martedì 28 maggio 2019




GUENDALINA
Storia di una volpe intelvese
© Rosa Maria Corti

Eh, sì, l’autunno ha proprio un fascino speciale! I boschi assumono tonalità giallo-dorate, si accendono i rossi e le foglie, quando cadono al suolo, intessono bellissimi tappeti dalle calde tonalità. Se poi sullo sfondo di un pascolo dove giganteggiano le felci, ci mettiamo anche un lago, un “Dosso” proteso sull’acqua e la corona delle Prealpi con la sua “Guerriera” bella, c’è da restare incantati! Frulli e schiocchi portati da qualche folata di vento di solito passano inosservati, così come una volpe alla quotidiana ricerca di cibo. Fu a primavera, in una tiepida giornata di maggio, che i nostri sguardi s’incontrarono. Era l’ora in cui le ombre principiano ad allungarsi sul prato e ci si sente più sentimentali, complice la brezza di monte che sembra cingere ogni cosa in un soffio carezzevole. All’inizio ad attirare la mia attenzione era stato quel tappeto erboso accuratamente rasato, senza rovi, senza inciampi, senza avvallamenti a nascondere insidie, solo una bella, pianeggiante distesa di verde. La comparsa di un umano, sbucato da una vicina costruzione, non mi preoccupò più di tanto, vista l’abitudine a rumorose presenze estive. La prudenza non è mai troppa- direte voi a questo punto- in realtà l’istinto e l’età mi hanno insegnato a riconoscere il pericolo e la scaltrezza aiuta a districarsi nel sottobosco del quotidiano, a svelare gli inganni tramati contro di noi. Certo, molte mie simili, purtroppo un po’ sventate, anche se abili cacciatrici, hanno rischiato la pelliccia… Ma non voglio divagare. Riprenderò allora da quel magico incrocio di sguardi. Ebbene, da quel giorno ho ricevuto tante attenzioni senza bisogno di ricorrere alla seduzione (a proposito, so bene quanto la visione della mia folta ed elegante coda al chiaro di luna abbia qualcosa di magico e accattivante!); avrei potuto prendere ciò che mi veniva offerto senza essere vista, avrei potuto assumere altre sembianze, ma, la passione, l’intensità del sentimento, il desiderio di chi mi stava di fronte di stabilire un contatto con la sottoscritta, mi hanno davvero emozionata e intenerita. Per una volta l’ammaliatrice è stata ammaliata. D’altra parte, come diceva quel tale, "Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Ormai, per uscire allo scoperto, non attendo più la notte come fida alleata, mi alletta mettermi in gioco, mi delizia quel legame, quell’attaccamento che si è creato tra noi. Il rito del cibo mi piace proprio in quanto tale, vale a dire che il continuo verificarsi di tale rito, mi assicura circa l’esistenza della nostra relazione. Una mia sodale, un po’ poeta, capace di squarciare il sipario della quotidianità, è solita dire: 
“Colui che mi vuol solo ammirare, / si ricordi che devo pure mangiare./ Ho quattro figli laggiù in quelle tane, / che, a tutte l’ore, hanno sempre gran fame”. Per ora, io non ho piccoli nella tana, quindi non parlo di appetito ma di dipendenza affettiva, di un sentimento che è impercettibile per l’occhio umano, ma che è così forte da condizionare la nostra vita. Mi auguro che duri a lungo per non deludere nessuno, per sperimentare più tardi possibile la sofferenza del distacco. A ciascuno di noi serve pensare a una persona e ci fa piacere essere pensati. Mi ha commosso e deliziato il festeggiamento del nostro primo anniversario. Che cosa desiderare di più? Non ho ancora la capacità di predire il futuro, non sono abbastanza vecchia, non ho ancora preso sufficienti energie dalla luna e dal sole. E allora mi godo il presente, mi rallegra e mi delizia questo rapporto conquistato con cura e pazienza!

