mercoledì 11 ottobre 2017


IMPOSTORI DELLA TRASPARENZA
di Giuseppe De Filippi 
http://www.ilfoglio.it/magazine/2017/08/07/news/impostori-della-trasparenza-147743/
Questa amministrazione sarà tra-spa-ren-te”, scandisce il neo sindaco o il neo presidente o il neo qualcosa. L’omaggio è reso, l’attenzione cala. Non c’è più da aggiungere. La trasparenza è la nuova fissazione nazionale. Si è insediata al comando per demeriti altrui. Un sorpasso in frenata. Tra passioni deboli, politica fattiva sputtanata e derisa, grandi obiettivi smontati come se fossero un’olimpiade a Roma, c’è rimasta la povera, sciocca, trasparenza. Che poi sarebbe pure sbagliata la scelta della parola. A voler essere un bel po’ pedanti si dovrebbe dire che un’amministrazione trasparente, proprio per questa sua caratteristica, è un’amministrazione che non si vede, insomma il contrario di quello che si voleva affermare. Il pedante potrebbe attingere alla fisica, appassionarsi alle definizioni, alla specifica trasparenza naturale dell’acqua e dell’aria e soprattutto a quella faticosamente conquistata dal vetro. Quello sì fu un cambiamento storico, con le case dalle quali finalmente si riusciva a vedere un po’ fuori senza aprire le finestre, con la luce che riusciva a entrare. Un’innovazione che ha trasformato il modo di pensare le città e di convivere. Il primo materiale a basso costo con cui si riusciva a creare oggetti attraverso i quali si riusciva a vedere, per poi sviluppare ulteriormente l’idea e riuscire anche a modificare il modo in cui la luce attraversa la materia per riuscire a ingrandire immagini, ad avvicinare la visione di oggetti lontani, a correggere gli errori della vista. Un’epopea quella della trasparenza tra studio della fisica e applicazioni pratiche. Una storia ancora in sviluppo (tanto per dire le macchine che individuano le onde gravitazionali usano uno speciale rimbalzo della luce tra trasparenze gestite in modo accorto) di fronte alla quale, ma non è la prima volta, l’applicazione alla scena pubblica e politica diventa una copia ridicola e malinconica. Parola sbagliata, dicevamo. Quella giusta probabilmente sarebbe pubblicità. Ma ha i suoi problemi. Interrompe le emozioni, fa fare soldi, fa vendere merci, dà luogo a una sfida commerciale continua tra aziende. Insomma tutte cose che ai patiti della tra-spa-ren-za fanno orrore. Però resta che l’espressione giusta è “si dia pubblicità agli atti dell’amministrazione”, che poi vuol dire semplicemente attivarsi per rendere conoscibili atti che già sono pubblici. Con la trasparenza invece ci si affida a un, perlopiù inesistente, attivismo dei cittadini per essere informati. Insomma: la trasparenza fa trasparire tante cose ma non guida verso la loro comprensione, si avvicina all’idea di una rappresentazione totale e fedele della realtà ma nello stesso tempo, dicendo troppe cose, le rende altrettanto illeggibili e incomprensibili. E’ un’utopia e quindi tipicamente pericolosa. La conoscibilità non è la conoscenza, i tempi di vita, e anche quelli di una semplice giornata, sono contingentati.
Gli interessi, per fortuna, sono vari e poche persone preferirebbero leggere una delibera o magari il dibattito consiliare con cui ci si è arrivati anziché chiacchierare all’aperitivo o guardare lo sport in tv. Forse anche per questo leggi come quella che poi fatalmente è stata chiamata “trasparenza bancaria” non hanno prodotto grandi risultati, anzi vengono sbeffeggiate continuamente (e se non ci si cura dei propri interessi diretti, come quelli che riguardano risparmi e investimenti, pensate che succede con le delibere comunali), ma ormai la carta della norma intestata alla trasparenza, in ambito finanziario, è stata giocata, così il prossimo passo, per una normale inflazione terminologica, sarà quello dalla trasparenza all’educazione, alla formazione. E’ già partita l’iniziativa per la educazione finanziaria, che prevede, evidentemente, un ruolo pedagogico, attivo, e non più la semplice disponibilità dei dati e delle informazioni grazie alla scioccherella trasparenza. Dubitiamo che anche questo tentativo possa funzionare senza la collaborazione di chi deve informarsi, mentre il mondo bancario è stato travolto da un’ondata di opacità, percepita si potrebbe dire con il linguaggio di questi giorni, da cui faticosamente si sta riprendendo. Il racconto pubblico dei fatti bancari, la cacofonia delle voci coinvolte, l’opportunismo delle parti politiche, hanno fatto strame della già debolissima trasparenza, e forse davvero nel mondo finanziario, il primo nel quale l’espressione ha ottenuto sanzione legislativa, ci sono i primi segnali, ma molto netti, di ripensamento sull’efficacia della passione per la trasparenza.
