REQUIEM
di Robert A. Heinlein
Astounding Science Fiction, gennaio 1940
GENNAIO 1940
Durante il 1940 Albert Einstein presentò una relazione nella quale sosteneva che non esistevano teorie in grado di fornire una base logica per la fisica, così come veniva formulata allora. Carl Jung pubblicò l'Interpretazione della Personalità. Charlie Chaplin diresse e interpretò Il dittatore (che a Hitler non piacque). Negli Stati Uniti circolavano 32.400.000 auto private. Il primato sul miglio era ancora quello di 4'06" e 4 decimi stabilito da Sydney Wooderson nel 1937. All'Università di California ebbe inizio la costruzione del primo ciclotrone. Fu scritto il capolavoro di Eugene O'Neill, Lungo viaggio verso la notte, che però sarebbe stato messo in scena solo sedici anni dopo.
Rebecca e Angoscia di Alfred Hitchcock furono tra i film di maggior successo dell'anno. Sotto la direzione di Howard Florey, una squadra di ricercatori realizzò la penicillina. La canzone più popolare dell'anno era «Lili Marlene», dei militari tedeschi. James Stewart e Ginger Rogers vinsero l'Oscar. Morirono Lev Trotzsky (con una piccozza da ghiaccio nel cervello) e Neville Chamberlain (di delusione e di cancro).
Mel Brooks si chiamava ancora Melvin Kaminsky.
Il 1940 doveva essere l'anno di Robert Heinlein, e questo racconto è il primo dei tre prescelti per questo volume. Requiem è uno dei suoi testi più memorabili, scritto quando la Luna era un mistero ed esercitava un enorme fascino su molta gente. La lotta dell'eroico Harriman per raggiungere il suo obiettivo lasciò un segno in tutti coloro che lessero il racconto.
Dimenticate la predizione sbagliata e godetevi una vicenda che racchiude l'elisir della science fiction... il «sense of wonder».
REQUIEM
(Com'era più emozionante il pensiero di arrivare alla Luna, prima che ci arrivassimo. Allora, la Luna era tutta per noi. L'interesse affascinato di Bob per la Luna si insinuò in molti racconti e raggiunse il culmine con il primo film di fantascienza adulta, Destinazione Luna, naturalmente sceneggiato da Bob. Tuttavia, non gli perdonai mai di avere introdotto (o di aver lasciato introdurre) un personaggio di Brooklyn che faceva una figura ridicola. Era uno stereotipo convenzionale molto sciocco, e Bob sapeva che io venivo da Brooklyn e mi sarei offeso. Almeno avrebbero potuto trovare un attore che avesse vissuto a Brooklyn e parlasse bene quella lingua. Invece trovarono un attore che non avevo mai visto prima e che non rividi mai più, e che doveva essere cresciuto nel Montana, perché il suo accento brooklynese faceva semplicemente pena. I.A.)
Su un'alta collina a Samoa c'è una tomba. Sulla lapide sono scolpite queste parole:
«Sotto l'ampio cielo stellato
Scava la mia fossa e lascia che io giaccia
Felice vissi e muoio sereno
E qui riposo appagato.
«Questo sia il verso che scriverai sulla mia tomba
Qui egli giace dove voleva stare
A casa è il marinaio, tornato dal mare,
E il cacciatore è giunto dalla collina».
Questi versi si trovano anche in un altro posto: scribacchiati su un'etichetta strappata da un serbatoio di aria compressa, e inchiodata a terra con un coltello.
Non era una gran fiera, in confronto ad altre. Le corse al trotto non promettevano molta suspense, anche se per parecchi concorrenti si vantava la discendenza dall'immortale Dan Patch. Le tende e i padiglioni coprivano a malapena l'area del circo, e gli organizzatori sembravano scoraggiati.
L'autista di D.D. Harriman non vedeva un motivo valido per la loro fermata. Dovevano andare a Kansas City per una riunione di direttori; cioè, Harriman doveva andarci. Lo chauffeur aveva ragioni sue particolari per affrettarsi. Ma il capo non solo lo fece fermare, si mise anche a gironzolare.
Un arco di tele e bandierine faceva da entrata a un grande padiglione oltre la pista delle corse. Lettere in rosso e oro annunciavano:
Per di qui al
RAZZO DELLA LUNA!!!
Guardatelo in volo!
Voli Pubblici Dimostrativi
Due volte al giorno
Questo è il VERO MODELLO usato dal
Primo Uomo che Raggiunse la LUNA!!!
E voi potete fare un giro per 50 dollari!!
Un ragazzino di nove o dieci anni ciondolava davanti all'entrata e fissava i cartelloni ad occhi spalancati.
«Vuoi vedere la nave, figliolo?».
Gli occhi del ragazzino brillarono. «Cribbio, signore, certo che vorrei!».
«Anch'io. Andiamo». Harriman pagò cinquanta dollari e ricevette due biglietti rosa che consentivano l'ingresso al padiglione dell'astronave. Il ragazzino prese il suo e corse avanti, con l'egoismo tipico della sua età. Harriman esaminò il profilo tozzo e curvilineo del corpo ovoidale. Notò con occhio professionale che si trattava di un modello ad un solo reattore, con controlli frazionali attorno al diaframma. Attraverso gli occhiali ammiccò al nome dipinto in oro sul rosso carnevalesco delle pareti del razzo: Care Free. Pagò un altro quarto di dollaro per entrare nella cabina di pilotaggio.
Quando i suoi occhi si furono adattati alla penombra causata dai potenti filtri degli oblò, li lasciò riposare, adoranti, sugli interruttori del banco comandi e sul semicerchio dei quadranti. Ognuno di quegli amati congegni era al suo posto. Li conosceva, come fossero scolpiti nel suo cuore.
