I crucci delle donne» disse Wilson all'uomo alto. «Non è niente. Tensione nervosa e una

cosa e l'altra.»

«No» disse Macomber. «Credo che ormai porterò questo marchio per tutto il resto della mia

vita.»

«Sciocchezze. Beviamo un goccio dell'ammazzagiganti» disse Wilson. «Si dimentica tutto.

Non ha proprio nessuna importanza.»

«Potremmo provarci» disse Macomber. «Ma non dimenticherò quello che ha fatto per me.»

«Niente» disse Wilson. «Tutte sciocchezze.»

Così rimasero là seduti all'ombra dov'erano piantate le tende sotto le ampie chiome di un

gruppo di acacie con un dirupo costellato di massi dietro di loro, e davanti uno spiazzo erboso

che scendeva fino alla riva di un corso d'acqua pieno di massi con la foresta al di là, e bevvero

i loro succhi di Umetta, freschi al punto giusto, ed evitarono di guardarsi mentre i boys

apparecchiavano la tavola per il pranzo. Wilson era sicuro che a quest'ora i boys sapevano

tutto, e quando vide il boy personale di Macomber guardare incuriosito il suo padrone mentre

metteva i piatti sulla tavola gli fece una sfuriata in swahili. Il boy voltò le spalle con una faccia

priva di espressione.

«Cosa gli stava dicendo?» domandò Macomber.

«Niente. Gli ho detto di svegliarsi se non vuole che gliene faccia dare una quindicina di

quelle sode.»

«Di cosa? Scudisciate?»

«È assolutamente illegale» disse Wilson. «Si dovrebbero multare.»

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«Lei li fa ancora frustare?»

«Oh, sì. Potrebbero fare il diavolo a quattro se decidessero di reclamare. Ma non lo fanno.

Preferiscono questo alle multe.»

«Che strano!» disse Macomber.

«Non è strano, veramente» disse Wilson. «Lei cosa preferirebbe fare? Cavarsela con una

buona fustigazione o rimetterci la paga?»

Poi si sentì in imbarazzo per aver fatto quella domanda e prima che Macomber potesse

rispondere soggiunse: «Pigliamo tutti la nostra batosta quotidiana, sa, in un modo o nell'altro.

Non che questo fosse meglio. Buon Dio, pensò. Sono un vero diplomatico, no?

«Sì, pigliamo la nostra batosta quotidiana»» disse Macomber, sempre senza guardarlo. «Non

immagina quanto mi rincresce per la storia del leone. Ma la cosa finisce qui, no? Volevo dire,

non lo saprà nessuno. Eh?»

«Vuoi sapere se andrò a raccontarlo al Mathaiga Club?» Ora Wilson lo guardava

freddamente. Questo non se lo aspettava. Allora è anche un uomo maledettamente stupido

oltre che un maledettissimo vigliacco, pensò. E dire che fino a oggi mi era piuttosto simpatico.

Ma come si fa a capire cosa frulla nella testa di un americano?

«No» disse Wilson. «Io sono un cacciatore di professione. Noi non parliamo mai dei nostri

clienti. Su questo può stare tranquillo. Ma raccomandarci di non parlarne è considerato cattiva

educazione.»

Aveva ormai deciso che rompere sarebbe stato assai più facile. Così avrebbe mangiato da

solo e durante i pasti avrebbe potuto leggere un libro. Loro avrebbero mangiato per conto

proprio. Li avrebbe aiutati nel safari senza uscire dal binario della semplice cortesia - come

dicevano i francesi? con la più distinta considerazione - e sarebbe stato maledettamente più

facile che doversi sorbire tutte queste insulsaggini emotive. Wilson avrebbe offeso Macomber e

ci sarebbe stata una bella rottura, netta. Così avrebbe potuto leggere durante i pasti e avrebbe

ancora bevuto il loro whisky. Era la frase che si diceva quando il safari prendeva una brutta

piega. Incontravi un altro cacciatore bianco e gli chiedevi: «Come va la vita?» e lui rispondeva:

«Oh, sto ancora bevendo il loro whisky», e sapevi che era andato tutto a rotoli.

«Mi spiace» disse Macomber, e lo guardò con la sua faccia americana che sarebbe rimasta

quella di un adolescente finché lui non avesse raggiunto la mezza età, e Wilson notò i suoi

capelli a spazzola i suoi begli occhi solo un tantino sfuggenti, il naso diritto, te labbra sottili e

la mascella ben disegnata. «Mi spiace, non me n'ero reso conto. Ci sono tante cose che

non so.»

Che poteva fare, dunque?, pensò Wilson. Era prontissimo a rompere, alla svelta e

nettamente, ed ecco che il furfante si scusava dopo essere stato appena insultato. Fece

un altro tentativo. «Non dirò una parola, stia tranquillo» disse. «Devo guadagnarmi la vita.

Saprà pure che in Africa non c'è donna che manchi il suo leone e non c'è bianco che tagli

la corda.»

«Sono scappato come un coniglio» disse Macomber.

Ecco. Cosa diavolo potevi fare con un uomo che parlava così? si domandava Wilson.

Wilson guardò Macomber con i suoi occhi smorti e azzurri da mitragliere e l’altro reagì

con un sorriso. Aveva un sorriso simpatico, se non badavi a quello che gli passava negli

occhi quando era stato mortificato.

«Forse potrò rifarmi con i bufali» disse. «La prossima volta tocca a loro, no?»

«Domattina, se vuole» disse Wilson. Forse si era sbagliato. Forse aveva commesso un

errore. Ma certo, era così che bisognava prenderla. Valli a capire, questi americani. Così

Wilson era di nuovo a fianco di Macomber. Se potevi dimenticare la mattina. Ma

naturalmente non potevi. E la mattina era andata proprio male.

«Ecco che arriva la memsahib» disse. La moglie di Macomber stava venendo dalla sua

tenda con un'aria rinfrescata e allegra e molto amabile. Aveva un volto ovale perfettissimo,

così perfetto che la credevi un'oca. Ma un'oca non era, pensò Wilson, nossignore, non

era affatto un'oca.

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«Come sta il signor Wilson, con la sua bella faccia rossa? Ti senti meglio, Francis,

tesoro mio?»

«Oh, molto» disse Macomber.

«Ho deciso che è meglio lasciar perdere» disse lei, sedendosi a tavola. «Che importanza

può avere se Francis è bravo ad ammazzare i leoni? Non è mica il suo mestiere. È il

mestiere del signor Wilson. Il signor Wilson fa veramente impressione, perché è capace di

ammazzare qualunque cosa. Non è vero che lei ammazza qualunque cosa?»

«Oh, sì, qualunque cosa» disse Wilson. «Proprio qualunque cosa.» Sono, pensava, le

più dure della terra; le più dure, le più crudeli, le più rapaci e le più affascinanti, e i loro

uomini si sono rammolliti, o hanno perso il controllo dei loro nervi, mentre loro si sono

indurite. O è che scelgono gli uomini che sono in grado di manipolare? Non possono

saperla tanto lunga all'età alla quale si sposano, pensò. Wilson era contento di essersi già

fatto una cultura sulle donne americane» perché questa era proprio affascinante.

«Domattina andremo a caccia di bufali» le disse.

«Vengo anch'io» disse lei.

«No, lei no.»

«Oh sì, che vengo. Non posso, Francis?»

«Perché non resti al campo?»

«Per nulla al mondo» disse lei «Non vorrei perdermi una cosa come oggi.»

Quando se n'era andata, stava pensando Wilson, quando si era allontanata per

piangere sembrava una gran donna. Sembrava comprendere, capire, soffrire per lui e per

sé e sapere come stavano le cose. Si allontana per venti minuti e ora è qui di nuovo,

intatta, sotto lo smalto di quella crudeltà femminile americana. Sono le più odiose.

Davvero le più odiose.

«Domani daremo un altro spettacolo per te» disse Francis Macomber.

«Lei non viene» disse Wilson.

«Si sbaglia di grosso» disse lei. «E voglio tanto rivederla all'opera. Stamattina è stato

adorabile. Se può dirsi adorabile, cioè, portare via la testa a un animale.» .

«Ecco il pranzo» disse Wilson. «Lei è molto allegra, no?»

«Perché no? Non sono venuta qui per annoiarmi.»

«Be', non è stato noioso» disse Wilson. Vedeva i massi nel fiume e l'alta sponda con gli

alberi, al di là, e non aveva dimenticato quel mattino.

«Oh no» disse lei. «È stato delizioso. E domani. Non immagina l'ansia con cui aspetto

che venga domani.»

«E antilope alcina quella che le stanno servendo» disse Wilson.

«Sono quei bestioni un po' simili alle vacche che saltano come lepri, no?»

«Mi sembra una buona descrizione» disse Wilson.

«La carne è ottima» disse Macomber.

«L'hai uccisa tu, Francis?» chiese lei.

«Sì.»