2a parte
Ho sempre amato la solitudine, il silenzio, la bellezza di questo scenario fatto di pascoli, monti e lago che sicuramente era già così prima del mio arrivo. Da qualche giorno, però, un verso strano proveniente dai sentieri sopra e sotto la mulattiera che attraversa il Pian delle Alpi in direzione della vecchia sostra, non mi lascia tranquilla... So di dover stare in guardia… So di cacciatori che un tempo per sbarcare il lunario cercavano di catturarci con tagliole, bocconi avvelenati e fucili; le nostre belle pellicce, infatti, potevano valere l’equivalente di alcuni chili di formaggio e parecchi chili di farina per la polenta. Riconosco per istinto i miei nemici, inoltre l’università del bosco insegna tante cose e le notizie corrono velocemente… So che non si tratta di un orso perché quest’ultimo non copre le sue fatte, simili a quelle dell’uomo, ma le lascia cadere dove capita e, pur avendo perlustrato il territorio con cura, non ho trovato indizi di questo tipo. Ho scoperto, al contrario, tracce di lepre e di scoiattoli e ho memorizzato, per il tempo della fame, i luoghi del loro passaggio, a cominciare dalle piante di maggiociondolo la cui corteccia hanno golosamente rosicchiato. La prudenza, comunque, non mi ha impedito di spingermi nel bosco, di ridiscendere la valle per alcuni chilometri in direzione di quel monte dalla caratteristica forma conica alla base del quale vi sono grotte e risorgive, un torrente e una spada, di andare a curiosare nei pressi di un’area pic-nic dove i turisti della domenica abbandonano spesso i loro rifiuti e, naturalmente, di fare un salto dal mio amico umano. Ho trovato la casa chiusa; nessun segnale di quella presenza che mi è divenuta familiare e rende una serata diversa dalle altre serate. La luce giallastra della lampada che viene accesa in mezzo al prato non mi spaventa più, al contrario, è diventata piacevole quasi come l’abbraccio complice del buio. Ho l’impressione che venga accesa solo per me e, la cosa, non lo nego, mi lusinga. A volte l’istinto mi dice che dovrei essere più cauta, dovrei anticipare o scoprire i reconditi disegni del proprietario della grande “tana” costruita al bordo del prato, ma il cuore mi sussurra: “Fidati, è un rito”. E io so che il cuore non intende grandi cerimonie, come quelle organizzate nella Piana del Silvàn dai Folletti di Bosco Vecchio1 per il solstizio d’estate, bensì piccoli gesti quotidiani, apparentemente insignificanti, ma che fanno la differenza. 
Segue
Nota1. “I Folletti di Bosco Vecchio”. Racconto di Rosa Maria Corti pubblicato in “Una fiaba per la montagna”e da APPACUVI.

3a parte  

Finalmente ho scoperto la fonte del misterioso verso proveniente dai sentieri sopra e sotto la mulattiera che attraversa il Pian delle Alpi in direzione della vecchia sostra. A pochi metri dalla mia tana, infatti, ero di rientro dalle mie spedizioni serali, mi sono imbattuta in un lupo, o meglio in un cane inselvatichito che subito mi ha mostrato i denti. Ci siamo fronteggiati misurando la nostra forza; forse avrei potuto anche batterlo, non mi sembrava ancora del tutto avvezzo alla vita selvatica, alle tecniche di caccia di specie simili alla sua, ma gli occhi cattivi mi hanno spinto a giocare d’astuzia. Mi sono messa a girare su me stessa come una trottola trascinando il mio avversario in un rapidissimo girotondo e poi sono schizzata via lasciandolo a girare ancora su se stesso come ubriaco. Ho affinato questa tecnica nei colorati autunni della valle per sfuggire ai cani dei cacciatori che talvolta riesco a seminare anche arrampicandomi sugli alberi. E, di fatto, l’espediente ha funzionato. Non sempre però i trucchi vanno a buon fine e l’abbaio eccitato dei cani che hanno fiutato la preda, quando diventa frastuono fragoroso e prolungato, fa montare il sangue alla testa e genera una tensione insopportabile come fa il temporale con i lampi che squarciano il cielo e i tuoni assordanti che fanno tremare e trattenere il respiro. Quando ripenso a quegli attimi di paura, scopro che di silenzi d’amore, di gesti normali, di piccole cose, anch’io ho bisogno, anche se sono spesso descritta come malvagia, ingannatrice e astuta. Si dice persino che se non trovo nulla da mangiare, dopo essermi rotolata nella terra rossa, mi finga ferita o morta per ghermire e uccidere le prede che si avvicinano incautamente. Bella e crudele, dunque, specialmente nei giorni gelidi del lungo inverno quando l’urgenza di nutrirsi è uno stimolo al quale non si resiste e qualcuno sfida la tormenta per sorprendere animali semi assiderati in cerca di un riparo in mezzo alla neve che riporta le tracce di agguati, di salti e di lotte all’ultimo sangue. Sono solo voci, comunque, per fortuna, la primavera con aria tiepida e pascoli verdi, è vicina e il cibo non mancherà. Mi lecco già i baffi al pensiero di fragoline, lamponi, more e mirtilli e gioisco del presente, di questi momenti felici fatti anche di attese e incontri sul limitare di un prato domestico e, mentre osservo le stelle, dimentico ogni preoccupazione passata. Sogno ad occhi aperti e i miei sogni, impalpabili come il pulviscolo, hanno il colore rosato dell’aurora, la morbidezza di batuffoli pelosi. Continuo a sognare nel dormiveglia; la tana è ancora vuota, ma i tempi della natura sono vicini! Forse quel cane inselvatichito l’aveva intuito e voi?