Mentre se ne stava sovrappensiero davanti al banco strumenti, e la soddisfazione scendeva nel suo corpo come un liquido caldo, il pilota entrò e gli toccò un braccio.
«Spiacente, signore, dobbiamo sgombrare per il volo».
«Eh?», trasalì Harriman, poi guardò l'interlocutore. Belloccio, con una bella testa e spalle forti; uno sguardo senza paura e una bocca che esprimeva indulgenza verso se stesso, ma un mento deciso. «Oh, mi scusi, capitano».
«Ma si figuri».
«Dicevo, capitano... mmm...».
«McIntyre». .
«Capitano McIntyre, potrebbe accettare un passeggero in questo viaggio?». Il vecchio si avvicinò ansiosamente a lui.
«Certo, se vuole. Venga con me». Introdusse Harriman in un chiosco vicino all'entrata che portava l'insegna «Ufficio». «Un passeggero per il controllo, dottore».
Harriman trasalì ma lasciò che il medico passasse lo stetoscopio sul suo torace sottile e gli sistemasse un nastro di gomma attorno al braccio. Dopo un po' il dottore lo tolse, guardò McIntyre e scosse la testa.
«Niente viaggio, dottore?».
«Esatto, capitano».
Harriman fece scorrere lo sguardo dal volto di uno al volto dell'altro. «Il mio cuore è a posto, è soltanto emozione».
Il medico inarcò le sopracciglia. «Ah sì? Ma non è solo il cuore; alla sua età le ossa sono fragili, troppo fragili per rischiare la vita in un decollo».
«Mi spiace, signore», aggiunse il pilota, «ma la Bates County Fair Association paga il dottore per essere sicura che io non porti su qualcuno a cui l'accelerazione possa fare male».
Le spalle del vecchio signore s'incurvarono, desolate. «Me l'aspettavo».
«Mi dispiace, signore». McIntyre si girò per andarsene, ma Harriman lo seguì fuori dalla nave.
«Mi scusi, capitano».
«Sì?».
«Dopo il volo, lei e il suo, ehm, tecnico non potreste cenare con me?».
Il pilota lo guardò perplesso. «Perché no? Grazie».
«Capitano McIntyre, mi risulta difficile capire come mai qualcuno possa lasciare la rotta terra-luna». Pollo fritto e crostini consumati in una saletta da pranzo privata del migliore albergo che la cittadina di Butler offrisse, il brandy e i sigari Corona-Coronas avevano prodotto un'atmosfera amichevole, in cui i tre uomini potevano conversare liberamente.
«Beh, non mi piaceva».
«Su, dai, non raccontargli una balla del genere, Mac, sai benissimo che è stato il paragrafo G a fregarti». Il tecnico di McIntyre si versò un altro brandy mentre parlava.
McIntyre sembrò incupirsi. «Beh, che cosa c'è se bevevo qualche bicchierino? Comunque, avrei potuto cavarmela; è stato quel maledetto, cavilloso regolamento che mi ha rotto le scatole. Ma chi sei poi tu, per parlare? Un contrabbandiere...».
«Certo che ho fatto del contrabbando. Chi non lo avrebbe fatto, con tutte quelle meravigliose rocce che morivano dalla voglia di essere portate sulla terra? Una volta ho arraffato un diamante grande così... Ma se non mi avessero beccato, stanotte sarei a Luna City. E anche tu, pallone gonfiato di un ubriacone, con gli amici che offrono da bere e le ragazze che sorridono». Chinò la faccia in avanti e si mise a piangere piano.
McIntyre lo scosse. «È ubriaco».
«Non si preoccupi», disse Harriman, agitando una mano. «Mi dica, lei è veramente contento di non essere più in gioco?».
McIntyre si morsicò un labbro. «No. Lui ha ragione, naturalmente. Quel carrozzone per girovaghi non è certo la meraviglia che noi decantiamo al luna park. Abbiamo guidato la carretta per portare qualche idiota su e giù per la valle del Mississippi, abbiamo dormito in campeggi turistici, mangiato nelle cucine da campo. Per metà di tutto questo tempo lo sceriffo mi ha trattenuto la nave sotto sequestro, per l'altra metà la società per la prevenzione di questo o quest'altro ha ottenuto ingiunzioni per tenerci a terra. Non è una vita da pilota spaziale».
«Andare sulla luna vi aiuterebbe?».
«Beh, sì. Mi e impossibile tornare alla rotta terra-luna, ma se fossi a Luna City potrei trasportare metalli per la compagnia. Hanno sempre bisogno di piloti di razzi, e non starebbero tanto a guardare il mio curriculum. E se rigassi diritto potrebbero anche riassumermi al vecchio servizio di linea, col tempo».
Harriman si gingillò con un cucchiaio, poi alzò lo sguardo. «Signori, sareste disponibili ad una proposta d'affari?».
«Forse. Di che si tratta?».
«La Care Free è vostra?».
«Sì, è mia e di Charlie, a parte un paio di ipoteche. Perché?».
«Voglio noleggiarla... perché lei e Charlie mi portiate sulla luna!».
Charlie si alzò a sedere di colpo. «Sentito cos'ha detto, Mac? Vuole che portiamo quella vecchia pattumiera sulla luna!».
McIntyre scosse la testa. «Impossibile, signor Harriman. Quella vecchia barcaccia è scassata, non è in grado di uscire dall'orbita terrestre. Non usiamo nemmeno il propellente normale, per farla funzionare: solo benzina e aria liquida. Charlie passa tutto il suo tempo a rabberciarla, e mi sa che un giorno o l'altro salterà in aria».