«Non sono pericolose, vero?»

«Solo se ti cascano addosso» le disse Wilson.

«Sono proprio contenta.»

«Perché non la pianti con le tue carognate, Margot, almeno per un po'?» disse Macomber,

tagliando la bistecca di antilope e mettendo un po' di purè di patate, di sugo e di carote sulla

forchetta rivolta ali ingiù con i rebbi piantai nel pezzo di carne.

«Potrei anche farlo, forse» disse lei «visto che me lo chiedi con tanta delicatezza.»

«Stasera berremo champagne per il leone» disse Wilson. «A mezzogiorno fa un po' troppo

caldo.»

«Oh, il leone» disse Margot. «Avevo dimenticato il leone!»

Allora, pensava Robert Wilson tra sé, è proprio lei che vuole tormentarlo, no? O che sia la

sua idea di far bella figura? Come dovrebbe comportarsi, una donna, quando scopre che suo

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marito è un gran vigliacco? È una donna maledettamente crudele, ma sono tutte crudeli.

Comandano loro, si capisce, e per comandare si dev'essere crudeli, certe volte. Però io ne ho

abbastanza, del loro maledetto terrorismo.

«Prenda un altro po' di antilope» le disse educatamente.

Quei pomeriggio, sul tardi, Wilson e Macomber uscirono in macchina con il guidatore

indigeno e i due portatori di fucile. La signora Macomber restò al campo. Faceva troppo caldo

per andare in giro, disse, e a avrebbe accompagnati la mattina di buon'ora. Mentre si

allontanavano, Wilson la vide là in piedi sotto il grosso albero, più carina che bella nel suo

cachi sfumato di rosa, con i capelli neri pettinati all'indietro e raccolti in un nodo sulla nuca, la

faccia fresca, pensò, come se fosse in Inghilterra. Li salutò con la mano mentre la macchina si

allontanava tra l'erba alta della valletta e

descriveva una curva tra gli alberi fino a sparire nella boscaglia che copriva le colline.

In mezzo alla boscaglia trovarono un branco di impala, e lasciando la macchina

inseguirono un vecchio maschio con le corna lunghe e larghe, e Macomber lo uccise con

un colpo assai pregevole che abbatté l'animale a duecento metri buoni e fece fuggire il

resto del branco in una sarabanda di impala che facevano balzi selvaggi saltando l'uno sul

dorso dell'altro in lunghi voli con le zampe ripiegate, incredibili e sospesi come quelli che a

volte si fanno nei sogni.

«Quello era un bel colpo» disse Wilson. «Sono un bersaglio piccolo.»

«E un trofeo che merita?» chiese Macomber.

«È eccellente» gli disse Wilson. «Spari così e non avrà problemi.»

«Crede che troveremo i bufali, domani?»

«Ci sono buone probabilità. Vanno al pascolo la mattina presto, e può darsi che con un

po’ di fortuna si riesca a sorprenderli all'aperto.»

«Vorrei far dimenticare la storia del leone» disse Macomber. «Non è molto simpatico

esser visti da tua moglie mentre fai una cosa simile.»

Io direi che sarebbe ancora più antipatico farla, pensò Wilson, moglie o non moglie, o

parlarne dopo averla fatta. Invece disse: «Io non ci penserei più. Chiunque potrebbe farsi

impressionare dal suo primo leone. Capitolo chiuso».

Ma quella sera dopo la cena e un whisky and soda accanto al fuoco prima di andare a

letto, mentre Francis Macomber giaceva nella sua branda con la barra della zanzariera

sopra la testa e ascoltava i rumori della notte, il capitolo non era chiuso. Non era né

chiuso né aperto. Era lì, proprio come si era svolto, con certe parti in indelebile risalto, e

lui provava una vergogna sconfinata. Ma più della vergogna si sentiva, dentro, una paura

fredda e cavernosa. La paura era sempre lì come una grotta fredda e sdrucciolevole in

tutta la sua vacuità, lì dove una volta c'era la sua fiducia in se stesso, e gli faceva venire il

voltastomaco. Anche adesso era sempre lì con lui.

Era cominciato la notte prima, quando lui si era svegliato e aveva udito il leone

ruggire lungo il fiume, chissà dove. Era un suono profondo, e alla fine c’erano come dei

grugniti tossicchianti da cui sembrava che la belva fosse appena fuori dalla tenda, e

quando Francis Macomber si svegliò in piena notte e l'udì, ebbe paura. Sentiva sua

moglie respirare tranquillamente, addormentata. Non c'era nessuno a cui dire che

aveva paura, nessuno che avesse paura insieme a lui, e Macomber, là disteso, solo,

non conosceva quel proverbio somalo che dice che ogni uomo coraggioso si fa

spaventare tre volte da un leone; la prima volta che vede le sue orme, la prima volta

che lo sente ruggire e la prima volta che se lo trova davanti. Poi, mentre facevano

colazione alla luce della lanterna, fuori, nella tenda della mensa, prima che il sole

spuntasse, il leone tornò a ruggire e Francis pensò che doveva essere proprio ai

margini dell’accampamento.

«Sembra un animale vecchio» disse Robert Wilson, alzando lo sguardo dalle aringhe

affumicate e dal caffè. «Sentite come tossisce.»

«È molto vicino?»

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«Un chilometro e mezzo a monte del fiume, o giù di lì.»

«Riusciremo a vederlo?»

«Andremo a dare un'occhiata.»

«Va così lontano il suo ruggito? Si direbbe che fosse proprio qui.»

«Va molto lontano» disse Robert Wilson. «È curioso che si senta così lontano. Spero

che sia una bella bestia alla quale si possa sparare. I boys dicevano che ce n'era uno

grossissimo, da queste parti:»

«Se mi viene a tiro, dove dovrei colpirlo» chiese Macomber «per fermarlo?»

«Alla spalla» disse Wilson. «Nel collo, se ci riesce. Spari all'osso. Lo metta giù.»

«Spero di riuscire a colpirlo come si deve» disse Macomber.

«Lei spara benissimo» gli disse Wilson. «Ci vada piano. Spari a colpo sicuro. Il

primo messo a segno è quello che conta.»

«A che distanza sarà?»

«Non saprei. Dipende dal leone. Sparì solo a colpo sicuro Quand'è abbastanza

vicino.»

«A meno di cento metri?» chiese Macomber.

Wilson gli rivolse un'occhiata frettolosa.

«Cento va bene. Può anche darsi che le venga più vicino. Non dovrebbe cercare di

sparargli a una distanza molto superiore. Cento è una distanza ragionevole. A cento

metri può colpirlo dove vuole. Ecco che arriva la memsahib.»

«Buongiorno» disse lei. «Allora, ci mettiamo a seguire quel leone?»

«Appena avrà mangiato» disse Wilson. «Come sta?>

«Magnificamente» disse lei. «Sono eccitatissima.»

«Vado a vedere se è tutto pronto.» Wilson si allontanò. Mentre se ne andava, il

leone tornò a ruggire.

«Brutto fracassone» disse Wilson. «Ma ti faremo smettere.»

«Che c'è, Francis?» gli domandò sua moglie.

«Nulla» disse Macomber.

«Non è vero» disse lei. «Sei agitato. Cos'hai?»

«Nulla» disse lui.

«Dimmelo.» Lo guardò. «Non stai bene?»

«Sono quei maledetti ruggiti» disse lui. «È andato avanti così tutta la notte, sai.»

«Perché non mi hai svegliato?» disse lei. «Mi sarebbe piaciuto sentirlo.»

«Devo ammazzare quella maledetta bestia» disse Macomber, e sembrava giù di

corda.

«Be', è per questo che sei qui, no?»

«Sì. Ma sono nervoso. Sentire i suoi ruggiti mi da ai nervi.» , «Allora, come ha detto

Wilson, ammazzalo e fallo smettere di ruggire.»

«Sì, cara» disse Francis Macomber, «Sembra facile, no?»

«Non hai paura, eh?»

«Naturalmente no. Però mi ha innervosito, sentirlo ruggire tutta la notte.»

«Sta’ tranquillo, lo ucciderai» disse lei. «Lo so. Sono così ansiosa di vederlo.»

«Finisci la colazione e ci metteremo in moto.»

«È ancora buio» disse lei. «Che ora ridicola.»

Proprio allora il leone ruggì, e una vibrazione profonda, lamentosa, ascendente»

improvvisamente gutturale parve far tremare Parta, finendo con un sospiro e un profondo,

sonoro brontolio.

«Sembra qui» disse la moglie di Macomber.

«Dio mio» disse Macomber. «Non sopporto questa maledetta cagnara.»

«È davvero impressionante.»

«Impressionante? È spaventosa.»

Proprio allora arrivò Robert Wilson col suo Gibbs 505, corto, brutto e con la canna

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grossissima. Sorrideva.

«Andiamo» disse. «Il suo portatore ha lo Springfield e la carabina di grosso calibro. È tutto in

macchina. Avete preso un po' di munizioni?»

