mercoledì 9 aprile 2025

LA NEOSCOLASTICA DELLA SINISTRA PACIFISTA Alfonso Lanzieri

 


LA NEOSCOLASTICA DELLA SINISTRA PACIFISTA 
Alfonso Lanzieri


Qualche settimana fa, mentre sostavo all’ingresso di uno degli edifici del polo umanistico dell’Università, a Napoli, ho orecchiato la conversazione di due studenti. Discutevano del proletariato libanese, del suo imprescindibile ruolo nella liberazione del Medio Oriente dall’imperialismo borghese e della necessità di guardare ogni conflitto sempre con le lenti dell’antagonismo tra le classi. Credo stessero preparando un intervento per non so quale riunione. Dopo due minuti scarsi, la persona che attendevo è giunta e sono andato via, senza poter sapere altro del proletariato libanese. I termini di quel dialogo e il luogo in cui si svolgeva, però, mi hanno ricordato quella che un giorno un amico definì la “neoscolastica politica” che circola in certi ambienti accademici e che alla loro età ho conosciuto bene. Possiamo determinarla meglio come “neoscolastica della sinistra pacifista” (d’ora in poi NSP)

La scolastica medievale, nel suo periodo migliore, è stata una delle vette del pensiero occidentale. Per ragioni storiche che non voglio infliggere al lettore, però, più o meno dal Rinascimento in poi, “scolastica” è divenuto anche sinonimo di dottrina astratta e rigida, piena tanto di sottigliezze quanto di dogmatismi, di formule stereotipate e consunte, fedele all’autorità della tradizione e chiusa alle novità dell’esperienza empirica. Quando ho imparato qualcosa sulla crisi della scolastica medievale, non avevo ancora realizzato che i difetti attribuiti a quel movimento si sarebbero ben adattati anche alla NSP da cui ero circondato nei primi anni di università, e che al tempo mi sembrava avere degli elementi di plausibilità.

I punti principali di tale neoscolastica erano e sono più o meno i seguenti: anticapitalismo, avversione agli Stati Uniti e all’Occidente, antiliberalismo; se c’è una guerra, la colpa è naturalmente di noi occidentali e delle trame oscure del capitalismo (con sporadici ma decisi richiami anche agli interessi delle lobby ebraiche); la Nato è un’organizzazione imperialista; la cultura americana è annessionista e superficiale, quella eurasiatica è effusiva e profonda; le dittature di destra sono fasciste, le dittature di sinistra sono fasi transitorie della rivoluzione da contestualizzare; il pacifismo, quando però ci sono da attaccare Stati Uniti ed Europa. Ho un po’ estremizzato, ma i tratti salienti della NSP sono questi.  

Nelle riunioni dei collettivi studenteschi di estrema sinistra di cui ero saltuario spettatore (in effetti non vi erano gruppi di altro indirizzo), nelle incidentali di alcune lezioni (piene di “nelle cosiddette democrazie”, “nel cosiddetto mondo libero”), nei dialoghi improvvisati con una fetta dei professori, nulla era censurato, ma il campo da gioco era disegnato dagli assiomi della NSP, implicitamente chiari a tutti e discussi solo da una minoranza.

Naturalmente, in queste sacche del libero pensiero, tutti si sentivano “eretici” (credo fosse una delle parole più utilizzate all’epoca), anche se non si capisce rispetto a cosa, dal momento che la NSP era l’ortodossia: si ripetevano le stesse cose, si leggevano gli stessi autori, si sminuzzavano gli stessi passi degli stessi saggi fino a che non vi era più succo da ricavare. Questa NSP è la piattaforma concettuale cui si rifà chi è sceso in piazza negli ultimi tre anni e chi scende oggi, a Roma, per invocare la resa dell’Ucraina, dell’Europa, il disarmo della democrazia.