«Dica, signor Harriman», intervenne Charlie, «perché non chiede un permesso di viaggio, così ci va con una nave della compagnia?».
«No, figliolo», rispose il vecchio, «non posso. Conosci le condizioni del monopolio sullo sfruttamento lunare, concesso dalle Nazioni Unite alla compagnia: nessuno deve andare nello spazio se non è fisicamente adatto a sopportare il viaggio. La compagnia si assume la piena responsabilità della sopravvivenza e della salute di tutti i cittadini che si trovino al di fuori dell'atmosfera. La ragione ufficiale di questa restrizione era evitare inutili perdite umane durante i primi cinque anni di viaggi spaziali».
«E non può superare l'esame fisico?».
Harriman scosse la testa.
«Beh, se si può permettere di assumerci, perché non corrompe un po' i dottori della compagnia? È già stato fatto».
Harriman ebbe un sorriso triste. «Lo so, Charlie, ma con me non funzionerebbe. Capisci, sono un po' troppo importante. Il mio nome, per intero, è Delos D. Harriman».
«Cosa? Lei è il vecchio D.D.? Ma lei possiede una grossa fetta della compagnia, lei praticamente è la compagnia. Dovrebbe poter fare tutto quello che vuole, regolamenti o non regolamenti».
«Questa opinione è piuttosto diffusa, figliolo, ma inesatta. I ricchi non sono più liberi degli altri uomini; sono meno liberi, molto meno. Ho provato a fare quello che mi hai suggerito, ma gli altri direttori me l'hanno impedito. Hanno paura di perdere le loro concessioni. In effetti mantenerle gli costa un sacco di soldi per i... ahem... contatti politici».
«Beh, mi venga un... Ma ci pensi, Mac? Un tizio con un sacco di grana, e non può spenderla come vuole».
McIntyre non rispose; aspettò che Harriman continuasse.
«Capitano McIntyre, se avesse una nave, mi ci porterebbe?».
McIntyre si fregò il mento. «È contro la legge».
«Farei in modo che ne valga la pena».
«Ma certo che la porterebbe, signor Harriman. Naturalmente lo faresti, Mac. Luna City! Ah, ragazzi!».
«Perché ha così voglia di andare sulla luna, signor Harriman?».
«Capitano, è l'unica cosa che ho veramente desiderato per tutta la mia vita, fin da quando ero un ragazzino. Non so se riuscirei a spiegarglielo o no. Voi giovani siete cresciuti col viaggio spaziale, esattamente come io sono cresciuto nell'era dell'aviazione. Sono molto più vecchio di voi, ho almeno cinquant'anni di più, e quand'ero bambino praticamente nessuno credeva che gli uomini avrebbero mai raggiunto la luna. Voi avete visto razzi per tutta la vostra vita, e il primo uomo a mettere piede sulla luna l'ha fatto quando ancora non eravate ragazzini. Quando ero un ragazzino io, ci ridevano sopra. Ma io ci credevo, ci credevo. Leggevo Verne, e Wells, e Smith, e pensavo che ce l'avremmo fatta. Mi misi in testa di essere uno degli uomini che avrebbero camminato sulla superficie della luna, per vederne l'altra faccia, e per guardarmi indietro, verso la terra sospesa nel cielo.
«Saltavo i pasti per pagarmi la quota d'iscrizione alla American Rocket Society, perché volevo credere che il mio aiuto avvicinasse il giorno in cui saremmo andati sulla luna. Ero già vecchio quando facemmo i preparativi per raggiungere la luna, ero già vecchio quando quel giorno arrivò. Ho vissuto più a lungo di quanto avrei dovuto, ma non voglio lasciarmi morire, e non morirò, finché non metterò piede sulla luna».
McIntyre si alzò in piedi e gli porse la mano. «Lei ha trovato una nave, signor Harriman. Io la guiderò».
«Bravo, Mac! Gliel'avevo detto che avrebbe accettato, signor Harriman» .
Harriman rimuginò e dormicchiò, durante la mezz'ora del tragitto verso nord, verso Kansas City. Sonnecchiava del sonno leggero e preoccupato dei vecchi, e gli avvenimenti della sua lunga vita gli sfilavano nella mente come sogni vagabondi. C'era quella volta... ah, sì, nel 1910... un bambino in una tiepida sera primaverile. «Che cos'è, papà?».
«È la cometa di Halley, piccolo».
«Da dove viene?».
«Non lo so; da qualche punto lontano del cielo».
«È meravigliosa, papà. Voglio toccarla».
«Ho paura che sia impossibile, Piccolino».
«Delos, e tu mi vieni a dire con questa calma che hai investito i soldi che avevamo risparmiato per la casa in quella pazzesca compagnia missilistica?».
«Oh, Charlotte, per favore! Non è pazzesca. È semplicemente un sano investimento finanziario. Un giorno i razzi percorreranno il cielo, e navi e treni saranno abbandonati. Pensa a quello che è successo a chi ha avuto la previdenza di investire nella società di Henry Ford...».
«Ne abbiamo già parlato».
«Charlotte, verrà il giorno in cui gli uomini si alzeranno da terra e visiteranno la luna, e persino i pianeti. Questo è solo l'inizio».
«Devi proprio gridare?».
«Mi dispiace, ma...».
«Sento che mi sta venendo mal di testa. Per favore, cerca di stare un po' calmo, quando vieni a letto».