«Sì.»

«Io sono pronta» disse la signora Macomber.

«Dobbiamo fargli smettere di far tanto baccano» disse Wilson. «Si metta davanti, lei. La

memsahib può stare qui dietro con me.»

Salirono in macchina e, nella prima luce grigia del giorno, si allontanarono tra gli alberi,

lungo la riva del fiume. Macomber aprì l'otturatore della carabina e vide che era caricata con

cartucce blindate, chiuse l'otturatore e mise la sicura. Notò che gli tremavano le mani. Si frugò

in tasca per sentire quante cartucce aveva e passò le dita su quelle infilate nella cartucciera.

Si girò verso Wilson, che stava seduto con sua moglie sul sedile posteriore della tozza

macchina priva di portiere, entrambi eccitati e sorridenti, e Wilson si sporse in avanti e

sussurrò:

«Vede? Gli uccelli si abbassano. Segno che il nostro amico ha lasciato la sua preda.»

Sull'altra riva del fiume Macomber vide, sopra gli alberi, gli avvoltoi che volavano in cerchio

e scendevano a perpendicolo.

«È probabile che venga a bere da queste parti» sussurrò Wilson. «Prima di andare a

rifornirsi. Tenete gli occhi aperti.»

Stavano viaggiando lentamente lungo l'alta riva del fiume

che qui formava una profonda incisione nel terreno fino al suo letto cosparso di macigni, e

il loro tortuoso itinerario li portava ora dentro ora fuori dalle propaggini della foresta. Macomber

stava guardando l'altra riva quando sentì che Wilson lo prendeva per un braccio. La macchina

si fermò.

«Eccolo» lo udì mormorare. «Davanti a noi, sulla destra. Scenda e vada a prenderlo. È un

magnifico leone.»

Allora Macomber vide il Leone. Era di profilo, con la grossa testa alta e voltata nella loro

direzione. La brezza del primo mattino che spirava verso di loro gli scompigliava appena la

criniera scura, e il Leone sembrava enorme, così stagliato sulla parte più alta della riva nella

grigia luce mattutina, con le spalle massicce e il corpo cilindrico agile e vigoroso.

«A che distanza è?» chiese Macomber, alzando il fucile.

«Settanta metri circa. Scenda e vada a prenderlo.»

«Non potrei sparargli da qui?»

«Non si spara ai leoni dalle macchine» si sentì mormorare, all'orecchio, da Wilson.

«Scenda. Non rimarrà là tutto il giorno.»

Macomber uscì dal vano tondeggiante di fianco al sedile anteriore, mise il piede sul

predellino e scese a terra. Il Leone era sempre fermo e guardava maestosamente e con

freddezza quest'oggetto che ai suoi occhi, sullo sfondo degli alberi, doveva sembrare grosso

come il più grosso dei rinoceronti. Sopravvento, non sentiva l'odore dell'uomo, e guardava

l'oggetto muovendo un po' il testone di qua e di là. Poi, mentre guardava l'oggetto, senza

paura, ma esitando ad andar giù a bere con quella cosa là davanti a lui, vide che se ne

staccava la figura di un uomo e voltò la testa pesante e fece per correte al riparo degli alberi

quando udì uno schianto repentino e sentì l'urto di una palla piena calibro 30.06 da 220 grani

che gli squarciò il fianco e gli riempì lo stomaco di una nausea improvvisa e cocente.

Sentendosi pesante e impacciato, con la pancia piena e la testa che girava per la ferita,

trotterellò tra gli alberi verso l'erba alta, dove avrebbe potuto rifugiarsi, quando si udì un secondo

schianto, e qualcosa sibilò sopra di lui squarciando l'aria. Poi lo schianto tornò a farsi sentire e

lui incassò il colpo, che gli bucò le costole inferiori e gli affondò nel corpo, e allora galoppò,

col sangue caldo che improvvisamente gli schiumava dalla bocca, verso l'erba alta dove

avrebbe potuto accovacciarsi e rendersi invisibile e costringerli a portare quell'oggetto che

faceva gli schianti tanto vicino da poter spiccare un balzo e atterrare l'uomo che lo imbracciava.

Macomber non aveva pensato a come si sentisse il leone, quando era sceso dalla

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macchina. Sapeva solo che gli tremavano le mani, e mentre si allontanava dalla macchina gli

era quasi impossibile muovere le gambe. All'altezza delle cosce erano rigide, ma sentiva i

muscoli tremare. Alzò la carabina, mirò alla giuntura fra la testa e le spalle del leone e tirò il

grilletto. Non accadde nulla, anche se Macomber tirò fino a pensare che si sarebbe spezzato

il dito. Solo allora si rese conto che non aveva tolto la sicura, e mentre abbassava la carabina

per togliere la sicura fece rigidamente un altro passo avanti e il leone, vedendo ora la sua

silhouette ben distinta da quella della macchina, si voltò e partì al trotto e Macomber, quando

sparò, udì un tonfo che voleva dire che il proiettile era andato a segno; ma il leone non si

fermò. Macomber sparò una seconda volta, e tutti videro la pallottola sollevare uno spruzzo di

terra oltre il leone trotterellante. Sparò ancora, ricordandosi di abbassare la mira, e tutti udirono

il tonfo della pallottola che colpiva, e il leone si mise a galoppare e sparì nell'erba alta prima

che lui toccasse la leva dell'otturatore.

Macomber restò là con un gran senso di nausea, stringendo tra le mani lo Springfield pronto

a sparare, e sua moglie e Robert Wilson erano accanto a lui. Al suo fianco c'erano anche i

due portatori di fucile, che baccagliavano tra loro in wakamba.

«L'ho colpito» disse Macomber. «L'ho colpito due volte.»

«Sì. Una al fianco e una un po' più avanti» disse Wilson senza entusiasmo. I portatori,

molto seri, ora tacevano.

«Potrebbe averlo ucciso» continuò Wilson. «Dovremo aspettare un po' prima di andare a

vedere.»

«Cosa intende dire?»

«Lasciamo che si sfianchi prima di seguirlo.»

«Oh» disse Macomber.

«È un gran bel leone» disse Wilson allegramente. «Però si è appiattato in un brutto posto.»

«Brutto? Perché?»

«Perché non possiamo vederlo finché non gli siamo addosso.»

«Oh» disse Macomber.

«Andiamo» disse Wilson. «La memsahib può restare qui in macchina. Noi andremo a dare

un'occhiata alle tracce di sangue.»

«Resta qui, Margot» disse Macomber a sua moglie. Aveva la bocca molto asciutta e gli

riusciva difficile parlare.

«Perché?» domandò lei,

«Lo dice Wilson.»

«Noi andiamo a dare un'occhiata» disse Wilson. «Lei rimanga qui. Da qui può vederci ancora

meglio.»

«Va bene.»

Wilson parlò in swahili al conducente, che annuì e disse: «Sì, buana».

Poi scesero la sponda scoscesa e attraversarono il fiume, scavalcando i macigni o girandovi

intorno, e si arrampicarono su per l'altra riva, attaccandosi a qualche radice sporgente, e

risalirono il fiume finché non ebbero trovato il punto dove stava trottando il leone quando

Macomber aveva sparato il primo colpo. Sull'erbetta c'era del sangue nero che i portatori

indicarono con qualche filo d'erba, e che spariva dietro gli alberi sulla riva del fiume.

«Che si fa?» chiese Macomber.

«Non abbiamo molta scelta» disse Wilson. «Non possiamo portare qui la macchina. La

sponda è troppo ripida. Aspetteremo che s'irrigidisca un po' e poi andremo dentro a cercarlo, io

e lei.»

«Non possiamo dar fuoco all'erba?» chiese Macomber.

«Troppo verde.»

«Non possiamo mandare i battitori?»

Wilson gli rivolse un'occhiata indagatrice. «Certo che possiamo» disse, «Ma sarebbe un po'

da criminali. Vede, noi sappiamo che il leone è ferito. Fosse sano, si potrebbe fare la

battuta: quando sente rumore, scappa via. Ma un leone ferito attacca. Non lo vedi finché

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non gli sei addosso. È capace di nascondersi, schiacciandosi al suolo, dove non penseresti

che potrebbe nascondersi una lepre. In queste condizioni non si possono mandare là dentro

i battitori. Qualcuno ne uscirebbe con le ossa rotte.»

«E i portatori di fucile?»

«Oh, quelli vengono con noi. È il loro shauri. Vede, hanno preso un impegno. Ma non

sembrano troppo contenti, eh?»

«Non voglio andare là dentro» disse Macomber. Gli era scappata prima che si rendesse

conto di averlo detto.

«Nemmeno io» disse Wilson molto allegramente. «Ma non c'è altra scelta, davvero.» Poi,

come se ci avesse pensato solo allora, guardò Macomber e improvvisamente vide che tremava,

e l'espressione penosa dei suo viso.

