martedì 25 novembre 2025

IL MITO DELLA NATURA INCONTAMINATA NELLA CULTURA OCCIDENTALE Alfonso Lanzieri


IL MITO DELLA NATURA INCONTAMINATA NELLA CULTURA OCCIDENTALE 

 Alfonso Lanzieri 

 25/11/2025 

Nel comune di Palmoli, in provincia di Chieti, in Abruzzo, una famiglia anglo-australiana composta da madre, padre e tre figli era residente in una casa senza elettricità, gas né acqua corrente, immersa in un contesto rurale boschivo. In seguito a un’intossicazione da funghi, che ha portato la famiglia in ospedale, sono intervenuti i servizi sociali. Il tribunale ha disposto l’allontanamento dei tre figli dalla casa e il loro collocamento in una struttura protetta, inizialmente senza la presenza continuativa del padre.

Quando i giornali hanno reso nota la cosa, qualche giorno fa, sono arrivate prese di posizione politiche e chiacchiere social. Si tratta sicuramente di una situazione limite, ed è giusto che se ne occupino le autorità competenti e quanti conoscono i fatti. Perciò questo articolo non si occupa della vicenda in sé, ma si focalizza su un certo tipo di reazioni.

Tra queste si ripresenta l’idea della “Natura”, con la N maiuscola, come l’ha scritta il noto cantante Simone Cristicchi in un suo post su X, nel quale esprimeva tutta la sua costernazione per l’intervento delle autorità: “I bambini del bosco, rapiti da un sistema demoniaco che finge di proteggerli. Una famiglia che vive in armonia con il respiro della Natura, senza dare fastidio. Uno stato ormai totalmente distante da uno stile di vita, che dovrebbe promuovere anziché ostacolare. Tanta rabbia”. In questi e in altri commenti riaffiora la concezione di una natura intesa come dimensione pre-tecnologica e pre-industriale in cui il contatto diretto con gli enti naturali renderebbe la vita più “armoniosa” e “sana”.

A tal proposito, ricordo un incontro pubblico di qualche anno fa in cui due accademici – uno dei quali con seconda casa nelle campagne fuori Parigi, giusto per coerenza etnografica – sostenevano che sì, certo, la lavatrice sarà anche comoda, ma andare al fiume a lavare i panni creava quella “socialità vera” tra massaie che oggi si è perduta. E naturalmente l’elogio delle “cascine di una volta”, dove tutta la famiglia viveva insieme, contro gli alienanti condomini moderni. Vabbè, avete capito l’andazzo.

Ecco, tra tutti i miti prodotti dalla razionalizzazione del mondo in epoca moderna, forse il più resistente è proprio l’idea che un tempo esistesse una vita pura, in cui l’essere umano viveva felice e in armonia con la Natura – come se la Natura non avesse cercato di ucciderci sistematicamente fin dal Paleolitico. È una costruzione culturale nata dentro la società tecnologica che dice di criticare, e che però tradisce un bisogno profondamente moderno: più le nostre vite diventano urbanizzate, accelerate, mediate dagli schermi e dalla tecnica, più abbiamo bisogno di immaginare un “altrove” primordiale e pacificato. Una sorta di parco tematico mentale: “Preistoria Experience”, tutto compreso, senza il fastidio delle infezioni intestinali.

Il passato viene così filtrato, levigato, reso commestibile. Carestie, malattie, fame cronica, mortalità elevata, instabilità ecologica, fatica, sporcizia: tutto accuratamente rimosso. Restano solo gli “antichi sapori”, tipo la pasta con la cicoria che oggi paghi 15 euro perché “la mangiava il contadino” – il quale però non aveva alcuna intenzione romantica di mangiarla per sempre, e non poteva avere nostalgia della “natura perduta”, dal momento che la natura che aveva era l’unica possibile.

Questa nostalgia è curiosa anche perché funziona a senso unico: nessuno rimpiange davvero la parte faticosa della vita preindustriale. Nessuno organizza convegni per celebrare l’epoca in cui la gente camminava dieci chilometri per procurarsi acqua potabile, o quella in cui bastava una frattura scomposta per essere spacciati. La nostalgia seleziona meticolosamente solo ciò che conferma il racconto: serenità, purezza, armonia, semplicità – ma semplicità vista da lontano, e sempre dall’alto.