Non era andato a letto: era stato seduto fuori sulla veranda per tutta la notte, a guardare la luna piena che si muoveva attraverso il cielo. Alla mattina ci sarebbe stata la resa dei conti, e un silenzio a labbra strette, ma lui non avrebbe ceduto le armi. Si era arreso in tante occasioni, ma su questo no. Quella notte sarebbe stato solo con la sua antica fiamma. Guardò attentamente il suo viso. Dov'era il Mare Crisium? Strano, non riusciva a distinguerlo: eppure lo vedeva perfettamente, da bambino. Probabilmente aveva bisogno di un paio di occhiali nuovi; il continuo lavoro d'ufficio non gli faceva bene alla vista.
Ma non aveva bisogno di vederci, sapeva dove erano tutti: il Mare Crisium, il Mare Fecunditatis, il Mare Tranquillitatis (quello sì che recitava un bel ruolo!), gli Appennini, i Carpazi, il vecchio Tycho con i suoi raggi misteriosi.
Quattrocentomila chilometri: dieci volte il giro della terra. Senza dubbio l'uomo poteva costruire un ponte su un burrone del genere. Anzi, sporgendosi riusciva quasi a toccarla, mentre si muoveva dietro la cima degli olmi.
Non che ci sarebbe riuscito lui personalmente: non aveva l'educazione scientifica necessaria.
«Figliolo, voglio farti un discorso serio».
«Sì, mamma».
«So che speravi di andare al college l'anno venturo...». (Sperare? Aveva vissuto solo per quello: l'Università di Chicago, per poter studiare col professor Moulton, poi al Yerkes Observatory, per lavorare sotto gli occhi del dottor Frost in persona). «E anch'io ci speravo. Ma con tuo padre che se n'è andato, e le ragazze che crescono, è difficile fare quello che avevamo in progetto. Sei sempre stato un bravo ragazzo, e hai lavorato sodo per aiutare la famiglia. So che capirai».
«Sì, mamma».
«Edizione straordinaria! Edizione straordinaria! UN RAZZO STRATOSFERICO RAGGIUNGE PARIGI. Leggete tuuutti i particolarii!».
L'ometto smilzo con le lenti bifocali prese il giornale e si affrettò verso l'ufficio. «Guarda qui, George!».
«Eh? Mmm, interessante, ma cosa c'è di straordinario?».
«Ma non capisci? La prossima tappa sarà il viaggio sulla luna!».
«Dio, ma sei un credulone, Delos. Il tuo difetto è che leggi troppe di quelle riviste da mandare al macero; proprio la settimana scorsa ho beccato mio figlio a leggerne una, "Stunning Stories" o un titolo del genere, e l'ho sculacciato per benino. Avrebbero dovuto fare lo stesso favore a te e agli altri come te».
Harriman raddrizzò le sue spalle strette, da uomo di mezza età. «E invece sì che andranno sulla luna».
Il suo socio rise. «Pensala come vuoi. Se il frugoletto vuole la luna, il suo paparino gliela porta; ma tu tieniti stretti sconti e commissioni, perché è così che si fanno soldi».
La grossa macchina scese rombando per il Paseo e svoltò in Armour Boulevard. Il vecchio Harriman si mosse a disagio nel sonno e borbottò fra sé.
«Ma signor Harriman...». Il giovanotto col notes in mano era visibilmente perplesso. Il vecchio brontolò: «Mi ha sentito. Le venda. Voglio che tutte le azioni che posseggo siano realizzate in denaro liquido il più presto possibile: la Spaceways, la Spaceways Provisioning Company, la Artemis Mines, la Luna City Recreations, insomma tutto il mucchio».
«Provocherà un tracollo del mercato. Non realizzerà il valore completo delle sue azioni».
«Crede che non lo sappia? Me lo posso permettere».
«E per quanto riguarda le azioni che ha messo da parte per il Richardson Observatory e per le borse di studio Harriman?».
«Ah, sì. Quelle non le venda. Crei un trust. Avrei dovuto farlo da un pezzo. Dica al giovane Kamens di preparare i documenti: lui sa già cosa intendo dire».
Lo schermo interufficio s'illuminò. «Quei signori sono arrivati, signor Harriman».
«Li faccia passare. Questo è tutto, Ashley. Si metta al lavoro». Ashley uscì, mentre McIntyre e Charlie entravano. Harriman si alzò e gli andò incontro trotterellando per salutarli.
«Avanti, ragazzi, avanti. Sono felice di vedervi. Accomodatevi, prendete un sigaro».
«E noi siamo enormemente felici di vedere lei, signor Harriman», disse Charlie. «In effetti, si potrebbe dire che abbiamo bisogno di vederla».
«Qualche guaio, signori?». Harriman fece scorrere lo sguardo dall'uno all'altro. Gli rispose McIntyre.
«È ancora dello stesso avviso per quel lavoro che ci voleva offrire?».
«Ma certo. Non vorrete piantarmi in asso, spero».
«Niente affatto. Abbiamo veramente bisogno di quel lavoro, adesso. Sa? la Care Free è sdraiata sul fondo dell'Osage River, con il motore squartato fino all'iniettore».
«Accidenti! Vi siete fatti male?».
«No, a parte qualche strappo muscolare e qualche graffio. Siamo saltati giù».
Charlie scherzò: «Ho preso un pescegatto coi denti».
In breve si misero a parlare di affari. «Voi due dovrete comprare un'astronave per conto mio. Non posso farlo apertamente; i miei colleghi immaginerebbero quello che ho in mente, e mi fermerebbero. Vi fornirò tutto il capitale che vi serve. Trovate una nave che possa essere riadattata per il viaggio e inventatevi una buona storia, ad esempio che la comprate per conto di un playboy, per farne uno yacht stratosferico, o che volete stabilire una rotta turistica fra l'artico e l'antartico. Qualsiasi cosa, purché nessuno sospetti che sarà adattata per il volo spaziale.