E le vicende della finanza ci aiutano a fare qualche passo in più, si direbbe che potremmo fare un’operazione trasparenza sulla… trasparenza e rivelare, ma davvero lo sapevamo tutti, la quota non trascurabile di ipocrisia con cui viene applicata nella scena pubblica. Come ci ha mostrato il pedante citato prima la trasparenza di suo non rivela niente, semmai nasconde l’oggetto da cui la luce è attraversata. L’aria non la vediamo, e per dimostrarne l’esistenza e valutarne la caratteristiche materiali i primi fisici/filosofi hanno fatto anche una certa fatica. Allora sollevando l’ipocrisia si vede che a nessuno interessa la trasparenza in sé (quando si parli di politica, di potere, di gestione della cosa pubblica) ma a interessare è ciò che sta dietro, ciò che viene rilevato. Ma così si torna da capo. La trasparenza se ne sta lì buona e in primo piano tornano le ossessioni, i complotti. Non ciò che ci viene candidamente mostrato, ma ciò che vogliamo vedere. Il disvelamento è un imbroglio che con un giro tortuoso ci riporta alle nostre fissazioni. Così l’anti politico punterà sulla trasparenza per dire che finalmente ha visto come la politica sia guidata solo da torbidi interessi, da illegalità, da fame di potere fine a sé stesso. E lo farà anche virtualmente. Non c’è bisogno di esercitare davvero le famose operazioni trasparenza, saranno le congetture a ritenersi dimostrate a prescindere, perché lo sappiamo già che, se si levassero i veli imposti dal potere, ecco che tutto emergerebbe come lo abbiamo immaginato. Funziona meglio così, come arma preventiva, la trasparenza. Quando si tenta di applicarla attivamente le cose vanno a finire maluccio. Come nei famosi blitz dell’amministrazione Raggi nei luoghi del presunto malaffare, come quello indimenticabile della allora assessore Paola Muraro negli uffici dell’Ama (di cui era peraltro responsabile come assessore): trasparenza militante, con tanto di telecamerine e messa a disposizione delle immagini e degli scambi di frasi inquisitorie su Facebook. L’esito non fu un granché, Ama va avanti come sempre, il tritovagliatore tritovaglia, l’assessore è cambiato, l’attenzione intanto dai rifiuti si è spostata ai trasporti.
Torniamo alle banche. E’ proprio nel settore finanziario che la trasparenza fa il suo debutto in una definizione legislativa, l’intento era rivelare al cliente prima di tutto le questioni minori, ma potenzialmente e anche realmente, costose legate a servizi non comprensibili a prima vista addebitati per la banale tenuta del conto corrente. Il risultato di tutto questo trasparire è stata la produzione di gigantesche informative di altrettanto difficile lettura, mentre a scavare sotto e a togliere spazio ai tanti addebiti un po’ fantasiosi è stata certamente più la concorrenza della trasparenza e, ironicamente, lo ha fatto in buona parte attraverso la pubblicità (sì proprio quella che si paga). Ora il mondo finanziario tenta di correre ai ripari per la magagna peggiore, quella che riguarda non i banali servizi di sportello ma gli investimenti. Mentre regnava l’ossequio alla trasparenza sono avvenuti enormi sfracelli per gli investitori/risparmiatori. Con strascichi ben noti e accuse fino ai massimi responsabili politici. Accuse spesso opache, tutt’altro che trasparenti, ma fa niente. Il punto è che si è capito che, anche nel caso dei prodotti finanziari, l’ossessione per la trasparenza, per il dire tutto, non aiutava nessuno. I mitici prospetti informativi, zeppi di dati e di messe in guardia, producevano il rifiuto della lettura. E ora arriva la novità delle “informazioni chiave”, che saranno i nuovi strumenti di comunicazione per gli emittenti e le autorità di vigilanza. Meno trasparenza sciocca, è l’idea, più dati mirati per capire velocemente cosa ho davanti. Poi c’è la trasparenza