DESERTO D'ACQUA(The Drowned World, 1962)
Recensione di Vale Flip
È questo un libro che , senza inventarsi macchinose complicazioni nè addentrarsi in profonde indagini all'interno della psiche ci regala una piacevole lettura . È un fantascienza che si svolge sulla terra , dove " La successione di giganteschi sommovimenti geofisici che avevano trasformato il clima della Terra aveva avuto inizio sessanta o settant'anni prima . Una serie di violente tempeste solari durate parecchi anni , provocate da un'improvvisa instabilità del sole , aveva allargato le cintura di Van Alien e aveva diminuito l'attrazione gravitazionale della Terra sugli strati esterni della ionosfera. Man mano che questi svanivano nello spazio , assottigliando la barriera della Terra contro le radiazioni solari , la temperatura aveva cominciato a salire regolarmente ; l'atmosfera riscaldata si espandeva all'esterno, nella ionosfera, dove il ciclo si completava. In tutto il mondo , la temperatura aumentava di qualche grado ogni anno ." ( il libro è scritto nel 1962) . Quindi , rispetto a quello che attualmente viviamo , lo scenario è abbastanza stravolto . A causa delle temperature stra-elevate l'uomo si è ridotto a poter sopravvivere solo nelle zone polari ; enormi regioni della terra sono sommerse dalle acque , le grandi città giacciono ormai sui fondali marini , flora e fauna sono cambiate ritornando ad avere aspetti analoghi alla flora e fauna del periodo Triassico .
In tale contesto si svolge la storia ed è interessante , ma quello che accresce il piacere della lettura sono le descrizioni dei paesaggi . Davanti agli occhi dei protagonisti, impegnati nel loro ruolo , scorrono paesaggi magnifici , albe e tramonti e soli a picco e vegetazione lussureggiante ed animali bellissimi da incubo ...che non sono evocati a caso , ma la cui esistenza ha radici in mutazioni genetiche avvenute a causa del cambiamento climatico .
Ah ! ...e sembra che pure il sistema nervoso dell'uomo subisca mutazioni e reset .
Questo il "dove" dell'avventura narrata e il racconto è gestito dalle mani di un autore che sicuramente sa essere avvincente .
DESERTO D'ACQUA
J. G. Ballard
Di lì a poco il caldo sarebbe diventato eccessivo. Affacciato al balcone dell'albergo, pochi minuti dopo le otto, Kerans guardò il sole sollevarsi da dietro i fitti cespugli di gimnosperme giganti che crescevano in un intrico selvaggio sui tetti dei grandi magazzini abbandonati a quattrocento metri di distanza, sulla sponda orientale della laguna. Persino attraverso le ampie fronde color verde oliva del fogliame, la forza impietosa del sole era quasi tangibile. I raggi, filtrando attraverso il reticolo delle foglie, martellavano il petto e le spalle scoperte di Kerans, facendolo sudare e costringendolo a indossare un paio di spessi occhiali scuri per proteggersi gli occhi. Il disco del sole aveva smesso di essere una sfera ben definita, era diventato un'ampia ellisse che andava allargandosi sempre più sopra l'orizzonte, simile a una colossale palla di fuoco che, riflettendosi sulla superficie plumbea della laguna, la trasformava in uno scudo di rame scintillante. A mezzogiorno, meno di quattro ore più tardi, l'acqua sarebbe sembrata un mare di fuoco. Solitamente, Kerans si svegliava alle cinque e arrivava al laboratorio biologico in tempo per lavorare quattro o cinque ore prima che il calore divenisse insopportabile, ma quella mattina si era scoperto riluttante ad abbandonare il rifugio fresco e riparato della suite dell'albergo. Aveva passato un paio d'ore facendo colazione da solo, quindi aveva ultimato un'annotazione di sei pagine nel suo diario personale, rimandando deliberatamente la partenza finché il colonnello Riggs non fosse passato dall'albergo sulla sua motovedetta, sapendo che a quel punto sarebbe stato troppo tardi per andare in laboratorio. Il colonnello era sempre disposto ad affrontare un'ora di conversazione, specialmente quando l'ora in questione era supportata da qualche giro di aperitivi e, quando se ne fosse andato, sarebbero state come minimo le undici e mezzo, e a quel punto i pensieri del colonnello sarebbero stati rivolti al pranzo che lo attendeva alla base. Per qualche motivo, però, quel giorno Riggs era in ritardo. Presumibilmente stava compiendo una perlustrazione più lunga del solito nelle lagune adiacenti, o forse stava aspettando che Kerans arrivasse in laboratorio. Per un istante Kerans si chiese se non fosse il caso di tentare di raggiungerlo via radio con il ricetrasmettitore installato assieme alle altre apparecchiature nel salone dell'albergo, ma la console era sepolta sotto una pila di libri, con le batterie scariche. Il caporale responsabile della stazione radio della base aveva protestato con Riggs quando la sua consueta accozzaglia di vecchie canzoni popolari e di notizie locali del mattino (un elicottero attaccato da due iguane la sera prima, le ultime rilevazioni di temperatura e umidità) era stata troncata bruscamente a metà della prima trasmissione. Ma Riggs si rendeva conto dei tentativi inconsci di Kerans di recidere ogni legame con la base (la calcolata noncuranza della piramide di libri che nascondeva il radiotrasmettitore contrastava in modo fin troppo palese con l'ordine altrimenti meticoloso di Kerans) e accettava di buon grado il suo bisogno di isolarsi. Appoggiato alla balaustra del balcone, con l'acqua immobile che, dieci piani più in basso, rifletteva la linea angolosa delle sue spalle e il suo profilo affilato, Kerans osservava una delle innumerevoli tempeste termiche avanzare attraverso una macchia di enormi felci che fiancheggiava la baia comunicante con la laguna. Intrappolate dagli edifici circostanti e dagli strati di inversione termica sospesi a circa trenta metri di altezza dalla superficie dell'acqua, le sacche d'aria si riscaldavano rapidamente e, altrettanto rapidamente, esplodevano verso l'alto come palloni aerostatici, lasciandosi alle spalle un vuoto improvviso che veniva colmato immediatamente con grande fragore. Per qualche secondo le nubi di vapore sovrastanti la baia si dispersero, e un violento tornado in miniatura si abbatté sulle piante alte venti metri, sradicandole come fossero fiammiferi. Poi, in modo altrettanto repentino, la tempesta si placò e gli immensi tronchi affiorarono sull'acqua uno accanto all'altro come sonnolenti alligatori.
Razionalizzando, Kerans si disse che aveva fatto bene a restare all'interno dell'albergo: le tempeste scoppiavano con frequenza sempre maggiore via via che la temperatura andava aumentando. Ma Kerans sapeva benissimo che il reale motivo della sua decisione era l'accettazione ormai passiva del fatto che gli restasse ben poco altro da fare. Le rilevazioni biologiche erano diventate un gioco senza senso e privo di alcuna utilità, dato che la nuova flora seguiva pedissequamente le tendenze anticipate dagli scienziati vent'anni prima, ed era sicuro che nessuno a Camp Byrd, nella Groenlandia settentrionale, si preoccupava di archiviare i suoi rapporti, figuriamoci poi di leggerli.
In effetti, il vecchio dottor Bodkin, l'assistente di Kerans al laboratorio, aveva astutamente preparato ciò che sarebbe potuta sembrare un'accurata descrizione dell'avvistamento, da parte di uno dei sergenti alle dipendenze del colonnello Riggs, di un'enorme lucertola con una gigantesca pinna dorsale che nuotava in una delle lagune e che, in ogni suo aspetto, non presentava alcuna differenza dal pelicosauro, un antico rettile preistorico della Pennsylvania. Se il rapporto (che preannunciava l'imminente ritorno dell'era dei dinosauri) fosse stato preso sul serio, un esercito di bioecologi si sarebbe immediatamente avventato su di essi spalleggiato da una divisione dotata di testate nucleari tattiche, con l'ordine di procedere verso sud alla velocità di venti nodi. Ma, a parte il consueto messaggio che accusava la ricezione del rapporto, non era stato trasmesso più nulla. Forse gli specialisti di Camp Byrd erano troppo stanchi anche per ridere. Alla fine del mese, il colonnello Riggs e l'esiguo gruppo di uomini ai suoi ordini avrebbero completato la loro perlustrazione della città (Kerans non sapeva se un tempo fosse stata Berlino, Parigi o Londra) e sarebbero partiti verso nord, portandosi a rimorchio il laboratorio biologico. Kerans aveva difficoltà a capacitarsi del fatto che presto avrebbe dovuto lasciare la suite nell'attico dove aveva vissuto negli ultimi sei mesi. Kerans doveva ammettere che l'alta reputazione del Ritz era più che meritata: il bagno, per esempio, con il lavandino di marmo nero e i rubinetti e le cornici degli specchi dorati sembrava l'interno di una cattedrale. In un certo qual modo si accontentava di pensare che sarebbe stato l'ultimo ospite nella storia dell'albergo, identificando quella che si rendeva conto essere una fase conclusiva della sua vita (l'odissea verso nord attraverso le città sommerse lasciate a sud, che sarebbe presto terminata con il loro ritorno a Camp Byrd e alla ricerca puramente scientifica) con il malinconico, silenzioso tramonto della lunga, splendida storia dell'albergo.
Si era impossessato del Ritz il giorno seguente il loro arrivo, ansioso di sostituire la sua cuccetta di fortuna tra i banchi del laboratorio con le immense stanze dagli alti soffitti dell'albergo deserto. Accettò immediatamente i lussuosi mobili ricoperti di broccati e le statue di bronzo art nouveau poste nelle nicchie del corridoio come sfondo naturale alla propria esistenza, assaporando la sottile atmosfera decadente che circondava quelle ultime vestigia di un livello di civiltà ormai scomparso per sempre. Degli altri edifici che sorgevano intorno alla laguna, troppi erano scivolati da tempo sotto lo strato dei sedimenti, rivelando le loro origini dozzinali; il Ritz, invece, si ergeva in splendida solitudine sulla sponda occidentale, e persino le spesse muffe bluastre che macchiavano le passatoie dei suoi corridoi bui sembravano enfatizzare la dignità ottocentesca dell'edificio.
La suite era stata concepita in origine per un finanziere milanese, ed era stata progettata e arredata secondo i dettami del lusso. I pannelli di isolamento termico erano ancora perfettamente sigillati, nonostante i primi sei piani dell'albergo si trovassero sotto il livello dell'acqua e le prime crepe avessero cominciato a comparire nei muri portanti; il condizionatore da duecentocinquanta ampère aveva sempre funzionato senza il minimo problema. Pur non essendo stata occupata da oltre dieci anni, la suite era pressoché intonsa: ben poca polvere si era accumulata sulle mensole dei caminetti e sui tavoli. Il trittico di fotografie poste sulla scrivania rivestita in pelle di coccodrillo (il finanziere, il finanziere insieme alla sua famiglia slanciata e ben nutrita, il finanziere e un ancor più slanciato grattacielo di cinquanta piani) era praticamente scevro di macchie. Fortunatamente per Kerans, il suo predecessore se n'era andato in tutta fretta, e le credenze e gli armadi erano pieni di tesori: racchette da squash col manico in avorio, vestaglie cinesi dipinte a mano, il bar fornito di un'ampia riserva di whisky e brandy ormai d'annata.
Una zanzara anofele di dimensioni gigantesche, grossa come una libellula, sfrecciò nell'aria a pochi centimetri dal suo volto, quindi si tuffò in picchiata verso il pontile galleggiante dov'era ormeggiato il catamarano di Kerans. Il sole era ancora nascosto dietro la folta vegetazione che ricopriva il lato orientale della laguna, ma la temperatura in aumento faceva uscire gli enormi insetti predatori dalle loro tane, sparse un po' ovunque sulla superficie ricoperta di muschio dell'albergo. Kerans era riluttante all'idea di lasciare la terrazza per ritirarsi dietro il riparo della reticella metallica. Alle prime luci del giorno, una strana, mesta bellezza era come sospesa sopra la laguna; le fronde verde cupo delle gimnosperme, residui del passato triassico, e i bianchi edifici semisommersi del ventesimo secolo si riflettevano insieme nello specchio nero dell'acqua della laguna, e i due mondi intersecati sembravano apparentemente sospesi in una strana giuntura temporale; l'illusione si spezzò per un momento quando un gigantesco ragno acquatico solcò la superficie oleosa a un centinaio di metri di distanza.
In lontananza, da qualche parte oltre l'ammasso sommerso di un immenso edificio gotico a mezzo miglio di distanza verso sud, un motore diesel tossicchiò e prese vita. Kerans lasciò la terrazza, chiudendosi alle spalle la reticella metallica, e andò in bagno per farsi la barba. Era molto tempo ormai che dai rubinetti non usciva più acqua, ma Kerans ne teneva una riserva nella vasca da bagno, accuratamente purificata con una storta rudimentale posta sul tetto e in seguito fatta scorrere attraverso la finestra per mezzo di un tubo. Nonostante Kerans avesse soltanto quarant'anni, la sua barba si era incanutita a causa del fluoro radioattivo contenuto nell'acqua, ma i capelli tagliati a spazzola e il colorito profondamente ambrato della pelle lo facevano sembrare almeno di dieci anni più giovane. La mancanza cronica di appetito e le nuove forme di malaria gli avevano teso la pelle ruvida sugli zigomi, enfatizzando l'espressione ascetica del volto. Mentre si radeva, esaminò con occhio critico i propri lineamenti passandosi i polpastrelli sulle guance incavate e accarezzando la muscolatura alterata che stava lentamente trasformandosi nei contorni per rivelare una personalità che era rimasta latente nel corso della sua precedente vita da adulto. A dispetto del carattere introverso, Kerans ora sembrava molto più rilassato di quanto potesse ricordare di essere mai stato, gli occhi azzurri e freddi che osservavano l'immagine riflessa con ironico distacco. Aveva superato lo stadio in cui si era lasciato assorbire dal suo proprio mondo con i suoi rituali e le sue abitudini private. Se si teneva a distanza da Riggs e dai suoi uomini, era semplicemente una questione di convenienza più che di misantropia. Uscito dal bagno, prese da un cassetto una camicia di seta color avorio con le cifre ricamate dalla pila che il finanziere aveva lasciato nella suite, e si infilò un paio di pantaloni tagliati e stirati alla perfezione. Dopo essersi chiuso la doppia porta alle spalle (la suite era una vera e propria gabbia di vetro racchiusa dai muri di mattoni), si avviò giù per le scale.
Raggiunse il livello dell'acqua proprio mentre l'imbarcazione del colonnello Riggs, un mezzo da sbarco riadattato, si accostava al catamarano. Riggs era in piedi a prua, una figura elegante, con uno stivale sulla passerella, intento a scrutare i ruscelletti tortuosi e la giungla circostante come un vecchio esploratore africano.
"Buongiorno, Robert," salutò saltando sulla piattaforma ondeggiante composta da bidoni di carburante tenuti insieme da una struttura in legno. "Sono contento di trovarla ancora qui. Ho per le mani un lavoro in cui lei potrebbe essermi d'aiuto. Può prendersi un giorno libero dal laboratorio?" Kerans lo aiutò a salire sulla terrazza di cemento che un tempo sporgeva da una suite al settimo piano.
"Ma certo, colonnello. In realtà l'avevo già fatto."
Tecnicamente Riggs aveva il comando dell'intero laboratorio biologico e Kerans avrebbe dovuto chiedergli il permesso, ma il rapporto tra i due uomini era impostato sull'assenza di inutili formalità. Avevano lavorato fianco a fianco per più di tre anni, mentre il laboratorio e la sua scorta militare si muovevano lentamente verso nord attraversando le lagune europee, e Riggs preferiva lasciare che Bodkin e Kerans lavorassero seguendo i loro ritmi, essendo lui stesso già sufficientemente impegnato nell'opera di rilevazione cartografica delle isolette e delle insenature e dall'incombenza di evacuare gli ultimi abitanti. Per quest'ultimo compito spesso aveva bisogno dell'aiuto di Kerans, poiché la maggior parte delle persone che ancora vivevano nelle città che affondavano lentamente erano o psicopatici o sofferenti di malnutrizione o contaminati da radiazioni.
Oltre a dirigere il laboratorio biologico, Kerans svolgeva anche la funzione di ufficiale medico dell'unità militare. La maggior parte delle persone in cui si imbattevano necessitava di ricovero immediato prima di venire trasferita con l'elicottero fino a una delle grandi navi adibite al trasporto di carri armati che traghettavano i profughi a Camp Byrd. Personale militare ferito, intrappolato in qualche grattacielo in una palude deserta, prigionieri morenti incapaci di separare la propria identità da quella delle metropoli dove avevano trascorso la vita, sciacalli scoraggiati che erano rimasti indietro nella speranza di ripescare qualcosa di valore: era questa la gente che Riggs, con il sorriso sulle labbra eppure mantenendo l'indispensabile fermezza, portava in salvo, con Kerans sempre pronto al suo fianco per somministrare un analgesico o un tranquillante. Nonostante la sua brusca facciata militaresca, Kerans trovava il colonnello intelligente e sensibile e dotato di una riserva nascosta e sorprendente di humour. Più di una volta Kerans era stato sul punto di mettere alla prova il senso dell'umorismo del colonnello raccontandogli la storia del pelicosauro di Bodkin, ma alla fine aveva sempre deciso di non farlo.
Il sergente coinvolto nella burla, un severo e coscienzioso scozzese di nome Macready, si era arrampicato sul tetto della gabbia metallica che racchiudeva il molo e stava accuratamente spazzando via le fronde e i viticci che vi erano rimasti impigliati. Nessuno degli altri tre uomini cercò di aiutarlo; sotto le profonde abbronzature, i loro volti apparivano tesi ed esausti: erano seduti inerti contro un parapetto di cemento. Il martellare continuo del calore e le massicce dosi giornaliere di antibiotici avevano tolto loro ogni residuo di energie.
Mentre il sole sorgeva sulla laguna, sospingendo nubi di vapore nell'immenso specchio dorato, Kerans avvertì acutamente il terribile fetore dell'acqua putrida, gli odori dolciastri e compatti della vegetazione marcescente e delle carcasse degli animali morti. Enormi mosche svolazzavano nell'aria soffocante, rimbalzando contro la rete di protezione del battello. Pipistrelli giganti sfrecciavano sulla superficie dell'acqua che andava riscaldandosi, diretti alle loro tane all'interno degli edifici in rovina. La laguna, bellissima e serena quando vista dalla terrazza soltanto pochi minuti prima, ora appariva a Kerans come null'altro che una palude stracolma di rifiuti.
"Saliamo sul molo," suggerì a Riggs, abbassando la voce affinché gli altri non potessero udirlo. "Le offro un drink."
"Benissimo. Sono felice di constatare che la generosità ha avuto il sopravvento," disse Riggs, quindi si rivolse a Macready: "Sergente, salgo a vedere se riesco a far funzionare l'impianto di distillazione del dottore". Strizzò l'occhio a Kerans, mentre Macready rispondeva con un cenno scettico del capo, tanto il sotterfugio era innocuo. La maggior parte degli uomini aveva con sé fiaschette tascabili e, una volta che si fossero assicurati l'approvazione del sergente, le avrebbero tirate fuori e si sarebbero messi placidamente ad attendere il ritorno del colonnello.
Kerans si arrampicò sul davanzale ed entrò dalla finestra nella camera da letto che dava direttamente sul molo. "Qual è il suo problema, colonnello?" "Non è un mio problema. Se mai, è un problema suo."
Salirono lentamente le scale, con Riggs che percuoteva con il suo bastone i rampicanti avvinghiati alla balaustra. "Non è ancora riuscito a far funzionare l'ascensore? Ho sempre pensato che questo posto godesse di una fama superiore al suo valore." Comunque, Riggs non riuscì a nascondere un sorriso di approvazione quando i due uomini entrarono nell'aria fresca e limpida dell'attico, e si sedette grato su una delle sedie Luigi xv dalle gambe istoriate. "Molto elegante davvero. Sa, Robert, credo proprio che lei abbia un talento naturale per i dettagli. Potrei trasferirmi qui insieme a lei. Sa se c'è una camera libera?" Kerans scosse la testa, premendo un interruttore sulla parete e aspettando che il mobile bar fuoriuscisse da una falsa libreria. "Provi all'Hilton. Ho sentito dire che lì il servizio è migliore." La risposta era ironica, ma, per quanto Riggs potesse piacergli, preferiva averlo intorno il meno possibile. Al momento erano separati da diverse lagune, e il rumore continuo e frastornante dell'officina e dell'armeria della base era fortunatamente smorzato dall'intrico della giungla. Conosceva ognuno dei venti uomini della squadra da almeno un paio d'anni ma, con l'eccezione di Riggs e del sergente Macready, e a parte qualche domanda occasionale nell'infermeria, non parlava con nessuno di loro da più di sei mesi. Perfino i suoi contatti con Bodkin erano ridotti al minimo indispensabile. Come per un tacito accordo, i due biologi avevano abolito le consuete chiacchiere e le solite battute che li avevano aiutati a superare i primi due anni durante le ore passate insieme a catalogare e a preparare vetrini in laboratorio. L'isolamento sempre crescente e la riservatezza, manifestata dagli altri membri del gruppo e da cui soltanto l'esuberante Riggs sembrava essere immune, ricordavano a Kerans il rallentamento del metabolismo e il regresso biologico che si manifestano in tutte le forme di vita animale in procinto di affrontare importanti metamorfosi. A volte si chiedeva quale stadio di trasformazione stesse attraversando lui stesso, certo che la propria involuzione fosse sintomatica non tanto di una schizofrenia latente, quanto di un preciso adattamento all'ambiente radicalmente nuovo che lo circondava, con una propria logica intrinseca, secondo la quale le antiche categorie di pensiero non sarebbero state altro che un mero impiccio. Porse a Riggs uno scotch abbondante, quindi prese il proprio bicchiere e lo portò alla scrivania, spostando accuratamente alcuni dei libri impilati a nascondere l'apparecchio radio.
"Ha mai provato ad ascoltare quell'aggeggio?" domandò Riggs introducendo bonariamente una traccia di rimprovero nella voce.
"Mai," rispose Kerans. "E a che scopo, poi? Sappiamo già tutte le notizie dei prossimi tre milioni di anni." "No, non è così. Davvero, dovrebbe accenderla di tanto in tanto. Si sentono un sacco di cose interessanti." Depose il bicchiere e si sporse verso Kerans. "Per esempio, questa mattina avrebbe sentito dire che esattamente di qui a tre giorni leveremo le tende e ce ne andremo per sempre." Quando Kerans si voltò a guardarlo, sorpreso, Riggs annuì. "L'ordine è arrivato la notte scorsa da Camp Byrd. A quanto pare, il livello dell'acqua sta ancora crescendo: tutto il lavoro che abbiamo svolto finora è stato un assoluto spreco di tempo... come, del resto, io ho sempre sostenuto. Anche le squadre russe e americane sono state richiamate. All'Equatore, la temperatura ha raggiunto gli ottanta gradi e continua a crescere, e le fasce di pioggia si sono estese fino al ventesimo parallelo. Anche i sedimenti sono aumentati..." Si interruppe, scrutando attentamente Kerans. "Qual è il problema? Non è contento di andarsene da questo posto?"
"Naturalmente sì," rispose meccanicamente Kerans. Il bicchiere che teneva in mano era già vuoto, e lo scienziato si alzò e attraversò la stanza con l'intenzione di posarlo sul mobile bar, si ritrovò invece a toccare distrattamente l'orologio sulla mensola del caminetto. Si guardò intorno come in cerca di qualcosa. "Ha detto tre giorni?"
"Quanti ne vuole, tremila?" ribatté Riggs con un ampio sorriso. "Robert, sono convinto che in realtà lei desideri rimanere qui."
Kerans raggiunse il bar e si riempì nuovamente il bicchiere, cercando di riaversi dalla sorpresa. Era riuscito a sopravvivere alla monotonia e al tedio dell'anno appena trascorso soltanto sospendendosi al di fuori del normale mondo governato dal tempo e dallo spazio, e il brusco ritorno con i piedi per terra lo aveva momentaneamente sconcertato. Per di più Kerans sapeva che c'erano altri motivi e altre responsabilità.
"Non sia assurdo," rispose con disinvoltura. "Semplicemente, non immaginavo che potessimo andarcene con un preavviso tanto breve. È ovvio che sono felice di andar via, per quanto devo ammettere che vivere qui sia stato piacevole," concluse indicando la suite intorno a sé. "Forse tutto questo stuzzica il mio temperamento fin de siècle. A Camp Byrd vivrò in una specie di scatola di sardine. La cosa più vicina a tutto ciò che riuscirò ad avere, là, sarà Bouncing with Beethoven alla radio locale." Riggs esplose in una risata fragorosa alla battuta di Kerans, quindi si alzò abbottonandosi la divisa.
"Robert, lei è proprio un tipo strano."
Kerans terminò il suo drink in un unico sorso. "Senta, colonnello, dubito che questa mattina sarò in grado di aiutarla. È saltato fuori qualcosa di piuttosto urgente." Si accorse che Riggs annuiva lentamente.
"Oh, capisco. Era questo il suo problema. Il mio problema."
"Proprio così. L'ho vista la notte scorsa e di nuovo stamattina dopo la diffusione della notizia. Dovrà cercare di convincerla, Robert. Al momento, si rifiuta categoricamente di partire. Sembra non rendersi conto che questa volta è proprio la fine e che non ci saranno più collegamenti con la base. Può anche darsi che riesca a tirare avanti per altri sei mesi, ma il marzo venturo le fasce di pioggia arriveranno fin qui e non saremo più in grado di mandarle nemmeno un elicottero. Comunque a quel punto non importerà più a nessuno. Le ho detto tutto questo e lei si è limitata a voltarsi e andarsene.''
Kerans sorrise mestamente, visualizzando con l'occhio dell'immaginazione l'ancheggiare familiare e il passo altezzoso. "A volte Beatrice può essere una persona difficile," temporeggiò lo scienziato, sperando che la donna non avesse offeso Riggs. Probabilmente, sarebbero occorsi più di tre giorni per convincerla a cambiare idea e Kerans voleva assicurarsi che il colonnello li avrebbe aspettati. "Ha una personalità complessa, vive su molti livelli. Fino a che questi non riusciranno ad armonizzarsi, Beatrice potrebbe comportarsi come fosse priva di senno."
Lasciarono la suite. Kerans sigillò i pannelli a isolamento termico e regolò il termostato in modo che, nel giro di due ore, la temperatura non superasse i venticinque gradi. Si diressero verso il livello dell'acqua, con Riggs che di tanto in tanto si soffermava ad assaporare l'aria fresca ed elegante dei salotti sovrastanti la laguna, sibilando ai serpenti che scivolavano silenziosamente tra i divani umidi e ricoperti di funghi. Salirono a bordo dell'imbarcazione e Macready sbatté la porta della gabbia alle loro spalle. Cinque minuti più tardi, con il catamarano di Kerans che ondeggiava agganciato a poppa, si addentrarono nella laguna. Le onde scintillavano dorate nell'aria soffocante, e il cerchio di alberi imponenti che li circondava sembrava danzare nei gradienti di calore come una giungla stregata. Riggs guardò cupamente attraverso le maglie della rete. "Ringrazio il cielo per la decisione presa a Camp Byrd. Avremmo dovuto andarcene anni fa. Tutti questi rilevamenti dettagliati di porti e baie da usare in un qualche ipotetico futuro sono semplicemente assurdi. Anche se i bagliori solari dovessero diminuire, occorreranno comunque almeno dieci anni prima che abbia luogo qualche serio tentativo di rioccupare questa città. A quel punto, la maggior parte degli edifici più grandi sarà sepolta sotto i sedimenti. Serviranno un paio di divisioni dell'esercito soltanto per ripulire questo tratto di laguna dall'intrico della vegetazione. Proprio questa mattina Bodkin mi stava dicendo che in alcuni punti la volta di foglie (di piante non lignificate, badi bene) raggiunge già un'altezza di quasi settanta metri. Questo posto non è altro che uno zoo caotico."
Si tolse il copricapo e si deterse il sudore dalla fronte, quindi gridò per farsi udire al di sopra del frastuono prodotto dai due motori diesel fuoribordo: "Se Beatrice si trattiene ancora un po', diventerà pazza sul serio. A proposito, questo mi fa venire in mente un altro motivo per cui ce ne dobbiamo andare". Lanciò un'occhiata all'alta figura solitaria del sergente Macready che, seduto al timone, fissava la scia spumosa del battello, e ai volti esausti degli altri uomini. "Mi dica, dottore, come dorme in questi giorni?" Perplesso, Kerans si voltò a guardare il colonnello, chiedendosi se la domanda non fosse un riferimento obliquo alla sua relazione con Beatrice Dahl. Riggs lo scrutava con sguardo vivo e intelligente, tenendo il bastone tra le mani. "Molto profondamente," rispose con cautela. "Mai dormito meglio. Perché me lo chiede?"
Ma Riggs si limitò ad annuire e subito dopo cominciò a gridare ordini a Macready. L'avvento delle iguane
Stridendo come una banshee impazzita un grande pipistrello dal naso a martello si librò nell'aria da uno degli angusti canali secondari e si scagliò dritta verso l'imbarcazione. Con il sonar confuso dal labirinto di ragnatele giganti intessute sopra il canale dalle colonie di ragni-lupo, l'animale mancò di pochi centimetri la rete di protezione sopra la testa di Kerans, quindi si allontanò tra i grattacieli semisommersi, entrando e uscendo dall'ombra delle fronde a forma di vela delle felci che crescevano sui tetti dei palazzi. Improvvisamente, mentre oltrepassava uno dei cornicioni sporgenti, una creatura immobile dalla testa di pietra scattò e lo ghermì a mezz'aria. Si udì un breve, acuto stridio, e Kerans, con la coda dell'occhio, vide l'ultimo fremito delle ali spezzate dalle fauci della lucertola. Poi il rettile si ritrasse e tornò a rendersi invisibile nel fogliame.
Lungo il canale, appollaiate nelle finestre dei palazzi e dei magazzini, le iguane li osservavano passare, muovendo a scatti impercettibili le teste dall'aspetto marmoreo. Si lanciavano nella scia dell'imbarcazione per catturare gli insetti stanati dai loro rifugi nei tronchi marciti dal fragore prodotto dai rumori del battello, quindi tornavano a nuoto verso le finestre e si arrampicavano su per le scale per raggiungere i loro punti di osservazione privilegiati, ammassate le une sulle altre. Senza quei rettili, le lagune e i canali creati dai grattacieli immersi avrebbero avuto una strana, onirica bellezza, ma la presenza delle iguane e dei basilischi riportava quella fantasia a una ben più terrena consistenza. Adagiati sulle poltrone e sulle finestre di quelle che una volta erano state sale di importanti consigli di amministrazione, i rettili avevano preso possesso della città e, dopo milioni di anni, erano tornati a essere la forma di vita dominante. Guardando quelle teste antiche e impassibili, Kerans poteva capire la strana paura che esse suscitavano, riattizzando arcaiche memorie delle giungle terrificanti del Paleocene, quando i rettili erano stati costretti ad abdicare di fronte all'evoluzione dei mammiferi, e percepiva con stordente chiarezza l'ostilità implacabile che una classe zoologica prova nei confronti di un'altra che ne ha usurpato il posto. Alla fine del canale si immisero nella laguna successiva, un ampio cerchio di acqua verde cupo di quasi ottocento metri di diametro. Una fila di boe di plastica rossa contrassegnava un canale che conduceva a un'apertura dalla parte opposta della laguna. La chiglia del battello era immersa per poco più di trenta centimetri e, mentre avanzavano nell'acqua piatta, con il sole alle loro spalle che rivelava le profondità
sommerse, riuscivano a intravedere chiaramente le sagome degli edifici a cinque o sei piani che si profilavano sott'acqua come enormi spettri. Qua e là, un tetto ricoperto di muschio rompeva la monotonia della superficie quando le onde sollevate dai motori fuoribordo vi si infrangevano. A una ventina di metri sotto il battello, un nastro d'asfalto grigio si allontanava tra gli edifici, ciò che restava di una via commerciale, con i gusci arrugginiti e ammaccati delle automobili ancora accostati ai marciapiedi. Molte delle lagune al centro della città erano circondate da un anello intatto di edifici e, di conseguenza, vi erano penetrati pochi sedimenti. Liberi dalla vegetazione, fatto salvo per qualche ciuffo vagante di alghe, le strade e i negozi erano rimasti pressoché intatti come un riflesso in un lago che in qualche modo avesse perduto il suo originale.
La maggior parte della città era scomparsa ormai da lungo tempo: soltanto i palazzi dalla struttura in acciaio delle zone commerciali e finanziarie del centro erano riusciti a sopravvivere alla violenza assassina dell'acqua. Le case di mattoni e le fabbriche dei sobborghi erano svanite completamente sotto le maree di detriti in perenne movimento. Dove queste raggiungevano la superficie, immense foreste si levavano nel cielo ardente e verdastro, soffocando quelli che una volta erano stati i campi di grano dell'Europa temperata e del Nord America. Impenetrabili Mato Grosso alti talvolta fino a cento metri, erano un mondo da incubo di forme di vita organiche in competizione tra loro, rapidamente decadenti verso il loro passato paleozoico, e le uniche vie di transito per le unità militari delle Nazioni Unite erano rappresentate dal sistema di lagune comunicanti che avevano preso il sopravvento sulle città preesistenti. Ma anche queste andavano via via riempiendosi di sedimenti e sarebbero presto scomparse.
Kerans ricordava perfettamente l'infinita teoria di tramonti verdastri che si erano lasciati dietro mentre lui e Riggs si spostavano lentamente in direzione nord attraversando l'Europa, abbandonando una città dopo l'altra, con la miasmica vegetazione che soffocava gli angusti canali annodando un tetto all'altro. Ora stavano per lasciare un'altra città. Nonostante l'imponenza dei più importanti edifici commerciali, la città consisteva di tre lagune principali circondate da una nebula di piccoli laghi di non più di cinquanta metri di diametro e da una ragnatela di canali e ruscelli che si allontanavano serpeggiando nella giungla circostante, seguendo a grandi linee la topografia originale della città. Di tanto in tanto alcuni svanivano del tutto e altri si espandevano nelle distese di acqua fumante che erano quanto restava degli oceani. A loro volta, questi ultimi cedevano il passo agli arcipelaghi che si congiungevano per formare le fitte giungle del massiccio meridionale.
La base militare impiantata da Riggs e dal suo plotone, che ospitava il laboratorio biologico, era situata nella più meridionale delle tre lagune, riparata da alcuni degli edifici più alti della città, grattacieli di trenta piani collocati in quello che un tempo era stato il quartiere finanziario del centro. Mentre attraversavano la laguna, la piattaforma a strisce gialle della base galleggiante era rivolta al sole, pressoché oscurata dal violento riverbero, con le pale dell'elicottero sul tetto che sembravano gettare brillanti lance di luce verso di loro. Lungo la sponda, a circa duecento metri di distanza, spiccava il guscio dipinto di bianco del laboratorio biologico incollato a un edificio emisferico che una volta era una sala da concerti. Kerans sollevò lo sguardo verso quelle rupi rettangolari che serbavano ancora intatte un numero di finestre sufficiente a riportargli alla mente le cartoline dei lungomare soleggiati di Nizza, Rio e Miami di cui aveva letto da bambino nelle enciclopedie di Camp Byrd. Curiosamente, però, a dispetto del potente incantesimo dei mondi lagunari e delle città sommerse, Kerans non aveva mai provato alcun interesse particolare per ciò che esse contenevano né si era preso la briga di identificare in quale città si trovasse. Il dottor Bodkin, di venticinque anni più vecchio di lui, aveva vissuto realmente in molte di esse, sia in Europa che in America, e trascorreva la maggior parte del suo tempo libero a vagare lungo i canali più nascosti in cerca di vecchie biblioteche e musei. Non perché essi contenessero altro che i suoi ricordi. Forse era proprio questa assenza di ricordi personali che rendeva Kerans indifferente allo spettacolo di quelle civiltà affondanti. Era nato e cresciuto senza mai spostarsi all'interno di quello che, un tempo, era conosciuto come Circolo polare artico (ora una zona subtropicale con una temperatura media annua di venticinque gradi) e si era spostato a sud soltanto per unirsi a una spedizione ecologica quando aveva poco più di trent'anni. Le immense paludi e le giungle si erano rivelate un laboratorio di ricerca senza pari, con le città sommerse ridotte a poco più che bizzarri piedistalli.
Eccetto poche persone più anziane, come Bodkin, non c'era nessuno che si ricordasse di avervi vissuto: anche durante l'infanzia di Bodkin, comunque, le città erano state simili a fortezze assediate, imprigionate da enormi dighe e disintegrate dal panico e dalla disperazione come tante Venezie riluttanti ad accettare l'inevitabile matrimonio con il mare. Il loro fascino e la loro bellezza stavano proprio nella loro desolazione, nella strana congiunzione di due estremi della natura, come una corona gettata via e ricoperta di orchidee selvagge.
La successione di giganteschi sommovimenti geofisici che avevano trasformato il clima della Terra aveva avuto il primo impatto sessanta o settant'anni prima. Una serie di violente e prolungate tempeste solari che si erano protratte per diversi anni, provocate da un'improvvisa instabilità del sole, aveva allargato le fasce di Van Alien e diminuito la forza di attrazione gravitazionale della Terra sugli strati più esterni della ionosfera. Via via che questi svanivano nello spazio, indebolendo la barriera protettiva della Terra contro la forza delle radiazioni solari, la temperatura aveva cominciato a crescere stabilmente, con l'atmosfera surriscaldata che si espandeva verso l'esterno nella ionosfera laddove il ciclo era giunto a compimento. In tutto il mondo le temperature medie aumentavano di qualche grado ogni anno. La maggioranza delle zone tropicali era diventata ben presto inabitabile, con intere popolazioni che migravano verso nord o verso sud per sfuggire a temperature di cinquanta o cinquantacinque gradi. Zone una volta temperate erano diventate tropicali, l'Europa e il Nord America si erano trovati schiacciati dalla morsa crescente delle ondate di caldo, con la temperatura che raramente scendeva al di sotto dei trentacinque gradi. Sotto la direzione delle Nazioni Unite si era dato avvio al processo di colonizzazione dell'Antartico e dei confini settentrionali della Russia e del Canada.
Nel corso di questo periodo iniziale, durato circa una ventina d'anni, per adeguarsi al clima alterato si era verificato un graduale adattamento dei ritmi di vita. Un rallentamento dei tempi precedenti era stato inevitabile, e restava ben poca energia disponibile per combattere l'avanzare della giungla nelle regioni equatoriali. Non solo la crescita di tutte le forme vegetali aveva accelerato bruscamente ma i livelli di radioattività più elevati avevano accresciuto il ritmo con cui si verificavano le mutazioni. Avevano fatto la loro prima apparizione le strane forme botaniche che poi sarebbero divenute la norma, piante che ricordavano le gigantesche felci del periodo carbonifero, e aveva avuto luogo uno straordinario progresso di tutte le forme inferiori di vita vegetale e animale.
La comparsa di questi lontani antenati si era incrociata con un secondo, importante sommovimento geofisico. L'aumento continuo del calore dell'atmosfera aveva cominciato a sciogliere le calotte polari. Le distese di ghiaccio dell'Antartico si erano dapprima spezzate e quindi disciolte; decine di migliaia di ghiacciai intorno al Circolo polare artico, dalla Groenlandia al Nord Europa, dalla Russia al Nord America, si erano riversati in mare, milioni di acri di permafrost che si liquefacevano in ondate di piena gigantesche. Eppure il mero aumento del livello degli oceani sarebbe stato soltanto di pochi metri, ma gli immensi canali di disgelo avevano portato con sé miliardi e miliardi di tonnellate di sedimenti. Enormi delta si erano formati ai loro sbocchi, estendendo le linee costiere continentali e creando dighe intorno agli oceani. L'area occupata da questi ultimi si era ridotta dai due terzi della superficie mondiale a poco più della metà. Trascinando davanti a sé i detriti sommersi, i nuovi mari avevano alterato radicalmente la sagoma e i contorni dei continenti. Il Mediterraneo si era contratto in un sistema di laghi interni, le Isole Britanniche si erano ricongiunte alla Francia settentrionale. Negli Stati Uniti, il Middle West, colmato dal Mississippi che erodeva le Montagne Rocciose, si era trasformato in un enorme golfo che si affacciava sulla Baia di Hudson, mentre il Mar dei Caraibi si era trasformato in un deserto di sale. L'Europa era diventata un insieme di gigantesche lagune intorno alle principali città di pianura, inondate dai detriti trascinati verso sud dai fiumi in continua espansione.
Nel corso del trentennio seguente era continuata senza sosta la migrazione dei popoli verso le regioni polari. Poche città fortificate avevano cercato di sfidare il crescente livello delle acque e l'avanzata della vegetazione, costruendo sofisticati sistemi di dighe intorno al loro perimetro, ma anche questi ultimi baluardi avevano inesorabilmente ceduto uno dopo l'altro. Soltanto entro i Circoli polari la vita era rimasta tollerabile. L'inclinazione assai accentuata dei raggi solari su queste zone aveva costituito uno scudo contro le radiazioni più dannose. Le città che sorgevano in altitudine nelle aree vicine all'Equatore erano state abbandonate nonostante la loro temperatura più bassa proprio a causa del diminuito fattore di protezione atmosferica. Era stato quest'ultimo fattore a fornire automaticamente la soluzione dell'urgente problema del ricollocamento delle popolazioni migranti della nuova Terra. La continua e stabile diminuzione della fertilità
dei mammiferi e l'aumento proporzionale delle forme di vita rettili e anfibie (biologicamente assai più adatte alla vita semiacquatica nelle lagune e nelle paludi) avevano invertito l'equilibrio ecologico e, all'epoca della nascita di Kerans a Camp Byrd, una città di diecimila abitanti nella Groenlandia settentrionale, si calcolava che sulle calotte polari vivessero ormai soltanto cinque milioni di uomini o poco più. La nascita di un bambino era diventata una rarità e soltanto una coppia su dieci riusciva a procreare. Come Kerans a volte rammentava, l'albero genealogico dell'umanità si stava sistematicamente potando da solo, risalendo apparentemente alle radici e sarebbe giunto un momento in cui un secondo Adamo e una seconda Eva si sarebbero ritrovati soli in un nuovo Eden.
Riggs si accorse che Kerans stava sorridendo tra sé a quell'idea. "Che cosa la diverte, Robert? Un altro dei suoi strani scherzi? Non cerchi di spiegarmelo."
"Mi stavo solo immaginando in un nuovo ruolo." Kerans guardò i palazzi che, oltre il parapetto, scivolavano ai lati dell'imbarcazione a cinque o sei metri di distanza, con la scia sollevata dai motori, mentre le onde della prua si frangevano contro le finestre aperte a pelo d'acqua. Il sentore pungente del limo contrastava acutamente con gli odori dolciastri della vegetazione. Macready li aveva condotti all'ombra degli edifici e ora l'aria era piacevolmente fresca.
Dalla parte opposta della laguna, Kerans vide la figura massiccia del dottor Bodkin che, a torso nudo, era in piedi sul ponte principale del laboratorio biologico, con la felpa annodata intorno alla vita e la visiera di celluloide verde a riparargli gli occhi che lo facevano sembrare un giocatore d'azzardo del Mississippi. Era intento a raccogliere bacche grandi quanto arance dalle felci che crescevano sopra la piattaforma e le gettava a uno stormo di callitricide cinguettanti che penzolavano dai rami sopra la sua testa, incitandole con grida e fischi. A venti metri di distanza, su un cornicione sporgente, un trio di iguane osservava la scena con immobile disapprovazione, muovendo lentamente la coda da una parte all'altra in un gesto d'impazienza. Macready intervenne sul timone e l'imbarcazione ruotò su se stessa sollevando un ventaglio di schiuma e mettendosi al riparo di un alto edificio bianco che si innalzava sulla superficie per più di venti piani. Il tetto di un edificio adiacente, più basso, serviva da pontile, e vi era attraccato un rugginoso motoscafo da crociera dalla chiglia bianca. I finestrini in perspex della cabina di guida erano crepati e macchiati, e dai tubi di scappamento un rivolo di olio sporco colava nell'acqua. Mentre l'imbarcazione guidata con mano esperta da Macready si avvicinava al motoscafo, Riggs e Kerans si arrampicarono fino alla porta di rete metallica, saltarono sul pontile e percorsero la stretta passerella di metallo che conduceva al palazzo. Le pareti del corridoio erano viscide di umidità, con ampie chiazze di muffa a coprire lo stucco, ma l'ascensore funzionava ancora, alimentato da un motore diesel di emergenza. I due salirono lentamente verso il tetto e uscirono all'ultimo piano per poi camminare lungo un corridoio di servizio che dava sul terrazzo esterno.
Direttamente sotto di loro c'era il piano inferiore, una piccola piscina con un patio coperto e sedie a sdraio adagiate nell'ombra vicino al trampolino. Veneziane gialle schermavano le finestre su tre lati della piscina, ma attraverso le fessure si poteva intravedere la fresca ombra della sala da pranzo interna, lo scintillio del cristallo e dell'argenteria sui tavoli apparecchiati. Nella luce soffusa che filtrava sotto il tendone posto sul retro del patio si allungava un lungo bancone cromato, invitante come un bar dotato di aria condizionata visto da una strada polverosa, con bicchieri e caraffe che si riflettevano in uno specchio a rombi. In quel rifugio privato, ogni cosa sembrava pulita e discreta, come distante mille chilometri dalla vegetazione infestata di mosche e dalla giungla tiepida che imperversava venti piani più in basso. Oltre il limitare estremo della piscina, schermata da una balaustra ornamentale, si poteva godere di un'ampia vista della laguna, con la città che emergeva dall'intrico della vegetazione, mentre distese di acqua argentea si espandevano verso la nebbia verdastra che contornava l'orizzonte meridionale. Massicci banchi di detriti sollevavano il dorso oltre la superficie, una lieve peluria giallastra a indicare l'emergere dei primi filari di bambù giganti.
L'elicottero si alzò dalla piattaforma sul tetto della base e si librò nell'aria verso di loro, muovendo la coda a seconda dei cambiamenti di direzione, quindi li oltrepassò con fragore, mentre due uomini nella cabina aperta scrutavano i tetti con i binocoli.
Beatrice Dahl era distesa supina su una delle sdraio, il corpo snello e spalmato di crema che scintillava nell'ombra come un pitone addormentato. Le dita di una mano con le unghie smaltate di rosa erano posate lievemente su un bicchiere pieno di cubetti di ghiaccio appoggiato sul tavolino accanto, mentre l'altra mano sfogliava pigramente le pagine di una rivista. Ampi occhiali scuri le nascondevano in parte il viso levigato, ma Kerans notò lo stesso la smorfia leggermente imbronciata del suo labbro inferiore. Presumibilmente Riggs l'aveva infastidita, obbligandola ad accettare la logica dei suoi argomenti. Il colonnello si fermò alla ringhiera, abbassando lo sguardo sullo splendido corpo della donna, con aria di palese approvazione. Accorgendosi di lui, Beatrice si tolse gli occhiali da sole e quindi si riannodò le spalline del bikini. I suoi occhi emanarono un lieve bagliore.
"D'accordo, voi due, smettetela. Questo non è uno spogliarello." Riggs ridacchiò e scese la scaletta di metallo, mentre Kerans, che lo seguiva, si chiedeva come avrebbe fatto a persuadere Beatrice a lasciare il suo santuario privato.
"Mia cara signorina Dahl, dovrebbe essere lusingata che io continui a venirla a trovare," le disse Riggs sedendosi su una sdraio. "A parte questo, in qualità di governatore militare di quest'area," riprese strizzando l'occhio a Kerans, "ho certe responsabilità nei suoi confronti. E viceversa." Beatrice lo guardò brevemente con occhio scettico, quindi allungò una mano per alzare il volume dell'apparecchio radio che aveva alle spalle. "Oh dio..." borbottò a bassa voce qualche altra imprecazione meno educata e
sollevò lo sguardo su Kerans. "E tu, Robert, come mai sei qui così presto?''
Kerans si strinse nelle spalle, rivolgendole un sorriso affettuoso. "Sentivo la tua mancanza."
"Bravo ragazzo. Ero convinta che il nostro gauleiter, qui, stesse cercando di spaventarti con una delle sue storie dell'orrore."
"Be', in realtà l'ha fatto." Kerans prese la rivista appoggiata sul ginocchio di Beatrice e la sfogliò distrattamente. Era un numero di quarant'anni prima dell'edizione francese di "Vogue" e, dalla temperatura gelida delle pagine, era evidente che fosse stato conservato in un locale refrigerato. Lo lasciò cadere sul pavimento rivestito di piastrelle verdi. "Bea, sembra proprio che dovremo andarcene tutti nel giro di un paio di giorni. Il colonnello e i suoi uomini hanno intenzione di evacuare la base definitivamente e, dopo che se ne saranno andati, per noi non sarà molto facile restare qui."
"Noi?" ribatté seccamente Beatrice. "Non sapevo che ci fosse una qualche possibilità che tu restassi qui." Kerans guardò involontariamente Riggs, che lo stava fissando con insistenza. "Infatti," disse fermamente.
"Sai quello che voglio dire. Ci sarà molto da fare nelle prossime quarantott'ore. Cerca di non complicare le cose con la tua solita emotività."
Prima che la ragazza potesse rispondere a Kerans, Riggs aggiunse: "La temperatura sta ancora crescendo, signorina Dahl, e non le sembrerà affatto facile sopportare cinquanta gradi quando il carburante del suo generatore sarà terminato. Le fasce di pioggia equatoriale si stanno muovendo verso nord e arriveranno qui fra un paio di mesi. Quando se ne andranno, e con esse la coltre di nubi, l'acqua in quella piscina sarà molto vicina alla temperatura di ebollizione," disse indicando la vasca piena di liquido fumante e cosparso di insetti. "Con le zanzare anofele di tipo x, i tumori della pelle e le iguane che strillano tutta la notte giù da basso, riuscirà a dormire assai poco." Socchiudendo gli occhi aggiunse pensosamente: "Sempre ammesso che abbia ancora voglia di dormire".
A quell'ultima osservazione, le labbra della ragazza vennero attraversate da un lieve fremito. Kerans si rese conto che la sottile ambiguità che aveva colto nella voce di Riggs, quando il colonnello gli aveva chiesto come dormiva, non si riferiva affatto alla sua relazione con Beatrice. Il colonnello continuò: "Inoltre non sarà certo piacevole avere a che fare con gli sciacalli umani che piomberanno qui dalle lagune del Mediterraneo".