«Poi, dopo che il dipartimento dei trasporti avrà dato il permesso per il volo stratosferico, vi sposterete in una zona desertica dell'ovest (troverò la zona adatta e la comprerò), e poi io vi raggiungerò. Installeremo i serbatoi di propellente per viaggi spaziali, cambieremo gli iniettori, i timer e tutto quello che servirà per farle fare il salto. Che ne dite?».
McIntyre sembrava perplesso. «Ci sarà parecchio da fare, Charlie. Credi che ci riuscirai senza un cantiere e delle officine?».
«Io? Certo che sì, con l'aiuto delle tue goffe dita. Basta che tu mi dia gli strumenti e i materiali che mi servono e non mi faccia troppa fretta. Naturalmente, non sarà un sogno di astronave...».
«Nessuno vuole che sia un sogno. Voglio semplicemente una nave che non esploda quando incomincio a premere i pulsanti. Il propellente isotopico non è uno scherzo».
«Non salterà in aria, Mac».
«È quello che pensavi anche della Care Free».
«Non è giusto da parte tua, Mac. Lo chiedo a lei, signor Harriman. Quella baracca era a pezzi, e lo sapevamo. Questa sarà une cosa diversa. Abbiamo intenzione di spenderci un bel po' di soldi, e di fare le cose a puntino. Vero, signor Harriman?».
Harriman gli diede una pacca sulle spalle. «Certo, Charlie. Avrai tutto il denaro che vorrai. Questa dovrà essere l'ultima delle vostre preoccupazioni. Gli stipendi e gli extra di cui vi ho parlato vi vanno bene? Non voglio che vi troviate a corto di quattrini».
«... Come sapete, i miei clienti sono i suoi parenti più prossimi, e hanno a cuore i suoi interessi. Noi affermiamo che il comportamento del signor Harriman in queste ultime settimane, come dimostrano le prove qui addotte, indica chiaramente che la sua mente, una volta così brillante nel mondo finanziario, è ormai senile. È dunque con il più profondo dispiacere che preghiamo questa onorevole corte di dichiarare il signor Harriman incapace, e di nominare un conservatore dei beni allo scopo di proteggere i suoi interessi finanziari e quelli dei suoi futuri eredi e aventi diritto». L'avvocato sedette, soddisfatto del proprio discorso.
Il signor Kamens parlò subito dopo. «Col permesso della corte, se il mio stimato amico ha davvero finito, vorrei suggerire che egli ha condensato la sua tesi in queste ultime parole: "interessi finanziari... dei suoi eredi e aventi diritto". È evidente che gli autori della petizione credono che il mio cliente dovrebbe condurre i suoi affari in modo da far sì che i suoi nipoti, le sue nipoti e la loro discendenza siano mantenuti per tutta la vita nel lusso immeritato. La moglie del mio cliente è deceduta, e non ha avuto figli. È da tutti ammesso che egli ha provveduto generosamente alle proprie sorelle e ai loro figli, in passato, e che ha stabilito delle rendite per i parenti prossimi senza mezzi di sostentamento.
«Ma ora, come avvoltoi, peggio degli avvoltoi, perché non vogliono nemmeno lasciarlo morire in pace, vorrebbero impedire al mio cliente di godersi le sue fortune nella maniera che preferisce, in questi pochi anni che gli rimangono. È vero che ha venduto tutte le sue azioni, ma è forse strano che un uomo anziano si voglia ritirare? È vero che ha perso un po' nella liquidazione, ma il valore di qualcosa è ciò che quel qualcosa porterà. Stava ritirandosi dagli affari e voleva denaro liquido, cosa c'è di strano?
«D'accordo, ha rifiutato di discutere il suo comportamento con i carissimi parenti. Ma quale legge, o principio, obbliga un uomo a consultarsi coi nipoti o con chiunque altro?
«Preghiamo dunque la corte di voler confermare al mio cliente il diritto di fare ciò che vuole della sua proprietà, di respingere questa petizione e rimandare questi intriganti ai loro affari».
Il giudice si tolse gli occhiali e li pulì con espressione meditabonda.
«Signor Kamens, questa corte ha lo stesso suo rispetto per la libertà dell'individuo, e lei può stare sicuro che qualsiasi decisione venga presa sarà nell'interesse del suo cliente. Tuttavia gli uomini invecchiano, la loro mente si corrompe, e in tal caso devono essere protetti.
«Rifletterò su questo argomento fino a domani. La seduta è aggiornata».
Dal «Kansas City Star»:
«MILIARDARIO ECCENTRICO SCOMPARE».
«... Non si è presentato all'aggiornamento dell'udienza. I messi del tribunale sono tornati dalle ricerche nei luoghi solitamente frequentati dal miliardario con la notizia che questi non vi era stato dal giorno precedente. È stato emesso un mandato di arresto per oltraggio nei confronti della corte, e...».
Un tramonto nel deserto stimola l'appetito più di un'orchestra da ballo. Charlie lo dimostrava ripulendo il piatto con un pezzo di pane. Harriman offrì dei sigari al tecnico e al pilota, e ne prese uno anche lui. «Il mio dottore dice che questa roba mi fa male al cuore», disse mentre l'accendeva, «ma mi sento tanto meglio da quando ho raggiunto voi ragazzi qui al ranch, che quasi ne dubito». Emise una nuvola di fumo grigiazzurro e proseguì: «Penso che la salute di un uomo dipenda non tanto da quello che fa, quanto da quello che vuole fare. E io sto per fare quello che voglio».
«È tutto ciò che un uomo può chiedere alla vita», convenne McIntyre.