«Non occorre che venga anche lei, naturalmente» disse. «È per questo che m'ingaggiano,

sa. Ecco perché sono così caro.»

«Vuoi dire che andrebbe là dentro da solo? Perché non lo lasciamo là?»

Robert Wilson, che fino a quel momento si era preoccupato esclusivamente del leone e del

problema che rappresentava, e che non aveva pensato a Macomber se non per notare che

era piuttosto impaurito, ebbe a un tratto l'impressione di aver aperto la porta sbagliata in un

albergo e di aver visto una cosa vergognosa.

«Come sarebbe a dire?»

«Perché non lo lasciamo perdere?»

«Vorrebbe farci credere, a tutt'e due, che il leone non è stato colpito?»

«No. Facciamola finita.»

«Non è finita.»

«Perché no?»

«In primo luogo, è certo che l'animale sta soffrendo. Secondariamente, potrebbe trovarselo

davanti qualcun altro.»

«Capisco.»

«Ma lei non è tenuto a occuparsene.»

«Mi piacerebbe» disse Macomber. «Ho solo fifa, sa.»

«Quando ci muoveremo andrò avanti io» disse Wilson «con Kongoni che segue le tracce.

Lei si tenga dietro di me e un po' da un lato. È probabile che lo si senta ringhiare. Se lo

vediamo, spareremo tutt'e due. Non si preoccupi di nulla. La spalleggio io. Veramente, sa, forse

farebbe meglio a non venire. Potrebbe essere molto meglio. Perché non torna dalla memsahib

mentre qui me la sbrigo io?»

«No, voglio venire.»

«Va bene» disse Wilson. «Ma non venga se non vuole. Ora questo è il mio shauri, sa.»

«Voglio venire» disse Macomber.

Si sedettero a fumare sotto un albero.

«Vuole tornare indietro a parlare con la memsahib mentre noi aspettiamo qui?» chiese

Wilson.

«No.»

«Allora farò un salto io per dirle di avere pazienza.»

«Bene» disse Macomber. Rimase là seduto, con il sudore che gli colava sotto le braccia,

la bocca asciutta, un vuoto nello stomaco, e una gran voglia di trovare il coraggio di dire a

Wilson di andare a finire il leone senza di lui. Non poteva sapere che Wilson era furioso per

non essersi accorto prima dello stato in cui Macomber si trovava e per non averlo mandato da

sua moglie. Mentre stava là seduto arrivò Wilson. «Ho portato il suo cannone» disse. «Tenga.

Gli abbiamo dato abbastanza tempo, credo. Forza.»

Macomber prese la carabina più grossa e Wilson disse:

«Stia dietro di me, a quattro o cinque metri sulla destra, e faccia esattamente come le dico

io.» Quindi parlò in swahili ai due portatori di fucile, che erano il ritratto della costernazione.

«Andiamo» disse

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«Potrei avere un sorso d'acqua?» chiese Macomber. Wilson si rivolse al più vecchio dei due

portatori, che aveva una bonaccia attaccata alla cintura, e l'uomo la sganciò, ne svitò il tappo

e la porse a Macomber, il quale nel prenderla non poté far a meno di notare che sembrava

stranamente pesante, mentre al tatto il rivestimento di feltro era ruvido e peloso. La sollevò per

bere e guardò davanti a sé la distesa di erba alta sullo sfondo degli alberi con le chiome

appiattite. Una brezza spirava verso di loro e l'erba sfiorata dal vento s'increspava dolcemente.

Guardò il portatore e vide che aveva paura anche lui.

A meno di trenta metri, in mezzo all'erba, il grosso leone si teneva appiattito contro il suolo.

Aveva le orecchie abbassate e il suo unico movimento era un leggero fremito, su e giù, della

lunga coda col ciuffo nero. Si era messo sul chi vive appena aveva raggiunto questo

nascondiglio e soffriva per la ferita nella pancia, che era piena, e continuava a indebolirsi per

quella ai polmoni, che gli faceva salire alla bocca una rada schiuma rossa ogni volta che

respirava. I suoi fianchi erano umidi e caldi e le mosche si posavano sulle piccole aperture che

i proiettili avevano praticato nella sua pelle fulva, e i suoi occhioni gialli, trasformati in due

fessure dall'odio, guardavano diritto davanti a loro, chiudendosi solo quando, col respiro,

veniva anche il dolore, e i suoi artigli erano piantati nella terra soffice cotta dal sole. Tutto in

lui, dolore, nausea, odio e ogni forza residua, confluiva nell'assoluta concentrazione

indispensabile per un attacco. Il leone sentiva gli uomini parlare e aspettava, raccogliendosi

tutto in questa preparazione dell'attacco che avrebbe scatenato appena gli uomini fossero

entrati nella radura. Quando sentì le voci la sua coda s'irrigidì, muovendosi su e giù, e quando

gli uomini misero piede tra l'erba il leone mandò un grugnito cavernoso e attaccò.

Kongoni, il vecchio portatore di fucile, che in testa seguiva le tracce di sangue, Wilson che

spiava l'erba per cogliere ogni movimento, con la sua grossa carabina pronta a sparare, il

secondo portatore che guardava davanti a sé e tendeva l'orecchio, Macomber vicino a Wilson

con la carabina spianata, avevano appena mosso qualche passo in mezzo all'erba quando

Macomber udì il grugnito cavernoso, soffocato dal sangue, e vide l'erba aprirsi con un fruscio.

Dopo di che seppe solo che correva; che correva all'impazzata, terrorizzato, fuori dalla

boscaglia, che correva verso il fiume.

Udì il ca-ra-uong! della grossa carabina di Wilson, e poi un secondo, assordante cata-uong!,

e voltandosi vide il leone, orribile, ormai, con mezza testa che pareva saltata via, il qua le si

trascinava verso Wilson ai margini della radura mentre l'uomo dalla faccia rossa

manovrava l'otturatore del suo tozzo e brutto schioppo e prendeva attentamente la mira

mentre un altro fragoroso ca-ra-uong! usciva dalla bocca della carabina, e la mole gialla,

greve, strisciante del leone s'irrigidiva e l'enorme testa mutilata scivolava in avanti e

Macomber, solo nella radura dov'era arrivato di corsa, impugnando una carabina carica,

mentre due uomini neri e un uomo bianco lo guardavano con disprezzo, seppe che il

leone era morto. Avanzò verso Wilson, vergognandosi dell'alta statura che lo esponeva al

loro dileggio, e Wilson lo guardò e disse:

«Vuole scattare qualche fotografia?»

«No» disse.

Nessuno ebbe altro da dire finché non raggiunsero la macchina. Poi Wilson aveva

detto:

«Un gran bel leone. 1 boys lo scuoceranno. Tanto vale star qui all'ombra.»

La moglie di Macomber non lo aveva guardato e lui non aveva guardato lei e si era

seduto al suo fianco sul sedile posteriore, mentre Wilson si sedeva davanti. Una volta

aveva allungato la mano per prendere, senza guardarla, quella della moglie, e lei l'aveva

respinta. Guardando attraverso il fiume verso il punto in cui i portatori di fucile stavano

scuoiando il leone, Macomber comprese che sua moglie aveva potuto veder tutto. Mentre

stavano là seduti Margot si era sporta in avanti e aveva messo una mano sulla spalla di

Wilson. Wilson si era voltato e lei si era allungata verso di lui, protendendosi sopra il

sedile basso, e lo aveva baciato sulla bocca.

«Ehi, dico» disse Wilson, diventando più rosso del suo ben cotto colore naturale.

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«Il signor Robert Wilson» disse lei. «Il signor Robert Wilson con la sua bella faccia

rossa.»

Poi tornò a sedersi al fianco di Macomber e distolse lo sguardo per puntarlo, sull'altra

riva del fiume, verso il punto dove giaceva il leone, con le zampe anteriori sollevate, sulle

quali spiccavano i tendini e i muscoli bianchi messi a nudo, e con la pancia bianca e

gonfia, mentre i neri scarnivano la

pelle. Finalmente i portatori arrivarono con la pelle, umida e greve, e salirono dietro con

essa, arrotolandola prima di montare, e la macchina parti. Nessuno aveva detto più niente

finché non furono di nuovo al campo.

Questa era la storia del leone. Macomber non sapeva come si fosse sentito il leone prima

di attaccarli, né durante l'attacco quando la sberla incredibile del 505, con una velocità iniziale

di due tonnellate, lo aveva colpito alla bocca, né cosa lo spingesse ad avanzare dopo il colpo,

quando il secondo scoppio lacerante gli aveva fiaccato i quarti posteriori e lui aveva

continuato a strisciare verso l'oggetto assordante e sterminatore che lo aveva distrutto. Wilson

ne sapeva qualcosa e lo esprimeva dicendo solo: «Gran bel leone», ma Macomber non

sapeva nemmeno cosa pensasse Wilson della situazione. Non sapeva come la pensasse sua

moglie, a parte il fatto che con lui aveva chiuso.

