domenica 25 marzo 2018



RICORDI: LA FONTANELLA
Di Giacomina Merloni
Avevo forse otto anni, mia sorella dodici, mio fratello quattordici. Presso l'ex hotel Miravalle si era stabilita una colonia estiva, ragazzine accompagnate da suore. Padre Giovanni C., non ricordo a quale congregazione appartenesse, ne era il cappellano.
Si era nei pudibondi anni '50 del secolo scorso e pareva sconveniente che un uomo, sia pure sacerdote, passasse la notte con tutte quelle femmine, sotto lo stesso tetto. La nostra casa era grande, tanto che mio padre, d'estate, affittava alcune stanze a villeggianti, così Padre Giovanni veniva a dormire da noi.
Arrivava ogni sera dopo cena e con lui incominciava la festa. Eravamo una decina di ragazzini, con gli amichetti che ci raggiungevano. Il Padre era il nostro "animatore". Seduti attorno a un grande tavolo, con mamma che tornava bambina, ci divertivamo coi giochi di un tempo in cui non esistevano TV, playstation e smartphone, in un'atmosfera allegra e coinvolgente. Shangai, pulci, carte, e altri.
Imparai a giocare a scala e quaranta. Mamma, memore di un'infanzia difficile, aveva acquistato appositi mazzi di carte in formato 5x3 cm: le carte da gioco erano "costose" perché gravate da non so quale imposta.
Quelle mini-carte da gioco, insieme ad un manualetto che per me era un pozzo di San Patrizio colmo di tesori, storielle umoristiche, indovinelli, giochi di prestigio e molto altro, li rivedo e rivivo con gli occhi della mente e del cuore, simbolo di infanzie remote, quando i giocattoli erano pochi, ma la fantasia vivacissima.
Mio fratello, mia sorella ed io, "privilegiati", passammo tutta una domenica con Padre Giovanni nel paesino tra le montagne dove viveva la mia nonna materna. La strada carrozzabile non vi arrivava ancora e lo si raggiungeva a piedi. Ci recammo al Santuario situato in una amena località lontana dall'abitato.
Sul piazzale antistante era stata costruita da poco una graziosa fontanella. Mia sorella ed io ci attaccammo al rubinetto, non ci pareva vero di poter bere e spruzzare senza che mamma ci sgridasse. Sento ancora il sapore di quell'acqua fresca che sgorgava dal ventre della terra.
Poi da lì proseguimmo, percorrendo un sentiero tra i boschi, all'antica cappella di San Domenico, da dove si gode un panorama mozzafiato sul lago.
Avevamo con noi binocolo e una vecchia Kodak a soffietto. Conservo foto di quel giorno. In una di queste il Padre indica mia sorella e me al "fotografo": "Vittorio, sbrigati a scattare perché queste due non smettono di bere..."