Beatrice si buttò i lunghi capelli neri dietro una spalla. "Terrò la porta chiusa a chiave, colonnello." Irritato, Kerans sbottò: "Per l'amor di dio, Beatrice, che cosa stai cercando di dimostrare? Questi impulsi autodistruttivi possono essere anche divertenti adesso, ma quando ce ne saremo andati non lo saranno più così tanto. Il colonnello sta soltanto cercando di aiutarti... in realtà non gli importa un granché se tu vieni o no".
Riggs emise una risatina sommessa. "Be', non direi che le cose stiano proprio così. Ma se il pensiero del mio interessamento la preoccupa tanto, signorina Dahl, può sempre attribuirlo al mio senso del dovere." "Ciò è molto interessante, colonnello. Ho sempre immaginato che il nostro dovere fosse quello di restare qui il più a lungo possibile e di compiere tutti i sacrifici necessari a questo scopo. O, almeno," aggiunse con uno scintillio ironico nello sguardo, "questo è stato il motivo per cui il governo ha confiscato la maggior parte delle proprietà di mio nonno." Notò che Riggs sbirciava il bancone del bar alle sue spalle. "Qual è il problema, colonnello? Sta cercando qualcosa? Non ho intenzione di darle da bere, se è questo ciò che vuole. Ho il sospetto che voi uomini veniate qui solo per ubriacarvi."
Riggs si alzò in piedi. "D'accordo, signorina Dahl. Dottore, io e lei ci vediamo più tardi," disse Riggs. Salutò Beatrice con un sorriso. "Domani in giornata manderò il battello a prelevare la sua roba, signorina
Dahl."
Quando Riggs si fu allontanato, Kerans si lasciò andare contro lo schienale della sdraio, osservando l'elicottero che sorvolava la laguna adiacente: di tanto in tanto il velivolo si avvicinava alle sponde, mentre il turbine provocato dalle pale del rotore scuoteva le fronde delle felci e metteva in fuga le iguane dai tetti degli edifici. Beatrice andò al bar e, dopo essersi presa da bere, si sedette su una sedia ai piedi di Kerans.
"Preferirei che non parlassi di me a questo modo di fronte a quell'uomo, Robert." Gli porse il drink e poi si appoggiò contro le sue ginocchia, posando il mento su una mano. Solitamente appariva serena e in forma, ma quel giorno aveva un aspetto stanco e malinconico.
"Mi dispiace," si scusò Kerans. "Forse, in realtà, stavo soltanto analizzando me stesso. L'ultimatum di
Riggs è stato un po' una sorpresa. Non mi aspettavo di dover partire tanto presto."
"Allora te ne vuoi andare?"
Kerans tacque per un lungo istante. Dal giradischi automatico ora giungeva la musica di un altro disco: dalla Pastorale di Beethoven alla Settima, da Arturo Toscanini a Bruno Walter. Tutto il giorno, senza un solo attimo di pausa, quel giradischi suonava l'intero ciclo delle nove sinfonie di Beethoven. Kerans cercò una risposta, mentre il mesto incipit della Settima si sovrapponeva alla sua indecisione.
"Credo di voler partire, ma non ho ancora trovato una giustificazione adeguata per farlo. Soddisfare i propri bisogni emotivi non è sufficiente, ci dev'essere una ragione più profonda. Forse queste lagune sommerse mi ricordano semplicemente il mondo acquatico dei miei primordi uterini... e se è così, la miglior cosa da fare è andarsene al più presto. Tutto ciò che dice Riggs è la pura verità. Ci sono ben poche possibilità di sopravvivere alle tempeste pluviali e alla malaria." Kerans le mise una mano sulla fronte per sentirle la temperatura, come si potrebbe lare con un bambino.
"Che cosa intendeva Riggs quando ha detto che non avresti dormito bene? È la seconda volta, questa mattina, che tira fuori l'argomento."
Beatrice distolse per un attimo lo sguardo. "Oh, nulla. È solo che negli ultimi tempi ho avuto due o tre strani incubi. C'è molta gente che ne ha. Non ci pensare. Piuttosto, Robert, dimmi, seriamente... se decidessi di restare, rimarresti anche tu? Potresti trasferirti nel mio appartamento." Kerans sorrise. "Stai forse cercando di corrompermi, Bea? Che domande... ricordati che non solo sei la più bella donna che c'è qui in giro, ma anche l'unica. Nulla è più essenziale di un termine di paragone. Adamo non possedeva alcun senso estetico, altrimenti si sarebbe reso conto che Eva non era altro che un goffo manufatto di carne."
"A quanto pare oggi hai deciso di essere sincero," constatò Beatrice alzandosi e avvicinandosi al bordo della piscina. Scostò i capelli dalla fronte con entrambe le mani, mentre il suo corpo tornito e snello scintillava alla luce impietosa del sole. "Ma è proprio così urgente come dice Riggs? Abbiamo pur sempre un motoscafo, non dimenticarlo."
"È un rottame. Alla prima tempesta degna di questo nome, si aprirà in due come una scatoletta di sardine."
Si stava avvicinando mezzogiorno e la temperatura sulla terrazza era divenuta insopportabile. I due lasciarono il patio e si spostarono all'interno. Una doppia cortina di veneziane lasciava filtrare una luce discreta nell'ampio salone dal soffitto basso, e l'aria condizionata rendeva il locale fresco e rilassante. Beatrice si adagiò su un divano azzurro in pelle di elefante, mentre con una mano giocherellava con i lunghi fili del tappeto. L'appartamento era stato uno dei pied-à-terre di suo nonno, diventando la casa di Beatrice alla morte dei suoi genitori, avvenuta poco dopo la sua nascita. La donna era stata cresciuta sotto la tutela del nonno, un magnate eccentrico e solitario (Kerans non era mai riuscito a scoprire esattamente quale fosse l'origine della sua ricchezza; quando l'aveva chiesto a Beatrice, subito dopo che lui e Riggs si erano imbattuti nel lussuoso attico, la ragazza aveva replicato brevemente: "Diciamo che il denaro non gli mancava"), nonché grande mecenate negli anni della sua giovinezza. I gusti del nonno di Beatrice propendevano in modo particolare per lo sperimentale e lo stravagante e Kerans si chiedeva spesso quanta parte della sua personalità e dei suoi strani processi logici fossero stati ereditati dalla nipote. Sopra la mensola del caminetto era appeso un enorme quadro risalente ai primi del Novecento, opera del surrealista Delvaux, nel quale donne dai volti cinerei, nude fino alla vita, danzavano in compagnia di elegantissimi scheletri in smoking contro uno sfondo spettrale di ossa calcificate. Su un'altra parete era appeso un quadro di Max Ernst che rappresentava una delle sue fantasmagoriche giungle autodivoranti che urlava silenziosamente a se stessa, simile allo sfogo disperato di un inconscio ghermito dalla follia.
Per pochi attimi, Kerans si soffermò a osservare in silenzio il tenue annulus giallo pallido del sole dipinto da Ernst che brillava attraverso l'intrico della vegetazione esotica, mentre la curiosa sensazione di un ricordo ancestrale si mescolava alla consapevolezza che gli pulsava nella mente. Molto più potente di Beethoven, l'immagine del sole arcaico gli bruciava nell'animo, illuminando le ombre fluttuanti che vagavano lugubri nei recessi più profondi del suo inconscio.
"Beatrice."
La donna lo guardò avvicinarsi, mentre un'espressione corrucciata le incupiva lo sguardo. "Che cosa c'è, Robert?"
Kerans esitò, rendendosi improvvisamente conto che, per quanto breve e pressoché impercettibile, un momento di cruciale importanza era appena trascorso; un momento che, con il suo passaggio, l'aveva trascinato con sé fino a una zona di coscienza da cui non sarebbe più stato in grado di allontanarsi. "Capisci bene, Beatrice, che se lasciamo che Riggs parta senza di noi adesso, non potremo mai più partire in seguito. Dovremo restare."
Verso una nuova psicologia
Dopo aver ormeggiato il catamarano al pontile, Kerans issò a bordo il motore e quindi si arrampicò sulla passerella e si diresse alla base. Quando oltrepassò la porta della rete metallica, si voltò a guardare dalla parte opposta della laguna e, oltre le onde di calore, intravide brevemente Beatrice appoggiata al parapetto della terrazza. Quando le fece cenno, però, lei si voltò senza rispondere al saluto.
"Una delle sue giornate storte, dottore?" domandò il sergente Macready uscendo dalla guardiola con una traccia di divertimento che smussava i suoi lineamenti duri e angolosi. "È vero, è una ragazza strana." Kerans si strinse nelle spalle. "Queste giovani zitelle, sa, sergente... se non si fa attenzione sono capaci di portare un uomo alla follia. Ho cercato di convincerla a fare i bagagli e a venire con noi. Con un po' di fortuna, penso che lo farà."
Macready rivolse uno sguardo significativo al tetto del palazzo che si profilava in lontananza. "Sono felice di sentirglielo dire, dottore," disse senza compromettersi, ma Kerans non riuscì a capire se il suo scetticismo fosse rivolto a lui o a Beatrice.
Sia che avessero deciso di restare, sia che avessero deciso di partire, Kerans si era ripromesso di fingere comunque che sarebbero partiti: ogni minuto libero dei successivi tre giorni sarebbe servito a rimpinguare le loro scorte e a sottrarre qualsiasi equipaggiamento di una qualche utilità ai magazzini della base. Kerans non aveva ancora deciso: quando si allontanava da Beatrice, la sua incertezza ritornava con forza (si torturava chiedendosi se Beatrice non stesse deliberatamente cercando di confonderlo, novella Pandora con la sua bocca mortale e il suo vaso ricolmo di desideri e frustrazioni, intenta ad aprire e a chiudere il coperchio senza alcun preavviso), ma piuttosto che aggirarsi come un automa in uno stato di tormentata incertezza di cui Riggs e Bodkin si sarebbero ben presto resi conto, decise di procrastinare la decisione all'ultimo istante possibile. Per quanto detestasse la base, sapeva benissimo che la vista del laboratorio galleggiante che si allontanava sulla laguna sarebbe stato un eccezionale catalizzatore della paura e del panico, e che qualsiasi ragione astratta per restare si sarebbe cancellata all'istante. Un anno prima era rimasto accidentalmente confinato su una piccola isola mentre effettuava un rilevamento geomagnetico non previsto: il suono della sirena che segnalava la partenza del laboratorio era stato attutito dalle cuffie che indossava mentre, nella cantina di un vecchio edificio, era chino sui suoi strumenti. Quando, dieci minuti più tardi, era uscito e aveva visto la base a seicento metri di distanza che si allontanava lentamente su uno specchio di acqua piatta e immobile, si era sentito come un bambino separato per sempre dalla madre ed era riuscito a malapena a controllare il panico e a inviare un segnale di avvertimento con il lanciarazzi.
"Ho ricevuto dal dottor Bodkin l'ordine di chiamarla non appena fosse arrivato, signore. Il tenente Hardman non era in gran forma questa mattina."
Kerans annuì scrutando il molo deserto. Aveva pranzato con Beatrice, sapendo che di pomeriggio la base era sempre deserta. Metà della squadra era fuori con Riggs o con l'elicottero, gli altri dormivano nelle loro cabine e Kerans aveva sperato di poter effettuare un tour privato dei magazzini e dell'armeria. Ora, sfortunatamente, Macready, il sempre all'erta cane da guardia del colonnello, gli stava alle calcagna, pronto a scortarlo fino all'infermeria sul Ponte B.
Kerans esaminò attentamente una coppia di anofele che erano riuscite a introdursi attraverso la rete metallica alle sue spalle. "Continuano a entrare," fece notare a Macready. "Che cosa ne è stato del doppio schermo che avreste dovuto erigere?"
Cercando di schiacciare le zanzare con il berretto Macready rivolse intorno uno sguardo incerto. Una seconda rete dalle maglie più fitte all'esterno di quella che già racchiudeva la base era sempre stata una delle idee con cui si trastullava il colonnello Riggs. Di tanto in tanto ordinava a Macready di organizzare una squadra per eseguire il lavoro, ma, dal momento che questo comportava lo starsene seduti su un'impalcatura di legno in pieno sole al centro di un nugolo di zanzare, erano state/ completate soltanto alcune sezioni di reticolato intorno alla cabina di Riggs. Ora che stavano per spostarsi verso nord, l'utilità del progetto era scemata, ma la coscienza presbiteriana di Macready, una volta risvegliata, non gli dava più pace.
"Farò in modo che gli uomini lo facciano stasera, dottore," assicurò a Kerans, prendendo una penna a sfera e un taccuino dal taschino della camicia.
"Non c'è fretta, sergente, ma se non ha niente di meglio da fare... lo sa anche lei che il colonnello ci tiene." Kerans lo lasciò a scrutare le strutture metalliche e si allontanò dal ponte principale. Non appena il sergente se ne fu andato, si infilò nella prima porta.
Il Ponte c, il più in basso dei tre che costituivano la base vera e propria, conteneva gli alloggi delle truppe e la cambusa. Due o tre uomini si aggiravano nelle loro uniformi tropicali vicino alle cabine, ma la sala di ricreazione era vuota; una radio accesa diffondeva musica da un tavolo da ping-pong sistemato in un angolo. Kerans si fermò per un istante, ascoltando il ritmo sincopato della musica per chitarra, sopraffatto dal rombo distante dell'elicottero che sorvolava in ampi cerchi la laguna vicina, quindi discese la scalinata principale che conduceva all'armeria e alle officine ospitate nel corpo centrale. Tre quarti della stiva erano occupati dagli enormi motori diesel da duemila cavalli che alimentavano le due eliche gemelle, dai serbatoi dell'olio e del carburante; nel corso delle ultime ricognizioni aeree, le officine meccaniche erano state trasferite in due uffici vuoti situati sul Ponte A, accanto agli alloggi degli ufficiali, affinché i meccanici potessero provvedere alla manutenzione dell'elicottero senza perdere nemmeno un secondo più del necessario.
Quando Kerans vi entrò, l'armeria era chiusa. Una lampadina nuda era accesa nel gabbiotto a vetri del caporale responsabile. Kerans vagò con lo sguardo sulle panche di legno massiccio e sugli scaffali costellati di carabine e di armi semiautomatiche. Una sbarra di ferro che correva negli anelli dei grilletti bloccava le armi al loro posto. Pigramente Kerans sfiorò i pesanti calci di legno: dubitava fortemente che, se anche avesse rubato un'arma, sarebbe stato in grado di adoperarla. In un cassetto del laboratorio aveva una Colt calibro 45 e cinquanta proiettili che gli erano stati assegnati tre anni prima. Una volta fanno compilava un rapporto dettagliato sulle munizioni usate (nel suo caso nessuna) e rimpiazzava la scorta con munizioni nuove, ma non aveva mai nemmeno tentato di usare la pistola.
Sulla via d'uscita esaminò accuratamente le scatole verdi delle munizioni ammonticchiate sulle pareti sotto gli scaffali delle armi. Ogni scatola era chiusa ermeticamente con due lucchetti. E, proprio mentre passava davanti al gabbiotto, la luce soffusa che filtrava dalla porta illuminò le etichette polverose poste su una fila di scatole di metallo dislocate sotto uno dei banchi di lavoro. Hy-Dyne. D'impulso Kerans si fermò e sospinse l'indice oltre la reticella metallica per togliere lo strato di polvere da una delle etichette, rivelando la scritta sottostante. Ciclotrimetilenetrinitramina. Velocità discarico dei gas: 8000 metri al secondo.
Speculando sui possibili usi dell'esplosivo (sarebbe stato un notevole tour de force far saltare uno dei palazzi per ostruire l'imbocco della laguna dopo la partenza di Riggs, bloccandogli così ogni possibile via di ritorno), appoggiò un gomito al bancone, giocando distrattamente con una bussola in ottone di dieci centimetri di diametro che era stata lasciata lì da riparare. L' annulus calibrato era sganciato ed era stato ruotato di centottanta gradi; il punto era stato contrassegnato con una croce tracciata a gesso. Continuando a pensare all'esplosivo e alla possibilità di rubare anche micce e detonatori, Kerans cancellò
la croce di gesso, quindi prese la bussola e la soppesò nel palmo della mano. Una volta uscito dall'armeria, cominciò a salire la scalinata, liberando l'ago della bussola e lasciandolo ondeggiare. Quando un marinaio gli passò accanto, sul Ponte c, Kerans si affrettò a mettersi la bussola nella tasca del giubbotto. Improvvisamente, mentre immaginava se stesso che abbassava la leva di un detonatore e scaraventava Riggs, la base e il laboratorio nella laguna accanto, Kerans fu costretto a fermarsi e ad aggrapparsi alla balaustra per ritrovare l'equilibrio. Sorridendo cupamente all'assurdità di quella fantasia, si domandò come avesse potuto anche solo pensarci.
Poi notò il pesante cilindro della bussola che gli appesantiva il giubbotto e, per un lungo istante, lo osservò pensierosamente.
"Fa' attenzione, Kerans," si disse a voce alta. "Stai vivendo su due livelli differenti." Cinque minuti più tardi, quando fece il suo ingresso nell'infermeria del Ponte B, si trovò di fronte problemi molto più urgenti da affrontare.
Tre uomini erano nell'ambulatorio per farsi curare delle ulcere provocate dal calore, ma la maggior parte dei letti era vuota. Kerans rivolse un cenno al caporale che stava distribuendo bende e garze sterili e si avviò
verso la stanzetta singola a tribordo.
La porta era chiusa ma, non appena girò la maniglia, Kerans udì il cigolio incessante della branda, seguito da un borbottio incoerente del paziente e dalla risposta gentile ma ferma del dottor Bodkin. Per qualche istante quest'ultimo continuò a monologare con voce calma e pacata, interrotto da qualche sporadica protesta. Quindi, un pesante silenzio.
Il tenente Hardman, il pilota dell'elicottero (che ora veniva condotto dal suo copilota, il sergente Daley), era l'unico altro membro originario della missione e, fino a tre mesi prima, aveva svolto le funzioni di vice di Riggs e di primo ufficiale della base. Uomo robusto, intelligente ma in qualche modo stranamente flemmatico, di circa trent'anni, si era sempre tenuto silenziosamente in disparte dagli altri membri della squadra. Era una sorta di naturalista dilettante e compilava note personali sui cambiamenti della flora e della fauna adoperando un sistema di classificazione inventato da lui stesso. In uno dei suoi rari momenti di cordialità espansiva, aveva mostrato i suoi blocchi di appunti a Kerans, ma solo per ritirarsi bruscamente in se stesso quando Kerans, cercando di parlargli con tatto e diplomazia, gli aveva fatto notare che le sue classificazioni erano alquanto confuse.
Per i primi due anni Hardman era stato il perfetto cuscinetto tra Riggs e Kerans. Il resto della squadra aveva preso esempio dal tenente e questo, dal punto di vista di Kerans, aveva avuto il vantaggio di impedire che nel gruppo si sviluppasse quel senso di felice coesione cameratesca che un comandante in seconda più estroverso di Hardman avrebbe indubbiamente instillato e che ben presto avrebbe reso la vita della base assolutamente intollerabile. Le assai frammentarie e variabili relazioni interpersonali fra i componenti della squadra, in cui un rimpiazzo veniva accettato come membro a tutti gli effetti nel giro di due minuti e a nessuno importava se avesse passato a bordo due giorni o due anni, erano un riflesso fedele del temperamento di Hardman. Quando organizzava una partita di pallacanestro o una regata sulla laguna, non c'erano sbruffonate, ma una sorta di laconica indifferenza su chi vi prendesse parte o meno. Di recente, però, le caratteristiche più cupe della personalità di Hardman avevano preso il sopravvento. Due mesi prima si era lamentato con Kerans di un'insonnia fastidiosa e intermittente (spesso, dalla suite di Beatrice Dahl, Kerans lo vedeva ben dopo la mezzanotte in piedi accanto all'elicottero, alla luce della luna, che osservava la laguna silente e immobile) e poi aveva approfittato di un attacco di malaria per farsi esonerare dalle incombenze di volo. Confinato nella sua cabina per periodi che a volte duravano fino a una settimana di seguito, si era ritirato sempre più nel suo mondo privato, riguardando ossessivamente i suoi appunti, e passando le dita, come un cieco che legga in Braille, sulle ampie teche in cui giacevano, immobilizzate da spilloni, le falene gigantesche e le farfalle che aveva raccolto nel corso dei mesi. Il suo malanno non era stato difficile da diagnosticare. Kerans vi aveva riconosciuto gli stessi sintomi che aveva riscontrato in se stesso, ovvero un ingresso assai accelerato e prematuro in quella che, tra sé, definiva la "zona di transito", e aveva lasciato in pace il tenente, limitandosi a domandare al dottor Bodkin di fargli una visita di tanto in tanto.
Curiosamente, però, Bodkin aveva preso molto più seriamente in considerazione la malattia di Hardman. Richiudendosi la porta alle spalle, Kerans entrò silenziosamente nella cabina in penombra, fermandosi nell'angolo accanto al bocchettone del ventilatore di aerazione mentre Bodkin gli faceva cenno di restare in silenzio. Gli scuri della finestra erano chiusi e, con grande sorpresa di Kerans, l'aria condizionata era stata spenta. L'aria immessa nella cabina dal ventilatore, solitamente, era a una temperatura di venti gradi inferiore a quella della laguna e, di norma, il condizionatore manteneva la temperatura interna sui ventidue-ventitré gradi centigradi. Non solo Bodkin aveva spento il condizionatore, ma aveva anche collegato una piccola stufetta elettrica alla presa di corrente posta accanto al lavandino. Kerans ricordava perfettamente quando aveva costruito la stufetta nell'officina del laboratorio biologico, incastrando uno specchio parabolico intorno a una resistenza. Poco più di due watt di potenza, la stufetta sembrava però emettere un calore immenso, irrorando l'angusta stanzetta come la bocca di una fornace: nel giro di pochi secondi, Kerans sentì il sudore colargli lungo la spina dorsale. Bodkin, seduto sulla sedia di metallo accanto alla cuccetta di Hardman con le spalle rivolte alla stufetta, aveva ancora indosso la giacca di cotone bianco, ora scurita da due ampie chiazze di sudore che si congiungevano all'altezza delle scapole. Nella luce fioca e rossastra della fonte di calore, Kerans vide le stille di sudore che colavano dalla fronte del medico come gocce di piombo fuso. Hardman giaceva appoggiato a un gomito, il torace possente e le spalle squadrate che occupavano l'intero schienale, le mani enormi che reggevano una cuffia acustica appoggiata alle orecchie. Il suo volto stretto, di mascella larga, era girato verso Kerans, ma i suoi occhi erano fissi sulla stufetta elettrica. Proiettato dallo specchio parabolico, un disco di luce rossa e intensa di circa ottanta centimetri di diametro si stagliava sulla parete della cabina. La testa di Hardman era al centro della luminescenza riflessa, che la circondava come un'enorme aureola.
Un debole fruscio gracchiante proveniva da un giradischi portatile posto sul pavimento ai piedi di Bodkin; sul piatto girava un disco di nove centimetri di diametro. Generati meccanicamente dalla puntina, i suoni pressoché impercettibili di un gruppo di tamburi raggiunsero le orecchie di Kerans e si persero nel nulla quando il disco terminò e Bodkin arrestò il riproduttore. Rapidamente il dottore stilò qualche nota su un taccuino, quindi spense la stufetta elettrica e accese la lampada accanto al letto di Hardman. Scuotendo lentamente la testa, Hardman si tolse le cuffie e le porse a Bodkin.
"È una perdita di tempo, dottore. Queste registrazioni sono semplicemente folli: si possono interpretare in qualsiasi modo." Si adagiò con qualche difficoltà nell'angusto spazio della cuccetta. Nonostante la temperatura assai elevata, sul suo viso e sul suo petto c'era appena un lieve strato di sudore. Hardman fissò
la luce evanescente della stufetta elettrica quasi gli rincrescesse di vederla svanire. Bodkin si alzò in piedi e mise il giradischi sulla sedia, avvolgendogli intorno i fili delle cuffie. "Forse è proprio questo il punto, tenente... una sorta di test di Rorschach auditivo. Personalmente, sono convinto che l'ultima registrazione che abbiamo ascoltato fosse la più evocativa, non è d'accordo?" Hardman si strinse nelle spalle con studiata indifferenza, evidentemente riluttante a cooperare con Bodkin e a concedergli la benché minima soddisfazione. Nonostante questo, però, Kerans aveva la sensazione che il tenente fosse stato ben lieto di prendere parte all'esperimento, magari ritenendo di poterlo usare per i propri scopi.
"Forse," disse Hardman brusco. "Ma temo proprio che non mi abbia suggerito alcuna immagine concreta."
Bodkin sorrise, ben consapevole della resistenza di Hardman ma, almeno per il momento, determinato a dargliela vinta. "Non si deve scusare, tenente. Mi creda, fino a questo momento, questa è stata la nostra seduta più proficua." Salutò Kerans con un cenno. "Venga, venga, Robert... mi dispiace che qui dentro faccia tanto caldo. Io e il tenente Hardman stiamo conducendo un piccolo esperimento insieme. Gliene parlerò quando torneremo al laboratorio. Ora," aggiunse indicando uno strano oggetto sul comodino che sembrava composto da due sveglie legate l'una all'altra con rudimentali prolungamenti delle lancette che si intersecavano come le zampe di due ragni avvinghiati, "continui a far funzionare questo aggeggio il più a lungo possibile... non dovrebbe essere difficile: tutto ciò che deve fare è puntare nuovamente le due sveglie dopo ogni ciclo di dodici ore. La sveglieranno ogni dieci minuti, il tempo strettamente sufficiente per consentirle di riposare prima che la sua mente scivoli nello stato di precoscienza che prelude al sonno profondo. Con un po' di fortuna, non ci saranno più sogni."
Hardman sorrise scettico, sollevando brevemente lo sguardo su Kerans. "Credo che lei sia troppo ottimista, dottore. Ciò che intende dire, in realtà, è che io non mi accorgerò di sognare." Prese una cartella verde evidentemente molto usata, il suo diario di annotazioni botaniche, e cominciò a voltare meccanicamente le pagine. "A volte credo di continuare a sognare senza sosta, ogni minuto della giornata. Forse stiamo sognando tutti quanti."
Il suo tono di voce era rilassato e per nulla frettoloso, nonostante l'affaticamento evidente gli avesse come prosciugato la pelle intorno agli occhi e alla bocca, facendo risaltare ancor di più la mascella già prominente. Guardandolo, Kerans si rese conto che la malattia, quale che fosse, aveva a malapena intaccato il fulcro dell'ego del tenente. In Hardman, l'elemento caratteriale di rude autosufficienza era più forte che mai, simile a una lama di acciaio che, conficcandosi in un paletto di legno, ne riveli i nodi nascosti. Bodkin si tamponò il viso coperto di sudore con un fazzoletto di seta gialla, osservando pensierosamente Hardman. La giacca di cotone e il suo aspetto trasandato, insieme al colorito giallastro delle guance paffute, lo facevano erroneamente sembrare simile a un vecchio malandato, celando la sua intelligenza acuta e instancabile. "Forse ha ragione, tenente. In effetti, ci sono persone che sostengono che lo stato di coscienza non sia altro che una categoria speciale del coma citoplasmico e che le capacità del sistema nervoso centrale siano sviluppate ed estese pienamente dalla vita onirica esattamente come lo sono nel corso di quello che chiamiamo comunemente stato di veglia. Ma siamo costretti comunque ad adottare un approccio empirico e a tentare ogni rimedio possibile. Non è d'accordo, Kerans?" Kerans annuì. La temperatura nella cabina aveva cominciato a scendere, e Kerans si accorse di poter respirare più liberamente. "Un cambio di clima probabilmente otterrebbe gli stessi risultati positivi." Si udì
un clangore metallico provenire dall'esterno quando una delle chiatte che veniva issata a bordo con l'argano colpì lo scafo. "L'atmosfera, in queste lagune, è decisamente snervante," aggiunse Kerans. "Fra tre giorni, quando ce ne andremo, sono convinto che si potrà notare un sensibile miglioramento nel nostro stato di salute."
Aveva dato per scontato che Hardman fosse stato informato della partenza imminente, ma il tenente sollevò immediatamente lo sguardo su di lui, riponendo il bloc-notes. Bodkin cominciò a schiarirsi la gola e, bruscamente, prese a parlare dei pericoli che comportava la corrente d'aria generata dal ventilatore. Per qualche istante Kerans e Hardman si fissarono senza battere ciglio, quindi il tenente annuì brevemente tra sé e riprese a leggere, prendendo accuratamente nota dell'ora dalle sveglie legate insieme sul comodino. Furioso con se stesso, Kerans si avvicinò alla finestra, voltando le spalle agli altri due. Si rese conto di averne parlato a Hardman deliberatamente, sperando inconsciamente di suscitare proprio la reazione che aveva ottenuto e sapendo benissimo per quale motivo Bodkin non avesse informato il tenente delle ultime decisioni di Riggs. Senz'ombra di dubbio aveva avvertito Hardman, dicendogli che, quali che fossero i compiti che doveva portare a termine e le prospettive psicologiche che intendeva mettere a fuoco, ogni cosa doveva essere completata nell'arco di tre giorni.
Kerans, irritato, abbassò lo sguardo sulle sveglie, risentito per lo scarso controllo che riusciva a esercitare sulle proprie azioni. Prima c'era stato il furto assolutamente privo di senso della bussola, e ora quell'atto di sabotaggio perfettamente gratuito. Per quanti errori avesse commesso in passato, aveva sempre creduto fossero compensati da una virtù fondamentale quanto evidente: una completa e obiettiva consapevolezza dei motivi che sottendevano le sue azioni. Se talvolta era incline all'azione con un certo ritardo, ciò era attribuibile non tanto a una mancanza di determinazione, quanto a una certa riluttanza nell'agire quando si rendeva conto di non poter avere un completo controllo su se stesso. La sua storia con Beatrice Dahl, resa instabile da una miriade di sentimenti contrastanti, procedeva di giorno in giorno su una corda tesa fatta di migliaia di cautele e autorestrizioni.
In un tardivo tentativo di riaffermare la propria autorità, disse a Hardman: "Non si dimentichi l'orologio, tenente. Se io fossi in lei, sistemerei la sveglia in modo che suoni di continuo". Dopo essere usciti dall'infermeria, i due scienziati scesero sul pontile e salirono sul catamarano di Kerans. Troppo stanco per esercitare lo sforzo necessario a far partire il motore fuoribordo, Kerans fece scivolare l'imbarcazione agendo sul cavo che collegava la base al laboratorio biologico. Bodkin era seduto a prua, con il giradischi appoggiato sulle ginocchia come una valigetta, gli occhi socchiusi per contrastare la luce feroce del sole che si rifletteva impietosa sulla superficie verdastra e immobile dell'acqua. Il suo viso paffuto, sormontato da un ciuffo arruffato di capelli grigi, sembrava preoccupato e triste. Stava scrutando la fila di edifici semisommersi che li circondava, con la medesima espressione di un timoniere costretto ad approdare nella stessa baia per la millesima volta. Mentre si avvicinavano al laboratorio biologico, l'elicottero calò
dall'alto con un rombo e atterrò, facendo inclinare la base galleggiante con il suo peso e sprofondando il cavo sotto la superficie dell'acqua. Per il contraccolpo il cavo si tese di nuovo e spruzzò una doccia di goccioline tiepide sulle loro spalle. Bodkin imprecò sottovoce, ma nel giro di pochi secondi erano già asciutti. Nonostante le quattro fossero passate da un pezzo, il sole riempiva il cielo, trasformandolo in un'immane fornace e obbligandoli a tenere gli occhi bassi sulla superficie dell'acqua. Di tanto in tanto sulle pareti di vetro degli edifici circostanti, Kerans e Bodkin vedevano innumerevoli riflessi della luce del sole spostarsi sulla superficie quali immense ondate di fuoco, incandescenti come gli occhi sfaccettati di insetti giganteschi. Alto due piani e con un diametro di circa quindici metri, il laboratorio biologico era un cilindro con una stazza di venti tonnellate. Il ponte inferiore ospitava il laboratorio vero e proprio, quello superiore gli alloggi dei due biologi, gli uffici e la sala comandi. Il pluviometro, gli apparecchi per il monitoraggio delle radiazioni e i rilevatori di umidità e temperatura erano collocati su un piccolo ponte sospeso che attraversava il tetto in diagonale. Ciuffi di alghe essiccate e di kelp rosse erano incrostati sulle tavole incatramate del pontone, uccise dal calore intenso del sole prima che potessero raggiungere la balaustra che circondava il laboratorio, mentre un agglomerato denso e spugnoso di sargassi e di spirogira ricopriva le fiancate e attutiva l'impatto continuo dello scafo con il piccolo pontile, colando e schiacciandosi come un'immensa zattera molliccia.
Kerans e Bodkin entrarono nella fresca penombra del laboratorio e si sedettero alle rispettive scrivanie sotto le pile di documenti e di ordini di servizio alte fino al soffitto, sovrastando la confusione di banconi e armadietti come un affresco polveroso. I documenti sulla sinistra, che risalivano al loro primo anno di lavoro, erano pieni di annotazioni dettagliate, rimandi e sottolineature ed erano etichettati minuziosamente; quelli a destra, invece, più recenti, si andavano via via assottigliando fino a trasformarsi in pochi scampoli di frasi scarabocchiati a matita, sistemati in enormi raccoglitori ad anelli sigillati e disposti lungo i corridoi. Diverse bacheche di cartone si erano staccate dalle puntine da disegno che le sostenevano e ora pendevano in avanti come lastre arrugginite dai fianchi del relitto di una nave, attraccata al suo ultimo molo e incrostata di graffiti astrusi e privi di significato.
Tracciando pigramente con il dito l'ampio quadrante di una bussola nella polvere che ricopriva lo scrittoio, Kerans aspettava che Bodkin gli fornisse qualche spiegazione sugli strani esperimenti che conduceva con Hardman. Bodkin, però, si accomodò dietro l'accozzaglia di scatole e cianfrusaglie che ingombrava il suo scrittoio. Aprì il giradischi e tolse il disco dal piatto, rigirandoselo poi pensosamente tra le mani.
"Mi dispiace di essermi lasciato sfuggire che ce ne andremo fra tre giorni," esordì Kerans. "Non mi ero reso conto che l'avesse tenuto nascosto a Hardman."
Bodkin si strinse nelle spalle come se la cosa non avesse alcuna importanza. "È una situazione molto complessa, Robert. Dal momento che avevamo fatto qualche passo avanti nel risolverla non volevo introdurre un altro elemento di disturbo."
"Ma perché non dirglielo?" insistette Kerans sperando indirettamente di attenuare il proprio senso di colpa. "Può darsi che la prospettiva di partire possa scuoterlo dal suo letargo, no?" Bodkin si abbassò gli occhiali sulla punta del naso e rivolse a Kerans uno sguardo interrogativo. "Non sembra che la cosa, su di lei, abbia avuto questo effetto, Robert. A meno che io non mi stia sbagliando completamente, lei mi sembra tutt'altro che eccitato. Per quale motivo le reazioni di Hardman dovrebbero essere differenti?" Kerans sorrise. "Touché, Alan. Non ho intenzione di interferire, dal momento che, più o meno, le ho affidato completamente le sorti di Hardman. Ma si può sapere con che cosa state giocando, voi due... perché
la stufa elettrica e le sveglie?"
Bodkin fece scivolare il disco in mezzo a una fila di altri dischi in miniatura disposti ordinatamente sulle scaffalature alle sue spalle. Sollevò gli occhi su Kerans e per qualche istante lo fissò con lo stesso sguardo gentile e penetrante con cui aveva osservato Hardman, e Kerans si rese conto che il loro rapporto, fino a quel momento simile al rapporto tra due colleghi che si fidano completamente l'uno dell'altro, si stava avvicinando a quello che può intercorrere fra lo sperimentatore e il suo soggetto. Dopo un breve silenzio Bodkin distolse lo sguardo e Kerans ridacchiò involontariamente. "Maledetto vecchiaccio," pensò, "ormai mi ha collocato insieme alle alghe e ai nautiloidi; sicuramente tra poco comincerà a far ascoltare anche a me i suoi dischi."
Bodkin si alzò in piedi e indicò con un cenno del capo le tre file di banconi da laboratorio ricoperti da colture batteriche, provette, campioni sotto formaldeide, contenitori, e pagine e pagine di appunti fissati alle cappe aspiranti poste sul soffitto.
"Mi dica, Robert, se lei dovesse fare una summa del lavoro svolto negli ultimi tre anni in un'unica asserzione, che cosa direbbe?"
Kerans esitò, quindi fece un gesto noncurante. "Non sarebbe troppo difficile." Capì che Bodkin si attendeva una risposta seria e cercò di mettere ordine nei propri pensieri. "Be', si potrebbe semplicemente asserire che, in seguito all'aumento della temperatura, dell'umidità relativa e del livello di radioattività, la flora e la fauna di questo pianeta stanno cominciando ad assumere ancora una volta le forme che le avevano caratterizzate all'epoca in cui queste stesse condizioni ambientali si sono verificate, l'ultima volta... per dirla in breve, nel Triassico."
"Esattamente." Bodkin prese a camminare tra i banconi. "Nel corso degli ultimi tre anni, Robert, lei e io abbiamo esaminato qualcosa come cinquemila specie diverse del regno animale e visto letteralmente decine di migliaia di nuove varietà vegetali. Ovunque si è verificato lo stesso processo: infinite mutazioni hanno trasformato completamente gli organismi per permettere loro di adattarsi alle condizioni di sopravvivenza del nuovo ecosistema. Ovunque si è verificata la medesima corsa a ritroso verso il passato più remoto, fino al punto che i pochi organismi complessi che sono riusciti a mantenere pressoché inalterate le loro caratteristiche ora sembrano decisamente anomali: qualche specie anfibia, gli uccelli e l'uomo. È quantomeno curioso che, nonostante il nostro sforzo di catalogare la regressione di così tante specie vegetali e animali, abbiamo completamente ignorato la più importante creatura di questo pianeta." Kerans rise. "Devo proprio inchinarmi alla sua perspicacia. Ma che cosa sta cercando di suggerire? Che l'Homo Sapiens si sta per trasformare nell'uomo di Cro-Magnon, nell'Uomo di Giava e infine nel Sinantropo? Altamente improbabile. Non sarebbe semplicemente un lamarckismo al contrario?"
"D'accordo. Non sto dicendo questo." Bodkin si appoggiò a uno dei banconi, porgendo una manciata di noccioline a una callitricida rinchiusa in una credenza trasformata in gabbia. "Anche se, ovviamente, dopo due o tre milioni di anni, l' Homo Sapiens potrebbe anche scomparire e la nostra cuginetta, qui, potrebbe diventare la forma di vita più alta presente sul pianeta. Comunque sia, un processo biologico non è mai completamente reversibile." Tirò fuori il fazzoletto di tasca e lo agitò davanti alla scimmia, che si ritrasse spaventata. "Se mai ritorneremo nella giungla, continueremo comunque a cambiarci per la cena." Si avvicinò a una finestra e guardò oltre le fitte maglie della reticella metallica; il cornicione del piano superiore schermava la luce del sole, fatta eccezione per una lama sottile di bagliore quasi incandescente. Immersa in quel calore soffocante, la laguna giaceva immobile, con sbuffi di vapore sospesi sopra la superficie come spettri.
"In realtà, sto pensando a qualcos'altro. È soltanto il panorama esterno a trasformarsi? Quanto spesso, negli ultimi tempi, la maggior parte di noi ha avuto una sensazione di déjà-vu, di aver già visto tutto questo, addirittura di ricordare fin troppo bene queste paludi e queste lagune? Per quanto selettiva possa essere la parte cosciente della mente umana, la maggior parte dei nostri ricordi biologici è legata a eventi spiacevoli, echi lontani di pericoli e di terrori. Nulla dura più a lungo della paura. Ovunque, in natura, si può riscontrare la presenza inconfutabile di meccanismi comportamentali innati risalenti a milioni e milioni di anni fa, riflessi che sono rimasti recessivi per migliaia di generazioni ma che hanno mantenuto inalterata la loro forza. L'esempio più classico è la paura atavica del topo di campagna per la silhouette del falco: persino una sagoma di carta fatta passare di fronte alla gabbia provoca nell'animale una frenetica corsa in cerca di riparo. E come spiegare, altrimenti, la repulsione universalmente diffusa eppure del tutto ingiustificata nei confronti dei ragni, di cui si conosce soltanto una specie mortale? Oppure l'odio (sorprendente, considerata la loro relativa rarità) nei confronti dei serpenti e dei rettili? Semplicemente perché, in noi, serbiamo ancora vivo il ricordo sommerso dell'epoca in cui i ragni giganti erano letali e i rettili erano la forma di vita dominante del pianeta."
Tastando la bussola di ottone che gli appesantiva la tasca, Kerans disse: "E così lei ha paura che l'aumento della temperatura e della radioattività stia risvegliando simili ricordi sepolti nelle nostre menti?".
"Non nelle nostre menti, Robert. Questi sono i ricordi più antichi del mondo, i codici temporali presenti in ogni nostro gene e in ogni nostro cromosoma. Ogni gradino che siamo riusciti a salire nella nostra scala evolutiva è una pietra miliare fatta di ricordi organici, dagli enzimi che controllano il ciclo dell'anidride carbonica all'organizzazione del plesso brachiale e dei fasci nervosi delle cellule piramidali del mesencefalo: ognuno di essi è una fedele registrazione di migliaia e migliaia di decisioni prese per fronteggiare un'improvvisa crisi chimico-fisica. Come la psicoanalisi si prefigge di ricostruire la situazione traumatica originaria al fine di provocare la liberazione del materiale rimosso, così ora noi stiamo precipitando nel nostro passato archeopsichico, riscoprendo gli antichi tabù e gli istinti primordiali rimasti sopiti per migliaia di anni. Il pensiero della brevità della singola vita umana è fuorviante. Ognuno di noi ha la stessa età dell'intero regno biologico e il nostro flusso sanguigno è immissario dell'immenso oceano della sua memoria collettiva. L'odissea uterina del feto in crescita riassume in sé l'intero passato biologico e il sistema nervoso centrale del feto è una tabella temporale codificata, in cui ogni connessione di neuroni e ogni livello spinale rappresentano stadi simbolici, un'unità di tempo neuronico.
"Più ci si sposta verso la base del sistema nervoso centrale, dal rombocefalo alla spina dorsale passando per il midollo spinale, più si regredisce nel tempo neuronico. Per esempio, la congiunzione tra le vertebre toraciche e quelle lombari, tra la T-12 e la L-1, è la zona di transizione fra la respirazione branchiale dei pesci e la respirazione polmonare degli anfibi con le loro casse toraciche... proprio il punto di passaggio biologico in cui ci troviamo noi in questo momento, sulle sponde di questa laguna, esattamente tra l'era paleozoica e quella triassica..
Bodkin tornò alla scrivania, passando una mano sulla fila di dischi. Ascoltando distrattamente la voce calma e monotona di Bodkin, Kerans si scoprì a pensare divertito che la fila di dischi neri potesse essere il modello di una colonna vertebrale neurofonica. Rammentò il lieve rullo di tamburi che aveva udito fuoriuscire dal giradischi portatile nella cabina di Hardman e le sue pulsazioni quasi sotterranee. E se quell'idea apparentemente assurda fosse stata più vicina alla realtà di quanto non riuscisse a immaginare?
"Se preferisce," continuò Bodkin, "possiamo chiamare questa teoria la Psicologia degli Equivalenti Totali... o, per amor di brevità, 'Neuronica'... e accantonarla come una mera fantasia metabiologica. Comunque è mia ferma convinzione che, via via che regrediamo lungo la linea temporale geofisica, rientriamo nel corridoio amniotico e risaliamo lungo il tempo spinale e archeopsichico, raccogliendo nuovamente nel nostro inconscio i panorami caratteristici di ogni epoca, ognuno con un distinto terreno geologico e le sue uniche caratteristiche di flora e fauna, riconoscibili a chiunque altro proprio come lo sarebbero a qualcuno che viaggiasse sulla macchina del tempo di Wells. Eccetto che, questa volta, non si tratta di un semplice panorama scenografico artefatto, ma di un riorientamento totale della personalità. Se consentiamo a questi spettri sepolti di impadronirsi di noi, al loro riapparire verremmo spazzati all'indietro senza speranza nella marea del tempo come inutili relitti." Prese un disco dallo scaffale e poi lo rimise al suo posto con un gesto di incertezza. "Forse oggi pomeriggio con Hardman ho corso un rischio adoperando la stufetta elettrica per simulare il sole e aumentare la temperatura fin quasi a cinquanta gradi, ma valeva la pena di fare un tentativo. Nelle ultime tre settimane i sogni l'avevano quasi portato alla follia, ma nel corso degli ultimi due o tre giorni è stato molto più tranquillo, quasi stesse cominciando ad accettare i sogni come parte di sé e stesse lasciandosi trascinare all'indietro senza più mantenere alcun tipo di controllo cosciente. Per il suo bene, ho intenzione di tenerlo desto il più a lungo possibile: le sveglie potrebbero riuscirci."
"Sempre che si ricordi di caricarle," commentò Kerans a bassa voce. Fuori, nella laguna, si udì il rumore del barcone di Riggs. Kerans si sgranchì le gambe e camminò sino alla finestra, osservando il mezzo da sbarco compiere un semicerchio intorno alla base. Dopo aver ormeggiato l'imbarcazione, Riggs scese e intrattenne una conversazione molto informale con Macready che lo attendeva fermo sulla passerella. Indicò più volte il laboratorio biologico con il bastone e Kerans immaginò che stesse discutendo i preparativi per rimorchiare il laboratorio fino alla base. Ma, per qualche motivo che ancora non riusciva a comprendere, la partenza imminente lo lasciava imperturbato. Le teorie di Bodkin, per quanto nebulose, e la sua nuova psicologia della Neuronica gli fornivano una spiegazione della metamorfosi che stava avendo luogo nella sua mente molto più valida e calzante di qualsiasi altra teoria. Il tacito assunto del consiglio direttivo delle Nazioni Unite (ossia che, entro i nuovi confini dei Circoli polari artico e antartico, la vita sarebbe continuata più o meno come in precedenza, con le stesse relazioni sociali e domestiche e all'incirca con le stesse ambizioni e obiettivi) si era rivelato evidentemente fallace, come avrebbero ben presto dimostrato i livelli di acqua e temperatura in costante aumento quando avessero raggiunto le cosiddette "zone polari ridotte". Un compito assai più importante del semplice tracciare su mappe la morfologia delle baie e delle lagune esterne era quello di cartografare i delta spettrali e le spiagge luminose dei continenti neuronici sommersi.
"Alan," disse senza distogliere lo sguardo da Riggs che camminava su e giù sul pontile, "perché non invia un rapporto a Camp Byrd? Sono convinto che dovrebbe metterli al corrente delle sue teorie. C'è sempre una possibilità che..."
Ma Bodkin se n'era andato. Kerans ascoltò i suoi passi salire lentamente la scala e scomparire nella sua cabina, l'andatura affaticata di un uomo troppo vecchio e troppo carico di esperienza per preoccuparsi del fatto che i suoi avvertimenti venissero o meno presi in considerazione. Kerans tornò alla sua scrivania e si sedette. Dalla tasca della giacca prese la bussola e la piazzò di fronte a sé, cullandola tra le mani. Intorno a lui, i rumori attutiti del laboratorio costituivano un lieve sottofondo ai suoi pensieri: l'agitarsi della callitricida, il ticchettio di una bobina che ruotava da qualche parte, lo sfregamento di un macchinario rotante che misurava il fototropismo di un rampicante. Pigramente Kerans esaminò la bussola, facendo lentamente ruotare il quadrante e poi allineando l'ago e la ghiera. Cercò di capire per quale motivo l'avesse sottratta dall'armeria. Di solito era installata a bordo di una delle motolance e la sua scomparsa sarebbe stata denunciata ben presto, costringendolo probabilmente all'umiliazione di ammettere il furto.
Prese la bussola e la fece ruotare verso di sé; senza rendersene conto, sprofondò in un breve sogno a occhi aperti. La sua coscienza si focalizzò sulla s indicata dall'ago magnetico e sull'immagine (confusa e incerta, ma stranamente potente) riassunta dal concetto di "Sud" con tutta la sua magia sopita e la sua forza ipnotica che dall'oggetto di ottone che aveva tra le mani si diffondevano all'esterno, come i vapori intossicanti di un Graal spettrale.
Le strade del sole
Il giorno seguente, per motivi che Kerans avrebbe compreso pienamente soltanto molto tempo più tardi, il tenente Hardman scomparve.
Dopo una notte di sonno profondo e senza sogni, Kerans si alzò di buon'ora e alle sette aveva già fatto colazione. Poi trascorse un'ora sulla terrazza, mollemente adagiato su una sedia a sdraio con indosso soltanto un paio di pantaloncini di latex bianco, mentre la luce del sole si diffondeva sullo specchio di acqua scura che gli inondava il corpo magro e abbronzato. Il cielo era di un azzurro vivido e marmoreo e, per contrasto, la conca nera della laguna sembrava infinitamente profonda e immota, come un immenso pozzo d'ambra. L'edificio ricoperto di vegetazione che emergeva all'estremo limitare della laguna sembrava vecchio di milioni di anni, eruttato in superficie dal magma vulcanico a causa di qualche spropositato cataclisma naturale e imbalsamato nei lunghissimi intervalli di tempo che si erano susseguiti nelle ere geologiche. Dopo essersi fermato alla scrivania per far scorrere le dita sulla superficie scintillante della bussola di ottone che barbagliava nell'oscurità della suite, Kerans andò in camera da letto e si cambiò, indossando la sua uniforme color kaki, una minima concessione ai preparativi di Riggs per la partenza. Gli abiti sportivi italiani firmati non erano più de rigueur e, se si fosse fatto vedere in giro con un completo color pastello con l'etichetta del Ritz, non avrebbe fatto altro che insospettire il colonnello. Nonostante prendesse in considerazione la possibilità di restare, Kerans si era scoperto riluttante ad adottare qualsiasi precauzione in tal senso. Fatta eccezione per le sue scorte di carburante e di cibo per le quali, negli ultimi sei mesi, era dipeso dalla generosità del colonnello Riggs, aveva anche avuto bisogno di una serie pressoché infinita di pezzi di ricambio e riparazioni, da un nuovo quadrante per l'orologio al rifacimento completo dell'impianto elettrico della suite. Una volta che la base si fosse allontanata con la sua officina, si sarebbe ben presto trovato impelagato in una serie di piccoli, fastidiosi inconvenienti, e senza la provvidenziale presenza del sergente tecnico.