Già altre volte sua moglie aveva chiuso con lui, ma la cosa non era mai durata. Macomber

era ricchissimo, e assai più ricco sarebbe diventato, e sapeva che sua moglie ormai non lo

avrebbe più lasciato. Questa era una delle poche cose che sapeva veramente. Sapeva questo

come s'intendeva di motociclette - erano state la sua primissima passione -, di automobili, di

caccia all'anitra, di pesca - alla trota, al salmone e d'altura -, della vita sessuale nei libri, molti

libri, troppi libri, di tutti gli sport che si praticano su un campo all'aria aperta, dei cani, non

molto dei cavalli, di come stare attaccato ai soldi, di quasi tutte le altre cose delle quali il suo

mondo si occupava, e del fatto che sua moglie non lo avrebbe abbandonato. Sua moglie era

stata una gran bella donna ed era ancora una gran bella donna in Africa, ma non era più una

gran bella donna in patria, non abbastanza per poterlo lasciare e trovarsi una sistemazione

migliore, e lei lo sapeva e lo sapeva lui. Sua moglie aveva perso l'occasione di lasciarlo e

Macomber lo sapeva. Se Macomber fosse stato più in gamba con le donne, forse Margot

avrebbe cominciato a temere che lui si trovasse un'altra moglie, giovane e bella; ma anche

Margot lo conosceva troppo bene per preoccuparsi di lui. Lui, poi, aveva sempre avuto una

grande tolleranza, che sembrava il suo lato più simpatico, se non fosse stato il più sinistro.

Tutto sommato erano considerati una coppia relativamente felice, una di quelle di cui

spesso si mormora che stanno per dividersi ma che non si dividono mai, e, come diceva la

cronaca mondana, stavano aggiungendo più di un pizzico d’avventura alla loro molto

invidiata e immortale storia d'amare con un safari in quello che era noto come il Continente

Nero finché i Martin Johnson non lo illuminarono sui tanti schermi cinematografici dove

davano la caccia al Vecchio Simba, il leone, al bufalo, a Tembo, l'elefante, e inoltre

raccoglievano esemplari per il Museo di storia naturale. Quella stessa cronaca mondana

aveva detto, almeno tre volte, che i due coniugi "erano ai ferri corti", ed era vero. Ma si

erano sempre riappacificati. La loro unione poggiava su solide basi. Margot era troppo bella

perché Macomber divorziasse da lei e Macomber aveva troppi soldi perché Margot si

decidesse a lasciarlo.

Adesso erano le tre del mattino e Francis Macomber, che si era addormentato poco

dopo aver smesso di pensare al leone, per poi svegliarsi e riprender sonno, si svegliò

improvvisamente, spaventato da un sogno in cui il leone con la testa insanguinata

incombeva su di lui, e mentre tendeva l'orecchio per ascoltare i tonfi del suo cuore si

accorse che sua moglie non era nell'altra brandina sotto la tenda. Per due ore restò

sveglio, a meditare su quell'informazione.

Alla fine di questo tempo sua moglie entrò nella tenda, sollevò la zanzariera e si

adagiò comodamente sul lettuccio.

«Dove sei stata?» chiese Macomber nell'oscurità.

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.«Ciao» disse lei. «Sei sveglio?»

«Dove sei stata?»

«Sono andata a prendere una boccata d'aria.»

«Si, proprio.»

«Cosa vuoi che dica, tesoro?»

«Dove sei stata?»

«Fuori a prendere una boccata d'aria.»

«Adesso lo chiamano così? Una puttana, sei.»

«Be', tu sei un vigliacco.»

«Va bene» disse lui. «E allora?»

«Niente, per quanto mi riguarda. Ma non parliamo, pe1 piacere, caro, perché ho un

gran sonno.»

«Tu mi credi capace di resistere a tutto.»

«So che lo farai, tesoro.»

«Be', none così.»

«Per piacere, caro, non parliamo Ho tanto sonno.»

«Doveva essere finita. Hai promesso che sarebbe finita.»

«Be', non è finita» disse soavemente lei.

«Avevi detto che sarebbe finita, se facevamo questo viaggio. Avevi promesso.»

«Sì, caro. E dicevo sul serio. Ma tu ieri hai rovinato tutto. Non è il caso di parlarne,

vero?»

«Non hai aspettato molto per approfittarne, eh?»

«Non parliamo, per piacere. Sono così stanca, tesoro.»

«Io voglio parlare.»

«Allora non badare a me, perché io voglio dormire.» E così fece.

Per fare colazione si misero tutti a tavola prima che spuntasse il giorno e Francis

Macomber scoprì che di tutti gli uomini che aveva odiato, ed erano molti, Robert Wilson

era quello che odiava di più.

«Dormito bene?» chiese Wilson con la sua voce gutturale, riempiendosi la pipa,

«E lei?»

«Ottimamente» disse il cacciatore bianco.

Bastardo, pensò Macomber, bastardo insolente.

E così lo ha svegliato quando è tornata in tenda, pensò Wilson, guardandoli tutt'e due

con i suoi occhi freddi e inespressivi. Be', perché non la tiene al suo posto? Cosa crede

che sia, un maledetto santo di gesso? Che la tenga al suo posto. E colpa sua.

«Crede che troveremo dei bufali?» chiese Margot, respingendo un piatto di albicocche.

«Probabile» disse Wilson e le sorrise. «Perché non resta al campo, lei?»

«Nemmeno per idea» gli disse lei.

«Perché non le ordina di restare al campo?» disse Wilson a Macomber.

«Glielo ordini lei» disse Macomber, freddamente.

«Non c'è da ordinare niente a nessuno, e finiscila» rivolta a Macomber «con queste

sciocchezze, Francis» disse Margot molto amabilmente.

«È pronto a partire?» chiese Macomber.

«Quando vuole» gli disse Wilson. «Vuole che venga anche la memsahib?»

«Che io lo voglia o no, cambia qualcosa?»

Al diavolo, pensò Robert Wilson. All’inferno lui e tutta la compagnia. Allora è così che

deve andare. Be', allora così andrà.

«Non cambia niente» disse.

«E sicuro che non preferirebbe restare lei qui al campo con mia moglie mentre io vado a

caccia di bufali?» chiese Macomber.

«Impossibile» disse Wilson. «Io non direi sciocchezze se fossi in lei.»

«Io non dico sciocchezze. Sono semplicemente disgustato.»

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«Brutta parola, disgustato.»

«Francis, per piacere, vuoi sforzarti di parlare in modo ragionevole?» disse sua moglie.

«Parlo fin troppo ragionevolmente» disse Macomber. «Avete mai mangiato della roba

più schifosa?»

«Qualcosa che non va nella roba da mangiare?» chiese Wilson tranquillamente.

«Non più che in tutto il resto.»

«Animo, ragazzo» disse Wilson a bassissima voce. «C'è un boy che serve a tavola e

capisce un po' d'inglese.»

«Vada al diavolo.»

Wilson si alzò e tirando boccate di fumo dalla pipa si allontanò, per dire qualche parola

in swahili a uno dei portatori di fucile che, in piedi, lo stava aspettando. Macomber e sua

moglie rimasero seduti. Lui fissava la sua tazza di caffè.

«Se fai una scenata ti lascio, tesoro» disse Margot a bassa voce.

«No, non è vero.»

«Provaci e vedrai.»

«Non è vero che mi lasci.»

«No» disse lei. «Io non ti lascio, ma tu devi comportarti bene.»

«Io? Che modo di parlare. Comportarmi bene.»

«Sì. Comportarti bene.»

«Perché non cerchi tu di comportarti bene?»

«È da tanto che ci provo. Da tanto di quel tempo.»

Odio quel porco dalla faccia rossa» disse Macomber. «Mi fa schifo solo a vederlo.»

«Veramente è molto carino.»

«Oh, piantala» disse Macomber, quasi gridando. Proprio allora la macchina arrivò e si

fermò davanti alla tenda della mensa e l'autista e i due portatori di fucile misero piede a

terra. Wilson si avvicinò e guardò i due coniugi seduti a tavola.

«Andiamo a tirare qualche colpo?» domandò.

«Sì» disse Macomber, alzandosi in piedi. «Sì.»

«Meglio portarsi un golf. In macchina farà fresco» disse Wilson.

«Vado a prendere la mia giubba di cuoio» disse Margot.

«Ce Pha il boy» le disse Wilson. Lui salì davanti con l'autista e Francis Macomber e sua

moglie sedettero, senza parlare, sul sedile posteriore.

Speriamo che a questo maledetto stupido non venga l'idea di spararmi una fucilata

nella schiena, pensò Wilson tra sé. Che seccatura sono le donne nei safari.