Mi torna in mente l’estetica dei programmi TV dove fanno incontrare una coppia di sconosciuti completamente nudi su una spiaggia deserta, per “simulare” una condizione di assoluta naturalità, i cosiddetti “date show” ma con l’aggiunta del “naked”. È una scena che pretende di evocare l’origine dell’umanità, ma che è in realtà l’apice dell’artificio televisivo. Anche perché l’Homo sapiens ha cominciato a vestirsi regolarmente almeno da 100.000 anni – e comunque qualcosa lo indossavamo già prima, magari pelli non cucite. Se c’è qualcosa di profondamente innaturale, è proprio quell’assenza di vestiti spacciata per autenticità.

Il mito della natura incontaminata è uno di quelli che attraversano la cultura occidentale con una continuità sorprendente. Certo, già nell’Antichità l’idea di un’età dell’oro è la prima grande narrazione di una natura pre-sociale e pre-politica, da cui l’uomo non deve più difendersi e a cui non bisogna più strappare con fatica il sostentamento.

Nella modernità, quando la tecnica e la città diventano realtà pervasive, il mito in qualche modo ritorna, ma con delle caratteristiche che lo differenziano da quello antico: l’Eden non è collocato in un tempo simbolico e astorico, ma è dentro la storia. Volendo, ci si potrebbe tornare (e infatti alcuni ci provano). In aggiunta, il mito moderno della natura contrapposta all’industrialismo più che spiegare l’assetto del presente (come i miti antichi), svolge un ruolo critico rispetto alla società in cui si vive: è intrinsecamente politico. Il “buon selvaggio” di Rousseau è un artificio filosofico per criticare la corruzione sociale.

In fondo, l’affacciarsi ricorrente del mito della “natura pura” dice qualcosa di più profondo. Se, semplificando molto il discorso, ancora nel medioevo cristiano la concezione più diffusa riteneva che il male avesse la propria scaturigine nell’interiorità, nel cuore dell’uomo, in epoca moderna viene dislocato nelle strutture che regolano la nostra convivenza, diciamo nelle istituzioni. È un cambiamento d’accento fondamentale.

Più che i peccati individuali, per capire i guai del mondo bisogna guardare ai sistemi economici, agli assetti istituzionali e agli apparati tecnologici: è un mantra ricorrente negli autori moderni. In questo orizzonte, le soluzioni sono perlomeno tre: riforma, rivoluzione o ritiro.

La modernità ci mette di fronte a un “bivio triplice”: la riforma, l’idea che le nostre istituzioni – per quanto imperfette – possano essere corrette; la rivoluzione, se crediamo che il male sia ormai inscritto nel sistema stesso e che solo un salto radicale possa cambiare le cose; il ritiro, di chi immagina che sottraendoci alla società elimineremo anche il male che essa produce.

Il ritirato beatifica la natura: la immagina pura, fuori dalla società, e lì cerca la salvezza; il rivoluzionario, invece, può arrivare a credere di poterla riplasmare, per piegarla ai principi del nuovo ordine che immagina; il riformatore, invece, vede la natura come ciò che non va né mitizzato né riprogrammato: se la assecondi nei suoi vincoli, puoi trovare possibilità per la tua libertà.

Ciascuno può scegliere la via che gli piace di più.

Commenti

Daniela Martino

Ho letto con grande interesse la sua analisi critica sul mito occidentale della “Natura” incontaminata. Vorrei arricchire la riflessione con la mia esperienza diretta tra gli Yanomami e i Pemón dell’Amazzonia venezuelana. Per queste comunità la foresta non è un paradiso idilliaco in cui ritirarsi – come vorrebbe il mito romantico occidentale – ma un sistema vivo di relazioni, sinonimo di libertà e autonomia culturale. Il punto cruciale è un altro: il loro pragmatismo. Quando un Yanomami o un Pemón chiede un pannello solare, un motore fuoribordo o una scatola di antibiotici, non sta “tradendo” la propria cultura. Sta semplicemente cercando gli strumenti più efficaci per due obiettivi essenziali:

* Ridurre la sofferenza quotidiana – meno fatica, meno ore di cammino, meno bambini che muoiono per una febbre o per il morso di un serpente, la possibilità di studiare la sera con una lampadina.