Per comodità degli addetti al magazzino, e per risparmiarsi viaggi superflui da e per la base, Kerans aveva accumulato nella suite una scorta di cibo in scatola che gli sarebbe bastata per un mese. La maggior parte consisteva in latte condensato e in carne in scatola, virtualmente immangiabili se non abbinati alle prelibatezze immagazzinate nel capiente freezer di Beatrice. Era proprio su quel frigorifero, con le sue riserve di pàté de foie gras e di filet mignon, che Kerans contava per tirare avanti, anche se sicuramente non c'era cibo sufficiente per più di tre mesi. Dopo quel periodo, avrebbero dovuto vivere di ciò che dava loro la terra, mutando il proprio menu in una dieta a base di bacche e radici e bistecche di iguana. Il problema più serio era rappresentato dal carburante. I serbatoi di riserva della nafta al Ritz contenevano poco più di duemila litri, sufficienti a far funzionare il sistema di raffreddamento per un paio di mesi al massimo. Chiudendo la camera da letto e il guardaroba e ritirandosi a vivere nel salone, avrebbe potuto, con un po' di fortuna e innalzando la temperatura ambiente fino a trenta gradi, far durare le scorte il doppio, ma una volta che il carburante si fosse esaurito le possibilità di rifornimento si sarebbero ridotte praticamente a zero. Ogni serbatoio di riserva degli edifici sventrati tutt'intorno alla laguna era stato prosciugato ormai da lungo tempo dalle ondate di profughi che, con le loro barche e i loro motoscafi, si erano spostati verso nord nel corso degli ultimi trent'anni. Il serbatoio del fuoribordo del catamarano conteneva dieci litri di benzina, sufficienti per percorrere cinquanta chilometri, ovvero un viaggio al giorno per un mese fra il Ritz e la laguna di Beatrice.
Per qualche motivo, però, questo crusoeismo al contrario (il naufragio deliberato di se stesso senza l'assistenza di una scialuppa carica di viveri che si schianta su un atollo adatto) suscitava ben poca ansia nei pensieri di Kerans. Uscendo dalla suite, lasciò il termostato puntato sui soliti venticinque gradi, senza curarsi del carburante che il generatore avrebbe sprecato, evidentemente riluttante a compiere anche una sola, minima concessione ai rischi e ai pericoli che avrebbe dovuto affrontare dopo la partenza di Riggs. Dapprima aveva dato per scontato che quel suo pensiero riflettesse la convinzione inconscia che alla fine il suo buon senso avrebbe prevalso, ma quando avviò il fuoribordo e condusse il catamarano verso il canale che portava nella laguna successiva, si rese conto che quell'indifferenza sottolineava la natura del tutto speciale della decisione di non partire. Per usare il linguaggio simbolico dello schema di Bodkin, avrebbe abbandonato la convenzionale misurazione del tempo in relazione alle sue necessità fisiche e sarebbe penetrato nel mondo del tempo totale neuronico, dove la sua esistenza sarebbe stata ritmata sulla scansione degli immani intervalli del tempo geologico. In quell'ottica, si ragionava in termini di milioni di anni, e i problemi del cibo e del vestiario sarebbero diventati irrilevanti come per un monaco buddhista in contemplazione seduto nella posizione del loto davanti a una ciotola di riso vuota sotto la tettoia protettiva dell'idra a mille teste dell'eternità.
Immettendosi nella terza laguna, con un remo levato per allontanare le foglie lunghe tre metri di una felce gigante i cui rami si immergevano allo sbocco del canale, si accorse, senza provare alcuna emozione particolare, che una squadra di uomini agli ordini del sergente Macready aveva levato le ancore del laboratorio biologico e lo stava lentamente trainando in direzione della base. Mentre la distanza tra le due piattaforme diminuiva, ricordando in un certo qual modo l'avvicinarsi dei due lembi del sipario alla fine di una rappresentazione teatrale, Kerans si alzò in piedi sulla prua del catamarano sotto la volta gocciolante delle foglie, muto osservatore tra le quinte il cui apporto al dramma, per quanto infinitesimale, era ora definitivamente terminato.
Per non attirare l'attenzione su di sé riaccendendo il motore, uscì alla luce del sole mentre, alle sue spalle, le foglie giganti tornavano a immergersi fino al gambo nella gelatina verdastra dell'acqua. Remò lentamente lungo il perimetro della laguna fino all'edificio in cui alloggiava Beatrice. A intermittenza il rombo dell'elicottero sorvolava la laguna mentre compiva i suoi giri di ricognizione e le onde sollevate dallo spostamento del laboratorio galleggiante si frangevano contro le prue gemelle del catamarano e proseguivano attraverso le finestre sfondate degli edifici alla sua destra fino a schiaffeggiarne le pareti interne. Il motoscafo di Beatrice scricchiolava penosamente agli ormeggi. Il vano motore era inondato e la poppa era inclinata sotto il livello dell'acqua a causa del peso dei due grossi motori Chrysler. Presto o tardi, una tempesta termica avrebbe afferrato il natante e lo avrebbe ancorato per sempre venti metri più in basso, parcheggiandolo in una delle strade sommerse.
Quando uscì dall'ascensore, il patio intorno alla piscina era deserto e i bicchieri sporchi della sera prima erano ancora posati sul vassoio tra le sedie a sdraio. Già la luce del sole stava cominciando a riflettersi impietosamente nella piscina, illuminando i cavallucci marini giallastri e i tridenti blu che ne decoravano il fondo. Alcuni pipistrelli riposavano appesi nell'ombra sotto la grondaia sopra la finestra della camera da letto di Beatrice ma, quando Kerans si sedette, volarono via come vampiri in fuga dall'alba di un nuovo giorno. Oltre i tendaggi, Kerans colse una fugace immagine di Beatrice che si aggirava silenziosamente nella suite e, cinque minuti dopo, la donna uscì nel salone, con un unico asciugamano nero avvolto intorno ai fianchi. Era nascosta in parte dalla penombra che regnava, dal lato opposto della stanza e sembrava esausta: si limitò a salutarlo con un cenno poco convinto della mano. Appoggiando un gomito al bancone del bar, si preparò un drink, fissò indifferente uno dei Delvaux e infine tornò in camera. Quando si rese conto che non sarebbe riapparsa, Kerans andò a cercarla. Nel momento in cui aprì le porte di vetro, l'aria calda intrappolata all'interno del salotto lo colpì al volto come i vapori di una stiva troppo affollata. Nell'ultimo mese era capitato sovente che il generatore non rispondesse immediatamente al termostato e ora la temperatura era ben oltre i trenta gradi: probabilmente era da ricercarsi in ciò il motivo della sonnolenza letargica di Beatrice.
Quando Kerans entrò, la trovò seduta sul letto con un bicchiere di whisky appoggiato sulla pelle levigata delle ginocchia. L'atmosfera viziata e soffocante della stanza rammentò a Kerans la cabina di Hardman durante l'esperimento che il dottor Bodkin aveva condotto sul pilota. Si avvicinò al termostato appoggiato sul comodino e lo abbassò da venti a quindici gradi.
"Si è rotto di nuovo," gli disse Beatrice con voce indifferente. "Il motore continua a fermarsi." Kerans tentò di toglierle il bicchiere dalle mani, ma la donna si affrettò ad allontanarlo dalla sua portata.
"Lasciami in pace, Robert," disse con voce stanca. "So benissimo di essere una donna perduta, un'ubriacona, ma ho trascorso la notte nelle giungle del tempo e l'ultima cosa che voglio è sentirmi fare una predica." Kerans la fissò attentamente in volto, sorridendo tra sé con un'espressione a metà tra l'affetto e la disperazione. "Vedrò se riuscirò a riparare il motore. Questa stanza puzza come se ti ci fossi chiusa dentro insieme a un battaglione di galeotti. Fatti una doccia, Bea, e cerca di rimetterti in sesto. Riggs parte domani: quando se ne andrà, dovremo essere nella miglior forma possibile. Che cosa sono questi incubi che dici di avere?"
Beatrice si strinse nelle spalle. "Sogno la giungla, Robert," sussurrò con voce ambigua. "Sto imparando nuovamente l'abbiccì. La notte scorsa erano le giungle del delta." Gli dedicò un sorriso vacuo, quindi, con una punta di malizia, aggiunse: "Non fare quella faccia scura, presto comincerai a sognare anche tu". "Spero proprio di no." Quasi con disgusto, Kerans la osservò portarsi il bicchiere alle labbra. "E metti via quella roba. Le colazioni a base di whisky possono anche essere una vecchia abitudine degli scozzesi, ma per il fegato sono assassine."
Beatrice lo allontanò con un cenno. "Lo so. L'alcol uccide lentamente, ma io non ho fretta. Va' via, Robert."
Kerans si arrese e tornò sui suoi passi. Prese la scala dalla cucina e scese nel magazzino sottostante, trovò una torcia elettrica e la cassetta degli attrezzi e cominciò a lavorare sul generatore. Mezz'ora dopo, quando tornò nel patio, Beatrice, almeno in apparenza, si era riavuta completamente dal suo torpore ed era intenta a smaltarsi le unghie di azzurro.
"Ciao, Robert. Ti è passato il malumore?"
Kerans si sedette sulle piastrelle del pavimento, togliendosi dalle mani le ultime tracce di grasso. Scherzosamente le assestò un leggero colpetto sulla curva perfetta del polpaccio, quindi si tirò indietro per evitare il calcio di risposta. "Ho guarito il generatore; con un po' di fortuna, non dovrebbe causarti altri guai. È strano: il timer del motorino di avviamento era andato fuori fase. L'orologio girava all'indietro." Era sul punto di spiegarle l'ironia implicita di quella situazione quando l'urlo di una sirena lacerò l'aria immobile della laguna sottostante. I rumori concitati di un'attività frenetica e improvvisa si diffusero dalla base: motori che si accendevano e acceleravano, verricelli che cigolavano mentre le due motolance venivano calate in acqua, voci che gridavano ordini e risposte e passi che rimbombavano sulle passerelle. Kerans si alzò e si affrettò a raggiungere la balaustra, girando intorno alla piscina. "Non dirmi che se ne vanno oggi... Riggs è abbastanza furbo per provarci nella speranza di coglierci impreparati." Con al fianco Beatrice, che nel frattempo si era coperta il seno con l'asciugamano, abbassarono lo sguardo sulla base. Ogni membro della squadra sembrava essere stato mobilitato, e il barcone e le due motolance ondeggiavano intorno al pontile. Il rotore dell'elicottero girava lentamente: Riggs e Macready erano in procinto di salirvi. Gli altri uomini erano allineati sul pontile, in attesa del proprio turno per imbarcarsi a loro volta sui tre natanti. Persino Bodkin era stato stanato dalla sua cabina e ora stava in piedi a torso nudo sul ponte del laboratorio biologico e gridava qualcosa in direzione di Riggs. Improvvisamente Macready vide Kerans sulla terrazza. Disse qualcosa al colonnello, che immediatamente prese un megafono e fece qualche passo avanti. "KERANS! DOTTOR KERANS." Frammenti giganteschi delle frasi amplificate elettricamente riecheggiarono fra i tetti, rimbalzando sugli infissi in alluminio delle finestre. Kerans si portò le mani a coppa intorno alle orecchie per cercare di capire ciò che il colonnello stava gridando, ma le parole si persero nel rombo via via crescente del rotore dell'elicottero. Un istante dopo Riggs e Macready salirono sul velivolo e il pilota cominciò a inviare a Kerans segnali luminosi da dietro il vetro.
Kerans tradusse gli impulsi in codice Morse, quindi si allontanò velocemente dalla balaustra e cominciò a trasportare le sedie a sdraio nel salotto.
"Stanno venendo a prendermi qui," disse a Beatrice mentre l'elicottero si sollevava dalla piattaforma e sorvolava in diagonale la superficie della laguna. "È meglio che tu ti vesta. Altrimenti non farti vedere. L'aria smossa dalle pale dell'elicottero ti strapperebbe quell'asciugamano di dosso come se fosse di carta velina. Riggs ha già abbastanza cose di cui preoccuparsi."
Beatrice lo aiutò a riavvolgere il tendone, quindi entrò nel salone mentre già l'ombra ondeggiante dell'elicottero incombeva sul patio. Il vortice del rotore li investì con violenza.
"Ma che cosa è successo, Robert? Perché Riggs è tanto agitato?" Kerans protesse la testa contro il frastuono del motore e fissò le lagune circondate dalla vegetazione che si estendevano a perdita d'occhio fino all'orizzonte. Un improvviso spasmo di ansia gli stirava gli angoli della bocca.
"Non è agitato, è soltanto maledettamente preoccupato. Ogni cosa sta cominciando a crollargli addosso. Il tenente Hardman è scomparso!"
Come un'immensa ferita purulenta, la giungla si stendeva sotto il portello aperto dell'elicottero. Giganteschi boschi di gimnosperme si allungavano in densi ciuffi lungo i tetti degli edifici sommersi, soffocando le sagome bianche e rettangolari. Qua e là un vecchio serbatoio d'acqua di cemento protrudeva dal muschio, o i resti di un pontile rudimentale galleggiavano ancora accanto alla carcassa di un grattacielo semidiroccato, ricoperti da acacie piumose e tamerici in fiore. Angusti canali, trasformati dalla volta di foglie in verdi gallerie, si allontanavano dalle lagune principali, unendosi alla fine ai canali ampi fino a seicento metri che si allargavano verso l'esterno attraverso quelli che un tempo erano i sobborghi della città. I sedimenti si ammucchiavano ovunque accatastandosi in immensi banchi contro la massicciata di una ferrovia o un gruppo di palazzi, colando attraverso una galleria sommersa come il fetido contenuto di una Cloaca Maxima. Molti dei laghi più piccoli erano stati colmati dai detriti, dischi giallastri di fango ricoperto di funghi su cui cresceva un intrico di piante in competizione tra loro per la sopravvivenza, giardini murati di un folle Eden.
Avvinghiato al corrimano della carlinga dall'imbracatura di nylon che gli circondava la vita e le spalle, Kerans osservava il paesaggio sottostante, seguendo i corsi d'acqua che si allontanavano serpeggiando dalle tre lagune centrali. Duecento metri più in basso, l'ombra dell'elicottero solcava la superficie verde e chiazzata dell'acqua, e Kerans concentrò la propria attenzione sulla zona immediatamente circostante. Un'infinita profusione di vita animale riempiva le baie e i canali: serpenti acquatici si avvoltolavano tra i cespugli di bambù inondati d'acqua, colonie di pipistrelli sciamavano dalle gallerie verdi come nubi di un'esplosione, le iguane giacevano immobili sui cornicioni ombrosi come sfingi di marmo. Spesso, disturbata dal rumore dell'elicottero, una forma umana sembrava sfrecciare e nascondersi tra le finestre a pelo dell'acqua, per poi rivelarsi un coccodrillo che tentava di azzannare un'anitra selvatica o l'estremità di un tronco galleggiante di felce arborea.
A trenta chilometri di distanza, l'orizzonte era ancora oscurato dalla foschia del primo mattino; immense nubi di vapore dorato erano appese al cielo come diafani sipari, ma l'aria sopra la città era chiara e tersa, i gas di scarico dell'elicottero scintillavano perdendosi nel vuoto in una lunga scia ondulata. Mentre si allontanavano dalle lagune centrali compiendo ampi cerchi verso l'esterno, Kerans si appoggiò al portello e osservò lo spettacolo scintillante, abbandonando la sua perlustrazione della giungla sottostante. Le possibilità di vedere Hardman dall'aria erano pressoché inesistenti. A meno che non si fosse rifugiato in un edificio vicino alla base, sarebbe stato costretto a viaggiare lungo i canali, che gli offrivano la massima protezione possibile da un eventuale avvistamento aereo.
Nel portello della cabina di pilotaggio, Riggs e Macready continuavano a scrutare il paesaggio con i binocoli. Senza il suo berretto a visiera e con i capelli color sabbia che gli ricadevano scomposti sul viso, Riggs sembrava un passero rapace, la mascella protesa fieramente nell'aria. Si accorse che Kerans stava guardando il cielo e gli gridò: "Non l'ha ancora visto, dottore? Non si distragga ora, il segreto di una ricerca fruttuosa è una perlustrazione millimetrica eseguita con la massima concentrazione".
Accettando il rimprovero, Kerans riprese a scrutare di nuovo il cerchio della giungla, con gli alti edifici della laguna centrale che ruotavano intorno al portello. La scomparsa di Hardman era stata scoperta da un infermiere alle otto di quella mattina, ma il suo letto era freddo, e il tenente se n'era andato quasi di sicuro la sera prima, probabilmente poco dopo l'ultimo appello delle nove e mezzo. Le piccole imbarcazioni ormeggiate al parapetto del pontile erano ancora tutte lì, ma Hardman avrebbe potuto facilmente legare insieme un paio dei bidoni vuoti immagazzinati uno sopra l'altro accanto al Ponte C e calarli in acqua senza fare alcun rumore. Per quanto rudimentale, una simile imbarcazione avrebbe potuto muoversi silenziosamente e portarlo a quindici chilometri di distanza prima dello spuntar del sole, da qualche parte entro il perimetro di una zona di ricerca con un'area di circa centoventi chilometri quadrati, ogni acro dei quali era costellato da edifici in rovina.
Non essendo riuscito a vedere Bodkin prima di essere trascinato a bordo dell'elicottero, Kerans poteva soltanto immaginare quali fossero i motivi per cui Hardman aveva lasciato la base, e se questi facessero parte di un grandioso progetto che stava lentamente maturando nei pensieri del tenente o semplicemente una reazione improvvisa e dissennata alla notizia dell'imminente partenza. L'eccitazione iniziale di Kerans era svanita del tutto e ora il biologo provava una strana sensazione di sollievo, come se una delle linee di forza contrastanti che lo circondavano fosse stata rimossa dalla scomparsa di Hardman, e la tensione e l'impotenza implicite nel sistema fossero state improvvisamente liberate. Se non altro, comunque, ora il compito di restare lì sarebbe stato ancora più difficoltoso.
Slacciandosi la cintura di sicurezza, Riggs si alzò in piedi con un gesto esasperato e porse il binocolo a uno dei due soldati accovacciati sul pavimento in fondo alla cabina.
"La ricerca dall'alto è una perdita di tempo, con questo tipo di terreno," gridò a Kerans. "Atterreremo da qualche parte e daremo uno sguardo attento alla mappa e lei ci dirà qualcosa sulla psicologia di Hardman." Erano circa dieci miglia a nord-ovest delle lagune centrali, le torri quasi oscurate dalla foschia che correva lungo l'orizzonte. A sette o otto chilometri di distanza, esattamente tra loro e la base, una delle due motolance navigava in un canale, irradiando la sua scia bianca sulla distesa vitrea dell'acqua. Bloccati dalla concentrazione urbana a sud, i sedimenti erano penetrati nell'area in misura molto minore e la vegetazione era più rada, lasciando il posto a grandi distese di acqua che si stendevano senza interruzioni tra le file principali degli edifici. La zona sotto di loro sembrava al tempo stesso vuota e libera, e d'un tratto Kerans ebbe la certezza, anche se non basata su motivi razionali, che Hardman non si trovava nel settore nordoccidentale. Riggs si arrampicò nella cabina di comando e un istante più tardi la velocità e l'inclinazione dell'elicottero cambiarono bruscamente. Il velivolo cominciò a scendere rapidamente, ondeggiando verso il basso fino a trenta metri dalla superficie dell'acqua e percorrendo gli ampi canali in cerca di un tetto su cui posarsi. Alla fine scelsero la sagoma gibbosa di un cinema semisommerso e discesero lentamente sul tetto piatto del colonnato in stile assiro.
Si sgranchirono le gambe per qualche minuto, osservando le distese di acqua azzurra. La costruzione più vicina era un magazzino isolato a duecento metri da loro e l'ampiezza della vista rammentò a Kerans la descrizione di Erodoto del panorama egizio durante le inondazioni del Nilo, con le sue città elevate, simili alle isole del Mar Egeo.
Riggs dispiegò la mappa sul pavimento della cabina. Appoggiando i gomiti sull'orlo del portello, indicò con un dito il luogo in cui erano appena atterrati.
"Bene, sergente," disse a Daley, "a quanto pare siamo a metà strada da Camp Byrd. A parte aver usurato il motore, non abbiamo ottenuto molto."
Dalay annuì, il volto piccolo e serio nascosto sotto l'elmetto in fibra di vetro. "Signore, credo che la nostra unica possibilità sia di ispezionare la zona a bassa quota lungo alcune rotte principali. C'è la speranza di poter vedere qualcosa: una zattera o una macchia d'olio, magari."
"D'accordo. Ma il problema è," disse Riggs percuotendo la mappa con la punta del bastone, "dove? È molto probabile che Hardman non sia a più di quattro o cinque chilometri dalla base. Lei che cosa ne pensa, dottore?"
Kerans si strinse nelle spalle. "In realtà, non so quali siano i motivi che spingono Hardman, colonnello. Ultimamente era sotto le cure di Bodkin. Può darsi che..."
La sua voce si affievolì e Daley si intromise con un altro suggerimento, distogliendo l'attenzione di Riggs. Per i cinque minuti successivi, il colonnello, Daley e Macready discussero sulle possibili rotte che Hardman avrebbe potuto prendere, segnando soltanto i canali più ampi come se Hardman stesse pilotando una corazzata in miniatura. Kerans guardò l'acqua che fluiva lentamente oltre il cinema. Alcuni rami e ciuffi di erbacce andavano piano alla deriva nella corrente diretta verso nord, con la luce accecante del sole che mascherava lo specchio ardente della superficie. L'acqua tambureggiava contro il portico sotto i suoi piedi, pulsandogli lentamente nel cervello e generando un cerchio sempre più ampio di interferenze come se lo attraversasse in direzione opposta al proprio flusso. Osservò una successione di piccole onde che lambivano il tetto spiovente, e fu colto dal desiderio di abbandonare il colonnello e camminare direttamente nell'acqua, dissolvendo se stesso e i fantasmi sempre presenti che gli montavano la guardia come sentinelle nel fresco rifugio della sua calma magica, nel luminoso mare verde-drago infestato di serpenti. Improvvisamente si rese conto senza ombra di dubbio dove avrebbero potuto trovare Hardman. Aspettò che Daley finisse di parlare. "...Conosco il tenente Hardman, signore, ho effettuato con lui quasi cinquemila ore di volo, ed è fin troppo ovvio che abbia avuto dei problemi di ordine psicologico. Voleva ritornare a Camp Byrd e deve aver deciso che non poteva aspettare oltre, nemmeno due giorni. Deve essersi diretto verso nord e ora sicuramente si sta riposando da qualche parte lungo i canali fuori della città." Riggs annuì dubbioso, apparentemente poco convinto ma disposto ad accettare il suggerimento del sergente in mancanza di meglio.
"Be', può darsi che lei abbia ragione. Suppongo che valga la pena di fare un tentativo. Lei che ne pensa, Kerans?"
Kerans scosse la testa. "Colonnello, cercarlo nelle zone a nord della città è una completa perdita di tempo. Hardman non sarebbe mai venuto fin qui: è un luogo troppo esposto e isolato. Non so se sia a piedi o su una zattera, ma sicuramente non sta andando verso nord: Camp Byrd è l'ultimo posto sulla Terra dove vorrebbe ritornare. C'è solo una direzione possibile: il sud." Kerans indicò il groviglio di canali che si immettevano nelle lagune centrali, immissari di un unico enorme fiume che scorreva a cinque chilometri a sud della città, il suo corso continuamente deviato da giganteschi banchi di sedimenti. "Hardman sarà da qualche parte laggiù. Probabilmente gli ci è voluta tutta la notte per raggiungere il canale principale, e personalmente sono convinto che si stia riposando in una delle piccole insenature in attesa della notte per ripartire."
Si interruppe e Riggs fissò lungamente la mappa, con il cappello calato sugli occhi in un atteggiamento di intensa concentrazione.
"Ma perché proprio a sud?" protestò Daley. "Quando lascerà il canale non troverà altro che la giungla e il mare aperto. Inoltre la temperatura è in costante aumento... quell'uomo friggerà." Riggs sollevò lo sguardo su Kerans. "Il sergente Daley ha ragione, dottore. Per quale motivo Hardman dovrebbe scegliere di dirigersi a sud?"
Guardando nuovamente la distesa di acqua immobile, Kerans rispose con voce piatta: "Colonnello, non c'è nessun'altra direzione possibile".
Riggs esitò, quindi lanciò un'occhiata a Macready che si era allontanato dal gruppo e ora era in piedi accanto a Kerans, con la sua alta sagoma ricurva che si stagliava sull'acqua come quella di un corvo emaciato. Annuì impercettibilmente in direzione di Riggs, rispondendo alla sua muta domanda. Persino Daley mise un piede sul predellino dell'elicottero, accettando la logica di Kerans e la comprensione dei motivi di Hardman una volta che il biologo li aveva resi espliciti.
Tre minuti dopo, l'elicottero si dirigeva a tutta velocità verso le lagune meridionali. Come Kerans aveva profetizzato, trovarono Hardman sulle distese di sedimenti. Scendendo fino a una quota di trecento metri, cominciarono a rastrellare gli otto chilometri di lunghezza del canale principale. Gli immensi banchi di sedimenti si ergevano sulla superficie come dorsi gialli di balenotteri. Ovunque i contorni idrodinamici del canale davano ai banchi di sedimenti un qualche grado di stabilità, la giungla circostante si riversava dai tetti e si radicava nella sabbia umida, ingabbiando il fango in una struttura inamovibile. Dal portello Kerans scrutava le strette spiagge che si stendevano sotto le felci, cercando i segni rivelatori di una zattera camuffata o di un rifugio di fortuna. Tuttavia, dopo venti minuti e una dozzina di passaggi sul canale, Riggs si allontanò dal portello scuotendo sconsolatamente la testa. "È probabile che abbia ragione lei, Robert, ma non c'è niente da fare. Hardman non è un idiota: se vuole nascondersi, non riusciremo mai a trovarlo. Scommetto dieci a uno che non riusciremmo a vederlo nemmeno se si sporgesse da una finestra e ci chiamasse agitando le braccia." Kerans borbottò qualcosa in risposta, osservando il paesaggio sottostante. A ogni passaggio il velivolo si spostava a destra di circa cento metri rispetto al passaggio precedente, e nel corso delle ultime tre tornate Kerans aveva guardato la mezzaluna formata da quello che sembrava un quartiere residenziale che si ergeva nell'angolo tra il canale e la sponda meridionale di un ruscello che si perdeva nella giungla circostante. Gli ultimi nove o dieci piani degli edifici si innalzavano al di sopra del livello dell'acqua, racchiudendo un basso cumulo di fango brunastro, la cui superficie era solcata dall'acqua che colava dalle pozze che la ricoprivano. Due ore prima il banco era stato una distesa di fango umido, ma alle dieci, quando l'elicottero lo sorvolò, il fango stava cominciando a seccare. A Kerans, che si riparava gli occhi con una mano dal riflesso della luce del sole, la sua superficie levigata sembrava solcata da due linee parallele, distanti circa due metri l'una dall'altra, che conducevano fino al tetto sporgente di una terrazza semisommersa. Quando la sorvolarono, Kerans cercò di vedere sotto la lastra di cemento, ma l'apertura era ingombra di rifiuti e tronchi marciti. Sfiorò il braccio di Riggs e gli indicò le tracce, così intento a seguirne il percorso tortuoso fino alla terrazza che quasi non si accorse di un'altra serie di impronte altrettanto distinte che stavano emergendo sulla superficie in mezzo alle linee parallele: distanziate circa un metro l'una dall'altra, erano senza alcun dubbio le impronte di un uomo alto e forte che si trascinava dietro un pesante carico. Mentre il rombo dell'elicottero si spegneva sul tetto sopra di loro, Riggs e Macready si chinarono per ispezionare il rozzo catamarano nascosto dietro uno schermo di foglie sotto la balconata. Ricavato da due bidoni vuoti di carburante legati alle due estremità alla rete metallica di un letto, entrambi i suoi galleggianti grigi erano ancora incrostati di sedimenti. Le chiazze di fango lasciate sul pavimento dai piedi di Hardman attraversavano la stanza che si apriva sulla terrazza e scomparivano oltre l'appartamento nel corridoio adiacente. "Non c'è alcun dubbio, è lui... vero, sergente?" domandò Riggs, uscendo alla luce del sole per guardare il semicerchio di palazzi. Catena di unità autonome, i palazzi erano uniti tra loro da brevi passaggi tra i pozzi degli ascensori alle estremità di ogni edificio. La maggior parte delle finestre era rotta, le facciate ricoperte da enormi chiazze di muffa e l'intero complesso assomigliava a un camembert andato a male.
Macready si inginocchiò accanto a uno dei galleggianti, ripulendone la superficie dai sedimenti fino a scoprire il numero di codice dipinto sul metallo. "UNAF 22-H-549... è uno dei nostri, signore. I bidoni di carburante sono stati sistemati ieri, li abbiamo immagazzinati sul Ponte C. Hardman deve aver preso una branda dall'infermeria dopo l'ultima ispezione."
"Bene." Sfregandosi le mani con un gesto compiaciuto, Riggs, nuovamente di buon umore, si avvicinò a Kerans sorridendo allegramente. "Eccellente, Robert. Un'abilità diagnostica invidiabile. Aveva ragione lei, ovviamente." Rivolse a Kerans uno sguardo di intesa come se si stesse chiedendo qual era la vera origine di quel sesto senso tanto preciso. "Si rallegri, Hardman le sarà molto grato quando lo riporteremo alla base." Kerans stava in piedi sull'orlo della terrazza, dominando il declivio di fango che andava indurendosi. Sollevò lo sguardo sulla fila silenziosa delle finestre, chiedendosi in quale di quelle mille stanze si nascondesse Hardman. "Spero che abbia ragione. Deve ancora riuscire a prenderlo."
"Non si preoccupi. Lo prenderemo." Riggs cominciò a gridare ordini ai due uomini che, sul tetto, stavano aiutando Daley ad ancorare l'elicottero. "Wilson, lei tenga d'occhio la zona sud-occidentale. Caldwell, lei si occuperà della zona nord. Guardate bene in tutte le direzioni, Hardman potrebbe tentare di raggiungere la zattera a nuoto."
I due uomini salutarono militarmente e si allontanarono con le carabine a tracolla. Macready aveva un fucile Thompson sottobraccio e, mentre Riggs slacciava la fondina, Kerans disse a bassa voce: "Colonnello, non stiamo dando la caccia a un cane idrofobo".
Riggs lo azzittì con un cenno. "Si rilassi, Robert, è solo che non voglio che qualche dannato coccodrillo mi azzanni una gamba. Comunque sia, se la cosa la interessa," disse rivolgendo a Kerans un ampio sorriso, "Hardman ha con sé una Colt 45."
Lasciando Kerans a digerire quell'informazione, prese il megafono.
"Hardman!! Sono il colonnello Riggs!!" gridò il nome di Hardman nel silenzio soffocante, quindi strizzò l'occhio a Kerans e aggiunse: "Il dottor Kerans vuole parlare con lei, tenente!!". Amplificate dal semicerchio di edifici, le parole di Riggs echeggiarono nelle paludi e sui canali, rimbombando in lontananza sulle immense distese di fango. Intorno a loro, ogni cosa scintillava nel calore stordente e gli uomini sul tetto si muovevano nervosamente. Dal banco di sedimenti si levava un intenso fetore di fogna; una miriade di insetti ronzava famelica sul fango e un improvviso spasmo di nausea annodò lo stomaco di Kerans, facendogli girare la testa. Premendosi una mano sulla fronte, Kerans si appoggiò a una colonna, ascoltando gli echi che riverberavano intorno a lui. A quattrocento metri di distanza, due campanili bianchi protrudevano dalla vegetazione, simili alle guglie del tempio di una dimenticata religione della giungla e il suono del suo nome ("Kerans... Kerans... Kerans...") che vi si rifletteva sembrò a Kerans un rintocco di campane carico di un intenso presagio di catastrofe e di terrore. Meglio di qualsiasi cosa che avesse sperimentato in precedenza, la disposizione senza senso delle lancette lo identificava con tutti gli spettri confusi che gettavano le loro ombre sempre più oscure nella sua mente, il mandala tentacolare del tempo cosmico.
Il suo nome gli echeggiava ancora debolmente nelle orecchie quando cominciarono la perlustrazione dell'edificio. Kerans prese posizione nella tromba delle scale che si apriva al centro di ogni corridoio, mentre Riggs e Macready ispezionavano gli appartamenti, tenendo gli occhi bene aperti via via che salivano ai piani superiori. L'edificio era stato saccheggiato. Tutte le assi dei pavimenti erano marcite o erano state divelte, e i tre uomini si muovevano con cautela sulle piastrellature, spostandosi con prudenza da una putrella di cemento all'altra. La maggior parte dell'intonaco si era scrostata e ora giaceva in alti cumuli lungo le pareti. Ovunque la luce del sole riusciva a filtrare, le travi nude erano soffocate dal muschio e dai rampicanti: la struttura originaria dell'edificio sembrava reggersi solamente sulla proliferazione vegetale che si ramificava in ogni stanza e in ogni corridoio.
Dalle fenditure dei pavimenti si levava il fetore dell'acqua oleosa che entrava dalle finestre sottostanti. Disturbati per la prima volta da molti anni a quella parte, i pipistrelli appesi alle travi svolazzavano freneticamente in cerca di una via d'uscita, disperdendosi con strida di dolore alla luce del sole. Grosse lucertole sfrecciavano dentro e fuori dalle fenditure, o scivolavano disperatamente sullo smalto delle vasche da bagno asciutte.
Esasperata dal calore, l'impazienza di Riggs crebbe via via che salivano verso i piani superiori. Ormai avevano perquisito tutto l'edificio, fatta eccezione per gli ultimi due piani, senza successo.
"Be', si può sapere dove diavolo è?" Riggs si appoggiò alla ringhiera delle scale, facendo cenno agli altri di tacere, e ascoltò il silenzio dell'edificio, respirando rapidamente tra i denti serrati. "Ci riposeremo per cinque minuti, sergente. È giunto il momento della prudenza. Hardman è da qualche parte qui intorno." Macready si mise il Thompson a tracolla e salì fino al bocchettone di ventilazione del pianerottolo successivo, che lasciava filtrare una lieve brezza. Kerans si appoggiò alla parete, la schiena e il petto ricoperti di sudore e le tempie che gli pulsavano per lo sforzo della salita. Erano le undici e mezzo, e la temperatura esterna era ben oltre i quaranta gradi. Abbassò lo sguardo sul viso rubicondo di Riggs, ammirando l'autodisciplina e la determinazione del colonnello.
"Si tolga quell'espressione condiscendente, Robert. So benissimo che sto sudando come un porco, ma ultimamente non ho riposato quanto lei."
I due uomini si scambiarono un'occhiata, ognuno consapevole del conflitto insito nel loro atteggiamento nei confronti di Hardman, e Kerans, nello sforzo di risolvere la rivalità tra di loro, disse a bassa voce:
"Probabilmente adesso lo prenderà, colonnello".
Cercando un posto per sedersi, si incamminò nel corridoio e spinse la porta del primo appartamento. Quando la porta si aprì, l'intelaiatura crollò in un cumulo di segatura e di schegge di legno divorate dai tarli. Kerans oltrepassò la soglia e andò alle portefinestre che davano sulla terrazza. Un filo d'aria filtrava nella stanza, e Kerans lasciò che gli sfiorasse il volto e il petto, osservando la giungla sottostante. Il promontorio su cui sorgeva il semicerchio di palazzi un tempo era stato una bassa collinetta, e molti edifici visibili sotto la vegetazione dalla parte opposta del banco di sedimenti erano ancora al di sopra del livello dell'acqua. Kerans fissò i due campanili che si slanciavano verso il cielo come obelischi sopra le felci. L'aria giallastra del mezzogiorno sembrava premere come una gigantesca tettoia sulla volta di foglie, mentre mille farfalle di luce scintillavano come diamanti ogniqualvolta un ramo si muoveva e deviava i raggi del sole. La linea oscura di un colonnato in stile neoclassico sotto i campanili lasciava intendere che gli edifici avevano fatto parte un tempo di qualche piccolo centro municipale. Uno degli orologi era privo di lancette; l'altro, per pura coincidenza, si era fermato quasi all'ora esatta: le undici e trentacinque. Kerans si domandò se l'orologio non fosse in realtà perfettamente funzionante, accudito da un folle recluso che si aggrappava a un ultimo barlume senza significato di sanità mentale e pensò che, se il meccanismo fosse stato ancora nelle condizioni di funzionare, Riggs avrebbe potuto benissimo interpretare quel ruolo. Diverse volte, prima di abbandonare una città sommersa, Riggs aveva caricato il meccanismo da due tonnellate di qualche orologio arrugginito di una cattedrale e poi erano salpati, accompagnati sull'acqua da un ultimo carillon di campane. Per notti e notti, dopo, Kerans aveva visto in sogno Riggs vestito come Guglielmo Tell che si aggirava in un paesaggio alla Dalì, conficcando come pugnali nella sabbia fusa immense meridiane gocciolanti. Kerans si appoggiò alla finestra, aspettando che i minuti passassero e si lasciassero indietro l'orologio fermo alle undici e trentacinque, sorpassandolo come un'automobile sulla terza corsia di un'autostrada. 0 forse l'orologio non era fermo (e, se anche lo fosse stato, avrebbe immancabilmente segnato l'ora esatta due volte al giorno, con un'accuratezza del tutto sconosciuta alla maggior parte degli orologi funzionanti), ma semplicemente tanto lento che il suo movimento sembrava impercettibile. Più lento era un orologio, più riusciva ad approssimarsi alla progressione maestosa e infinitamente graduale del tempo cosmico: in realtà, invertendo la direzione delle lancette e facendole ruotare all'indietro, si poteva inventare un orologio che, in un certo senso, si muoveva ancor più lentamente dell'universo e che, di conseguenza, faceva parte di un sistema spazio-temporale ancora più grande.
Il divertimento di Kerans a quella fantasia venne interrotto dalla scoperta, tra gli ammassi di detriti che costellavano la sponda opposta, di un cimitero che digradava verso l'acqua e le cui lapidi inclinate avanzavano verso la spiaggia come un gruppo di bagnanti. Ricordò ancora una volta un cimitero spettrale sopra cui avevano gettato le ancore, con le sue tombe riccamente decorate in stile fiorentino divelte e scrostate, i cadaveri che galleggiavano nei loro sudari come in una truce rappresentazione teatrale del Giorno del Giudizio.
Distogliendo lo sguardo, voltò le spalle alla finestra e si accorse con un sussulto che un uomo alto con una barba nera era in piedi immobile sull'uscio dietro di lui. Sorpreso, Kerans fissò la sagoma, sforzandosi di rimettere ordine nei propri pensieri. L'uomo era leggermente curvo e aveva un'aria rilassata, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Un fango nerastro gli ricopriva la fronte e i polsi, e gli appesantiva gli stivali e il tessuto dei pantaloni; per un istante, ricordò a Kerans un cadavere resuscitato. Il mento barbuto affondava in mezzo alle spalle larghe e l'impressione di stanchezza era rafforzata dal camice azzurro da infermiere di diverse misure più piccola della sua, con le maniche rimboccate e i gradi di caporale visibili sul rigonfiamento dei deltoidi. Il suo volto aveva un'espressione di famelica intensità, ma l'uomo guardava Kerans con triste distacco, i suoi occhi simili a fuochi circoscritti, un lieve barlume di interesse per il biologo come unico segno esteriore dell'energia che gli pulsava dentro.
Kerans aspettò che i suoi occhi si abituassero alla penombra che regnava nel fondo della stanza, spostando involontariamente lo sguardo sulla porta della camera da letto, da cui era spuntato l'uomo con la barba. Allungò una mano verso di lui, temendo in qualche modo di rompere l'incantesimo tra loro due, gli disse di non muoversi e ne ottenne in cambio una strana espressione di simpatia mista a comprensione, quasi che i loro ruoli si fossero improvvisamente invertiti.
"Hardman!" sussurrò Kerans.
Con un balzo improvviso, Hardman si avventò su Kerans, bloccando metà della stanza con il corpo massiccio. Si scostò un istante prima di colpirlo e lo oltrepassò. Prima che Kerans potesse riguadagnare l'equilibrio, Hardman saltò sulla terrazza e scavalcò il parapetto.
"Hardman!" Kerans raggiunse la terrazza proprio mentre uno degli uomini di guardia sul tetto lanciava l'allarme. Hardman si calò come un acrobata lungo la grondaia fino al parapetto sottostante. Riggs e Macready si precipitarono nella stanza. Riggs si sporse dalla ringhiera e imprecò quando vide Hardman scomparire nell'appartamento sottostante.
"Bravo, Kerans. Era quasi riuscito a trattenerlo!" Insieme, tornarono di corsa nel corridoio e si precipitarono giù per le scale. Videro Hardman quattro piani più in basso che si lanciava da un pianerottolo all'altro con l'agilità di una scimmia.
Quando raggiunsero il livello dell'acqua Hardman aveva su di loro un vantaggio di trenta secondi e grida eccitate provenivano dal tetto dell'edificio. Riggs, però, si fermò sulla terrazza.
"Buon dio, sta cercando di trascinare in acqua la zattera!"
Trenta metri più avanti, Hardman stava trascinando il catamarano sulla massa di fango quasi secco, la fune di traino avvolta intorno alle spalle, sollevando le prue gemelle nell'aria con demoniaca energia. Riggs richiuse la fondina, scuotendo tristemente la testa. C'erano cinquanta metri buoni per arrivare alla sponda, e Hardman era affondato fino alle ginocchia nel fango umido, del tutto incurante degli uomini che lo osservavano dal tetto. Finalmente gettò di lato la fune e afferrò la rete metallica con entrambe le mani, quindi cominciò a trascinarla con strattoni lenti e penosi, mentre il camice gli si lacerava sulla schiena. Riggs salì sulla terrazza, facendo cenno a Wilson e a Caldwell di scendere. "Povero diavolo. Sembra stremato. Dottore, resti nei paraggi: forse lei potrà riuscire a placarlo." Con cautela si avvicinarono a Hardman. I cinque uomini (Riggs, Macready, i due soldati e Kerans) avanzarono sulla crosta di fango, riparandosi gli occhi dalla luce abbacinante del sole. Come un bisonte ferito Hardman continuava a dibattersi nel fango a dieci metri da loro. Kerans fece cenno agli altri di fermarsi e poi avanzò insieme a Wilson, un giovane biondo che un tempo era stato l'attendente di Hardman. Chiedendosi che cosa avrebbe potuto dire al tenente, Kerans si schiarì la gola. Sul tetto alle loro spalle si udì il rombo improvviso di un motore che lacerò il silenzio del tableau. Pochi passi alle spalle di Wilson, Kerans esitò e vide Riggs, visibilmente infastidito, che sollevava lo sguardo sull'elicottero. Credendo che la loro missione fosse terminata, Daley aveva acceso il motore e ora le pale stavano ruotando lentamente nell'aria.
Distratto dal suo tentativo di raggiungere l'acqua, Hardman guardò il gruppo di uomini che lo circondava, lasciò la presa sulla zattera e vi si nascose dietro. Wilson cominciò ad arrancare faticosamente nel fango soffice vicino alla sponda, tenendo il fucile davanti al petto. Quando affondò fino alla vita, gridò qualcosa a Kerans, ma la sua voce si perse nel fragore crescente dell'elicottero. I gas di scarico si diffondevano scoppiettando sopra le loro teste. Improvvisamente Wilson barcollò e, prima che Kerans avesse il tempo di aiutarlo, Hardman si sporse sul catamarano con la Colt in pugno e aprì il fuoco. La vampata dello sparo solcò l'aria incandescente come la lama di un pugnale. Un istante dopo Wilson cadde in avanti con un gemito, quindi rotolò su un fianco tenendosi il gomito insanguinato, l'elmetto strappatogli dalla testa dall'impatto dell'esplosione.
Mentre gli altri cominciavano a indietreggiare sul pendio, Hardman si infilò la pistola nella cintura, si voltò e corse lungo la sponda verso gli edifici che si confondevano con la giungla a cento metri di distanza.
Inseguiti dal rombo crescente dell'elicottero gli uomini si gettarono all'inseguimento di Hardman, mentre Riggs e Kerans aiutavano Wilson, inciampando nelle impronte fradicie lasciate dagli altri. All'estremità del banco di sedimenti, la giungla si ergeva come una rupe verdeggiante, strato su strato di felci arboree e di licheni abbarbicati alle terrazze. Senza alcuna esitazione Hardman si tuffò in uno spazio angusto tra due antichi muri di pietra e scomparve nel vicolo, seguito a venti metri di distanza da Caldwell e Macready.
"Gli stia alle calcagna, sergente!" gridò Riggs quando Macready si fermò ad aspettarlo. "L'abbiamo quasi preso: sta cominciando a stancarsi." Poi confidò a Kerans: "Mio dio, che guaio!". Indicò vanamente la massiccia sagoma di Hardman che si allontanava a grandi passi. "Che cosa diavolo lo spinge? Mi sta venendo la tentazione di lasciarlo andare per i fatti suoi."
Wilson si era ripreso quel tanto che bastava perché potesse camminare senza aiuto, e Kerans lo lasciò e si mise a correre. "Andrà tutto bene, colonnello. Cercherò di parlare con Hardman: può darsi che io riesca a convincerlo."
Alla fine del vicolo emersero in una piccola piazza, dove un gruppo di edifici municipali del diciannovesimo secolo dominava un'antica fontana ornamentale. Magnolie e orchidee selvatiche si avvolgevano intorno alle grigie colonne ioniche del vecchio tribunale, un'imitazione in miniatura del Partenone con un portico riccamente ornato. Per il resto la piazza era sopravvissuta intatta agli assalti degli ultimi cinquant'anni, il suo livello ancora ben al di sopra di quello dell'acqua. Accanto al tribunale e al suo campanile privo di lancette si ergeva un secondo edificio, una biblioteca o un museo, le cui colonne bianche scintillavano al sole come una fila di immense ossa spolpate.
Si stava avvicinando il mezzogiorno, e il sole riempiva quell'antico forum di una luce aspra e bruciante. Hardman si fermò e si voltò incerto a guardare gli uomini che lo inseguivano, quindi salì barcollando i gradini che conducevano al tribunale. Rivolgendo un cenno a Kerans e a Caldwell, Macready indietreggiò fra le statue della piazza e prese posizione dietro la fontana.
"Dottore, adesso è troppo pericoloso! Potrebbe non riconoscerla. Aspetteremo finché la temperatura non si sarà abbassata: Hardman non può muoversi da lì. Dottore..."
Kerans lo ignorò. Avanzò lentamente sulle crepe del lastricato, entrambe le braccia levate a ripararsi gli occhi dal riverbero, e mise un piede sul primo gradino. Da qualche parte, tra le ombre, poteva udire il respiro affannoso ed esausto di Hardman.
Facendo tremare la piazza con il suo rombo, l'elicottero si librò sopra di loro. Riggs e Wilson salirono rapidamente i gradini verso l'ingresso del museo, osservando il rotore di coda che spingeva il velivolo a scendere in una spirale concentrica. L'azione combinata del frastuono e del calore martellava il cervello di Kerans, mentre nubi di polvere si sollevavano intorno a lui. Improvvisamente l'elicottero cominciò a perdere quota. Con una brusca accelerazione scivolò nell'aria sulla piazza e riguadagnò l'assetto di volo un istante prima di toccare il suolo. Chinandosi, Kerans si rifugiò insieme a Macready dietro la fontana, mentre il velivolo sussultava sopra le loro teste. Mentre ruotava, il rotore di coda colpì il colonnato del tribunale e, in un'esplosione di schegge di marmo, l'elicottero si inclinò e cadde pesantemente sul selciato, mentre le pale di coda ruotavano fuori asse. Daley spense il motore e rimase seduto ai comandi, semistordito dall'impatto con il suolo, cercando invano di liberarsi dalla cintura di sicurezza.
Frustrati per quel secondo tentativo andato a vuoto di catturare Hardman, gli uomini si accovacciarono all'ombra del colonnato del museo, aspettando che il sole calasse dallo zenit. Come fossero illuminati da enormi riflettori, un bagliore bianco e accecante accendeva le facciate degli edifici intorno al perimetro della piazza facendoli assomigliare all'immagine di una fotografia sovraesposta e ricordando a Kerans le colonne bianche di una necropoli egizia. Mentre il sole si avvicinava allo zenit, la luce riflessa cominciò a splendere dal selciato. Di tanto in tanto, mentre curava Wilson e gli calmava il dolore con qualche grano di morfina, Kerans poteva vedere gli altri uomini che montavano la guardia in attesa di Hardman, facendosi piano aria con i berretti.
Dieci minuti più tardi, poco dopo mezzogiorno, sollevò lo sguardo sulla piazza. Completamente oscurati dal bagliore e dal riverbero, gli edifici dalla parte opposta non erano più del tutto visibili: svanivano e riapparivano nell'aria come l'architettura di una città fantasma. Al centro della piazza, vicino all'orlo della fontana, c'era una figura alta e solitaria, ingrandita e resa fluttuante dai gradienti termici che ne variavano la prospettiva ogni pochi secondi. Il viso cotto dal sole di Hardman era ora bianco come gesso e i suoi vestiti macchiati di fango scintillavano nella luce accecante come drappi d'oro. Kerans si sollevò sulle ginocchia, aspettando che Macready gli saltasse addosso. Ma il sergente, con Riggs al suo fianco, era appoggiato a una colonna e aveva lo sguardo perso nel vuoto come se fosse addormentato o in trance.
Allontanandosi dalla fontana, Hardman attraversò lentamente la piazza, entrando e uscendo dalle cortine semoventi di luce. Passò a meno di dieci metri da Kerans, che era nascosto dietro la colonna e con una mano sulla spalla di Wilson cercava di acquietare il borbottio dell'uomo dolorante. Evitando l'elicottero, Hardman raggiunse l'estremità opposta del tribunale e lasciò la piazza, camminando con passo fermo su un angusto declivio verso i banchi di sedimenti che si allungavano sulla sponda a cento metri di distanza. Come per prendere atto della sua fuga, la luce del sole diminuì per un istante. "Colonnello Riggs!"
Macready si lanciò giù dai gradini, riparandosi gli occhi dal riverbero, e puntò il fucile sul banco di sedimenti. Riggs lo seguì, stanco e scoraggiato.