La macchina scendeva sferragliando per attraversare il fiume a un guado sassoso nella

grigia luce del mattino e poi salì, impennandosi su per la sponda scoscesa, dove Wilson il

giorno prima aveva ordinato di aprire una strada per poter raggiungere il terreno ondulato

e boscoso sull'altra riva, che sembrava quello di un parco.

Era un bel mattino, pensò Wilson. La rugiada appesantiva il fogliame, e quando le ruote

passavano sull'erba tra i cespugli bassi si sentiva l'odore delle fronde schiacciate. Era un

odore che sembrava di verbena, e a Wilson piaceva quest'odore mattutino della rugiada e

delle felci schiacciate, e l'aspetto dei tronchi d'albero neri nella foschia del primo mattino,

mentre la macchina procedeva su quel terreno poco

battuto, molto simile a quello di un parco. Wilson si era già dimenticato dei

passeggeri sul sedile posteriore e ora stava pensando ai bufali. I bufali che cercava lui

passavano la giornata nel folto di un acquitrino dov'era impossibile sparare, ma di notte

pascolavano in un pezzo di terra scoperto, e se Wilson fosse riuscito a frapporsi con la

macchina tra loro e la palude Macomber avrebbe avuto buone probabilità di sorprenderli.

Con Macomber non voleva cacciare il bufalo nel folto. Con Macomber non avrebbe

voluto cacciare né il bufalo né altro, ma Wilson era un cacciatore di professione e ai suoi

tempi era andato a caccia con certi tipi davvero eccezionali. Se oggi avessero preso il

bufalo sarebbe rimasto solo il rinoceronte, e quel povero diavolo avrebbe finito il suo

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gioco pericoloso e forse le cose si sarebbero aggiustate. Wilson non avrebbe più visto

quella donna e Macomber avrebbe ingoiato anche questa. Chissà quante doveva

averne già mandate giù, a giudicare dalle apparenze. Poveraccio. Doveva aver trovato

un sistema per passarci sopra. Be', era tutta colpa sua, tutta colpa di quel povero

bastardo.

Lui, Robert Wilson, si portava nei safari una branda a due piazze per accogliervi

qualunque dono del cielo potesse capitargli di ricevere. Aveva cacciato per una certa

clientela, un ambiente internazionale di gente allegra che voleva divertirsi, dove alle

donne non sembrava di avere speso bene i propri soldi se non avevano diviso quella

branda col cacciatore bianco. Wilson le disprezzava quando era lontano da loro, anche

se di tanto in tanto qualcuna gli piaceva, ma era con loro che si guadagnava la vita; e i

loro standard erano anche i suoi, fino a quando erano loro a pagarlo.

Erano i suoi standard in tutto tranne che nella caccia. Wilson aveva i suoi standard

nella caccia e loro potevano esserne all'altezza o trovarsi qualcun altro che cacciasse per

loro. Wilson sapeva anche che per questo era rispettato da tutti. Ma quel Macomber era

proprio un bel tipo. Accidenti se lo era. E la moglie? Be', la moglie... Sì, la moglie. Uhm,

la moglie... Be', quello per lui era un capitolo chiuso. Si voltò a guardarli. Macomber

sedeva ingrugnato e furente. Margot lo guardava sorridendo. Oggi sembrava più

giovane, più fresca e più innocente, e non così professionalmente bella. Cosa c'è nel suo

cuore lo sa Iddio, pensò Wilson. Non avevano parlato molto quella notte. Tutto sommato,

vederla era un piacere.

La macchina si arrampicò su una collinetta e proseguì tra gli alberi e poi sbucò in una radura

erbosa che sembrava una prateria e si tenne al riparo degli alberi lungo il bordo, con l'autista

che andava piano e Wilson che perlustrava attentamente la prateria e tutto il suo margine

opposto. Wilson fermò la macchina e studiò la radura col binocolo. Poi segnalò all'autista di

proseguire e la macchina riprese ad avanzare lentamente, con l'autista che schivava le buche

dei facoceri e girava intorno ai castelli di fango costruiti dalle formiche. Poi, mentre guardava

verso la radura, a un tratto Wilson si voltò e disse:

«Perdio, eccoli là!»

E guardando dove indicava lui, mentre la macchina scattava in avanti e Wilson parlava

frettolosamente in swahili al conducente, Macomber vide tre enormi bestie nere che sembravano

quasi cilindriche nella loro allungata pesantezza, simile a grossi carri cisterna neri, che

passavano al galoppo lungo il margine opposto della prateria. Era uno strano galoppo, con il

collo e il corpo rigido, e Macomber poteva scorgere le grandi corna nere puntate verso l'alto

che avevano sulla testa, mentre galoppavano con la testa protesa; una testa che non si

muoveva.

«Sono tre vecchi maschi» disse Wilson. «Isoliamoli prima che raggiungano la palude.»

La macchina viaggiava a tutta birra attraverso la radura, a più di settanta chilometri l'ora, e,

mentre Macomber guardava, i bufali continuarono a ingrandirsi fino a permettergli di vedere la

figura grigia, rognosa, spelacchiata di un maschio colossale, e come il collo fosse in lui

tutt'uno con le spalle, e il nero lucido delle sue corna mentre galoppava un po' discosto, dietro

gli altri scaglionati in fila indiana che tenevano quel passo pesante e regolare; e poi, mentre

la macchina sbandava come se fosse uscita di strada, si avvicinarono, e lui poté vedere la

pesante immensità del bufalo, e la polvere sul suo manto spelacchiato, la grossa protuberanza

tra le corna e il muso proteso con le froge dilatate, e stava alzando la carabina quando Wilson

urlò: «Non dalla macchina, idiota!» e non aveva paura, solo odio per Wilson, mentre i freni si

bloccavano e la macchina slittava, affondando di traverso nel terreno fin quasi a fermarsi, e

Wilson usci da una parte e lui dall'altra, inciampando quando toccò col piede quella terra

immobile e sfuggente, e poi stava sparando al bufalo che si allontanava, udendo il tonfo dei

protettili che lo colpivano, scaricandogli addosso la carabina mentre quello, imperterrito,

continuava ad allontanarsi, ricordando finalmente di mirare più avanti, alla spalla, e mentre

trafficava per ricaricare vide che il bufalo era a terra. In ginocchio, scuoteva la testa, e quando

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vide gli altri due sempre al galoppo Macomber sparò al primo e lo colpì. Sparò di nuovo e

mancò il bersaglio, e poi udì il ca-ra-uong di Wilson che sparava e vide il primo bufalo scivolare

in avanti, sul naso. «L'altro» disse Wilson. «Questo si chiama sparare!» Ma l'altro bufalo

continuava a galoppare, con la solita andatura regolare, e Macomber lo mancò, sollevando

uno spruzzo di terra, e Wilson lo mancò, nella polvere che si alzava dalla radura formando un

nuvolone, e Wilson urlò: «Andiamo. E troppo lontano!» e lo prese per un braccio e risalirono in

macchina, aggrappandosi ai lati del veicolo ondeggiante e filando come razzi sul terreno

accidentato, portandosi alle terga del bufalo che continuava a correre in linea retta e con il

collo teso, in quel suo galoppo pesante e regolare.

Erano dietro di lui e Macomber caricava la carabina, seminando cartucce sul terreno,

inceppandola, sbloccandola, poi frano quasi alla stessa altezza del bufalo quando Wilson urlò

«Ferma», e la macchina sbandò fin quasi a capottare e Macomber cadde in piedi davanti al

veicolo, tirò la leva dell'otturatore e sparò a quel dorso nero bombato e galoppante mirando più

avanti che poteva, mirò e sparò di nuovo, e ancora, e ancora, e le pallottole, tutte andate a

segno, non ebbero, sul bufalo alcun effetto visibile. Poi sparò Wilson, con un boato

assordante, e lui vide l'animale barcollare. Macomber sparò ancora, mirando attentamente, e il

bufalo crollò, sulle ginocchia.

«Molto bene» disse Wilson. «Ottimo lavoro. Li abbiamo beccati tutt'e tre.»

Macomber provò un senso di esultanza confinante con l'ebbrezza.

«Quanti colpi ha sparato?» chiese.

«Tre soli» disse Wilson. «Il primo bufalo lo ha ammazzato lei. Il più grosso. Io l'ho

aiutata a finire gli altri due. Non volevo che riuscissero a nascondersi da qualche

parte. Ma li ha ammazzati lei. Ho solo chiuso i conti. Lei spara molto bene.»

«Torniamo alla macchina» disse Macomber. «Ho bisogno di bere.»

«Prima dobbiamo finire quel bufalo» gli disse Wilson. Il bufalo era in ginocchio e

scuoteva furiosamente la testa e, quando mossero verso di lui, muggì sonoramente

tutta la sua rabbia guardandoli con l'occhio porcino.

«Badi che non si alzi» disse Wilson. Poi: «Si metta un po' di fianco e miri al collo,

appena dietro l'orecchio».