4a parte

Sulle pendici del Sasso Gordona son tornate a fiorire le peonie di color rosso purpureo, i pascoli sono ridiventati verdi e si sono ricoperti di gialli tarassachi e bianchi narcisi, mentre i sogni di una volpe che sta per diventare madre sono di color rosa. Nel sogno accomodo la tana tappezzandola con un po’ del mio pelo lungo e morbido e, intanto, penso che d’ora in avanti dovrò far in modo di non lasciare tracce che portino al mio rifugio. Il mio corpo snello si è appesantito e l’impronta delle mie unghie e dei miei cuscinetti risulta più evidente, perciò dovrò cercare di coprire le impronte posteriori con quelle anteriori, procedendo, diciamo, quasi in linea retta. Con il caldo verrà il momento delle prime passeggiate con i piccoli e dovrò stare ancora più in guardia. Non ho dimenticato il mio incontro con il randagio e so per esperienza che la minaccia è sempre in agguato. Con l’uomo è diverso; sono sempre prudente ma ho scoperto un rapporto nuovo, una sorta di dipendenza, infatti, la sua presenza amichevole è diventata qualcosa di cui non posso più fare a meno. Non mi lascio accarezzare, qualche volta scappo lesta al primo rumore insolito, ma in segno di amicizia lancio segnali con la coda, non un vero e proprio scodinzolamento ma qualcosa che gli assomiglia. Sento che ormai il morbido prato domestico attorno alla casa, sempre ben sfalciato, mi appartiene, mi piace anche la staccionata sulla quale nelle notti di luna calante, nelle ore che precedono l’alba, quando il sonno degli umani è più profondo, adoro esibirmi come un’acrobata volante con la mia coda morbida e fioccosa. La casa resta off-limits, forse potrei anche abituarmi a uno spazio limitato, potendo, ben inteso, andare e venire a mio piacimento, ma non credo piacerebbe al suo proprietario umano vedermi fare pipì su tutto ciò che ritengo di mia proprietà. Sarei per lui un impegno troppo gravoso! O forse no? Forse dovrei riflettere meglio su questa faccenda prima che sul territorio, già frequentato da placide vacche, s’istallino altri, come quella femmina di capriolo, golosa di croste di pane, che si avvicina timidamente, annusa l’aria, mangia avida e poi si allontana a grande velocità. Deve essere madre da poco, lo si capisce dall’espressione intenerita dell’occhio umido e vellutato, e sarà senz’altro preoccupata per la sicurezza del suo piccolo che la attende ben nascosto fra le erbe e i cespugli per venire allattato.