di complemento, quella che nelle intestazioni di comitati vari, autorità, uffici, si accompagna alla legalità. Partiamo da Milano in una rassegna che più casuale non si potrebbe e troviamo Gherardo Colombo a presiedere il comitato per la legalità e la trasparenza. Passiamo all’Anac e troviamo proprio una divisione intitolata alla trasparenza, tratta ovviamente di dare pubblicità agli atti che riguardano appalti. Tanta trasparenza poca corruzione, è lo schema dell’Anac. Tutto bene ma ancora una volta si deve notare la ridondanza retorica della parola e anche la sua ridondanza applicativa. Far trasparire tutto è obiettivo da piano quinquennale, roba che non funziona, è la glasnost cui ti attacchi quando non c’è più niente da fare. Mentre ancora sarebbero mercato e concorrenza a regalare, tecnicamente regalare, informazioni e selezione delle migliori offerte. Andando avanti troviamo comitati per la trasparenza in quasi ogni comune e uffici dedicati in tutte le amministrazioni. Sindaci a caso: a Ladispoli, litorale romano, ecco il primo cittadino rivendicare un’amministrazione “onesta, leale e trasparente”, a Civita Castellana (Viterbo) durante indagini per questioni di parentado “la nostra amministrazione è trasparente”, a Montalto Uffugo (Cosenza) l’amministrazione “vuole essere condivisa, partecipata, attiva e trasparente”. E poi ancora Faenza, istigati dal blog di Beppe Grillo, ecco la giunta impegnarsi, come un giovane pioniere, per essere “più trasparente”. Così siamo dalle parti della propaganda politica. I meravigliosi streaming (con la recita che trasparentemente prendeva il posto del confronto tra gruppi), le case di vetro, la condivisione estrema. Senza ricordare però l’esperienza della finanza: nessuno vuole ore di streaming (equivalenti ma forse più mendaci ai giganteschi prospetti informativi), mentre molti vorrebbero le informazioni chiave, i pochi punti con cui identificare che è sulla scena pubblica. Tra la mercatista pubblicità (calunniata dai poeti ma dicevamo sarebbe la parola giusta per il quid che cerchiamo) e la scioccherella trasparenza si staglia la rigorosa (accademica? Seriosa?) conoscenza. Oggetto di una campagna mondiale da parte del Partito Radicale per inserire il diritto alla conoscenza tra quelli fondamentali dell’individuo.


Non c’è più la retorica della trasparenza, per cui ipocritamente basta levare il velo e tutti i mali si mostreranno, tanto in realtà già sapevamo tutto, ma c’è da difendere e rivendicare il diritto a conoscere, faticando e impegnandosi e applicando metodi rigorosi. Intanto però bisogna misurarsi con la ipocrita e subdola trasparenza. Ce ne sarà occasione a Seggiano, bel borgo alle pendici dell’Amiata, in una miniserie di incontri estivi in cui, proprio a me che stavo tentando di scriverne una critica, stasera alle 19 è stato affidato di guidare una discussione sul tema della trasparenza con due agguerrite argomentatrici come Veronica De Romanis e Milena Gabanelli. Il festival (definizione auto-ironica con understatement a rovescio) si chiama “Notizie dall’Amiata”, pescando fortunosamente una specie di taylormade tra i titoli di Eugenio Montale. A memoria, di trasparenza Montale non se ne era occupato e certamente la sua scrittura non era un omaggio all’immediato trasparire dei concetti, riuscendo però a dirci molto di più del pane al pane. C’è nella sua poesia, finita anche in un micidiale tema della maturità, un’“acqua limpida scorta per avventura” che rimanda al sorriso di un amico. E intanto limpida è più bello di trasparente ma poi alle limpidezze, come si è provato a dire, non si arriva per decreto o per volontà popolare ma “per avventura”. E dunque meglio non affidarsi alla limpidezza (la triste trasparenza è già archiviata) e prepararsi alla realtà, opaca e torbida che sia.