Macomber mirò attentamente ai centro dell'enorme collo sussultante e inferocito e

sparò. Allo sparo la testa crollò in avanti.

«Così va bene» disse Wilson. «Lo ha preso alla spina dorsale. Che razza di bestioni,

eh?»

«Andiamo a bere» disse Macomber. Non si era mai sentito così bene in vita sua.

La moglie di Macomber, seduta in macchina, era pallidissima. «Sei stato magnifico,

tesoro» disse a Macomber. «Che gincana.»

«È stata dura?» domandò Wilson.

«Spaventoso. Non ho mai avuto più paura in vita mia.»

«Beviamo» disse Macomber.

«Certamente» disse Wilson. «La dia alla memsahib.» Lei bevve dalla fiasca l’whisky

puro e mentre deglutiva fu scossa da un piccolo brivido. Porse la fiasca a Macomber,

che la porse a Wilson.

«È stato spaventosamente elettrizzante» disse lei. «Mi è venuto un tremendo mal di

testa. Però non sapevo che foste autorizzati a sparargli dalle macchine.»

«Nessuno ha sparato dalle macchine» disse freddamente Wilson.

«A inseguirli con le macchine, volevo dire.»

«Di regola non si fa» disse Wilson. «Però mi è sembrato abbastanza sportivo, già che

c'eravamo. Si corrono più rischi a sfrecciare così attraverso la prateria, piena di buche e

una cosa e l'altra, che a cacciare a piedi. Il bufalo poteva caricarci ogni volta che gii

abbiamo sparato, se voleva. Gli abbiamo dato tutte le possibilità. Non lo direi a nessuno,

però. È illegale, se ci tiene a saperlo.»

«Io l'ho trovato molto sleale» disse Margot. «Cacciare con la macchina quei bestioni

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inermi.»

«Ah sì?» disse Wilson.

«Cosa succederebbe se a Nairobi lo venissero a sapere?»

«Anzitutto perderei la mia licenza. Poi ci sarebbero altre seccature» disse Wilson,

bevendo un sorso dalla fiasca. «Rimarrei disoccupato.»

«Davvero?»

«Sì, davvero.»

«Be1» disse Macomber, e sorrise per la prima volta in tutto il giorno. «Ora è nelle sue

mani.»

«Hai un modo cosi carino di dire le cose, Francis» disse Margot Macomber. Wilson li

guardò entrambi. Se uno stupido sposa una puttana, stava pensando, come diavolo

saranno i loro figli? Quello che disse fu: «Abbiamo perso un portatore. Ve ne siete

accorti?».

«Dio mio, no» disse Macomber.

«Eccolo che arriva» disse Wilson. «Sano e salvo. Dev'essere caduto dalla macchina

quando abbiamo lasciato il primo bufalo.»

Quello che si stava avvicinando era il portatore di mezza età, zoppicante sotto il

berretto di maglia, la sahariana, i calzoncini corti e i sandali di gomma, cupo in volto e

disgustato. Quando arrivò si rivolse a Wilson in swahili e tutti notarono il cambiamento

sulla faccia del cacciatore bianco.

«Cosa dice?» chiese Margot.

«Dice che il primo bufalo si è rialzato ed è sparito nella boscaglia» disse Wilson con voce

inespressiva.

«Oh» disse Macomber, guardandolo con aria assente.

«Allora sarà come col leone» disse Margot, pregustando la scena.

«Non sarà affatto come col leone» le disse Wilson. «Vuole un altro sorso, Macomber?»

«Grazie, sì» disse Macomber. Si aspettava di provare nuovamente quello che aveva

provato per il leone, invece non fu così. Per la prima volta in vita sua si sentiva assolutamene

te impavido. Invece di aver paura, provava un chiaro senso di esultanza.

«Dovremo andare a dare un'occhiata al secondo bufalo» disse Wilson. «Dirò all'autista di

mettere la macchina all'ombra.»

«Cosa volete fare?» chiese Margaret Macomber.

«Dare un'occhiata al bufalo» disse Wilson.

«Vengo anch'io.»

«Venga pure.»

A piedi, tutt'e tre, raggiunsero il punto in cui il secondo bufalo formava una massa nera in

mezzo alla radura, la testa allungata sull'erba, le corna massicce divaricate.

«Ha una testa bellissima» disse Wilson. «Tra un corno e l'altro sarà più di un metro e venti.»

Macomber lo guardava divertito.

«Mi fa orrore» disse Margot. «Non possiamo andare all'ombra?»

«Certo» disse Wilson. «Guardi» disse a Macomber, e puntò il dito. «Vede quella macchia?»

«Sì.»

«È lì che si è inoltrato il primo bufalo. Il portatore ha detto che quando lui è caduto dalla

macchina il bufalo era a terra. Guardava noi che andavamo come il vento e gli altri due bufali al

galoppo. Quando si è voltato il bufalo era in piedi e lo guardava. Il portatore se l'è data a

gambe e il bufalo è scomparso lentamente nella boscaglia.»

«Possiamo andarlo a cercare, adesso?» chiese Macomber con impazienza.

Wilson gli rivolse un'occhiata indagatrice. Mi venga un colpo se non è un tipo strano»

pensò. Ieri se la fa addosso dai la fifa e oggi non vede l'ora di menar le mani.

«No, gli daremo un po' di tempo.»

«Per piacere, andiamo all'ombra» disse Margot. Il suo volto era pallido e lei aveva un'aria

sofferente.

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Si diressero verso il punto dove si trovava l'automobile sotto un albero isolato dalla grande

chioma, e vi salirono.

«Può darsi che sia morto là dentro» osservò Wilson. «Tra un po' andremo a dare

un'occhiata.»

Macomber provava una sfrenata, irragionevole felicità che non aveva mai provato prima.

«Perdio, che caccia» disse. «Non ho mai provato una sensazione simile. Non è stato

magnifico, Margot?»

«Che disgusto.»

«Come?»

«Che disgusto» disse astiosamente lei. «Che schifo.»

«Sa, credo che non avrò più paura di niente» disse Macomber a Wilson. «Mi è successo

qualcosa dopo la prima volta che abbiamo visto il bufalo e ci siamo messi a inseguirlo. Come

una diga che si spacca. Ero al colmo dell'eccitazione.»

«Ti depura il fegato» disse Wilson. «Certe volte alla gente succedono delle cose

maledettamente strane.»

Il viso di Macomber era raggiante. «Mi è davvero successo qualcosa, sa» disse. «Mi sento un

altro.»

Sua moglie non disse nulla e lo guardò in uno strano modo. Era seduta dietro, in fondo,

mentre Macomber si sporgeva in avanti per parlare con Wilson che rispondendo si voltava a

mezzo sopra lo schienale del sedile anteriore. fi «Vorrei provare con un altro leone, sa» disse

Macomber. «Ormai non mi fanno più paura, veramente. Dopo tutto, cosa possono farti?»

«Giusto» disse Wilson. «Il peggio che ti possa capitare è che qualcuno ti ammazzi. Come

dice? Shakespeare. Bellissime parole. Vediamo se riesco a ricordarmele. Oh, bellissime. Una

volta me le ripetevo sempre. Vediamo. "In fede mia, non m'importa; un uomo non può morire

che una volta; una morte dobbiamo a Dio e vada come vuole, chi muore quest'anno non dovrà

farlo quello successivo.11 Bello, eh?»

Era imbarazzatissimo per aver tirato fuori quella che era un po' la sua regola di vita, ma

aveva già visto degli uomini diventare maggiorenni ed era sempre una cosa che lo

riempiva di commozione. Non era come se avessero compiuto semplicemente il loro

ventunesimo anno.

C'era voluta una caccia stranamente fortunata, un improvviso passaggio all'azione

senza la possibilità di angustiarsi prima del tempo, per farlo succedere in Macomber, ma

comunque fosse successo era sicuramente successo. Guarda quel tipo, adesso,

pensò Wilson. È che alcuni di loro rimangono per tanto tempo bambini, pensò Wilson.

Certe volte per tutta la vita. A cinquantanni, sembrano bambini anche nell'aspetto. I

grandi uomini-bambini americani. Gente maledettamente strana. Ma ora questo

Macomber gli piaceva. Un individuo maledettamente strano. Che avesse anche finito

di farsi fare le corna da sua moglie? Be', quella sarebbe stata una cosa bellissima. Una

cosa maledettamente buona. Forse quel poveraccio aveva sempre avuto paura, per tutta

la vita. Chissà com'era cominciata quella storia. Ma adesso era finita. Non aveva avuto il

tempo di farsi spaventare dal bufalo. Questo e l'arrabbiatura. E la macchina. Le

macchine rendevano la cosa familiare. Adesso era un maledetto attaccabrighe. In

guerra Wilson aveva visto succedere le stesse cose. Cambiavano più che se avessero

perso la verginità. La paura se ne andava come dopo un'operazione. Al suo posto

cresceva un'altra cosa. La cosa più importante che avesse un uomo. Che ne faceva

un uomo. Anche le donne lo sapevano. Più nessuna paura.