Afferrò Macready per un braccio, trattenendolo. "Lo lasci andare, sergente. Non riusciremmo più a prenderlo comunque. E, in ogni caso, non mi sembra che servirebbe a molto." A una distanza di sicurezza di oltre duecento metri, Hardman avanzava ancora senza mostrare alcun segno di cedimento, per nulla intimorito dal calore insopportabile. Raggiunse la prima cresta, parzialmente nascosta dalle enormi nubi di vapore che gravavano al centro della distesa di fango, e svanì in una fitta nebbia. I banchi senza fine del mare interno gli si stendevano di fronte, confondendosi alle estremità con il cielo incandescente in modo che a Kerans sembrò che Hardman stesse camminando su dune di cenere rovente direttamente nelle fauci spalancate del sole.
Per le due ore successive, rimase seduto in silenzio all'interno del museo, aspettando l'arrivo della motolancia e ascoltando il borbottio irritato di Riggs e le zoppicanti scuse di Daley. Esausto per il calore, Kerans cercò di dormire, ma lo sparo di una carabina gli penetrò nel cervello come il rombo di un tuono. Attratte dal rumore dell'elicottero, una ventina di iguane si erano avvicinate e ora stavano scivolando oltre i confini della piazza, lanciando le loro grida stonate agli uomini seduti sui gradini del museo. Le loro voci stridule colmarono Kerans di un cupo terrore che persistette anche dopo l'arrivo della motolancia e durante tutto il viaggio di ritorno verso la base. Seduto nella relativa frescura sotto la reticella metallica e con le sponde verdeggianti del canale che scivolavano ai lati dell'imbarcazione, poteva ancora udire i loro rauchi latrati.
Una volta alla base, sistemò Wilson nell'infermeria, quindi cercò il dottor Bodkin e gli descrisse minuziosamente gli eventi di quella mattina, accennando soltanto di sfuggita alle voci delle iguane. Enigmaticamente, Bodkin annuì tra sé e commentò: "Stia attento, Robert: potrebbe udirle di nuovo". Sulla fuga di Hardman, invece, non fece alcun commento.
Il catamarano di Kerans era ancora ormeggiato sulla sponda opposta della laguna, e così il giovane biologo decise di passare la notte nella sua cabina al laboratorio. Qui trascorse un pomeriggio tranquillo, covando qualche linea di febbre nella sua cuccetta e pensando a Hardman e alla sua strana odissea verso sud. Pensò anche ai banchi di sedimenti che scintillavano come oro liquido al sole di mezzogiorno, al tempo stesso proibiti e invitanti come le spiagge perdute e irraggiungibili, ma eternamente allettanti, del paradiso amniotico. Discesa nel tempo profondo
Più tardi, quella notte, mentre giaceva addormentato nella sua cuccetta al laboratorio biologico e le acque scure della laguna si muovevano pigramente tra i resti della città sommersa, Kerans ebbe il primo sogno. Era uscito dalla sua cabina e si era incamminato sul ponte, guardando il disco nero e luminoso della laguna che si stendeva oltre il parapetto. Dense nubi di gas opaco mulinavano nel cielo a soltanto poche centinaia di metri di altezza. Attraverso quelle nubi, Kerans poteva distinguere la sagoma di un sole gigantesco. Ardendo da lontano, l'astro inviava raggi smorti e pulsanti sulla laguna, accendendo per un attimo le alte rupi di pietra calcarea che avevano preso il posto delle facciate bianche degli edifici. Riflettendo quei lampi intermittenti, il profondo catino d'acqua emanava un bagliore diffuso e opalescente, la luce riflessa da miriadi di minuscoli animali fosforescenti che si spostavano aggregati in densi branchi, come una successione di aloni sommersi. Tra i branchi, l'acqua era ispessita da migliaia di serpenti e anguille avvinghiati quasi l'uno all'altro a lottare in nodi frenetici che spesso rompevano la superficie della laguna.
Mentre il sole immenso pulsava sempre più vicino, colmando quasi l'intera volta del cielo, la densa vegetazione lungo le rupi calcaree si scostò bruscamente, rivelando le teste nere e grigiastre di enormi lucertole triassiche. Caracollando verso gli orli delle rupi, i rettili cominciarono a ruggire furiosamente in direzione del sole; il frastuono crebbe fino a divenire praticamente indiscernibile dalla pulsazione vulcanica delle vampe solari. Kerans avvertì la potentissima calamita ipnotica dei rettili urlanti pulsare dentro di sé allo stesso ritmo del suo cuore e, fatto un passo avanti, si immerse nel lago, le cui acque, ora, sembravano essere una mera estensione del suo flusso sanguigno. E, mentre il rombo cupo cresceva e cresceva di intensità, Kerans sentì dissolversi le barriere che dividevano le sue cellule dall'elemento che lo circondava e continuò a nuotare, espandendosi all'esterno nell'acqua nera e martellante...
Si svegliò nella soffocante scatola di metallo della sua cabina, con la testa che gli doleva immensamente, troppo esausto anche solo per fare lo sforzo di aprire gli occhi. Persino quando si sollevò a sedere sul letto per sciacquarsi il viso con l'acqua tiepida della brocca continuò a vedere davanti a sé l'immane disco infiammato di quel sole spettrale e a udire il frastuono terrificante delle sue pulsazioni. Calcolandone gli intervalli, si rese conto che avevano la medesima frequenza del suo battito cardiaco... anche se, in qualche strana maniera, erano amplificate in modo che restassero appena al di sopra della soglia auditiva, riverberando oscuramente sulle pareti metalliche e sul soffitto della cabina come il mormorio sussurrante di qualche cieca corrente pelagica che si frange sullo scafo di un sottomarino. I suoni continuarono a perseguitarlo quando aprì la porta della cabina e si inoltrò nel corridoio che portava alla cambusa. Erano passate da poco le sei del mattino e il laboratorio biologico era solcato da un silenzio vagamente irreale, con le prime luci dell'alba fasulla che illuminavano i polverosi banconi da lavoro e le casse sistemate sotto i bocchettoni di ventilazione nei corridoi. Kerans si fermò diverse volte per cercare di scrollarsi di dosso gli echi che seguitavano a rimbombargli nelle orecchie, chiedendosi con una punta di disagio quale fosse la vera identità dei suoi nuovi persecutori. Il suo inconscio si stava lentamente trasformando in un pantheon stracolmo di fobie e di ossessioni tutelari che, come telepatici incapaci di controllo, si accanivano sulla sua psiche già sovraccarica. Presto o tardi, gli stessi archetipi si sarebbero inquietati e avrebbero cominciato a lottare l'uno con l'altro, anima con persona, ego contro es... Poi, quasi d'improvviso, gli sovvenne che Beatrice Dahl aveva avuto lo stesso sogno e quel pensiero gli fu sufficiente per riprendersi un poco. Uscì sul ponte e guardò la guglia lontana del palazzo che si ergeva dalla parte opposta della laguna, cercando di decidere se prendere o meno a prestito una delle scialuppe ormeggiate al pontile e attraversare lo specchio d'acqua per andare da lei. Soltanto ora, dopo aver sperimentato personalmente uno dei sogni, si rendeva pienamente conto del coraggio e dell'autosufficienza che Beatrice, rifiutando anche il minimo accenno di comprensione, era riuscita a dimostrare. Eppure Kerans sapeva che, per qualche ragione che ancora non gli era chiara, era stato riluttante a concedere a Beatrice una reale comprensione, troncando le sue domande sugli incubi il più presto possibile e non offrendole mai alcun tipo di cura o di sedativo. Né, d'altro canto, aveva mai tentato di approfondire le osservazioni più o meno indirette di Bodkin e Riggs sui sogni e sui pericoli che essi costituivano, quasi avesse sempre saputo che un giorno o l'altro li avrebbe avuti anche lui e li accettasse come un elemento inevitabile della sua vita futura, come l'immagine della propria morte che ognuno di loro portava con sé nei luoghi più reconditi dell'animo. (Logico. Quale malattia ha una prognosi più certa e ineluttabile della vita stessa? Ogni mattina una persona dovrebbe dire ai suoi amici più cari: "Mi rammarico per la tua morte irrevocabile", come si dice a chiunque soffra di un male incurabile; non era forse proprio l'omissione universale di questo minimo gesto di simpatia e di comprensione a fornire il modello per l'innata riluttanza a discutere apertamente dei propri sogni?) Quando Kerans entrò in cambusa, trovò Bodkin seduto a tavola, intento a sorseggiare placidamente il caffè riscaldato nel grande bollitore scheggiato che troneggiava sul fornello. Gli occhi acuti del medico osservarono Kerans quasi con distacco mentre il biologo si lasciava cadere su una sedia e si massaggiava lentamente la fronte con una mano dalle dita tremanti.
"Quindi anche lei è entrato a far parte del club dei sognatori, Robert. Ha contemplato la fata morgana della laguna terminale. Ha l'aria stanca. Era molto profonda?"
Kerans si sforzò di ridacchiare. "Sta cercando di spaventarmi, Alan? Non lo so ancora, ma sembrava abbastanza profonda, sì. Dio, come vorrei non aver deciso di restare qui, ieri sera. Al Ritz non ci sono incubi." Sorseggiò pensosamente il caffè bollente. "Allora è di questo che sta parlando Riggs. Quanti dei suoi uomini hanno sogni di questo tipo?"
"Il colonnello, personalmente, non ne ha. Ma direi almeno la metà degli uomini presenti alla base. E Beatrice Dahl, naturalmente. Ormai li tengo sotto osservazione da tre mesi buoni. Si tratta praticamente dello stesso sogno ricorrente per ognuno di loro." Bodkin parlava con voce bassa e pacata, leggermente meno brusca del solito, come se Kerans fosse appena entrato a far parte di un gruppo di pochi, selezionati eletti. "È
riuscito a resistere per parecchio tempo, Robert: lo prenda come un complimento per la forza dei suoi filtri inconsci. Ci stavamo tutti chiedendo quando sarebbe arrivato anche lei." Sorrise. "In senso figurato, ovviamente. Non ho mai parlato dei sogni con nessuno. Con l'eccezione di Hardman... ed ecco che, povero diavolo, i sogni se lo sono preso." Poi, come se ci avesse pensato solo in quel momento, aggiunse: "Ha visto il sole: un'equazione con le pulsazioni cardiache? Il disco che facevo ascoltare a Hardman era una registrazione del suo stesso battito cardiaco, amplificato nella speranza di far precipitare la crisi e, forse, risolverla. La prego, non creda che io l'abbia mandato deliberatamente fuori nella giungla". Kerans annuì e guardò la sagoma tondeggiante della base che incombeva fuori della finestra. In alto, sul ponte principale, il sergente Daley, il secondo pilota dell'elicottero, era immobile accanto alla balaustra a fissare l'acqua fresca del primo mattino. Forse anche lui si era appena destato dallo stesso incubo e stava riempiendosi gli occhi con lo spettro verdastro della laguna nel vano tentativo di cancellarsi dalla mente l'immagine bruciante del sole triassico. Kerans abbassò lo sguardo sulle ombre scure che si allungavano sotto il tavolo e, ancora una volta, gli parve di intravedere il debole bagliore delle pozze fosforescenti. Nelle orecchie, come da un'enorme distanza, poteva udire ancora il sole che tambureggiava sull'acqua stagnante. Quando riuscì ad accantonare le sue prime paure, si rese conto che c'era qualcosa di tranquillizzante in quei suoni, qualcosa che aveva la medesima valenza rassicurante e incoraggiante del suo stesso battito cardiaco. Ma i rettili giganti l'avevano terrorizzato.
Ricordò le iguane che strillavano e si muovevano sui gradini del museo. Proprio come la distinzione tra i contenuti latenti e quelli manifesti del sogno aveva smesso di essere valida, così nel mondo esterno aveva perso di importanza ogni distinzione tra il reale e il surreale. Fantasmi inconsistenti scivolavano impercettibilmente dall'incubo alla realtà e di nuovo all'incubo, come era accaduto a Hiroshima e ad Auschwitz, sul Golgota e a Gomorra.
Per quanto scettico, disse a Bodkin: "Farebbe bene a prestarmi le sveglie di Hardman, dottore. O, meglio ancora, questa sera mi rammenti di prendere un fenobarbital".
"Non lo faccia," lo avvertì con fermezza Bodkin. "A meno che non voglia che l'impatto del sogno venga raddoppiato. I suoi residui di controllo conscio sono l'unica cosa che riesce ad arginare le immagini oniriche." Si abbottonò la camicia di cotone sul petto nudo. "Non era un sogno vero e proprio, Robert, ma un ricordo organico vecchio di milioni di anni."
Indicò il sole che stava salendo lentamente in cielo oltre la fitta barriera di gimnosperme. "I meccanismi di liberazione innati impressi nel suo citoplasma milioni di anni fa sono stati destati; il sole in espansione e la temperatura in aumento la stanno riportando giù, attraverso i livelli spinali, negli oceani più profondi sommersi negli strati più bassi del suo inconscio... nella zona completamente nuova della psiche neuronica. Questo è il transfert lombare, la memoria biopsichica totale. Noi ricordiamo davvero quelle paludi e quelle lagune. Tra qualche notte non avrà più paura dei sogni, nonostante la patina superficiale di orrore che li ricopre. È per questo motivo che Riggs ha ricevuto l'ordine di partire." "Il pelicosauro...?" domandò Kerans.
Bodkin annuì. "Lo scherzo è stato fatto a noi. Il motivo per cui a Camp Byrd non hanno preso sul serio il rapporto era semplicemente questo: il nostro avvistamento non era il primo a essere stato segnalato." Dei passi risuonarono sulla passerella e si spostarono rapidamente sul ponte di metallo, all'esterno. Il colonnello Riggs aprì le doppie porte, rasato di fresco e reduce da un'abbondante colazione. Li salutò agitando allegramente il bastone, guardando il mucchio di tazze non lavate e i suoi due malridotti subalterni.
"Dio, che porcile. Buongiorno a tutti e due. Abbiamo di fronte una giornata molto intensa, quindi alziamoci dalle sedie. Ho fissato l'orario di partenza alle dodici e zerozero di domani. L'ultimo imbarco è previsto per le dieci e zerozero. Non ho alcuna intenzione di sprecare una sola goccia di carburante più di quanto sia strettamente necessario, quindi lasciate qui tutto ciò da cui potete separarvi. Si sente bene, Robert?"
"Perfettamente," rispose Kerans con voce piatta, raddrizzando la schiena.
"Sono contento di sentirglielo dire. Ha un aspetto un po' sbattuto. Benissimo, allora. Se vuole prendere a prestito la motolancia per togliere i suoi effetti personali dal Ritz..." Kerans lo ascoltava automaticamente, osservando il sole che si levava maestoso alle spalle della sagoma gesticolante del colonnello. Ciò che li separava completamente, ora, era il semplice fatto che Riggs non aveva ancora visto il sogno, non aveva ancora avvertito il suo immenso potere allucinogeno. Stava ancora obbedendo alla ragione e alla logica, ronzando intorno al suo mondo sminuito e insignificante con la sua lista di ridicole istruzioni da impartire, come un'ape operaia in procinto di fare ritorno all'alveare. Dopo qualche istante, prese a ignorare del tutto le parole del colonnello e si mise ad ascoltare il profondo martellio subliminale che gli rombava nelle orecchie, gli occhi semichiusi per poter vedere la superficie scintillante del lago distendersi nell'oscurità sotto il tavolo.
Di fronte a lui, Bodkin sembrava essere intento a fare la stessa cosa, le mani intrecciate sul ventre. Quante volte, nel corso delle loro ultime conversazioni, era stato a chilometri e chilometri di distanza con la mente?
Quando Riggs se ne andò, Kerans lo seguì fino alla porta. "Ovviamente, colonnello, ogni cosa sarà pronta per tempo. Grazie della visita."
Mentre l'imbarcazione di Riggs si allontanava sulla laguna, Kerans tornò alla sua sedia. Per qualche minuto i due uomini si fissarono l'un l'altro, con gli insetti che rimbalzavano sempre più frequentemente contro la reticella metallica via via che il sole si alzava nel cielo. Alla fine fu Kerans a parlare per primo.
"Alan, non sono ancora sicuro se partirò o meno."
Senza rispondere, Bodkin prese il pacchetto di sigarette. Ne accese una con accuratezza, quindi si appoggiò allo schienale e cominciò a fumarla con calma. "Sa dove ci troviamo?" domandò dopo un istante di silenzio. "Sa come si chiama questa città?" Quando Kerans scosse la testa, riprese: "Una parte di essa si chiamava Londra, un tempo: non che la cosa abbia molta importanza. Però, abbastanza curiosamente, sono nato qui. Ieri sono andato fino al vecchio quartiere universitario, un ammasso di piccoli canali, e sono riuscito a trovare il laboratorio dove insegnava mio padre. Ci siamo trasferiti quando avevo sei anni, ma ricordo ancora perfettamente il giorno in cui mia madre mi ci portò. A duecento metri di distanza c'era un planetario... una volta ci ho visto uno spettacolo: è stato prima che fossero costretti a riallineare il proiettore. La grande cupola c'è ancora, sa? Almeno sei o sette metri sotto il livello dell'acqua. Sembra un'enorme conchiglia, con le alghe che ormai la ricoprono quasi per intero... una conchiglia presa pari pari da quel vecchio libro per bambini, ricorda?, The Water Babies. E, stranamente, è stato come se guardare quella cupola sommersa avvicinasse al presente il tempo della mia infanzia. A dire la verità, l'avevo più o meno dimenticato... alla mia età, tutto ciò che resta sono i ricordi dei ricordi. Dopo esserci trasferiti, la mia esistenza divenne praticamente quella di un nomade, e in un certo senso questa città è l'unica casa che io abbia mai avuto...". Si interruppe bruscamente, il viso contratto in un'espressione di stanchezza improvvisa.
"Continui," disse Kerans con voce calma.
L'arca sommersa
I due uomini si spostarono rapidamente sul ponte, senza far rumore con le scarpe dalle suole imbottite. Il cielo biancastro della mezzanotte era come sospeso sulla superficie scura della laguna; alcuni cirrocumuli immobili assomigliavano a galeoni fantasma. I suoni cupi della giungla notturna scivolavano sull'acqua; di tanto in tanto, una callitricida gridava, mentre le iguane strillavano in lontananza dalle loro tane nei grattacieli semisommersi. Miriadi di insetti banchettavano lungo la linea dell'acqua momentaneamente disturbati quando la risacca si frangeva contro la base, schiaffeggiando le paratie laterali del pontile. Kerans cominciò a sciogliere gli ormeggi uno dopo l'altro, approfittando della risacca per sganciare le gomene dalle bitte arrugginite. Mentre il laboratorio biologico si allontanava lentamente, Kerans sollevò lo sguardo ansiosamente sulla sagoma scura della base. Gradatamente, le tre pale dell'elicottero si resero visibili sul ponte superiore, seguite dal profilo aerodinamico del rotore di coda. Kerans si interruppe prima di sciogliere l'ultima cima, aspettando che Bodkin gli desse il segnale di via libera dal ponte di tribordo. Nel frattempo, la tensione della gomena era raddoppiata e a Kerans occorsero diversi minuti per riuscire a togliere il cappio metallico dal bordo incurvato della bitta: la risacca gli dava qualche centimetro di gioco quando il laboratorio si inclinava, seguito un istante più tardi dalla base. Sopra di lui, poteva udire Bodkin che sussurrava impaziente; avevano svoltato direttamente nell'angusto passaggio alle loro spalle e ora avevano la prua rivolta verso la laguna, l'unica luce nell'attico di Beatrice splendeva in lontananza. Kerans finalmente riuscì a liberare la cima e lasciò cadere il pesante cavo nell'acqua immobile un metro più in basso, osservandolo fluttuare verso la base. Liberato dal fardello, e con il centro di gravità aumentato dal peso dell'elicottero sul tetto, l'enorme galleggiante ruotò di ben cinque gradi dalla verticale, quindi riacquistò gradatamente il giusto assetto. In una delle cabine si accese una luce che però si spense dopo pochi istanti. Kerans afferrò il gancio sul ponte accanto a lui mentre l'intervallo d'acqua si ampliava, prima a una larghezza di venti metri, poi di cinquanta. Una debole corrente si spostava incessantemente tra le lagune e li avrebbe riportati senza dubbio sulla sponda dove avevano attraccato al loro primo approdo.
Usando il gancio per allontanare il laboratorio galleggiante dagli edifici più vicini, spezzando di tanto in tanto le felci che fuoriuscivano dalle finestre, ben presto coprirono una distanza di duecento metri, rallentando quando la corrente diminuì in prossimità dell'ansa e infine fermandosi in una caletta di circa cento metri quadrati.
Kerans si sporse dal parapetto, guardando il piccolo cinema la cui sagoma si profilava indistintamente sei o sette metri sotto la superficie, il tetto piatto fortunatamente sgombro di gabbiotti di ascensori o di scale antincendio. Facendo cenno a Bodkin che lo osservava dal ponte superiore, entrò nel laboratorio e si fece strada oltre le casse e le vasche dei campioni organici e raggiunse la passerella che conduceva alla linea di galleggiamento.
Sulla chiglia era stato costruito soltanto un boccaporto ma, quando Kerans ruotò la valvola, un potente getto di acqua fredda e schiumante gli si avventò contro le gambe. Quando fece ritorno sul ponte inferiore per effettuare un ultimo controllo del laboratorio, l'acqua gli arrivava già alle caviglie e fluiva tra le vasche e i banconi. Rapidamente, Kerans liberò la scimmietta dalla gabbia metallica e la spinse con forza attraverso una delle finestre. Il laboratorio affondava come un ascensore, e Kerans arrancò, con l'acqua che ormai gli arrivava ai fianchi, fino alla passerella per poi arrampicarsi sul ponte superiore dove Bodkin stava osservando con espressione esultante le finestre degli edifici vicini che si innalzavano nell'aria. Si fermarono a circa un metro sotto il livello del ponte superiore, su una piattaforma che forniva un comodo accesso al ponte di tribordo. Sotto di loro, potevano udire debolmente l'aria intrappolata che fuoriusciva in grosse bolle dalle storte e dagli alambicchi del laboratorio; una macchia oleosa e spumeggiante si allargò sull'acqua, proveniente da una finestra ormai sommersa accanto al banco dov'erano posati i reagenti chimici.
Kerans osservò le bolle color indaco scoppiare e dissolversi, pensando ai grafici e ai diagrammi che stavano affondando mentre abbandonava il laboratorio: un commento perfetto, quasi cabarettistico, ai meccanismi biofisici che i diagrammi cercavano di descrivere e che, forse, simbolizzavano le incertezze che li attendevano ora che lui e Bodkin si erano praticamente costretti a non partire. Ora stavano per entrare in acque sconosciute, guidati soltanto da poche regole empiriche e imprecise. Kerans prese un foglio di carta dalla macchina per scrivere nella sua cabina e lo fissò con quattro puntine alla porta della cambusa. Bodkin appose la sua firma al messaggio, quindi i due uomini uscirono per l'ultima volta sul ponte e calarono in acqua il catamarano di Kerans.
Remando lentamente, con l'elica del fuoribordo tenuta accuratamente sopra il pelo dell'acqua, scivolarono silenziosamente sullo specchio nero della laguna, scomparendo ben presto nell'oscurità che avviluppava le sponde.
Accompagnato da un fragore assordante e dalla corrente d'aria discendente che sventagliava furiosamente l'acqua della piscina tentando di strappare il tendone del patio, l'elicottero girava in cerchio sopra l'attico, alzandosi e abbassandosi repentinamente in cerca di un punto per atterrare. Kerans sorrise tra sé mentre osservava il velivolo da dietro i pannelli di plastica posti al di sopra delle finestre del salone, sicuro del fatto che la piramide malsicura di bidoni vuoti di carburante che lui e Bodkin avevano impilato sul tetto avrebbe scoraggiato ogni tentativo del pilota. Un paio di bidoni cadde sul patio e rotolò nella piscina. L'elicottero si allontanò e poi si avvicinò di nuovo, questa volta più lentamente, rimanendo sospeso a pochi metri dal tetto. Il pilota, il sergente Daley, fece ruotare il velivolo in modo che il portello della cabina si venisse a trovare di fronte alle finestre del salone. Un istante dopo Riggs apparve nel portello, affiancato da due soldati che lo tenevano mentre armeggiava con il megafono.
Beatrice Dahl corse vicino a Kerans dal suo posto di osservazione all'estremità opposta della sala, usando entrambe le mani per proteggersi le orecchie dal fragore.
"Robert, sta cercando di dirci qualcosa!"
Kerans annuì. La voce del colonnello era completamente soffocata dal rombo del motore. Quando Riggs finì di parlare, l'elicottero si levò indietreggiando e si librò sulla laguna, portando con sé il rumore e le vibrazioni.
Kerans passò un braccio intorno alle spalle di Beatrice. La pelle della donna, nuda e ricoperta di crema, era liscia sotto le sue dita. "Be', credo proprio di avere un'idea di ciò che stava dicendo." Uscirono sul patio, salutando con un cenno Bodkin che era apparso in quel momento dal gabbiotto dell'ascensore ed era intento a raddrizzare la piramide di bidoni. Sotto di loro, dalla parte opposta della laguna, il ponte superiore del laboratorio biologico semiaffondato usciva dall'acqua, circondato da uno sciame di fogli di appunti che gli galleggiavano intorno come remore intorno al corpo di una balena. In piedi accanto alla ringhiera, Kerans indicò lo scafo giallognolo della base ormeggiata accanto al Ritz nella più lontana delle tre lagune principali.
Dopo un vano tentativo di riportare a galla il laboratorio, Riggs si era mosso a mezzogiorno come pianificato in precedenza, inviando la motolancia al palazzo dove supponeva che i due biologi si fossero nascosti. Trovando l'ascensore fuori uso, i suoi uomini si erano rifiutati di salire a piedi i venti piani del palazzo (già alcune iguane avevano eletto i primi pianerottoli a loro nido), e così Riggs, alla fine, aveva cercato di raggiungerli con l'elicottero. Fallito anche quel tentativo, stava ora saccheggiando il Ritz. "Grazie a dio se n'è andato," disse febbrilmente Beatrice. "Quell'uomo ha qualcosa che mi dà sui nervi."
"Non hai fatto proprio niente per nasconderlo. Sono sorpreso che non abbia tentato di spararti." "Ma, caro, era assolutamente insopportabile. Con quel suo labbro sempre imbronciato... sempre vestito come se dovesse andare a una cena di gala nella giungla... direi una totale mancanza di spirito di adattamento."
"Riggs era un tipo a posto," commentò pacatamente Kerans. "Probabilmente se la caverà." Soltanto ora che Riggs se ne era andato Kerans si rendeva pienamente conto di quanto fosse stato dipendente dall'allegria e dal buon umore del colonnello. Senza di lui il morale della squadra si sarebbe disintegrato nello spazio di pochi minuti. Restava da vedere se Kerans sarebbe riuscito a infondere al suo piccolo trio lo stesso grado di sicurezza e di determinazione. Senza ombra di dubbio, infatti, spettava a lui assumere il ruolo del leader: Bodkin era troppo vecchio, Beatrice troppo presa da se stessa. Diede un'occhiata al termoallarme che portava al polso accanto all'orologio. Erano passate le tre e mezzo, ma la temperatura era ancora ben oltre i quaranta gradi. Il sole gli picchiava sulla pelle come un pugno inferocito. Lui e Beatrice raggiunsero Bodkin ed entrarono nel salone.
Riprendendo il consiglio di guerra interrotto dall'arrivo dell'elicottero, Kerans disse: "Hai ancora circa quattromila litri di carburante nel serbatoio sul tetto, Bea, quello che serve per circa tre mesi... o forse sarebbe meglio dire due se, come mi aspetto, la temperatura crescerà ulteriormente... per cui ti consiglio vivamente di chiudere il resto dell'appartamento e di trasferirti qui nel salone. Sei sul lato nord del patio, quindi la tromba dell'ascensore ti proteggerà a sufficienza dalle piogge torrenziali che arriveranno portate dalle tempeste meridionali. Sono pronto a scommettere dieci a uno che le imposte e gli infissi della camera da letto non riusciranno a resistere. Che mi dice del cibo, Alan? Quanto dureranno le provviste immagazzinate nel congelatore?".
Bodkin assunse un'espressione disgustata. "Be', dato che la maggior parte delle lingue d'agnello in salmi stata mangiata, le provviste ora consistono per la maggior parte in manzo, quindi si può dire
'indefinitivamente'. Comunque, se voi due avete davvero intenzione di mangiare quella roba, direi circa sei mesi... ma, personalmente, preferisco di gran lunga la carne di iguana."
"Senza dubbio le iguane preferirebbero mangiare noi. Allora d'accordo, mi sembra una situazione abbastanza positiva. Alan starà al laboratorio finché il livello dell'acqua non salirà ulteriormente, io alloggerò
al Ritz come sempre. Qualcuno ha altro da dire?"
Beatrice girò intorno al divano, diretta verso il bar. "Sì, caro. Sta' zitto. Stai cominciando a parlare come Riggs. L'aria militaresca non ti dona affatto."
Kerans le rivolse un finto saluto militare e si allontanò per osservare il dipinto di Ernst appeso dalla parte opposta del salone, mentre Bodkin, alla finestra, osservava la giungla sottostante. Le due scene stavano cominciando ad assomigliarsi sempre più e, soprattutto, ad assomigliare sempre più al terzo paesaggio che ognuno di loro si portava nella mente. Non discutevano mai dei loro sogni, della condivisa zona crepuscolare che tutti e tre esploravano nottetempo come i fantasmi del dipinto di Delvaux. Beatrice si era seduta sul divano volgendogli le spalle e, d'un tratto, Kerans capì che l'unità attuale del terzetto non sarebbe durata a lungo. Beatrice aveva ragione quando diceva che i modi di fare militareschi non gli si addicevano minimamente: il suo era un carattere troppo passivo e introverso, troppo rivolto verso se stesso. E, cosa ancor più importante, stavano entrando in una zona del tutto nuova, dove gli obblighi e i doveri consueti non avevano più alcuna utilità. Ora che avevano finalmente preso la loro decisione, i legami che li univano già cominciavano ad allentarsi, e il fatto che avessero deciso di vivere separati non era dovuto soltanto a ragioni di convenienza. Per quanto Kerans avesse bisogno di Beatrice Dahl, la personalità della donna si insinuava con troppa forza nell'assoluta libertà di cui il giovane biologo necessitava per se stesso. Di conseguenza ognuno di loro avrebbe dovuto seguire il proprio cammino personale attraverso le giungle del tempo, segnandosi da sé i propri punti di non ritorno. Anche se si sarebbero visti di tanto in tanto, in giro per le lagune o al laboratorio biologico, l'unico loro vero luogo d'incontro sarebbe stato nei sogni. Ilcarnevale degli alligatori
Il silenzio che regnava sulla laguna nelle prime ore del mattino si frantumò d'improvviso, squarciato da un rombo immane: l'impatto tremendo del rumore si abbatté oltre le finestre della suite dell'albergo.
Con uno sforzo, Kerans si alzò dal letto e inciampò sui libri sparsi disordinatamente sul pavimento della camera. Aprì con un calcio la porta di rete metallica e uscì sulla terrazza appena in tempo per vedere un grosso idrovolante bianco che procedeva a gran velocità sulla laguna, con i due pattini che scavavano onde perfettamente delineate di schiuma biancastra. Quando le onde si infransero contro la facciata dell'albergo, disturbando le colonie di ragni acquatici e i pipistrelli annidati sotto le travi marcescenti, Kerans riuscì a intravedere la sagoma massiccia di un uomo nella cabina di pilotaggio. L'uomo, in piedi dietro la cloche, indossava un casco e una giacca a vento bianca.
Pilotava l'idrovolante con disinvolta noncuranza, accelerando i due potenti motori a turbina montati di fronte a lui quando lo scafo incontrava le onde della laguna: in conseguenza di ciò, l'idrovolante si alzava e si abbassava sull'acqua come una motonave in un mare in tempesta, sollevando geyser di goccioline iridescenti. L'uomo ondeggiava con il moto dello scafo, le lunghe gambe piegate e rilassate come quelle di un auriga in completo controllo dei propri cavalli.
Nascosto dietro i calamiti che ora ricoprivano la terrazza (da tempo, ormai, lo sforzo di tagliare i viticci gli sembrava del tutto inutile), Kerans osservò l'uomo senza essere visto. Mentre l'idrovolante accelerava per compiere un secondo giro della laguna, Kerans intravide un profilo autoritario, occhi e denti brillanti, il viso allargato in un'espressione di esilarata conquista.
I cilindri argentei di una cartucciera gli scintillavano alla vita e, quando l'uomo raggiunse la sponda opposta della laguna, si udì una serie di brevi esplosioni. I bengala di segnalazione scoppiarono a venti metri dall'acqua, aprendosi in larghi ombrelli rossi che sputarono frammenti incandescenti sulla riva. Con un ultimo strappo di energia e i motori urlanti per lo sforzo, l'idrovolante abbandonò la laguna del Ritz e imboccò il canale che conduceva alla laguna successiva, aggredendo il fogliame con la propria scia. Kerans si aggrappò alla ringhiera della terrazza, osservando la superficie della laguna che cercava di riaccomodarsi nella sua consueta posizione levigata e immobile; gli alberi giganti sulle rive si agitavano ancora per il vento improvviso. Un sottile ricciolo di vapore rossastro si allontanò verso nord, dissolvendosi insieme al rombo dell'idrovolante. Quell'irruzione violenta di energia e di rumore e l'arrivo di quella figura strana vestita di bianco avevano temporaneamente sconcertato Kerans, scuotendolo rudemente dal suo pigro torpore.
Nelle sei settimane che erano trascorse dalla partenza di Riggs, Kerans aveva vissuto per lo più in solitudine nella sua suite del Ritz, immergendosi sempre più nel mondo silenzioso della giungla circostante. L'aumento continuo della temperatura (ora il termoallarme sulla terrazza registrava una massima di cinquantadue gradi) e l'umidità snervante rendevano praticamente impossibile lasciare l'albergo dopo le dieci del mattino: le lagune e la giungla erano letteralmente infuocate fino alle quattro del pomeriggio e, a quell'ora, solitamente Kerans era troppo esausto per fare qualsiasi altra cosa che non fosse ritornare a letto. Restava seduto tutto il giorno dietro le imposte chiuse della suite, ascoltando nell'ombra i movimenti della reticella metallica che si espandeva e si contraeva a seconda del variare della temperatura. Tutt'intorno alla laguna, molti edifici erano già scomparsi nell'abbraccio aggrovigliato e inesorabile della vegetazione: immense selaginelle e alti calamiti avevano cancellato le facciate bianche e rettangolari, nascondendo gli enormi lucertoloni che avevano fatto il nido nelle finestre sfondate.
Oltre la laguna, la distesa infinita di sedimenti aveva cominciato ad accumularsi in enormi banchi scintillanti che qua e là superavano in altezza le sponde, come immensi resti di antiche miniere d'oro. La luce gli martellava il cervello, inondando i livelli sommersi sotto la sua soglia di coscienza e trascinandolo verso il basso in calde profondità traslucide dove le realtà puramente nominali del tempo e dello spazio cessavano di esistere. Guidato dai propri stessi sogni, Kerans si stava muovendo a ritroso attraverso il passato emergente in un susseguirsi di paesaggi sempre più strani che avevano la laguna come fulcro, ognuno dei quali, come aveva detto Bodkin, sembrava rappresentare un differente livello spinale. A volte il cerchio d'acqua era spettrale e vibrante, altre volte pigro e stagnante, le sponde apparentemente formate da scaglie come la pelle cupa e metallescente di un rettile. Altre volte ancora, invece, le spiagge splendevano invitanti di una rilucente patina carminio, il cielo caldo e terso, il deserto delle lunghe distese di sabbia totale e assoluto, colmandogli l'animo di un'angoscia tenera e squisita. Kerans bramava con tutto il proprio essere di raggiungere la conclusione di quella discesa nel tempo archeopsichico, reprimendo la consapevolezza che, quando ci fosse effettivamente riuscito, il mondo esterno gli sarebbe divenuto alieno e insopportabile.
A volte compilava febbrili annotazioni nel suo diario botanico sulle nuove forme di vita vegetali che osservava e, nel corso delle prime settimane, si era recato diverse volte dal dottor Bodkin e da Beatrice Dahl. Ma entrambi erano sempre più presi dalla loro personalissima discesa nel tempo totale. Bodkin si era smarrito nei suoi sogni a occhi aperti, vagando senza meta per i canali in cerca del mondo sommerso della sua infanzia. Una volta Kerans l'aveva trovato appoggiato a un remo della sua piccola imbarcazione metallica a fissare con sguardo vitreo gli edifici immobili che si ergevano intorno a lui. Aveva guardato Kerans come se non lo vedesse, senza nemmeno rispondere al suo saluto.
Tuttavia, nel suo rapporto con Beatrice, sotto una patina superficiale di estraneità, resisteva un legame intatto e incrollabile, una tacita consapevolezza dei loro rispettivi ruoli simbolici. Altri bengala esplosero sulla laguna accanto, illuminando il laboratorio e il palazzo occupato da Beatrice. Quando le luminose palle di fuoco chiazzarono il cielo, Kerans sollevò una mano a proteggersi gli occhi. Pochi secondi dopo, a diversi chilometri di distanza tra i banchi di sedimenti che si stendevano a sud, salì in cielo una serie di lampi di risposta, deboli bagliori che subito si dispersero. E così, lo sconosciuto che pilotava l'idrovolante non era solo. All'idea di quell'invasione imminente, Kerans trovò in sé forze inaspettate. La distanza che separava i segnali di risposta era abbastanza ampia da indicare la presenza di due o più gruppi di persone, indice evidente che l'idrovolante era semplicemente un veicolo di ricognizione.
Sigillando la porta di rete metallica alle sue spalle, Kerans rientrò nella suite, prendendo la giacca dalla spalliera della sedia. Spinto dalla forza dell'abitudine, andò in bagno e rimase per qualche istante davanti allo specchio, passandosi meccanicamente una mano sulla barba di una settimana. I peli erano bianchi come perle e, insieme al color ebano della sua pelle e all'espressione introspettiva del suo sguardo, gli davano l'aspetto di un raffinato vagabondo. Dal distillatore malconcio posto sul tetto era gocciolato un secchio di acqua sporca: Kerans ne prese un po' e si spruzzò la faccia, un atto compiuto, per quanto ne sapeva, anch'esso per pura forza dell'abitudine.
Adoperando il gancio di ormeggio per allontanare due piccole iguane che occupavano il pontile, fece scivolare il catamarano nell'acqua e salpò, con il piccolo motore fuoribordo che lo spingeva a velocità costante sull'acqua melmosa. Enormi agglomerati di alghe si muovevano sotto lo scafo e ditischi e ragni acquatici fuggivano di fronte alle prue gemelle. Le sette del mattino erano passate da pochi minuti e la temperatura era di soli venticinque gradi, relativamente fresca e piacevole, l'aria ancora libera dagli enormi nugoli di zanzare che di lì a poco sarebbero uscite dai loro nascondigli richiamate dal calore. Mentre Kerans percorreva il canale lungo un centinaio di metri che sfociava nella laguna più a sud, altri bengala esplosero sopra la sua testa, e poteva udire l'idrovolante che andava avanti e indietro e, di tanto in tanto, riusciva a intravedere la sagoma vestita di bianco del pilota. All'imbocco della laguna Kerans spense il fuoribordo e scivolò silenziosamente sotto le fronde delle felci, guardandosi attentamente intorno per timore delle serpi acquatiche eventualmente disturbate dalla scia del catamarano. Venticinque metri più avanti, tirò in secca il catamarano tra le piante che crescevano sul tetto di un grande magazzino, quindi risalì lo spiovente di cemento fino a raggiungere una scala antincendio sul lato dell'edificio adiacente. Salì i cinque piani che lo separavano dal tetto piatto, raggiunto il quale si sdraiò dietro un basso parapetto, sollevando lo sguardo sulla vicina sagoma del palazzo occupato da Beatrice. L'idrovolante stava virando rumorosamente accanto a una piccola insenatura dalla parte opposta della laguna, con il pilota che lo spingeva avanti e indietro come un esperto cavaliere che doma il suo stallone. Altri bengala stavano salendo in cielo, e alcuni di essi distavano meno di cinquecento metri. Mentre osservava la scena, Kerans udì un ruggito cupo ma crescente, un rauco verso animalesco non dissimile dallo strillo emesso dalle iguane. Il suono si avvicinava sempre più, mescolandosi al ronzio dei motori e seguito dal rumore inconfondibile della vegetazione che veniva abbattuta e calpestata. Con un senso di sgomento, Kerans vide che, lungo il corso del canale, le enormi felci venivano falciate una dopo l'altra: i rami si agitavano nell'aria prima che le piante crollassero come le tessere di un gigantesco domino. Qualcosa stava facendo a pezzi l'intera giungla. Sciami di pipistrelli si alzarono nell'aria e si dispersero freneticamente sulla laguna, le loro strida soffocate dal rombo delle turbine in accelerazione dell'idrovolante e dalle esplosioni dei bengala.
Improvvisamente l'acqua all'imbocco del canale si sollevò di diversi metri verso il cielo e ciò che sembrava un enorme ammasso di tronchi si abbatté sulla superficie, sradicando le piante prima di irrompere nella laguna. Un Niagara in miniatura di acqua schiumante eruppe verso l'esterno, propulso dalla pressione della marea retrostante su cui comparvero tre scafi neri e squadrati simili alla lancia del colonnello Riggs. Sulla prua delle imbarcazioni erano dipinti giganteschi occhi di drago e zanne acuminate resi ancor più terrificanti dalla vernice scrostata. Guidati da una decina di uomini dalla pelle scura in calzoncini e maglietta, i natanti si diressero a gran velocità verso il centro della laguna, mentre gli ultimi bengala venivano sparati dalle prue nell'eccitazione generale.
Quasi assordato dal frastuono, Kerans abbassò lo sguardo sul vasto sciame di lunghe forme brune che nuotavano minacciose nell'acqua ribollente accanto alle imbarcazioni, sferzando la schiuma con le code possenti. Erano i più grossi alligatori che Kerans avesse mai visto, molti di loro lunghi più di sette metri si azzannavano ferocemente cercando di raggiungere il centro della laguna, raccogliendosi in branco intorno all'idrovolante ora fermo. L'uomo vestito di bianco era al portello della cabina, con le mani sui fianchi, a fissare con aria esultante la sua progenie anfibia. Agitò pigramente una mano per salutare gli equipaggi delle tre barche, quindi indicò la laguna, per mostrar loro dove avrebbero gettato le ancore. Mentre i suoi luogotenenti di colore facevano ripartire i motori e si allontanavano verso le sponde, l'uomo vestito di bianco scrutò gli edifici circostanti con occhio critico, il viso rude reclinato quasi sfacciatamente da un lato. Gli alligatori si riunirono come cani intorno al loro padrone mentre, in cielo, le strida di uno stormo di uccelli (pivieri del Nilo e avocette) laceravano l'aria del mattino. Un numero sempre maggiore di alligatori si univa al branco, nuotando fianco a fianco in senso orario intorno all'idrovolante, fino a che non ne furono presenti almeno duemila, imponente e terrificante incarnazione del male preistorico.
Con un grido, il pilota tornò ai comandi, accompagnato da duemila musi squamosi che si levarono all'unisono. I motori presero vita e spinsero l'idrovolante sull'acqua. Con i pattini aguzzi che uccidevano le creature inermi sulla loro strada, il velivolo si diresse verso il canale che conduceva alla laguna successiva, seguito dalla massa brulicante degli alligatori. Alcuni dei grossi rettili si distaccarono dal gruppo e si allontanarono a coppie lungo il perimetro della laguna, infilandosi nelle finestre semisommerse e scacciando le iguane che vi si erano affacciate per assistere allo spettacolo. Altri scivolarono tra gli edifici e presero posizione sui tetti a pelo dell'acqua. Dietro di loro, al centro della laguna, l'acqua ribolliva come a disagio, rigettando di tanto in tanto il ventre candido di un alligatore morto, ucciso dal passaggio dell'idrovolante. Mentre l'armata anfibia si dirigeva verso il canale alla sua sinistra, Kerans si precipitò giù per la scala antincendio e si lasciò scivolare sul tetto spiovente per arrivare al catamarano il più presto possibile. Ma, prima che potesse raggiungerlo, le onde sollevate dall'idrovolante trascinarono al largo l'imbarcazione, che cominciò a spostarsi lentamente verso l'orda di rettili in arrivo. Nel giro di qualche secondo il catamarano venne inghiottito, capovolto dalla spinta degli alligatori che lottavano tra loro per immettersi nel canale e fatto letteralmente a pezzi dalle loro fauci. Un grosso caimano, rimasto in fondo al branco, si accorse di Kerans che, con l'acqua alla vita, stava cercando di districarsi dalla vegetazione e virò immediatamente verso di lui. Mentre emergeva dall'acqua, il suo dorso scaglioso e la cresta che gli sormontava la coda possente si flessero imperiosamente. Kerans si affrettò a indietreggiare sullo spiovente del tetto e, dopo essere scivolato una volta, raggiunse la scala antincendio proprio mentre il caimano balzava fuori dall'acqua sulle tozze zampe arcuate, richiudendo le fauci nel punto in cui un secondo prima si trovava la sua caviglia. Ansimando, Kerans si sporse oltre la ringhiera e abbassò lo sguardo sugli occhi gelidi e impassibili che lo fissavano senza alcuna espressione.
"Sei un cane da guardia ben addestrato," gli disse senza rancore. Tolse un mattone sconnesso dal muro e lo lanciò con entrambe le mani sul muso triangolare del caimano, sogghignando quando la fiera indietreggiò
con un urlo, addentando furiosamente i rampicanti e i pochi frammenti superstiti del catamarano. Dopo mezz'ora, nel corso della quale fu costretto a intraprendere feroci duelli con le iguane in ritirata, Kerans riuscì a percorrere i duecento metri di sponda che lo separavano dal palazzo di Beatrice. Lei gli venne incontro alle porte dell'ascensore, gli occhi sgranati per il terrore.
"Robert, che cosa sta succedendo?" Gli mise le mani sulle spalle e gli posò la testa sulla camicia fradicia.
"Hai visto gli alligatori? Ce ne sono a migliaia!"
"Visti? Uno di loro mi ha quasi mangiato sulla porta di casa tua." Kerans si staccò da lei e corse alla finestra, spalancando le imposte di plastica. L'idrovolante era entrato nella laguna centrale e la stava circumnavigando a gran velocità. L'orda di alligatori ne seguiva la scia, e quelli in coda si staccavano per appostarsi lungo le sponde. Almeno trenta o quaranta rettili erano rimasti nella laguna sotto il palazzo e ora stavano pattugliando lentamente le acque immobili, deviando di tanto in tanto per uccidere un'iguana imprudente.
"Quegli esseri diabolici devono essere i loro cani da guardia," decise Kerans. "Come un esercito di tarantole addomesticate. Non che ci sia molta differenza, comunque." Beatrice era in piedi accanto a lui, tormentandosi nervosamente il colletto della camicia di seta verde che indossava sul costume da bagno nero. Nonostante l'appartamento stesse cominciando ad avere un'aria sporca e disordinata, Beatrice continuava a prendersi cura meticolosamente del proprio aspetto. Nelle poche occasioni in cui Kerans le aveva fatto visita, l'aveva sempre trovata seduta nel patio o di fronte a uno specchio nella sua camera da letto, intenta a spalmarsi con gesti meccanici infiniti strati di crema, come un pittore cieco che seguiti senza fine a ritoccare un ritratto che riesce a malapena a ricordare nel timore di dimenticarlo definitivamente. I suoi capelli erano sempre acconciati alla perfezione e il trucco sulle labbra e sugli occhi applicato con gusto, ma il suo sguardo esausto e distaccato le conferiva la bellezza cerea e inanimata di un manichino. Comunque, almeno quell'episodio era riuscito a scuoterla dal suo torpore.
"Ma chi sono, Robert? Quell'uomo mi spaventa. Vorrei che il colonnello Riggs fosse qui."
"Ormai sarà lontano mille miglia, se non ha già raggiunto Camp Byrd. Non ti preoccupare, Bea. Possono anche avere l'aspetto di una ciurma di pirati, ma non abbiamo assolutamente niente che possa interessargli." Un grosso battello a ruota a tre ponti era entrato nella laguna e ora si stava lentamente avvicinando alle tre imbarcazioni ancorate a pochi metri di distanza dal punto in cui un tempo era ormeggiata la base di Riggs. Era carico di merce e di armi, con i ponti ingombri di grossi sacchi e di macchinari coperti da teloni, ammassati a tal punto che sul ponte principale restava libero soltanto un passaggio non più largo di quindici centimetri.
Kerans immaginò che quella fosse la nave da carico del gruppo e che loro fossero occupati, come la maggior parte degli altri sciacalli che ancora si aggiravano per le lagune e gli arcipelaghi equatoriali, a saccheggiare le città sommerse, recuperando macchinari specializzati come i generatori di energia elettrica e i commutatori che i governi in ritirata erano stati costretti ad abbandonare. Ufficialmente questo tipo di saccheggio era punito con grande severità, ma ufficiosamente le autorità erano fin troppo ansiose di sborsare un generoso riscatto per ogni ritrovamento.
"Guarda!"
Beatrice afferrò il braccio di Kerans e gli indicò il laboratorio biologico, dove la sagoma macilenta e scarmigliata del dottor Bodkin era in piedi sul tetto e agitava lentamente le braccia in direzione degli uomini sul ponte del battello. Uno di loro, un negro a torso nudo con un paio di pantaloni bianchi e un berretto dello stesso colore, cominciò a rispondergli parlando in un megafono.
Kerans si strinse nelle spalle. "Alan ha ragione. Se ci facciamo vedere, abbiamo tutto da guadagnare. Se li aiutiamo, se ne andranno alla svelta e ci lasceranno in pace."
Beatrice esitò, ma Kerans la prese per un braccio. L'idrovolante, ora libero dal suo terrificante entourage, stava attraversando la laguna centrale, saltellando leggermente sull'acqua e lasciandosi dietro una splendida scia di schiuma.
"Andiamo. Se arriviamo sul pontile in tempo, probabilmente ci darà un passaggio." L'uomo dai denti bianchi
Con un'espressione in bilico tra il sospetto e una sorta di divertito disprezzo sul bel viso saturnino, Strangman era adagiato sotto il tendone che ricopriva il ponte di poppa del battello. Aveva indossato un completo bianco la cui seta rilucente rifletteva gli intarsi dorati del suo trono rinascimentale, presumibilmente sottratto da una qualche laguna veneziana o fiorentina, e investiva la sua strana personalità di un'aura quasi magica.