«Come va il lavoro adesso, ragazzi?».
«Per quanto mi riguarda sono a buon punto», rispose Charlie. «Oggi abbiamo finito gli esami della pressione sui nuovi serbatoi e sul carburante. Le prove a terra sono state fatte tutte, a parte la verifica del bilanciamento. E per questo non ci vorrà molto, solo le quattro ore per fare i giri, se non mi imbatto in qualche imprevisto. E tu, Mac?».
McIntyre contò sulle dita. «Le provviste di cibo ed acqua sono a bordo; idem tre tute pressurizzate, una di riserva, gli utensili di servizio, i medicinali. La nave aveva già tutto l'equipaggiamento standard per il volo stratosferico. Le ultime effemeridi lunari non sono ancora arrivate».
«Per quando le aspetti?».
«Qualsiasi momento è buono; dovrebbero essere già qui. Non che siano importanti. Tutta questa storia di com'è difficile navigare da qui alla luna è una messinscena per impressionare il pubblico. Dopo tutto si vede sempre la destinazione: non è come la navigazione oceanica. Dammi un sestante e un buon radar e ti porto in un posto qualsiasi a tua scelta sulla luna, senza aprire un atlante o una carta stellare, basandomi solo sulla conoscenza generale delle velocità relative».
«Non darti tante arie, Colombo», gli disse Charlie. «Possiamo anche ammettere che tu riesca a centrare il soffitto col cappello. Comunque l'idea generale è che saresti già pronto adesso a partire, giusto?».
«Giusto».
«In questo caso, potrei fare quelle prove stasera stessa. Sto diventando nervoso... le cose fino ad ora sono andate troppo lisce. Se mi dai una mano, potremo andare a letto a mezzanotte».
«Okay, appena finisco il sigaro».
Fumarono in silenzio per un po', e ognuno pensava al viaggio che stava per fare, e a cosa avrebbe significato per lui. Il vecchio Harriman tentò di reprimere l'agitazione che si era impadronita di lui all'idea dell'ormai imminente realizzazione del sogno di tutta la sua vita.
«Signor Harriman...».
«Come? Cosa c'è, Charlie?».
«Come si fa a diventare ricchi come lei?».
«Diventare ricchi? Non saprei: non ho mai tentato di arricchirmi. Non ho mai voluto essere ricco o famoso o qualcosa del genere».
«Davvero?».
«Sì, volevo solo vivere a lungo e assistere alla realizzazione di tutto questo. Non era una cosa insolita. C'erano un sacco di ragazzini come me: erano radioamatori, costruttori di telescopi, o di aeromodelli. Avevamo dei club scientifici, laboratori in qualche cantina, e associazioni di fantascienza: il tipo di ragazzi che pensava ci fosse più poesia in un numero dell' "Electrical Experimenter" che in tutti i libri di Dumas. Non volevamo nemmeno essere fra gli eroi arrivisti di Horatio Alger, volevamo costruire astronavi. Beh, alcuni di noi ce l'hanno fatta».
«Gesù, lei lo fa sembrare molto eccitante, paparino».
«E lo era, Charlie. Questo è stato un secolo meraviglioso, romantico, nonostante tutti i suoi lati negativi. E di anno in anno è diventato sempre più eccitante. No, non volevo essere ricco, solo vivere abbastanza per vedere gli uomini salire alle stelle, e, se Dio era buono con me, arrivare fino alla luna io stesso». Depositò accuratamente qualche centimetro di cenere bianca in un portacenere. «È stata una bella vita. Non ho rimpianti».
McIntyre spinse indietro la sedia. «Charlie, se sei pronto andiamo».
«Okay».
Si alzarono tutti e tre. Harriman cominciò a parlare, poi si portò una mano al petto, e il suo viso assunse un pallore grigiastro, cadaverico.
«Tienilo su, Mac».
«Dov'è la sua medicina?».
«Nella tasca della giacca».
Lo adagiarono su un divano, ruppero una fialetta di vetro in un fazzoletto, e poi glielo tennero sotto il naso. L'elemento volatile contenuto nella fiala parve riportare un po' di colorito sul suo viso.
Charlie ruppe quel silenzio pieno di disagio. «Mac, non possiamo andare avanti».
«Perché?».
«Sarebbe un assassinio. Non ce la farà mai a sopportare l'accelerazione iniziale».
«Forse no, ma è quello che vuole fare. L'hai sentito, no?».
«Ma non dovremmo permetterglielo».
«E perché no? Non è affar tuo, e nemmeno di questo governo maledettamente paternalistico, dire ad un uomo che non deve rischiare la vita facendo quello che desidera veramente». «Fa niente, non mi sento a posto lo stesso. È un vecchietto così simpatico...».
«Allora che cosa vorresti fare? Rimandarlo a Kansas City perché quelle vecchie arpie lo possano rinchiudere in un manicomio e lo facciano morire di crepacuore?».
«N-no, quello no».
«Esci e prepara quelle prove. Arrivo subito».
Il mattino dopo un grosso fuoristrada oltrepassò rombando il cancello del ranch e si fermò di fronte alla casa. Ne scese un uomo di struttura massiccia, con una faccia rude ma gentile, e parlò a McIntyre che gli era venuto incontro.
«Lei è James McIntyre?».
«Cosa c'è?».
«Sono il vice sceriffo di zona. Ho un mandato d'arresto per lei».
«Qual è l'imputazione?».
«Cospirazione contro la Legge Precauzionale Spaziale».
Charlie si unì a loro. «Che cosa succede, Mac?».