* Difendere l’autonomia territoriale – droni per sorvegliare i confini, telefoni satellitari per denunciare i minatori illegali, motori fuoribordo per spostarsi rapidamente e organizzare la resistenza.

Questo approccio non rientra nelle tre categorie classiche dell’articolo (Riforma, Rivoluzione, Ritiro). È qualcosa di diverso: un’Integrazione Negoziata.

Gli oggetti esterni vengono “indigenizzati”: assorbiti, risemantizzati e messi al servizio del modo di vita tradizionale, anziché il contrario. La lezione è semplice e potente: la vera saggezza non sta nel negare romanticamente la tecnica, né nell’arrendersi all’omologazione culturale, ma nel trovare un equilibrio pragmatico tra i vincoli della biologia e le possibilità della modernità. 

rolm

25/11/2025 alle 6:44 pm

Condivido il commento, l’ultima parte esemplifica bene il concetto.

Luciano Roffi

25/11/2025 alle 2:16 pm

Mah … credo che l’indignazione per il sequestro dei bambini della “famiglia nel bosco” abbia poco a che fare col mito di cui si parla nell’articolo e abbia molto più a che fare con l’illuministico concetto della libertà individuale. L’intervento della Torquemada di Chieti scaturisce dalla convinzione che esista un modello di vita unico da imporre a tutti. “La facevano in una buca nel bosco: orrore!” “Si scaldavano a legna e non col riscaldamento a gas o nafta: orrore!” “Studiavano a casa e non a scuola: orrore!” “Si incontravano coi bambini delle famiglie “normali” quando e dove gli pareva e non a scuola: orrore! Portiamoli via, strappiamoli all’affetto dei genitori, traumatizziamoli si’ ma per il loro bene”. La Torquemada di Chieti sarebbe stata bene nell’URSS

rolm

25/11/2025 alle 6:10 pm

In teoria tutto è possibile, poi c’è la vita reale con i bambini che non possono fare una loro scelta consapevole, che si potrebbero ammalare e rischiare la vita per nulla, per dei capricci di paranoia e convinzione personale dei genitori quando si potevano evitare. Per poi magari ipocritamente affidarsi alle tecniche moderne di cura della civiltà quando è troppo tardi.

Queste purtroppo sono scelte personali che, se capita, si possono pagare care.

Il fare parte di una società con le sue leggi e regole, essere consci di certi pericoli a livello sanitario ed agire di conseguenza non c’entra nulla con l’imporre una dittatura comunista o fascista.


rolm

25/11/2025 alle 1:36 pm

E’ diffuso il pensiero che qualcosa di naturale faccia sempre bene e sia preferibile ad altro di più manipolato o artificiale. Niente di più ingenuo.

Basti pensare che cosa sarebbe potuto succedere con l’intossicazione da funghi riguardante questo caso. Hanno dovuto rivolgersi ai mezzi e alle tecniche della civiltà avanzata per risolvere il problema. Avrebbero dovuto lasciar fare invece alla natura e trovare metodi alternativi meno tecnologici, con la conseguenza magari di vedere la situazione peggiorare e diventare molto pericolosa. O pensiamo solamente nel caso di infezioni batteriche e virali, un tempo spesso non c’era scampo davanti a certi eventi.

Se non comprendiamo la natura, questa può diventare davvero spietata. E’ la Storia della nostra specie umana quella di dover combattere e studiare certe situazioni dannose che la natura ci offre e trovare delle soluzioni efficaci per impedire che accadano di nuovo.o

Il resto sono solo slogan e frasi senza comprensione del mondo intorno a noi.

Oggi va di moda tirare fuori argomenti del genere, senza contare che la pelle la rischiano bambini innocenti e senza difese davanti a certe decisioni folli avallate e prese da alcuni adulti. O peggio, come questo caso, prese dai propri parenti e genitori.