"Le sue ragioni sembrano molto complesse, dottore," disse a Kerans. "Ma forse lei stesso ha rinunciato a ogni speranza di comprenderle. Le chiameremo sindrome della spiaggia totale e non ne parleremo più." Schioccò le dita e immediatamente un cameriere comparve dall'ombra alle sue spalle. Strangman prese un'oliva da un vassoio di stuzzichini. Beatrice, Kerans e Bodkin erano seduti in semicerchio sui bassi divani, alternativamente gelati e arrostiti in base ai movimenti erratici del ventilatore che ruotava alle loro spalle. Fuori, poco prima di mezzogiorno, la laguna era un catino infocato; il bagliore violento riusciva quasi a nascondere la sagoma dell'edificio che si ergeva sulla sponda opposta. La giungla era immobile nel calore soffocante, gli alligatori nascosti nelle rare zone d'ombra disponibili. Ciò nonostante diversi uomini di Strangman si stavano dando da fare in una delle imbarcazioni, scaricando pesanti equipaggiamenti da immersione agli ordini di un enorme negro gobbo che indossava un paio di pantaloncini di cotone verde. Grottesca e smisurata parodia di un essere umano, di tanto in tanto si toglieva la benda che gli copriva un occhio per insultarli, lanciando loro grida e imprecazioni belluine. I grugniti e le bestemmie si disperdevano nell'aria rovente.
"Ma mi dica, dottore", insistette Strangman, apparentemente insoddisfatto delle risposte di Kerans, "quando avete intenzione di partire, alla fine?"
Kerans esitò, chiedendosi se fosse il caso o meno di inventarsi una data. Dopo aver aspettato per oltre un'ora che Strangman si cambiasse, gli aveva porto i loro saluti e aveva cercato di spiegare per quale motivo si trovassero ancora lì. Tuttavia, Strangman era parso incapace di prendere sul serio le loro motivazioni, passando bruscamente dal sarcastico divertimento per la loro ingenuità al sospetto. Kerans lo osservava attentamente, nel timore di compiere anche il più piccolo passo falso. Quale che fosse la sua vera identità, Strangman era qualcosa di più di un semplice sciacallo. Un'inquietante e minacciosa atmosfera permeava il battello, il suo equipaggio e il loro capo. Strangman, in particolare, con la sua faccia bianca e sorridente e i lineamenti crudeli che si acuminavano come frecce quando sorrideva, turbava Kerans.
"Non abbiamo veramente preso in considerazione la possibilità," disse Kerans. "Credo che tutti noi nutriamo la speranza di trattenerci per un tempo indefinito. Abbiamo piccole scorte di cibo."
"Ma, mio caro amico," obiettò Strangman, "la temperatura arriverà presto ai novanta gradi. L'intero pianeta sta rapidamente tornando all'era mesozoica."
"Precisamente," si intromise il dottor Bodkin, scuotendosi per un istante dalle sue riflessioni. "E, dal momento che siamo parte del pianeta, parte viva e integrante, anche noi stiamo regredendo. Questa è la nostra zona di transito: qui, in realtà, stiamo riassimilando il nostro passato biologico. È per questo che abbiamo scelto di restare qui. Non ci sono altri motivi, Strangman."
"Certo che no, dottore. Ho il massimo rispetto per la sua sincerità." Continui cambiamenti d'umore si susseguivano sui lineamenti di Strangman, facendolo sembrare di volta in volta irritabile, amabile, annoiato e distratto. Ascoltò per qualche istante il ronzio del ventilatore, quindi domandò: "Dottor Bodkin, ha vissuto a Londra da bambino? Deve avere molti ricordi nostalgici da ritrovare, ricordi dei grandi palazzi e dei musei". Poi aggiunse: "O forse gli unici ricordi che ha sono ricordi preuterini?". Kerans sollevò lo sguardo, sorpreso per la facilità con cui Strangman si era impadronito del gergo di Bodkin. Si accorse che Strangman non solo stava osservando attentamente il vecchio biologo, ma che era anche in attesa di una qualsiasi reazione da parte sua o di Beatrice.
Bodkin, però, chiuse l'argomento con un gesto vago. "No, temo di non ricordare proprio nulla. Il passato più recente non mi interessa affatto."
"Che peccato," disse Strangman con una punta di ironia. "Il problema, con voi, è che siete rimasti qui per trenta milioni di anni e la vostra prospettiva è completamente sbagliata. Vi perdete così tante cose della transitoria bellezza della vita. Io, personalmente, sono affascinato dal passato più recente: i tesori del Triassico non possono minimamente reggere il confronto con quelli degli ultimi anni del secondo millennio."
Si appoggiò a un gomito e sorrise a Beatrice, che se ne stava seduta con le mani a coprirsi pudicamente le ginocchia nude, come un topo che osservi un gatto particolarmente bello. "E lei, signorina Dahl? Ha un'aria un po' malinconica. Forse una punta di nostalgia temporale? Le curvature cronoclasmiche?" Ridacchiò, divertito dalla sua stessa battuta.
"Solitamente siamo piuttosto stanchi, qui, signor Strangman," rispose Beatrice a bassa voce. "E, in ogni modo, non mi piacciono i suoi alligatori."
"Non le faranno alcun male." Strangman si appoggiò nuovamente allo schienale e osservò il terzetto. "È tutto molto strano." Rivolse un breve cenno al cameriere che gli stava alle spalle, quindi si adagiò nuovamente sul trono con un'espressione corrucciata. Kerans si accorse che la pelle del suo viso e delle sue mani era misteriosamente bianca, completamente priva di qualsiasi pigmentazione. L'intensa abbronzatura di Kerans, come quella di Beatrice e del dottor Bodkin, li rendeva praticamente uguali agli uomini di colore che componevano l'equipaggio. La sottile distinzione tra i mulatti e i mezzosangue era svanita. Soltanto Strangman serbava il pallore originario, e l'effetto era enfatizzato ulteriormente dal vestito candido che aveva scelto di indossare.
Dopo poco apparve il negro seminudo; il sudore gli colava in rivoli sui muscoli possenti. Era alto circa un metro e novanta, ma le spalle eccezionalmente larghe lo facevano sembrare molto più massiccio di quanto già non fosse. Il suo atteggiamento era deferente e servile e Kerans si chiese come Strangman riuscisse a imporre la propria autorità ai suoi uomini e per quale motivo questi accettassero i suoi modi aspri e tirannici.
Strangman presentò seccamente il negro. "Questo è l'Ammiraglio, il mio comandante in seconda. Se non mi trovate quando mi cercate, rivolgetevi a lui." Si alzò in piedi, scendendo dal piedistallo del trono. "Prima che ve ne andiate, permettetemi di farvi visitare la mia nave dei tesori." Con uno sguardo scintillante e rapace, porse il braccio a Beatrice, che lo prese quasi con timore.
Un tempo, immaginò Kerans, il battello doveva essere stato una bisca galleggiante, ancorata oltre il limite delle acque territoriali di Messina o Beirut o rifugiata nella sicurezza di qualche estuario sotto i cieli più tolleranti a sud dell'Equatore. Quando lasciarono il ponte, un gruppo di uomini stava calando un'antica passerella ornamentale sulla riva: le ringhiere scrostate erano coperte da una tenda bianca ornata di tasselli dorati. La passerella scricchiolava sulle carrucole come una vecchia funicolare. L'interno della nave era decorato nello stesso stile pretenzioso e barocco. Il bar, ora buio e chiuso all'estremità di prua del ponte panoramico, era simile al castello di prua di un galeone da cerimonia, con il portico sorretto da cariatidi dorate. Semicolonne di finto marmo formavano piccole logge che conducevano alle alcove e alle salette da pranzo private mentre la scalinata centrale assomigliava al set di un brutto film ambientato a Versailles, un guazzabuglio aereo di cupidi e di candelabri polverosi il cui ottone ormai opaco era ricoperto di muffa. Ma le ruote della roulette e i tavoli dello chemin de fer e il legno scheggiato del parquet erano ricoperti da un ammasso disordinato di scatole e di casse impilate contro gli oblò in modo tale che soltanto un debole riflesso della luce esterna riusciva a filtrare. Ogni cosa era imballata e sigillata, ma su una vecchia scrivania in mogano, in un angolo, Kerans vide una collezione di torsi e membra di marmo e bronzo, frammenti di statue in attesa di essere riordinati.
Strangman si fermò in fondo alla scalinata, strappando una striscia di pittura a olio da uno degli affreschi.
"Questo posto sta cadendo a pezzi. È decisamente molto lontano dagli standard del Ritz. Invidio il suo buon senso."
Kerans si strinse nelle spalle. "Non è più una zona molto cara, adesso." Attese che Strangman aprisse una porta, quindi entrarono nella stiva principale, una grotta oscura e soffocante letteralmente stracolma di grosse casse di legno, il pavimento ricoperto di segatura. Non si trovavano più nella sezione refrigerata della nave e l'Ammiraglio e un altro marinaio li seguivano dappresso, irrorandoli di continuo con il getto di aria gelida proveniente da un tubo fissato alla parete. Strangman schioccò le dita e l'Ammiraglio cominciò rapidamente a togliere i teloni drappeggiati sulle casse.
Nella penombra, Kerans riuscì a vedere soltanto la sagoma scintillante di un immenso altare finemente decorato dalla parte opposta dello stanzone, intagliato con bassorilievi e candelabri torchon, e sormontato da un proscenio neoclassico che avrebbe potuto coprire tranquillamente una casa di piccole dimensioni. Accanto a esso si ergeva una decina di statue, per la maggior parte risalenti al tardo Rinascimento, a cui erano appoggiate file e file di cornici riccamente intagliate in oro zecchino. Più oltre c'erano diversi altari e trittici più piccoli, un pulpito laminato in oro, tre grandi statue equestri con qualche filo di alghe che ancora pendeva dalle criniere dei cavalli, diverse coppie di enormi portali di cattedrali ornati in oro e argento e un'enorme fontana di marmo. Gli scaffali metallici che correvano lungo le pareti dello stanzone erano carichi di oggetti più piccoli: urne votive, calici, scudi e vassoi, frammenti di armature, calami cerimoniali etsimilia.
Tenendo ancora Beatrice sottobraccio, Strangman fece un altro gesto a indicare un punto pochi metri più avanti. Kerans gli sentì dire: "Cappella Sistina" e "Tomba dei Medici", ma Bodkin borbottò: "Dal punto di vista estetico, è quasi tutta robaccia, raccolta soltanto per l'oro che contiene. E non ce n'è neanche molto. Che cosa diavolo sta cercando di fare quest'uomo?".
Kerans annuì, osservando Strangman che, nel suo vestito bianco, camminava accanto a Beatrice. Improvvisamente si rammentò del quadro di Delvaux con i suoi scheletri in smoking. La faccia bianca come gesso di Strangman era simile a un teschio e in lui c'era qualcosa dell'angolosità degli scheletri. Senza alcun motivo preciso, Kerans cominciò a provare un intenso disgusto nei confronti dell'uomo, rendendosi conto al contempo che la propria ostilità era più di ordine generale che personale.
"Allora, Kerans, che cosa ne pensa?" Strangman si girò e tornò sui suoi passi, ordinando bruscamente all'Ammiraglio di ricoprire i reperti. "Impressionato, dottore?" Kerans riuscì a distogliere lo sguardo dalla faccia di Strangman e fissò il bottino ripescato da quell'uomo.
"Sono come ossa," disse con voce piatta.
Sconcertato, Strangman scosse la testa. "Ossa? Che cosa diavolo sta dicendo? Kerans, lei è pazzo! Ossa, dio mio!"
Mentre Strangman sospirava esasperato, l'Ammiraglio sembrò colpito da quella considerazione, dapprima pronunciando la parola tra sé come se stesse esaminando uno strano oggetto, poi ripetendola sempre più rapidamente in una sorta di sfogo di nervi, con la faccia larga deformata dall'ilarità. L'altro marinaio si unì a lui e, insieme, cominciarono a cantilenarla, piegati in due dal ridere.
"Ossa! Sì, amico, sono tutte ossa! Tutte ossa tutte ossa tutte ossa...!" Strangman li guardava furioso, i muscoli del volto che si contraevano e si rilassavano come tenaglie. Disgustato da quella dimostrazione di rozzezza e maleducazione, Kerans si voltò e fece per andarsene. Infastidito, Strangman si affrettò a seguirlo e, premendo il palmo della mano contro la schiena del dottore, lo spinse lungo il corridoio fino all'uscita.
Cinque minuti dopo, mentre si allontanavano su una delle imbarcazioni, l'Ammiraglio e una dozzina di altri membri dell'equipaggio si ammassarono lungo i parapetti, ancora cantando e danzando. Strangman aveva nel frattempo riguadagnato il suo buon umore e se ne stava tranquillamente in piedi nel suo vestito bianco, distaccato dagli altri, agitando ironicamente una mano in segno di saluto. La pozza di Thanatos
Nel corso delle due settimane seguenti, mentre l'orizzonte a sud si oscurava via via di nubi cariche di pioggia, Kerans vide Strangman molto spesso. Solitamente Strangman pilotava il suo idrovolante nelle lagune per sorvegliare il lavoro delle squadre di recupero, il vestito bianco lasciato da parte per indossare una tuta e un casco. In ognuna delle tre lagune principali era ancorata un'imbarcazione con sei uomini di equipaggio; i sommozzatori perlustravano metodicamente gli edifici sommersi. Di tanto in tanto la placida routine della discesa e dei recuperi veniva interrotta dallo sparo di un fucile che sistemava qualche alligatore avvicinatosi troppo ai sommozzatori.
Seduto nella penombra della sua suite al Ritz, Kerans era molto distante dalla laguna: purché quell'uomo se ne andasse al più presto, era disposto a permettergli di cercare il suo bottino con il sorriso sulle labbra. Con il passare dei giorni i sogni si erano fatti strada nella sua vita da sveglio con decisione sempre maggiore e, d'altro canto, la parte conscia della sua mente diveniva sempre più esausta e sfinita. L'unica dimensione temporale in cui esistevano Strangman e i suoi uomini sembrava essere tanto trasparente da avere ben poca influenza sulla realtà. Di tanto in tanto, quando Strangman si recava a fargli visita, Kerans emergeva per qualche minuto sulla superficie di quella dimensione vaga e indefinita, ma il fulcro vero e proprio della sua coscienza rimaneva altrove.
Stranamente, dopo l'irritazione iniziale, Strangman aveva sviluppato un'ambigua simpatia per Kerans. La mente squadrata e tranquilla del biologo era un bersaglio perfetto per l'umorismo secco e tagliente di Strangman. A volte imitava sottilmente Kerans, prendendolo per un braccio nel corso di uno dei loro dialoghi e dicendogli con voce melliflua: "Sa, Kerans, abbandonare il mare duecento milioni di anni fa può essere stato un trauma profondo dal quale non siamo mai riusciti a riaverci...". Un'altra volta aveva mandato due dei suoi uomini alla laguna con una piccola barca a remi: su uno degli edifici più grandi che sorgevano di fronte all'albergo, i due avevano dipinto, con caratteri alti quasi dieci metri, la scritta:
ZONA DEL TEMPO
Kerans aveva accettato lo scherzo di buon grado, ignorando la scritta quando i continui fallimenti dei sommozzatori l'avevano resa ancora più caustica. Affondando inesorabilmente nel passato, Kerans rimase pazientemente in attesa dell'arrivo della pioggia.
Fu soltanto dopo la festa acquatica organizzata da Strangman che Kerans si rese finalmente conto di quale fosse la vera natura delle sue paure nei confronti dell'uomo.
Ufficialmente la festa era stata indetta da Strangman come un'occasione sociale per riunire i tre esiliati. Nel suo modo spiccio e laconico, Strangman aveva cominciato a stringere d'assedio Beatrice, coltivando l'amicizia con Kerans in quanto gli avrebbe offerto una via facile e sicura per entrare nel suo appartamento. Quando aveva scoperto che i membri del terzetto si incontravano assai di rado, aveva evidentemente deciso di tentare un approccio diverso, allettando Kerans e Bodkin con il miraggio della sua cucina d'alto livello e della sua cantina ben fornita. Beatrice, però, aveva sempre rifiutato quegli inviti ai pranzi e alle cene di mezzanotte (Strangman e il suo entourage di alligatori e di mulatti guerci le incutevano ancora timore) e, invariabilmente, le feste erano sempre state cancellate.
Ma la vera ragione di quel "galà acquatico" era molto più pratica. Per un po' di tempo Strangman aveva osservato Bodkin che vagava per i canali sovrastanti il vecchio quartiere universitario (spesso, con suo grande divertimento, il vecchio veniva rimorchiato lungo gli angusti canali da una delle imbarcazioni dipinte con occhi di drago, pilotata dall'Ammiraglio o da Big Caesar e mimetizzata con rami di felci come un galleggiante staccatosi per sbaglio da una parata carnevalesca) e, traslando le proprie motivazioni sull'anziano biologo, aveva pensato che Bodkin stesse cercando qualche tesoro nascosto da secoli. I suoi sospetti, infine, si erano focalizzati sul planetario sommerso, l'unico edificio subacqueo a cui si poteva accedere con relativa facilità: Strangman aveva messo una guardia permanente sul piccolo laghetto che conteneva il planetario, situato a circa duecento metri a sud della laguna centrale, ma quando, in piena notte, Bodkin non era apparso con bombole e pinne come faceva sempre, Strangman aveva perso la pazienza e aveva deciso di precederlo.
"Verrò a prenderla domani mattina alle sette," aveva detto a Kerans. "Champagne, buffet freddo... finalmente scopriremo che cosa ha nascosto laggiù il vecchio Bodkin."
"Posso dirglielo io, Strangman. Soltanto vecchi ricordi perduti. Per lui valgono più di tutti i tesori del mondo."
Ma, a quella risposta, Strangman aveva emesso una risata scettica e se n'era andato sull'idrovolante, lasciando Kerans sconsolatamente aggrappato al pontile scosso dalle onde. Puntualmente, alle sette del mattino seguente, l'Ammiraglio era andato a prenderlo. Aveva raccolto Beatrice e il dottor Bodkin e quindi avevano fatto rotta verso il battello, dove Strangman stava ultimando i preparativi per l'immersione. Una seconda imbarcazione era carica di attrezzature (bombole, pinne, mute) e dotata di pompe e di telefono. Una gabbia da immersione era sospesa a un argano, ma Strangman assicurò loro che il laghetto era libero da iguane e da alligatori e che, una volta sott'acqua, non sarebbe stato affatto necessario restare nella gabbia.
Kerans era assai scettico su quest'ultima considerazione, ma per una volta Strangman si era rivelato di parola. Il laghetto era stato completamente ripulito. Pesanti griglie di acciaio erano state calate in acqua e sistemate di fronte alle entrate sommerse e guardie armate di arpioni e fucili erano appostate sui rami degli alberi vicini. Proprio mentre entravano nel laghetto e ormeggiavano l'imbarcazione all'ombra di una tettoia sporgente sul versante orientale, l'ultima di una serie di granate veniva fatta esplodere in acqua: le possenti esplosioni portarono a galla una quantità enorme di anguille stordite, gamberi e somasteroidi che vennero immediatamente rastrellati verso le sponde.
Il calderone di schiuma ribollente si placò e quindi svanì del tutto e, dalle loro sedie accanto al parapetto, i quattro poterono osservare la volta a cupola del planetario, drappeggiata da cortine di alghe, simile al gigantesco palazzo-conchiglia di un libro per bambini. Il lucernario circolare posto sulla sommità della cupola era coperto da una lastra mobile di metallo: era stato fatto un tentativo di rimuovere una delle sezioni della serranda ma, con disappunto di Strangman, la ruggine aveva immobilizzato l'apertura ormai da tempo immemore. L'ingresso principale della cupola si apriva sull'antico livello stradale: era situato troppo in profondità per essere visibile, ma una perlustrazione preliminare aveva rivelato che si sarebbe potuti entrare senza soverchie difficoltà.
Mentre la luce del sole si sollevava sull'acqua, Kerans osservò le profondità verdastre e traslucide, la gelatina amniotica nella quale nuotava nei suoi sogni. Gli sovvenne che, nonostante la sovrabbondanza planetaria dell'elemento, non si immergeva completamente nel mare da oltre dieci anni e, mentalmente, indugiò nel ricordo del lento moto delle membra che gli permetteva di avanzare nell'acqua mentre dormiva. A un metro abbondante sotto la superficie guizzò un piccolo pitone albino in cerca di una via d'uscita dalla gabbia. Osservando la testa dell'animale ondeggiare e scattare da una parte all'altra per evitare gli arpioni, Kerans avvertì una temporanea riluttanza ad affidarsi alle acque. Dalla parte opposta del lago, dietro una delle griglie metalliche, un grosso coccodrillo stava lottando con un gruppo di marinai che cercavano di allontanarlo. Big Caesar, con le gambe massicce avvinghiate all'angusto camminamento di prua, scalciava selvaggiamente il rettile che, in tutta risposta, tentava di azzannare le picche e gli arpioni. Il coccodrillo, lungo oltre nove metri, aveva più di novant'anni e misurava, al tronco, quasi due metri di circonferenza. Notando il ventre bianco come la neve dell'animale, Kerans si rese conto di aver visto, dopo l'arrivo di Strangman, un numero stranamente elevato di serpenti e lucertole albine, emersi dalla giungla come fossero attratti dalla presenza del razziatore. Aveva visto persino qualche iguana albina: una si era sdraiata sul molo del Ritz la mattina precedente, osservandolo immobile come un'enorme lucertola di alabastro, e Kerans aveva pensato istintivamente che il rettile gli avesse portato un messaggio di Strangman. Sollevò lo sguardo sull'uomo vestito di bianco che se ne stava in piedi a prua in attesa, mentre il coccodrillo si lanciava furiosamente contro la griglia metallica, riuscendo quasi a far cadere in acqua il gigantesco marinaio negro. Era fin troppo evidente che le simpatie di Strangman erano tutte per il coccodrillo, ma non certo a causa di un malinteso senso di sportività o del sadico desiderio di vedere ucciso e sbranato uno dei suoi attendenti di fiducia.
Finalmente, nella confusione di urla e imprecazioni, qualcuno passò un fucile a Big Caesar, che si piantò saldamente sulle assi di prua e scaricò entrambe le canne dell'arma nel corpo dell'animale indifeso sotto di lui. Con un urlo di dolore, il rettile indietreggiò verso le secche, sferzando l'acqua con la coda possente. Beatrice e Kerans distolsero lo sguardo nell'attesa che venisse inferto il colpo di grazia, mentre Strangman si spostava lungo il parapetto in cerca di un punto di osservazione migliore.
"Quando sono in trappola o stanno per morire, frustano l'acqua con la coda per mettere gli altri in allarme." Appoggiò un indice alla guancia di Beatrice, quasi volesse obbligarla ad assistere allo spettacolo.
"Si risparmi quell'espressione disgustata, Kerans! Maledizione, dimostri un po' più di comprensione per quella bestia. Esistono da cento milioni di anni: sono da considerarsi a buon diritto tra le creature più vecchie dell'intero pianeta."
Dopo l'uccisione del coccodrillo, Strangman indugiò ancora qualche minuto presso il parapetto, sollevandosi sulle punte dei piedi come se sperasse che il rettile resuscitasse e inscenasse un ritorno in grande stile, e riprese irritato a dedicarsi ai preparativi per l'immersione soltanto quando la testa decapitata della fiera venne issata da un marinaio in cima a una picca.
Sotto l'attenta supervisione dell'Ammiraglio, due uomini dell'equipaggio compirono un'immersione preliminare con i respiratori. Discesero la scaletta metallica e, dopo essersi tuffati in acqua, scivolarono verso la curva della cupola. Controllarono il lucernario e la costolatura semicircolare della costruzione, spingendosi sulla superficie della cupola aggrappandosi alle screpolature del cemento. Al loro ritorno si immerse un terzo marinaio, questa volta con scafandro e cavo di collegamento. Si mosse lentamente sul fondo nebuloso della strada sommersa, con la luce fioca che gli si rifletteva sul casco e sulle spalle. Mentre il cavo si srotolava, il marinaio entrò dalla porta principale del planetario e scomparve alla vista, comunicando via telefono con l'Ammiraglio, che a sua volta riferiva i commenti dell'uomo a voce alta: "È alla biglietteria... ora nel salone principale... Jorno dice che nella chiesa ci sono i sedili, capitano Strang, ma che l'altare non c'è più".
Erano tutti accanto al parapetto, aspettando che Jorno riapparisse; soltanto Strangman era mollemente adagiato nella sua poltrona, con il viso appoggiato al palmo di una mano.
"Chiesa!" sbottò in tono derisorio. "Dio santo! Mandate giù qualcun altro. Jorno è un dannato idiota." "Sì, capitano."
Altri sommozzatori si immersero, mentre il cameriere serviva il primo giro di champagne. Intenzionato a immergersi a sua volta, Kerans assaggiò appena l'infida bevanda frizzante. Beatrice gli sfiorò un braccio, il viso pensoso e allarmato. "Hai intenzione di scendere anche tu, Robert?" Kerans sorrise. "Fino in cantina, Bea. Non preoccuparti. Userò lo scafandro: è assolutamente sicuro."
"Non stavo pensando a quello," commentò Beatrice. Sollevò lo sguardo all'ellisse del sole appena visibile al di sopra dei tetti alle loro spalle. La luce verdastra, rifratta dal reticolo frondoso delle felci, colmava il laghetto di miasmi giallastri e palustri, che andavano pigramente alla deriva sulla superficie come i vapori di un pozzo nero. Soltanto pochi istanti prima l'acqua aveva un aspetto fresco e invitante, ma ora si era trasformata in un mondo a parte, chiuso, la cui superficie sembrava la barriera tra due dimensioni inconciliabili. Quando la gabbia da immersione venne calata in acqua, le sbarre divennero immediatamente uno scintillio indistinto, tanto che, dopo qualche secondo, l'intera struttura apparve distorta e quasi irriconoscibile. Persino gli uomini che nuotavano poco sotto la superficie subivano la metamorfosi imposta dall'acqua: i loro corpi fluttuanti venivano trasformati in chimere baluginanti, simili a pulsanti esplosioni di pensiero in una giungla neuronica.
Molto più in profondità, la grande cupola del planetario spiccava nel lucore giallastro; Kerans, guardandola, pensò a un veicolo spaziale rimasto ancorato sulla Terra per milioni di anni e rivelato dal mare soltanto ora. Si sporse oltre Beatrice e disse a Bodkin: "Alan, Strangman sta cercando il tesoro che lei ha nascosto laggiù".
Le labbra di Bodkin si stirarono in un sorriso incerto. "Spero proprio che riesca a trovarlo," disse in tono pacato. "Se ci riuscirà, come ricompensa avrà tutta la verità dell'Inconscio." Strangman era in piedi a prua, intento a interrogare uno dei sommozzatori che era appena riemerso. Altri marinai lo stavano aiutando a uscire dallo scafandro: l'acqua gli scorreva a rivoli sulla pelle color rame, perdendosi sull'assito del ponte. Mentre latrava le sue domande, si accorse che Kerans e Bodkin stavano parlottando a bassa voce. Con le sopracciglia corrucciate, attraversò il ponte a grandi passi fino a raggiungere il luogo in cui i due biologi erano seduti. Per un lungo istante rimase a osservarli sospettoso con gli occhi semichiusi, quindi si portò silenziosamente alle loro spalle come una guardia che tiene d'occhio dei prigionieri potenzialmente pericolosi.
Rivolgendogli un brindisi con la sua coppa di champagne, Kerans disse scherzosamente: "Stavo soltanto domandando al dottor Bodkin dove ha nascosto il suo tesoro, Strangman". Strangman si immobilizzò, osservandolo freddamente mentre Beatrice, nascondendo il volto dietro l'ampio colletto della sua casacca da spiaggia, scoppiava in una risatina stentata. L'uomo appoggiò le mani sullo schienale della sedia di vimini di Kerans, il viso bianco come silicio. "Non si preoccupi, Kerans," sbottò quasi in un sibilo. "So benissimo dove si trova, e non ho bisogno del vostro aiuto per trovarlo." Si voltò e si rivolse a Bodkin: "Non è vero, dottore?".
Con un gesto infastidito per il tono troppo stridulo della voce di Strangman, Bodkin sussurrò: "Sì, credo proprio che lei lo sappia, Strangman". Spinse la sedia all'indietro per cercare conforto nella scarsa ombra residua. "Quando comincia il galà?"
"Galà?" Palesemente irritato, Strangman si guardò intorno, apparentemente dimentico di essere stato il primo ad adoperare quel termine. "Non ci sono bellezze al bagno, qui, dottore: questa non è la piscina locale. Un momento, però... non devo essere così poco galante e dimenticarmi della bellissima signorina Dahl." Si inchinò di fronte alla donna con un sorriso untuoso. "Venga, mia cara, la incoronerò regina della laguna, con una scorta di cinquanta coccodrilli divini."
Beatrice distolse lo sguardo dagli occhi scintillanti dell'uomo. "No, grazie, Strangman. Il mare mi spaventa."
"Ma deve, mia cara. Kerans e il dottor Bodkin si aspettano che lei lo faccia. E anch'io. Sarà una Venere che discende sul mare, resa doppiamente bella dal suo ritorno." Si chinò per prenderle la mano e Beatrice si ritrasse di scatto, contraendo il viso in una smorfia di disgusto al sorriso viscido di lui. Kerans si voltò e la prese per un braccio.
"Non credo che questo sia il giorno di Beatrice, Strangman. Noi nuotiamo soltanto di notte, con la luna piena. È tutta questione di stati d'animo, sa."
Sorrise a Strangman mentre quest'ultimo, il viso famelico come un vampiro, stringeva la sua presa su Beatrice, quasi che la sua esasperazione avesse oltrepassato ogni confine. Kerans si alzò in piedi. "Mi ascolti, Strangman. Prenderò io il suo posto, d'accordo? Mi piacerebbe molto scendere a dare un'occhiata al planetario." Con un cenno, soffocò sul nascere l'allarme di Beatrice.
"Non preoccuparti. Strangman e l'Ammiraglio si prenderanno cura di me."
"Ma certo, Kerans." A Strangman era tornato repentinamente il buon umore: all'istante, l'avventuriero ricominciò a irradiare quella sua benevola volontà di compiacere gli altri. Nel suo sguardo brillava soltanto una minima traccia del piacere che provava nell'avere Kerans tra le sue grinfie. "La infileremo nello scafandro più grande, così potrà conversare con noi per mezzo dell'altoparlante. Si rilassi, signorina Dahl: non c'è nessun pericolo. Ammiraglio! Lo scafandro del dottor Kerans! Svelto, svelto!" Kerans rivolse a Bodkin una rapida occhiata di avvertimento, quindi distolse lo sguardo quando notò la sorpresa dell'anziano collega per l'entusiasmo con cui si era offerto volontario. Si sentiva stranamente stordito, anche se aveva appena assaggiato lo champagne.
"Non resti sotto troppo a lungo, Robert," gli disse Bodkin. "La temperatura dell'acqua sarà molto alta, almeno trentacinque gradi: la troverà assai snervante."
Kerans annuì, quindi seguì i passi decisi di Strangman sul ponte di prua. Due marinai stavano preparando lo scafandro, mentre l'Ammiraglio e Big Caesar, insieme ai marinai addetti alle pompe, osservavano l'arrivo di Kerans con vago interesse.
"Veda se riesce a entrare nell'auditorium principale," gli disse Strangman. "Uno dei ragazzi è riuscito a trovare una fessura in una delle porte di uscita, ma i cardini sono bloccati dalla ruggine." Scrutò Kerans con occhio critico, mentre il biologo aspettava che gli venisse calato il casco sulla testa. Progettato soltanto per immersioni fino a dieci metri di profondità, era una sfera di perspex rinforzata da due semicerchi laterali di metallo e consentiva una visibilità pressoché totale. "Le sta a pennello, Kerans: sembra un uomo venuto dallo spazio... neuronico," aggiunse poi con una risata sarcastica. "Ma non cerchi di raggiungere l'Inconscio, Kerans... non si dimentichi che lo scafandro non è equipaggiato per immergersi tanto in profondità!" Scavalcando lentamente il parapetto, con alle spalle i marinai che reggevano i cavi, Kerans si fermò un istante per rivolgere un cupo cenno di saluto a Beatrice e al dottor Bodkin, quindi montò sulla scaletta e discese lentamente verso l'acqua verdastra e stagnante. Erano passate da poco le otto del mattino e il sole batteva direttamente sul pesante involucro di vinile che lo ricopriva, appiccicandoglielo al petto e alle gambe; Kerans non vedeva l'ora di potersi rinfrescare la pelle bruciata. La superficie del laghetto era ora completamente opaca. Un ammasso di foglie e di erbacce fluttuava lentamente intorno al battello, disturbato di tanto in tanto da bolle di aria intrappolata che fuoriuscivano dall'interno della cupola. Alla sua destra poteva vedere Bodkin e Beatrice che lo osservavano ansiosi con il mento appoggiato al parapetto. Direttamente sopra di loro, sul tetto dell'imbarcazione, si ergeva la figura alta e slanciata di Strangman, con le braccia incrociate e la brezza leggera che gli scompigliava i capelli bianchi come gesso. Stava sogghignando silenziosamente tra sé ma, quando i piedi di Kerans toccarono la superficie dell'acqua, gridò qualcosa di cui Kerans udì soltanto l'eco lontana negli auricolari dello scafandro. Immediatamente il sibilo dell'aria che entrava dalle valvole del casco crebbe e il circuito interno del microfono prese vita. L'acqua era più calda di quanto Kerans si aspettasse. Invece di un bagno fresco e rivitalizzante, si stava immergendo in una tanica riempita di gelatina calda che gli si attaccava alle caviglie e ai polpacci come l'abbraccio fetido di un gigantesco mostro protozoico. Rapidamente Kerans entrò nell'acqua fino alle spalle, quindi staccò i piedi dalla scaletta e lasciò che il peso dello scafandro lo trascinasse lentamente verso il basso nelle profondità livide della laguna. Tenendosi con le mani alla scaletta, si fermò al contrassegno dei quattro metri.
Lì l'acqua era più fredda e Kerans fletté grato le braccia e le gambe aspettando che i suoi occhi si abituassero alla luce fioca. Uno sparuto gruppo di pesci angelo lo oltrepassò, i corpi scintillanti come stelle argentate nella macchia blu che si estendeva dalla superficie fino alla profondità di un metro e mezzo, un
"cielo" di luce riflessa da milioni di infinitesimali particelle di polline e di pulviscolo. A quindici metri da lui si ergeva la sagoma indistinta e ricurva del planetario, molto più grande e misteriosa di quanto non fosse sembrata dalla superficie, come la poppa di un antico transatlantico affondato. Il tetto di alluminio, un tempo lucido e levigato, era diventato opaco e gibboso, con una pletora di molluschi e mitili aggrappati agli stretti cornicioni creati dalle travi di sostegno. Più in basso, dove la cupola si congiungeva al tetto squadrato dell'auditorium, una foresta di fucus giganti fluttuavano delicatamente dai loro piedistalli, alcuni alti più di tre metri, meravigliosi spettri marini che ondeggiavano insieme, come gli spiriti di un boschetto sacro a Nettuno.
A sei metri dal fondo la scaletta finiva, ma Kerans ora aveva preso sufficiente confidenza con l'acqua. Si lasciò scivolare verso il basso fino a ritrovarsi aggrappato con le dita all'ultimo piolo della scala, quindi lasciò anche quell'ultimo appiglio e scivolò all'indietro verso il fondo del lago, con le antenne gemelle del suo tubo per l'aria e del cavo telefonico che spiraleggiavano nell'angusto pozzo di luce riflessa nell'acqua smossa dallo scafo rettangolare dell'imbarcazione.
Isolato dall'acqua da qualsiasi altro suono, il rumore della pompa dell'aria e il ritmo della sua stessa respirazione gli tambureggiavano regolarmente nelle orecchie, crescendo di volume via via che la pressione dell'aria veniva aumentata. Quei suoni sembravano rimbombare intorno a lui nell'acqua verde scuro, tuonando come l'immane pulsazione delle maree che tante volte aveva udito nei suoi sogni. Una voce gracchiò nelle cuffie: "Qui è Strangman Kerans. Come sta la dolce madre grigia di tutti noi?". "È come sentirsi a casa. Ho quasi toccato il fondo. La gabbia d'immersione è esattamente sopra l'ingresso."
Affondò fino alle ginocchia nel soffice limo che copriva il fondale e si aggrappò a un lampione ricoperto di crostacei. Con un aggraziato passo lunare, Kerans balzò lentamente sulla fanghiglia, che si sollevava intorno ai suoi piedi come una nube di gas. Alla sua destra si ergevano le fiancate indistinte degli edifici che costellavano i marciapiedi, i sedimenti ammucchiati in morbide dune alte sino alle finestre dei primi piani. Nei passaggi tra gli edifici, i cumuli erano alti quasi otto metri e le griglie di contenimento vi erano conficcate come enormi saracinesche. La maggior parte delle finestre era intasata da detriti, da frammenti di mobili e armadietti metallici, tavoli di legno, il tutto cementato indissolubilmente dai fucus e dai cefalopodi.
La gabbia di immersione ondeggiava lentamente dal suo cavo a un metro e mezzo dal livello stradale. Kerans si avvicinò all'entrata del planetario, guidando i cavi che gli pendevano alle spalle e che di tanto in tanto, quando si facevano troppo tesi, lo strattonavano leggermente.
Come un immenso tempio sottomarino, la sagoma bianca del planetario si ergeva di fronte a lui illuminata di riflesso dalla luce che filtrava dalla superficie. Le barricate d'acciaio intorno all'entrata erano state smantellate dai marinai che si erano tuffati prima di lui e le porte che davano nel foyer erano aperte. Kerans accese la lampada montata sul casco e oltrepassò l'ingresso. Sbirciò cautamente dietro le colonne e nelle nicchie delle pareti, seguendo i pochi gradini che conducevano al mezzanino. Le ringhiere metalliche e le bacheche cromate si erano arrugginite, ma l'interno del planetario, che le barricate avevano protetto dall'azione corrosiva della vita animale e vegetale della laguna, sembrava assolutamente intatto, pulito e lustro come il giorno in cui erano crollate anche le ultime dighe. Oltrepassando la cabina della biglietteria, Kerans si spinse lentamente oltre il mezzanino e si fermò accanto alla ringhiera per leggere le scritte sopra le porte del guardaroba; le lettere luminose riflettevano la luce. Un corridoio circolare correva tutt'intorno all'auditorium; la lampada di Kerans gettava un pallido cono di luce contro il muro nero dell'acqua. Nella lontana speranza che le dighe venissero riparate, i gestori del planetario avevano innalzato un secondo anello interno di barricate intorno all'auditorium: i pannelli d'acciaio erano tenuti al loro posto da pesanti sbarre che ora erano state trasformate dalla ruggine in chiavistelli inamovibili.
Il pannello in alto a destra della seconda sbarra era stato leggermente discostato per liberare un piccolo buco da cui si poteva guardare nell'auditorium. Troppo stanco per la continua e soverchiante pressione dell'acqua sul suo petto e sul suo addome, Kerans rinunciò a sollevare il pesante scafandro e si accontentò di dare una breve occhiata alle poche farfalle di luce che scintillavano dalle crepe della cupola. Mentre tornava alla gabbia di immersione per prendere una sega, notò una piccola porta in cima a una breve scalinata dietro il botteghino: apparentemente conduceva sopra l'auditorium, a quella che poteva essere la cabina di proiezione o l'ufficio del direttore. Salì aggrappandosi al corrimano, con le suole metalliche degli stivali zavorrati che scivolavano sul tappeto ricoperto di fanghiglia. La porta era chiusa a chiave, ma Kerans le diede una spallata e i cardini cedettero immediatamente e la porta si allontanò dallo stipite fluttuando aggraziata come una vela di carta.
Fermandosi per liberare i cavi, Kerans ascoltò la pulsazione regolare della pompa. Il ritmo era cambiato in modo percettibile, rivelando che, sulla nave, un'altra coppia di marinai aveva dato il cambio ai primi due. Questi lavoravano più lentamente, evidentemente disabituati a pompare aria a una simile pressione. Per qualche motivo Kerans avvertì una leggera punta di allarme. Nonostante fosse pienamente consapevole della malizia e dell'imprevedibilità di Strangman, era assolutamente certo che l'uomo non avrebbe cercato di ucciderlo con un metodo tanto brutale come l'interruzione del rifornimento d'aria. Sia Beatrice che Bodkin erano presenti e, nonostante Riggs e i suoi uomini fossero lontani mille miglia, c'era sempre la possibilità che un'unità specializzata delle truppe governative potesse effettuare una ricognizione aerea delle lagune. A meno che non uccidesse anche Beatrice e Bodkin, il che sembrava assai improbabile per una quantità di ragioni (sospettava che i due sapessero molto di più sulla città sommersa di quanto non fossero disposti ad ammettere), Strangman avrebbe ricavato dalla morte di Kerans più noie che vantaggi. Con l'aria che gli sibilava rassicurante nel casco, Kerans attraversò la stanza deserta. Alcuni scaffali pendevano obliquamente da una parete, un archivio si ergeva in un angolo. Improvvisamente, con un senso di assoluto sgomento, Kerans vide ciò che sembrava essere un uomo con indosso un'immensa tuta spaziale rigonfia che lo fronteggiava da tre metri di distanza, bolle bianche che gli uscivano dalla testa simile a quella di una rana, le braccia sollevate in un gesto di minaccia, una lama di luce che si riversava dalla sua fronte.
"Strangman!" gridò involontariamente alla sagoma.
"Kerans! Che cosa c'è?" La voce di Strangman, più vicina del sussurro della sua stessa coscienza, trafisse la bolla di panico che gli avvolgeva i pensieri. "Kerans, brutto idiota...!"
"Mi dispiace, Strangman." Kerans cercò di riprendersi e avanzò lentamente verso la figura che si avvicinava. "Ho appena visto me stesso in uno specchio. Sono salito nell'ufficio del direttore o nella stanza dei controlli, non saprei dire quale dei due. C'è una scala privata che sale dal mezzanino, forse un'entrata nell'auditorium."
"Bravo. Veda se riesce a trovare la cassaforte. Dovrebbe essere dietro il quadro sopra la scrivania." Ignorandolo, Kerans posò le mani sulla superficie vetrata e voltò rapidamente la testa a destra e a sinistra. Era nella sala di controllo che dava sull'auditorium e la sua immagine veniva riflessa dal pannello di vetro a prova di suono. Di fronte a lui c'era la cabina che un tempo aveva ospitato la console degli strumenti, ma l'unità era stata rimossa, e la poltrona girevole dell'operatore campeggiava solitaria come il trono isolato di un qualche tiranno ossessionato dai germi. Esausto per la pressione dell'acqua, Kerans si sedette e guardò la sala circolare dell'auditorium.
Fiocamente illuminata dalla piccola lampada dello scafandro, la volta nera con le pareti ricoperte di detriti si innalzava sopra di lui come l'immenso utero tappezzato di velluto di un incubo surrealista. L'acqua nera sembrava ricadere come un sipario verticale, schermando la pedana al centro dell'auditorium quasi volesse nascondere l'ultimo sanctum delle sue profondità. Per qualche ragione l'immagine uterina del salone era rinforzata più che diminuita dalle file concentriche di sedili, e Kerans ascoltò il rumore che gli martellava nei timpani senza sapere se stesse ascoltando il fioco requiem subliminale dei suoi sogni. Aprì la piccola porta che conduceva all'auditorium, sconnettendo il cavo telefonico dell'elmetto in modo da liberarsi della voce di Strangman.
Una leggera patina di limo ricopriva i gradini e la guida del corridoio centrale. Al centro della cupola, l'acqua era almeno venti gradi più calda di quanto non fosse nella stanza dei controlli, riscaldata da qualche capriccio della convezione, e gli avvolse la pelle come un caldo balsamo. Il proiettore era stato rimosso dalla pedana, ma le fenditure della cupola scintillavano simili a distanti punti di luce, come i profili galattici di qualche lontano universo. Kerans sollevò lo sguardo su quell'insolito zodiaco, osservandolo emergere di fronte ai suoi occhi come la prima visione di qualche Cortés pelagico che emergeva dalle profondità oceaniche per guardare gli immensi oceani del cielo aperto.
In piedi sulla pedana, osservò le file di sedili che lo circondavano, chiedendosi quale rito uterino dovesse celebrare a beneficio del pubblico invisibile che sembrava scrutarlo dal buio. La pressione dell'aria all'interno del casco era aumentata bruscamente quando gli uomini sul ponte avevano perso il contatto telefonico. Le valvole pulsavano contro i lati del casco, le bolle argentee si allontanavano da lui come spettri frenetici.
Gradatamente, via via che passavano i minuti, la conservazione di quel lontano zodiaco, forse la configurazione di costellazioni che aveva avvolto la Terra durante il Triassico, sembrava a Kerans un compito molto più importante di qualsiasi altro. Scese dalla pedana e cominciò il lento ritorno alla stanza di controllo, trascinandosi dietro il cavo dell'aria. Quando raggiunse la porta, sentì il cavo che gli sfuggiva dalle mani e, in un impulso di collera, lo afferrò e lo avvolse attorno alla maniglia della porta. Aspettò finché il cavo non si tese, quindi lo avvolse una seconda volta garantendosi un raggio d'azione di tre o quattro metri. Indietreggiò sugli scalini e si fermò a metà della rampa, con la testa rivolta verso l'alto, deciso a imprimersi l'immagine delle costellazioni nella retina. Già le loro forme gli sembravano più familiari di quelle delle costellazioni classiche. In una vasta, convulsa recessione degli equinozi, un miliardo di giorni siderali si erano ripartoriti, riallineando le nebulose e le galassie nella loro prospettiva originale. Una fitta di dolore gli trafisse d'improvviso le trombe di Eustachio, obbligandolo a deglutire. Di colpo si rese conto che la valvola di ingresso dell'aria aveva smesso di funzionare. Un debole sibilo filtrava ogni dieci secondi, ma la pressione era precipitata bruscamente. Con la testa che gli girava, Kerans salì
barcollando i gradini e cercò di liberare il cavo dalla maniglia della porta, assolutamente certo che Strangman avesse colto al volo l'occasione per creare un incidente. Con i polmoni che parevano scoppiargli nel petto, inciampò in uno dei gradini e cadde goffamente sui sedili sottostanti. Mentre il raggio della lampada scivolava lungo il soffitto a cupola illuminando per l'ultima volta quell'immenso utero vuoto, Kerans si sentì sommergere da una calda nausea sanguigna. Giacque sulla schiena, con le gambe aperte sui gradini e la mano appoggiata inerte sul cavo avvolto attorno alla maniglia, mentre l'avvolgente pressione dell'acqua penetrava nello scafandro in modo che le barriere tra il suo flusso sanguigno e quello del liquido amniotico che lo circondava parvero cessare di esistere. Il profondo strato di sedimenti lo sosteneva delicatamente come un'immensa placenta, infinitamente più soffice di qualsiasi letto avesse mai conosciuto. In alto sopra di lui, mentre la sua coscienza svaniva, poteva vedere le antiche galassie e nebulose scintillare nella notte uterina, ma alla fine anche la loro luce venne offuscata e Kerans rimase consapevole soltanto del debole barlume di identità che sopravviveva nei recessi più profondi della sua mente. Lentamente, cominciò a muoversi verso quella scintilla, fluttuando verso il centro della cupola, ben sapendo che quel debole faro stava indietreggiando molto più rapidamente di quanto lui riuscisse ad avvicinarvisi. Quando non fu più visibile, Kerans continuò a procedere nella tenebra, solo, come un pesce cieco in un infinito oceano dimenticato, sospinto da un impulso la cui natura non sarebbe mai riuscito a comprendere...
Epoche fluttuarono. Onde gigantesche, infinitamente lente e avviluppanti, si frangevano per ricadere sulle spiagge senza sole del mare temporale, scaraventandolo inerme sulle secche. Kerans andò alla deriva da una pozza all'altra, nel limbo sfaccettato dell'eternità, mille immagini di se stesso riflesse negli specchi capovolti della superficie. Nei suoi polmoni, un immenso lago sembrava voler esplodere verso l'esterno, la sua cassa toracica tesa come quella di una balena per contenere il volume oceanico delle acque.
"Kerans..."
Sollevò lo sguardo sul ponte luminoso e sulla brillante panoplia di luce che si disegnava sulla tenda sopra di lui... e, infine, sul volto d'ebano dell'Ammiraglio che, seduto sulle sue gambe, gli comprimeva il torace con le mani enormi.
"Strangman, lui..." Soffocandosi con il fluido che gli ingombrava il fondo della gola, Kerans lasciò che la testa gli ricadesse sulle assi calde del ponte, mentre la luce del sole gli pungeva gli occhi. Un cerchio di facce lo scrutava attentamente dall'alto: Beatrice con gli occhi sgranati per la preoccupazione, Bodkin con un'espressione seria e accigliata, una moltitudine di volti eburnei che lo scrutavano da sotto i képi color cachi. Improvvisamente, una faccia bianca si intromise fra le altre. Soltanto a pochi centimetri da lui, era contratta in una smorfia marmorea come il volto di una statua oscena.
"Strangman, lei..."
Il sogghigno si ruppe in un sorriso trionfante. "No, non sono stato io, Kerans. Non cerchi di dare la colpa a me. Il dottor Bodkin mi è testimone." Agitò un dito minaccioso verso di lui. "L'avevo avvertita di non scendere troppo in profondità, Kerans."
L'Ammiraglio si alzò in piedi, evidentemente soddisfatto del recupero di Kerans. Il ponte sembrava fatto di ferro incandescente e Kerans si sollevò su un gomito e si sedette fiaccamente nella pozza d'acqua. A pochi passi di distanza, lo scafandro giaceva abbandonato come un cadavere enfiato. Beatrice si fece largo nel cerchio di persone e si accovacciò accanto a lui. "Rilassati, Robert, adesso non pensarci." Gli passò un braccio intorno alle spalle, sollevando lo sguardo per controllare Strangman. L'uomo era in piedi accanto a Kerans, le mani sui fianchi e le labbra inarcate in un sorriso soddisfatto.
"Il cavo si è impigliato..." Kerans cercò di schiarirsi la mente; i suoi polmoni erano come due teneri fiori strapazzati dalle intemperie. Respirò lentamente, calmando i propri organi respiratori con lunghe boccate di aria fresca. "Lo stavano tirando da sopra. Non li avete fermati..." Bodkin fece un passo avanti, tenendo tra le mani la giacca di Kerans. In silenzio, gliela mise sulle spalle.
"Stia tranquillo, Robert," disse poi. "Adesso non ha importanza. In verità, sono assolutamente sicuro che non sia stata colpa di Strangman: stava parlando con me e Beatrice quando è successo. Il cavo deve essersi agganciato a qualche ostacolo. Sembra proprio che sia stato soltanto un incidente."