Il vice sceriffo rispose: «Lei deve essere Charles Cummings, suppongo. C'è un mandato anche per lei. Ne ho uno anche per un certo Harriman, e poi un ordine della corte di sigillare la vostra astronave».
«Non abbiamo astronavi».
«Cosa c'è in quell'hangar?».
«Uno yacht stratosferico».
«Davvero? Beh, gli metterò i sigilli finché non salterà fuori un'astronave. Dov'è Harriman?».
«Là dentro». Charlie fece un cenno, ignorando lo sguardo torvo di McIntyre.
Il vice sceriffo voltò la testa... Charlie colpì con millimetrica precisione e l'uomo cadde silenziosamente a terra. Charlie rimase piegato su di lui, massaggiandosi le nocche e lamentandosi.
«Era l'indice che mi sono rotto giocando a spaccadito. Mi faccio sempre male a 'sto dito...».
«Porta in cabina paparino», tagliò corto Mac, «e assicuralo alla sua cuccetta».
«Sissignore, signor capitano».
Con una trattrice trascinarono la nave fuori dall'hangar, curvarono e uscirono nel deserto per trovare un buon margine di manovra per il decollo. Salirono a bordo. McIntyre vide dall'oblò il vice sceriffo che li guardava sconsolato.
McIntyre allacciò la cintura di sicurezza, si infilò il giacchettone di volo, e parlò nell'intercom collegato alla sala macchine. «Tutto a posto, Charlie?».
«Tutto a posto, capitano. Ma non si può ancora partire, Mac: la nave non è ancora stata battezzata!».
«Non c'è tempo per le tue superstizioni!».
La voce sottile di Harriman li raggiunse. «Chiamatela Lunatic: è l'unico nome appropriato!».
McIntyre si mise le cuffie, schiacciò due pulsanti, poi altri tre in rapida successione, e il Lunatic si sollevò da terra.
«Come sta, paparino?».
Charlie esaminò ansiosamente il viso del vecchio. Harriman si leccò le labbra e riuscì a parlare. «Benissimo, figliolo, non potrei stare meglio».
«L'accelerazione è passata; d'ora in poi non sarà tanto brutta. La slego così può sgranchirsi un po', ma penso che farebbe meglio a restare nella cuccetta». Gli slacciò le cinture. Harriman non riuscì a reprimere del tutto un lamento.
«Che cosa c'è, paparino?».
«Niente, niente. Solo, vacci piano da quella parte».
Charlie passò le dita sul fianco del vecchio, col tocco sicuro e delicato di un meccanico. «Non mi prenda in giro, paparino. Comunque non posso fare molto finché atterriamo».
«Charlie?».
«Sì, paparino?».
«Non posso andare ad un oblò? Voglio vedere la terra».
«Non c'è ancora niente da vedere. La nave la nasconde. Appena voltiamo la nave la porto io all'oblò. Anzi, sa cosa le dico? Adesso le darò una pillola per dormire, e poi la sveglio quando ci siamo».
«No».
«Come?».
«Sto sveglio».
«Come vuole, paparino».
Charlie si diresse barcollando come una scimmia verso la punta della nave, si assicurò al bilanciere del sedile di pilotaggio. McIntyre lo guardò con aria interrogativa.
«Sì, è vivo», gli disse Charlie, «ma malridotto».
«Quanto malridotto?».
«Perlomeno un paio di costole spezzate, e non so che altro. Non so se vivrà per tutto il viaggio, Mac: il suo cuore batteva in modo terribile».
«Vivrà, Charlie. È forte».
«Forte? È delicato come un canarino».
«Non intendevo quello. È forte dentro, ed è questo che conta».
«Comunque sarà meglio atterrare con la delicatezza di una piuma, se vuoi arrivare con l'equipaggio al completo».
«D'accordo, farò un'orbita completa attorno alla luna e la rallenterò con una curva d'avvicinamento complessa. Penso che abbiamo abbastanza propellente per farlo».
Ora erano in orbita libera. Dopo che McIntyre voltò la nave, Charlie tornò nella zona posteriore della nave, slacciò la cuccetta, e portò Harriman, la cuccetta e tutto, verso un oblò laterale. McIntyre stabilizzò la nave attorno ad un asse trasversale in modo che la coda puntasse verso il sole, poi azionò un attimo i due reattori tangenziali contrapposti in coppia, per far girare lentamente la nave attorno al proprio asse longitudinale, creando così una gravità artificiale. La mancanza di peso, all'inizio della rotazione, aveva causato al vecchio la caratteristica nausea da caduta libera, e il pilota voleva risparmiargli il più possibile ogni disagio.
Ma Harriman non si preoccupava delle condizioni del suo stomaco.
C'era, finalmente, ed era tutto come lo aveva immaginato. La luna ruotava maestosamente davanti all'oblò, più grande che mai, con tutti i suoi lineamenti, nitidi come quelli di un cammeo. Mentre la nave continuava la sua lenta rotazione, la luna cedette il posto alla terra, proprio la terra, come lui l'aveva immaginata: sembrava una luna superba, ma molto più grande di quanto la luna apparisse ai terrestri, e più affascinante, più sensualmente bella.
Era ormai il tramonto sulle rive dell'Atlantico. La linea d'ombra tagliava la costa del Nordamerica, si abbatteva attraverso Cuba, oscurava tutto tranne la costa occidentale del Sudamerica. Assaporò il blu pastoso dell'Oceano Pacifico, osservò la mescolanza di verde morbido e marrone dei continenti, ammirò il freddo biancazzurro delle calotte polari. Il Canada e gli stati settentrionali erano oscurati dalle nubi, e la vasta area di basse pressioni si stendeva attraverso il continente. Splendeva di un bianco brillante, ancora più piacevole di quello delle calotte polari.
