venerdì 13 aprile 2018






CHESIL BEACH
Ian McEwan
Può succedere, anche se non ce ne accorgiamo, che  il corso della nostra vita dipenda dal non fare qualcosa, come non dire la parola giusta o non fare il gesto opportuno. Spesso noi teniamo dentro parole e sensazioni, nella vita di tutti i giorni, per timore di affrontare gli altri, o perché pensiamo di proteggerli. Ma non pensiamo mai all'effetto che questo potrà avere sul corso delle cose. Di questo si narra in "Chesil Beach" attraverso il racconto della prima notte di nozze di Edward e Florence, ambientato nel  lontano anno 1962. Due giovani innamorati, "freschi di studi, e tutti e due ancora vergini”, che scoprono che  l’amore non basta per vivere  l’intimità sessuale della  tanto attesa e temuta prima notte. Ci provano e riprovano. Sono attacchi, ritirate, pudori,  che si susseguono  mentre si alternano e si scontrano  desiderio e repulsione,  carezze e pianti.
Ian McEwan ci fa conoscere i pensieri intimi dei due ragazzi, in profondità, anche  se il racconto si svolge nelle poche ore di una sola notte, con l'intensità di parole non dette, di sguardi, di gesti impacciati  e di ansie. Si parla di un mondo lontano, che colpisce per lo stile della narrazione che si accosta con tenerezza alla tragedia umana di questa vicenda. 
CHESIL BEACH
Incipit
Erano giovani, freschi di studi, e tutti e due ancora vergini in quella loro
prima notte di nozze, nonché figli di un tempo in cui affrontare a voce
problemi sessuali risultava semplicemente impossibile. Anche se facile non
lo è mai. Si erano appena seduti a cena nella saletta minuscola al primo
piano di una locanda in stile georgiano. Dalla stanza accanto, attraverso la
porta aperta, si scorgeva un letto a baldacchino, piuttosto stretto, dalla
sopraccoperta candida e tesa con una perfezione pressoché innaturale.
Edward tenne per sé il fatto di non avere mai dormito in un albergo, mentre
Florence, dopo tutti quei viaggi col padre da piccola, era una veterana. A
livello superficiale, erano di ottimo umore. Il matrimonio, nella chiesa di St
Mary a Oxford, era andato bene: una cerimonia decorosa, un rinfresco
gradevole, i saluti dei compagni di scuola e del college commossi e
incoraggianti. I genitori di lei non avevano assunto atteggiamenti
paternalistici con quelli di lui, come si era temuto, e la madre di Edward si
era comportata dignitosamente, evitando di scordare il motivo dei
festeggiamenti. Gli sposi si erano allontanati a bordo di un'utilitaria di
proprietà della madre di Florence e, sul fare della sera, erano arrivati nel
loro albergo sulla costa del Dorset, con un clima magari non ideale per metà
luglio e per la circostanza, ma assolutamente accettabile: non pioveva
infatti, anche se non faceva nemmeno abbastanza caldo, secondo Florence,
per cenare fuori in giardino come avevano sperato. Edward era di un altro
avviso. Tuttavia, cortese fino all'eccesso, non si era nemmeno sognato di
contraddirla proprio quella sera.
Perciò ora cenavano in camera davanti alla portafinestra che, dal terrazzo,
affacciava su un tratto di Manica e sulla sconfinata distesa di ciottoli di
Chesil Beach. Li servivano, da un carrello parcheggiato nel corridoio, due
ragazzi in smoking il cui andirivieni da quella che veniva solitamente
definita la suite nuziale produceva nel silenzio circostante comici scricchiolii
delle assi di quercia incerate. Fiero e protettivo, il giovane sposo stava
attentissimo a cogliere eventuali gesti ed espressioni dal sapore vagamente
ironico. Non avrebbe tollerato il minimo sorriso beffardo. Ma i ragazzi, che
venivano dal paese vicino, svolgevano il proprio lavoro a testa bassa e occhi
seri, e avevano modi incerti, le mani tremanti, mentre appoggiavano i vari
piatti sulla tovaglia inamidata. Nervosi, anche loro.
Non un buon momento, nella storia della cucina inglese, ma nessuno ci
faceva molto caso, a parte i visitatori stranieri. Il pasto di gala iniziò, come
accadeva quasi sempre al tempo, con una fetta di melone guarnita da un
singolo esemplare di ciliegia candita. Fuori, nel corridoio, in vassoi d'argento
intiepiditi da scaldavivande a candela, attendevano fette di un arrosto cotto
da tempo adagiate in un sugo denso, verdure arcilesse e patate dal colorito
bluastro. Il vino arrivava dalla Francia anche se l'etichetta, impreziosita dal
volo di un'unica rondine, non specificava nessuna regione di origine in
particolare. A Edward non sarebbe mai passato per la mente di ordinare un
rosso.
