Mia mamma diceva, quando il chiasso vociante era al massimo in casa: "ma basta insoma" in dialetto mantovano.
domenica 4 marzo 2018
I SOTTERRANEI DEL MAJESTIC
George Simenon
Adelphi
Incipit: “La gomma di Prosper Donge Il rumore secco di una portiera. Un’altra giornata aveva inizio. Il motore in folle. Forse Charlotte stringeva la mano al tassista. Poi l’auto si allontanò. Dei passi, la chiave che entrava nella serratura, lo scatto di un interruttore. Lo schiocco di un fiammifero in cucina e il leggero sibilo del fornello a gas che si accendeva. Con la lentezza di chi ha passato la notte in piedi, Charlotte salì le scale troppo nuove, entrò piano piano in camera e girò un altro interruttore. Si accese una lampada schermata da un fazzoletto rosa con una ghianda di legno a ciascun angolo. Prosper Donge teneva gli occhi chiusi. Charlotte si svestì guardandosi nella specchiera dell’armadio. Quando si liberò della giarrettiera e del reggiseno ebbe un sospiro di sollievo. Era grassa e rosea come un Rubens, ma aveva la mania di strizzarsi più che poteva, e, una volta nuda, doveva strofinarsi la pelle per far sparire i segni. Aveva un suo modo irritante di infilarsi nel letto salendovi sopra prima in ginocchio, così che la rete s’inclinava tutta da un lato. «Tocca a te, Prosper!». Non appena lui si alzava, Charlotte si rannicchiava al suo posto ancora caldo, si tirava le coperte fin sopra gli occhi e non si muoveva più. «Piove?» chiese lui facendo scorrere l’acqua in bagno. Ebbe in risposta un vago brontolio. Ma non aveva importanza. L’acqua per radersi era gelida. Si udivano passare dei treni. Prosper Donge si vestì. Charlotte, che non riusciva ad addormentarsi con la luce accesa, di tanto in tanto sospirava. E quando lui, già con una mano sul pomolo della porta, fece per allungare il braccio destro verso l’interruttore, gli disse con voce impastata: «Non dimenticarti di andare a pagare la cambiale della radio». Il caffè sul fornello della cucina era caldo, troppo caldo. Lo bevve senza nemmeno sedersi. Poi, con l’aria di chi ogni giorno, alla stessa ora, ripete gli stessi gesti, si avvolse attorno al collo una sciarpa di maglia, indossò il cappotto e si mise in testa il berretto. Infine spinse fuori la bicicletta che teneva nel corridoio. Sulla porta fu investito, come sempre a quell’ora del mattino, da una folata d’aria fredda e umida. Sebbene non avesse piovuto, in certi punti la strada era bagnata; ma chi stava dormendo dietro le persiane chiuse probabilmente avrebbe conosciuto soltanto una tiepida giornata di sole. La strada fiancheggiata da piccole case con giardinetto scendeva ripida. Ogni tanto fra due alberi si intravedevano, come in fondo a una voragine, le luci di Parigi.
Non era più notte, ma ancora non faceva giorno. L’aria si tingeva di malva, e qua e là si accendeva la luce di qualche finestra. Prosper Donge frenò prima di arrivare al passaggio a livello che aveva la sbarra abbassata e la aggirò infilando i cancelletti laterali. Dopo il ponte di Saint-Cloud svoltò a sinistra. Un rimorchiatore con il suo seguito di chiatte fischiava rabbiosamente per chiedere la chiusa. Il Bois de Boulogne. I laghetti che riflettevano il pallore del cielo e i cigni che si stavano appena svegliando... Arrivato alla Porte Dauphine, Donge ebbe l’impressione che il terreno diventasse più duro sotto le ruote.”