"No, non lo è stato, dottore," intervenne Strangman. "Non cerchi di perpetuare una mera leggenda, Kerans le sarà molto più grato se gli dice la verità. Ha ancorato il cavo lui stesso, deliberatamente.
Perché?" Agitò una mano nell'aria in un gesto istrionico. "Perché voleva far parte del mondo sommerso." Cominciò a ridere, battendosi i palmi sulle gambe per l'ilarità mentre Kerans arrancava fiaccamente verso la sua poltrona. "E la cosa buffa è che non sa se sto dicendo o meno la verità. Se ne rende conto, Bodkin? Lo guardi: è vero che non ne è sicuro! Dio, quale ironia!"
"Strangman!" sbottò furiosamente Beatrice, sconfiggendo le proprie paure. "La smetta di dire queste cose! Potrebbe essere stato un incidente."
Strangman si strinse teatralmente nelle spalle. "Potrebbe," ripeté con grande enfasi. "Ammettiamo pure che sia così. Ciò non fa altro che rendere la cosa più interessante... almeno per Kerans. 'Ho cercato diuccidermi o no?' Uno dei pochi quesiti esistenziali assoluti, molto più significativo del classico 'Essere o non essere?' che sottolinea semplicemente l'incertezza del suicidio, piuttosto che l'eterna ambivalenza della sua vittima." Rivolse a Kerans un sorriso condiscendente. Kerans rimase muto sulla poltrona, sorseggiando il drink preparatogli da Beatrice. "Kerans, le invidio di tutto cuore il compito di scoprire la risposta a questo quesito... sempre che ne sia in grado."
Kerans riuscì a sorridere debolmente. Dalla rapidità con cui si era ripreso, capì di aver risentito soltanto lievemente del principio di annegamento. I membri dell'equipaggio, non più interessati, erano tornati alle loro mansioni.
"Grazie, Strangman. Quando troverò la risposta, lei sarà il primo a saperlo." Sulla strada del ritorno verso il Ritz, rimase seduto in silenzio a prua dell'imbarcazione, ripensando al grande utero del planetario e alla moltitudine dei suoi significati, e cercando di cancellarsi dalla mente il terribile dilemma che Strangman aveva posto in termini così orribilmente corretti. Aveva forse inconsciamente bloccato il cavo dell'aria, ben sapendo che la tensione eccessiva l'avrebbe soffocato, oppure era stato un incidente puro e semplice? 0 addirittura un tentativo di Strangman di fargli del male? Se non fosse stato per i due marinai che si erano tuffati a salvarlo (forse aveva contato sul fatto che sarebbero scesi a cercarlo, quando aveva scollegato il cavo telefonico), avrebbe certamente trovato la risposta. E, comunque, i motivi che l'avevano spinto a effettuare l'immersione gli restavano oscuri. Non c'era alcun dubbio che si fosse sentito spinto da uno strano impulso a mettersi nelle mani di Strangman, quasi come se stesse preparando il proprio omicidio.
Nel corso dei giorni immediatamente successivi il mistero rimase insoluto. Il mondo sommerso vero e proprio e la misteriosa brama di correre a sud che aveva preso possesso di Hardman erano forse nient'altro che un impulso suicida, un'accettazione inconscia della logica che sottostava alla sua stessa discesa involutiva, la definitiva sintesi neuronica dello zero archeopsichico? Piuttosto che cercare di vivere con un altro enigma e sempre più spaventato del vero ruolo che Strangman interpretava nella sua mente, Kerans represse sistematicamente ogni ricordo dell'incidente. Allo stesso modo, Bodkin e Beatrice smisero di parlarne, come se accettassero il fatto che la risposta a quel quesito avrebbe risolto anche per loro molti degli altri misteriosi enigmi che ora erano l'impalcatura su cui il loro essere si reggeva; illusioni che, come tutti gli ambigui ma necessari assunti sulle loro personalità, avrebbero sacrificato soltanto con estrema riluttanza. Festa a sorpresa
"Kerans...!"
Svegliato di soprassalto dal rombo cupo dell'idrovolante che si avvicinava al molo di attracco, Kerans si mosse inquieto sul letto, agitando la testa sul cuscino intriso di sudore. Focalizzò lo sguardo sul parallelogramma verde che macchiava il soffitto sopra le tende alla veneziana, ascoltando i motori del velivolo che, all'esterno, invertivano la rotazione e acceleravano. Poi, con uno sforzo, si tirò giù dal letto. Erano già passate le sette e mezzo, un'ora più tardi di quanto non si svegliasse un mese prima, e la luce abbagliante del sole che si rifletteva sulla superficie immobile della laguna infilava le dita acuminate nella stanza buia come un mostro dorato e famelico.
Con una punta di fastidio Kerans si accorse di aver dimenticato di spegnere il ventilatore sul comodino prima di addormentarsi. Negli ultimi tempi aveva cominciato a cadere addormentato nei momenti più impensabili, a volte quando era ancora seduto in posizione semieretta sul letto, magari intento a slacciarsi le scarpe. Nel tentativo di preservare le proprie scorte di carburante il più a lungo possibile, aveva chiuso la camera da letto e aveva trasferito il pesante letto a due piazze nel salone, ma il legame della prima stanza con il sonno era tanto profondo che, dopo pochi giorni, era stato costretto a riportarlo dov'era. "Kerans...!"
La voce di Strangman riecheggiò nel corridoio sottostante, Kerans zoppicò lentamente fino alla stanza da bagno e riuscì a lavarsi la faccia prima che Strangman facesse il suo ingresso nella suite. Lanciando il casco sul pavimento, Strangman tirò fuori una caraffa di caffè caldo e una confezione di gorgonzola in scatola reso verde dall'età.
"Un regalo per lei." Esaminò gli occhi pesti di Kerans con un'espressione amorevolmente corrucciata.
"Allora, come vanno le cose nelle profondità temporali?"
Kerans si sedette sull'orlo del letto, aspettando che i tonfi distanti delle giungle fantasma gli svanissero dalla mente. Tutt'intorno a lui, i residui dei sogni si distendevano sotto la superficie della realtà come spiagge senza fine. "Perché è venuto qui?" domandò con voce piatta.
Strangman assunse un'espressione profondamente ferita.
"Kerans, lei mi piace. A quanto pare, continua a dimenticarselo." Sorridendo a Kerans, girò la manopola del condizionatore d'aria per aumentarne l'intensità. Kerans rimase a osservare attentamente la smorfia che gli contraeva le labbra. "In realtà," riprese Strangman, "c'è anche un altro motivo... voglio invitarla a cenare con me, stasera. No, la prego, non cominci a scuotere la testa. Per un motivo o per l'altro, ho continuato a venire qui: adesso è ora che le restituisca l'ospitalità. Ci saranno anche Beatrice e il vecchio Bodkin: dovrebbe essere una cosa carina... fuochi d'artificio, tamburi africani e... e una sorpresa."
"Di che cosa si tratta, esattamente?"
"Lo vedrà. Qualcosa di veramente spettacolare, mi creda. Io non faccio le cose a metà, Kerans, dovrebbe saperlo. Se soltanto volessi, farei danzare quegli alligatori sulla punta delle code." Annuì solennemente. "Kerans, le assicuro che resterà impressionato. E può anche darsi che le faccia bene al cervello fermare per un po' quella sua macchina del tempo impazzita." Il suo umore cambiò, facendosi astratto e distante. "Ma non dovrei prendermi gioco di lei, Kerans. Personalmente, non riuscirei a sopportare nemmeno un decimo delle responsabilità di cui lei si è fatto carico. La tragica solitudine, per esempio, di quelle paludi infestate del Triassico." Prese un libro da sopra il condizionatore, una raccolta di poesie di Donne, e improvvisò un verso lì per lì: "Un mondo dentro un mondo, ogni uomo un'isola a sé stante, che nuota attraverso mari di arcipelaghi...".
Praticamente certo che Strangman lo stesse prendendo in giro, Kerans gli domandò: "Come vanno le immersioni?".
"Francamente, non molto bene. La città è troppo a nord perché vi sia rimasto qualcosa di valore. Ma abbiamo scoperto alcune cose davvero interessanti. Questa sera avrà modo di vedere con i suoi occhi." Kerans esitò, dubitando persino di avere le energie necessarie per condurre una conversazione anche banale con Beatrice e il dottor Bodkin: non aveva più visto nessuno dei due dal fallimento della festa acquatica, anche se ogni sera Strangman saliva sul suo idrovolante e andava al palazzo di Beatrice. Kerans poteva soltanto tentare di indovinare se avesse avuto successo o meno con la donna, ma il modo in cui Strangman si riferiva a lei (con frasi tipo: "Le donne sono come ragni, se ne restano sedute a osservarti mentre tessono la loro tela" o "Beatrice continua a parlare di lei, Robert, maledizione") indicava quasi sicuramente una risposta negativa.
Comunque, il tono di particolare enfasi nella voce di Strangman suggeriva che la partecipazione di Kerans fosse praticamente obbligatoria e che non gli sarebbe stata concessa la possibilità di esimersi dall'accettare l'invito. Strangman lo seguì nel salone, in attesa di una risposta.
"È un preavviso piuttosto breve, Strangman." "Mi dispiace moltissimo, Kerans, ma dal momento che ci conosciamo così bene, sono assolutamente certo che non se la prenderà troppo. Dia pure la colpa alle mie tendenze maniacodepressive. Mi lascio sempre prendere da progetti folli." Kerans trovò due tazzine da caffè di porcellana con fregi in oro zecchino e le riempì con il contenuto della caraffa. Ci conosciamo così bene, ripeté ironicamente tra sé. Che io sia dannato se ti conosco,Strangman. Impazzando per le lagune come lo spirito delinquente della città sommersa, apoteosi vera e propria di tutta la sua violenza e la sua crudeltà dissennata, Strangman era mezzo pirata e mezzo demone. Eppure, aveva un ulteriore ruolo neuronico in cui sembrava esercitare quasi un'influenza positiva, reggendo uno specchio simbolico di fronte a Kerans e mettendolo obliquamente in guardia sul futuro che il biologo si era scelto. Era quel legame a tenerli uniti: altrimenti, Kerans avrebbe già lasciato le lagune da lungo tempo per spostarsi a sud.
"Devo dedurre che non si tratti di una celebrazione di addio," disse a Strangman. "Non avete intenzione di andarvene?"
"Mio caro Kerans, ma certo che no," protestò Strangman. "Siamo appena arrivati. E, a parte questo," aggiunse con voce saggia, "dove potremmo andare? Non è rimasto molto da prendere, dia retta a me. A volte mi sento come Phlebas il fenicio. Anche se questo, in realtà, sarebbe più il suo ruolo, non è vero?" Poi intonò: Una corrente sottomarina
Gli strappò le ossa con un sussurro
E mentre si rialzava e ricadeva
Oltrepassò gli stadi della maturità e della giovinezza Entrando nel vortice.
Continuò a tormentare Kerans finché il biologo, esausto, accettò l'invito, quindi se ne andò felice. Kerans finì il caffè e, quando si sentì più in forze, sollevò le veneziane e lasciò libero accesso al bagliore del sole. Fuori, adagiata sulla sedia a sdraio della veranda, una grossa lucertola albina lo fissava con i suoi occhi di pietra, aspettando che accadesse qualcosa.
Quella sera, mentre remava sulla laguna verso il battello, Kerans si scoprì a cercare di immaginare la natura della "sorpresa" di Strangman, sperando che non si trattasse di un altro dei suoi scherzi elaborati. Il semplice sforzo di radersi e di indossare una giacca da sera bianca l'aveva sfinito. Nella laguna erano in corso preparativi in grande stile. Il battello era stato ancorato a circa cinquanta metri dalla riva, decorato con tendoni e luci colorate, e le due imbarcazioni superstiti stavano lavorando incessantemente lungo le sponde, spingendo gli alligatori verso la laguna centrale. Kerans indicò un grosso caimano che si agitava nell'acqua, accerchiato da una selva di arpioni, e domandò a Big Caesar: "Che cosa c'è nel menu, stasera? Alligatore arrosto?". Dalla prua dell'imbarcazione, il gigantesco mulatto gobbo si strinse vagamente nelle spalle. "Strang ha messo su un bello spettacolo, stasera, signor Kerans... uno spettacolo coi fiocchi. Vedrà." Kerans si alzò dalla poltroncina e si sporse sul ponte. "Big Caesar, da quanto tempo conosci il Capitano?"
"Da un sacco di tempo, signor Kerans. Dieci anni, forse venti."
"È un tipo strano, davvero," continuò Kerans. "I suoi umori cambiano così rapidamente... devi essertene accorto, lavorando per lui. Devo ammettere che a volte mi fa un po' paura." Il mulatto gli rivolse un sorriso enigmatico. "Ha proprio ragione su questo punto, signor Kerans," disse con una risatina. "Proprio ragione."
Ma, prima che Kerans avesse modo di insistere sull'argomento, una voce amplificata da un megafono li aggredì dal ponte del battello.
Strangman ricevette i suoi ospiti aspettandoli sulla passerella. Di buonissimo umore, inscenò un'accoglienza improntata al fascino e alla lusinga, complimentandosi a lungo con Beatrice per il suo aspetto. La donna indossava un vestito da sera di broccato azzurro e il mascara turchese che si era applicata agli occhi la faceva sembrare un esotico uccello del paradiso. Persino Bodkin si era costretto a tagliarsi la barba e a recuperare da chissà dove una giacca di lino dall'aspetto rispettabile, mentre un vecchio pezzo di stoffa intorno al collo era la sua personale concessione all'antico concetto di cravatta nera. Proprio come Kerans, tuttavia, entrambi avevano uno sguardo vitreo e distante, e si unirono meccanicamente alla conversazione.
Strangman, però, parve non accorgersene. 0, se anche se ne accorse, era comunque troppo eccitato per preoccuparsene. Quali che fossero le sue ragioni, si era evidentemente dato un gran da fare per inscenare la sua misteriosa sorpresa. Un tendone nuovo era stato disteso come una vela bianca sul ponte di osservazione, ripiegato all'orlo per fornire loro una veduta totale della laguna e del cielo. Un ampio tavolo da pranzo circolare era stato sistemato accanto al parapetto, circondato da bassi divani in stile egiziano, da spirali dorate e da tortiglioni in avorio. Il tavolo era apparecchiato con una pletora di stoviglie in oro e argento massiccio che, per quanto spaiate, scintillavano maestose sulla tovaglia di lino: le ciotole lavadita in oro erano grandi come catini.
In un accesso di prodigalità, Strangman aveva dato fondo al suo scrigno dei tesori: diverse statue in bronzo erano state disposte intorno al tavolo a reggere vassoi di frutta e vasi colmi di orchidee, e un'immensa tela di un pittore della scuola del Tintoretto era stata sistemata a coprire i bocchettoni di servizio. La sua mole imponente incombeva sulla tavola imbandita come un affresco. Il titolo del quadro era Ilmatrimonio diEster e di re Serse, ma la rappresentazione pagana e lo sfondo della laguna di Venezia e dei palazzi barocchi del Canal Grande, insieme ai costumi e alle decorazioni tipicamente cinquecentesche, lo facevano assomigliare più al Matrimonio di Nettuno e Minerva, indubbiamente il significato che Strangman intendeva sottolineare. Re Serse, un vecchio doge o grand'ammiraglio veneziano dal naso a becco, sembrava già completamente addomesticato dalla sua pudica Ester dai capelli corvini, i cui lineamenti serbavano una lieve ma inconfondibile somiglianza con le fattezze di Beatrice. Quando rivolse lo sguardo alla superficie affollata della tela, Kerans colse d'un tratto un altro profilo familiare (il viso di Strangman tra i sorrisi duri e crudeli del Consiglio dei Dieci); ma, quando si avvicinò al dipinto, ogni somiglianza scomparve. La cerimonia nuziale veniva celebrata su un galeone ormeggiato accanto al Palazzo dei Dogi, e i suoi complicati ornamenti rococò sembravano fondersi direttamente con le gomene d'acciaio e gli angoli del battello di Strangman. A parte la somiglianza dello sfondo, enfatizzata dalle due lagune e dagli edifici che sorgevano dall'acqua, la ciurma di Strangman avrebbe potuto tranquillamente essere uscita dal dipinto, in cui spiccavano gli schiavi ingioiellati e il capitano negro dei gondolieri. Mentre sorseggiava il suo cocktail, Kerans disse a Beatrice: "Ti ci vedi in quel quadro, Bea? Ovviamente, Strangman spera che tu riesca a sottomettere la forza dell'inondazione con la stessa abilità che Ester ha adoperato per avere ragione del re".
"Esatto, Kerans!" esclamò Strangman avvicinandosi a loro. "Ha centrato perfettamente il punto della questione." Si inchinò a Beatrice. "Spero che vorrà accettare il complimento, mia cara."
"Ne sono assai lusingata, Strangman, naturalmente." Beatrice si avvicinò al dipinto, esaminando il proprio doppio, quindi si voltò con un turbine di broccato e si appoggiò al parapetto, perdendo lo sguardo sulla superficie immobile dell'acqua. "Ma non sono affatto sicura di voler interpretare quel personaggio, Strangman."
"Ma lei lo è, signorina Dahl. Non c'è via di scampo." Strangman fece cenno al cameriere di avvicinarsi a Bodkin, che era seduto in un silenzioso sogno a occhi aperti, quindi batté la mano sulla spalla di Kerans. "Mi creda, dottore, presto vedrà..."
"Benissimo. Sto cominciando a diventare un po' impaziente, Strangman."
"Ma come, dopo trenta milioni di anni, non può aspettare altri cinque minuti? È fin troppo ovvio che io la sto riportando al presente."
Per tutta la durata della cena, Strangman controllò accuratamente la successione dei vini, approfittando delle sue continue assenze dal desco per conferire privatamente con l'Ammiraglio. Con il brandy conclusivo di fronte a ognuno di loro, Strangman si sedette per quella che sembrava essere l'ultima volta e strizzò
l'occhio a Kerans. Due scafi si erano spostati nella piccola baia dalla parte opposta della laguna e scomparvero all'imbocco della rada, mentre un terzo prendeva posizione al centro. Dal ponte di quest'ultimo venne lanciato verso il cielo un breve spettacolo di fuochi d'artificio. Gli ultimi raggi di luce solare erano ancora sospesi sull'acqua, ma si erano affievoliti a sufficienza perché le girandole e i razzi potessero splendere in tutto il loro fasullo fulgore; le loro esplosioni improvvise si stagliavano nettamente contro il cielo rosato del crepuscolo. Il sorriso di Strangman si faceva sempre più ampio, finché l'uomo non si appoggiò allo schienale della poltrona sogghignando sfacciatamente tra sé, con i lampi rossi e verdi dei fuochi d'artificio che illuminavano a intermittenza i suoi lineamenti saturnini. A disagio, Kerans si sporse per domandargli quando si sarebbe materializzata la famigerata "sorpresa", ma Strangman lo prevenne.
"Ebbene, non ve ne siete accorti?" Diede un'occhiata circolare ai commensali. "Beatrice? Dottor Bodkin? Voi tre siete un po' lenti. Uscite per un attimo dalle profondità del tempo," li esortò. Uno strano silenzio incombeva sulla nave e, involontariamente, Kerans si appoggiò al parapetto nell'eventualità che Strangman stesse per far esplodere una bomba di profondità. Abbassando lo sguardo sul ponte sottostante, vide d'un tratto venti o trenta membri dell'equipaggio che fissavano immobili la laguna, i loro volti d'ebano e le loro uniformi bianche che scintillavano alla luce spettrale, come la ciurma di un vascello fantasma.
Perplesso, Kerans scrutò il cielo e la laguna. Il crepuscolo era sopraggiunto molto più rapidamente di quanto il biologo non si aspettasse: le facciate degli edifici sulla sponda opposta stavano per essere inghiottiti dall'ombra. Al tempo stesso, però, il cielo restava chiaro e visibile nella luce del tramonto; le cime delle piante circostanti erano spennellate di rosso.
Una serie di tonfi cupi e regolari rimbombava in lontananza: le pompe idrovore che erano rimaste in funzione per tutta la giornata e il cui frastuono era stato soffocato dalle esplosioni dei fuochi d'artificio. Intorno al battello, l'acqua era diventata stranamente calma e priva di vita; le basse onde che solitamente si muovevano sulla superficie erano ora del tutto assenti. Chiedendosi se Strangman non avesse organizzato un'esibizione di nuoto subacqueo da parte di un gruppo di alligatori ammaestrati, Kerans osservò attentamente la superficie.
"Alan! Guardi, per l'amor del cielo! Beatrice, non vedi?" Kerans si sbarazzò della sedia con un calcio e si precipitò al parapetto, indicando stupito l'acqua sottostante. "Il livello della laguna si sta abbassando!" Sospese appena al di sotto della scura superficie traslucida, le sagome rettangolari degli edifici sommersi divenivano a ogni istante sempre più visibili, le finestre sfondate simili alle orbite vuote di enormi teschi inabissati. A soli pochi metri dalla superficie, si avvicinavano inesorabilmente, emergendo dalle profondità
come un'immensa, intatta Atlantide. Dapprima una dozzina, poi una ventina di edifici comparve alla vista, i cornicioni e le scale antincendio chiaramente visibili attraverso il vetro rifrangente sempre più sottile dell'acqua. La maggior parte era alta soltanto quattro o cinque piani, evidentemente parte di un quartiere di piccoli negozi e di uffici racchiuso dagli edifici più alti che avevano formato il perimetro della laguna. A cinquanta metri di distanza, il primo tetto ruppe la superficie, un rettangolo malconcio soffocato dalle alghe sul quale guizzavano alcuni pesci disperati. Immediatamente un'altra decina di tetti vi apparve intorno, delineando già rozzamente una strada breve e angusta. Poi fu la volta della prima fila di finestre che emerse colando acqua dai davanzali, con agglomerati di alghe che pendevano dai cavi che si estendevano al di sopra delle strade.
La laguna era già svanita. Mentre scendevano lentamente verso il fondo, adagiandosi al centro di quello che sembrava essere un ampio piazzale, intorno a loro si levava una selva di tetti punteggiata da camini e guglie corrose, il piatto lenzuolo della superficie trasformato in una giungla di blocchi cubisti che, alle sue estremità, si confondeva con la muraglia della vegetazione circostante. Ciò che restava dell'acqua aveva formato alcuni canali che, scuri e cupi, si allontanavano intorno agli angoli degli edifici e negli stretti vicoli liberati dalle pompe di Strangman.
"Robert! Fermalo! È orribile!" Kerans sentì Beatrice che lo afferrava per un braccio, conficcandogli le lunghe unghie azzurrine nel tessuto della giacca. Osservava la città riemergente con gli occhi sgranati in un'espressione di ripulsa e il volto teso, fisicamente disgustata dal fetore acre e penetrante delle alghe e dalle forme fradicie dei molluschi sui rottami arrugginiti. Veli di sargassi ondeggiavano dai cavi telegrafici e dalle insegne al neon e una leggera patina di sedimenti ricopriva le facciate degli edifici, trasformando la limpida bellezza della città sommersa in una fogna prosciugata e pestilenziale. Per un istante Kerans lottò per schiarirsi le idee, nello sforzo spasmodico di affrontare l'improvviso capovolgimento del mondo che aveva imparato a considerare normale, incapace di accettare l'aura di rinascita dello spettacolo a cui stava assistendo. Dapprima si chiese se non si fosse verificato un totale rovesciamento climatico che stesse riducendo gli oceani precedentemente in espansione, prosciugando le città sommerse. Se così fosse stato, avrebbe dovuto ripercorrere la strada del ritorno a quel nuovo presente o, altrimenti, restare ancorato milioni e milioni di anni prima sulla spiaggia di una laguna del Triassico. Ma nel profondo della sua mente il grande sole pulsava cupamente irradiando il suo calore con forza inalterata. "Quelle pompe sono potentissime," udì Bodkin mormorare accanto a lui. "Il livello dell'acqua cala di quasi settanta, ottanta centimetri al minuto. Non siamo tanto lontani dal fondo. Tutto questo è semplicemente fantastico!"
Una risata echeggiò nell'aria sempre più scura. Strangman si agitava nella sua poltrona in preda a un'ilarità inarrestabile, asciugandosi gli occhi con l'angolo di un fazzoletto. Liberato dalla tensione dovuta all'allestimento dello spettacolo, ora esultava di fronte alle tre facce sconvolte che lo guardavano stupite dal parapetto. Sul ponte superiore, l'Ammiraglio osservava la scena con divertito distacco, la luce ormai morente del giorno si rifletteva sul suo torace bronzeo. Sotto di lui, due o tre uomini stavano armeggiando con le gomene, cercando di mantenere il battello all'interno dello spiazzo.
Le due imbarcazioni che si erano spostate all'imbocco dell'insenatura durante lo spettacolo di fuochi artificiali stavano galleggiando dietro una massiccia barricata, mentre una massa torrenziale di acqua schiumante fuoriusciva dalle bocche gemelle del sistema di pompaggio. Alla fine i tetti salirono a nasconderle alla vista, e le persone sul ponte della nave si trovarono di fronte agli edifici scoloriti della piazza. Rimanevano soltanto quattro o cinque metri d'acqua e, a meno di cento metri da loro, era visibile la terza imbarcazione che, muovendosi prudentemente, esplorava i vicoli laterali tra i cavi penzolanti. Finalmente Strangman parve riacquistare il controllo di sé e si avvicinò al parapetto. "Perfetto... non le pare, dottor Bodkin? Che spettacolo... una visione veramente superba! Suvvia, dottore, si tolga quell'espressione offesa dalla faccia. Si congratuli con me! Non è stato facile organizzare tutto questo." Bodkin annuì e si spostò lungo il parapetto, lo sguardo ancora stordito. "Ma come ha fatto a sigillare il perimetro?" domandò Kerans. "Non c'è una muraglia uniforme intorno alla laguna." "Ora c'è, dottore. Pensavo che fosse lei l'esperto di biologia marina. I funghi che crescevano nel fango palustre all'esterno hanno consolidato l'intera massa: per tutta la settimana l'acqua è fluita da un unico punto... abbiamo impiegato meno di cinque minuti per sbarrarlo."
Osservò con sguardo acuto le strade che emergevano lentamente nella penombra circostante, i dorsi gibbosi delle automobili e degli autobus che apparivano sulla superficie. Anemoni di mare e stelle marine gigantesche agonizzavano nelle secche, e le alghe pendevano morenti dai davanzali delle finestre.
"Leicester Square," disse Bodkin con voce inespressiva.
Strangman smise di sorridere e si voltò verso di lui, gli occhi intenti a scrutare rapacemente i portici sormontati dalle insegne al neon dei vecchi cinema e teatri della piazza.
"Allora sa davvero come muoversi da queste parti, dottore! È un peccato che non ci abbia voluto aiutare prima, quando non sapevamo come orientarci." Colpì il parapetto con un remo, afferrando Kerans per un braccio. "Adesso cominciamo a fare sul serio, perdio!" Si allontanò da loro con un ringhio, dando un calcio al tavolo da pranzo e latrando un ordine perentorio all'Ammiraglio.
Beatrice, allarmata, lo guardò scomparire sottocoperta. Si teneva una mano affusolata sulla gola.
"Robert, quell'uomo è pazzo. Che cosa facciamo ora? Prosciugherà le lagune." Kerans annuì, pensando alla metamorfosi repentina di Strangman a cui aveva appena assistito. Con il riapparire delle strade e degli edifici sommersi, i suoi modi erano cambiati bruscamente. Ogni traccia della sua raffinatezza mondana e del suo laconico umorismo era svanita: ora era malvagio e astuto, lo spirito rinnegato dei bassifondi che tornava a solcare il suo scenario perduto. Era quasi come se la presenza dell'acqua lo avesse anestetizzato, soffocando il suo vero carattere per lasciargli soltanto l'involucro formale e affascinante che aveva esibito fino a quel momento.
Alle loro spalle, l'ombra di un edificio cadde sul ponte, calando un sipario diagonale di oscurità sull'enorme tela cinquecentesca. Rimasero visibili soltanto poche figure (Ester, il capitano negro dei gondolieri e il volto bianco e privo di barba di un membro del Consiglio dei Dieci). Come Strangman aveva predetto, Beatrice aveva interpretato il suo ruolo simbolico: Nettuno si era arreso e aveva battuto in ritirata. Kerans sollevò lo sguardo sulla sagoma tondeggiante del laboratorio biologico, appollaiato sul cinema dietro di loro come un enorme masso in bilico sull'orlo di una rupe. Alti apparentemente più di trenta metri, gli edifici intorno al perimetro della laguna ora tagliavano alla vista metà del cielo, imprigionandoli nel fondo buio di un canyon.
"Non ha poi così tanta importanza," prese tempo Kerans. Il battello toccò il fondo e ondeggiò lievemente, schiacciando una piccola automobile sotto la chiglia. Kerans allungò una mano per sorreggere Beatrice.
"Quando avranno finito di saccheggiare i magazzini e i musei, se ne andranno. E, comunque, le piogge arriveranno tra una settimana o due al massimo."
Beatrice si schiarì la gola con un'espressione di disgusto, ritraendosi quando i primi pipistrelli cominciarono a sfrecciare tra i tetti, svolazzando da una grondaia gocciolante all'altra. "Ma è tutto così orribile... Non posso credere che qualcuno abbia potuto vivere qui. È come una città infernale. Robert, io hobisogno della laguna."
"Be', potremmo sempre andare a sud muovendoci sui banchi di sedimenti. Che cosa ne pensa, Alan?" Bodkin scosse lentamente la testa: stava ancora osservando con occhi vitrei gli edifici che si ergevano intorno alla piazza. "Voi due andate pure. Io devo restare qui." Kerans ebbe un istante di esitazione. "Alan," lo mise in guardia con voce gentile, "Strangman ora ha tutto ciò di cui ha bisogno. Per lui siamo diventati assolutamente inutili. Presto non saremo altro che ospiti indesiderati."
Ma Bodkin lo ignorò. Guardò le strade in basso, con le mani avvinghiate al parapetto come un vecchio che, al bancone di un immenso negozio, sta cercando di acquistare i ricordi della propria infanzia. Le strade erano state prosciugate quasi del tutto. L'imbarcazione si incagliò su un marciapiede, riprese nuovamente l'acqua e poi si fermò definitivamente su un'isola spartitraffico. Capeggiati da Big Caesar, i tre uomini dell'equipaggio saltarono nell'acqua alta fino alla vita e arrancarono rumorosamente verso il battello, spruzzando acqua nelle vetrine sfondate dei negozi.
Con un sussulto, il battello si sistemò stabilmente sul fondo. Grida e applausi di gioia si levarono da Strangman e dal resto della ciurma, mentre tutti facevano attenzione a evitare i cavi e i pali del telegrafo che pencolavano pericolosamente sopra le loro teste. Una piccola scialuppa venne calata in acqua e, in un coro di pugni battuti sul parapetto all'unisono dalla ciurma festante, l'Ammiraglio traghettò Strangman dalla parte opposta della pozza fino alla fontana che campeggiava al centro della piazza. Lì Strangman scese, estrasse una pistola lanciarazzi dalla tasca della giacca da sera e, con un grido di esultanza, cominciò a sparare una variopinta salva di bengala nell'aria calda della sera.
"La ballata del signor Ossa"
Mezz'ora più tardi, Beatrice, Kerans e il dottor Bodkin poterono camminare per le strade. Ampie pozze d'acqua si aprivano ancora un po' dappertutto, stillando dai piani più bassi degli edifici, ma raramente erano più profonde di una cinquantina di centimetri. C'erano tratti asciutti di selciato, lunghi più di cento metri e molte delle strade più oltre erano completamente prosciugate. Pesci morenti e piante acquatiche si essiccavano al centro delle strade e grandi banchi di fanghiglia nerastra erano accumulati nei tombini e sui marciapiedi, ma fortunatamente le acque in riflusso vi avevano lasciato lunghi passaggi. Con Strangman in testa che camminava spedito nel suo vestito bianco sparando bengala nelle strade buie, la ciurma si allontanò come un branco di animali urlanti, quelli davanti portando barilotti di rum, gli altri brandendo un assortimento di bottiglie, machete e chitarre. Le grida di derisione ("Signor Ossa! Signor Ossa!") si spensero intorno a Kerans mentre aiutava Beatrice a scendere dalla passerella, quindi il terzetto venne abbandonato al silenzio del grande battello deserto.
Rivolgendo occhiate incerte al lontano anello della giungla che si profilava nell'oscurità come l'orlo circolare di un cratere vulcanico spento, Kerans guidò gli altri fino agli edifici più vicini. Si fermarono di fronte all'ingresso di un cinema il cui pavimento era disseminato di ricci di mare e oloturie sussultanti. Altri echinodermi incrostavano il pannello di vetro della biglietteria.
Beatrice si sollevò la gonna con una mano e, insieme, i tre si incamminarono lungo la fila di cinema, caffè e sale giochi i cui unici clienti ora erano soltanto conchiglie e molluschi. Giunti al primo angolo, si allontanarono dai rumori della baldoria provenienti dall'altro lato della piazza, e procedettero verso ovest, lungo gli oscuri canyon gocciolanti formati dai palazzi. Alcuni bengala continuavano a esplodere sopra le loro teste e delicati ricami di corallo cresciuti negli androni scintillavano dolcemente riflettendo i bagliori rosa e azzurri.
"Coventry Street, Haymarket..." sussurrava Kerans leggendo i cartelli stradali arrugginiti. Quando Strangman e i suoi uomini riattraversarono la piazza in un'orgia di luce e di rumore, demolendo le assi di legno marcite sopra le vetrine dei negozi, i tre si affrettarono a nascondersi in un portone.
"E speriamo che riescano a trovare qualcosa che li soddisfi," mormorò Bodkin. Continuava a scrutare la sagoma dei grattacieli, come se stesse cercando l'acqua nera e profonda che un tempo li ricopriva. Vagarono per diverse ore lungo le strade come eleganti spettri erratici, incontrando di tanto in tanto un membro dell'equipaggio che caracollava con passo ubriaco al centro della strada con una bottiglia vuota di liquore in una mano e un machete nell'altra. Alcuni falò erano stati accesi al centro degli incroci, circondati da gruppi di due o tre uomini che si riscaldavano al bagliore dei tizzoni ardenti. Cercando di evitarli, il terzetto attraversò il groviglio di strade verso la sponda meridionale della ex laguna, dove il grattacielo di Beatrice si ergeva nella tenebra, l'attico perduto tra le stelle.
"Dovrai fare a piedi i primi dieci piani," disse Kerans a Beatrice. Le indicò l'alto cumulo di detriti che si innalzava in un fangoso pendio fino alle finestre del quinto piano, parte dell'immensa massa di limo coagulata che, come aveva descritto Strangman, ora circondava la laguna e formava una diga impenetrabile contro il mare incombente. Lungo le strade laterali potevano vedere l'immensa massa viscida che si sollevava oltre i tetti, fluendo all'interno degli edifici sventrati che, a loro volta, contribuivano a consolidarla. Qua e là, il perimetro della diga si ancorava a una costruzione più massiccia, una chiesa o un palazzo dell'amministrazione pubblica, rompendo così la regolarità della propria circonferenza. Una di queste evaginazioni indicava la rotta che avevano seguito durante il galà acquatico e Kerans si accorse di aver involontariamente accelerato il passo via via che si avvicinavano al planetario. Attese impaziente mentre gli altri si attardavano davanti alle vetrine vuote dei grandi magazzini in rovina o fissavano la fanghiglia nerastra che colava dalle scale mobili sotto i grattacieli, raccogliendosi in pozze viscide in mezzo alla strada. Anche il più piccolo degli edifici era stato barricato prima di essere abbandonato e un ammasso rudimentale di paratie d'acciaio e griglie metalliche ingombrava le porte, nascondendo tutto ciò che poteva ancora trovarsi all'interno. Ogni cosa era ricoperta da un sottile strato di mota che soffocava qualsiasi traccia di eleganza e di particolarità che un tempo avevano contraddistinto le strade, in modo che l'intera città sembrava a Kerans risorta dalle proprie fogne. Se mai fosse giunto il Giorno del Giudizio, gli eserciti dei morti si sarebbero probabilmente levati avvolti nello stesso fetido manto.
"Robert." Bodkin lo prese per un braccio indicandogli la strada buia che si stendeva davanti a loro. Cinquanta metri più avanti, con la cupola metallica debolmente delineata nella luce frammentaria generata dalle esplosioni distanti dei razzi di segnalazione, si ergeva la cupa sagoma ombrosa del planetario. Kerans si fermò, riconoscendo la disposizione delle strade circostanti, i marciapiedi e i lampioni, quindi riprese a camminare, metà incerto e metà curioso, verso quell'oscuro pantheon che conteneva un numero così elevato dei suoi terrori e dei suoi dilemmi.
Spugne e kelp rosso si contorcevano mollemente sul marciapiede prospiciente l'entrata. I tre si avvicinarono, muovendosi cautamente sui cumuli di fango che costellavano la strada. I ciuffi di fucus che avevano ricoperto la cupola ora ricadevano inerti sulla tettoia, le lunghe fronde appese sopra l'entrata come un tendone malconcio. Kerans sollevò una mano e scostò le fronde, quindi sbirciò con circospezione l'interno del foyer. Uno spesso strato di fango nero che sibilava debolmente, mentre la fauna marina che conteneva spirava in un lento sgonfiarsi di vesciche e di sacche d'aria, era sparso ovunque, sulle biglietterie e sulla scala che conduceva al mezzanino, sulle pareti e sulle porte. Il manto vellutato che Kerans ricordava dalla sua immersione era ora una cappa frammentata di forme organiche in decomposizione, simile al rivestimento di una tomba. La soglia trasparente dell'utero era scomparsa, trasformandosi nell'ingresso di una fogna.
Kerans cominciò ad attraversare l'atrio, ricordandosi il profondo antro crepuscolare e il suo strano zodiaco. Poi avvertì il fluido scuro che scorreva nel fango ai suoi piedi come il sangue di una balena ferita. Rapidamente prese Beatrice sotto il braccio e la ricondusse in strada. "Temo che la magia sia svanita," commentò con voce piatta. Emise una risata sforzata. "Suppongo che Strangman direbbe che il suicida non dovrebbe mai tornare sul luogo del delitto."
Nel tentativo di prendere una scorciatoia, si infilarono in un tortuoso vicolo cieco e riuscirono a indietreggiare appena in tempo mentre un piccolo caimano balzava su di loro da una pozza poco profonda. Correndo tra i gusci arrugginiti delle automobili, riguadagnarono la relativa sicurezza della strada, seguiti dall'alligatore infuriato. La bestia si fermò accanto a un lampione sull'orlo del marciapiede, agitando la coda e aprendo le fauci possenti. Kerans protesse Beatrice con il proprio corpo. Si misero a correre, ma non avevano fatto nemmeno dieci metri quando Bodkin scivolò e cadde pesantemente su un cumulo di fango.
"Alan! Si muova!" Kerans corse verso di lui mentre la testa del caimano ruotava minacciosamente nella loro direzione. Bloccato sul fondo della laguna, il rettile sembrava confuso e pronto ad attaccare qualsiasi cosa.
All'improvviso si udì un fragore di arma da fuoco: una serie di vampate solcarono la strada. Tenendo le torce alte sopra le teste, un gruppo di uomini apparve da dietro l'angolo. In testa a loro c'era la pallida figura di Strangman, seguita dall'Ammiraglio e da Big Caesar coi fucili spianati. Gli occhi di Strangman scintillavano alla luce della torcia. L'uomo rivolse un inchino a Beatrice, quindi salutò Kerans. Con la spina dorsale spezzata, l'alligatore si contorceva impotente nel canale di scolo esponendo il ventre giallastro. Big Caesar sfoderò il machete e cominciò a colpirlo alla testa. Strangman osservava lo spettacolo con sadico piacere. "Orribile bruto," commentò, quindi si tolse dalla tasca una splendida collana di cristalli di rocca ancora incrostata di alghe e la offrì a Beatrice.
"Per lei, mia cara." Con un gesto rapido le avvolse la collana intorno al collo, osservandone poi l'effetto con aria compiaciuta. Le alghe aggrovigliate tra le pietre scintillanti contro la pelle bianca del seno la facevano assomigliare a una naiade delle profondità marine. "È sua, come tutti gli altri gioielli di questo mare senza vita."
Esibitosi in un inchino pomposo, scomparve di nuovo, mentre i bagliori delle torce si spegnevano nell'oscurità insieme alle grida degli uomini. Kerans, Bodkin e Beatrice rimasero da soli nel silenzio, insieme ai gioielli bianchi e all'alligatore decapitato.
Nel corso dei giorni successivi gli eventi procedettero secondo il ritmo di una follia ancora più grande. Sempre più disorientato, Kerans si aggirava da solo nelle strade buie di notte (di giorno, infatti, il labirinto di vicoli diventava insopportabilmente caldo), incapace di strapparsi dai ricordi della vecchia laguna eppure, al tempo stesso, legato indissolubilmente alle strade deserte e agli edifici sventrati. Dopo il primo moto di sorpresa nel vedere la laguna prosciugata, cominciò a sprofondare rapidamente in uno stato di abulica inerzia, da cui cercava vanamente di scuotersi. Si rendeva vagamente conto che la laguna aveva rappresentato un complesso di necessità neuroni-che che era impossibile soddisfare con qualsiasi altro mezzo. Quel suo stato letargico aumentava, per nulla turbato dalla violenza che lo assediava, e Kerans si sentiva sempre più simile a un uomo naufragato nell'oceano temporale, imprigionato dalle dimensioni mutevoli di realtà dissonanti distanti tra loro milioni di anni. Il sole immenso che gli pulsava nella mente riusciva quasi a soffocare i rumori dei saccheggi e il fragore degli esplosivi e dei fucili. Come un cieco, entrava e usciva dai vecchi palazzi e dagli ingressi, il bianco abito da sera macchiato e viscido di fango, continuamente preso in giro dai marinai che gli si avventavano contro deridendolo, sbeffeggiandolo. A mezzanotte vagabondava febbrile tra gli uomini che cantavano ubriachi nella piazza e sedeva accanto a Strangman durante le feste che quest'ultimo dava senza sosta, nascondendosi sotto l'ombra del battello, osservando le danze e ascoltando il ritmo dei tamburi e delle chitarre che nella sua mente era sopraffatto dalla pulsazione incessante del sole nero. Rinunciò a ogni tentativo di ritornare all'albergo (la baia era bloccata dalle pompe idrovore, e le lagune intermedie brulicavano di alligatori) e, durante il giorno, dormiva sul divano nell'appartamento di Beatrice oppure sedeva catatonico in una nicchia tranquilla sul ponte del battello. La maggior parte dell'equipaggio era addormentata tra le casse o intenta a discutere la divisione del bottino, aspettando impazientemente l'arrivo del crepuscolo e nessuno gli dava fastidio. Per inversione di logica, era più sicuro restare vicino a Strangman che cercare di perpetuare lo stile di vita solitario che aveva tenuto in precedenza. Bodkin, invece, aveva insistito con le sue vecchie abitudini, ritirandosi in un crescente stato confusionale all'interno del laboratorio biologico, ora raggiungibile per mezzo di una ripida scala antincendio in rovina, ma, nel corso di uno dei suoi vagabondaggi notturni per le strade del quartiere universitario oltre il planetario, era stato aggredito da un gruppo di marinai che l'avevano malmenato rudemente. Unendosi all'entourage di Strangman, Kerans aveva finalmente ammesso l'assoluta autorità dell'avventuriero sulle lagune. Una volta era riuscito a trovare la forza di andare a visitare Bodkin e l'aveva scoperto che riposava in silenzio nella sua cuccetta, l'aria rinfrescata da un ventilatore rudimentale e dal condizionatore in via di esaurimento. Proprio come lui, Bodkin sembrava isolato su un minuscolo scoglio di realtà al centro del mare del tempo.
"Robert," aveva mormorato Bodkin tra le labbra tumefatte, "se ne vada di qui. E porti via anche lei, la ragazza..." aveva detto facendo una lunga pausa per ricordarsi il nome. "Ah, Beatrice... andatevene e cercate un'altra laguna."
Kerans aveva annuito, chinandosi nell'angusto cono di aria fredda proiettata dal condizionatore. "Lo so, Alan, Strangman è pazzo e pericoloso, ma per qualche motivo so che non posso ancora andarmene. Non so perché, ma qui c'è qualcosa... queste strade nude. Che cos'è? Uno strano incubo mi opprime la mente. Prima di andar via, devo liberarmene."
Con uno sforzo, Bodkin si era sollevato a sedere sul letto. "Kerans, mi ascolti. Prenda la ragazza e se ne vada, questa notte stessa. Qui il tempo non esiste più."
Nel laboratorio sottostante, una feccia brunastra era drappeggiata sui grafici, lo zodiaco neuronico smembrato di Bodkin, e velava i banconi deserti e gli armadietti metallici. Kerans aveva fatto un tentativo poco convinto di rimettere al loro posto i grafici che erano caduti sul pavimento, poi si era arreso e aveva trascorso l'ora successiva lavando la sua giacca di seta bianca in una pozza di acqua residua rimasta in uno dei lavandini.
Forse per imitarlo, diversi membri dell'equipaggio ora esibivano smoking e cravatte nere. In uno dei magazzini era stata trovata un'intera partita di abiti da sera, sigillati in buste di plastica impermeabili. Istigati da Strangman, cinque o sei marinai si erano vestiti di tutto punto, indossando i papillon intorno al collo nudo e si erano lanciati nelle strade in preda a una tremenda allegria, come un gruppo di camerieri impazziti a un carnevale di dervisci.
Dopo l'iniziale abbandono, il saccheggio era proseguito in modo molto più serio. Quali che fossero i suoi motivi segreti, Strangman era interessato solamente a oggetti d'arte e, dopo un'attenta ricognizione, aveva identificato uno dei principali musei della città. Ma, con suo immenso fastidio, scoprì che l'edificio era già
stato saccheggiato e la sua unica consolazione fu un immenso mosaico che i suoi uomini rimossero, tessera per tessera, dall'ingresso per poi distenderlo come un incommensurabile puzzle sul ponte secondario del battello.
Quel disappunto spinse Kerans a mettere in guardia Bodkin sul fatto che Strangman poteva anche cercare di sfogare il proprio malumore su di lui, ma quando si arrampicò fino al laboratorio biologico nelle prime ore della mattina seguente, scoprì che Bodkin se n'era andato. Il condizionatore aveva esaurito il carburante e Bodkin, a quanto pareva deliberatamente, aveva aperto tutte le finestre prima di partire, in modo che ora l'intero laboratorio ribolliva come un calderone.
Curiosamente la scomparsa di Bodkin non preoccupò minimamente Kerans. Immerso in se stesso, non fece altro che immaginare che il biologo avesse seguito il suo stesso consiglio e si fosse trasferito in una delle lagune più a sud.
Beatrice, comunque, era ancora lì. Proprio come Kerans, era sprofondata in un mondo tutto suo di visioni e sogni a occhi aperti. Kerans la vedeva di rado durante il giorno, quando la donna se ne stava chiusa a chiave nella sua camera da letto, ma a mezzanotte, quando l'aria si rinfrescava, scendeva immancabilmente dal suo attico tra le stelle e si univa alle feste di Strangman. Restava seduta accanto a lui come inebetita con il suo abito da sera azzurro, i capelli ornati da tre o quattro dei diademi che Strangman aveva sottratto dai caveau delle gioiellerie. Il seno nascosto da una massa di collane e spille splendenti, simile alla regina pazza di un dramma dell'orrore.
Strangman la trattava con una strana deferenza, non priva di una certa qual educata ostilità, quasi che la donna fosse un totem tribale, una divinità il cui potere era responsabile della loro fortuna ma, nonostante questo, temuta e odiata. Kerans cercava di restarle vicino, all'interno della sua orbita di protezione, e la sera dopo la scomparsa di Bodkin si era chinato verso di lei e le aveva detto: "Alan se n'è andato. Il vecchio Bodkin. L'hai visto prima che partisse?".
Ma Beatrice era rimasta con lo sguardo fisso sui fuochi che bruciavano al centro della piazza e, senza guardarlo, gli aveva risposto con voce spenta: "Ascolta i battiti, Robert. Quanti soli credi che ci siano?". Ora, più scatenato di quanto Kerans non l'avesse mai visto, Strangman danzava intorno ai falò, costringendo talvolta Kerans a unirsi a lui e incitando i bonghi a ritmi sempre più frenetici. Poi, esausto, si lasciava cadere sul divano, il viso tanto bianco da sembrare livido.
Appoggiato a un gomito, fissò con aria funerea Kerans accovacciato su un cuscino alle sue spalle.
"Sa perché hanno paura di me, Kerans? L'Ammiraglio, Big Caesar e gli altri, intendo dire. Lasci che le confidi il mio segreto." Poi, in un sussurro pressoché inaudibile, aggiunse: 'Perché pensano che io sia morto". In un accesso convulso di risa, si lasciò ricadere sul divano, tremando incontrollabilmente. "Oh, mio dio, Kerans! Si può sapere che cosa avete voi due? Uscite dalla trance." Sollevò lo sguardo su Big Caesar che si stava avvicinando, togliendosi la testa essiccata di alligatore che indossava come un cappuccio sulla propria.
"Come dici? Una canzone speciale per il dottor Kerans? Splendido! Ha sentito, dottore? Via, allora, diamo inizio a La ballata del signor Ossa! "
Dopo essersi schiarito la gola, il negro cominciò a cantare con voce profonda e gutturale, accompagnandosi con gesti plateali. Al signor Ossa piacciono gli uomini rinsecchiti si è trovato una ragazza-banana e tre astuti profeti, lei lo fece impazzire, annegandolo nel vino delle serpi. Quel vecchio re coccodrillo non aveva mai udito cantare tanti uccelli di palude. Ossa di Rum, andò a pesca di teschi, giù ad Angel Creek, dove scappano gli uomini rinsecchiti, prese un guscio di tartaruga e aspettò la nave-chiesa: arrivavano tre profeti.
Una gran confusione.
Ossa di Rum, vide la bella ragazza, le diede il suo guscio di tartaruga per due banane,
e prese la ragazza-banana come una mangrovia calda; i profeti lo videro, e nessun uomo rinsecchito venne a prendere il signor Ossa.
Ossa di Rum danzò per la bella ragazza, e costruì una casa di foglie di banano per darle unletto d'amore...
Con un grido improvviso, Strangman balzò dal divano, oltrepassò di corsa Big Caesar e si precipitò al centro della piazza, indicando un punto del muro perimetrale della laguna che si ergeva alto sopra di loro. La figura piccola e tozza del dottor Bodkin si stagliava contro il cielo arrossato dal tramonto; l'anziano biologo stava avanzando lentamente sulla barriera di legno che tratteneva all'esterno le acque della baia. Senza rendersi conto di essere stato scorto dal gruppo sottostante, portava con sé in una mano una piccola scatola di legno da cui spuntava un filo che sprizzava scintille.