Man mano che la nave roteava, la terra scompariva progressivamente dalla vista, cedendo il posto alle stelle, le stesse stelle che conosceva da sempre, ma ferme, più brillanti, non palpitanti, su uno sfondo di un perfetto nero brillante. Poi riappariva la luna, a reclamare i suoi pensieri.
Era serenamente felice, come non è concesso a tanti uomini, nemmeno in una lunga vita. Si sentiva come se in lui vivesse ogni uomo che era vissuto, che aveva guardato le stelle e aspettato.
Mentre passavano lunghe ore, vegliò, si appisolò e sognò. Doveva essere caduto almeno una volta in un sonno profondo, o forse in delirio, perché si svegliò trasalendo, convinto che sua moglie, Charlotte, lo stesse chiamando. «Delos!», aveva detto la voce. «Delos! Vieni dentro. Morirai di freddo, con quell'aria notturna».
Povera Charlotte! Era stata per lui una buona moglie. Era sicuro che il solo rimpianto di lei, alla morte, era stata la paura che lui non sapesse prendersi cura di se stesso. Non era colpa sua se non aveva condiviso il suo sogno, il suo desiderio.
Charlie girò la cuccetta in modo che Harriman potesse guardare dall'oblò mentre orbitavano sopra la faccia nascosta della luna. Egli distinse i particolari del paesaggio, che gli erano stati resi familiari da migliaia di fotografie; era pervaso da una piacevole nostalgia, come se stesse tornando al suo paese natale. Quando sorvolarono di nuovo la faccia rivolta verso la terra, McIntyre fece scendere lentamente l'astronave e si preparò ad allunare ad est del Mare Fecunditatis, circa sedici chilometri da Luna City.
Tutto sommato, non fu un cattivo allunaggio: dovette farlo senza l'aiuto da terra, e senza un secondo pilota che guardasse il radar per lui. Nella sua ansia di rendere tutto il più lieve possibile, mancò la destinazione di circa quarantotto chilometri, ma fece del suo meglio per mantenere una fredda calma. Ci furono ugualmente degli scossoni.
Quando allunarono e la nuvola di polvere si posò attorno a loro, Charlie entrò in cabina di pilotaggio.
«Come sta il nostro passeggero?», domandò Mac.
«Vedrò, ma non scommetterei sulle sue condizioni. L'atterraggio è stato disastroso».
«Maledizione, ho fatto del mio meglio!».
«Lo so, capitano, scusami».
Ma il passeggero, nonostante il naso sanguinante e una schiuma rosa sulle labbra, era ancora vivo e cosciente. Stava tentando debolmente di uscire da quella specie di guscio. Lo aiutarono tutt'e due insieme.
«Dove sono le tute pressurizzate?», fu la sua prima frase.
«Buono, signor Harriman. Non può ancora andare fuori. Dobbiamo prestarle i primi soccorsi».
«Datemi quella tuta! I primi soccorsi possono aspettare!».
Gli obbedirono in silenzio. La sua gamba sinistra era praticamente inservibile; dovettero aiutarlo ad uscire attraverso la camera stagna, uno per parte. Ma non era un gran fardello: la sua massa irrilevante aveva un peso di soli nove chili, sulla luna. A circa quattrocento metri dalla nave trovarono uno spiazzo dove potevano metterlo seduto, con una roccia lunare come spalliera, in modo che potesse guardarsi un po' in giro.
McIntyre accostò il proprio casco a quello del vecchio e disse: «La lasciamo qui a godersi il panorama. Intanto ci prepariamo per la passeggiata in città. È ad una sessantina di chilometri; dovremo tirare fuori altre bombole d'aria, razioni, eccetera. Torniamo subito».
Harriman annuì senza rispondere, e strinse le loro mani guantate con forza insospettabile.
Stette lì seduto in grande tranquillità, sfregando le mani contro il suolo lunare, assaporando la pressione stranamente leggera del suo corpo contro il terreno. Finalmente c'era pace nel suo cuore; non sentiva più male, adesso. Era dove aveva sempre voluto essere; i suoi desideri erano soddisfatti. Sopra l'orizzonte, ad occidente, pendeva la terra all'ultimo quarto, una gigantesca luna verdazzurra. Ancora sopra, il sole splendeva in un cielo nero e stellato. E sotto, la luna, proprio il suolo della luna. Era sulla luna!
Rimase sdraiato, immobile, mentre un'ondata di soddisfazione lo pervadeva come un'alta marea e lo sommergeva fino al midollo.
La sua attenzione venne temporaneamente distratta, gli sembrò ancora una volta di essere chiamato per nome. Che sciocchezze, pensò, sto invecchiando. La mia mente divaga.
Nella cabina, Charlie e Mac stavano preparando delle cinghie a spalla su una barella. «Là. Fatto», commentò Mac.
«Sarebbe meglio chiamare paparino. È ora di andare».
«Vado a chiamarlo», rispose Charlie. «Lo prendo in braccio e lo porto, tanto non pesa niente».
Charlie rimase fuori più del previsto. Ritornò solo. Mac aspettò che chiudesse la camera stagna e si togliesse il casco. «Qualche guaio?».
«Lascia perdere la barella, capitano. Non ne abbiamo più bisogno.»
«Sì, proprio così», continuò. «Paparino è finito. Ho fatto quello che era necessario».
McIntyre si piegò senza una parola, raccolse i grandi sci necessari per procedere sulle ceneri polverose. Charlie lo imitò. Poi si passarono sul dorso le bombole d'aria, e uscirono attraverso la camera stagna.
Non si preoccuparono di chiudersi alle spalle il portello esterno.