Dall'angolo più lontano dei sedile Margaret Macomber li guardava tutt'e due. Wilson

non era cambiato. Vedeva Wilson come lo aveva visto il giorno prima, quando per la

prima volta si era accorta di quale fosse il suo grande talento. Ma vedeva che qualcosa

di cambiato ora c'era in Francis Macomber.

«Prova anche lei questa felicità per le cose che devono succedere?» chiese

Macomber, continuando a esplorare la sua nuova ricchezza.

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«Non se ne dovrebbe parlare» disse Wilson, guardandolo in

faccia, «È molto più elegante dire che si ha paura. Badi, anche lei avrà paura, chissà

quante volte.»

«Ma la prova anche lei questa felicità per l'imminenza dell'azione?»

«Sì» disse Wilson. «È così. Non parli troppo di tutto questo. Altrimenti finisce tutto in

chiacchiere. A parlarne troppo non si apprezza più nulla.»

«State dicendo un mucchio di sciocchezze» disse Margot, «Solo perché avete

inseguito con la macchina alcuni animali inermi parlate come degli eroi.»

«Scusi» disse Wilson. «Ho chiacchierato troppo.» Già comincia a preoccuparsi,

pensò.

«Se non sai di che parliamo perché t'immischi?» chiese Macomber a sua moglie.

«Come sei diventato coraggioso, tutt'a un tratto» disse sua moglie in tono sprezzante,

ma il suo disprezzo sembrava titubante. Aveva una gran paura di qualcosa.

Macomber rise, una risata sincera e molto naturale. «Lo sai» disse. «È proprio vero.»

«Non è un po' tardi?» disse Margot con asprezza. Perché in passato, per molti anni,

aveva fatto del suo meglio, e i problemi che avevano adesso non erano colpa di

nessuno.

«Non per me» disse Macomber.

Margot non disse nulla ma tornò a rincantucciarsi nell'angolo del sedile.

«Crede che gli abbiamo lasciato abbastanza tempo?» chiese allegramente Macomber

a Wilson.

«Potremmo dare un'occhiata» disse Wilson. «Le sono avanzate delle munizioni?»

«Ne ha un po' il portatore.»

Wilson gridò qualcosa in swahili e il portatore più vecchio, che stava scuoiando una

delle teste, si raddrizzò, trasse di tasca una scatola di cartucce e le portò a Macomber,

che si riempì il caricatore e mise in saccoccia quelle che restavano.

«Tanto vale che prenda lo Springfield» disse Wilson. «Ormai c'è abituato. Lasceremo

il Mannlicher in macchina con la memsahib. Il portatore può portarle la carabina più

pesante. lo> ho questo maledetto cannone. Ora lasci che le spie' ghi.» Aveva tenuto questo

per ultimo perché non voleva impensierirlo. «Quando il bufalo carica, carica a testa alta e in

linea retta. La gobba delle corna gli ripara il cervello dai colpi. L'unico sistema per colpirlo è

attraverso il naso. L'altro puntò) buono è il petto o, se sei di fianco, il collo o le spalle. Colpiti

una volta, sono duri a morire. Non si faccia venire strane? idee. Tenti il colpo più semplice che

c'è. Ormai hanno firtuto di scuoiare quella testa. Vogliamo metterci in movimento?»

Chilamò i portatori, che arrivarono pulendosi le mani, e il più vecchio sali dietro.

«Prendo solo Kongoni» disse Wilson. «L'altro può occuparsi di tenere lontani gli avvoltoi.»

Mentre la macchina tagliava lentamente la radura verso l'isolai di alberi irsuti che formavano

una lingua di fogliame lungo un corso d'acqua inaridito che incideva il valloncello, Macomber si

sentiva il cuore in gola e la sua bocca era di nuovo) asciutta, ma per l'eccitazione, non per la

paura.

«Ecco il punto dov'è entrato» disse Wilson. Poi, in swahili, al portatore: «Segui le tracce di

sangue».

La macchina era parallela al tratto di boscaglia. Macomber, Wilson e il portatore scesero a

terra. Macomber, voltandosi indietro, vide sua moglie, col fucile al fianco, che lo guardava.

La salutò con la mano e lei non rispose al suo cenno.

Davanti a loro la boscaglia era fittissima e il terreno era secco. Il portatore di mezza età

sudava copiosamente e Wilson si era calato il cappello sugli occhi e mostrava il collo rosso

proprio davanti agli occhi di Macomber. A un tratto il portatore disse a Wilson qualcosa in

swahili e corse avanti.

«È là dentro, morto» disse Wilson. «Bel lavoro», e si voltò per stringere la mano di

Macomber, e mentre si davano la mano, scambiandosi un sorriso, il portatore lanciò un grido

selvaggio ed essi lo videro uscire dalla boscaglia di traverso, veloce come un granchio, e il

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bufalo che veniva con le froge dilatate» la bocca serrata, il sangue gocciolante, il testone

protese) in avanti, che veniva alla carica, con gli occhietti

porcini iniettati di sangue mentre li guardava. Wilson, che era in testa, s'inginocchiò

sparando, e Macomber, mentre sparava, senza udire il rumore dello sparo nel rombo della

carabina di Wilson, vide dei frammenti che sembravano di ardesia saltar via dall'enorme

gobba delle corna, e la testa sussultare, poi sparò ancora contro le froge dilatate e vide le

corna che tornavano a ballare e altre schegge che volavano, e ormai non vedeva più

Wilson, e mirando con cura sparò ancora, con la massa enorme del bufalo quasi su di lui

e la sua carabina quasi alla stessa altezza della testa che arrivava, col muso proteso, e

vide gli occhietti cattivi, e poi la testa cominciò ad abbassarsi e lui sentì un lampo

improvviso, incandescente, accecante, scoppiargli nella testa, e questo fu tutto quello che

sentì.

Wilson si era gettato da una parte per piazzare un colpo alta spalla. Macomber era

rimasto fermo e aveva mirato al naso, sparando ogni volta alto d'un pelo e colpendo le

grosse corna, sbriciolandole e scheggiandole come se avesse colpito un tetto di ardesia, e

la signora Macomber, dalla macchina, aveva sparato al bufalo col Mannlicher 6, 5 quando

sembrava che stesse per sbudellare Macomber e aveva colpito il marito alla base del

cranio, quattro o cinque centimetri sopra il colletto e un po' lateralmente.

Ora Francis Macomber giaceva, a faccia in giù, a meno di due metri da dove il bufalo

giaceva s\il fianco, e sua moglie era inginocchiata sopra di lui con Wilson accanto a lei.

«Non lo girerei» disse Wilson.

La donna piangeva istericamente.

«Io tornerei alla macchina» disse Wilson. «La carabina dov'è?»

Lei scosse la testa, col viso contorto. Il portatore raccattò la carabina.

«Lasciala come sta» disse Wilson. Poi: «Va’ a prendere Abdulla, in modo che possa

testimoniare come si è svolto l'incidente».

S'inginocchiò, trasse di tasca un fazzoletto e lo stese sopra i capelli a spazzola della

testa di Francis Macomber, là dov'era. Il sangue imbeveva la terra soffice e secca.

Wilson si raddrizzò e vide il bufalo di fianco a lui, con le zampe rigide, e il ventre

spelacchiato brulicante di zecche. "Gran bella bestia" registrò automaticamente il suo

cervello. "Un buon metro e venti, o più. Forse più." Chiamò l’autista e gli disse di

stendere una coperta sopra il corpo e di aspettare lì. Poi raggiunse la macchina dove la

donna, in un angolo, piangeva.

«Proprio un bel lavoretto» disse con voce monotona: «Stavolta l'avrebbe lasciata.»

«La smetta>» disse lei.

«È stato un incidente, si capisce» disse lui. «Lo so.»

«La smetta» disse lei.

«Non si preoccupi» disse lui. «Ci sarà qualche brutto momento, ma farò fare delle

fotografie che saranno molto utili all'inchiesta Abbiamo anche la testimonianza dei

portatori e dell'autista. Andrà tutto bene.»

«La smetta» disse lei.

«Ci sono un mucchio di cose da fare» disse lui. «E dovrò mandare un camion giù al

lago per far venire un aereo che ci porti a Nairobi tutt'e tre. Perché non lo ha

avvelenato? In Inghilterra si fa così.»

«La smetta. La smetta. La smetta» gridò la donna.

Wilson la guardò con i suoi occhi azzurri e inespressivi.

«Ho finito» disse. «Ero solo un po' arrabbiato. Aveva cominciato a piacermi, suo

marito.»

«Oh, la smetta, per piacere» disse lei. «Per piacere, per piacere, la smetta.»

«Così va meglio» disse Wilson. «Meglio chiedere le cose per piacere. Ecco, smetto

subito.»