5a parte

Oggi ho risparmiato la vita a un topolino. Era così patito che mi ha fatto pena. A dire il vero, il topolino dovrebbe ringraziare lo scoiattolo rosso che è solito imbrattare il mio sentiero preferito con il resto del suo pasto, quasi sempre semi rosicchiati a metà e frammenti di corteccia. Avrebbe costituito un pasto prelibato per la sottoscritta, da leccarsi i baffi le sue  carni tenere e bianche, ma il fato ha voluto diversamente. Lo scoiattolo è riuscito a risalire lesto sull’albero dove tiene la sua dispensa, le scorte di cibo ormai in via di esaurimento. Peccato, sarà per la prossima volta, quando ridiscenderà a terra alla ricerca di larve, radici e semi. La pazienza non mi difetta, tutti i miei vicini lo riconoscono, anzi con i commenti sui fenomeni atmosferici, sul tempo che farà, questa mia virtù è spesso l’oggetto delle loro considerazioni. “Fai un salto alla Cà del Moro, là il cibo non manca mai”, direte voi. È ben vero, ma non desidero passare per un’opportunista o peggio per una sfaticata. Non prendo nemmeno in considerazione il commento di quella cornacchia pettegola che bazzica la piana e non sa tenere il becco chiuso. “Cosa ha detto?”. Volete proprio saperlo?”. Ha borbottato che nei dintorni, accovacciati e ben mimetizzati ci sono pur sempre teneri caprioli. Mi ritiene crudele al punto  di  lasciare il vuoto nel cuore di una madre. Quanto si sbaglia! Una volta o l’altra mi deciderò a fare la conta dei miei detrattori e dei miei adulatori, tenendo ben presente le parole di un vecchio saggio che sosteneva l’importanza di non cedere alla vanità e restare umili anche se qualcuno ci fa bellissimi complimenti, perché potrebbero non essere sinceri e avere un secondo fine. P. S. Sapete la novità? Mi è giunta voce d’essere stata scelta come testimonial di una linea di eleganti jewels.  Sono elettrizzata, vi racconterò…

Fiocco rosa e fiocco azzurro nella tana di Guendalina!!!


6 parte 
Ho una novità da raccontarvi! No, non alludo al fatto d’essere stata scelta come testimonial di una linea di simpatici bijoux, cosa che naturalmente ha solleticato la mia vanità, ma a un avvenimento ben più importante che mi ha reso veramente felice e orgogliosa: la nascita dei miei cuccioli. Sono due morbidi batuffoli di pelo che dovrò accudire e difendere con ogni mezzo; se si darà il caso, lotterò senza respiro per la loro vita. Non potrò lasciarli soli per un bel po’ di tempo, almeno fin che dovrò allattarli, pertanto dovrò limitare le mie uscite all’indispensabile e dedicarmi alla loro protezione all’interno della tana. Solo quando potranno assaporare la loro indipendenza, li porterò fino alla Cà del Moro, desidero far loro conoscere il mio territorio e quest’amico umano nei confronti del quale molti m’invitano alla diffidenza. “La convivenza con l’uomo è impossibile, non fa parte del nostro comportamento, è innaturale e, soprattutto, non dobbiamo abituarci a dipendere dal loro cibo, potrebbe andarne di mezzo la nostra stessa sopravvivenza!”, sostiene ad esempio il mio compagno. Altri invece asseverano che la convivenza tra l’uomo e la volpe è molto antica e che sia possibile ancora oggi, a patto che inizi con la conoscenza e il rispetto. Questo è accaduto con il mio amico umano: abbiamo cercato di comprenderci vicendevolmente, di conoscere le nostre abitudini e i nostri comportamenti. È straordinario trovarsi per caso e tenersi per scelta! Quello che mi preoccupa invece è la sorte dei miei piccoli nel caso in cui dovesse accadermi qualcosa di brutto. Tuttavia anche in questo caso a pensare male si sbaglia. Una volta, infatti, una volpacchiotta rimasta orfana fu adottata da una femmina di Golden Retriever, dolcissima e affettuosa, intelligente, mite e paziente, come fosse una sorellina minore con la quale giocare a rincorrere farfalle e cavallette e rotolarsi nei prati. Speriamo bene, i cuccioli sono così fiduciosi, nei loro occhi c’è una tal espressione di grazia, di candore, come se venissero da una sorta di paradiso terrestre, non si vorrebbe sperimentassero il dolore, nemmeno il più piccolo. Dunque, cari amici, arrivederci! Ci ritroveremo qui, al  Pian delle Alpi, quando per i miei piccoli si aprirà il sentiero delle avventure. Lasciatemi godere in tutta tranquillità questa favilla d’amore che ha preso la forma di due teneri volpacchiotti.