Ora perfettamente lucido, Strangman lanciò un grido belluino: "Ammiraglio! Big Caesar! Prendetelo!
Ha una bomba!".
Il gruppo si dissolse all'istante e, fatta eccezione per Kerans e Beatrice, attraversò precipitosamente la piazza. Colpi di fucile riecheggiarono da ogni parte e Bodkin si fermò incerto, con la miccia che gli scintillava tra le gambe. Poi si voltò e cominciò a indietreggiare sulla sommità della diga. Kerans balzò in piedi e corse dietro agli altri. Quando raggiunse il muro perimetrale, i bengala stavano già esplodendo nel cielo, sputando frammenti di magnesio sulla strada. Strangman e l'Ammiraglio stavano salendo come furie su una scala antincendio, mentre il fucile di Big Caesar faceva fuoco da sopra le loro teste. Bodkin aveva lasciato la bomba al centro della diga e ora si stava allontanando velocemente sui tetti. Scavalcando l'ultimo ostacolo, Strangman balzò sulla diga, raggiunse la bomba con poche, frenetiche falcate e, con un calcio, la lanciò al centro della baia. Quando gli spruzzi si spensero, dai marinai rimasti in basso si levarono grida di approvazione. Trattenendo il fiato, Strangman si abbottonò la giacca, quindi estrasse una 38 dalla fondina sotto l'ascella. Un sorriso gli illuminava la faccia. Incitato dalle grida dei suoi seguaci, si lanciò all'inseguimento di Bodkin che si stava lentamente e faticosamente arrampicando sul pontile del laboratorio biologico.
Kerans ascoltò stranito gli ultimi spari, ricordando l'avvertimento di Bodkin e la possibilità, per la quale non gli serbava alcun rancore dal momento che aveva scelto di ignorarla, che lui e Beatrice venissero spazzati via con Strangman e i suoi uomini. Avanzando lentamente, camminò verso la piazza dove Beatrice era ancora adagiata sul mucchio di cuscini, la testa dell'alligatore abbandonata ai suoi piedi. Quando la raggiunse, Kerans udì i passi alle sue spalle che rallentavano minacciosamente, e uno strano silenzio cadde sul gruppo.
Si voltò e vide Strangman che avanzava verso di lui, le labbra deformate da un ghigno. Big Caesar e l'Ammiraglio erano di fianco a lui: i fucili avevano lasciato il posto ai machete. Il resto dell'equipaggio si aprì a ventaglio, osservando in trepida attesa, fin troppo palesemente compiaciuti di vedere Kerans, il presuntuoso sciamano di un capo rivale, che stava per avere ciò che si meritava.
"È stato piuttosto stupido da parte di Bodkin, non crede, dottore? E anche molto pericoloso in effetti. Avremmo potuto finire tutti annegati." Strangman si fermò a pochi passi da Kerans, scrutandolo rattristato.
"Lei conosceva Bodkin molto bene; sono assai sorpreso che non abbia immaginato un gesto del genere. Non so se sia il caso che io corra altri rischi con qualche biologo pazzo." Stava per fare un cenno a Big Caesar quando Beatrice balzò in piedi e si precipitò verso di lui.
"Strangman! Per l'amor del cielo, uno è già abbastanza. La smetta. Non le faremo del male! Si guardi intorno, può avere tutto questo!"
Con un gesto di stizza, si tolse l'ammasso di collane e si strappò i diademi dai capelli, gettandoli ai piedi di Strangman. Con un ringhio di collera, Strangman li calciò nel canale di scolo. Big Caesar si portò alle spalle di Beatrice, sollevando minacciosamente il machete.
"Strangman!" Beatrice si gettò su di lui, lo afferrò per il bavero della giacca e quasi lo trascinò a terra.
"Demone bianco, perché non ci lascia in pace?"
Strangman la spinse via da sé, respirando furioso tra i denti serrati. Osservò con occhi spiritati la donna scarmigliata in ginocchio tra i gioielli e stava per dare a Big Caesar l'ordine di uccidere Kerans quando un tremito improvviso cominciò a vibrargli nella guancia destra. Strangman lo percosse con il palmo della mano, cercando di scacciarlo come una mosca, quindi flesse i muscoli facciali in una smorfia orribile, incapace di controllare lo spasmo. Per un istante il suo volto rimase contratto in una maschera grottesca, come un uomo che cerca di liberarsi da una trappola. Consapevole dell'indecisione del suo padrone, Big Caesar esitò e Kerans ne approfittò per indietreggiare nell'ombra del battello.
"Va bene! Dio, che razza di...!" Strangman borbottò qualcosa tra sé e si raddrizzò la giacca, concedendo malvolentieri la vittoria. Il tic era scomparso. Annuì lentamente verso Beatrice, come per avvertirla che qualsiasi futura intercessione sarebbe stata ignorata, quindi latrò un ordine a Big Caesar. I machete vennero lasciati cadere, ma prima che Beatrice avesse il tempo di protestare, l'intero equipaggio si gettò su Kerans accompagnandosi con grida e risate, agitando e battendo le mani.
Kerans cercò di evitarli, non riuscendo a capire dai volti ghignanti che lo circondavano se quella fosse soltanto una forma elaborata di divertimento atta a scaricare la tensione generata dall'assassinio di Bodkin e al tempo stesso a somministrare una salutare lezione. Girò intorno al divano di Strangman mentre l'equipaggio si stringeva attorno a lui e trovò la via di fuga bloccata dall'Ammiraglio che saltellava da una parte all'altra come un ballerino. Improvvisamente il mulatto balzò in avanti e gli fece lo sgambetto. Kerans cadde pesantemente sul divano e subito una dozzina di braccia nere lo afferrarono per il collo e le spalle e lo trascinarono nuovamente sul selciato della piazza. Kerans lottò nel vano tentativo di liberarsi e, oltre l'ammasso di corpi che lo stringeva, colse una fugace occhiata di Strangman e Beatrice che osservavano la scena da lontano. Prendendola sottobraccio, Strangman la condusse con fermezza verso la passerella. Poi un grande cuscino di seta venne premuto sulla faccia di Kerans e mani pesanti cominciarono a battere un ritmo frenetico sulla sua nuca.
Ilbanchetto dei teschi
"Il banchetto dei teschi!"
Con il calice levato alla luce dei bengala a spillare il suo contenuto ambrato sul vestito candido, Strangman emise un grido d'esultanza e con un inchino balzò giù dalla fontana proprio mentre il carro a due ruote percorreva ondeggiando l'acciottolato. Sospinto da sei sudatissimi marinai a torso nudo piegati in due tra le stanghe, il carro sussultava e saltellava tra i tizzoni ardenti dei falò appena accesi; dozzine di mani e di braccia lo aiutarono nel suo cammino e, in un crescendo finale di tamburi, esso colpì l'orlo della pedana e rovesciò il suo carico bianco come la neve sull'assito ai piedi di Kerans. Immediatamente intorno a lui si formò un cerchio salmodiante: mani eccitate scandivano un ritmo frenetico, dentature bianche scintillavano e si serravano nell'aria come dadi demoniaci, fianchi ondeggiavano e piedi nudi percuotevano il lastricato. L'Ammiraglio si tuffò in avanti e si fece largo tra i corpi in movimento, mentre Big Caesar, reggendo davanti a sé un tridente d'acciaio sulle cui punte era infilzato un ciuffo enorme di fucus e di kelp rosso, balzava sulla pedana e, grugnendo per lo sforzo, gettava le fronde gocciolanti nell'aria sopra il trono. Kerans barcollò impotente in avanti mentre le alghe acri e dolciastre gli ricadevano sulla testa e sulle spalle. La luce dei bengala si rifletteva sui braccioli dorati del trono. Mentre il ritmo dei tamburi batteva intorno a lui, riuscendo quasi a esorcizzare la pulsazione più profonda e cupa che gli rimbombava debolmente alla base del cervello, lasciò che tutto il suo peso gravasse sui lacci di cuoio che gli imprigionavano i polsi, incurante del dolore che lo trafiggeva ogniqualvolta passava dall'incoscienza alla veglia. Ai suoi piedi, alla base del trono, la messe di frammenti d'osso baluginava in tutto il suo candore d'avorio: tibie affusolate e femori, scapole simili a logore cazzuole, una pletora di costole e di vertebre, persino due teschi ciondolanti. La luce scintillava sui crani lisci e veniva inghiottita dalle orbite vuote, balzando dai catini ricolmi di cherosene sorretti dal corridoio di statue che conduceva al trono dalla parte opposta della piazza. I danzatori si erano disposti in una lunga fila e, seguendo Strangman che saltellava frenetico in testa al corteo, cominciarono a serpeggiare tra le ninfe di marmo, mentre i suonatori di tamburo seduti intorno al fuoco si voltavano per seguirne le evoluzioni.
Approfittando della calma temporanea concessagli dal gruppo che stava danzando intorno al perimetro della piazza, Kerans si lasciò andare contro il poggiatesta di velluto nero, tentando meccanicamente di divincolare dai legami i polsi immobilizzati. Le alghe gli scivolavano sul collo e sulle spalle, ricadendogli sugli occhi dalla corona che Strangman gli aveva calcato sulla testa. Ormai quasi essiccate, le alghe essudavano il loro fetore dolciastro e gli ricoprivano le braccia a tal punto che soltanto poche strisce irregolari della sua giacca erano visibili. Alla fine della pedana, oltre il cumulo di ossa e di bottiglie di rum, c'erano gli altri mucchi di alghe e l'accozzaglia di conchiglie e di stelle marine smembrate con cui l'avevano impiastricciato prima di trovare il mausoleo.
A meno di dieci metri dietro di lui torreggiava la sagoma scura e opprimente del battello, con i ponti rischiarati dalla luce delle poche lampade superstiti. Le feste si erano susseguite ininterrottamente per due notti, aumentando di ritmo di ora in ora: evidentemente Strangman aveva deciso di sfinire la sua ciurma. Kerans andava inerme alla deriva in un sogno semiconscio, il dolore attenuato dal rum che gli era stato cacciato in gola a forza (apparentemente l'indegnità definitiva, annegare Nettuno in un mare ancor più magico e potente) e una lieve contusione che gli offuscava la vista in una foschia di sangue. Era vagamente consapevole dei suoi polsi piagati e del suo corpo ricoperto di lividi, ma rimase pazientemente seduto, interpretando con inatteso stoicismo il ruolo di Nettuno che gli era stato imposto, accettando gli abusi e i rifiuti che gli venivano gettati addosso mentre l'equipaggio scaricava su di lui la propria paura e il proprio odio nei confronti del mare. In quel ruolo, inoltre, o nella caricatura del dio che stava impersonando, stava la sua unica possibilità di salvezza. Per motivi che non gli erano chiari, Strangman sembrava riluttante a ucciderlo e gli uomini dell'equipaggio riflettevano l'esitazione del loro padrone, camuffando immancabilmente gli insulti e le torture sotto le mentite spoglie di scherzi grotteschi, proteggendo se stessi quando lo ricoprivano di alghe fingendo di tributare un'offerta sacrificale a una sorta di idolo. La lunga serpentina di danzatori riapparve e si ridispose in cerchio intorno a lui. Strangman si allontanò
dal centro (era ovviamente riluttante ad avvicinarsi troppo a Kerans, temendo forse che i polsi martoriati e la fronte insanguinata lo costringessero a rendersi conto della crudeltà di quel gioco) e Big Caesar si fece avanti, l'enorme faccia bitorzoluta simile alla testa infiammata di un ippopotamo. Barcollando al ritmo frenetico dei bonghi, scelse un teschio e un femore dalla pila di ossa sparpagliate intorno al trono e cominciò a battere il ritmo in onore di Kerans, percuotendo gli spessori variabili dei lobi temporali e occipitali per ottenere una rude ottava cranica. Subito altri uomini seguirono il suo esempio e, accompagnata da un frastuono di femori e di tibie, di radii e di ulne, ebbe inizio la folle danza delle ossa. Debole e soltanto parzialmente consapevole dei volti sogghignanti che premevano come impazziti a meno di una spanna dal suo, Kerans attese che la danza si placasse, quindi si appoggiò allo schienale e cercò di proteggersi gli occhi quando una salva di bengala esplose nel cielo, illuminando a giorno per un lungo istante il battello e gli edifici circostanti. Ciò segnalò la fine dei festeggiamenti e l'inizio di un'altra notte di lavoro. Con un grido, Strangman e l'Ammiraglio divisero i gruppi danzanti. Il carro venne spinto via, con i raggi delle ruote che tintinnavano a ogni sussulto, e i fuochi di cherosene vennero spenti. Nel giro di meno di un minuto, la piazza tornò a essere buia e deserta: la luce ondeggiante di alcuni falò baluginava ancora tra i cuscini e i tamburi, riflessa a intermittenza dalle gambe dorate del trono e dalle ossa bianche che lo circondavano. Di tanto in tanto, nel corso della notte, gruppi di razziatori tornavano alla piazza sospingendo davanti a sé il bottino, una statua di bronzo o la sezione di un colonnato, e, dopo averlo scaricato sul battello, svanivano nuovamente nelle strade buie, ignorando la sagoma che se ne stava ingobbita e immobile sul trono, seminascosta dall'oscurità. In quel momento Kerans era addormentato e non sentiva né la fame né la stanchezza. Si svegliò per qualche minuto poco prima dell'alba, nell'ora più fredda della notte, per gridare il nome di Beatrice. Non l'aveva più vista da quando era stato catturato pochi minuti dopo la morte di Bodkin, e immaginava che Strangman l'avesse imprigionata da qualche parte all'interno del battello. E, finalmente, dopo una notte esplosiva di tamburi e di bengala, l'alba sorse sulla piazza piena di ombre, portandosi dietro l'immensa tettoia dorata del sole. Nel giro di un'ora la piazza e le strade prosciugate intorno a essa erano immerse in un silenzio pressoché assoluto, rotto solamente dal fruscio distante del condizionatore d'aria del battello che di tanto in tanto vibrava, ricordando a Kerans di non essere solo. Per una sorta di miracolo, Kerans era riuscito a sopravvivere al giorno precedente: seduto senza alcuna protezione nel calore soffocante del mezzogiorno, era riparato soltanto dal manto di alghe che gli ricadeva dalla corona. Come un Nettuno abbandonato, osservava oltre il suo padiglione di piante acquatiche il tappeto di luce accecante che ricopriva le ossa e i rifiuti. A un certo punto aveva sentito aprirsi una botola sul ponte del battello e aveva avvertito la presenza di Strangman alle sue spalle, uscito dalla sua cabina proprio per osservarlo: qualche minuto dopo, infatti, gli avevano rovesciato addosso diverse secchiate di acqua gelata. Aveva succhiato con frenesia febbrile le gocce fredde che, stillando dalle alghe, gli cadevano tra le labbra come perle di ghiaccio. Immediatamente dopo era precipitato in un profondo torpore, svegliandosi al crepuscolo proprio qualche istante prima che ricominciassero i festeggiamenti. A quel punto, Strangman era sceso e, avvolto nel suo vestito bianco, l'aveva esaminato accuratamente. Dopo qualche secondo, in uno strano accesso di pietà, gli aveva mormorato d'improvviso: "Kerans, lei è ancora vivo. Come fa?".
Era stata quella frase a dargli la forza di resistere il secondo giorno, quando il bianco tappeto del mezzogiorno era calato sulla piazza in strati incandescenti distanti pochi centimetri tra loro come le dimensioni di un universo parallelo cristallizzate al di fuori del continuum spazio-temporale dal calore insostenibile. Sulla sua pelle l'aria bruciava come una fiamma. Kerans fissava istupidito le statue di marmo e ripensava a Hardman che si muoveva tra le colonne di luce nel suo cammino verso le fauci del sole e scompariva oltre le dune di cenere luminosa. La stessa forza che aveva protetto Hardman sembrava ora essersi rivelata in Kerans, adeguando in qualche modo il suo metabolismo affinché potesse sopravvivere al calore. Nonostante ciò, i marinai continuavano a osservarlo dal ponte superiore. A un certo punto una salamandra lunga quasi un metro era sfrecciata verso di lui dal cumulo delle ossa, i denti folli simili a frammenti di ossidiana che si muovevano lentamente mentre il rettile fiutava Kerans: un unico colpo di fucile era partito dal ponte, riducendo la lucertola a una massa sanguinolenta che si contorceva ai suoi piedi. Come i rettili che giacevano immobili sotto il sole, Kerans aveva aspettato pazientemente che il giorno finisse.
Di nuovo Strangman si stupì di trovarlo ancora vivo, seppure immerso in un esausto delirio. Strangman si era voltato verso Big Caesar e gli altri che aspettavano alla luce delle torce accanto alla pedana, apparentemente sorpresi quanto lui, le labbra contratte da una smorfia di nervosismo. E questa volta, quando aveva gridato l'ordine che si desse inizio ai festeggiamenti, la risposta dei suoi si era fatta attendere. Deciso a spezzare la resistenza di Kerans una volta per tutte, Strangman ordinò che calassero dal battello altre due casse di rum, sperando di sradicare dalla mente dei suoi uomini la loro paura inconscia nei confronti di Kerans e del paterno guardiano del mare che ora simboleggiava. Nel giro di pochi minuti la piazza si riempì di sagome caracollanti e chiassose che si portavano i bicchieri e le bottiglie alle labbra senza sosta, ballando al ritmo forsennato dei tamburi. Accompagnato dall'Ammiraglio, Strangman si muoveva rapidamente da un gruppo all'altro, incitando gli uomini a compiere follie e stravaganze sempre maggiori. Big Caesar indossò la testa dell'alligatore e prese a trotterellare carponi per la piazza, seguito da un gruppo di suonatori di tamburo.
Stancamente, Kerans rimase ad attendere il climax. A un ordine di Strangman, il trono venne sollevato dalla piattaforma e agganciato al carro. Kerans, ormai privo di forze, si lasciò ricadere contro lo schienale, sollevando lo sguardo sulle facciate buie degli edifici mentre Big Caesar gli ammucchiava le ossa e le alghe intorno alle caviglie. Strangman gridò e la processione ubriaca si mise in moto; una decina di uomini lottò accanitamente per impossessarsi delle stanghe del carro, facendolo ondeggiare da una parte all'altra e abbattendo due statue. In un coro di ordini eccitati strillati da Strangman e dall'Ammiraglio (che correva instancabilmente accanto al carro cercando invano di fermarlo), la rudimentale portantina acquistò rapidamente velocità e si infilò in una strada laterale, scivolando sul selciato prima di abbattere un lampione arrugginito. Tempestando di pugni le teste degli uomini intorno a lui, Big Caesar si fece largo fino a raggiungere le stanghe, ne prese una in ciascuna mano e costrinse gli uomini a un'andatura più moderata. Alto sopra di loro, Kerans era seduto sul trono traballante, mentre l'aria fresca lo riportava gradatamente alla vita. Osservava la cerimonia che si stava svolgendo ai suoi piedi con un distacco semincosciente, consapevole soltanto del fatto che il gruppo stava percorrendo sistematicamente ogni strada della laguna prosciugata, quasi fosse stato un Nettuno obbligato contro la sua volontà a santificare quelle sezioni della città sommersa che gli erano state sottratte da Strangman.
Ma dopo poco, via via che lo sforzo di spingere il carretto schiariva le loro menti e li faceva camminare al passo, gli uomini tra le stanghe cominciarono a cantare quella che sembrava la salmodia di un antico culto del cargo haitiano, una cupa melodia sentimentale che, ancora una volta, sottolineò il loro atteggiamento ambivalente nei confronti di Kerans. Nello sforzo di riaffermare il vero scopo dell'escursione, Strangman cominciò a gridare e a brandire la pistola lanciarazzi e, dopo una breve scaramuccia, obbligò i suoi uomini a cambiare direzione, in modo che ora, anziché tirare il carretto, lo spingevano. Quando oltrepassarono il planetario, Big Caesar balzò sul carro, appendendosi al trono come un enorme scimmione, quindi raccolse la testa dell'alligatore e la calcò con violenza sulle spalle di Kerans.
Accecato e quasi soffocato dal fetore acre della pelle non conciata, Kerans si sentì scaraventato senza alcuna possibilità di scampo da una parte all'altra, mentre il carretto riguadagnava improvvisamente velocità. Gli uomini tra le stanghe, muovendosi alla cieca, correvano sbuffando lungo le strade dietro a Strangman e all'Ammiraglio, spronati dai calci e dai colpi inferii loro da Big Caesar. Praticamente senza controllo, il carro ondeggiò e si inclinò, evitando per pochi centimetri di schiantarsi su un'isola spartitraffico, quindi si raddrizzò e accelerò lungo un tratto libero di strada. Poco prima di raggiungere un angolo, Strangman si voltò e gridò un ordine improvviso a Big Caesar. Senza guardare, il mulatto si buttò con tutto il proprio peso sulla stanga di destra: il carretto ruotò su se stesso e salì sul marciapiede. Proseguì in una folle corsa per cinquanta metri, con gli uomini che inciampavano l'uno sull'altro e cadevano a terra, e infine, con un fragore di legno e di metallo, urtò contro la parete e si rovesciò su un fianco. Strappato dalle cinghie, il trono venne proiettato in mezzo alla strada, dove si arenò su un cumulo di fanghiglia. Kerans giacque a faccia in giù, l'impatto con il suolo attutito dal fango umido; la caduta l'aveva liberato dalla testa dell'alligatore, ma i legacci lo tenevano ancora avvinto al velluto del sedile. Due o tre uomini della ciurma, caduti intorno a lui, si stavano rialzando storditi. Una ruota del carro girava lentamente nell'aria.
Scosso da un riso convulso, Strangman diede una pacca sulle spalle a Big Caesar e all'Ammiraglio e, nel breve volgere di pochi istanti, gli altri uomini dell'equipaggio stavano già borbottando e ridacchiando l'uno con l'altro. Si radunarono intorno al carro demolito, quindi si avvicinarono per osservare il trono capovolto. Strangman vi appoggiò maestosamente un piede sopra, facendo oscillare lo schienale semidistrutto. Mantenendo quella posa abbastanza a lungo da convincere i suoi seguaci che il potere di Kerans fosse ora veramente esaurito, rinfoderò il lanciarazzi e corse via lungo la strada, incitando gli altri a seguirlo. Con un coro di strilli e di risate, la ciurma si allontanò.
Kerans si mosse dolorante, incastrato sotto il trono capovolto. Aveva la testa e la spalla destra semisepolte nel cumulo di fango che andava via via indurendosi. Piegò i polsi contro i legacci allentati, ma il cuoio era ancora troppo stretto per permettergli di liberarsi le mani.
Spostando il proprio peso sulle spalle, cercò di rovesciare il trono con le braccia, quindi si accorse che il bracciolo di sinistra era uscito dal suo supporto verticale. Lentamente, premette le dita martoriate sotto il bracciolo e cominciò a far scorrere i legacci poco per volta sul moncherino scheggiato del supporto che sporgeva dalla giunzione con la spalliera.
Quando riuscì a liberarsi la mano, Kerans la lasciò ricadere inerte sul fango, quindi si massaggiò le labbra tumefatte e le guance coperte di lividi e si sgranchì i muscoli intorpiditi dell'addome e del petto. Si voltò su un fianco e cominciò a darsi da fare con il nodo che gli immobilizzava il polso destro all'altro bracciolo. Alla luce intermittente dei bengala, sciolse la corda e si liberò. Incapace di trovare le forze, rimase per cinque minuti buoni sotto la massa scura del trono, ascoltando le voci lontane dei marinai che si affievolivano nei vicoli dietro il battello. A poco a poco i lampi svanirono e la strada divenne un canyon silenzioso, con i tetti illuminati debolmente dal bagliore fluorescente degli animaletti agonizzanti. Il lucore proiettava un velo argenteo simile a una ragnatela sugli edifici, trasformandoli nei recessi spettrali di un'antica città fantasma.
Strisciando da sotto il trono, si alzò faticosamente in piedi. Barcollando sul marciapiede, si appoggiò contro il muro, con le tempie che gli pulsavano per lo sforzo. Premette il volto contro la pietra fresca e ancora umida, fissando la strada in fondo alla quale erano scomparsi Strangman e i suoi uomini. D'un tratto, prima che gli occhi gli si chiudessero involontariamente per la stanchezza, vide due figure che avanzavano rapidamente nella sua direzione, una vestita di bianco e l'altra imponente e dalle spalle ricurve.
"Strangman...!" mormorò. Si aggrappò con le dita all'intonaco scrostato, appiattendosi nell'ombra che ricopriva il muro. I due uomini erano ancora a più di cento metri da lui, ma Kerans poteva intuire l'andatura decisa di Strangman e il passo caracollante di Big Caesar alle sue spalle. Qualcosa scintillò al raggio di luce che si riversava in un incrocio, una lama argentea che dondolava da una mano di Big Caesar. Scrutando freneticamente nell'oscurità, Kerans strisciò lungo il muro e quasi si tagliò le mani su una scheggia acuminata rimasta incastrata nell'intelaiatura di una vetrina. A pochi passi di distanza si apriva l'ingresso di un'ampia galleria che attraversava l'isolato fino a raggiungere una strada parallela cinquanta metri più a ovest. Il pavimento era ricoperto da uno strato di fango nerastro alto quasi una spanna; Kerans si accovacciò per salire i pochi gradini, quindi corse silenziosamente nella galleria fino all'estremità opposta, i suoi passi zoppicanti attutiti dalla sofficità umida del fango.
Si fermò dietro una colonna accanto all'entrata posteriore, cercando di calmarsi mentre Strangman e Big Caesar raggiungevano il trono. Nella mano gigantesca del mulatto, il machete sembrava poco più grande di un rasoio. Strangman alzò una mano per fermarlo prima di toccare il trono. Scrutò attentamente le strade e le pareti punteggiate da innumerevoli finestre, il volto illuminato dalla luce della luna. Infine rivolse un brusco cenno a Big Caesar e, con un calcio, rovesciò il trono.
Mentre le loro imprecazioni si levavano nell'aria immobile, Kerans si ritrasse dietro la colonna e poi si allontanò rapidamente sulla strada, dirigendosi verso un angusto vicolo che si perdeva nel labirinto del quartiere universitario.
Mezz'ora più tardi raggiunse l'ultimo piano di un grattacielo che faceva parte del perimetro della laguna. Una stretta balconata racchiudeva la serie di uffici, conducendo sul retro a una scala antincendio che si allungava dai tetti più bassi fino alla giungla sottostante, lasciandosi infine inghiottire dalle enormi masse di detriti e di sedimenti. Piccole pozze d'acqua, risultato della condensa delle nebbie del pomeriggio, si aprivano sul linoleum dei pavimenti; dopo essere risalito lungo la scala centrale, Kerans si lasciò cadere a terra e si bagnò il volto e le labbra nel liquido fresco, lenendo con delicatezza le piaghe che gli solcavano i polsi.
Nessuno venne a cercarlo. Piuttosto che ammettere una completa sconfitta (l'unica interpretazione che la maggior parte dell'equipaggio avrebbe dato alla scomparsa di Kerans), Strangman aveva evidentemente deciso di accettare la sua fuga come un fatto compiuto e dimenticarsi di lui, immaginando che Kerans si sarebbe immediatamente messo in marcia per raggiungere le lagune meridionali. Per tutta la notte, le feste e le razzie seguitarono a impazzare per le strade, ogni ritrovamento segnalato da una pirotecnica efflorescenza di bengala e di fuochi d'artificio.
Kerans riposò fino all'alba, sdraiato in una pozza d'acqua, lasciando che il liquido gli inzuppasse i brandelli della giacca di seta che ancora gli pendevano dalle spalle e gli lavasse dal corpo il fetore del fango e delle alghe. Un'ora prima del sorgere del sole si alzò faticosamente in piedi, si strappò di dosso la giacca e la camicia e le appallottolò in una fenditura del muro. Svitò un paralume di vetro ancora intatto e raccolse un po' d'acqua da una delle pozze sul pavimento. Era riuscito a riempirlo quasi per un quarto quando il sole fece capolino oltre l'orizzonte orientale della laguna. Due corridoi più avanti intrappolò una piccola lucertola in un lavandino e la uccise con un mattone. Accese un fuoco di assi di legno umido adoperando un frammento di vetro convesso e arrostì le strisce di carne stopposa fino ad ammorbidirle. Le piccole bistecche gli si sciolsero nella bocca piagata con la squisita tenerezza del grasso caldo. Recuperate in parte le forze, risalì al piano superiore e si rinchiuse nello sgabuzzino di servizio dietro la tromba dell'ascensore. Dopo aver barricato la porta con una mezza dozzina di stecche prese dalla ringhiera arrugginita delle scale, si sedette in un angolo e aspettò che calasse la sera.
Gli ultimi raggi del sole scintillavano sull'acqua mentre Kerans spingeva la zattera di fortuna sotto le fronde delle felci che ammantavano il perimetro della laguna, le tinte bronzee e sanguigne del sole pomeridiano lasciavano lentamente il posto a tonalità più cupe di viola e porpora. Sopra di lui, il cielo era un'immensa cupola di zaffiro solcata da turbini fantasmagorici di nubi coralline che contrassegnavano la discesa del sole come barocchi sbuffi di vapore. Una macchia oleosa rompeva la monotonia della superficie della laguna; l'acqua sembrava avvinghiarsi alle foglie delle felci come cera trasparente. Un centinaio di metri più oltre le onde lambivano indolenti i resti in rovina del molo del Ritz, trascinando con sé schegge e frammenti di legno. Ancora imprigionati dal reticolo ormai allentato delle gomene di attracco, i bidoni galleggiavano insieme come un branco di alligatori deformi. Fortunatamente gli alligatori che Strangman aveva disseminato per la laguna erano ancora nascosti nei loro rifugi tra gli edifici o si erano dispersi nei canali vicini in cerca di cibo dopo la ritirata delle iguane. Kerans si fermò per un istante prima di attraversare il tratto scoperto dell'ammasso di detriti adiacente al Ritz, scrutando la riva e il canale di sbocco in cerca delle sentinelle di Strangman. La concentrazione necessaria per costruire la zattera usando due serbatoi di metallo anodizzato gli aveva quasi prosciugato il cervello, e Kerans attese con la massima prudenza prima di procedere. Mentre si avvicinava al pontile, vide che le gomene d'attracco erano state recise deliberatamente e che la struttura di legno era stata schiantata da qualche grosso mezzo acquatico, probabilmente l'idrovolante che Strangman aveva ormeggiato nella laguna centrale.
Incuneando la zattera tra due bidoni galleggianti, dove rimase a fluttuare mimetizzata fra i detriti, Kerans si issò sulla terrazza e scavalcò il davanzale della finestra entrando nell'albergo. Raggiunse rapidamente le scale, seguendo sulla moquette ammuffita la traccia di impronte sbiadite che scendevano dal tetto. L'attico era stato devastato. Quando aprì la porta di legno massiccio che conduceva alla suite, un pannello di vetro del rivestimento interno cadde sul pavimento ai suoi piedi. Qualcuno aveva vagato per le stanze in preda a una follia frenetica e violenta, distruggendo sistematicamente tutto ciò che incontrava. L'arredamento in stile Luigi xv era stato ridotto in pezzi: le gambe e i braccioli delle sedie erano stati scaraventati contro gli specchi e i vetri delle finestre. La moquette giaceva sul pavimento in un intrico di strisce infangate: persino lo zoccolo sottostante era stato divelto in modo da poter distruggere anche il pavimento vero e proprio. Con le gambe sradicate, lo scrittoio giaceva in due tronconi: il rivestimento in pelle di coccodrillo era stato strappato. I libri erano sparsi ovunque, molti di essi spaccati in due. Una gragnuola di colpi si era abbattuta sulla mensola del caminetto, il cui rivestimento dorato ora presentava profonde fenditure. Enormi stelle di vetro e argento si erano accese sulla superficie dello specchio come esplosioni congelate. Camminando nella confusione, Kerans si avventurò brevemente sulla terrazza, dove la reticella metallica della zanzariera era stata piegata verso l'esterno fino a provocarne la rottura. Le sedie a sdraio su cui aveva trascorso così tanti mesi erano state letteralmente sbriciolate.
Come si aspettava, la cassaforte dietro la scrivania era stata scassinata e ora il portello aperto mostrava il vano vuoto. Kerans andò nella camera da letto, il volto attraversato da un debole sorriso quando si rese conto che i vandali di Strangman non erano riusciti a trovare la cassaforte nascosta dietro lo specchio sopra lo scrittoio. Il cilindro ammaccato della bussola di ottone che aveva rubato dalla base, ancora puntato verso il suo sud talismanico, giaceva sul pavimento sotto il piccolo specchio circolare, che si era frantumato in un reticolo di crepe simile a un fiocco di neve ingrandito. Cautamente, Kerans fece ruotare la cornice rococò, liberò il cardine e trovò intatta la manopola graduata della cassaforte. Le tenebre calarono dal cielo, gettando lunghe ombre nella suite, mentre le dita di Kerans componevano la combinazione. Con un sospiro di sollievo, aprì il pesante portello metallico e prese dalla cassaforte la Colt 45 e la scatola delle munizioni. Si sedette sul letto sfondato e tolse i sigilli dalla scatola, quindi caricò l'arma, soppesandola nel palmo della mano. Svuotò la scatola e si riempì le tasche di proiettili, quindi si strinse la cintura e tornò nel salone.
Mentre sorvegliava la stanza, si rese conto che, paradossalmente, non serbava alcun rancore nei confronti di Strangman per avergli distrutto la suite. In un certo qual senso la distruzione dell'appartamento, e con esso di tutti i ricordi della laguna, sottolineava semplicemente qualcosa che lui stesso aveva accarezzato per qualche tempo e che l'arrivo di Strangman, con tutto ciò che implicava, avrebbe dovuto costringerlo ad accettare: la necessità di abbandonare la laguna e di muoversi verso sud. Il suo tempo lì era finito e la suite, con la sua temperatura e umidità costanti e le sue scorte di cibo e di carburante, ora non era altro che una forma incapsulata dell'ambiente in cui aveva vissuto in precedenza e a cui era rimasto aggrappato come un embrione riluttante a lasciare il liquido amniotico. La rottura di quel guscio, come i dubbi laceranti sui suoi motivi inconsci che il principio di annegamento nel planetario aveva generato nella sua mente, costituiva la spinta necessaria ad agire fino a emergere alla luce brillante del sole archeopsichico interiore. Ora sarebbe stato costretto ad andare avanti. Né il passato, rappresentato da Riggs, né il presente contenuto nell'attico devastato gli offrivano più un'esistenza vivibile. Il suo legame con il futuro, fino a quel momento tormentato da tanti dubbi ed esitazioni, era ora assoluto.
La chiglia elegante e incurvata del battello si levava nell'aria buia come il ventre vellutato di una balena arenata. Kerans si accovacciò nell'ombra della ruota di poppa; il suo corpo snello e abbronzato si confuse con l'oscurità. Si nascose nell'angusto spazio tra due pale, ognuna consistente in una lastra metallica imbullonata larga cinque metri e profonda uno e mezzo. Sbirciò attraverso gli anelli grossi come noci di cocco della catena di trasmissione. Mancavano pochi minuti a mezzanotte e gli ultimi marinai in festa stavano scendendo dalla nave. Con bottiglie in una mano e machete nell'altra, si dispersero nella piazza. L'acciottolato era ingombro di cuscini sfondati e di bonghi, di ossa e di braci spente, il tutto sparpagliato in un ammasso disordinato.
Kerans aspettò finché anche l'ultimo gruppo non si fu allontanato, quindi si alzò in piedi e si infilò la Colt nella cintura. In lontananza, sulla sponda opposta della laguna, c'era l'appartamento di Beatrice, con le finestre buie e la luce del lampione spenta. Kerans aveva preso in considerazione l'idea di salire le scale fino all'ultimo piano, ma aveva immaginato che Beatrice fosse a bordo del battello, riluttante ospite di Strangman.
Sopra di lui una sagoma si accostò al parapetto e poi tornò nell'ombra. Una voce distante gridò qualcosa, una seconda gli rispose dal ponte. Un boccaporto della cambusa si aprì e un secchio di rifiuti venne gettato nella piazza. Una pozza di fluido abissale si era già raccolta sotto la nave: ben presto avrebbe colmato la laguna e il battello avrebbe ripreso a galleggiare.
Chino sotto la catena di trasmissione, Kerans salì sulla pala più bassa e rapidamente si issò su quella scala radiale. La ruota scricchiolò leggermente, rotando di qualche centimetro sotto il suo peso fino a bloccarsi quando la catena non ebbe più gioco. Una volta in cima, Kerans si spostò sulla putrella di ferro che sosteneva l'asse della ruota. Reggendosi alla gomena che controllava il funzionamento del raschiapale, strisciò lentamente sulla putrella larga trenta centimetri, quindi si alzò e scavalcò il parapetto raggiungendo il ponte di comando. Una stretta scalinata diagonale conduceva al ponte panoramico. Kerans vi si arrampicò
senza far rumore, fermandosi quando incontrò i due ponti intermedi nel caso qualche marinaio sbronzo stesse osservando la luna dal parapetto.
Nascondendosi all'ombra di una scialuppa dipinta di bianco, Kerans avanzò e, scattando da un bocchettone all'altro, raggiunse un verricello arrugginito a pochi passi dal tavolo da pranzo al quale avevano cenato con Strangman. Il tavolo era stato spogliato di ogni ornamento, i divani e le poltrone sistemati in file parallele di fronte al gigantesco dipinto ancora appoggiato contro i fumaioli. Sotto di lui si udirono nuovamente delle voci e la passerella scricchiolò per il peso degli ultimi marinai che scendevano nella piazza. In lontananza, sopra i tetti, un razzo di segnalazione brillò brevemente stagliandosi sul profilo frastagliato dei camini. Quando la luce del bengala cominciò ad attenuarsi, Kerans si alzò in piedi e oltrepassò il dipinto, diretto al portello nascosto dietro la tela. Si fermò bruscamente, la mano pronta sul calcio della Colt. A poco più di tre metri da lui, la brace rossa di un sigaro riluceva nell'oscurità, apparentemente distaccata da qualsiasi forma corporea. Immobile sulla punta dei piedi e incapace sia di avanzare che di retrocedere, Kerans scrutò il buio intorno al bagliore e, finalmente, riuscì a distinguere la visiera bianca del berretto dell'Ammiraglio. Un istante più tardi il mulatto tirava soddisfatto dal sigaro e i suoi occhi riflessero il rosso della brace. Mentre i marinai attraversavano la piazza sottostante, l'Ammiraglio si voltò a controllare il ponte panoramico. Oltre l'orlo della balaustra di legno, Kerans poteva vedere il calcio di un fucile nell'incavo del suo braccio. Il sigaro si spostò a un angolo della sua bocca e un cono di fumo biancastro si disperse nell'aria come polvere argentea. Per due o tre secondi buoni l'Ammiraglio guardò direttamente verso Kerans, stagliato nel buio contro il gruppo di figure del quadro, ma non diede alcun segno di averlo visto, apparentemente convinto che Kerans fosse parte della composizione. Poi si allontanò lentamente sottocoperta. Misurando cautamente ogni passo, Kerans avanzò fino all'orlo del dipinto e poi si nascose nell'ombra retrostante. Un ventaglio di luce proveniente dal portello si riversava sul ponte. Accovacciandosi con la pistola in pugno, Kerans discese lentamente i gradini fino al ponte principale, scrutando le porte in cerca di un qualsiasi segno di movimento o del riflesso della canna di un fucile tra le tende. La suite di Strangman era esattamente sotto il ponte e vi si accedeva per mezzo di una porta posta in una nicchia dietro il bancone del bar.
Attese accanto alla porta per qualche istante, quindi si appoggiò alla maniglia e fece scivolare la porta sui cardini, entrando silenziosamente nell'oscurità. Si fermò per qualche secondo oltre la porta, aspettando che i suoi occhi si abituassero alla luce fioca che filtrava nell'anticamera da una tenda di perline nascosta dietro un armadio alla sua destra. Al centro della stanza c'era un grande tavolo su cui campeggiavano carte nautiche: altre mappe erano arrotolate sotto il ripiano di vetro. I suoi piedi nudi affondarono nel folto tappeto. Kerans oltrepassò l'armadio e sbirciò oltre la tenda di perline.
La stanza, lunga una decina di metri, era il salone principale degli alloggi di Strangman. Rivestita internamente di pannelli in legno di quercia presentava al centro due divani di pelle posti l'uno di fronte all'altro lungo le pareti laterali e un enorme mappamondo antico era posato sul suo piedistallo di bronzo sotto la fila degli oblò. Tre candelabri pendevano dal soffitto, ma uno solo era acceso sopra una sedia bizantina dall'alto schienale, intarsiata di vetro dipinto, all'estremità opposta del salone. La luce del candelabro scintillava sui gioielli che uscivano dalle scatole metalliche poste su bassi tavolini disposti a semicerchio.
Con la testa appoggiata allo schienale e una mano che sfiorava il sottile stelo di un calice orlato in oro zecchino posto su un tavolo accanto a lei, Beatrice Dahl era seduta con lo sguardo perso nel vuoto. Il vestito di broccato azzurro le si allargava intorno come la coda di un pavone, le perle e gli zaffiri che le erano caduti dalla mano sinistra scintillavano tra le pieghe della stoffa come minuscoli occhi elettrici. Kerans esitò, osservando la porta di fronte che conduceva nella cabina di Strangman, quindi scostò leggermente la tenda in modo che le perline tintinnassero appena.
Beatrice lo ignorò, ovviamente fin troppo abituata al tintinnio del vetro. Gli scrigni ai suoi piedi erano stracolmi di gioielli: braccialetti diamanté, spille dorate, diademi e collane di zircone, collane e pendenti di cristallo di rocca, orecchini di perle coltivate che traboccavano da uno scrigno all'altro e si rovesciavano sui panni disposti sul pavimento come vascelli intenti a raccogliere una pioggia di argento vivo. Per un istante Kerans pensò che Beatrice fosse stata drogata: la sua espressione era vacua e immobile come il volto di una statua di cera, gli occhi intenti a fissare un punto nel vuoto. Poi mosse una mano e si portò meccanicamente il bicchiere di vino alle labbra.
"Beatrice!"
Con un sussulto, la donna si rovesciò il vino sul vestito e sollevò lo sguardo, sorpresa. Scostando le perline, Kerans attraversò rapidamente la stanza e, mentre Beatrice stava cercando di alzarsi, la prese per un braccio.
"Beatrice, aspetta! Non ti muovere!" Provò la porta della cabina e la trovò chiusa a chiave. "Strangman e i suoi uomini stanno saccheggiando le strade. Credo che sul ponte sia rimasto solo l'Ammiraglio." Beatrice gli premette il viso sul petto e, con le dita fredde, seguì la lunga teoria di lividi che gli spiccava sulla pelle bronzea. "Robert, stai attento! Che cosa ti è successo? Strangman non mi ha permesso di assistere!" Il suo sollievo e il suo piacere nel rivedere Kerans lasciarono il posto alla preoccupazione. Beatrice si guardò ansiosamente intorno. "Caro, lasciami qui e vattene. Non penso che Strangman mi farà del male."
Kerans scosse la testa, quindi l'aiutò ad alzarsi. Osservò il suo profilo elegante, le morbide labbra vermiglie e le unghie smaltate, quasi incantato dalla scia stordente di profumo e dal fruscio di seta del suo abito. Dopo la violenza e l'orrore dei giorni precedenti, si sentiva come uno degli scopritori della tomba di Nefertiti che si imbatteva nella meravigliosa maschera mortuaria della regina nelle profondità della necropoli.
"Strangman è capace di tutto, Beatrice. Quell'uomo è pazzo. Hanno fatto una specie di gioco folle con me, stavano quasi per uccidermi."
Beatrice sollevò lo strascico dell'abito, spazzando via i gioielli che erano rimasti attaccati alla stoffa. Nonostante il lussuoso e scintillante assortimento di fronte a lei, i suoi polsi e il suo collo erano nudi, con l'unica eccezione di una sottile collana d'oro intorno alla gola. "Ma Robert, anche se riusciamo a uscire..."
"Silenzio!" Kerans si fermò a pochi passi dalla tenda, osservando i filamenti di perline che si gonfiavano verso l'interno e poi tornavano al loro posto, cercando di ricordare se nell'anticamera ci fosse un oblò aperto. "Ho costruito una piccola zattera," disse. "Dovrebbe portarci abbastanza lontano. Poi ci riposeremo e ne costruiremo una più grande."
Cominciò a camminare verso la tenda e stava per raggiungerla quando due filamenti si separarono impercettibilmente. Qualcosa si mosse con la velocità di un fulmine e, un istante dopo, una lama argentea lunga oltre mezzo metro roteò fendendo l'aria e vorticò verso la sua testa come un'immensa scimitarra. Con il viso contratto dal dolore, Kerans si chinò e sentì la lama che gli sfiorava la spalla destra, strappandogli una striscia di stoffa dalla giacca e conficcandosi poi con un tonfo metallico nel pannello di quercia alle sue spalle. Ammutolita dal terrore, Beatrice indietreggiò con gli occhi sgranati e andò a sbattere contro uno dei tavolini, rovesciando a terra uno scrigno di gioielli.
Prima che Kerans potesse raggiungerla, la tenda venne scostata da un braccio enorme e una figura ingobbita riempì la soglia, la testa dall'unico occhio abbassata sotto lo stipite come quella di un toro. Rivoli di sudore gli colavano dal petto muscoloso, macchiando i pantaloncini verdi. Nella mano destra reggeva un coltello lungo trenta centimetri, pronto ad affondarlo nello stomaco di Kerans. Indietreggiando nella stanza, Kerans impugnò la pistola, inseguito dall'unico ciclopico occhio dell'enorme mulatto. Poi inciampò su una spilla di smeraldi e cadde all'indietro su uno dei divani. Mentre si appoggiava alla parete per restare in piedi, Big Caesar si lanciò su di lui, il coltello che fendeva l'aria in un breve arco mortale. Beatrice strillò ma la sua voce venne immediatamente cancellata dal fragore assordante della Colt. Per il contraccolpo, Kerans ricadde sul divano e osservò il mulatto che si abbatteva contro la porta, perdendo la presa sul coltello. Un gorgoglio soffocato gli uscì dalle labbra e, con un sussulto cataclismico che sembrava riassumere in sé tutto il suo dolore e la sua frustrazione, si aggrappò al divisorio di perline e lo strappò dalla guida. I muscoli rigonfi del suo petto si contrassero per l'ultima volta. Avvolto nella tenda, cadde in avanti sul pavimento, le enormi membra simili a quelle di un gigante, il corpo circondato da una pioggia tintinnante di migliaia di perline di vetro.
"Beatrice! Andiamo!" Kerans la prese per un braccio e la condusse oltre il corpo esanime del mulatto nell'anticamera, il braccio e la mano destra resi insensibili dal rinculo della Colt. Oltrepassarono la nicchia e attraversarono di corsa il bar deserto. Dal ponte sopra le loro teste echeggiò un grido e, immediatamente dopo, un rumore di passi frenetici attraversò l'assito.
Kerans si fermò abbassando lo sguardo sulle pieghe voluminose dell'abito di Beatrice, quindi abbandonò il suo piano di tornare da dove era venuto.
"Dobbiamo tentare dalla passerella." Indicò l'entrata sguarnita accanto al parapetto di tribordo, i cupidi di gesso con i flauti tra le labbra rosse che sembravano danzare nell'ombra ai lati della scala. "Può sembrare ovvio, ma è l'unica via d'uscita che ci rimane."
Quando giunsero a metà strada, la passerella cominciò a ondeggiare sui supporti, e Kerans e Beatrice udirono l'Ammiraglio che urlava dal ponte alle loro spalle. Un istante più tardi il fucile tuonò e la scarica di pallini squarciò la tenda sulle loro teste. Kerans si chinò all'imbocco della passerella e sollevò lo sguardo sulla canna del fucile ora esattamente sopra di loro, mentre l'Ammiraglio si dava da fare per raggiungerli. Kerans balzò nella piazza deserta, cinse la vita di Beatrice e la aiutò a scendere. Insieme si accovacciarono sotto la chiglia del battello, quindi attraversarono di corsa la piazza verso la strada più vicina.
A metà strada Kerans si guardò alle spalle e vide un gruppo di uomini di Strangman apparire dalla parte opposta della piazza. I marinai scambiarono qualche breve grido con l'Ammiraglio, quindi videro Kerans e Beatrice a meno di cento metri da loro.
Con la pistola ancora in pugno, Kerans fece per mettersi a correre, ma Beatrice lo trattenne.
"No, Robert! Guarda!"
Di fronte a loro, disposti l'uno accanto all'altro a riempire l'intera larghezza della strada, altri marinai si stavano avvicinando, guidati da un uomo vestito di bianco. Strangman passeggiava senza fretta, un pollice mollemente infilato nella cintura mentre con l'altra mano faceva cenno ai suoi uomini di proseguire, sfiorando quasi con le dita la punta del machete brandito dal marinaio alla sua destra. Cambiando direzione, Kerans spinse Beatrice diagonalmente attraverso la piazza. Il primo gruppo, però, si era sparpagliato e ora bloccava loro la strada. Dal ponte della nave partì un bengala che illuminò la piazza di luce rossastra.
Beatrice si fermò, annaspando senza fiato, tenendo disperatamente tra le mani il tacco spezzato della scarpina dorata. Guardò incerta gli uomini che si stavano avvicinando sempre più. "Caro... Robert, che ne pensi della nave? Cerca di rifugiarti là."
Kerans la prese per un braccio e, insieme, tornarono a nascondersi all'ombra della ruota di prua; le pale fornivano loro riparo dal fucile dell'Ammiraglio. Kerans riusciva a malapena a reggere la pistola: lo sforzo di arrampicarsi a bordo del battello e poi di correre intorno alla piazza gli aveva prosciugato ogni energia; a ogni respiro, i suoi polmoni si contraevano in spasmi dolorosi.
La voce fredda e ironica di Strangman si propagò nell'aria della piazza. "Kerans..." L'uomo avanzava con andatura rilassata, appena entro il raggio d'azione della Colt ma al tempo stesso protetto dagli uomini che camminavano ai suoi fianchi. Tutti i marinai erano armati di machete e pangas, i volti calmi e sorridenti.
"Finis, Kerans... Finis." Strangman si fermò a meno di dieci metri da Kerans, le labbra inarcate in un sorriso sardonico, osservandolo quasi con compassione. "Mi dispiace, Kerans, ma lei sta diventando un notevole fastidio. Getti la pistola, o uccideremo anche la signorina Dahl." Rimase in silenzio per un lungo istante, quindi aggiunse: "Dico sul serio".