Ovviamente, si obietterà, in ogni ambiente sociale vi è una certa interpretazione del mondo più o meno egemone, fondata su determinati principi. La condivisione di questi ultimi da parte di un certo numero di persone è la base per l’esistenza stessa di quel gruppo. Di sicuro è così. Il punto è la dose di permeabilità alle obiezioni alla tua interpretazione del mondo: più la dose è alta, maggiore è la qualità intellettuale dell’interpretazione scelta; minore è la dose, più siamo nel campo dell’ideologia. Il declino della scolastica fu causato dall’arroccamento dei suoi interpreti più tardi, meno aperti alle novità e agli sviluppi del pensiero dei loro predecessori.

Alcune importanti figure del pensiero medievale ̶ già portatrici dei semi della rivoluzione scientifica ̶ denunciarono i limiti della teologia a loro coeva, segnalando alcune criticità che poi si sarebbero aggravate. In questo gruppo, mi piace ricordare il francescano Ruggero Bacone (da non confondere con Francesco), vissuto nel XIII secolo e purtroppo poco noto. Uomo di grande ingegno, si deve a lui forse il primo utilizzo dell’espressione “scienza sperimentale”.

Nell’Opus majus, elencò sette difetti della teologia del suo tempo. Tra questi, l’eccessivo affidamento all’autorità, l’abuso delle argomentazioni logiche, l’ignoranza delle scienze naturali, la sconsiderata volontà di apparire sapienti e la scarsa capacità di tener conto dell’esperienza e dell’osservazione. In sostanza, la teologia, per svolgere al meglio il suo compito, aveva bisogno, sentenziava Bacone, di rinnovare i propri schemi logici, fondati su assunti ormai desueti e superati, insostenibili alla luce di quanto si sapeva del mondo, per ravvivare la presa dei propri concetti sulla realtà.

Come detto in precedenza, quelle critiche possono funzionare anche oggi per la NSP, ridotta a interpretazione del mondo astratta, dogmatica, sorda ai dati sperimentali. Questa neoscolastica è capace solo di ripete i sillogismi geopolitici imparati dai maestri come motti svigoriti, scorze esterne di un sapere che poteva avere una sua energia molti decenni fa, prima che fosse estrapolato dal campo vivo di forze in cui è nato, per essere tramandato di bocca in bocca più in ragione della mobilitazione emotiva che è capace di scatenare, che a motivo della propria abilità di cogliere qualcosa della realtà effettiva.

In aggiunta, tenendo a mente ancora le critiche baconiane, gli interpreti della NSP sono affetti anche dal vezzo di voler apparire sapienti, secondo la moda del giorno d’oggi. Così, se mostrare i muscoli in una disputa medievale significava fare sfoggio delle proprie capacità logiche sfiorando la sofistica, oggi la NSP ostenta il proprio scetticismo per come le cose “ci vengono raccontate”, estremizzando fino al pervertimento la lezione dei “maestri del sospetto”: se questi ci hanno insegnato che la comprensione di una certa configurazione della realtà passa necessariamente da un’indagine dello spettro di forze psicosociali che sta alle sue spalle, la NSP arriva fino alla dissoluzione dei più elementari dati di fatto in nome di retroscena ricostruiti a immagine e somiglianza dei propri pregiudizi ideologici.

Così, magicamente, le responsabilità del conflitto ucraino sono della Nato o addirittura di Zelensky, la pace non arriva non perché Putin non la vuole (infatti ha invaso l’Ucraina), ma perché l’Europa la sta sabotando, il disarmo unilaterale è garanzia di sicurezza, e i timori dei popoli confinanti con la Russia, più volte invasi e aggrediti nel corso della storia, vengono semplicemente ignorati. Se non ti rifiuti di credere a ciò che vedi, non sei pronto per la “complessità”. Senza saperlo, in tal modo la NSP replica idealmente il gesto di quegli scolastici che ̶ così almeno tramanda l’aneddotica ̶ si rifiutarono di guardare dal cannocchiale, per evitare che i dati empirici disturbassero la loro metafisica.

Tutto ciò suggerisce che, a pensarci bene, nella piazza contiana in cui si predica la NSP, la presenza di un noto storico medievalista non è del tutto fuori luogo. In più, se accettate un consiglio, leggete la scuola francescana di Oxford, da Guglielmo di Occam a Ruggero Bacone, passando per Roberto Grossatesta: sono una riserva di munizioni contro il dogmatismo.