Non vedendo l'ora che i camerieri se ne andassero, lui e Florence si volsero
sulla sedia verso il panorama: un vasto tappeto d'erba e, più in là, un
groviglio di arbusti in fiore e di alberi aggrappati alla sponda scoscesa di un
viottolo che declinava verso la spiaggia. Si intravedeva l'imboccatura del
sentiero da percorrere a piedi, un precipizio di gradini fangosi, un vicolo
costeggiato da erba di proporzioni fiabesche: rabarbaro gigante e piante
simili a cavoli i cui steli robusti alti più di un metro e mezzo parevano
flettersi sotto il peso delle grandi foglie, venate di scuro. La vegetazione del
giardino cresceva in un rigoglio di qualità tropicale, effetto esaltato dalla
delicata luce grigia e dal velo di foschia in arrivo dal mare, il cui moto
eterno di onda e risacca produceva a livello sonoro piccoli rombi di tuono e
improvvisi risucchi sui ciottoli. Dopo cena si ripromettevano di infilare un
paio di scarpe adatte e di scendere a passeggiare sulla lingua di spiaggia tra
il mare e la laguna, nota con l'appellativo di Fleet, e qualora ne fosse
rimasto, di portarsi l'avanzo di vino da bere a collo, come escursionisti.
Quanti progetti, quanti vertiginosi progetti si accalcavano dinanzi a loro in
quel futuro brumoso, impenetrabile e fitto come la flora estiva della costa
del Dorset, e non meno incantevole. Dove e come avrebbero vissuto, quali
amici avrebbero frequentato, il lavoro di lui nell'azienda del padre di lei, la
carriera musicale di Florence, come gestire il denaro donatole dal padre, la
certezza che non sarebbero mai stati come gli altri, perlomeno non a livello
interiore.
Erano ancora tempi, destinati a concludersi alla fine di quel famoso
decennio, in cui essere giovani costituiva un ingombro sociale, un marchio
di irrilevanza, una condizione di leggero imbarazzo per la quale il
matrimonio rappresentava l'inizio di una terapia. Grossomodo estranei,
eccoli là, stranamente insieme su una nuova vetta dell'esistenza, lieti al
pensiero che il loro status recente promettesse di sospingerli sul radioso
cammino di una interminabile giovinezza: Edward e Florence, finalmente
liberi! Uno degli argomenti preferiti di conversazione tra loro era quello
delle rispettive infanzie, non tanto le gioie puerili quanto la comica nebbia
di equivoci dalla quale erano emersi, gli innumerevoli errori dei loro genitori
e tutte le usanze all'antica di cui ora erano disposti a perdonarli.
Dalle attuali altitudini scorgevano con chiarezza, ma non sapevano spiegare
all'altro, certi sentimenti contraddittori: ciascuno viveva con apprensione la
prospettiva, una volta conclusa la cena, di vedere messa alla prova la propria
maturità appena acquisita, quel momento in cui si sarebbero coricati sul
letto a baldacchino per mostrarsi all'altro senza veli di sorta. Da più di un
anno Edward era mesmerizzato dall'idea che la sera di un certo giorno di
luglio la parte più sensibile della sua persona fisica avrebbe trovato posto,
seppure per breve tempo, all'interno di una cavità naturale che era parte di
quella donna graziosa, vivace e straordinariamente brillante. Come arrivarci
senza attraversare l'assurdo e il senso di delusione, lo preoccupava molto.
Nello specifico l'ansia, fondata su un'unica sfortunata circostanza
precedente, scaturiva dal rischio di un'eccitazione smodata, e di
conseguenza di quello che aveva da alcuni sentito definire come
«concludere troppo in fretta». 
La questione lasciava di rado i suoi pensieri ma, per quanto grande fosse la
paura di fallire, anche più grande era la voglia, dell'estasi, del punto di
svolta.
Le apprensioni di Florence erano più gravi, e nel corso del viaggio da Oxford
c'erano stati momenti in cui aveva pensato di fare appello a tutto il suo
coraggio e parlare. Quello che l'angustiava però era inesprimibile, dato che
quasi non era in grado di spiegarlo a se stessa. Se Edward infatti era
semplicemente in preda alla tensione da prima notte, lei provava un
autentico terrore viscerale, un disgusto impotente e inequivocabile come il
mal di mare.
Durante i mesi dei febbrili preparativi matrimoniali era in larga misura
riuscita a ignorare quella macchia sulla superficie della sua felicità, ma ogni
volta che il pensiero le andava a un abbraccio intimo, non tollerava altri
modi per dirlo, le si chiudeva la bocca dello stomaco e un groppo di nausea
le ostruiva la gola. Su un manuale moderno e progressista, in teoria studiato
per offrire aiuto alle giovani spose, grazie allo stile spigliato tutto punti
esclamativi e a una serie di illustrazioni numerate, si era imbattuta in certe
frasi o vocaboli che per poco non la facevano vomitare: membrana mucosa,
ad esempio, o glande, termine dallo scintillio sinistro. Altre espressioni
offendevano invece la sua intelligenza, soprattutto quelle relative al verbo
entrare: Poco prima che lui entri dentro di lei ... oppure, Ora finalmente lui
entra dentro di lei ... o ancora, Per fortuna, poco dopo essere entrato ... Era
dunque costretta la notte a trasformarsi per Edward in una specie di
cancello o di sala da pranzo in cui lui avrebbe fatto il suo ingresso? Quasi
altrettanto frequente era una parola che suscitava soltanto immagini di
dolore fisico, di carni straziate da una lama di coltello: penetrazione.
In momenti di maggior ottimismo si sforzava di convincersi che il suo
problema fosse solo un eccesso di schizzinosità, destinato a passare. Certo, il
pensiero dei testicoli di Edward penduli sotto il suo pene turgido, altro
vocabolo orrendo, aveva il potere di piegarle in una smorfia il labbro, come
l'idea di farsi toccare «là sotto» da un altro, anche se amato, le era
ripugnante quanto, che so, un intervento chirurgico all'occhio.