Kerans ritrovò la voce. "Strangman..."
"Kerans, questo non è il momento per una discussione metafisica." Una nota di fastidio gli era salita nella voce, come se si stesse rivolgendo a un bambino capriccioso. "Mi creda, non è il momento di pregare... non è il momento di fare nulla. Le ho detto di gettare la pistola. Poi venga avanti. I miei uomini pensano che lei abbia rapito la signorina Dahl: non la toccheranno." Poi, con una punta di minaccia, aggiunse: "Andiamo, Kerans. Io e lei non vogliamo che accada nulla a Beatrice, non è vero? Pensi che splendida maschera si potrebbe ricavare dal suo faccino". Ridacchiò follemente. "Molto meglio di quella vecchia testa di alligatore che ha indossato l'altra notte sul trono."
Con la gola annodata, Kerans si voltò e porse la pistola a Beatrice, premendole le mani esili intorno al calcio. Prima che i loro occhi potessero incontrarsi distolse lo sguardo, inalando per l'ultima volta il profumo muschiato del suo seno, quindi uscì dal nascondiglio e si incamminò verso il centro della piazza come gli era stato ordinato. Strangman rimase per un istante a guardarlo, le labbra contratte in un ghigno, poi balzò in avanti con un ringhio, incitando i suoi uomini a seguirlo.
Con i lunghi coltelli che ruotavano sibilando nell'aria alle sue spalle, Kerans si voltò e corse intorno alla ruota, cercando di raggiungere la zona di buio dietro il battello. Poi, però, scivolò in una pozza di acqua fetida e, prima che potesse riguadagnare l'equilibrio, cadde pesantemente sull'acciottolato. Si sollevò in ginocchio, un braccio levato invano a proteggersi dal cerchio di machete pronti ad abbattersi su di lui, quindi sentì qualcosa che lo afferrava da dietro e lo tirava violentemente in piedi. Riguadagnata la presa sui ciottoli umidi, udì Strangman gridare di sorpresa. Imbracciando i fucili, un gruppo di uomini uscì dall'ombra in cui era rimasto nascosto fino a quel momento. Alla loro testa c'era la figura elegante ed energica del colonnello Riggs. Due soldati portavano una mitragliatrice leggera, un terzo due cassette di munizioni. Sistemarono rapidamente l'arma sul treppiede tre metri davanti a Kerans e puntarono la canna perforata sulla folla di marinai confusi che ora stavano indietreggiando sulla piazza. Il resto della squadra si allargò a ventaglio, punzecchiando gli ultimi marinai di Strangman con le baionette. La maggior parte della ciurma stava indietreggiando nella confusione generale che regnava sulla piazza, ma un paio di marinai, impugnando i pangas, tentarono di fare breccia nello sbarramento. Istantaneamente una breve raffica di mitra esplose sopra le loro teste: i marinai lasciarono cadere i coltelli e, in silenzio, si unirono agli altri.
"D'accordo, Strangman. Mi sembra sufficiente." Riggs posò la punta del bastone sul petto dell'Ammiraglio e lo spinse indietro.
Completamente sconcertato, Strangman fissava istupidito i soldati che lo oltrepassavano. Scrutò disperatamente il battello, quasi si aspettasse che un cannone apparisse d'improvviso per mutare la situazione in suo favore. Invece sul ponte comparvero due soldati con l'elmetto e un riflettore portatile che adoperarono per illuminare la piazza.
Kerans sentì qualcuno che lo prendeva per un gomito. Si voltò e si trovò di fronte al viso preoccupato del sergente Macready, che imbracciava un fucile automatico. Dapprima quasi non lo riconobbe, e fu soltanto con un notevole sforzo di memoria che riuscì a dare un nome ai suoi lineamenti aquilini, come il ricordo vago di un volto appartenente a una vita ormai trascorsa.
"Si sente bene, signore?" domandò Macready a bassa voce. "Mi dispiace di averla strapazzata a questo modo. A quanto pare avete fatto una bella baldoria, da queste parti." Troppo presto, troppo tardi
Alle otto in punto della mattina seguente, Riggs aveva assunto il pieno controllo della situazione e, finalmente, ebbe il tempo di vedere Kerans in privato. Aveva stabilito il suo quartier generale nel laboratorio biologico, che consentiva una visuale privilegiata sulle strade sottostanti e, in particolare, sul battello in secca al centro della piazza. Privati delle loro armi, Strangman e l'equipaggio erano seduti all'ombra dello scafo, sorvegliati incessantemente dalla mitragliatrice governata da Macready e dai suoi uomini.
Beatrice e Kerans avevano passato la notte nell'infermeria a bordo della motolancia di Riggs, una motosilurante di trenta tonnellate molto bene armata che ora era ormeggiata accanto all'idrovolante nella laguna centrale. L'unità era arrivata poco dopo la mezzanotte, e una pattuglia in ricognizione aveva raggiunto il laboratorio biologico sul perimetro della laguna prosciugata circa alla stessa ora in cui Kerans si era introdotto nella cabina di Strangman. Avendo udito i colpi di arma da fuoco che erano seguiti poco dopo, i soldati erano scesi immediatamente nella piazza.
"Immaginavo che Strangman fosse qui," spiegò Riggs, "circa un mese fa, uno dei nostri aerei da ricognizione ha fatto rapporto sull'avvistamento di un idrovolante e ho pensato subito che, se vi foste trovati ancora qui, avreste potuto avere dei problemi con lui. Ho usato come pretesto la volontà di recuperare il laboratorio biologico." Si sedette sull'orlo della scrivania, osservando l'elicottero che sorvolava le strade riemerse. "Questo dovrebbe tenerli buoni per un po'."
"Sembra che Daley sia finalmente riuscito a farsi crescere le ali," commentò Kerans.
"Ha fatto un sacco di pratica." Riggs voltò su Kerans gli occhi intelligenti e, in tono casuale, gli domandò: "A proposito, Hardman è qui?".
"Hardman?" Kerans scosse lentamente la testa. "No, non l'ho più visto dal giorno in cui è scomparso. A quest'ora sarà molto lontano da qui, colonnello."
"Probabilmente ha ragione. Pensavo soltanto che potesse essere da queste parti." Rivolse a Kerans un sorriso comprensivo, avendolo evidentemente perdonato per l'affondamento del laboratorio biologico, o essendo abbastanza sensibile da non insistere troppo sull'argomento a così poco tempo di distanza dalla disavventura di Kerans. Indicò con un cenno le strade che, sotto di loro, scintillavano alla luce del sole, il fango secco sui tetti e sulle pareti degli edifici simile a letame. "Decisamente squallido laggiù. È un vero peccato per il vecchio Bodkin. Sarebbe dovuto venire con noi a nord." Kerans annuì, guardando i segni dei machete lasciati nel legno della porta, soltanto una minima parte dei danni che erano stati inflitti del tutto gratuitamente al laboratorio dopo la morte di Bodkin. La maggior parte del disordine era stata eliminata e il corpo dello scienziato, che giaceva tra i grafici macchiati di sangue nel laboratorio sottostante, era stato portato sulla motolancia di Riggs. Con sua stessa sorpresa, Kerans si era reso conto di essersi già dimenticato di Bodkin e di provare per lui ben poco più di una compassione di circostanza. Quando Riggs aveva menzionato Hardman gli aveva riportato alla mente qualcosa di molto più
urgente e importante: l'enorme sole che pulsava ancora magnetico all'interno della sua mente. La visione delle distese infinite di sabbia e delle paludi rossastre del sud gli passò davanti agli occhi. Si avvicinò alla finestra, togliendosi una scheggia dalla manica dell'uniforme pulita e abbassò lo sguardo sugli uomini raggruppati all'ombra del battello. Strangman e l'Ammiraglio si erano avvicinati alla mitragliatrice e ora stavano protestando con Macready che, del tutto impassibile, si limitava a scuotere la testa in un cenno di diniego.
"Perché non arresta Strangman?" domandò a Riggs.
Il colonnello rise brevemente. "Perché non c'è assolutamente nulla di cui io possa accusarlo. Legalmente, come lui del resto sa benissimo, aveva tutti i diritti di difendersi da Bodkin... uccidendolo, se necessario." Quando Kerans si voltò sorpreso a guardarlo, Riggs continuò: "Non ricorda il Trattato sulla bonifica dei territori e le Regole per la manutenzione delle dighe? Sono ancora in vigore. So bene che Strangman è un tipo poco raccomandabile, con quella sua pelle bianca e i suoi alligatori, ma a dire il vero si merita una medaglia per aver prosciugato la laguna. Se sporge un reclamo ufficiale avrò il mio bel da fare per spiegare la presenza di quella mitragliatrice laggiù. Mi creda, Robert, se fossi arrivato cinque minuti dopo e l'avessi trovata a pezzettini, Strangman avrebbe potuto tranquillamente asserire che lei era complice di Bodkin e io non avrei potuto fare assolutamente nulla. È un tipo molto furbo". Stanco per aver dormito solo tre ore, Kerans si appoggiò alla finestra, sorridendo tra sé mentre cercava di spiegarsi l'atteggiamento tollerante di Riggs nei confronti di Strangman sulla base della propria esperienza. Era consapevole che ora una distanza ancora maggiore divideva lui e il colonnello. Nonostante Riggs fosse soltanto a pochi passi da lui, enfatizzando i suoi argomenti con ampi movimenti del bastone, Kerans era incapace di accettare appieno l'idea che il colonnello fosse reale, come se una qualche sofisticata telecamera tridimensionale stesse proiettando la sua immagine nel laboratorio biologico da un punto incommensurabilmente distante del continuum spazio-temporale. Era Riggs, e non lui, a viaggiare nel tempo. Kerans aveva notato una simile mancanza di concretezza fisica anche nel resto della squadra. Molti dei membri originari erano stati sostituiti: tutti coloro, tra i quali Wilson e Caldwell, che avevano cominciato a sperimentare le visioni oniriche. Per quella ragione, forse (e in parte a causa dei loro volti pallidi e dei loro sguardi indeboliti dalla malaria in così aperto contrasto con i corpi vigorosi degli uomini di Strangman), i soldati attuali sembravano piatti e irreali, impegnati nei loro compiti come androidi intelligenti.
"E dei saccheggi che cosa mi dice?" domandò.
Riggs si strinse nelle spalle. "Fatta eccezione per qualche oggetto portato via da un vecchio Woolworths, non ha preso nulla che non possa essere attribuito alla naturale esuberanza del suo equipaggio. E, per quanto riguarda le statue e così via, Strangman sta eseguendo un lavoro assai apprezzabile recuperando opere d'arte che le popolazioni precedenti erano state costrette ad abbandonare. Anche se non sono sicuro di quali possano essere i motivi del suo comportamento." Diede a Kerans una pacca sulla spalla. "Deve assolutamente dimenticarsi di Strangman, Robert. L'unica ragione per cui ora se ne sta seduto buono buono è
che sa perfettamente di avere la legge dalla sua parte. Se così non fosse, adesso laggiù sarebbe in corso una battaglia coi fiocchi." Cambiò argomento. "Ha un aspetto orribile, Robert. Fa ancora quei sogni?" Kerans si strinse nelle spalle. "Di tanto in tanto. Gli ultimi giorni qui sono stati follia pura. È difficile descrivere Strangman: è come un demone bianco uscito pari pari da un culto voodoo. Non riesco ad accettare l'idea che possa continuare ad aggirarsi libero come il vento. Quando avete intenzione di riinondare la laguna?"
"Riinondare la laguna?" ripeté Riggs scuotendo la testa per lo stupore. "Robert, lei è veramente al di fuori della realtà. Prima se ne andrà di qui e meglio sarà. L'ultima cosa che ho intenzione di fare è riinondare la laguna. Anzi, le dirò di più: se qualcuno dovesse provarci, sarò il primo a fargli saltare la testa. Bonificare la terra, specialmente un'area urbana come questa proprio nel centro di quella che una volta era una capitale importante, è una priorità di Classe Al. Se Strangman dice sul serio quando parla di prosciugare anche le altre due lagune, non solo verrà perdonato ufficialmente, ma otterrà un'autorizzazione del governo a saccheggiare liberamente la città." Quando i gradini metallici della scala antincendio cominciarono a vibrare sotto la luce del sole, guardò giù dalla finestra. "Eccolo che arriva. Mi chiedo che cosa abbia in mente." Kerans si avvicinò a Riggs, distogliendo lo sguardo dal labirinto accecante dei tetti. "Colonnello, deve inondarla di nuovo, legge o non legge. È stato anche lei giù in quelle strade: sono oscene e orribili! È un mondo morto e finito: Strangman sta riesumando un cadavere! Dopo due o tre giorni qui, anche lei..." Riggs si allontanò dalla scrivania, interrompendolo. Quando parlò, la sua voce era venata da una nota impaziente. "Non ho nessuna intenzione di restare qui per tre giorni," sbottò irato. "Non si preoccupi. Non ho nessuna strana ossessione su queste lagune,
inondate o prosciugate che siano. Tutti noi per prima cosa domattina ce ne andremo." Perplesso, Kerans disse: "Ma lei non può andarsene, colonnello. Strangman sarà ancora qui".
"Certo che sì! Crede forse che quel battello abbia le ali? Non c'è nessuna ragione perché lui se ne vada, se crede di poter affrontare le ondate di caldo e le tempeste che stanno per arrivare. Se riesce a refrigerare qualcuno di questi grossi edifici, potrebbe anche farcela. Col tempo, se dovesse riuscire a bonificare una parte considerevole della città, potrebbe esserci addirittura un tentativo di rioccuparla. Anzi, quando faremo ritorno a Camp Byrd mi sa che raccomanderò vivamente di seguire gli sviluppi della situazione. Attualmente, però, non c'è nessun motivo per cui io debba trattenermi: ora non posso spostare il laboratorio biologico, ma è una perdita del tutto irrilevante alla luce di ciò che è accaduto. Comunque, lei e la signorina Dahl avete bisogno di un po' di riposo. E di cure psicologiche. Si rende conto di quanto sia fortunato a essere ancora vivo? Buon dio!" Rivolse a Kerans un brusco cenno del capo, alzandosi in piedi quando un bussare deciso risuonò alla porta. "Dovrebbe essermi grato per essere arrivato in tempo." Kerans camminò sino alla porta che dava nelle cucine, fin troppo ansioso di evitare l'incontro con Strangman. Prima di uscire, si fermò per un istante a guardare Riggs. "Non saprei, colonnello. Temo che invece sia arrivato troppo tardi."
Ilgrande slam
Accovacciato in un piccolo ufficio due piani sopra lo sbarramento, Kerans ascoltava la musica che si diffondeva tra le luci del ponte principale del battello. Il gruppo di Strangman aveva ancora voglia di festeggiare. Sospinte da due giovani membri dell'equipaggio, le grandi ruote giravano lentamente, dividendo con le pale le luci dei riflettori colorati e lanciandole a raggi verso il cielo. Visti da sopra, i tendoni bianchi assomigliavano allo sfondo di un luna park, un fulcro brillante di allegria e di rumore nella piazza altrimenti buia.
Per concedergli una soddisfazione, Riggs si era unito a Strangman per la sua festa d'addio. Tra i due leader era stato stipulato un patto: in precedenza la mitragliatrice era stata ritirata e il livello inferiore era stato dichiarato off-limits per gli uomini del colonnello, mentre Strangman aveva acconsentito a restare entro il perimetro della laguna fino alla partenza di Riggs. Per tutta la giornata Strangman e i suoi uomini avevano impazzato per le strade, i rumori dei saccheggi e dei colpi di arma da fuoco che risuonavano in ogni dove. Persino ora, mentre gli ultimi ospiti (il colonnello e Beatrice Dahl) abbandonavano la festa e si arrampicavano sulla scala antincendio che portava al laboratorio biologico, una rissa era scoppiata sul ponte e decine di bottiglie vuote venivano scagliate senza sosta nella piazza sottostante. Kerans aveva fatto la sua breve apparizione alla festa, tenendosi ben lontano da Strangman che, dal canto suo, non aveva fatto alcun tentativo di rivolgergli la parola. A un certo punto, tra un numero comico e l'altro, era passato vicino a Kerans, sfiorandolo deliberatamente e gli aveva rivolto un brindisi sollevando il calice.
"Spero che non si stia annoiando troppo, dottore. Ha l'aria stanca. Chieda al colonnello di prestarle il suo scacciamosche." Aveva rivolto un sorriso perfido a Riggs, che era seduto rigidamente su un cuscino di seta con l'espressione circospetta di un commissario di polizia alla corte di un pascià. "Le feste a cui siamo abituati io e il dottor Kerans sono molto diverse, colonnello. Quelle sì che sono feste esplosive." "Ci credo, Strangman," aveva replicato pacatamente Riggs, ma Kerans si era voltato, incapace, proprio come Beatrice, di mascherare il proprio disgusto per Strangman. La ragazza stava guardando dalla parte opposta della piazza, con un'espressione vagamente corrucciata che per un istante era riuscita a nascondere il torpore introspettivo in cui stava ricadendo.
Osservando Strangman da lontano, mentre applaudiva il numero successivo, Kerans si era chiesto se in qualche modo l'uomo non avesse oltrepassato i propri limiti e stesse cominciando a disintegrarsi. Ora sembrava semplicemente orrendo, come un vampiro in decomposizione corrotto dal male e dall'orrore. Il fascino occasionale era svanito del tutto, lasciando il posto a un'aura rapace. Non appena gli era stato possibile, Kerans aveva finto un leggero attacco di malaria ed era uscito nell'oscurità, arrampicandosi sulla scala antincendio fino al laboratorio biologico.
Ora, determinata sull'unica soluzione possibile, la mente di Kerans era tornata a essere chiara e coordinata, espandendosi verso l'esterno ben oltre il perimetro della laguna. Ormai a meno di cento chilometri a sud, le nubi temporalesche erano ammassate in densi strati una sopra l'altra, cancellando dall'orizzonte le paludi e gli arcipelaghi più lontani. Oscurato dagli eventi dell'ultima settimana, il sole arcaico nella sua mente aveva ripreso a pulsare senza sosta con la sua immensa forza, e la sua identità ora si confondeva con quella del sole vero visibile oltre le nubi che ammantavano l'orizzonte. Inesorabile e magnetico, lo richiamava a sud, al grande calore e alle lagune sommerse dell'Equatore. Aiutata da Riggs, Beatrice salì sul tetto del laboratorio biologico, che serviva anche da punto di atterraggio per l'elicottero. Quando il sergente Daley accese il motore e i rotori cominciarono a girare, Kerans si affrettò a scendere sulla terrazza due piani più in basso. Separato da un centinaio di metri da entrambi i lati, Kerans si trovava esattamente a metà strada fra l'elicottero e la diga, i tre punti uniti dalla lunga terrazza dell'edificio.
Alle spalle della costruzione si ergeva un enorme banco di sedimenti che saliva dalla palude circostante fino ai parapetti della terrazza, sulla quale ricadeva un intrico lussureggiante di vegetazione. Nascosto dietro le ampie fronde delle felci, corse fino allo sbarramento situato tra l'estremità dell'edificio e la fiancata del grattacielo adiacente. Fatta eccezione per il canale di sbocco dalla parte opposta della laguna dove erano state disposte le pompe idrovore, quello era l'unico punto di ingresso per l'acqua che era passata nella laguna. L'immissario originale, un tempo ampio venti metri e profondo altrettanto, si era ridotto a un rigagnolo semisoffocato dal fango e dai funghi, la cui bocca di appena due metri era bloccata da una fila di massicci tronchi d'albero. Inizialmente, una volta rimossi i tronchi, la portata del flusso sarebbe stata poca, ma via via che i detriti fossero stati trascinati via dall'acqua la bocca si sarebbe allargata di nuovo. Da una nicchia sotto una pietra sconnessa Kerans estrasse due scatole nere e squadrate, ognuna delle quali conteneva sei candelotti di dinamite legati insieme da nastro isolante. Per trovare l'esplosivo, aveva passato tutto il pomeriggio perquisendo gli edifici vicini, sicuro del fatto che Bodkin avesse razziato l'armeria della base nello stesso periodo in cui lui aveva rubato la bussola. Come volevasi dimostrare, alla fine aveva trovato ciò che cercava in una cisterna vuota.
Mentre il motore dell'elicottero cominciava a ruggire sempre più forte, sputando i gas di scarico nell'oscurità, Kerans accese la corta miccia da trenta secondi, scavalcò la ringhiera e corse verso il centro dello sbarramento.
Qui si chinò e appese le scatole a un piccolo gancio che aveva conficcato personalmente nella fila più esterna di tronchi quella sera stessa. La dinamite rimase appesa fuori vista, a circa mezzo metro di altezza sulla superficie dell'acqua. "Dottor Kerans! Si allontani da lì, signore!".
Kerans sollevò lo sguardo e vide il sergente Macready dall'altra parte dello sbarramento, in piedi accanto al parapetto del tetto vicino. Il sergente si sporse in avanti, e d'un tratto vide l'estremità scoppiettante della miccia. Immediatamente imbracciò il fucile Thompson.
A testa bassa, Kerans tornò di corsa sui propri passi e raggiunse la terrazza mentre Macready gridava di nuovo e poi sparava una breve raffica. Le pallottole si conficcarono nella balaustra, strappando frammenti di cemento. Kerans cadde, colpito alla gamba destra da una pallottola blindata che gli entrò nella carne appena sopra la caviglia. Trascinandosi oltre il parapetto, vide Macready deporre il fucile e saltare giù sullo sbarramento.
"Macready! Torni indietro!" gridò al sergente, che stava balzando precipitosamente da un tronco all'altro.
"Salterà in aria!"
Indietreggiando tra le fronde, la voce soffocata dal rombo dell'elicottero che stava testando i motori in vista del decollo, osservò impotente Macready che si fermava al centro dello sbarramento e si chinava per raggiungere la dinamite.
"Ventotto, ventinove..." concluse automaticamente Kerans tra sé. Voltando le spalle allo sbarramento, si allontanò zoppicando sulla terrazza e, fatti pochi passi, si gettò a terra. Quando il rombo terrificante dell'esplosione si levò nel cielo scuro, l'immenso geyser di schiuma e detriti illuminò brevemente la terrazza, delineando la figura di Kerans riversa. Da un crescendo iniziale, il fragore parve montare in un rombo continuo e devastante, mentre il tuono dirompente dell'onda d'urto cedeva all'impeto dell'acqua. Grumi di fango e piante sradicate caddero sulle piastrelle intorno a Kerans, che si alzò faticosamente in piedi e raggiunse il parapetto.
Allargandosi davanti ai suoi occhi, l'acqua si riversò nelle strade sottostanti, portando con sé ampie sezioni del banco di sedimenti. Ci fu un fuggi fuggi generale sul ponte del battello; dozzine di braccia si levarono a indicare l'acqua che sprizzava dalla breccia. Il mare si raccolse nella piazza, profondo soltanto poco più di un metro, spegnendo i fuochi e schiaffeggiando la chiglia del battello che ancora sussultava leggermente per l'impatto dell'esplosione.
Poi, improvvisamente, la sezione inferiore dello sbarramento cedette di schianto: una decina di enormi tronchi precipitarono insieme. La sella di fango a forma di U dietro la diga cedette a sua volta, ripristinando la piena portata del canale, e ciò che sembrava essere un gigantesco cubo di acqua alto quindici metri cadde nella strada sottostante come un tremolante pezzo di gelatina. Accompagnato dal cupo rombo degli edifici che crollavano, il mare si riversò sulla città con tutta la sua potenza.
"Kerans!"
Kerans si voltò mentre un proiettile gli passava sibilando sopra la testa e vide Riggs che, con la pistola in pugno, gli correva incontro dal tetto del laboratorio biologico. Dopo aver fermato il motore dell'elicottero, il sergente Daley stava aiutando Beatrice a uscire dalla cabina.
L'intero edificio tremava, squassato dall'impatto del torrente che gli si avvoltolava impetuoso intorno. Sostenendosi la gamba destra con una mano, Kerans zoppicò fino al riparo della torretta che gli era servita in precedenza come punto di osservazione. Si tolse la Colt 45 dalla cintura, la impugnò con entrambe le mani e sparò due volte a Riggs che si stava avvicinando, dietro l'angolo dell'edificio. I due colpi andarono a vuoto, ma Riggs si fermò e indietreggiò di qualche metro, mettendosi al riparo dietro una balaustra. Kerans sentì dei passi avvicinarsi rapidamente e si guardò intorno mentre Beatrice correva sulla terrazza. La donna raggiunse l'angolo, inseguita dalle grida di Riggs e Daley, e si inginocchiò accanto a Kerans.
"Robert, devi andartene subito, prima che Riggs chiami rinforzi! Vuole ucciderti, lo so." Kerans annuì, alzandosi dolorosamente in piedi. "Il sergente... non mi ero reso conto che fosse di pattuglia. Di' a Riggs che mi dispiace..." Fece un gesto impotente, quindi guardò la laguna per l'ultima volta. L'acqua nera vi si riversava filtrando tra gli edifici, ormai allo stesso livello delle finestre più alte. Capovolto, con le ruote divette, il battello andava lentamente alla deriva verso la sponda opposta, la chiglia rivolta al cielo come il ventre di una balena morente. Sbuffi di vapore e di schiuma eruttavano dalle sue caldaie sul punto di esplodere, fuoriuscendo dagli squarci dello scafo mentre il battello veniva sospinto sugli scogli appuntiti dei cornicioni semisommersi. Kerans osservò lo spettacolo con un piacere silenzioso e contenuto, assaporando l'odore fresco che l'acqua aveva riportato nella laguna. Strangman e i membri del suo equipaggio non si vedevano da nessuna parte. I pochi frammenti del ponte del battello spazzati via dall'acqua venivano inghiottiti e rigurgitati dalle ribollenti correnti subacquee.
"Robert, muoviti!" Beatrice lo tirò per un braccio, guardandosi alle spalle: Riggs e il pilota correvano verso di loro, ed erano giunti ormai a meno di cinquanta metri. "Caro, dove andrai adesso? Mi dispiace di non poter essere con te."
"A sud," disse Kerans con un filo di voce, ascoltando il rombo cupo dell'acqua che saliva inesorabilmente. "Verso il sole e tu sarai con me, Bea."
La strinse, quindi si strappò dal suo abbraccio e corse zoppicando al parapetto posteriore della terrazza, scostando l'intrico delle grosse felci. Quando mise piede sul banco di sedimenti, Riggs e il sergente Daley doppiarono l'angolo dell'edificio e spararono nel fogliame, ma Kerans si chinò e corse via, immerso fino alle ginocchia nella cedevole massa di fango.
Il limitare della palude si era ritratto leggermente mentre l'acqua si riversava nella laguna. Con il corpo trafitto da spasmi di dolore, Kerans trascinò il goffo catamarano, che lui stesso aveva costruito alla bell'e meglio con quattro grossi bidoni sistemati a coppie parallele, attraverso le fitte erbacce fino all'acqua. Riggs e il pilota emersero dalle felci proprio mentre lui salpava.
Mentre il motore fuoribordo prendeva vita, Kerans giacque esausto sulla piattaforma; i proiettili sparati dalla 38 di Riggs perforarono la piccola vela triangolare. Lentamente la distesa d'acqua che li separava si allargò sempre più e alla fine Kerans raggiunse il primo dei piccoli isolotti che costellavano la laguna innalzandosi dai tetti di edifici più alti. Finalmente al riparo, si sollevò a sedere e ammainò la vela, quindi si voltò a guardare per l'ultima volta il perimetro della laguna.
Riggs e il pilota non si vedevano più, ma sulla sommità del grattacielo Kerans intravide la figura solitaria di Beatrice che agitava lentamente una mano verso la palude, cambiando continuamente braccio anche se non era in grado di distinguerlo tra gli isolotti. In lontananza, alla sua destra, alti sopra la melma, si ergevano i punti di riferimento che gli erano tanto familiari, compreso il tetto verde del Ritz che stava scomparendo nella foschia. Alla fine il suo campo visivo si ridusse alle lettere cubitali dello slogan gigantesco che gli uomini di Strangman avevano dipinto e che emergevano dall'oscurità sopra l'acqua piatta come un epitaffio definitivo:
ZONA DEL TEMPO.
Frattanto la corrente contraria rallentava la sua fuga e un quarto d'ora dopo, quando l'elicottero passò sopra di lui, non aveva ancora raggiunto il limitare della palude. Oltrepassando l'ultimo piano di un piccolo edificio, condusse il catamarano attraverso una delle finestre e rimase ad aspettare in silenzio mentre il velivolo sorvolava la zona, sventagliando gli isolotti con continue raffiche di mitra. Quando l'elicottero abbandonò la ricerca, Kerans riprese il suo viaggio e un'ora dopo, finalmente, solcò la corrente di uscita della palude e sbucò nell'ampio mare interno che l'avrebbe portato a sud. Ampie isole, lunghe diverse centinaia di metri, ne ricoprivano la superficie: il loro manto di vegetazione giungeva fino all'acqua e i loro contorni erano stati completamente cambiati dall'azione erosiva dell'acqua nel breve periodo che era trascorso da quando erano usciti per cercare Hardman. Sollevando il fuoribordo dall'acqua, Kerans alzò la piccola vela e, aiutato dalla leggera brezza proveniente da nord, procedette a una velocità costante di cinque o sei chilometri orari.
La gamba ferita aveva cominciato a irrigidirglisi sotto il ginocchio. Kerans aprì la piccola cassetta del pronto soccorso che aveva preparato in precedenza e, prima di bendare la ferita, la disinfettò con la penicillina. Appena prima dell'alba, quando il dolore si fece insopportabile, inghiottì una capsula di morfina e cadde in un sonno rumoroso e pulsante, in cui l'enorme sole si allargò fino a riempire l'intero universo, facendo sussultare le stelle a ogni battito.
Si svegliò alle sette la mattina successiva appoggiato all'albero sotto i raggi impietosi del sole e la cassetta del pronto soccorso aperta in grembo, e scoprì che la zattera si era incagliata tra i rami di una grande felce arborea che cresceva sulla riva di una piccola isola. A un chilometro di distanza, volando all'altezza di quindici metri dall'acqua, l'elicottero solcava il cielo, mitragliando senza sosta le isole sottostanti. Kerans abbassò l'albero e si nascose sotto la felce aspettando che l'elicottero se ne andasse. Massaggiandosi la gamba, ma restio a prendere altra morfina, fece una frugale colazione con una tavoletta di cioccolato, la prima delle dieci che era riuscito a trovare. Fortunatamente il soldato di guardia alle riserve a bordo della motolancia aveva avuto ordine di permettere a Kerans libero accesso al magazzino dei medicinali. Gli attacchi aerei venivano sferrati a intervalli di mezz'ora, e una volta l'elicottero volò proprio sopra la sua testa. Dal suo nascondiglio Kerans vide chiaramente Riggs che guardava dal portello della carlinga con la mascella protesa fieramente in avanti, tuttavia il fuoco della mitragliatrice divenne sempre più sporadico e i voli di ricognizione vennero definitivamente sospesi quel pomeriggio. A quell'ora, le cinque, Kerans era completamente esausto. La temperatura massima aveva superato i sessanta gradi, prosciugando tutte le sue forze e Kerans ora giaceva scompostamente sotto la vela umida, lasciando che l'acqua tiepida gli gocciolasse sul petto e sulla faccia, invocando l'aria fresca della sera. La superficie dell'acqua era come fuoco liquido e la zattera sembrava sospesa su una nube di fiamme. Perseguitato da strane visioni, Kerans remava stancamente con una mano. Iparadisi del sole Il giorno seguente, per fortuna, le nubi temporalesche si interposero tra lui e il sole, e l'aria divenne notevolmente più fresca, calando fino a una temperatura di soli trentacinque gradi a mezzogiorno. I massicci conglomerati di cirrocumuli nerastri, a soli centocinquanta metri sopra di lui, oscurarono l'aria come durante un'eclissi e Kerans si riprese quel tanto che bastava per riavviare il motore e aumentare la velocità della zattera fino a quindici chilometri orari. Girando intorno alle isole, navigò verso sud seguendo il sole primevo che gli pulsava nel cervello. Più tardi, quella stessa sera, mentre la pioggia scrosciava furiosamente, si sentì abbastanza bene da alzarsi in piedi e appoggiarsi all'albero, lasciando che la pioggia torrenziale gli scorresse sul corpo e gli strappasse di dosso gli ultimi brandelli della giacca. Quando la prima fascia temporalesca passò, la visibilità migliorò sensibilmente e Kerans poté vedere l'estremità meridionale del mare, una linea di immensi banchi di sedimenti alti più di cento metri. Nella luce spasmodica, i banchi scintillavano lungo l'orizzonte come campi di messi dorate sormontati dalle cime degli alberi della giungla retrostante. La riserva di carburante del fuoribordo terminò a settecento metri dalla riva. Kerans svitò i bulloni e lasciò cadere il motore nell'acqua, osservandolo affondare nel liquido bruno accompagnato da un debole turbinio di bollicine. Ammainò la vela e cominciò a remare lentamente controvento. Quando riuscì a raggiungere la riva era ormai il crepuscolo e le ombre si stavano allungando sulle immense colline grigiastre. Zoppicando sulle secche, arenò la zattera e poi si sedette, appoggiando la schiena a uno dei bidoni. Fissando l'immane solitudine di quell'ultima spiaggia, ben presto cadde in un sonno esausto. La mattina seguente smantellò la zattera e trasportò i singoli pezzi uno alla volta sugli enormi pendii ricoperti di fanghiglia, sperando di trovare il mare dalla parte opposta. Intorno a lui i banchi sconfinati si estendevano ondulati per chilometri e chilometri, le dune punteggiate di conchiglie e nautiloidi. Il mare non era più visibile da nessuna parte e Kerans si ritrovò solo con quegli oggetti privi di vita simili alle vestigia di un continuum ormai svanito, trascinando i bidoni da una duna all'altra. Sopra di lui il cielo era cupo e privo di nubi, di un azzurro blando e uniforme, più simile al soffitto interno di una profonda, irrevocabile psicosi che alla sfera celestiale e tempestosa che aveva avuto modo di conoscere nei giorni precedenti. A volte, dopo aver posato un fardello, gli capitava di zoppicare giù lungo il fianco della duna sbagliata e di ritrovarsi barcollante a vagare per i bacini silenti e frammentati in spaccature esagonali, come un sognatore alla disperata ricerca di una porta che lo conducesse fuori dal suo incubo.
Alla fine abbandonò la zattera e continuò a camminare con una piccola scorta di provviste, voltandosi di tanto in tanto a guardare i bidoni vuoti che lentamente sprofondavano nel fango. Evitando accuratamente le sabbie mobili in agguato tra le dune, camminò verso la giungla che si profilava in lontananza, dove le guglie verdi delle felci si ergevano altissime verso il cielo.
Si riposò sotto un albero al limitare della foresta, pulendo accuratamente la pistola. Davanti a sé poteva udire i pipistrelli che strillavano e si tuffavano tra i tronchi scuri nel crepuscolo eterno della foresta e le iguane che ringhiavano e balzavano sulle loro prede. La sua caviglia aveva cominciato a gonfiarsi dolorosamente: la continua tensione del muscolo danneggiato aveva contribuito a diffondere l'infezione. Dopo aver tagliato un ramo da un albero vicino, entrò zoppicando nell'ombra. Al calare della sera la pioggia cominciò a cadere, abbattendosi sull'ombrello di foglie trenta metri sopra di lui. L'oscurità veniva interrotta soltanto quando i fiumi d'acqua fluorescente gli si riversavano addosso. Spaventato all'idea di riposarsi durante la notte, continuò a camminare, sparando alle iguane che cercavano di attaccarlo e passando da un tronco all'altro. Di tanto in tanto incontrava una breccia nella tettoia sovrastante e una luce pallida illuminava una radura dove il tetto in rovina di un edificio sommerso protrudeva dal fogliame, battuto dalla pioggia. Ma la presenza di qualsiasi struttura costruita dall'uomo si faceva sempre più rara: le città e i paesi del sud erano stati inghiottiti dalla crescita esponenziale dei sedimenti e della vegetazione.
Per tre giorni continuò ad avanzare senza dormire nella foresta, nutrendosi di bacche gigantesche che pendevano dagli alberi come grappoli di mele e adoperando un ramo come stampella. Di tanto in tanto, alla sua sinistra, intravedeva la striscia argentea di un fiume che si inoltrava nella giungla, la superficie battuta dalla pioggia, ma gli argini erano formati da enormi mangrovie che gli bloccavano il passaggio. Così proseguì la sua discesa in quella foresta fantasmagorica, ritmata dalla pioggia che gli cadeva incessantemente sulla faccia e sulle spalle. A volte smetteva all'improvviso, e nubi di vapore acqueo colmavano gli spazi tra gli alberi, sospese come veli diafani al di sopra del terreno costellato di tronchi caduti, disperdendosi soltanto quando la pioggia ricominciava a cadere. Fu durante uno di questi intervalli che Kerans, sperando di poter sfuggire alle nebbie fradicie, si arrampicò su un ripido declivio al centro di un'ampia radura e si ritrovò in un'angusta valle circondata da pendii ricoperti di alberi. Invase dalla vegetazione, le colline si estendevano intorno alla valle come le dune che Kerans aveva attraversato in precedenza, imprigionandolo in un verde universo gocciolante. Di tanto in tanto, quando la nebbia turbinava e si sollevava, riusciva a cogliere una breve visione del fiume che si snodava tra i picchi a meno di un chilometro di distanza. Il cielo umido era macchiato dal sole al tramonto; in lontananza le pallide nebbie rossastre demarcavano le creste delle colline. Trascinandosi faticosamente sul terreno umido e argilloso, si imbatté in quelli che sembravano essere i resti di un piccolo tempio. Un cancello semidiroccato conduceva verso un semicerchio di gradini, dove cinque colonne in rovina formavano una sorta di pronao irregolare. Il tetto era crollato e solo parte del muro perimetrale era riuscita a rimanere in piedi. All'estremità opposta della navata, l'altare offriva una visione ininterrotta della vallata, dove l'enorme disco aranciato del sole stava scomparendo alla vista, velato dalla foschia. Sperando di potersi rifugiare lì per la notte, Kerans si incamminò lungo la navata, fermandosi quando la pioggia ricominciava a cadere con forza. Raggiunse l'altare e posò le braccia esauste sul ripiano di marmo, osservando il disco del sole che si contraeva ritmicamente.
"Aaah-ah!" Un debole grido quasi umano risuonò nell'aria umida, simile al gemito di un animale ferito. Kerans si guardò freneticamente intorno, chiedendosi se un'iguana l'avesse seguito tra le rovine. Ma la giungla e la valle e il tempio di pietre erano silenziosi e immobili. La pioggia scorreva nelle crepe che solcavano i muri cadenti.
"Aaah-ah!" Questa volta il verso proveniva da un punto di fronte a lui, verso il sole morente. Il disco aveva pulsato di nuovo, trascinando apparentemente verso di sé quella risposta strozzata e sospesa tra la protesta e la gratitudine.
Asciugandosi l'umidità dal volto, Kerans girò cautamente intorno all'altare e indietreggiò con un sussulto quando quasi inciampò nei resti di uomo seduto con la schiena appoggiata all'altare e la testa reclinata sulla pietra. Il verso era venuto ovviamente da quella figura emaciata, ma l'uomo era tanto inerte e annerito che Kerans immaginò che dovesse essere morto.
Le lunghe gambe dell'uomo, simili a due pali di legno carbonizzato, giacevano inutili di fronte a lui, avvolte in un ammasso di stracci neri e frammenti di corteccia. Le braccia e il petto incavato erano addobbati allo stesso modo, legati insieme da rampicanti. Una barba nera un tempo folta, ma ora rada e spelacchiata, gli copriva gran parte del viso e la pioggia gli cadeva sulla mandibola levata verso la luce morente. Il sole brillava sulla pelle esposta della sua faccia e delle sue mani. Una di queste, uno scheletrico artiglio verde, si sollevò improvvisamente come se emergesse da una tomba e indicò il sole quasi volesse identificarlo, quindi ricadde inerte sul terreno zuppo di pioggia. Quando il disco solare pulsò di nuovo, la faccia dell'uomo mostrò un accenno di reazione. I profondi recessi che gli contornavano le labbra e il naso, le guance incavate che rientravano così profondamente sulla mascella squadrata da non lasciare alcuno spazio apparente alla cavità orale, si riempirono per un istante mentre un unico soffio di vita attraversava brevemente il corpo. Incapace di fare anche un solo passo avanti, Kerans rimase a guardare in silenzio la figura distesa ai suoi piedi. L'uomo era ridotto a poco più di un cadavere resuscitato, privo di cibo e di equipaggiamento, appoggiato all'altare come un morto strappato alla tomba e abbandonato alle intemperie nell'attesa del Giorno del Giudizio.
Poi, improvvisamente, capì per quale motivo l'uomo non si era accorto di lui. La terra e la pelle piagata dal sole intorno agli occhi infossati li trasformavano in due pozzi neri gemelli, al centro dei quali un opaco scintillio malato rifletteva debolmente il sole lontano. Entrambi gli occhi erano occlusi quasi del tutto da tumori corneali, e Kerans immaginò che fossero in grado di vedere ben poco oltre al sole morente. Quando il disco arancione scomparve oltre la giungla di fronte a loro e il crepuscolo si diffuse come una nube nella pioggia grigia, la testa dell'uomo si sollevò faticosamente, quasi cercasse di trattenere l'immagine che gli si era impressa in modo tanto devastante sulle retine, quindi ricadde da un lato sul suo cuscino di pietra. Un nugolo di mosche sciamò dagli alberi e gli ronzò intorno alle guance livide. Kerans si chinò su di lui per parlargli, e l'uomo parve avvertire i suoi movimenti. Ciecamente gli occhi vuoti scrutarono le tenebre accanto a lui.
"Ehi, amico," disse. La sua voce era ridotta a un flebile sussurro raschiante. "Ehilà, soldato, vieni qui! Da dove vieni?" La mano sinistra si spostò come un granchio sull'argilla petrosa, quasi stesse cercando qualcosa. Poi l'uomo tornò a voltarsi verso il sole ormai tramontato, incurante delle mosche che gli si posavano sugli occhi e sulla barba. "È andato via di nuovo! Aaa-ah! Si sta allontanando da me! Aiutami ad alzarmi, soldato, lo seguiremo insieme. Subito, prima che se ne vada per sempre." Come un mendicante in punto di morte, protese l'artiglio verso Kerans. Poi la testa gli ricadde nuovamente all'indietro e la pioggia prese a martellare il cranio annerito. Kerans si accovacciò. Nonostante gli effetti devastanti del sole e della pioggia, ciò che restava dei pantaloni dell'uniforme dell'uomo rivelava che si trattava di un ufficiale. La sua mano destra, che era rimasta chiusa, ora si aprì debolmente. Teneva nel palmo un piccolo cilindro d'argento con un quadrante circolare: una bussola tascabile in dotazione all'aeronautica.
"Ehi, soldato!" L'uomo aveva ripreso vita improvvisamente. La testa senza occhi si voltò verso Kerans. "Non lasciarmi qui, è un ordine! Adesso ti puoi riposare, mentre io faccio la guardia. Domani riprenderemo la marcia."
Kerans si sedette accanto a lui, disfece il suo fagotto e cominciò ad asciugare la pioggia e le mosche morte dalla faccia dell'uomo. Prendendo le guance incavate tra le mani come quelle di un bambino, disse piano: "Hardman, sono Kerans... il dottor Kerans. Verrò con lei, ma adesso cerchi di riposare".
Hardman non diede alcun segno di aver riconosciuto il proprio nome, ma inarcò le sopracciglia in un'espressione perplessa. Mentre Hardman si riposava appoggiato all'altare, Kerans cominciò a scavare con il coltello per scalzare qualche lastra dalla navata, quindi le portò fino all'altare e costruì un riparo rudimentale intorno alla figura supina, coprendo le fenditure con muschio strappato dalle pareti. Nonostante ora fosse riparato dalla pioggia, Hardman divenne stranamente inquieto nella nicchia buia, ma ben presto cadde in un sonno leggero e disturbato che di tanto in tanto veniva interrotto da penosi accessi di tosse. Muovendosi nell'oscurità, Kerans tornò al limitare della giungla, raccolse dagli alberi alcuni grappoli di bacche commestibili e, tornato al rifugio, si sedette accanto a Hardman finché l'alba non ruppe il buio sopra le colline alle loro spalle. Rimase con Hardman per i tre giorni successivi, nutrendolo con le bacche e spruzzandogli gli occhi con la penicillina che gli era rimasta. Rinforzò la capanna con altre lastre e costruì un rozzo pagliericcio di foglie marce affinché ci dormissero sopra. Nel corso del pomeriggio e della sera Hardman si sedeva all'entrata del rifugio, osservando il sole che calava distante tra la foschia. Negli intervalli fra un temporale e l'altro i suoi raggi, ripuliti dalla pioggia, gli illuminavano la pelle verdastra con uno strano, intenso bagliore. Non si ricordava di Kerans e si rivolgeva a lui chiamandolo semplicemente "soldato", strappandosi a volte dal suo torpore per biascicare una serie di ordini sconnessi da eseguire l'indomani. Kerans aveva la sensazione sempre più netta che la vera personalità di Hardman fosse ora sommersa nelle profondità della sua mente e che il suo comportamento e le sue reazioni esteriori non fossero altro che pallidi riflessi di questa, ingabbiata dal suo delirio e dai sintomi della prolungata esposizione al sole. Kerans immaginò che dovesse aver perso la vista circa un mese prima e che si fosse trascinato istintivamente sull'altura che ospitava le rovine. Da lì poteva avvertire meglio la presenza del sole, l'unica entità abbastanza luminosa da imprimere la sua immagine sulle sue retine indebolite.
Il secondo giorno Hardman cominciò a mangiare con voracità, come se si stesse preparando a un'altra marcia attraverso la giungla; alla fine del terzo giorno aveva divorato diversi grappoli delle bacche giganti. Le forze parvero tornare improvvisamente nel suo corpo malandato e nel corso del pomeriggio riuscì a reggersi sulle gambe, appoggiandosi all'ingresso del rifugio mentre il sole calava dietro le colline verdeggianti. Kerans non sapeva se ora Hardman fosse in grado di riconoscerlo, però il continuo monologo di ordini e di istruzioni era cessato.
Così, Kerans non fu molto sorpreso quando si svegliò la mattina seguente e scoprì che Hardman era scomparso. Alzandosi nella tenue luce dell'alba, Kerans discese zoppicando nella valle verso il limitare della foresta, dove un piccolo torrente si biforcava scorrendo verso il fiume lontano. Sollevò lo sguardo sui rami scuri delle felci che pendevano nel silenzio. Gridò debolmente il nome di Hardman, ascoltando gli echi soffocati svanire fra i tronchi, quindi tornò al rifugio. Accettò senza alcun commento la decisione di Hardman di proseguire, immaginando di poterlo forse incontrare di nuovo nel corso della loro comune odissea verso sud. Fintantoché i suoi occhi fossero rimasti abbastanza forti da percepire i segnali distanti trasmessi dal sole e finché le iguane avessero continuato a ignorarlo, Hardman sarebbe andato inesorabilmente avanti, procedendo tastoni nella foresta, il viso sollevato verso la luce del sole che filtrava dalla volta di foglie.
Kerans si trattenne per altri due giorni al rifugio nel caso in cui Hardman decidesse di tornare, quindi partì a sua volta. Le sue scorte di medicinali si erano ormai esaurite: tutto ciò che portava con sé era un sacchetto di bacche e la Colt con gli ultimi due proiettili. Il suo orologio funzionava ancora e Kerans lo adoperava come bussola, tenendo nel contempo un accurato conto dei giorni incidendo ogni mattina una tacca sulla cintura.
Seguendo la vallata, guadò il ruscello con l'intenzione di raggiungere le rive del fiume lontano. Violenti temporali battevano a intermittenza la superficie dell'acqua, ma ora sembravano concentrati nel breve volgere di poche ore del pomeriggio e della sera.
Quando il corso del fiume lo obbligò a deviare verso ovest per diversi chilometri per raggiungere le sue rive, Kerans abbandonò il tentativo e continuò a procedere verso sud, lasciando la giungla più fitta della regione collinosa ed entrando in una foresta più rada che a sua volta cedette il posto ad ampi tratti paludosi. Evitando uno di questi, sbucò all'improvviso sulle rive di un'immensa laguna larga quasi due chilometri e circondata da una spiaggia di sabbia bianca dalla quale sporgevano gli ultimi piani di alcuni palazzi in rovina, simili a cabine balneari viste da lontano. In uno di questi riposò per un giorno, cercando di medicarsi la caviglia che, nel frattempo, era divenuta gonfia e nerastra. Osservando lo specchio d'acqua dalla finestra, vide la pioggia pomeridiana scaricarsi sulla superficie con furia implacabile; quando le nubi si allontanarono e l'acqua si levigò come una lastra di vetro, i colori della laguna parvero riassumere in sé tutti i cambiamenti che Kerans aveva osservato nei suoi sogni.
Dal marcato aumento della temperatura poteva dedurre di aver viaggiato per più di duecento chilometri verso sud. Ancora una volta il calore era diventato insostenibile e raggiungeva i sessantacinque gradi. Kerans era riluttante a lasciare la laguna, con le sue spiagge deserte e il suo silenzioso anello di vegetazione. Per qualche motivo sapeva che Hardman sarebbe morto molto presto e che lui stesso non sarebbe potuto sopravvivere a lungo nelle sterminate giungle meridionali.
Semiaddormentato, Kerans si appoggiò alla parete dell'edificio, pensando agli eventi degli ultimi anni che erano culminati con il loro arrivo nelle lagune centrali e che lo avevano proiettato nella sua odissea neuronica; pensò al folle Strangman e ai suoi alligatori e infine, con una profonda fitta di affetto e di rimpianto e cercando di trattenere il più a lungo possibile nella mente il ricordo di lei, pensò a Beatrice e al suo eccitante sorriso.
Alla fine si steccò nuovamente la gamba e, con il calcio della Colt ormai senza munizioni, incise un messaggio sul muro sotto la finestra, certo che nessuno l'avrebbe mai letto. Ventisettesimo giorno. Mi sono riposato e mi dirigo verso sud. Tutto va per il meglio.Kerans
Così, abbandonò la laguna e si addentrò nuovamente nella giungla. Nel giro di qualche giorno si perse completamente, seguendo le lagune che si susseguivano verso sud nella pioggia e nel calore sempre più intensi, attaccato dagli alligatori e dai pipistrelli giganti, un secondo Adamo alla ricerca dei paradisi dimenticati del sole rinato.